Sei sulla pagina 1di 4

Arthur Schopenhauer

Introduzione
I discepoli di Hegel si divisero in due gruppi: destra e sinistra hegeliane. La destra era più
conservatrice perché conservava il pensiero di Hegel, la sinistra era già più progressista e andava
oltre ciò che aveva pensato Hegel. Figlio della sinistra hegeliana sarà poi Karl Marx.
Schopenhauer e Kierkegaard, sono i due oppositori principali del pensiero hegeliano.
Vita e confronti con Hegel
Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788. La sua filosofia può essere considerata contemporanea
perché oltre ad andare oltre l’hegelismo, che è stato l’ultimo grande sistema filosofico (cioè una
filosofia che pretendeva di dominare essa stessa tutto il reale, e perciò un’opera notevole anche dal
punto di vista dell’ampiezza), fu anche il primo autore ad introdurre elementi della filosofia
orientale nella filosofia occidentale. Schopenhauer già da piccolo aveva avuto il fascino della
filosofia orientale, anche perché aveva avuto la possibilità di frequentare il salotto letterario di sua
madre, e grazie a ciò conobbe un noto orientalista di nome Frederich Mayer che lo avvicinò allo
studio della filosofia orientale.
La filosofia di Hegel era ottimista, perciò quella di Schopenhauer, che cadrà in netto contrasto con
quella di Hegel, sarà ovviamente pessimista.
La filosofia hegeliana si fondava sulla dialettica, cioè il meccanismo per cui la realtà si sviluppa
progredendo sempre su sé stessa. Il pensiero di Schopenhauer era piuttosto all’avanguardia per la
sensibilità filosofica del periodo, e ciò gli causò la mancanza di successo all’inizio. Per quasi tutta la
sua carriera fu messo in secondo piano proprio da Hegel, in quanto loro insegnavano nella stessa
università e gli studenti, che dovevano scegliere quali lezioni seguire, quasi tutti preferivano quelle
di Hegel. Questo non fece altro che inasprire il rapporto che Schopenhauer aveva nei confronti di
Hegel. Solo verso la fine della sua vita riuscì ad ottenere il successo, grazie anche al suo stile di
scrittura brillante, ed a conquistare un pubblico molto più vasto.
Opere e pensiero
La sua opera maggiore è “Il mondo come volontà e rappresentazione”, mentre l’opera con cui
cominciò a smuovere il pubblico è “Parerga e paralipomena” (che significa “aggiunta e
supplemento”).
Un’altra opera da citare è “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”.
Per quanto riguarda la collocazione nel pensiero filosofico i punti di riferimento di Schopenhauer
sono Platone, Kant e, come è già scritto, la filosofia orientale.
“Il mondo è una mia rappresentazione … E quando l'uomo sia venuto di fatto a tale coscienza, lo
spirito filosofico è entrato in lui. Allora, egli sa con chiara certezza di non conoscere né il sole né la
terra, ma soltanto un occhio che vede un sole, e una mano che sente il contatto d'una terra.” Cit.
Questa citazione significa che il mondo è una mia rappresentazione, ed io non conosco il mondo al
di là del mio modo di percepirlo in quanto soggetto conoscente. Quindi io non conosco il Sole in sé
stesso, ma conosco i miei occhi che guardano il Sole; conosco la mano che tocca la terra, non la
terra in sé stessa, perché in Schopenhauer la rappresentazione è data proprio da questo, dall‘unione
tra soggetto ed oggetto: il soggetto che conosce e l’oggetto che viene conosciuto.
Kant affermava che il mondo è fenomeno, cioè mi appare in un certo modo perché io nasco con
delle strutture a priori che mi consentono di conoscerlo in quel modo. Le strutture a priori sono la
condizione necessaria per la quale io possa conoscere. Senza di esse io non conoscerei nulla. Quello
che per Kant chiama fenomeno, per Schopenhauer si chiama rappresentazione.
Fenomeno = Rappresentazione (ciò che appare)
Però Schopenhauer nella rappresentazione dice che non si può tralasciare una verità fondamentale:
che la rappresentazione è data sempre dall’unione di soggetto conoscente e oggetto conosciuto, ed è
perciò un’unione inscindibile. Io non potrei avere solo il soggetto conoscente perché cadrei in errori
filosofici di un certo tipo (Schopenhauer usa l’espressione idealismo ma in senso deteriore, e fa
riferimento all’idealismo di Fichte); se invece prendessimo come reale l’oggetto da conoscere,
cadremmo nel materialismo, perché tralasceremmo il soggetto da conoscere.
La realtà fenomenica secondo Kant, era conoscibile attraverso le nostre strutture o forme a priori,
cioè le intuizioni pure di spazio e tempo e quando iniziamo a pensare applichiamo le 12
categorie. Secondo Schopenhauer, noi conosciamo lo spazio e il tempo, ma delle 12 categorie ne
prende in considerazione solo una, la causalità (rapporti di causa ed effetto). Questa categoria è
importante perché è come se fosse quella che mi unisce lo spazio e il tempo in relazione reciproca.
La causalità sta al centro dell’opera “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”.
Infatti il nome di quest’opera significa nient’altro che dire causalità. Ragion sufficiente vuol dire
che se una cosa è in un modo e non in un altro, ci vuole un motivo, quindi una causa. Quindi
principio di ragion sufficiente significa principio di causalità. Questo principio di causalità si
applica a tante cose diverse, e quindi si manifesta in modi diversi, a seconda dell’oggetto al quale si
applica, che secondo Schopenhauer sono 4 oggetti, che danno a loro volta 4 diverse forme di
causalità. Queste 4 forme di causalità raccolgono tutte le possibilità, perciò la causalità si applica a
qualunque cosa ed è quindi la legge che governa il mondo, ma sempre come rappresentazione.
Queste forme di causalità sono
1. Causalità del divenire, cioè la causalità che riguarda i fenomeni naturali (Es. il seme genera
il fiore; regola i rapporti causali)
Causalità del conoscere, cioè dalle premesse ricavo le conseguenze secondo una causalità
dall’ordine non a caso (Es. Sillogismo, rapporti di logica e giudizi)
2. Causalità dell’essere, riguarda gli enti matematici e geometrici (Es. aritmetica e geometria, e
perciò i rapporti tra le parti del tempo e dello spazio)
3. Causalità dell’agire, cioè noi non agiamo secondo la libertà, ma perché siamo determinati
da alcuni motivi, che sono la causa del nostro agire (Es. Bevo perché ho sete; regola i
rapporti tra le azioni)
Se il mio agire è determinato da una causa, per quanto riguarda la causalità dell’agire, significa che
io non sono neanche libera nel campo morale, perché la diretta conseguenza nell’applicare la
causalità a tutti questi campi significa che la nostra realtà esclude la libertà in tutti i campi ed è
regolata dal più rigido determinismo. Determinismo indica, nel contesto filosofico, che tutto quello
che avviene è regolato da rapporti di causa ed effetto, poiché segue queste sue leggi.
Secondo Schopenhauer il mondo della rappresentazione è illusione (e qui subentra la filosofia
indiana). Schopenhauer parla di velo di Maya. A noi il mondo sembra reale, ma in verità il velo di
Maya ci fa vedere il mondo per come appare e non per com’è. Kant affermava che la conoscenza
del mondo si dovesse fermare al fenomeno e oltre non si poteva andare, perché Kant aveva aggiunto
il noumeno, ma oltre ad esso non si poteva andare (come se fossero le colonne d’Ercole della
filosofia). Questo mondo che ci appare come un’illusione non l’aveva intuito solo lui, afferma
Schopenhauer, ma l’hanno intuita anche altri, come per esempio i filosofi indiani che parlavano
dell’illusorietà, del velo di Maya ecc.., ma anche illustri poeti e drammaturgi come Sofocle,
Shakespeare, Calderón de la Barca, i quali affermavano che la nostra vita fosse un sogno. Io vivo in
questa rappresentazione e tutto mi appare chiaro, ma in realtà non è chiaro per niente, e questo fa
riferimento anche al filosofo greco Platone: Schopenhauer riprende infatti anche il mito della
caverna.
Dietro il velo di Maya si nasconde il noumeno, e si ha un cambiamento sostanziale tra Kant e
Schopenhauer. Mentre per Kant il noumeno è un concetto limite, pensabile e non conoscibile, per
Schopenhauer invece è conoscibile e lo identifica con la volontà.
La strada che mi permette di arrivare a scoprire il noumeno e la sua natura è il mio corpo. Il mio
corpo è un oggetto fisico, ma il mio corpo non è soltanto questo: io posso guardare il mio corpo
dall’esterno come un oggetto, ma lo sento anche dall’interno, vivendolo. Secondo Schopenhauer, si
sente un tumulto di desideri di vario genere, e questo mio sentire, queste pulsioni, questi bisogni,
sono la via d’accesso per scoprire qual è la vera realtà, cioè la volontà di vivere, che è una forza
cosmica che domina fortemente la vita dell’uomo. Perciò l’uomo è volontà di vivere che mi spinge
a cercare desideri caotici e incessanti.
Lo spazio e tempo mi danno il principium individuationis (principio di individuazione). Io
individuo due corpi come molteplici nell’apparenza della realtà perché ognuno occupa un suo
spazio e un suo tempo. Noi nella nostra realtà individuiamo questa molteplicità di spazio e tempo
perché non è possibile che due corpi occupino uno stesso spazio nello stesso momento. Tutto è
organizzato secondo determinismo. Le cose mi appaiono molteplici, ma la realtà è solo una.
La volontà che è infinita prima di trasformarsi nelle realtà singole, passa attraverso gradi intermedi
che Schopenhauer chiama idee.
Quindi il mondo delle rappresentazioni mi appare in molteplici modi, mentre la volontà, che è
questa forza che si nasconde dietro l’apparenza, è unica, libera, incausata, eterna e irrazionale.
C’è una certa analogia con Hegel, però la realtà secondo il filosofo dell’Assoluto è razionale
(ricordiamo il panlogismo hegeliano). Quindi questa volontà infinita si manifesta attraverso i
desideri, che sono incessanti, e che noi non riusciamo mai a dare soddisfazione al loro compimento,
poiché io sono finito, il desiderio è infinito, e perciò sono condannato ad una eterna
insoddisfazione. Quindi la volontà procura agli esseri viventi insoddisfazione, e procura anche, in
forza dell’illusione provocata dal principio di individuazione, una lotta continua degli esseri gli uni
contro gli altri. Poiché io a causa di questo principio sono attaccata al mio essere singolo e sono
egoista e disponibile a combattere contro gli altri per realizzare i miei desideri, tutta la natura è
pervasa da questo desiderio che pur di realizzarla andiamo contro gli altri, che però non vengono
mai realmente realizzati perché sono perennemente incessanti. Da qui deriva il pessimismo di
Schopenhauer.
“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli
fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.” Cit.
Poiché abbiamo detto che siamo pervasi dal desiderio, desideriamo le cose che non abbiamo, e
questo ci crea tormento, finché non me lo approprio, ma successivamente interviene la noia.
“Dei sette giorni della settimana, sei sono di dolore e di bisogno e il settimo è di noia.”
L’uomo è vittima di questa forza cosmica, e la soddisfazione, poiché non arriva mai, ci sfugge nella
noia.
Ma, secondo Schopenhauer, esistono delle vie d’uscita. Queste vie d’uscita sono:
1. Arte
2. Etica (o Morale)
3. Ascesi
Per l’arte la via di liberazione passa attraverso l’allontanamento del principio di individuazione che
è la fonte del mio egoismo. Quando contempliamo un’opera d’arte, ci perdiamo nell’ammirazione
del quadro e i miei desideri si placano. Da qui si può dedurre anche un confronto con il
divertissement di Pascal. Inoltre secondo Schopenhauer la forma più importanti e alte dell’arte sono
la tragedia e la musica. La musica la capiscono tutti poiché è una manifestazione diretta della
volontà, io la contemplo dall’esterno e mi distacco da essa stessa. Ma anche altre forme di arte
possono essere una via di liberazione.
L’etica è un altro grado di separazione dalla volontà. Essa si articola prima in giustizia, poi in
bontà ed infine la compassione. La giustizia è in negativo, nel senso che io mi astengo dal fare del
male agli altri, mentre la bontà è in positivo, perché è propria dell’animo, la quale ci si mostrò come
puro, ossia disinteressato amore per gli altri. Infine la compassione è la conoscenza del dolore
altrui, fatto comprensibile attraverso il dolore proprio e messo a pari di questo. Ma ciò che
scaturisce è, per sua natura, proprio la compassione.
Infine l'ascesi è la più efficace della rinunzia alla volontà di vivere perché, a differenza delle
precedenti due, l'ascesi non presuppone alcun attaccamento alla vita. essa implica la pratica
dell'astinenza, umiltà, povertà, sacrificio. L'ascesi porta al Nirvana (nome preso dalla filosofia
buddhista), cioè l'esperienza del nulla, non identificabile con il paradiso terrestre, ma come una
negazione del mondo in sé stesso.

Potrebbero piacerti anche