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SCHOPENHAUER

Il bisogno di studiare filosofia in Schopenhauer nasce dall'angoscia di fronte al dolore e alla


insensatezza del mondo.

Leggendo la sua vita si può capire da dove nasca la sua malinconia.

Schopenhauer si pone come il primo disertore dell'Occidente, ovvero della sua celebrazione della
ragione dell'essere umano e del progresso.

Il padre si era sposato e voleva avere dei figli poliglotti per questo voleva trasferirsi in Inghilterra per
far nascere i propri figli lì.

Rientrò però poi a Danzica dove era un ricco commerciante dove nel 1788 nasce Arthur
Schopenhauer.

Schopenhauer ebbe un rapporto difficile con i suoi genitori poiché si trattava di un matrimonio d'
interesse e non di amore, difatti sentiva la mancanza del colore materno e questo fa sì che lui veda
la vita come un impulso biologico che opera senza scopo e senza logica.

Da una piccola paura che provava da bambino diventa paura dell'essere umano privo di
consolazione metafisica che vive in un mondo senza senso e speranza.

Durante la sua vita si spostò diverse volte con la sua famiglia,ad esempio ad Amburgo,e (Arthur
Schopenhauer)fu poi mandato a le Havre in Francia dove studio da un amico del padre per poi
avviare la sua carriera da commerciante nel 1799 ad Amburgo.

Quando morì il padre, iniziò il suo tormento interiore poiché non sapeva se seguire l'attività del
padre oppure dedicarsi alla filosofia.

Per un periodo condusse una vita doppia tra la filosofia e come commerciante però poi nel 1807 ci
fu la svolta e si iscrisse al ginnasio di Gotha.

Studiò matematica, fisica medicina e si avvicinò al pensiero di Kant e Platone e gli idealisti tedeschi
eseguendo anche le lezioni di Fitche a Berlino.

Scrisse poi la sua dissertazione di laurea dal titolo "Sulla quatroplice radice del principio di ragion
sufficiente."

Nel 1813 si laureaò in filosofia e inizio a definire il suo pensiero filosofico che si centrava sulla
volontà di vivere visto come una pulsione irrazionale di ogni vivente. Tra l'altro si rivolse molto alle
religioni orientali.

Nel 1818 pubblico "Il mondo come volontà e rappresentazione" aggiungendo poi un'altra opera i
"supplementi".

Nel 1819 ottenne una cattedra in filosofia presso l'Università di Berlino dove finiamo anche Hegel un
filosofo molto famoso.

Schopenhauer decide di tenere le sue lezioni nello stesso orario di Hegel con spirito di sfida.

Alla fine fu costretta ad annullare l'ultimo semestre di lezioni poiché fu un grande fallimento.

Nel 1831 si trasferisce a Francoforte deve rimarrà per 28 anni fino alla morte.

Nel 1836 pubblica "Il saggio sulla volontà della natura".

Nel 1839 ottieni un primo riconoscimento pubblico con il suo saggio "Sulla libertà del valore
Romano"insieme al testo "Sul fondamento della morale".

Nel 1844 scrisse la nuova edizione del "Mondo come volontà e rappresentazione"arricchendolo con
il volume dei "Supplementi".

Nel 1851 pubblicò l'ultima opera "Parerga e paralipomena" che furono pubblicati in modo
frammentario e fu il primo vero successo editoriale.

-LE RADICI CULTURALI DEL PENSIERO DI SCHOPENHAUER

Il suo pensiero è il risultato di un incontro tra diversi filosofie tra cui quella di Platone,( in cui lo
attraeva soprattutto la teoria delle idee ) Kant (dove riprende l'impostazione soggettivistica della
gneseologia) l'illuminismo,(visto come orientamento materialistico) il Romanticismo (da cui tre alcuni
temi con manierazionalismo e da grande importanza all'arte e alla musica all'infinito e poi
importante anche il concetto di dolore romantico).

Rifiutò invece l'idealismo poiché aveva un impatto negativo sulla società ed era interessato
solamente il potere e il successo.

Riprende con un posto di rilievo la spiritualità indiana poiché fu il primo filosofo che ebbe un grande
interesse per l'oriente e recupero di fatto i pensieri di questi luoghi.

Da tale pensiero desunse un repertorio di immagini e di espressioni suggestive che usò nei tuoi
scritti e fu un ammiratore e profeta della sapienza orientale.

Il velo dei Maya(analisi della dimensione fenomenica).

Riprese la filosofia di Kant che riguardava la distinzione tra fenomeno,visto come cosa così come
appare ,e invece il noumeno ,come cose in sé.

Per Schopenhauer il fenomeno è una parvenza un'illusione un sogno mentre il noumeno è quello
che si nasconde dietro l'ingannevole trama del fenomeno.

Schopenhauer ridusse il concetto di fenomeno molto vicino alla filosofia indiana e buddista( Difatti
per l'antica Sapienza indiana il fenomeno era detto velo di Maya).

Il fenomeno quindi per Kant è oggetto della rappresentazione mentre per Schopenhauer è
rappresentazione soggettiva ed esiste solo dentro la coscienza. Difatti troviamo anche
l'affermazione "Il mondo è la mia rappresentazione"detta da Schopenhauer.

La nozione di rappresentazione

La rappresentazione ci impedisce di vedere la realtà come è veramente.

Ha due aspetti:

-il soggetto rappresentante

-l'oggetto rappresentato.

Questi due esistono entrambi e nessuno precede o sostituisce l'altro.

Così se il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all'oggetto o alla materia
l'idealismo lo è allo stesso modo poiché è un pensiero opposto cioè nega l'oggetto riducendolo al
soggetto.

Come afferma anche il criticismo kantiano,Schopenhauer ritiene che la nostra mente abbia diverse
forme e sono tre:

-spazio -tempo -casualità.

La casualità è l'unica categoria poiché tutte conducono ad essa e perchè la realtà dell'oggetto si
risolve nella sua azione causale su altri oggetti.

Assume 4 forme diverse in base agli ambiti.

Difatti si parla di:

-necessità fisica ,matematica ,logica e morale.

E queste quattro sono come principio del divenire (cioè i rapporti casuali tra oggetti) del conoscere
(cioè i rapporti tra premesse e conseguenze) dell'essere (sui rapporti spazio-temporali e aritmetico-
geometrici)e dell'agire (i rapporti tra motivazioni e azioni).

Schopenhauer conclude dicendo che la vita è un sogno, è come un tessuto di apparenza una sorta
di incantesimo, in quanto anche ciò che vediamo cioè la rappresentazione è ingannevole.

Oltre il sogno però c'è anche la realtà vera su cui l'uomo si interroga in quanto si rivede come un
animale metafisico che è portato a stupirsi della propria esistenza e interrogarsi sull'essenza ultima
della vita.

-L’ANALISI DELLA DIMENSIONE NOUMENICA

La scoperta della volontà del soggetto

Una volta che ci si chiesti com'è possibile lacerare il velo dei Maya e dove possiamo trovare quel
passaggio che ci consente di arrivare nella cosa in sé ci si può rispondere dicendo che, se così non
fosse non si potrebbe uscire dal mondo fenomenico.

L'uomo è dato a sé stesso come rappresentazione, ma anche come corpo e quindi oltre a vedersi al
di fuori si vive anche al di dentro provando piacere dolore.

Riflettendoci ci rendiamo conto che l'essenza profonda del nostro io, o meglio la cosa in sede il
nostro essere, è la volontà di vivere, cioè un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge a
esistere e ad agire.

Noi siamo vita e volontà e il nostro corpo non è che la manifestazione esteriore dell'insieme delle
nostre brame .

Schopenhauer scrive anche che il rapporto tra la volontà e l'intelletto tra la volontà e il corpo è lo
stesso che intercorre tra il padrone in servo.

Per cui afferma che la volontà di vivere è l'essenza segreta di tutte le cose, la volontà à la cosa in sè
dell'universo svelata.

Si comprende per cui il titolo che era stato dato all'opera "Il mondo come volontà e
rappresentazione" nel quale dice come l'intero mondo fenomeno sia il modo in cui la volontà si
manifesta o si rende visibile a sè nella rappresentazione spazio-temporale.

La scoperta della volontà nel mondo

Quando io vivo il mio corpo smetto di percepirlo come un oggetto tra gli altri e così facendo lo
sottraggo all'approccio fenomenizzante.

E così l'essenza che riscontro nel mio corpo non è più solo il mio corpo poiché ha perso i limiti della
mia individualità.

Per questa ragione è corretto parlare di fenomeni al plurale ma noumeno al singolare poiché non
operano nello spazio nel tempo in quest'ultimo.

L' io di Schopenhauer si qualifica piuttosto come la coincidenza di coscienza volontà e corpo.


Schopenhauer vede tutte le componenti umane come una indisgiutibile unità e per questo viene
criticato da qualcuno mentre altri trovano proprio in questa concezione la rivalutazione dell'individuo
nella sua interezza.

-CARATTERI E LE MANIFESTAZIONI DELLA VOLONTÁ DI VIVERE

La volontà di vivere e al di lá del fenomeno, infatti per Schopenauer la volontà è inconscia( poiché la
consapevolezza è l’intelletto sono soltanto delle possibili manifestazioni secondarie)

Il termine volontà, in senso metafisico Schopenhaueriano, non significa volontà cosciente ma indica
una nozione più ampia di energia o impulso.

La volontà è anche unica in quanto trovandosi al di fuori dello spazio del tempo (attraverso i quali i
soggetti dividono moltiplicano gli enti) si sottrae al “principio di individuazione”(Medioevo) la volontà
non è qui più di quanto non sia la, così come non è oggi più di quanto non sia stata ieri o possa
essere domani

La volontà è anche eterna e indistruttibile essendo oltre la forma del tempo, quindi un principio
senza inizio né fine. Infatti Schopenauer a questo scrive che “alla volontà è assicurata la vita” e
paragona il persistessi dell’universo nel tempo a un “meriggio eterno senza tramonto refrigerante”

la volontà non ha né scopo né causa

la volontà si imposta anche come una forza libera e ceca, come un energia incausata, senza un
perché e senza uno scopo.

Noi possiamo infatti cercare la ragione di questa o di quella manifestazione fenomenica della
volontà, ma non della volontà in sé stessa.

La volontà non ha alcuna meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà
(qualunque motivazione o scopo rientra nel vivere e nel volere)

Miliardi di esseri vivono per vivere e continuare a vivere. Questa è l’unica crudele verità sul mondo,
anche se gli uomini si sono affidati a un Dio sul quale finalizzare la loro vita e in cui trovare un senso
per le loro azioni.

Ma nell’universo doloroso di Schopenauer Dio non esiste, l’unico assoluto è la volontà stessa(unica,
eterna e incausata)

Schopenauer ritiene che l’unica infinita volontà di vivere si trova nel mondo fenomenico attraverso
due fasi distinguibili:

1)Nella prima, la volontà si concretizza in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e a-temporali


che egli chiama “idee”(archetipi del mondo)

2) Nella seconda fase, la volontà si concretizza nei vari individui del mondo naturale, che sono la
moltiplicazione delle idee attraverso il “prisma” dello spazio e del tempo.

Il mondo delle realtà naturali si struttura in gradi disposti gerarchicamente: Il grado più basso è
costituito dalle forze generali della natura, i gradi superiori dai vegetali e dagli animali.

Questa specie di piramide cosmica culmina nell’essere umano nel quale la volontà è pienamente
consapevole. Ma ciò che questa acquista in conoscenza, perde in sicurezza: infatti la ragione è
meno efficace dell’istinto, per questo Schopenauer afferma che l’uomo è un “animale malaticcio”.

-PESSIMISMO

La vita come alternanza di dolore, piacere e noia

secondo Schopenauer affermare che il mondo è la manifestazione di una volontà infinita equivale a
dire che la vita è dolore nella sua stessa essenza.

Infatti volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la
mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere.

Quindi il desiderio è -assenza -vuoto -indigenza ovvero dolore. (Siccome nell’essere umano la
volontà è più cosciente che negli altri esseri, l’essere umano risulta il più bisognoso e mancante fra
tutti gli enti)

Il godimento o gioia è una momentanea cessazione del dolore, ovvero lo scaricarsi di una tensione
preesistente. Per farsi che ci sia piacere bisogna per forza che in precedenza ci sia stata una
condizione di tensione o di dolore.

La stessa cosa però non vale per il dolore, perché un individuo può provare diversi dolori senza che
questi siano preceduti da altrettanti piaceri, mentre ogni piacere nasce soltanto come cessazione di

una qualunque preesistente tensione fisico psichica.

Il dolore infatti per Schopenauer è un dato primario e permanente dell’esistenza umana, mentre il
piacere è una condizione derivata del dolore.

Il piacere infatti riesce a vincere il dolore soltanto a patto di annullare se stesso, in quanto non
appena viene diminuito lo stato di tensione del desiderio, diminuisce anche la possibilità del
godimento.

Il dolore è una realtà durevole mentre il piacere è un qualcosa di momentaneo a questo


Schopenauer individua una terza condizione di base dell’esistenza umana: la noia, che subentra
quando viene meno l’aculeo del desiderio.

La vita umana é quindi simile a un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia,
passando attraverso un’intervallo breve, Illusorio del piacere e della gioia.

La sofferenza come caratteristica cosmica

La volontà di vivere si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propria Sehnsucht
cosmica(desiderio, aspirazione) tutto soffre, non riguarda solo l’essere umano.

L’uomo Soffre di più rispetto ad altri perché ha una maggiore consapevolezza quindi è destinato a
sentire in modo più elevato per l’insoddisfazione dei propri desideri e per l’offesa dei dolori.

Più intelligenza avrai, più soffrirai, chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore.

Egli raggiunge così il pessimismo cosmico o metafisico e afferma che il male non è soltanto nel
mondo, ma nel principio stesso da cui esso dipende.

L’amore come illusione

L’unico fine della natura sembra essere quello di perpetuare la vita e con la vita il dolore.

Alla natura interessa soltanto la sopravvivenza delle diverse specie viventi e questo trova una sua
manifestazione nell’amore, che per Schopenauer è basilare per l’individuo e di cui la filosofia deve
occuparsi.

L’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza, Il fine dell’amore è esclusivamente
l’accoppiamento (lato sessuale è accompagnato da un particolare piacere).

L’individuo nel momento in cui crede di realizzare maggiormente il proprio godimento la propria
personalità e in realtà lo zimbello della natura.

Se l’amore è uno strumento per far mantenere in vita la specie umana, allora non c’è amore senza
sessualità ed è per questo che l’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come
peccato e una vergogna.

Schopenauer inoltre afferma che l’amore è nient’altro che due infelicità che si incontrano, due
infelicità che si scambiano è una terza infelicità che si prepara: per questo l’unico amore di cui si
può tessere le elogio non è quello generativo dall’eros ma quello disinteressato dalla pietà.

-LA CRITICA ALLE VARIE FORME DI OTTIMISMO

Schopenhauer Fa una critica alle varie menzogne (o ideologie) con cui gli uomini tentano di celare a
se stessi la cruda verità sulla natura del mondo della vita.

Nelle sue opere infatti si trovano dispersi degli spunti di critica alle ideologie del suo tempo.

Schopenauer in particolare sbugiarda la filosofia accademica ufficiale affermando che chi viene
pagato per pensare non può filosofare liberamente, ma deve rispettare le idee e i pregiudizi di chi lo
paga.

Inoltre polemizza contro l’intellettuali inseriti nel sistema e si oppone alle ipocrisie spiritualistiche
sull’amore smascherando i luoghi comuni della razionalità dell’essere e della felicità dell’esistenza
umana mettendo a nudo la falsità di ogni forma di ottimismo.

Il rifiuto dell’ottimismo cosmico

la polemica di Schopenauer contro le ideologie ha come bersaglio l’ottimismo metafisico o cosmico


ossia quello schema di pensiero che interpretava il mondo come un organismo perfetto
provvidenziale governato da Dio o da una ragione immanente (Hegel).

Questa visione risulta palesemente falsa perché a chi presta attenzione la vita si rivela un’esplosione
di forze sostanzialmente irrazionali, e il mondo si mostra come il teatro dell’illogicità e della
sopraffazione.

Il rifiuto dell’ottimismo sociale


un’altra menzogna contro cui si scaglia Schopenauer è la tesi della bontà e della socievolezza
dell’essere umano.

Secondo Schopenauer bisogna ammettere che la regola dei rapporti umani è costituito dal conflitto
dal tentativo di sopraffazione reciproca.

Di conseguenza se gli uomini vivono insieme non è per simpatia ma per bisogno. e se esistono lo
Stato le leggi e solo perché gli individui possono meglio difendersi dei loro simili.

Dal pessimismo si passa alla pietà infatti nel sistema Schopenauer Jano la descrizione del mondo
come inferno di egoismi è finalizzata a favorire la scelta della via etica della pietà.

Il rifiuto dell’ottimismo storico

nella polemica contro ogni forma di storicismo Schopenauer ridimensiona la portata conoscitiva
della storia affermando che non è un avere propria scienza perché è costretta limitarsi alla
catalogazione dell’individuale.

Schopenauer sostiene che se andiamo oltre le apparenze scopriremo che non vi è nulla di nuovo
sotto il sole e che il destino dell’uomo presenta i tratti immutabili della nascita, della sofferenza e
della morte.

Secondo Schopenauer la storia é soltanto il fatale ripetersi di un medesimo dramma che ripropone
battuta per battuta la stessa monotona sonata (chi muore, chi si innamora chi invecchia ecc..)

L’autentico compito della storia é quindi quello di offrire agli esseri umani la coscienza di se stessi e
del proprio destino

-LE VIE DELLA LIBERAZIONE DAL DOLORE

Schopenauer afferma che con l’esistenza, in virtù del dolore, si impara poco per volta a non volerla.

Schopenauer rifiuta e condanna il suicidio per due motivi:

1) Perché il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, il suicida vuole la vita ed è
solo malcontento delle sue condizioni e di conseguenza anziché negare la volontà nega la vita.

2)Perché il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere
lasciando intatta la cosa in sé.

La vera risposta al dolore del mondo secondo Schopenauer quindi non consiste nell’eliminazione
tramite il suicidio, ma nella liberazione della stessa volontà di vivere.

Schopenauer richiama l’attenzione sull’esistenza di individui eccezionali prendendo ad esempio


delle figure come la voluntas quando perviene a una piena e matura coscienza di sé tende quindi a
farsi noluntas, Cioè negazione progressiva di se stessa.

Dopo aver preso conoscenza del dolore e avendo smascherato le illusioni dell’esistere inizia il suo
cammino di liberazione dell’individuo dalla prigione della volontà, che si articola in tre momenti:
l’arte, la morale e l’ascesi.

l’arte

L’arte per Schopenauer è la conoscenza libera e disinteressata delle idee ossia forme pure o modelli
eterni delle cose.

Il soggetto che contempla le idee non è più l’individuo naturale particolare ma il puro soggetto del
conoscere quindi il puro occhio del mondo.

L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni desideri quotidiani ecco perché secondo
Schopenauer l’arte è catartica, purificatrice per essenza.

Le varie arti si possono ordinare gerarchicamente: dall’architettura alla scultura alla pittura alla
poesia.

La poesia tragica costituisce la rappresentazione del dramma della vita.

La musica non riproduce mimeticamente le idee ma è una rivelazione immediata della volontà
stessa.

Schopenauer afferma infatti che la musica è una vera e propria metafisica in suoni, capace di
metterci in contatto con le radici della vita e dell’essere.

Ogni forma d’arte è liberatorio, perché il piacere che essa procura equivale alla cessazione del
bisogno. Ma questa funzione liberatrice dell’arte e comunque temporanea e parziale, carattere di un
breve incantesimo. Costituisce un conforto alla vita.

la morale

La morale implica un impegno nel mondo in favore del prossimo.

Perció Schopenauer costituisce un tentativo concreto di superare l’egoismo del volere e di vincere
quella lotta che genera ingiustizia e dolore.

Schopenauer sostiene (contro Kant) che l’etica non sgorga da un imperativo categorico comandato
dalla ragione, né da un ragionamento astratto, ma da un’esperienza vissuta, ovvero da un
sentimento di pietà, o di compassione, attraverso il quale avvertiamo come nostre le sofferenze
degli altri. La moralità produce la conoscenza, non è la conoscenza a produrre la moralità.

La morale si concretizza per Schopenauer in due virtù della tradizione cristiana (una virtù cardinale è
una virtù teologale): la giustizia e la carità

1)giustizia= Primo freno all’egoismo, carattere negativo, consiste nel non fare il male, riconoscere
agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere noi stessi.

2) La carità e la volontà positiva e attiva di fare il bene del nostro prossimo, amore disinteressato e
autentico ovvero la pietà

La pietà consiste nell’assumere su di sé il dolore cosmico, quindi fare propria la sofferenza di tutti gli
esseri passati e presenti.

l’ascesi

L’ascesi nasce dall’orrore dell’uomo, una sorta di tecnica attraverso la quale l’individuo si allena a
cessare di volere la vita e il volere stesso, così da estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere
e di volere.

Il primo gradino della scesi è costituito dalla castità perfetta, che libera dalla manifestazione della
volontà di vivere, cioè dall’impulso alla sessualità e alla generazione.

La rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l’auto macerazione tendono a


sciogliere la volontà di vivere dalle sue stesse catene.

La soppressione della volontà di vivere è l’unico vero atto di libertà che sia concesso all’uomo.

La coscienza del dolore come senso del mondo non è un motivo, ma un quietivo del volere, che è
capace di vincere le tendenze naturali dell’individuo e la sua stessa personalità.

Nel misticismo ateo di Schopenauer la liberazione dalla volontà e dal dolore mette capo al nirvana
buddhista, all’esperienza del nulla, bensì un nulla relativo al mondo, quindi una negazione del
mondo stesso.

KIERKEGAARD

-LA VITA

egli ha raccolto le proprie riflessioni ed emozioni nel Diario, poiché si interrogava sul senso della
propria esistenza, rintracciabile in un ideale personale.

La sua vita fu povera di avvenimenti esterni e quei pochi sono il difficile rapporto con il padre da cui
eredita un senso di colpa, il fidanzamento con una donna che aumentò il suo senso di colpa e infine
la polemica con il vescovo.

Il padre era tormentato da un senso di colpa e per questo educa K. ad una visione severa del
mondo.

Scopre poi il motivo del senso di colpa del padre e da cio apprese il carattere tragico della fede che
non è mai una certezza.

Poi come secondo evento K. si fidanza con una ragazza di nome Regine Olsen ma ciò non funziona
poiché la possibilità di essere felice porta in lui la paura di perdere la stessa felicità. Decide di
interrompere la relazione e ciò provoca la disperazione della donna facendo sentire in colpa K., il
quale non si sposò più.

Inizia così un periodo per lui da scrittore scegliendo uno stile fluido.

Si possono individuare 3 gruppi di opere corrispondenti a 3 modalità comunicative:

1. Opere pseudonime: le quali ricorrono alla comunicazione indiretta e serve a K. per prendere le
distanze dal punto di vista espresso dai suoi personaggi.

2. Opere col suo nome: le opere che ricorrono alla comunicazione diretta, che trattano argomenti
religiosi per portare il lettore vicino alla fede.

3.Carte: appunti e riflessioni non da pubblicare

Il terzo momento nella sua vita fu l'attacco contro la Chiesa di Danimarca o meglio una Chiesa di
Stato tale per cui essere cittadino danese implicava l’essere membro della comunità ecclesiastica e
K. vede in ciò un tradimento dei valori evangelici.

Ciò si concluse con la morte del vescovo che era amico col padre di K.

-L’IRONIA

Per parlare di Ironia fa riferimento a Socrate nascondendo la polemica a Hegel .

L’ironia di Socrate secondo K. sta nel prendere un distacco di superiorità dalla realtà del mondo.

Vi è però anche una critica dell’accezione romantica dell’ironia , cioè il senso di inadeguatezza con
cui l’artista guarda la propria opera, giudicandola come inferiore alla propria anima.

Inoltre K. contrappone all’ironia, l’umorismo poiche mentre l’ironia accetta il vuoto del finito facendo
rimanere l’uomo nel dubbio, l’umorismo invece deriva da una certezza religiosa.

-CONCEZIONE DELL’ESISTENZA TRA POSSIBILITÀ E FEDE


Lui è contro l’idealismo hegeliano e romantico e infatti molti temi trattati da lui sono contro essi.

La prima caratteristica della sua opera è il ricondurre la comprensione all’esistenza alla categoria
delle possibilità.

La possibilità conosciuta da Kant era reale o trascendente la quale rendeva capace l’uomo di
realizzarsi.

K. invece mette in luce il lato negativo della possibilità dicendo che ciò che è possibile,non sempre
è realizzabile ed ogni possibilità porta alla minaccia del nulla.

K. vive sotto questa minaccia e incarna la figura del discepolo dell angoscia.

Il “punto zero” è l’indecisione permanente davanti alle diverse alternative o meglio l’incapacità di

ricondurre la propria vita ad un fine preciso e di riconoscersi e attuarsi in una tra le possibilità.

Un’altra caratteristica del suo pensiero è lo sforzo di chiarire quali siano le possibilità fondamentali
che si offrono all’essere umano , o meglio le alternative dell’esistenza.

K. di suo non sceglierà mai e per questo è definito poeta.

L’altro elemento del suo pensiero è la fede cristiana, nella quale intravede un’ancora di salvezza,
che può salvare l’uomo dall’angoscia e disperazione.

-CRITICA ALL’HEGELISMO

considera il pensiero di Hegel ingannevole e illusorio

Dalla ragione al singolo

Hegel raccoglie in sé gli individui invece K. presenta il “singolo” cioè l’esistente come tale e accusa
Hegel di aver trasformato il genere umano in animale poiché in essi il genere è superiore al singolo,
invece in vita è al contrario.

K. è contro ogni filosofia che ha una riflessione oggettiva, infatti all’idea oggettiva di Hegel lui
contrappone una riflessione soggettiva connessa con l’esistenza, per cui il singolo è coinvolto .

Infatti per K. uno dei compiti dei filosofi è l’inserimento della persona singola nella ricerca filosofica.

L’idealismo di Hegel abolisce l’individuo e lo priva della capacità di pensare sostenendo che è il
pensiero a pensare se stesso attraverso l’individuo.

Per K. questo non è accettabile e secondo esso in Hegel manca il soggetto concreto.

-Dialettica dell’esistenza concreta

La scelta individuale non equivale a negare i condizionamenti storici, ma afferma che il soggetto si
inserisce in essi senza garanzie poiché c’è sempre un minimo di rischio e problema.

Ciò definisce la dialettica di K. qualitativa perché si sviluppa partendo dalla concretezza della vita
che ci pone davanti a strade inconciliabili e ci compie nella drammaticità di un aut-aut.

-STADI ESISTENZIALI

Aut-Aut è una raccolta di scritti la quale presenta l'alternativa tra vita estetica e vita morale, due vie
divise da un abisso e ciascuno di essi forma una vita a se.

La vita estetica

Si concentra sull'attimo ,e vive nutrendosi di immaginazione e riflessione e costruendo un mondo


luminoso per se stesso da cui bandisce tutto ció che è banale e vive in uno stato permanente di
ebbrezza.

L’esteta non tollera la ripetizione.

Questa vita però rivela comunque la sua inadeguatezza conducendo alla noia e alla disperazione,
sintomo dell’ansia per una vita diversa. Esse portano l’esteta ad abbandonare l'esistenza che sta
conducendo per passare alla vita etica.

La vita etica

Implica una stabilità e continuità che quella estetica esclude.

Questa etica è il dominio del dovere , dell’affermazione di se e della fedeltà a se stessi o meglio
dominio dell’autentica libertà.

Questa vita è rappresentata dalla figura del marito, infatti il matrimonio qui porta alla felicità. La
persona etica vive del proprio lavoro con piacere poiché il lavoro lo mette in relazione con gli altri.

Quindi la caratteristica di questa vita è costituita dalla scelta che l’essere umano fa di se stesso, una
scelta assoluta della libertà.

Una volta fatta questa scelta l’uomo scopre in sé una propria storia in cui conosce la sua identità
insieme agli aspetti dolorosi e crudeli, ma il riconoscersi in questi aspetti egli si pente.

E il pentimento porta al passaggio alla vita religiosa

La vita religiosa

Non c’è una continuità tra stadio etico e religioso.

Spiega questo tipo di vita attraverso la vita di Abramo il quale ebbe l’ordine di uccidere il figlio
Isacco e questo sacrificio non deriva da un'esigenza morale ma un comando divino che contrasta la
legge morale.

Quindi scegliendo la vita religiosa si sceglie di andare contro le norme morali.

La fede è un rapporto privato tra singolo e Dio.

La fede è paradosso e scandalo incarnati nel Cristo che si deve riconoscere come Dio quando
soffre e muore.

Ciò implica a decidere di credere o non.

L’ANGOSCIA

Kierkegaard approfondisce la sua ricerca giungendo al punto centrale da cui alternative e contrasti
si originano: l’esistenza come possibilità.

Nelle sue opere “il concetto dell’angoscia” e “la malattia mortale” analizza la situazione di radicale
incertezza, instabilità e dubbio in cui ci troviamo a causa della natura problematica del modo di
essere che ci appartiene.

Nel primo tratta i rapporti dell’essere umano con il mondo, mentre nel secondo la relazione
dell’essere umano con sè stesso.

L’angoscia è la condizione generata dal possibile ed è connessa con il peccato in quanto


fondamento del peccato originale.

Adamo innocente finché ignorante= non conosce le sue le proprie infinite possibilità ma questa
ignoranza contiene già ciò che ne determinerà la caduta e non è ne calma e riposo ne turbamento e
lotta poiché nell’innocenza non c’è nulla contro cui lottare o riposare.

Non è che un nulla ma esso genera l’angoscia, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso, è il puro
sentimento della possibilità.

Nell’ ignoranza di ciò che può Adamo possiede il potere in forma di possibilità la cui esperienza è
l’angoscia.

L’angoscia è ‘libertà finita’= limitata e impastoiata, si identifica con la possibilità.

Connessione tra angoscia e possibile si spiega attraverso la connessione tra possibile e avvenire
(possibile corrisponde completamente all’avvenire).

Il passato crea angoscia solo se si ripresenta come possibilità futura (possibilità di ripetizione, si ha
angoscia per una colpa passata solo se si può ricaderci altrimenti si ha il pentimento).

Angoscia strettamente legata alla natura umana: se l’uomo avesse natura angelica o animale non la
conoscerebbe, infatti è assente in condizioni di eccessiva felicità o in soggetti privi di spirito, ma è
comunque sempre in agguato seppur nascosta.

Chi è povero di spirito è, seppur senza angoscia, schiavo delle circostanze che lo sospingono senza
meta.

Angoscia= più gravosa è più necessaria tra le categorie umane.

Umanità significa angoscia.

Kierkegaard collega l’angoscia all’infinità/onnipotenza del possibile dicendo che “nel possibile tutto
è possibile”, anche e soprattutto il negativo, infatti ogni possibilità favorevole è annientata dalle
infinite possibilità sfavorevoli. È quindi l’indeterminatezza delle possibilità a rendere l’angoscia
insuperabile e a farne la condizione dell’essere umano nel mondo e fa comprendere all’individuo
che non gli resta altro che “riposare nella provvidenza”.

Se l’angoscia è la condizione in cui il possibile pone l’essere umano rispetto al mondo, la


disperazione è la condizione in cui il possibile pone l’essere umano rispetto alla propria interiorità.
Angoscia e disperazione strettamente legate, entrambe si radicano nella struttura problematica
dell’esistenza umana, ma non sono identiche.

L’io=rapporto che si rapporta a sè stesso, orientamento interno di questo stesso rapporto.

La disperazione è strettamente legata alla natura dell’io, l’io può volere come non voler essere se
stesso. Se vuole non giungerà mai all’equilibrio e al riposo, poiché è finito e insufficiente a sè
stesso, ma anche se non vuole esserlo e cerca di rompere il proprio rapporto con sè, urta contro
un’impossibilità insormontabile.

La disperazione è caratteristica di entrambe, la chiama “malattia mortale” perché consiste nel vivere
la morte dell’io: è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell’io.

Queste due forme di disperazione si richiamano e si identificano tra loro: disperare di sè ossia
volersi disfare di sè significa voler essere un io che non si è veramente, ma anche voler essere se
stessi ad ogni costo significa voler essere un io che non si è veramente cioè un io autosufficiente.

In entrambi i casi la disperazione nasce dall’impossibilità del tentativo.

Inoltre poiché l’io è “sintesi di necessità e di libertà” in esso la disperazione nasce o da una
mancanza di necessita o da una mancanza di libertà.

-Primo caso: disperazione=evasione, ossia il rifugio in possibilità fantastiche, illimitate, che non
possono trovare concretezza. Perciò nella possibilità ci si può smarrire in tutti i modi possibili,
essenzialmente in due: - desiderio,aspirazione - malinconico-fantastica (speranza,timore,angoscia).
-Nel secondo caso (mancanza di libertà) afferma che la possibilità è l’unico rimedio e la via per
sfuggire alla disperazione è la fede.

-LA FEDE

La fede è la via per eliminare la disperazione e la condizione per cui un essere umano riconosce la
propria dipendenza da Dio.

Solo in questo caso la volontà di essere se stessi non urta contro l’impossibilità dell’autosufficienza
poiché la volontà si affida alla potenza da cui l’uomo stesso è posto, cioè a Dio.

In questo rapporto del singolo con l’assoluto risiede “lo scandalo” del cristianesimo che non può
essere eliminato. La realtà dell’essere umano che ha fede è quella di un individuo completamente
solo e impotente di fronte a Dio, e qualunque uomo in quanto ha fede esiste da solo dinanzi a Dio.

La fede è un aiuto che non aiuta, cioè non è una precettistica che solleva l’essere umano dall’onere
della scelta, non si sostituisce a lui nel momento della scelta. In questo è la differenza tra valori
morali e religiosi: i primi obbligano l’uomo ad adeguarsi alla mentalità, i secondi sempre liberi e
liberanti.

La fede è per Kierkegaard un paradosso è scandalo che porta l’uomo al di la della ragione.secondo
lui tutte le categorie religiose sono impensabili : impensabile è la trascendenza di Dio (implica
distanza infinita tra essere umano e Dio) e impensabile è l’idea di un Dio che si fa carne e muore per
l’uomo.

La fede è quindi il capovolgimento paradossale dell’esistenza umana e si appella alla stabilità del
principio di ogni possibilità, ovvero a Dio, al quale tutto è possibile.

La concezione della fede si lega alla concezione della storia.

Questa non è intesa come teofania (come pensava Hegel) cioè come manifestazione progressiva
dell’assoluto, o di Dio , all’umanità. Rapporto tra uomo e Dio non si verifica nella storia (intesa come
continuità del divenire umano) ma nell’attimo come subitanea inserzione della verità divina
dell’individuo.

Egli contrappone il cristianesimo al socratismo, per cui l’uomo vive da sempre “nella verità” e deve
trarla fuori da se stesso, maieuticamente.

Il maestro è semplice strumento del processo maieutico.

Nella prospettiva cristiana l’uomo vive nella non verità, a fede consiste ne “Ricreare” l’uomo e farlo
rinascere per renderlo adatto a una verità che gli proviene dell’esterno.

Il maestro è quindi un salvatore.

Nonostante questa irruzione nella storia individuale, dio rimane al di là di ogni possibile punto
d’arrivo della ricerca umana.

Per questo l’unica definizione è come differenza assoluta (rispetto a ogni categoria umana).
Definizione apparente perché una definizione assoluta non si può pensare; per dire che dio è
differenza assoluta affermiamo che l’uomo non è Dio, che l’uomo è la non verità, che l’uomo è il
peccato; ma l’indagine razionale su dio non è progredita.

L’attimo è l’Intersezione dell’’eternità nel tempo che si realizza con la venuta di Dio nel mondo,
dell’infinito nel finito, dell’assoluto nel relativo.

In questo senso il cristianesimo è un fatto storico. In quanto ciò, non ha testimoni privilegiati: la sua
storicità si ripresenta nell’attimo in cui un singolo uomo riceve il dono della fede.

Afferma che non c’è differenza tra il discepolo di prima mano e quello di seconda mano, poiché
anche per essi la venuta di Dio nel mondo si verifica “direttamente”, e ciò accade in virtù della fede.

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