Sei sulla pagina 1di 4

SCHOPENHAUER

L'unione di tradizioni filosofiche diverse


Arthur Schopenhauer nato a Danzica nel 1788, insegnò all'Università di Berlino ma senza
ottenere in vita grande successo. Morì a Francoforte sul Meno nel 1860.

La sua riflessione si pone come punto di incontro di tradizioni filosofiche eterogenee,


come il pensiero platonico, kantiano, illuministico, romantico e la Sapienza indiana. Di
Platone lo attrae soprattutto la teoria delle idee; da Kant l’impostazione soggettivistica
della gnoseologia. Dell’Illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello
dell’ideologia; dal Romanticismo trae il tema dell’infinito, del dolore. È stato anche il primo
filosofo occidentale a tentare di recuperare alcuni motivi del pensiero orientale. Prende
invece le distanze dall'idealismo che condanna come filosofia delle università.
Schopenhauer appare decisamente orientato ad una visione pessimistica della realtà,
di cui è uno dei maggiori teorici.

Volontà e rappresentazione
Nella sua opera principale intitolata il mondo come volontà e rappresentazione e
pubblicata nel 1818 Schopenhauer parla della distinzione tra il fenomeno, ovvero la
cosa così come appare, e il noumeno, cioè la cosa in sé. Il fenomeno nasconde la
vera essenza delle cose, è illusione ed è paragonato al velo di Maya dell'antica Sapienza
indiana; il noumeno invece è quella realtà che si nasconde dietro l’ingannevole trama del
fenomeno e che il filosofo ha il compito di scoprire.

Il fenomeno di cui il filosofo ci parla coincide con la rappresentazione soggettiva, cioè


esiste solo dentro la coscienza. La rappresentazione ha due aspetti inseparabili: l'oggetto
rappresentato e il soggetto rappresentante, il quale coglie l'oggetto ordinandolo secondo le
forme a priori dello spazio, del tempo e soprattutto della causalità. Quest'ultima è la più
importante e assume forme diverse a seconda dell'ambito in cui opera manifestandosi
come necessità fisica, che regola il divenire della natura, logica, che regola la conoscenza,
matematica, che regola i rapporti spazio-temporali e le connessioni a ritmo geometrica
dell'essere, e morale, che regola l'azione.

Ricordiamo che, a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori (si
ricordi che Kant ne elencava dodici, tra cui spazio, tempo e categoria). Poiché le paragona
a vetri sfaccettati, attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la vita un
sogno, cioè un tessuto di apparenze. Andando alla ricerca di precedenti illustri di questa
intuizione, Schopenhauer cita Platone, il quale dice spesso che “gli uomini non vivono che
in un sogno”.

Al di là del velo dei fenomeni si nasconde il noumeno che, per quanto non possa mai
essere colto così come è in sé perché nel momento in cui è colto è anche rappresentato,
può tuttavia essere in qualche modo conosciuto. Gli esseri umani infatti hanno un corpo,
attraverso il quale possono viversi dal di dentro, godendo, soffrendo, ed è proprio questa
esperienza a permettere loro di squarciare il velo del fenomeno e di raggiungere l'essenza
profonda dell'io: la volontà di vivere, o meglio la cosa in sé del nostro essere, un
impulso prepotente che ci spinge ad agire. Questa è l'essenza nascosta non solo
dell'uomo ma dell'intero universo.

La volontà infatti è:
 inconscia, non significa dunque volontà cosciente, ma indica il concetto più
generale di energia o impulso;
 unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, si sottrae a ciò che i
filosofi del Medioevo chiamavano “principio di individuazione”;
 incausata, al di là della causalità, perché si configura come una forza libera senza
uno scopo;
 eterna, al di là del tempo. Per questo Schopenhauer scrive che “alla volontà è
assicurata la vita”;

Miliardi di esseri non vivono dunque che per vivere e continuare a vivere. Questa secondo
il filosofo è l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di
mascherarne la terribile evidenza postulando un Dio al quale finalizzare la loro vita e in cui
trovare un senso per le loro azioni. Ma Dio, nell’universo di Schopenhauer, non esiste e
l’unico assoluto è la volontà stessa, i cui caratteri di fondo, cioè il fatto di essere unica,
eterna e incausata, sono, non a caso, i caratteri che da sempre i filosofi hanno conferito a
Dio e con cui soprattutto i Romantici hanno caratterizzato l’infinito. Oltre che nel mondo
fenomenico, la volontà si manifesta anche nelle idee cioè in un sistema di forme
aspaziali e atemporali di tipo platonico, che Schopenhauer considera come modelli
archetipici del mondo.

Il pessimismo
Dall'identificazione dell'essere con la volontà, deriva la tesi secondo cui vivere è soffrire e
tutto è costitutivamente dolore. Volere infatti significa desiderare, e desiderare significa
trovarsi in uno stato di mancanza. Quando poi un desiderio viene soddisfatto, subentra il
piacere, cessazione momentanea ed effimera del dolore (come avevano già sostenuto
Giacomo Leopardi e Pietro Verri), che presto cede il posto alla noia. La vita umana,
conclude il filosofo, è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia,
passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
Questa convinzione sta alla base del pessimismo cosmico metafisico di Schopenhauer.

Egli afferma che l'universo è governato dalla legge immanente della


sofferenza. L'ottimismo, in tutte le sue forme, metafisiche sociali e storiche, va considerato
una menzogna e persino l'amore va condannato perché non è altro che uno stratagemma
di cui la volontà si serve allo scopo di perpetuare la vita.

Le vie per liberarsi dal dolore


Schopenhauer afferma che l’esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta una
cosa tale che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare che il filosofo
metta a capo una filosofia del suicido universale, ma in realtà lo condanna, dicendo che
la risposta al dolore del mondo non può consistere nel suicidio. Esso, oltre a essere
una malcelata forma di attaccamento alla vita, sopprime soltanto una delle manifestazioni
fenomeniche della volontà e non la volontà in sé, la quale, pur morendo in un individuo,
rinasce in mille altri.
Pertanto, secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore del mondo consiste nella
liberazione dalla stessa volontà di vivere: la voluntas tende infatti a farsi noluntas, cioè
negazione progressiva di sé medesima.

Il filosofo propone invece tre vie di liberazione dal dolore. La prima consiste nell'arte,
che è contemplazione libera e disinteressata delle idee; essa sottrae l'individuo alla
catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, e lo libera dalla volontà, elevandolo al
di sopra del dolore. La liberazione dal dolore raggiunta attraverso l'arte é però solo
temporanea e necessita di ulteriore passaggio: questo è costituito dalla morale, che
sgorga da un sentimento di pietà o compassione nei confronti del prossimo e che si
concretizza nelle due virtù cardinali della giustizia, che è la volontà di non fare il male, e
della carità, che è la volontà di fare il bene. La morale però libera dell'egoismo ma non dal
dolore connesso alla volontà. Essa va dunque superata da una terza via di liberazione:
l'ascesi. Essa è un'esperienza che consiste nel cessare di volere la vita e il volere stesso,
cioè nell'estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere mediante una serie
di accorgimenti come la castità, l'umidità, il digiuno e il sacrificio.

Le pratiche ascetiche secondo Schopenhauer consentono di raggiungere una condizione


simile al Nirvana buddista che, per il filosofo è identificabile con la noluntas (non volontà),
ovvero con l'esperienza del nulla del mondo, che sola consente di trovare autentica quiete.

IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE


Stampata nel dicembre 1818, l’opera principale di Schopenhauer è articolata in quattro
libri, il primo dei quali concerne appunto il come mondo rappresentazione. L'uomo deve
venire a conoscenza che il mondo è l'insieme delle sue rappresentazioni che solo il
soggetto percepisce. Questa è una verità che certamente può fermarsi a priori, perché è
più universale rispetto alle altre forme pure dell'esperienza (spazio, tempo e casualità),
perché queste implicano già la prima. Viene ribadita la soggettività del mondo fenomenico,
essendo tempo e spazio soggettivi in ogni luogo e in ogni tempo, come già teorizzato da
Kant. Schopenhauer dice che la rappresentazione del mondo è costituita da due metà
inscindibili e necessarie:
 l'oggetto rappresentato, che per effetto di spazio e tempo (le mie forme a priori) si
presenta al soggetto come una molteplicità;
 il soggetto rappresentato, che spazializza e temporalizza l’oggetto restante
estraneo a tale operazione. Esso è intero quindi capace di produrre, in relazione
con l'oggetto, una rappresentazione del mondo completa, anche nel caso in cui il
soggetto fosse uno solo; il venir meno di questo unico soggetto provocherebbe
invece il venir meno del mondo come rappresentazione.

Schopenhauer contesta implicitamente sia la pretesa materialistica di ridurre il soggetto


all'oggetto, sia quella opposta idealistica di ridurre l'oggetto al soggetto. Resta però il fatto
che rispetto a Kant lui presenta un'inclinazione soggettivistica perché per lui il fenomeno
esiste solo all'interno della coscienza.

IL MONDO COME VOLONTÀ


Nel secondo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer spiega
che il mondo piò essere considerato da un altro punto di vista, ovvero per quello che esso
è in sé stesso: perciò guardando oltre le semplici rappresentazioni, e considerandolo
come volontà. L'uomo infatti non è pura attività teorica, quasi fosse una testa d'Angelo
alata, ma ha anche un corpo dal quale provengono al suo intelletto i dati per la
rappresentazione del mondo. Se l'uomo si limitasse alle attività conoscitiva, il corpo gli
apparirebbe solo esteriormente, come un oggetto fra tanti.

Ma l'uomo ha la chiave per decifrare l’esistenza fenomenica: egli, infatti, ha esperienza del
proprio corpo (autocoscienza), che si offre sia come rappresentazione intuitiva
dell'intelletto, ovvero come un oggetto qualunque, e sia come esperienza immediata
interiore, cioè come volontà. L'esperienza immediata dei propri movimenti e delle proprie
azioni rivela che i movimenti del corpo non sono altro che espressioni fenomeniche di quel
principio metafisico che è la volontà, ossia di un impulso prepotente e irresistibile che ci
spinge ad agire. Di tale volontà, l'azione del corpo costituisce non l'effetto ma
l'oggettivazione.

LA VITA UMANA TRA DOLORE E NOIA


Nel mondo come volontà e rappresentazione, ma anche in altre opere, a più riprese
Schopenhauer descrive la condizione umana, ricorrendo anche a metafore divenute
famose, come quella del pendolo.

Il piacere è visto dal filosofo tedesco solo come una breve pausa tra un desiderio e l'altro.
Tuttavia, se è vero che alcuni desideri possono essere soddisfatti, ce ne sono molo che
restano irrealizzati e brevi soddisfazioni non riescono a compensare la grande quantità di
bisogni e di sofferenze che caratterizzano la vita umana, al punto che essa si consuma tra
illusioni e delusioni. Il filosofo paragona perciò il piacere all'elemosina, la quale allevia
solo momentaneamente il dolore del mendicante, prolungandone in realtà le sofferenze.

Perciò la causa dell'infelicità degli uomini sta del fatto che essi sono succubi della volontà,
che li porta a preoccuparsi continuamente di questa o quella cosa e preclude loro quella
tranquillità d'animo che coincide con il vero benessere. D'altra parte, se venisse
improvvisamente meno ogni desiderio subentrerebbe la noia, una sorta di vuoto così
orribile da rendere detestabile la vita. La vita è così paragonabile a un pendolo, che
oscilla tra il dolore e la noia, passando fugacemente attraverso il piacere. Sulla base
di queste osservazioni, Schopenhauer ritiene di dover letteralmente rovesciare la visione
di Leibniz, per il quale l'uomo vivrebbe nel migliore dei mondi possibili.

L’ASCESI
Nel quarto libro de Il mondo come volontà e rappresentazione vengono descritte le tappe
attraverso le quali l’uomo ha possibilità di sottrarsi alla tirannia della volontà e, quindi, al
dolore. Come è noto, la prima di tali tappe è costituita dall’arte, la quale tuttavia non
costituisce un vero rimedio, nonostante il suo valore catartico. Il vero rimedio può derivare
solo dall’etica (che si articola in giustizia e carità), e soprattutto dall’ascesi.

Schopenhauer paragona la vita una via di carboni ardenti, evidenziando quanto sia colma
di dolore, nonostante qualche parentesi di gioia. Ma chi è saggio e riesce a vedere oltre
il principio di individuazione, non cede all'illusione di poter essere felice vivendo
intensamente la vita, ma anzi rinuncia a vivere. Questa rinuncia non consiste nel suicidio,
che tra l'altro disapprova, ma bensì nella negazione della propria volontà, che non è
altro che l'oggettivazione fenomenica della volontà universale. In tal modo si va oltre la
giustizia e la carità (che si oppongono entrambi all'egoismo ma si differenziano tra loro
perché la prima si limita al rispetto dei diritti altrui, mentre la seconda implica la solidarietà
con gli altri) e si perviene all'ascesi, che è il completo ripudio della volontà e che appare
ripugnante in quanto origine del mondo del dolore.

Innanzitutto, l’asceta pratica una perfetta castità; l'istinto sessuale costituisce per il filosofo
un subdolo stratagemma della volontà di vivere per perpetuare sé stessa. Poi, l’asceta
sceglie di vivere in povertà, non per soccorrere con i propri averi chi soffre, ma per
mortificare la volontà, impedendosi di cedere alle tentazioni dei desideri. Per finire, egli
pratica il digiuno e l'autoflagellazione, ovvero umilia il proprio corpo sapendo che esso è
manifestazione fenomenica della volontà. La morte sarà accolta con gioia perché porrà
fine al dolore.

Potrebbero piacerti anche