Sei sulla pagina 1di 11

PEDAGOGIA GENERALE

Pedagogia generale: c’è chi pensa sia solo un preambolo delle altre scienze dell’educazione, o una
sintesi di queste, o uno spazio in cui definire i problemi educativi da sottoporre a ricerca scientifica,
o ancora un “dispositivo” che attraversa i settori educativi per affrontare appunto tale argomento
ecc. Tutte queste posizioni hanno del vero e la pedagogia (generale) diventa una riflessione
generale (libera e aperta) su tali questioni. La sua funzione è di unire tutti gli aspetti pedagogici fra
di loro e a tutto ciò che può provenire da altre discipline o dal contesto esterno.

Quindi la pedagogia generale:

-ha una funzione generativa e regolativa


-ha un’identità critica (che si lega alla filosofia come discussione dei fondamenti dei saperi)
-si pone come esercizio critico rispetto alle questioni che tratta (principalmente
educazione/formazione)
-deve permanere al centro della pedagogia in quanto assume il ruolo critico di sintesi, legittimazione
e focalizzazione
-è il settore chiave della pedagogia che ne racchiude il senso (rispetto al passato), ma che porta
anche a un continuo ripensamento della disciplina (dati i dibattiti verso il futuro)

La pedagogia generale nella sua riflessività si articola attorno a tre nuclei (problemi, teorie, modelli) e lo fa
attraverso un dibattito sempre più complesso. Basta considerare l’esempio della relazione educativa: esso
si nutre delle scoperte delle altre discipline, i cui risultati si dirigono verso l’ambito educativo; perciò il tutto
veicola fra le scienze e la riflessività/intenzionalità pedagogica, grazie a cui si aprono molti orizzonti.
Perciò la pedagogia generale diventa una “tutrice” del senso e dell’obiettivo dell’educazione e anche un
esercizio di riflessività aperta, un modo di pensare/organizzare l’educazione.
Quindi la pedagogia generale verte su problemi, teorie, modelli; i problemi possono essere tradizionali o
meno, ma in ogni caso devono essere affrontati attraverso una riflessività aperta, poiché la pedagogia ha
proprio il compito di tenere viva l’intenzionalità pedagogica in ogni suo ambito (e lo fa attraverso il
dibattito critico), coltivando il “senso” del pedagogico.

Oggi la questione è diventata ancora più complessa poiché il concetto di educazione è stato revisionato: in
passato essa serviva alla costruzione di un soggetto secondo regole sociali e guidato da inculturazione,
apprendimento e conformazione, oggi il fulcro della pedagogia diventa la formazione (che ha qualcosa in
più dell’educazione).
Cos’è la formazione? E’ il processo di crescita, sviluppo, orientamento che fa del soggetto ciò che è e verte
soprattutto sulla vita interiore di questo che porta al superamento della materialità per finire verso la
spiritualità, lo sviluppo dell’io e della personalità. Perciò si può dire che la formazione sia lo sviluppo
del soggetto nella sua umanità, il quale cresce nella costante mediazione tra coscienza individuale e
oggettività culturale.
In che rapporto sta con l’educazione? La formazione, come “vita spirituale” implica inculturazione,
apprendimento e socializzazione e infatti è grazie a questi processi che la cultura arriva all’individuo; allora
l’educazione, come unione delle tre componenti, sta alla base della formazione, però quest’ultima va oltre,
spostandosi sul piano personale, interiore, spirituale. Si può dire che l’educazione trasmette e conforma il
soggetto, la formazione lo coltiva nella sua individualità (di essere singolo e creativo).
Perciò fra educazione e formazione c’è un rapporto di continuità e discontinuità, di integrazione e
opposizione: c’è un rapporto dialettico.
Quale mutamento socio-antropologico ha alle spalle?
Sullo sfondo del “rilancio” moderno del concetto di formazione ovviamente ci sono questioni socio
economico- culturali: nel presente ogni soggetto si deve mostrate responsabile e attivo di fronte al
cambiamento, deve farsi “individuo” nel senso di saper guidare se stesso.

Per coltivare l’umanità nel mondo attuale sono essenziali tre capacità:
1. La capacità di giudicare criticamente sé stessi e le proprie tradizioni: non accettare verità date per
vere dalla tradizione o dall’abitudine, mettere in gioco le credenze e accettare solo quelle che
resistono a coerenza e razionalità. Per fare questo è necessario saper ragionare in modo critico e
sfidare la tradizione.
2. I cittadini devono concepire sé stessi non solo come membri di una nazione o di un gruppo, ma
anche come esseri umani legati ad altri esseri umani da interessi comuni e dalla necessità di un
reciproco riconoscimento. Tutti ci pensiamo come parte di un gruppo o categoria, solo dopo ci
riconosciamo come esseri umani e per questo trascuriamo bisogni o capacità che ci legano a
cittadini che vivono lontano da noi, precludendoci possibilità di comunicazione, amicizia, ma
soprattutto ignorando responsabilità.
3. Il terzo requisito potrebbe essere inteso come “immaginazione narrativa”, ossia la capacità di
mettersi nei panni di un’altra persona e di capire la sua storia (emozioni ecc) e questo non signific
mettere da parte il proprio senso critico, perché comunque nel fare ciò si mantengono la propria
identità e giudizi. Ma alla base del giudizio (giusto, responsabile e razionale) c’è la conoscenza, e
per questo è necessario comprendere l’altro attraverso l’immaginazione.

Anche in pedagogia è fondamentale la costruzione di teorie, cioè quadri generali o modelli in grado di
orientare la comprensione dell’oggetto di studio, cioè l’educazione/formazione.
1. Le teorie della complessità sono interdisciplinari ed emergono dalla riflessione scientifica,
epistemologica, filosofica, ma agiscono da tempo sul fronte pedagogico. La complessità mette in
luce la varietà del linguaggio e dei temi della pedagogia, così come degli ideali ed essa si è inserita
anche nel modo di pensare la formazione, che va vista come un processo dinamico, aperto e
plurale. Questo perché è cambiata anche l’ida di soggetto (non è più unico e lineare) e di
cittadinanza (si pensi alla globalizzazione). Allora bisogna “formare alla complessità”.
2. Le teorie della differenza sono esplose nella cultura del ‘900 proprio attraverso le scienze umane,
ma anche attraverso la filosofia, il femminismo ecc. La differenza si è posta come misura per
3. pensare l’educazione e la formazione, attraverso modelli che valorizzino pluralismo e
disomogeneità. Le teorie dell’ecologia vedono come l’ecologia, da scienza legata allo studio
ambientale, si sia fatta strada fra i vari ambiti della conoscenza e dell’esperienza, diventando parte
della formazione che è al centro della cultura non solo per un collegamento con l’ambiente, ma
anche con la mente. L’ecologia quindi diventa un modello e un valore che deve essere messo a
fuoco per pensare l’io, la mente e la relazione fra soggetti. Ma c’è ancora molto lavoro da compiere.

1A. Il paradigma della complessità (E. Morin)


Complessità deriva da “complexus” e indica un insieme di costituenti eterogenei associati (pone così
il paradosso dell’uno e del molteplice), ma indica anche il tessuto di fatti/azioni che costituiscono
l’esperienze e quindi si presenta come ambiguità, disordine e incertezza.

2A. In Italia però tutto questo si è presentato in modo diverso rispetto alla Francia poiché (a) il tutto
è stato meno al centro del dibattito pedagogico, (b) c’è stato uno schieramento meno compatto,
anche a livello politico e infine (c) è mancato un punto di aggregazione teorica e “politica” che
permettesse la diffusione e il confronto di tale pedagogia con gli emergenti tecnicismi e altre
teorie scientifiche/psicologiche.
3A. fa riferimento in primo luogo alla denuncia della degradazione
dell’ambiente e alle conseguenti preoccupazioni riguardo il futuro della specie/vita umana: in questo
senso si articola quindi una campagna pedagogica di sensibilizzazione, favorita dalla neutralità e
universalità del problema. L’obbiettivo è sempre la consapevolezza.

Come si articola il discorso pedagogico? Esso ha caratteri riflessivi e generali da una parte e
critici/problematici dall’altra. Per questo si può arrivare a dire che si tratti di un discorso filosofico, se si
intende la filosofia come riflessività critica e problematizzante, che tiene sempre aperte le sue tematiche.
Così la pedagogia generale discute in modo aperto i suoi problemi, partendo da più punti di vista e
proseguendo con il confronto. Si richiede perciò che il soggetto sia libero, autonomo, creativo, aperto,
dinamico, responsabile e per questo l’educazione richiede/reclama la formazione. Il compito che si ha verso
i giovani è quello di far crescere la loro interiorità. Il mondo attuale, definito da una società della
partecipazione e dell’agire responsabile, richiede soggetti forti nella loro iniziativa e libertà. Se quindi il
soggetto si deve formare in questo modo per questo tipo di società, deve essere dotato di una
buona “forza del carattere”, ma un carattere inteso in modo “soft”, come identità disponibile a stare con
gli altri e in grado di orientare se stesso. Il carattere è coscienza di sé, volontà di essere sé stessi e di
agire nel mondo, ma è anche sensibilità intrapersonale e interpersonale e a questo deve puntare la
pedagogia.
Ciò può avvenire risvegliando i giovani alla cura di sé e alla coltivazione del carattere verso l’unicità
personale: tale risveglio è sì etico, ma anche estetico, in qualità di “darsi-forma” e di crescita continua.
Si tratta di un esercizio che dura tutta la vita, comincia in famiglia e prosegue a scuola, dove la cultura
sostiene tale processo; poi prosegue ancora grazie ai media, che oggi trasmettono modelli per lo più
omologati, ma anche creatività e novità, infine si continua lo sviluppo attraverso la socializzazione nelle
diverse agenzie, dall’associazionismo ai luoghi di lavoro, che diventano un “banco di prova” delle capacità
relazionali.
è stato evidenziato che la pedagogia è liberare e promuovere, è far uscire dai condizionamenti,
rendendo ogni individuo protagonista della propria formazione (in modo che diventi auto-formazione).
L’ottica della libertà è quindi sempre più importante, il principio guida è quello di promuovere un io che si
fa portatore di un progetto di vita e di una personalità unica e irripetibile. Tutto ciò è il risultato di un lungo
processo di dibattiti e teorie; il principio della libertà è diventato il motore stesso della pedagogia, così
come l’emancipazione ha assunto un valore chiave in una società in cui l’io deve essere attivo, dinamico,
produttivo e responsabile.
Tutto questo però comporta un ruolo e un compito della pedagogia piuttosto complesso, che coordina il
politico, l’istituzionale e il pedagogico e integra teorie e pratiche; per questo in tale disciplina è racchiuso il
senso e la norma dell’educare.
La varietà della pedagogia generale mette in luce anche un altro aspetto cruciale: il ruolo determinante che
l’educazione ha avuto in ogni società, in cui riguarda l’aspetto fondamentale della trasmissione dei saperi;
infatti è proprio l’educazione che permette la crescita e la sopravvivenza delle società e lo fa formando i
giovani sulla base della tradizione.
Il problema della sopravvivenza di una società consiste nella trasmissione dei saperi, possibilità data
dall’educazione, si vede infatti come l’uomo è sempre stato coinvolto in una ricerca di liberazione ed
espansione e in un modo di educare se stesso e gli altri uomini. L’educazione quindi costituisce l’insieme di
quegli strumenti necessari alla trasmissione dell’educazione; quest’ultimo è un concetto che assume molti
significati, fra cui azione che favorisce lo sviluppo fisico/intellettuale/morale della persona umana, verso la
coscienza di sé.

Il termine educazione designa molti significati, già le due etimologie sono diverse fra loro: la prima
allude all’allevare dal punto di vista organico/fisico, la seconda indica il favorire lo sviluppo da un
punto di vista mentale/caratteriale/sociale. Ciò avviene in contesti in cui il bambino può essere
sostenuto e aiutato dall’adulto, ma ciò non basta, perché il punto fondamentale riguarda la
conquista della maturità da parte della persona: quindi l’ “allevamento” è collegato ad aspetti
affettivi/emotivi che si collegano a loro volta al contesto esterno del periodo. Quindi l’educazione è
l’insieme di tutti questi aspetti, un cui aspetto fondamentale è la comunicazione.
vuole rendere l’uomo in grado di “ragionare con la propria testa”, in linea con ciò che ci si aspetta da lui in
quel periodo storico. Per questo diventano così importanti inculturazione e acculturazione; è però
importante sottolineare che l’assimilazione alla cultura propria o altrui non è sempre educativa, deve
avvenire nel modo giusto (evitando preconcetti e pregiudizi per esempio).
L’educazione è basata sulla tradizione, ma al tempo stesso mira al superamento di questa per il
progresso e ciò talvolta può assumere il carattere del distacco o ribellione. Per non dimenticare poi
il fatto che educare guardando al futuro ha spesso portato a immaginare aspetti utopici.
L’educazione si basa sia su fattori esogeni che endogeni: gli endogeni sono propri del soggetto, in
parte innati e in parte acquisiti, gli esogeni derivano dall’ambiente esterno. Questi due tipi di fattori sono
presenti e fondamentali, così come lo è il rapporto reciproco fra educatore ed educando.

La nascita della pedagogia:


Socrate pone il soggetto come destinatario della crescita: a lui interessa il colloquio
interiore all’individuo e lo scambio dialogico con altri; allo studioso interessa rendere l’uomo libero di
decidere per diventare responsabile della propria vita e per fare questo sfrutta l’ironia (conduce l’uomo
alla conoscenza), l’aporia (valorizza l’incertezza derivante da due validi discorsi opposti), la dialettica
(discussione che spinga ad una soluzione), la maieutica.
Platone invece, rifacendosi all’eredità di Socrate, guida l’educazione in linea con il suo tempo: ricostruisce
la paideia passando attraverso la lezione socratica, così come lo stato del periodo; in particolare guarda al
legame educazione-Stato come due fattori legati che si influenzano a vicenda: pedagogia e politica
dipendono l’una dall’altra.
In seguito la disciplina ha incontrato le influenze del cristianesimo, della scienza
moderna e della democrazia contemporanea, diventando sistematica e deduttiva.
Ma l’influenza più importante deriva dalla filosofia, che ha reso il discorso pedagogico speculativo; si è
arrivati a pensare ad un eccessivo legame fra le due e al fatto che la filosofia abbia portato una logica
astratta e metafisica al campo pedagogico.
Dewey comincia chiedendosi se esiste e se può esistere una scienza dell’educazione. Bisogna però partire
chiarendo il fatto che la parola “scienza” ha più significati. C’è chi vuole limitarla alle scienze in cui si arriva
a risultati esatti attraverso metodi rigorosi (cosa che includerebbe solo matematica e pochissime altre
discipline), ma c’è anche chi vuole estendere il termine a più ambiti e a più discipline, definite ovviamente
da aspetti come il metodo. Il fatto è che i metodi tendono sempre a cambiare verso un miglioramento e
questo è ciò che deve affrontare anche la pedagogia. Strutturare i metodi in un certo modo fa sì che lo
studioso possa essere utile non solo a sé stesso e al pubblico, ma anche ai ricercatori successivi, per portare
beneficio e dirigersi verso il progresso. Quindi è importante sottolineare che la scienza porta a
diversificazione più che uniformità, anche se serve rigorosità nei metodi ecc e per questo si crea
concorrenza e progresso.
Ormai – anche in Italia – si parla di “scienze dell’educazione” per indicare il campo di studi che solitamente
veniva indicato come pedagogia, infatti il processo di trasformazione di tale disciplina dura da molto tempo
(perfino secoli), tuttavia non si può ancora parlare di “morte” della pedagogia; anzi, si può dire che proprio
le scienze dell’educazione evidenzino le tematiche e la complessità della pedagogia stessa, arrivando a un
collegamento con essa che non è sempre pacifico. Bisogna specificare che parlando di “scienza” (o in
generale o di scienze dell’educazione) si indica un sapere valido quanto la pedagogia (o la filosofia,
nell’esempio citato), ma specifico per un aspetto metodologico (si basa su esperienze replicabili che
permettono di fare previsioni) e per uno logico strutturale (il tutto si fonda su concetti ben definiti da cui si
possono trarre regole/ipotesi valide).

Per educazione bisogna intendere quell’insieme di azioni che favoriscono lo sviluppo della persona nella sua
totalità, qualcosa che riguarda la conformazione del soggetto e che è per lo più sociale. il fine è spesso
quello di emancipazione per gli uomini: l’educazione riguarda ogni ambito della vita e per questo oggi si
parla di educazione permanente (modello lifelong learning).
costituito da molti settori diversi che costituiscono la “soggettività” e anche se sta diventando un concetto
sempre più ampio e importante non è in grado da sola di risolvere le problematiche esistenziali. Se educare
significa formare un soggetto non si può osservare solo un modello, ma tenersi aperte infinite possibilità e a
proposito di questo la formazione diventa la categoria più adeguata per pensare la pedagogia.
ma l’ha indirizzato verso quello di formazione e quindi verso più prospettive (culturale, economica, sociale
ecc), tutte riguardanti il soggetto in sé; però date tutte le problematiche contemporanee questo processo
diventa complesso e si tende a concentrarsi di più sul percorso stesso che sul risultato.
La pedagogia nel corso della sua storia è stata connotata come:
- Scienza
perché è un insieme sistematico di conoscenze riguardo l’uomo e la sua costituzione personale/sociale
- Arte
perché significa applicare conoscenze per realizzare un progetto
- Filosofia
perché ha basi speculative

Pedagogia deriva da “pais” = bambino e da “agon” = guidare e indicava, nella Grecia classica, la guida o
conduzione del fanciullo, in sostanza l’educazione, mentre il pedagogo era appunto colui che fungeva da
guida. Nel corso del tempo la pedagogia si è allargata fino a comprendere tutto l’arco della vita e si è
specializzata in settori sempre più precisi. Dagli anni ’80 allora la pedagogia è diventata un sapere
complesso (perché rifiuta di ridurre la molteplicità), plurale (perché aperto a più metodologie) e unitario
(perché ricolloca entro un quadro unitario tutte le frontiere dell’educazione).
E’ importante notare la centralità del concetto di formazione, che poi supera quello di educazione poiché
ne descrive gli aspetti specifici e soggettivi fissandoli in un quadro universale. Questa situazione è stata
raggiunta a fatica, dopo la subordinazione ad altri saperi.
Quindi la formazione è posta al centro sia riguardo il soggetto (per la conquista di sé stesso/della
personalità) sia in relazione al rapporto fra questo e la società/contesto e proprio per questo collegamento
diventa ciò che meglio rappresenta la prospettiva pedagogica e che ancora la teoria alla pratica. E in questo
senso tutte le pedagogie minori che si sono sviluppate di recente vengono unificate dalla pedagogia.
Pedagogia generale e sociale vengono considerate come due volti della stessa medaglia nel senso
che entrambe si occupano di problematiche educative e formative: dalle denominazioni delle due branche
sembra che la prima si occupi più di fornire le coordinate generali d’interesse, mentre la seconda di
applicarle agli ambiti sociali. Però ciò non è del tutto esatto: il “sociale” è nell’interesse di tutta la
pedagogia da sempre, sia a livello teorico che pratico.
la pedagogia sociale costruisce ipotesi di metodi adeguati ai contesti specifici e le basi per fare ciò vengono
fornite dalla peda generale. Dunque la peda sociale è parte della generale, solamente nell’affrontare una
tematica come può essere la scuola la collega alla più ampia visione globale del contesto sociale.
Il motivo d’esistenza della pedagogia sociale risiede proprio nel fatto che essa si riferisce ai contesti
specifici, altrimenti la pedagogia generale, una volta assorbita la dinamicità della società, non avrebbe
motivo di essere messa in discussione. La pedagogia sociale nasce insieme alle diverse forme di educazione
e riflette su esse, ma non per questo è una scienza senza metodo: mantiene sì il suo carattere teorico, ma lo
supera anche, attraverso metodi difficili da descrivere.
Educare gli adulti:
Le problematiche riguardo l’educazione degli adulti comprendono sempre un tema “sociale”, poiché
coinvolgono la relazione fra l’individuo e la collettività e si richiamano i tre sistemi educativi principali:
educazione formale, non formale, informale. Infatti non è più sufficiente garantire agli individui quella
formazione di base che prepari a una specifica mansione, bensì bisogna promuovere cose come la crescita
culturale, per rendere tutti cittadini attivi in grado di fronteggiare le novità ed evitare l’esclusione.
Il paradigma lifelong learning riguarda la possibilità (elaborata da EDA – Educazione degli adulti) di un
apprendimento permanente, in tutte le età, cosa che parte anche da giustificazioni teorico-scientifiche
(plasticità neuronale, ridefinizione delle età ecc).
Dagli anni ’90 si diffonde il modello della qualità totale e dell’apprendimento lungo tutto il corso
della vita e in tutti i luoghi, conseguente al cambiamento sia della società italiana che di quella
mondiale (instabilità lavorativa, novità tecnologiche, globalizzazione ecc); la differenza con il
modello precedente consiste nel fatto che non ci si basa più su un sistema di fabbrica, ma il tutto
avviene nel mondo dei servizi e del capitale “immateriale”, dove la cosa più utile è saper gestire e
sfruttare le conoscenze possedute.
Questo modello guarda alla formazione adulta non solo per l’ambito lavorativo, ma per tutte le realtà
affrontate nella vita quotidiana; quindi si lega un’economia della conoscenza con la “cura sui”, come
comprensione delle proprie potenzialità. Ciò, valorizzando il singolo, va ad arricchire anche la collettività.

Il concetto di educazione permanente si collega al concetto di “società della conoscenza”, come metafora
della realtà interpretata in due modi: apprendimento come elemento che conforma, o come risorsa.
La seconda lettura viene adottata come descrizione della contemporaneità, dove l’apprendimento diventa
un modo per far fronte ai cambiamenti e a cose come la globalizzazione. In questo scenario allora
l’apprendimento diventa anche la capacità dei singoli di trarre insegnamento dalle esperienze proprie e
altrui e quindi la possibilità di formarsi e determinarsi attraverso la “cura sui”.
In questo senso nell’educazione degli adulti l’apprendimento non diventa solo un modo per arricchirsi a
livello lavorativo, ma un modo per conseguire il proprio benessere psico-fisico e sociale, un processo che ha
quindi al centro il soggetto stesso.
Per questo la formazione non può più essere vista solo come istruzione, bensì come educazione che agisce
di fronte ai bisogni di un individuo inserito in una collettività in continuo cambiamento. In questo senso
l’educazione degli adulti si basa sui concetti di cambiamento e apprendimento continuo, che coinvolgono
tutti gli ambiti di vita.
Riguardo la formazione adulta sono importanti i circoli di studio, che si sono sviluppati basandosi più sulla
domanda che sull’offerta formativa: essi si distinguono per l’apprendimento che avviene sulla base di
esperienze condivise o di discussioni. La fortuna di tali circoli di studio consiste non solo nel fatto che
promuovono conoscenza e approfondimenti/discussione di temi vari, ma favorisce anche la costituzione di
reti sociali, che superano l’individualismo e la società frammentata di oggi, coinvolgendo sia mondo
cognitivo che emotivo del soggetto.

La filosofia dell’educazione è un settore della pedagogia generale, ma con una specificità, in quanto ha una
funzione di riflessività critica intorno al discorso peda, intorno al suo senso e ruolo, avendo così una
funzione fondamentale per la peda stessa. Il suo apporto ai saperi dell’educazione è quello di porsi in
un’ottica di riflessività più radicale, aggiornando le basi della peda, ma mantenendone comunque vivi i
fondamenti. pur stando all’interno de saperi dell’educazione essa se ne distacca per coordinare i saperi
provenienti dalle scienze umane; inoltre veniva denunciato lo scarso interesse accademico per questo
settore. ha un ruolo particolare rispetto i saperi dell’educazione: ne fa parte ma sta anche a sé;
è problematico anche il rapporto con la peda generale stessa.
Rapporto con la pedagogia generale: ha un rapporto primario e secondario insieme: primario poiché
analizza e coordina i settori stessi della peda, secondario perché non rappresenta tutta la peda ma un suo
settore specifico, cioè quello della riflessività critica.
La filosofia dell’educazione si pone il compito di riflettere sul pedagogico per definirne il metodo, la logica
ecc, attraverso approcci diversi ma complementari. Si tratta quindi di un ambito autonomo che però si
innesta con altri ambiti di pensiero.
Fondamentale poi all’interno della filosofia dell’educazione è l’assiologia, che tratta i fondamenti dell’agire
e del pensare: anche qui si procede attraverso un’analisi razionale dei modelli delineati storicamente e delle
gerarchie di valori per sviluppare ciò che può risultare più utile al procedere della peda.
I valori-guida della pedagogia risultano comunque gli stessi che animano le altre scienze umane:
emancipazione, libertà, uguaglianza, integralità, dialogo, responsabilità e comunità.
La filo dell’educazione ha subito un doppio processo: riduzione e specializzazione: d ambito generale e
primario della peda è diventato un ambito particolare e secondario, anche se comunque importante.
Ciò ha prodotto una nuova attenzione verso tale disciplina, cosa che è diventata un problema tanto quanto
un vantaggio. Tale specializzazione ha fatto sì che all’interno della filo dell’educazione stessa emergessero
più ambiti: epistemologia, axiologia…

Fra i settori della pedagogia generale troviamo la pedagogia della famiglia, la quale si propone di
approndire un settore di ricerca rispetto a un contesto di vita, quindi diventa sia un ambito preciso di studio
che un intervento per quell’insieme di relazioni che definiscono la famiglia. Così come per le altre
specializzazioni non c’è né un rapporto di subordinazione né di indipendenza con la peda, ma un rapporto
di scambio e integrazione.
le strutture familiari attuali oltre che essere molteplici, sono completamente diverse da quelle del
secolo scorso. Al di là di questo va comunque sottolineato che la famiglia non è un’istituzione statica, ma
dinamica, in sintonia con la situazione socio-economica e culturale.
Il fatto che sia necessario pensare a nuove modalità di educazione familiare si collega al concetto di
infanzia, il cui percorso è stato lungo e travagliato. Il tutto cambia con il ‘900, quando Freud modifica la
prospettiva sui bambini e da puri/innocenti che erano diventano perversi-polimorfi ed emerge che le
persone mantengono esperienze e traumi infantili per tutta la vita.
Si continua con le analisi di Piaget fino alla Montessori e l’infanzia viene valorizzata come momento cruciale
di maturazione del singolo.

Quindi il ‘900 ha portato un’interpretazione scientifica e socio-culturale


dell’infanzia, mentre prima essa era vista solo come un momento di totale debolezza e dipendenza del
bambino dal mondo degli adulti.
è stato mostrato come l’infanzia più che un prodotto biologico sia un prodotto sociale, poiché in linea con la
storia del periodo e con il proprio contesto di appartenenza (classe sociale, situazione economica ecc).
Allora il ‘900 interviene su questo, riconoscendo l’infanzia un ruolo cruciale nella crescita e
approfondendone le tematiche: opera sia di poeti/scrittori che di studiosi dal punto di vista scientifico.
L’infanzia viene quindi riconosciuta e protetta nei suoi diritti e un ruolo centrale viene assunto dal gioco:
esso valorizza e soddisfa i bisogni del bambino di socializzazione, autonomia, movimento e fantasia e si
tratta di un’attività che non può essere sostituita da modalità di apprendimento proprie del mondo adulto.

La peda si è sempre occupata di scuola come fulcro dei suoi studi, poiché è tramite la scuola che si formano
le nuove generazioni e attraverso cui questi apprendono i patrimonio culturale; quindi la peda, come
scienza delle dinamiche educative, rappresenta un punto di vista fondamentale per affrontare gli interventi
e le problematiche scolastiche.
La peda quindi esplicita l’intenzionalità educativa della prassi scolastica (cosa non sempre fatta la corpo
docente), in particolare le tipologie intenzionali che caratterizzano l’agire educativo sono tre: educare,
istruire, formare. Questi tre concetti sono spesso stati in una zona d’ombra, tuttavia data la loro
importanza e connessione, vanno chiariti in un quadro di sintesi.
Educare: si tratta di un concetto piuttosto diretto che si rifà alla sua etimologia e quindi al “nutrire, guidare,
sostenere ecc”; l’educazione è quindi un processo complesso poiché contiene in sé sia l’azione
conformatrice, legata a modelli prestabiliti, che l’azione mirata alla realizzazione dell’individuo come unico;
inoltre ha effetti sia a breve che a lungo termine: dai comportamenti immediati a quelli che diventano
abitudini.
iStruire: Si vede invece che l’istruzione è legata al processo di insegnamento/apprendimento come
acquisizione di competenze e abilità descritte da un percorso curricolare, si basa quindi su una
programmazione di didattica e su esiti immediatamente valutabili; il tutto si svolge attorno a questi obiettivi
che hanno più valenza strategica che di guida.
Formare: Si tratta del concetto più complesso poiché comprende una molteplicità di aspetti, relativi alla
crescita biologica, fisiologica e psicologica del soggetto; quindi parliamo di una pluralità di eventi che
costituiscono un processo dinamico e mobile, ma al tempo stesso unitario, poiché riguarda quel soggetto
definito come unico. (tensione fra particolare e universale.
Tale tensione si evidenzia anche in relazione alle situazioni contingenti, che da un lato vincolano
l’individuo al contesto in cui si trova, dall’altro lato si va oltre come liberazione/emancipazione della
persona)

I movimenti femministi, cominciati già nell’800 per una ricerca di emancipazione femminile, sono esplosi
nel 1968 e ciò per l’occultamento avvenuto nei confronti della categoria femminile in favore del
predominio maschile, nella logica del dualismo di genere. Il femminismo ha sviluppato un lavoro teorico
vasto e originale a livello internazionale, che ha coinvolto tutti i campi del sapere. la sfida più grande del
femminismo non è stata solo quella di rilanciare se stesso, bensì quella di scardinare i pregiudizi sessisti
della società, dove l’entità maschile è considerata universale e superiore. In questo senso alla fine del
secolo scorso si sono affermati prima il mondo dell’emancipazione e delle pari
opportunità, per far sì che i due sessi ottenessero pari diritti e poi il paradigma “della differenza”, che
rivendicava la specificità femminile tutto ciò ha coinvolto ovviamente anche la riflessione pedagogica. Così
la conquista dell’uguaglianza ha dato visibilità alla cultura femminile su molti fronti, poi la peda della
differenza ha ricostruito l’identità e l’appartenenza dell’ “essere donna”. Ultimamente sono stati ripensati i
concetti di genere e di differenza, non per negarli, ma per ampliarne gli orizzonti visti i cambiamenti
contemporanei: le differenze si moltiplicano e l’identità femminile ha bisogno di ritrovarsi entro una
pluralità di esistenze.
Negli ultimi decenni la pedagogia si è interrogata sul proprio statuto (linguaggio, modelli di riferimento ecc)
e si è riconosciuta come punto di convergenza fra varie discipline; tuttavia sarebbe riduttivo pensare ai
cambiamenti della pedagogia avvenuti “recentemente”, poiché bisogna allargare lo sguardo ai cambiamenti
di tutta la società. in gioco è l’identità stessa del sapere peda, basti pensare al trinomio di base educazione-
istruzione-formazione; la formazione è il processo più complesso che, contrassegnando
l’individuo in quanto tale si collega alla dimensione della cultura: tale categoria ha conosciuto una sue
evoluzione e costituisce lo svolgimento dell’educazione così detta.
Nella seconda metà del secolo scorso è stata evidente la tensione fra educazione e formazione; sarà
centrale la tematica della liberazione, sia individuale che politico-sociale, in linea con l’idea di
emancipazione.
L’educazione si è sempre manifestata come una relazione asimmetrica, al cui interno si sono collocate
diverse figure, dal maestro nei confronti del discente, a colui che sa rispetto a colui che ignora, fino
all’adulto rispetto al bambino.
Un rapporto che è sempre esistito e che rappresenta proprio quell’autorità
con cui il fanciullo viene a contatto fin da subito; quindi l’autorità non è “qualcosa che si ha”, bensì un
rapporto, che entrambi i soggetti in gioco contribuiscono a modificare. In questo senso tale rapporto
educativo ha sempre richiesto la presenza di due momenti: una misura di libertà/indipendenza e subito
dopo una subordinazione all’altro quindi libertà e illibertà sono contemporaneamente presenti.
Tale duplicità è dovuta probabilmente al fatto che colui che esercita l’autorità rappresenta la società
dell’allievo stesso ed è necessario tale atteggiamento proprio per l’emancipazione del fanciullo.
La stessa educazione classica si ispira alla paideia e conferisce alla libertà dell’educazione un senso preciso,
ossia quello di liberare l’individuo da un triplice obbligo: obbligo sociale di conquistare la propria vita,
obbligo familiare e obbligo interiore dei pregiudizi e delle passioni.
Viene sottolineato come la maturità sia una maschera, il percorso attraverso il quale si acquistano gli
strumenti per l’integrazione sociale; l’adulto viene definito come una realizzazione compiuta
definitivamente e caratterizzata da un mondo fisso, in realtà più nulla è fisso, neanche il concetto di
maturità. Freud ha contribuito a sfatare il mito dell’adulto, anche questo caratterizzato da incompiutezza
quindi stabilità e maturità vengono messe in discussione, l’uomo moderno è incompiuto (incompiutezza
che riguarda anche il sapere) e il destino dei giovani appare il nichilismo.

La critica e la contestazione dell’autorità è stato uno dei temi emergenti degli anni ’50 e ’60, in particolare
il movimento del ’68 trovò nella critica all’autoritarismo uno dei suoi fili conduttori. la famiglia viene
vista come “agenzia” psicologica
dell’autoritarismo del sistema sociale dominante (Fromm, Marcuse) e il rifiuto proprio della
famiglia si
collega a un’apertura di spazi, di occasioni di formazione e di figure di riferimento  un
esempio ne erano
le “comuni”, dove i giovani vivevano insieme (in luoghi alternativi rispetto alla famiglia)
all’insegna
dell’uguaglianza e di nuove esperienze dai tratti utopistici: tali pratiche contro culturali
costituivano il
terreno di sperimentazione di nuove pratiche formative in cui è il soggetto stesso a definire i
propri tempi
(e modalità), all’insegna dell’autoeducazione. Ma non è solo la famiglia il problema, bensì anche
le altre
istituzioni repressive come la polizia, la Chiesa, gli ospedali e per finire la scuola, che
trasmette un modello
di conformazione disciplinare e un’educazione alla subalternità.

Quindi quella di quegli anni fu anche una critica ai metodi disciplinari, in particolare la
“rivoluzione
pedagogica” proponeva un modello educativo fondato su cose come partecipazione,
cooperazione,
autogestione, creatività, autonomia ecc, ma in particolare voleva trasformazione in senso
democratico dei
luoghi dell’educazione; inoltre venivano richiamati altri temi come il conflitto fra le “due
culture”
(umanistica e scientifica) o quello fra cultura alta e cultura di massa.
Comunque si può pensare che esista una relazione fra organizzazione politica della società e
pedagogia
dell’insegnamento, ma la relazione non è a senso unico. Intono all’idea di “democratizzazione”
ruotano molti
significati, dal dare più libertà, al rendere i giovani uguali di fronte all’insegnamento così le
opinioni di fronte all’autoritarismo dell’insegnamento sono diverse, in base agli
scopi che ci si prefissa; per Dewey la società democratica era quella che formava – attraverso
la scuola –
dei veri democratici il ruolo dello Stato democratico è di permettere ad ogni individuo di
trovare la propria strada e quindi le proprie idee, senza indottrinarne il pensiero.

Quindi bisogna far emergere il fatto che il problema non sia l’autorità, ma il tipo di autorità,
dato che ce ne
sono diversi, e quindi il dibattito dev’essere concentrato su quale sia la forma (di autorità) più
adeguata per
l’educazione (per formare alla libertà).
La critica dell’autorità ha segnato il destino della peda, rendendo la formazione (come
categoria) sempre più evidente e discutendo rapporti come quelli fra educazione/formazione o
fra maestro/scolaro.
L’utopia sembra essere alla base del discorso pedagogico, nel momento in cui questo si pone
verso il futuro,
attraverso una progettualità sia antropologica che etico-politica. L’utopia sembra collegarsi
sia alla
categoria di possibilità che alla temporalità, muovendosi attraverso una progettazione del
tempo stesso, ma
essa si lega anche al senso dell’ “altrove”, proiettandosi in altri luoghi, sia reali che immaginari.
Quindi tutto
ciò appare anche come una critica al presente, trasportandoci in “mondi nuovi e possibili”
creati attraverso
nuovi modi di pensare.
Ciò però non deve essere interpretato come “fuga/evasione verso mondi alternativi”, bensì
come
progettualità alternativa, cosa che si vede nella contestazione giovanile degli anni ’60 dove le
matrici
culturali e ideologiche di tale movimento furono molteplici. I movimenti studenteschi europei
concepivano il conflitto più in termini culturali che economici, volgendosi
contro l’intero sistema e questo perché erano mossi dallo slancio proprio dell’utopia che vuole
una
trasformazione radicale.
quindi era vivo il rifiuto della tradizionale impostazione della formazione
umana, per indirizzarsi verso un processo formativo individuale sciolto/libero: più che una
rigida
programmazione/anticipazione del da farsi si vuole la dinamica del desiderio e dell’interesse
allora l’utopia pedagogica si calibra sulla fluidità e sistematicità della processo formativo, il
tutto basato su un
principio di libera espressione di sé e della creatività.
La categoria della formazione sembra quella maggiormente in grado di evidenziare la
crescente
individualizzazione dei processi educativi, dove il soggetto stesso è chiamato a definire il
proprio divenire
educativo, ad assumersi l’impegno e la responsabilità del proprio percorso. Tutto ciò all’interno
di uno
“spazio” pedagogico sempre più incerto, aperto a molteplici strade e sentieri formativi, al
contempo più
libero e più fragile. Si potrebbe dire che oggi la formazione va declinata secondo il
“principio dell’incompiutezza”, il quale mette in crisi il concetto di educazione a cui si
assegnava il compito
di preparare gli individui a diventare adulti, cioè diventare “compiuti”. Anche se a entrare in
crisi, come
sottolinea La passade, è proprio il concetto dell’essere adulto e della maturità che vedono
sempre più
ambiguità. Si potrebbe dire che oggi la formazione va declinata secondo il
“principio dell’incompiutezza”, il quale mette in crisi il concetto di educazione a cui si
assegnava il compito
di preparare gli individui a diventare adulti, cioè diventare “compiuti”. Anche se a entrare in
crisi, come
sottolinea Lapassade, è proprio il concetto dell’essere adulto e della maturità che vedono
sempre più
ambiguità. Per questo la formazione come categoria diventa sempre più sensibile ai temi della
diversità e differenza,
ma più in generale è sempre più esposta e “vulnerabile”.

Potrebbero piacerti anche