Sei sulla pagina 1di 10

31.01.

2022

Pedagogia generale

Edgar Morin, I sette pensieri necessari all’educazione del futuro.

Area culturale multidisciplinare

La pedagogia è una pratica riflessiva fondata scientificamente, ma si fonda su una scientificità non classica,
ma idiografica, perché sviluppa i suoi principi nella declinazione operativa, solo così si possono sviluppare
dei criteri oggettivi. Usa un metodo scientifico, ma non è una scienza esatta come tutte le scienze umane.
La pedagogia è quindi una disciplina che opera una riflessione critica sull’educazione, ovvero che aiuto a
capire gli aspetti impliciti e latenti di ogni atto educativo. Fa una riflessione critica, un esercizio di dubbio,
un’indagine aperta ed attenta a non interpretare la realtà con un punto di vista aprioristico, dogmatico,
univoco. La pedagogia è una disciplina scientifica che può utilizzare i metodi delle scienze sperimentale pur
riconoscendo la complessità dell’evento educativo e la sua irriducibilità ad una mera catena di cause-effetti.
La pedagogia intrattiene rapporti significativi con le altre scienze dell’educazione che si presentano come
fonti speciali

L’oggetto dello studio della pedagogia generale è l’educazione e la formazione dei soggetti in tutte le fasi di
crescita. L’analisi pedagogica analizza i problemi educativi nella dimensione storica. La pedagogia generale
opera una riflessione epistemologica (studio delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza
scientifica e dei metodi per raggiungere tale conoscenza).

Crea connessioni, assume un punto di osservazione esplicito e rigoroso nell’analisi del complesso dei fatti
educativi, è una riflessione sul processo educativo.

È connessa al soggetto e alle relazioni che il soggetto ha nel mondo, si forma dal soggetto al contesto, agli
aspetti psicologici del soggetto con il mondo. Ha una ricaduta esistenziale, l’educazione è ovunque e una
riflessione pedagogia sta nel riflettere anche in generale sul soggetto e sul suo essere nel mondo. Si mette a
fianco di tutti i processi evolutivi.

Non vi è alcuna pratica educativa che non sia complessa e che contenga più elementi di quelli che potranno
essere osservati e analizzati. È una pratica che sa che non potrà mai trovare tutto, ma analizza la
complessità. I campi operativi sono complessi, i soggetti già di complessi di per sé.

Compito generale dell’educazione è individuare, promuovere, sviluppare potenzialità (cognitive, affettive,


relazionali) dei soggetti individuali e collettivi.

APPRENDIMENTO: FORMALE: apprendimento che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle
università e istituzioni ad ala formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il
conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in
apprendistato, o di una certificazione riconosciuta, nel rispetto della legislazione vigente in materia di
ordinamenti scolastici e universitari

NON FORMALE: apprendimento caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di
fuori del sistema di istruzione, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del
volontariato, del servizio civile non formale e del privato sociale e nelle imprese.

INFORMALE: apprendimento che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello
svolgimento da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in
essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare, del tempo libero.

INFORMALE, educazione diffusa: esperienze al lavoro, al tempo libero, al gioco. Si impara dall’arte, dai libri
e dal cinema; viaggiare: fonte tra le più importanti. Dagli affetti, alle relazioni, dall’incontro con l’altro.
Attraverso i mass media, oggi web, nel contatto con la natura. IMPREVEDIBILITA’, NON INTENZIONALITA’.
L’apprendimento informale è spesso accidentale, imprevisto, si impara spesso inoltre più dalle cose che
vanno per il verso sbagliato che da quelle che filano lisce.

APPRENDIMENTO OLISTICO: mente, copro, emozione, cognizione, apprendere attraverso l’ascolto di sé.
Nella società del pieno, dell’azione senza sosta, fermarsi, ascoltare, meditare sono capacità importanti per
l’apprendimento informale.

UN PROCESSO: l’educazione è un processo continua e per tutta la vita, vitale (necessità per ciascun essere
umano); relazionale (costante ed inevitabile); personale (unicità del soggetto); socio-culturale: valori,
criteri, modelli.

PROPOSTA: L’intervento educativo è una proposta, mai un’imposizione. • L’educazione non è mai neutrale:
storicamente centrata, politicamente orientata (partecipazione attiva) del soggetto), orientata da schemi di
riferimento individuali e sociali, dalle caratteristiche del soggetto o dei soggetti a cui si rivolge.

MOVIMENTO: • Carattere evolutivo, orientato alla trasformazione e al

cambiamento. • Si sottolinea la direzione della possibilità come categoria fondante, in contrapposizione

all’impossibilità, elemento statico, involutivo e tendente allo stallo.

L’AZIONE EDUCATIVA: ha sempre un risultato imprevedibile, perché dipende dall’azione di personalità, o


gruppi, cui essa è rivolta e da eventi che condizionano la situazione di partenza. Comporta l’esigenza di
accettare, affrontare e gestire il conflitto per trasformarlo in termini di produttività. Prevede la cura del
processo comunicativo, attitudini comunicative adeguate, capacità di cogliere i feedback, consapevolezza
delle modalità espressive, metacomunicazione.

Scienze dell’educazione: tutte quelle discipline che in qualche modo possono contribuire a darci uno
sguardo su quello che è l comportamento umano all’interno di contesti. (filosofia, antropologia,
psicologia…), tutte discipline che entrano in gioco. L’antropologia analizza uomo e ambiente, la filosofia è
disciplina fondamentale, perché fino a due secoli fa filosofia e pedagogia coincidevano.

Le origini: il pedagogo coincide con la figura del maestro, mentre il pedagogista studia sopra l’educazione,
studia i processi educativi, anche se anche il pedagogista entra nella pratica.

Già nella Grecia era elemento ben individuato e la pedagogia si è occupata dello sviluppo spirituale della
persona, così come dello sviluppo pratico (cosa sa fare la persona).

La cosa è che ci sono due approcci: Si tratta di farsi carico di un individuo e dei suoi rapporti sociali. Maria
Montessori: il bambino era in grado di auto educarsi, una guida è essenziale ma poi il soggetto deve
imparare un modo per apprendere da sé nella maniera più opportuna.

Infine, una pedagogia come atto politico, supporta lo sviluppo e il processo democratico.

Scienza del metodo:

Comenio, Didactica Magna (1657), Trattato dell’insegnare tutto a tutti.

Prima opera pedagogica moderna, indica la strada del diritto di ogni soggetto a ricevere un’istruzione
adeguata, indipendentemente dall’estrazione sociale e del genere.
Capacità e metodo: Comenio si concentra sulle capacità, ci vuole del tempo perché queste si sviluppano. Lui
pensa che sia fondamentale organizzare una didattica secondo dei gradi, bisogna dividere secondo il tipo di
evoluzione che la persona sta pensando. In gradi di questo tipo c’è una separazione per livelli di capacità,
per uno sviluppo psicosociale.

Teoria pedagogica come disciplina autonoma

Rousseau: svincolarsi dalla dipendenza dalla filosofia e dai legami che la tradizione aveva imposto (Emilio,
1762). Esisete un’analogia tra quello che avviene nella natura e quello che avviene nello sviluppo. Sviluppa
un intervento educativo (Rousseau primo educatore). Sostiene che l’individuo dovrebbe essere aderente
all’aspetto naturale, perché tuto ciò che è civiltà distoglie dal vero obbiettivo dell’educazione, ovvero che
l’individuo sia più coerente con i suoi aspetti naturali. Il contributo importante è che c’è una prassi che va al
di là della scuola e dell’ambiente chiuso della scuola. Riprende il modello più originario del maestro e
sviluppa questo modo di intervenire. Fa uno scarto perché interviene con un modello originale. Il suo
approccio è altamente criticabile.

IMMANUEL KANT: propone un modello educativo basato sulla ragione, dominante rispetto ad altri aspetti
della psicologia umana, tralasciando altri elementi fondamentali. C’è l’idea che le capacità della mente si
possono incrementare e allenare. Tutto ciò che non è razionale entra marginalmente. Teorizza che il miglior
modo per fare questo è FARE, entrare in maniera pratica nelle cose, se non si entra nella dimensione del
coinvolgimento del fare, l’esperienza non è così significativa.

JOHANN FRIEDRICH HERBART: è I primo vero pedagogista perché analizza elementi anche dal punto di
vista psicologico. Pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione. Le rappresentazioni hanno un ruolo
fondamentale nella conoscenza, perché in qualche modo si connettono alla coscienza. Alcune sono più
significative, rimangono più vivide. Parla anche di sub coscienze.  non si può decidere a tavolino cosa fare

CULTURA POSITIVISTA: questo è il periodo in cui la pedagogia si separa dalla filosofia, con una certa
preponderanza a laicizzare il pensiero. In questo periodo viene coniata l’idea della scienza dell’educazione,
metodo scientifico fondato sull’analisi dell’esperienza. La pedagogia non è una scienza esatta ma usa un
metodo scientifico che nel tempo si è sviluppato molto.

JOHN DEWEY: Le fonti di una scienza dell’educazione.

Si sviluppano delle correnti pedagogiche che nascono dalla filosofia dell’educazione. Correnti come
fenomenologia e problematicismo.

Jean Piaget: epistemologia genetica, ha delineato delle fasi evolutive da qui. Lui si contrappone all’idea che
l’affettività muova il mondo dello sviluppo psichico, ma ci sono delle attività cognitive. Lui sostiene che
l’intelligenza è un comportamento adattivo: incorporare stimoli nuovi tramite ciò che già si sa.
(assimilazione-incorporare/accomodamento). Da questo tipo di pensiero c’è una deriva comportamentale.

Le fasi dello sviluppo dell’intelligenza sono: periodo senso motorio, periodo pre-operatorio, periodo
operatorio concreto, periodo operatorio formale.

Il difetto del suo approccio è che assoluto e statico, dice che questi stadi sono riconoscibili nel bambino

LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ

Linguaggio e pensiero.

La comprensione del testo si limita a 156 caratteri, i ragazzi di oggi fanno molta fatica a comprendere un
testo.
I SETTE SAPERI NECESSARI ALL’EDUCAZIONE DEL FUTURO, Edgar Morin

Società della conoscenza:

- Saperi indispensa

08.02.2021

Insegnare la condizione umana

Pedagogia ed educazione: convergenti, ambiti paralleli

La pedagogia vorrebbe che l’educazione si avvicinasse alle sue teoria e prassi. L’educazione, soprattutto
scolastica, a volte non coincide con i principi pedagogici. L’istituzione scolastica è molto complessa e
rappresenta molte anime della società non tutte legate alla pedagogia. Nell’extra scuola la dimensione
pedagogica ha un’aderenza maggiore. L’impegno extrascolastico storicamente procede in maniera più
adiacente agli sviluppi della pedagogia. Esempio: interventi di strada, interventi per persone con disabilità,
ecc. La pedagogia ha ispirato una serie di interventi nell’extra scuola. Gli interventi fuori la scuola hanno
quindi una maggiore coerenza, ispirati a un pensiero pedagogico legato a un’idea di complessità.
Ritroviamo, per esempio, una serie di riferimenti pedagogici molto più forti, dove l’idea di rapporto tra
teoria e prassi è molto presente e molto viva.

Supervisione: setting riflessivo, dispositivo che fa parte della prassi di quasi tutti gli interventi svolti fuori
dall’ambito scolastico. Per la scuola il dispositivo della supervisione non esiste, non è previsto.
Accreditamento dei servizi: pratica formale che dà la possibilità di intervenire in ambiti di disabilità, per
esempio, in cui la supervisione è formalmente essenziale. In questi ambiti è essenziale un pensiero, una
riflessione sull’esperienza, in modo che gli operatori siano sempre vigili e consapevoli di quello che fanno.

Morin è molto radicale sul discorso delle discipline.

La complessità, la globalità dell’essere umano che entra nell’ambito della conoscenza viene disintegrata
nell’insegnamento, a causa della distinzione tra discipline. Secondo lui, questa separazione non è naturale
perché propone un sistema di separazione invece di proporre un sistema di connessioni. Connessioni anche
di tipo creativo: il pensiero divergente è alla base della creatività. La scuola sembra fare qualcosa di
contrario a questo. Secondo Morin, invece, si dovrebbe creare un’unità all’interno di questa complessità, in
modo che il soggetto riesca in un secondo momento a cogliere le differenze all’interno di quest’unità.

Insegnare l’identità terrestre: lavorare su due direzioni, la similitudine, che accomuna tutti gli esseri umani,
e la diversità, le caratteristiche che distinguono tra loro gli esseri umani. Insegnare l’identità terrestre:
diviene irrinunciabile per la formazione delle future generazioni “insegnare la storia dell’era planetaria (…) e
mostrare come tutte le parti del mondo siano divenute inter-solidali, senza tuttavia occultare le oppressioni
e le dominazioni che hanno devastato e devastano ancora l’umanità.

osa impedisce lo sviluppo di quest’identità terrestre? Il potere, secondo Morin, è un elemento che tende a
creare delle discriminazioni. Ma allo stesso tempo il potere è un elemento sostanziale, si pensi che
empowerment significa potenziare le capacità. Che potere è? È un potere della mente, di conoscenza di sé.
Noi siamo costantemente sottoposti a elementi che separano e distraggono. Come un girare a vuoto alla
ricerca di qualcosa che non si può ottenere. Oggi si paventano dei futuri complicati dal punto di vista della
sostenibilità. L’idea è: in che modo possiamo educare le nuove generazioni, in funzione del futuro, a dei
principi che loro riconoscano, allontanandoci dalla nostra tendenza a usare il potere in maniera distruttiva,
e invece usandolo per metterlo a servizio del bene degli altri. Come si fa? Non è semplice, è un’utopia
concreta, e richiede l’impegno di tanti e la consapevolezza di tutto quello che ci porta lontano da quello che
desideriamo. Non possiamo eliminare l’aggressività, il razzismo, ma possiamo avere consapevolezza di cosa
determina certi comportamenti e possiamo imparare a gestire queste tensioni umane. L’aggressività di per
sé non è negativa, è una spinta che fa reagire nelle situazioni di difficoltà. È negativa quando è usata contro
qualcuno.

Le emozioni sono sempre oscillazioni tra opposti, e perciò possono avere un lato costruttivo e uno
distruttivo. Quali pensieri adotteremo, in relazione alle situazioni e alle nostre emozioni, motiveranno
determinati comportamenti. La facoltà umana, infatti, permette di utilizzare l’oscillazione emotiva per
modificare il nostro comportamento. Morin dice che possiamo sviluppare l’identità terrestre imparando a
non occultare ciò che potrebbe farci sentire terrificanti dal punto di vista umano, ma gestendo anche
queste parti più oscure di noi.

Curriculo occulto: riguarda tutto quello che noi educatori trasformiamo una relazione in modo non
consapevole. Una serie di informazioni che sono il nostro modo di vedere il mondo arriva alla persona nella
sfera educativa. C’è un tipo particolare di relazione. Diamo di noi molte più cose di quanto pensiamo di
passare e trasmettere. Si chiama occulto perché non è intenzionale e non è visibile, ma c’è. Nel curricolo
occulto passano cose negative, ma anche positive, come la passione che uno ha per quello che fa,
l’interesse nei confronti delle persone davanti, quando si ha a cuore determinate questioni. Questo è uno
degli elementi che in qualità di educatori dovremmo imparare a conoscere. Ci sono una serie di tecniche
che permettono di esercitare l’abilità di controllo su ciò che non conosco, e si fa questo acquisendo la
consapevolezza di non poter controllare tutto. Tutto quello che mi torna di inaspettato, lo devo considerare
non del tutto sbagliato, anche in termini di critiche. È fondamentale mantenere l’immagine di noi sempre in
una condizione di educabilità, sempre disponibili all’imprevisto, all’inatteso. L’educazione, infatti, è
caratterizzata da questo aspetto, dell’imprevisto.

‹‹L’insegnamento dovrebbe comprendere l’insegnamento dell’incertezza.›› L’incertezza è ciò che permette


di rimanere aperti e disponibili. Non chiudersi in nessuna certezza per rimanere aperti alla ricerca.
L’incertezza non è luogo di precarietà, ma un luogo dove cerco di muovermi. Filosofo Vito sulla pandemia
dice che dobbiamo imparare a vivere consapevoli che ci estingueremo. Dobbiamo continuare a vivere con
determinazione ma con una prospettiva di grande incertezza. Morin ci propone una riforma delle mentalità.
Idea legata alla maturità dell’essere umano che ha la possibilità di fare questo. Morin dice che la
comprensione reciproca tra gli uomini è un elemento irrinunciabile, e ‹‹comprensione›› vuol dire tante
cose: capacità di costruire relazioni conflittuali ma costruttive, empatia, ecc. Bisogna andare alla radice dei
razzismi. Per fare questo bisogna entrare in una parte profonda di noi. L’antidoto è convivere con tutti gli
aspetti di problematicità e pensare che l’educazione alla pace è qualcosa che va continuamente rigenerata.
Bisogna imparare a promuovere dei processi che siano a contrasto con tutto questo. Bisogna allenare
all’ascolto, alla capacità di comprendere e perdonare. Il perdonare, trasferito in ambito laico, significa
elaborare il lutto che le persone non sono esattamente come le vogliamo, che le persone sbagliano e
possono cambiare, se noi diamo loro la possibilità di farlo. Dobbiamo stare attenti a non diventare noi stessi
rigidi e intolleranti, anche se una persona ha fatto una cosa orrenda. Quando si entra in una dimensione
negativa dobbiamo non creare uno stigma delle persone. Se si crea uno stigma della persona in età
evolutiva è una cosa gravissima. Le persone fanno errori ma non sono sbagliate. Per poter intraprendere
una strada di perdono bisogna pensare che la persona abbia la possibilità di comprendere, altrettanto come
io penso di essere in grado di farlo. Atteggiamenti estremizzati dal punto di vista negativo non sono
educativi. Il nostro obiettivo è arrivare alla radice degli errori dando la possibilità di comprendere. Questo fa
capire alla persona che non è sbagliata e fa errori, in assoluto. È educativo dare l’opportunità di
comprendere e capire e poi di scegliere di fare qualcosa di diverso. A volte riusciamo a volte non riusciamo.
L’educazione è molto esposta all’insuccesso. A volte è talmente radicato per traumi (o per altre ragioni) che
non riusciamo a cambiare. A un certo punto del percorso educativo, o terapeutico, se la persona non
sceglie di cambiare perché comprende, non cambierà mai. Nessuno ha il potere di cambiare qualcuno
dall’esterno. Ma allo stesso tempo la motivazione non è un elemento magico che c’è o non c’è. Si genera
nelle esperienze e all’interno della relazione. Ken Robbinson, dal mondo anglosassone (molto radicali)
Cambiare i paradigmi dell’educazione Filmato che fa capire come nell’attualità potremmo fondare su
principi totalmente differenti l’educazione. Bisogna modificare un approccio all’apprendimento. Costruire
un ambiente che possa valorizzare questi aspetti e mettere ciascuno nella condizione migliore per accedere
alla conoscenza. Bisogna cambiare anche un paradigma culturale. Dobbiamo fare in modo che la base di
stimoli alla conoscenza possa essere adeguata a tutti. La scuola superiore si sceglie nel momento sbagliato.
Quella non è l’età in cui hai gli strumenti per decidere. Altri sistemi scolastici rimandando la scelta ai 14
anni, quando il soggetto ha maggiori abilità di valutazione. Il cambio di scuola è un fenomeno
frequentissimo che genera anche dei traumi, fa sentire il ragazzo stupido, incapace. Questi ragazzi arrivano
a pensare di non essere assolutamente in grado di essere uno studenti, quando dopo due, tre cambi
arrivano a iscriversi a un professionale, perché in quel caso non ha scelto quella scuola, ma c’è arrivato
dopo una serie di traumi. Questo porta anche difficoltà relazionali, con gli adulti, con i compagni. Difficoltà
legate a una fragilità estrema a volte risolta con aggressività. Il mondo è cambiato tantissimo ma tutta le
serie di regole scolastiche non sono cambiate. Il problema dello stigma è molto forte, è l’idea che una
persona sia sbagliata e non possa cambiare modo di fare. Lo stigma determina un impianto di identità
negativa. Un uso errato delle note scolastiche, per esempio, e, in generale, un eccesso di atteggiamenti
repressivi, determinano una reazione oppositiva, non perché la persona è irrecuperabile, ma perché a
quell’età la persona ha la necessità di essere visto, anche se in modo negativo. Ha bisogno di trovare una
collocazione, di affermare la propria presenza e decide che, se è così che viene già considerato, così allora
diventa. Bisogna poi evitare in ogni modo di far diventare un ragazzo un capro espiatorio. Questo vorrebbe
dire negare la possibilità a qualcuno di cambiare il proprio comportamento. A volte anche nei gruppi di
giovani fa comodo che ci sia uno nel mirino, così gli altri si possono sentire protetti. Proposta di non
raggruppare in classi per età. Faciliterebbe un dialogo tra generazioni. Si migliorerebbe la qualità della
relazione tra le persone e si verificherebbero in maniera spontanea quelle forme di ring education. Non va
sottovalutato il supporto che possono dare persone che hanno fatto determinate esperienze alle persone
che non le hanno ancora fatte, ma che allo stesso tempo sono ancora vicine d’età. Le prove invalsi non
testano abilità di problem solving più complesse. Non indicano capacità complesse, sociali o relazionali.
Non ci dicono lo stato di salute di una scuola o di un apprendimento. Continuiamo a dare attenzione ad
alcuni aspetti di tipo quantitativo, trascurando altri di tipo qualitativo. Transdisciplinare: creare qualcosa di
diverso.

Operazione di lavoro nelle scuole quando c’è un problema con alcune classi. Azione con i genitori: sposta
dai colloqui con i genitori a un setting diverso, dove l’insegnante sperimenta un altro tipo di relazione con il
genitore. È fondamentale per lavorare in modo indiretto sull’alleanza educativa. Apre possibilità di
conoscenza relazionali che prima non c’erano. Interventi con i ragazzi davanti agli insegnanti: l’insegnante
ha l’occasione di osservare la classe, senza doverla gestire, in maniera laterale. Consiglio di fare delle
compresenze. Azione di supporto e sostegno agli insegnanti. Parallelamente si porta avanti un percorso di
formazione per gli insegnanti. Formazione di situazione e ricercazione. Comorbidità I ragazzi oppositivi
provocatori hanno spesso la doppia difficoltà, insieme ai disturbi specifici dell’apprendimento. Davanti ai
genitori è importante mostrare di non aver intenzione di giudicare il figlio. Quando si comunica con il
genitore bisogna stare molto attenti, perché qualunque cosa verrà detto del figlio il genitore lo leggerà
come un giudizio, soprattutto se è un genitore in difficoltà e in difficoltà relazionali con il figlio. I ragazzi
preoccupati del voto. Perché sono preoccupati del voto? Chi o cosa ha generato in loro questo pensiero?
Noi adulti generiamo una priorità di una persona rispetto a che voto ha. Visione della competizione.
Competere può voler dire anche entrare in una sfida in cui collaboriamo per fare qualcosa. Da non
confondere la competizione con la concorrenza. La competizione allude alla cooperazione, alla
collaborazione. La competizione ha bisogno di collaborazione, si parla anche di cooperative learning, e
permette grande coesione. Una squadra compete al suo interno per migliorare le proprie prestazioni, per
poi concorrere con un’altra squadra. Il cooperative learning è competitivo all’interno, cooperativo e
all’esterno concorrenziale. Stimola il soggetto a incrementare la propria prestazione. Lo stimolo al
miglioramento senza la competizione e la concorrenza è depotenziato. A un certo punto nel bambino si
innesta la necessità di vincere (potere). Questo dipende da una serie di fattori psicosociali. Arriva a
diventare molto più importante, per lui, la sensazione che prova quando vince e quando l’altro perde,
rispetto al processo condiviso. È inutile in una circostanza del genere dire che conta il processo. Questa
sensazione di onnipotenza e di potere va attraversata. Ma va fatto all’interno di contesti educativi e
protetti. Si deve essere messi nelle condizioni di pensare a un certo punto: ‹‹Questa sbornia di onnipotenza
mi piace, mi va bene, ma come fa sentire l’altro? Quali sono le conseguenze?››. A questo punto dovrei
mantenere dentro di me la consapevolezza che, in quel momento, l’altro prova una sensazione opposta,
che ho provato qualche volta anche io. E questa consapevolezza mina la mia sensazione di onnipotenza. Se
tale sensazione si cristallizza, e uno sempre vince e l’altro sempre perde, questo porta a sentire una
profonda frustrazione nell’altro. Qui interviene il gruppo, che permette di generare una molteplicità di
esperienze. Individualizzare troppo ti marginalizza, e rischia di rendere una situazione ricorsiva. Nel gruppo
posso sentire che le mie capacità, che quando ero solo non mi facevano vincere, sono valorizzate.

Nella preoccupazione sul voto gioca molto l’idea di schiacciare nel voto la valutazione sulla persona, invece
che sulla prestazione. Il voto, invece, misura la prestazione e basta. E la valutazione del comportamento,
che non si può valutare con la stessa sistematicità con cui si valutano altre discipline, viene fatta ad occhio,
a caso. Il comportamento andrebbe, invece, osservato in maniera sistematica, davanti a stimoli diversi, in
situazioni diverse e con criteri diversi. Il voto in condotta e un numero privo di qualunque senso, viene dato
così, a caso. Quando lo schiacci verso il basso c’è qualche motivazione, ma quando va verso l’alto, lo
standardizzi nel nulla. È immotivato. Dovrebbe esserci un sistema di misurazione e delle valutazioni che
differenziano anche in positivo. Potrei creare un sistema di spinta, che stimoli ad aderire a migliori
iniziative, invece di utilizzare un meccanismo che mira solo ad arginare le iniziative peggiori. Perché si
migliora se si hanno degli obiettivi da raggiungere. Il comportamento è qualcosa che si può valutare, ma ci
vuole tempo, e bisogna creare delle occasioni e avere degli strumenti per verificarlo nel tempo. Non si può
misurare in un solo momento. Il comportamento va osservato nel tempo in contesti diversi. Spesso, quando
si valuta il comportamento. non si valutano queste variabili. Non si prende in considerazione che lo
studente un giorno possa non essere al massimo, gli si chiede sempre di essere prestazionale. Ma così la
scuola rimane un luogo asettico, non di vita, dove nessuno si preoccupa dell’individuo, un luogo non reale.

16.02.2021

Periodo adolescenziale: la scuola ha un compito importante, perché incrocia questo periodo evolutivo con
un periodo di grande cambiamento, di grande disponibilità e plasticità nell’apprendere. Le intelligenze sono
molto ricettive, ma dall’altra c’è è un momento di grande fragilità per l’identità. È anche un periodo di
grande possibilità, l’ultimo periodo della vita per affrontare alcuni aspetti fondamentali dei cicli evolutivi
precedenti. Convergono una serie di urgenze che rendono l’adolescenza un periodo complesso, ma
importante per stabilizzare alcune disarmonie del soggetto. È il periodo in cui si comincia a fare i conti con
la prospettiva temporale, ovvero utilizzare il tempo per la progettualità esistenziale.

La domanda “cosa farai da grande?” nel tempo cambia. Un bambino di 6 anni risponderà alcune cose, dagli
8-9-10 anni inizieranno prospettive diverse, alcuni avranno già un’idea di attrazione. Questa domanda per
un adolescente avrà spesso come risposta “boh”. Il presente è molto precario, la parola boh è molto sana.
Secondo la prospettiva psicopedagogica sull’età evolutiva, vuol dire che si sta tenendo aperte delle
possibilità, ma deve capire, comprendere, esplorare. È un grande periodo di scoperta, ma dal punto di vista
educativo potremmo fare riferimento a queste caratteristiche per costruire qualcosa che possa essere
coerente con questo tipo di possibilismo e apertura. La scoperta, la ricerca dell’apprendimento può essere
molto coinvolgente. L’apprendimento per scoperta e la costruzione di periodi di apprendimento, per
stimolare anche la produttività, ci aiuta a costruire le condizioni di sfondo per poter motivare.

L’adolescenza è cruciale, ma ha le caratteristiche perfettamente adatte per l’apprendimento. Sbagliare


l’impostazione dell’apprendimento diventa una perdita di risorse, perdiamo la possibilità di coinvolgere un
giovane all’interno di questi processi evolutivi. Questi contesti dovrebbero essere attenti alle caratteristiche
dei soggetti e viceversa.

Anche la didattica è un sistema relazionale, perché proprio la didattica crea la possibilità di costruire
qualcosa che sia coinvolgente e stimoli la partecipazione in modo tale che le persone si sentano all’interno
di una relazione educativa. Devono sentire che c’è la responsabilità di qualcuno che crei le migliori
condizioni per l’apprendimento; quindi, di qualcuno che si preoccupa di cosa, come apprenderò. 
riconoscimento degli uomini, rapporto insegnante-allievo, ci vuole necessariamente lo sviluppo di un tipo di
qualità della nostra relazione, anche un riconoscimento della nostra funzione. Come lo studente riconosce
l’autorità dell’insegnate, l’insegnante deve riconoscere le difficoltà e le potenzialità dello studente, al fine di
produrre opportunità di crescita. Qualunque relazione ha sempre una reciprocità, anche un’insegnante
impara. C’è una circolarità di informazioni che fanno crescere l’informazione. Tuttavia, con la moltitudine di
studenti davanti, la cosa si complica, perché con ognuno di loro avrò una relazione 1 a 1, ma avrò anche
una relazione con il gruppo.

LA RELAZIONE EDUCATIVA.

L’azione educativa ha sempre un risultato educativo, per quanto io possa programmare e stabilire azioni di
tutti i tipi, quello che avverrà nella pratica avrà sempre un margine di scarto. Quando noi prepariamo
qualcosa, dobbiamo poi vedere cosa accade, per poi rivedere l’efficacia di quello che ho pensato, sempre
nella relazione che qualcuno risponderà secondo le mie aspettative, ma ci sarà anche dell’imprevedibilità. È
continuamente necessario fare un’azione di verifica e di riprogettazione, fa parte del lavoro ridefinire il
campo di gioco. La stessa cosa proposta in due momenti diversi può portare a differenze.

L’azione educativa comporta l’esigenza di accettare, affrontare e gestire il conflitto per trasformarlo in
termini di produttività. L’aggressività passiva, ad esempio, è difficile da gestire, perché è molto facile gestire
l’esplosione del rifiuto, perché la passività non mi dà elementi su cui agire. Ad esempio, la persona dorme o
non ha nessun tipo di reazione.

Prevede la cura del processo comunicativo, attitudini comunicative adeguate, capacità di cogliere i
feedback, consapevolezza delle modalità espressive, metacomunicazione.

L’azione educativa non è mai neutrale: Annuncia la sua intenzione formativa, presuppone un insieme
coerente di azioni intraprese in vista di un fine.

Realizza la messa in opera di principi espliciti o impliciti ricavati da una teoria generale.

La relazione educativa è assimentrica, c’è sempre una distinzione di ruoli e anche di potere. Asimmetria nel
senso che non c’è mai una parità di funzioni, ruoli, potere. Una persona adulta che ha una responsabilità e
anche una funzione d’educazione ha un potere enorme. Per questo la scuola è a volte chiusa all’interno di
un sistema di negoziazione politica. Che modelli di comportamento deve promuovere la scuola? Quanto
questa può sviluppare menti ben fatte piuttosto che ben piene? Quanto deve rispondere ai bisogni del
mercato? Quanto deve creare mente critiche? Il problema è quanto noi vincoliamo il tipo di scelta e di
percorso. Se la scuola deve intervenire la persona, si devono aprire le possibilità, non chiuderle.

Bienno integrato  possibilità di far passare le persone dalla formazione professionale a farle tornare
dentro la scuola.
Se una persona ci mette del tempo per trovare la propria strada, perché no? Le passerelle dovrebbero
essere proattive, senza nessuna tragicità, se uno sbaglia una scelta bisogna facilitarne il cambiamento senza
fargliene una colpa, perché questo lo allontanerebbe poi dall’impegno, dalla motivazione dall’autostima.

PREGIUDZIO: in questa accezione è il fatto che noi utilizziamo delle coordinate emotive per relazionarci con
gli altri. Noi spesso giudichiamo e pregiudichiamo una serie di eventi relazionali. La relazione educativa è
caratterizzata dal pregiudizio perché è una dinamica complessa che rischia di essere caratterizzata dall’ansia
dell’aiutare la persona, l’ansia dei progetti. Spesso possiamo usare dei modelli stigmatizzati e chiusi. Anche
persone con esperienza tendono a creare dei tipi educativi. L’educazione si caratterizza di questo rischio,
stigmatizzandole nel comportamento, senza magari vederne l’originalità e le differenze. Spesso c’è questo
tipo di conseguenza, legato anche al fatto di come interpreto il mio potere. Noi abbiamo un potere enorme,
possiamo aprire o chiudere la possibilità che una persona si veda dentro una determinata possibilità futura.

Il pregiudizio ci serve per avere delle immagini preventive del mondo, ci fa anche evitare delle situazioni
pericoloso, riesco ad evitare una situazione perché so com’è. Il pregiudizio diventa una trappola mortale
quando sostituisce la complessità di un giudizio.

Questa tipo di pregiudizio genera anche qualcosa di molto negativo, razzismo senza fondamento. Che cosa
abbatte i pregiudizi? La conoscenza, ovvero intraprendere un percorso di conoscenza, anche con le
persone. Come abbattere dei muri di razzismo? Bisogna fare in modo che le persone si conoscano.

Coinvolgimento emotivo: per creare quel clima di riconoscimento reciproco in cui la persona sente che
l’altro si prende cura, l’educatore è coinvolto perché osserva e coglie quelli che sono i desideri e i sogni
dell’allievo. L’emotività è elemento costante. Serve il giusto equilibrio, mantenere anche la giusta distanza:
non posso non avere una parte di coinvolgimento emotivo, ma non posso nemmeno avvicinarmi troppo e
dare una serie di coordinate troppo personali perché in questo caso cercherei un legame fuori luogo. C’è
sempre un aspetto di asimmetria dei ruoli, strutturalmente non è possibile perché avrò sempre un ruolo
diverso. L’amico è un pari.

Valori: non è possibile una neutralità di valori pertanto bisogna esserne consapevoli e capire come possono
influenzare la relazione. A volte è utile dichiararli per consentire all’altro di capire meglio i comportamenti.

Si ha un obbiettivo e uno scopo, sempre legato ad uno sfondo per un benessere e per le relazioni di
possibilità di qualcosa utili alla persona.

Segreto professionale: si possono raccontare degli episodi, ma sempre entro un certo limite.

Parole chiave del discorso educativo:

Formalizzazione:

Intenzionalità:

Progettualità:

Consapevolezza:

Metodologia:

Documentazione:

Educazione diffusa, ovvero l’educazione è ovunque. Una persona gentile non è intenzionalmente educativa,
ma lascia penetrarci, così come una persona non gentile.

Intenzionalità delle esperienze educative:


esperienze intenzionali: c’è un soggetto incaricato di educare un altro, a prescindere dal grado di
formalizzazione dell’esperienza (scuola, formazione aziendale, laboratori...)

Esperienze non dichiaratamente intenzionali: l’educando non ne ha consapevolezza (teatro, museo, gite)

Esperienze non intenzionali: più o meno casuali, il produttore di azioni educative non ne è consapevole o
non è riconoscibile come tale, non ha una progettualità educativa esplicita (rapporti interpersonali, itinerari
familiari o professionali, esperienze collettive per condivisione).

Epoché: la sospensione del giudizio è un processo complesso che richiede conoscenza di sé, di ciò che ci
mette in crisi e in difficoltà ad ascoltare e comprendere il punto di vista di un altro.

Orientamento alla critica costruttiva e alla ricerca di soluzioni efficaci ed efficienti.

Superamento del giusto/sbagliato come criteri di valutazione (che entrano in gioco in modo determinante
per lo sviluppo del pensiero etico e morale) e delle strutture politiche psichiche egocentrate.A sospendere il
giudizio è qualcosa che facciamo per rafforzare le nostre competenze educative, altrimenti il nostro
pensiero sarebbe offuscato da categorie che ci impedirebbero di capire bene perché una cosa funzione/non
funziona.

Anche la comunicazione, quando ci rivolgiamo ad un bambino, “non fare il cattivo”, “fai il buono” sono
categorie stravaganti, sono giudizi, generalizzate. Sindrome delle tre b “bravi, buoni, belli”

23.02

Lavoro di gruppo.

Progetto.

Spesso, per cercare uno suo spazio di gruppo e di esistenza dove può essere più o meno visibile, un
soggetto può utilizzare delle tecniche.

Il disagio che fa rumore è altrettanto assordante tanto quanto una persona che sta in silenzio. Bisogna fare
conto della storia personale. Il suo compito individuale è quello.

Lasciare uno spazio che sospenda il giudizio.

Il disagio che si prova è il momento per cui non si parla, è molto difficile arrivare allo sbrocco. Quel sentire
nel precompito,

Potrebbero piacerti anche