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Schopenhauer

Lo abbiamo incontrato il primo giorno di scuola in un testo in relazione al concetto di


meraviglia, zauma, come terrore.

LA VITA

Nasce a Danzica nel 1788, ancora in Polonia, di fatto è un filosofo di lingua tedesca che
morirà a Francoforte nel 1860.

Ha studiato filosofia, è stato suo maestro Schulze, uno dei primi lettori di Kant. Ha tenuto
corsi a Berlino quando lì all’epoca regnava Hegel, sviluppando così un odio personale. La
visione filosofica di Schopenhauer non ha nulla a che fare con l’idealismo, è portatrice di
un pessimismo cosmico in un momento storico in cui regna l’ottimismo metafisco
hegeliano. Anche dopo la morte di Hegel l’ottimismo rimane l’ideologia dominante con il
positivismo e l’ideologia marxista. Schopenhauer scrive un’opera ‘della sua vita’: Il
mondo come volontà e rappresentazione 1918. Questo libro dovrà aspettare 20 anni per
una seconda ristampa, ebbe pochissimi lettori.

Ha iniziato a godere di un certo favore dopo il biennio rivoluzionario ’48/49, dopo il crollo
delle aspirazioni democratiche.

Ciò che ha scritto prima di quest’opera è solo preparatorio e ciò che ha scritto dopo non
è che la traduzione in forma divulgativa che in quest’opera sono contenuti. La seconda
edizione fu pubblicata con supplementi.

Dentro quest’opera c’è tutta la filosofia dell’autore: è divisa in 4 libri

- trattato gnoseologia

- Trattato di ontologia

- Trattato di estetica

- trattato di etica

Nell’opera di schopenhauer si ravvisano alcuni temi di autori con cui dichiara di avere
sintonia:
IO CREATORE E NON PREMESSA PER LA POSSIBILITÀ DI
PENSARE L’OGGETTO
- Kant (gnoseologia) —> grazie al suo maestro, primo lettore della prima edizione della
critica della ragion pura (idealistica in senso kantiano). Il filosofo utilizza una
terminologia kantiana pensando di dare prosecuzione all'opera del filosofo tedesco.

- Platone (teoria delle idee)

- Illuminismo (filosofia che critica, demolisce, svela ciò che si nasconde dietro le
apparenze). Tra gli illuministi ammira particolarmente Voltaire, grande divulgatore e
polemista

- Religioni orientali (buddismo e induismo) —> “Schopenhauer interprete dell’occidente”:


è il primo filosofo che abbia fatto riferimento apertamente alle filosofie orientali, ma già
a metà del ‘900 la lettura più attenta dell’opera del filosofo ha riportato ad un
capovolgimento. Il filosofo trova nell’induismo e nel buddismo dei temi che sente simili
a se e allora li assimila. Ha tratto molto più dal mondo occidentale la sua ispirazione.
Per Schopenhauer tutto è male, soffre e pertanto l’unica e autentica interpretazione
della realtà non può che essere un pessimismo universale. Troviamo dunque per la
prima volta dei temi che fanno riferimento alle filosofie orientali, che confermano le sue
tesi.

IL PESSIMISMO COSMICO

Il pessimismo cosmico è una visione che riguarda tutta la realtà: non c’è nulla nella realtà
che possa giustificare una lettura in chiave ottimistica. Tutto ciò che è, soffre.

IL TRATTATO GNOSEOLOGICO

In questo trattato la parola chiave è rappresentazione. Il mondo della rappresentazione in


cui si parla nel primo libro è l’oggetto della conoscenza. (Rappresentazione = parola
kantiana). In Kant la rappresentazione è la conoscenza dei fenomeni, cose così come
appaiono, cioè date nell’esperienza e ordinate nelle forme a priori di tempo e spazio. La
conoscenza fenomenica è la conoscenza scientifica: la parola noumeno invece è ciò che
può essere soltanto pensato. La cosa in se non può essere conosciuto. La cosa in se può
essere pensata. Il noumeno è il limite della nostra conoscenza.

In Schopenhauer hanno tutt’altro significato: fenomeno è per lui il falso apparenze che ci
ingannano, immagini illusorie della realtà. Il mondo che noi pensiamo di conoscere è
quello della rappresentazione che è però totalmente falsa. Dietro questa si cela il
noumeno, la cosa in sé, che è totalmente diversa dal mondo fenomenico cos’ come noi
ce lo rappresentiamo. Il mondo fenomenico che ci appare ordinato, razionale, logico
intelligibile è una falsa immagine dietro la quale si nasconde la realtà che è caos disordine
e male. Il primo libro di fatto mette capo all’affermazione che la nostra conoscenza è tutta
falsa: pessimismo gnoseologico che prelude a quello comico che troviamo nel secondo
libro.

Schopenhauer dunque parte dal binomio kantiano di fenomeno e noumeno. Se per Kant
la conoscenza fenomenica è quella vera, per Schopenhauer è totalmente falsa,
ingannevole, illusoria. Tutto ciò che noi conosciamo non corrisponde alla realtà così come
essa è, la realtà ci resta totalmente oscura. Per questo è già possibile parlare di un
pessimismo gnoseologico: l’uomo approfondisce sempre di più l’inganno, non conosce.

Schopenhauer è un grande lettore di cultura europea e va ad elaborare temi di tanti autori


differenti la dove gli sembra di trovare una consonanza con il suo pensiero. Kant diceva
del fenomeno che questo fosse una rappresentazione informata dalle forme a priori: lo
stesso avviene per Schopenhauer.

Forme a priori della sensibilità: tempo e spazio

Forme dell’intelletto: l’autore riporta tutte le 12 categorie kantiane al concetto di causalità.

Schopenhauer chiama tempo e spazio insieme “principio individuationis”: le cose ci


appaiono differenti l’una dall’atra poiché le collochiamo nel tempo e nello spazio. Queste
categorie individuano un oggetto vicino piuttosto che un’altro. Sono il motivo per il quale
la realtà rappresentata ci appare molteplice.

Le dodici categorie si riducono poi ad una sola: la causalità. L’opera con cui il filosofo si
laurea infatti è sul principio di ragione sufficiente (causalità), dove mostra come qualsiasi
campo dove si esercita il pensiero umano si regola con leggi di causa ed effetto.

Se percepire un oggetto significa collocarlo nel tempo e nello spazio allora pensare un
oggetto significa pensarlo in una relazione di causa ed effetto: la lingua tedesca ha due
parole per dire realtà

- Realitat

- Wirklichkeit —> da wirken (agire)

La categoria della causalità è il “principio rationis”, della ragione, dell’ordine. Noi siamo
portati inevitabilmente (le forme a priori sono necessarie) a rappresentarci una realtà
fenomenica in una relazione logica e razionale di causa ed effetto. Ci rappresentiamo un
mondo ordinato, intelligibile, razionale e rassicurante. Tutto questo è falso, quello che ci
rappresentiamo è un mondo illusorio, veniamo ingannati, ma complessivamente ci sta
anche bene di essere ingannati perché questo mondo ci fa stare bene.

Per Schopenhauer questo mondo è un’immagine di sogno, la vita è sogno (Calderon de la


barca): cita a questo proposito Pindaro e Shakespeare.

Noi non vediamo il noumeno, utilizza un'immagine che fanno pensare che lui sia un
interprete delle filosofie orientali: il velo di Maya (Maya nelle filosofie orientale è una
divinità maligna).

Non usciamo da questo inganno perché tutti gli uomini da sempre conoscono in questo
modo.

“Il mondo è una mia rappresentazione”, mia in quanto soggetto percepente e pensante (in
questo Schopenhauer è kantiano). Se la rappresentazione fosse personale ci troveremmo
a non essere d'accordo sulla rappresentazione della realtà e allora sarebbe più facile
capire l’inganno, invece a causa dell’accordo universale l’uomo non si è accorto di aver
approfondito solo l’inganno.

Non sappiamo nulla di più rispetto agli uomini delle caverne, abbiamo semplicemente
amplificato l’inganno.

Cartesio è l’autore che ha messo al centro della riflessione l’io, il soggetto: la filosofia
moderna avviata dalla filosofia cartesiana scopre che non ci sarebbe alcun mondo
fenomenico se non ci fosse il soggetto che lo conosce. Schopenhauer dietro
quest’affermazione vuole dire che la rappresentazione è una nostra oggettiva
rappresentazione e che quindi non ha alcun valore ontologico.

Esito del primo libero: radicale pessimismo gnoseologico.

TRATTATO ONTOLOGICO
Nel secondo libro dice che noi resteremmo tutti nell’inganno se fossimo solo intelletto e
ragione. Gli uomini hanno un corpo, proprio per questo viene data loro la chiave per aprire
la porta dietro la quale si cela una realtà che non vediamo. Tutti abbiamo la possibilità di
andare dietro una realtà apparente. Il corpo come oggetto (Korper) conosciuto non è per
nulla differente dagli altri oggetti, ma io sono il mio corpo, io vivo il mio corpo, non è un
oggetto che mi è esterno (sch. È il primo filosofo a dare un’importanza radicale al corpo).
Il mio corpo sentito è Leib (leben—> vivere), ciò che io sento del mio corpo è che vive e
che vuole vivere, è una propriocezione, io so immediatamente, senza ragionamento, che il
mio corpo è vita e vuole vivere.

Sento fame, sete, sonno e impulsi sessuali: questo è vita, istinto di vita.

Il noumeno del mio corpo è volontà di vivere, non la posso conoscere però con le forme
della rappresentazione.

Nel momento stesso che io so che il mio corpo è volontà di vivere, per analogia so anche
che il noumeno di tutta la realtà è volontà di vivere. (Wille zum leben —> volontà di
vivere). Volontà è un termine ampio in Schopenhauer.

“Il mondo come volontà e rappresentazione”. Il noumeno è esattamente il contrario del


fenomeno: la volontà di vivere non è né nel tempo, né nello spazio e non è causalmente
ordinata. È una forza eterna, infinita, è caos, è incassata e priva di qualsiasi fine o scopo,
unica e indivisibile. Si espande in ogni direzione infinitamente. Non è logica o razionale, è
a-razionale.

La volontà di vivere è una sola ma si oggettiva in due gradi differenti:

- primo—> idee (platoniche); modelli eterni delle cose, fuori dal tempo e dallo spazio,
immateriali, immutabili

- Secondo —> le cose, i fenomeni.

È la volontà che ci inganna oggettivandosi in molteplici fenomeni: la volontà proprio


perché non è soggetto al principio di individuazione resta tutta intera in ogni suo singolo
fenomeno quindi sul piano metafisico abbiamo la stessa situazione che Hobbes aveva
descritto sul piano antropologico: la guerra di tutti contro tutti. Tutto ciò che esiste vuole
vivere all’infinito quindi è in evitabile che sia in conflitto permanente con tutte le altre
cose, in un caos, quindi soffre. Si è in permanente conflitto con tutti gli altri fenomeni,
quindi si soffre. È un conflitto cosmico che ingloba anche la teoria antropologica (anche
gli uomini sono in conflitto). L’unica differenza che intercorre fra gli uomini e gli altri
fenomeni è che gli uomini sono consapevoli di soffrire, quindi soffrono anche della loro
sofferenza.

l’uomo inoltre è malvagio perché possiede la ragione, dunque sono in grado di causare
intenzionalmente sofferenza agli altri esseri. A Schopenhauer qualsiasi forma di ottimismo
appare completamente stupida: la metafisica è sempre stata ottimistica, l’idealismo
hegeliano è una metafisica avanzata che utilizza anche l’argomento della storia. che si
parli di una metafisica statica o dinamica fondata sullo storicismo per Schopenhauer non
fa alcuna differenza; il filosofo ottimista porta nuovi argomenti all’inganno, mentre
dovrebbe fare altro. L’uomo è un animale metafisico, che si interroga cioè sulla realtà, ma
ogni risposta ottimistica svia dalla comprensione reale, cioè dalla coscienza della
mancanza di senso della realtà. Se la realtà è questa non ci può essere alcuno spazio per
l’ottimismo: è disonesto pensare in termini ottimistici.

Inoltre il filosofo è assolutamente ateo: è contro anche qualsiasi tipo di ottimismo deistico.
Due sono le alternativo: o c’è dio e non c’è il male o viceversa. Non è possibile nessuna
conciliazione. Non abbiamo dubbi sul fatto che ci sia il male quindi siamo sicuri che dio
non esita. Il dolore e la sofferenza sono veri: l’ateismo si fonda sull’argomento del male,
che è un dato di fatto. La religione è una metafisica (rappresentazione rassicurante della
realtà) per il volgo. Schopenhauer attribuisce un certo valore al cristianesimo che lascia
intravedere l’elemento tragico della realtà, la morte di cristo, che risolve subito però con la
resurrezione.

Schopenhauer cita Leopardi, non viceversa, ma hanno una fonte comune, Pietro Verri
(Saggio sull’indole del dolore e del piacere). Questo saggio si può ricondurre a quella
corrente interna all’illuminismo che viene chiamata “sensismo” che riconduce la
conoscenza alla percezione dei sensi. Abbiamo sensazioni dei corpi attraverso il contatto
fra materia che possono suscitare sensazioni positive o negative.

Ciò che gli autori ricavano da Verri è che reale per l’essere umano è solo il dolore (il
piacere non è null’altro che la cessazione del dolore). Questo argomento in Schopenhauer
è fondato sulla sua metafisica. Viste il dolore in molte forme (fisico, morale, agito e
subito), non esiste invece il piacere, non ha durata perché per ogni bisogno che viene
soddisfatto ne sorgono immediatamente molti altri. Gli uomini sono come tutti gli altri
esseri animati da un’infinita volontà di vivere, spinti da desideri e bisogni (mancanze) che
si rinnovano costantemente. Il dolore è la condizione normale dell’uomo, il superamento
del dolore e il piacere sono un’attesa deludente.

Come in leopardi troviamo il tema della noia: la noia è il dolore nella sua fase cronica e
non acuta. Nel momento in cui il bisogno è soddisfatto e si gode brevemente del piacere
siamo messi di fronte alla vanità della nostra esistenza, è un senso di insoddisfazione.
Costantemente la vita di un uomo è accompagnato da questo sentimento oltre che da
dolori e sofferenze di vario tipo. La sospensione del dolore non colma il nostro vuoto, ci
mette di fronte alla consapevolezza di non poterlo colmare. Quando il dolore si spegne
siano messi di fronte all’inutilità della nostra vita, ci rendiamo conto che no era quello
l’obiettivo della nostra vita perché compaiono altri mille bisogni da soddisfare.

Schopenhauer contesta la metafisica ma anche la sua è una metafisica dell’infinito, per


questo si contestualizza sullo sfondo del romanticismo. La metafisica dell’infinito rende il
suo pensiero simile a quello hegeliano insieme alla convinzione che vi sia un sistema
filosofico che può spiegare tutta la realtà. Un altro elemento comune è quello del
monismo, della convinzione che esista una sola realtà.

Dentro il pessimismo cosmico stanno il pessimismo gnoseologico, esistenziale e anche


storico: il filosofo vede la storia come un conflitto costante. L’umanità. On ha fatto alcun
passo avanti, gli uomini hanno trovato solo dei modi più raffinati per farsi la guerra. Se
esiste lo stato è soltanto perché gli uomini sanno che se non ci fosse si ucciderebbero
l’un l’altro. Per evitare di essere vittime degli altri ci accordiamo per metterci sotto un
potere che ci costringa, perché se no ci uccideremmo a vicenda. Questo perché l’uomo
vuole vivere anche a danno degli altri fenomeni, incondizionatamente.

A questo proposito si collega il tea dell’amore, approfondito nei supplementi.


Schopenhauer scrive in piena età romantica, in cui l’amore è un sentimento infinitizzante.
Il filosofo riporta l’amore alla spinta sessuale: mentre nel mondo vegetale e animale la
volontà di vivere si attua in modo automatico o istintivo, negli uomini c’è l’amore perché
essi sono intelligenti e capaci di cogliere l’insensatezza del vivere, quindi se non fossero
ingannati dall’amore non metterebbero mai al mondo un figlio,, condannandolo ad una
sofferenza eterna. La volontà di vivere inganna gli uomini, facendo credere loro che esista
l’amore e che sia quel sentimento che in molte forme eternizza e nobilita l’individuo.
L’amore è la suprema illusione con cui la volontà di vivere inganna gli uomini inducendoli
a comportamenti che no assumerebbero mai. L’amore è puramente sesso.

Schopenhauer elabora dunque delle riflessioni sul suicidio ma la sua risposta è no perché
è controproducente. La volontà di vivere è totalmente indifferente alla scomparsa di uno
dei suo fenomeni, continuerà comunque a riprodursi all’infinito. Per poter togliere il dolore
nel mondo si dovrebbe gare il noumeno stesso della realtà, la volontà. Il suicidio è un
estremo atto di volontà non va contro la volontà. Il suicidio riafferma la volontà e l’estrema
sofferenza. Chi si suicida non vorrebbe in realtà morire, vorrebbe solo vivere meglio.

Ci sono però delle soluzioni.

Il terzo e quarto libro sono dedicati a rappresentare le vie di liberazione della volontà: il
mondo della rappresentazione esisterebbe anche se ci fosse un solo soggetto a
rappresentarselo, non esisterebbe più quindi quell’inganno se anche solo un soggetto
riuscisse a sottrarsi a quell’inganno, spegnendo la volontà di vivere che è una sola. Se un
solo individuo riuscisse a spegnere dentro se stesso la volontà di vivere questo noumeno
smetterebbe di esistere e quindi anche dei suoi fenomeni.

n
Bisogna sostituire alla volontà la “volontà”, sostituire ai motivi che ci spingono ad agire
dei “quietivi”. Dobbiamo imparare a non volere più, ad allontanarci da ciò che ci tiene
legati alle cose e al mondo. Bisogna imparare a liberarsi alla volontà di vivere, è l’unico
modo per liberarsi dal dolore. Assumere una condizione di totale indifferenza nei confronti
di noi stessi e delle cose. A questo proposito propone 3 vie di liberazione:

- L’arte (III libro)

- La morale (IV libro)

- L’ascesi (IV libro)

L’ATRE

L’arte è la prima forma di liberazione dalla volontà e dalla sofferenza. Si trovano molti
aspetti della visione romantica.

L’artista nel momento in cui è ispirato si pone totalmente al di fuori dello spazio, del
tempo e della causalità. L’artista vive una forma di liberazione dall’inganno che lo tiene
legato alla volontà di vivere.

L’artista guarda le idee creando l’oggetto, che sono il primo grado di oggettivazione della
volontà. L’artista guarda oltre le cose e vede le idee, è quello che rappresenta le idee.
Michelangelo rappresenta l’idea della pietà non Maia con Gesù in grembo. L’artista si
solleva dal mondo concreto; esce dal tempo e dallo spazio vedendo le idee. Esce anche
dalla logica e dalla ragione: è con Schopenhauer che nasce l’immagine dell’artista come
genio e sregolatezza, come uomo folle. Michelangelo mentre lavorava alla cappella sistina
non mangiava e non beveva perché era al di fuori del tempo e dallo spazio, era preso
dall’ispirazione.

In quanto si colloca fuori dalla ragione, quando poi ritorna nella vita normale si rivela
incapace di seguire le convenzioni, le regole e gli usi. È folle nel duplice significato: fa
cose apparentemente sovrumane nella creazione ma non è capace di attendere le regole
che attendono tutti gli altri uomini.

Ciò che accade nell’esperienza artistica è il trasformarsi dell’artista nel puro occhio del
mondo: puro perché l’artista non prova alcun interesse nel mondo, è il piacere
disinteressato di cui kant aveva parlato nella critica del giudizio. L’artista non prova alcun
interesse per le cose, per se stesso e neppure per l’opera stessa. È sospeso al di sopra
del mondo fenomenico, non sente più gli stimoli di fame, sete e sonno. Non sente la vita
che vuole espandersi e quindi non è portato ad obbedirle.

Troviamo una somiglianza con hegel: Schopenhauer parla di un sistema delle arti
piuttosto simile a quella di Hegel. Si parte dall’architettura per arrivare fino alla musica (il
filosofo scambia poesia e musica). Al di sopra di tutte le arti c’è la musica. Chi ha
ispirazione musicale si trova a cogliere direttamente la volontà di vivere, va oltre le idee
platoniche.

La teoria della musica di Schopenhauer si rispecchia in Wagner e nella sua opera d’arte
totale. Attraverso Wagner si arriverà a Nietzche.

Anche per Schopenhauer l’arte ha una funzione veritativa, che è eccezionale è


l’esperienza che l’artista fa, il genio, ma è vero che l’opera d’arte viene fruita da altri. Chi
gode di questa, attraverso il genio, riesce intravedere oltre i fenomeni.

L’esperienza estetica è un’esperienza breve : l’artista torna ad essere un uomo comune,


seppur folle, non è permanente.

Un limite dell’arte è che la condizione di disinteresse è di breve durata, non è una


condizione permane. Un’altro limite è che l’esperienza, nonostante questa venga fruita da
chi genio non è, rimane chiusa in quel momento, non cambia la vita.

LA MORALE

La morale è via di liberazione dalla sofferenza e della volontà di vivere: ci sono due gradi
di morale:

- la giustizia

- La compassione

A differenza di Leopardi che esce dal pessimismo cosmico Schopenhauer non lo fa: gli
uomini non si salvano insieme perché sono irretita dalla volontà di vivere. Se noi
riusciamo ad iniziare a vedere che fra me e te non c’è nessuna differenza iniziamo un
percorso morale. Siamo tutti ugualmente ingannati e sofferenti: l’egoismo che ci porta
apparentemente a realizzare noi stessi va a danneggiare l’altro che però io stesso sono.
Vendo oltre il principio di individuazione io vedo che tutti siamo la stessa massa
sofferente: la moral è un sentimento di sofferenza comune, di compassione. Siamo allo
stesso tempo tutti. Vittime e carnefici, il dolore di uno è quello dell’altro. Il primo grado
della giustizia, primo passo negativo con cui impariamo a non fare male agli altri. Non
facciamo attivamente nulla ma ci asteniamo dal fare ciò che porterebbe dolore agli altri.

Al grado più alto la morale è compassione (Mitleid ,con patimento, sofferenza), ma


Schopenhauer usa anche la parola agape o pietas. Chi è arrivato a questo stadio della
morale prende su di sé il dolore degli altri, vede che tutto soffre e opera per alleviare il
dolore degli altri. Qualcuno che si mette totalmente al servizio degli altri quando gli
basterebbe essere giusto è una persona che segue rettamente una morale.

Schopenhauer afferma che in questo modo noi alleviamo il dolore degli altri e che per
questo va contro la volontà di vivere. Nice dirà che in questo modo non facciamo altro
che moltiplicare il dolore all’infinito.

L’agape è l’unica forma di amore che va verso la direzione opposta, che nasce dall’aver
superato l’inganno dell’io e del tu. La compassione è un sentimento: per kant la morale si
fonda sulla ragione, kant critica le morali del sentimento ma siccome per Schopenhauer la
ragione è strumento della rappresentazione che ci mantiene vittime della volontà di vivere
la sua morale si fonda sul sentimento

l’ascesi

All’ascesi si può passare attraverso la morale. L’arte non ha nulla a che fare fra queste
due, che invece possono essere un primo e un secondo grado di uno stesso commino.
Dopo la compassione possiamo capire che tutto soffre, anche la realtà extra-umana e per
questo nel soggetto, che acquista coscienza della vanità della sua vita, smette di voler
vivere. Non ha più interesse per nulla, è apatico, ma non prova anche dolore.

Collegamento: pittura metafisica di de Chirico, montale “ossi di seppia”, spesso io male


di vivere ho incontrato.

Il primo passo nell’ascesi è una libera e perfetta castità. Il secondo passo è la povertà
volontaria (il distacco volontario dalle cose), terzo passo la flagellazione, mortificazione
(progressiva astinenza a tutto ciò che dà soddisfazione ai bisogni umani). L’esito
dell’ascesi, portata fino in fondo è la morte: si estingue la volontà di vivere e non diamo
quindi più al corpo ciò che gli serve per vivere. Questa morte non è un suicidio, non è
cercata, è il risultato del progressivo spegnersi della volontà in noi e arriva con gioia non
con la rabbia che il suicida prova nei confronti della vita. Dopo la morte arriva il nirvana: il
buddismo teorizza un ciclo continuo di reincarnazione fino al ritorno al brama, il nirvana, il
nulla. Il nulla della volontà di vivere è un nulla positivo, perché la volontà di vivere è male.

Schopenhauer cita asceti di tutte le religioni, che hanno fatto questo percorso e allora ci
si chiede perché esista ancora il mondo. Pare che nessun uomo sia mai riuscito a morire
senza alcuna forma di interesse… anche Buddha all’ultimo dei suoi giorni ha avuto
qualche desiderio di vita

Schopenhauer non è un moralista. Felice può essere forse un bue che rumina su un
prato. Gli uomini non possono essere felici, soffrono tanto meno quanto più sono stupidi.

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