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Pedagogia 20.

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L’educazione del futuro, testo del 2011. Se il sapere è chiuso, perde di vista alcuni aspetti fondamentali della
conoscenza pedagogica. Innanzitutto il contesto, se la pedagogia si concentra soltanto sui processi educativi,
senza guardare al contesto, senza guardare alla cultura, ha un limite. Se non considera il processo educativo
come un evento complesso perde di vista gli aspetti necessari per comprendere l’educazione stessa, la
multidimensionalità, il fatto che ci sono più livelli, non soltanto più influenze, più fattori, proprio più livelli
dell’educazione. Tutte queste specificità secondo Morin vengono marginalizzate, trascurate pedagogia
chiusa, che invece ha bisogno necessariamente di altre conoscenze.
Morin mette in luce anche la dinamica della globalizzazione, le implicazioni della globalizzazione come
fatto sociopolitico ed economico sull'educazione, altro aspetto che costringe al confronto interdisciplinare.
È anche un fatto etico, la chiusura della disciplina, quindi, la mancanza dell'interdisciplinarietà sul piano
etico comporta una delimitazione della responsabilità della ricerca stessa.
Perché se io mi centro su un oggetto specifico, l'educazione, e pretendo di mettere l'educazione sotto la
lente di ingrandimento, però chiudendo il mio sapere agli apporti che possono derivare dalle altre
discipline, sto anche delimitando il mio obiettivo. Sto in qualche modo dicendo che la mia responsabilità
conoscitiva è chiusa nell'ambito del sapere pedagogico e non ha una responsabilità rispetto agli altri saperi,
né tantomeno rispetto a degli ambiti di vita.
Quindi sul piano etico, l'interdisciplinarietà è necessaria perché implica la responsabilità del sapere
rispetto ai mondi della vita, oltre che rispetto alle altre discipline. Anche perché, sostanzialmente,
l'interdisciplinarità va intesa con uno scambio, non significa perdere il proprio obiettivo o i propri metodi,
significa anche dare alle altre discipline.
Infatti Granata nel percorrere le possibili intersezioni, mette in luce questa natura di scambio tra pedagogia
e le altre scienze umane.

La questione della reciproctà tra le diverse discipline è messa in luce da un altro testo che cita La Granata,
che è ‘’ad armi pari’’ di Bertolini. Piero Bertolini indaga la relazione della pedagogia con altre discipline
come la psicologia, la teologia, sociologia e la medicina. In questo volume del 2005 chiarisce da subito che
la pedagogia è chiamata ad accettare la valenza, la significatività, l'importanza degli altri studi, di altri
approcci per comprendere l'educazione e i contesti in cui l'educazione si dà.
Ma vuol dire comunque mantenere la propria centratura, riconoscendosi come scienza tra le scienze,
questo vuol dire ‘’Ad armi pari’’, non più in una posizione di presunta subordinazione.
Questa è la stata la posizione prevalente della pedagogia nel secondo 900 tra le scienze umane.
Altro studioso che riporta la Granata è Carlo Nanni. Egli è un po' affine nella posizione a quella di Bertolini.
Lui pone l'accento sulla persona. La specificità della pedagogia, della pedagogia interculturale nello
specifico, sta nel fatto che guarda all’educazione e formazione della persona. La sociologia non considera la
persona in quanto tale, non lo fa nemmeno l'antropologia, che invece ha un discorso più generalizzante
sull'uomo o da una prospettiva culturale, non lo fa neppure la psicologia. Invece la pedagogia trova il suo
centro nella persona.

La centratura pedagogica sulla persona è una specificità, la pedagogia interculturale deve averla per
riuscire a non perdere la sua prospettiva, specifica e a leggere in maniera adeguata rispetto al proprio
oggetto di studio i risultati che arrivano da altri lavori di altre discipline.
Se la pedagogia culturale perde questa centratura, si sbilancia e finisce con lo snaturare i suoi obiettivi, che
non sono quelli dell'inclusione, ma la difesa della dignità della persona. Il sostegno dell'educazione e della
formazione della persona, che naturalmente vive in un contesto che è quello di dialogo tra le diverse
culture.
La pedagogia interculturale si definisce come tale in Europa a partire dagli anni 70, quando in Francia a
partire dagli studi di poche, dai suoi interventi all'interno dell'Unione europea si postulava la necessità di
un'educazione interculturale per il figli degli immigrati e dunque dell’educazione culturale.
L'obiettivo, però, in quella primissima fase era di accogliere ed includere gli stranieri nel contesto della
scuola e poi si allargava alla società. Ma l’accoglienza al pari dell'inclusione e dell'integrazione non è la
finalità primaria della pedagogia interculturale, resta il sostegno alla persona, che peraltro è difficilissimo da
definire. Bruner ci parla di un sé con storie e possibilità. L’elemento della storia è fondamentale per la
pedagogia perché l'approccio più adeguato a comprendere e conoscere la persona e contemporaneamente
sostenerla nel percorso educativo.

La pedagogia interculturale in maniera molto significativa negli Stati Uniti ha avuto una declinazione
specifica che è quella degli intercultural Communication Studies, la granata menata lo metterà come punto
di domanda singolare questo sviluppo.
Mentre in Francia, negli anni 70 la necessità di comprendere i fenomeni legati all’intercultura trova il
proprio ambito di interesse, di studio, di intervento negli Stati Uniti. Invece, il settore specifico in cui si
inserisce questa prospettiva di studi è quello delle scienze della comunicazione, non delle scienze
dell'educazione come in Europa.
Negli Stati Uniti, lo studio della comunicazione interculturale guarda all'educazione degli adulti e ad un
contesto che non è primariamente quello dell'immigrazione negli Stati Uniti, bensì della formazione dei
lavoratori. Perché nel mondo aziendale, ancor prima della seconda metà del 900 c'è la necessità di
sostenere la formazione dei lavoratori perché possano comunicare in maniera efficace con i partner
commerciali internazionali e quindi si mettono in primo piano le criticità legate alla relazione, alla
comunicazione tra lavoratore, non solo sul piano strettamente diplomatico ma in ambito aziendale. Tuttavia,
i due sviluppi paralleli delle due discipline, pedagogia interculturale e Comunicazione interculturale degli
Stati Uniti rivelano degli elementi di intersezione.
Nella stessa pedagogia interculturale, per esempio, le competenze comunicative interculturali hanno come
plafond degli studi affini a quelli che si ritrovano negli Stati Uniti e anche questa è un'intersezione
interdisciplinari.
Nel testo alla granata poi si sofferma sul dialogo con alcune discipline particolari: con l'antropologia
culturale, con la psicologia dello sviluppo, con la sociologia delle migrazioni e con il diritto minorile.
Per quanto riguarda l'antropologia culturale, l'accento cade sulla natura, guardare dalla prospettiva
pedagogica interculturale agli studi di antropologia culturale vuol dire cercare di capire le dinamiche
culturali, a partire dal concetto stesso di cultura.
Guardare invece alla sociologia delle migrazioni per la pedagogia interculturale vuol dire comprendere,
entrare nel vivo di dinamiche e processi che riguardano le migrazioni, sia in un contesto nazionale sia sul
piano internazionale, avere dati su cui riflettere, comprendere dai quadri della sociologia, i contesti in cui la
pedagogia interculturale va ad operare.
Per quanto riguarda invece la psicologia dello sviluppo, entriamo più nel merito degli interventi educativi,
perché gli interventi educativi che vogliono favorire il dialogo interculturale devono tener conto anche delle
specifiche età evolutive, e quindi come si impara, come si apprende. Lavorare all'educazione di un bambino
straniero è diverso dal supportare i processi di autoeducazione di un adolescente o di un adulto, anche dal
punto di vista psicologico perché i processi cognitivi sono diversi e dunque è necessario che si guardi anche
alla psicologia dello sviluppo.
Infine, il diritto minorile perché naturalmente ci riporta ai diritti dei bambini e degli adolescenti, quindi ci dà
una base concreta su cui andare ad operare. Ci chiarifica i contesti, ci chiarifica le ragioni di alcune situazioni
di svantaggio o di disagio.
Significativamente però nel ripercorrere le intersezioni tra discipline dall'ottica del pedagogico, Granata da
un lato richiama l'attenzione su alcuni concetti chiave e dall'altra ci mette in guardia dai rischi per ognuno.
Come aveva fatto anche per interrogare i classici, cioè problematizza, ci mette in guardia da quelli che sono
potenzialmente le derive, i pericoli della pedagogia interculturale alla prospettiva altra disciplinare.

Pericoli che in fondo hanno sempre come motivazione ultima: la pedagogia nella necessità di fondarsi come
scienza, attinge le proprie strategie e le proprie metodologie da altre discipline, da altre scienze umane,
perché tutto sommato, il suo stesso oggetto di ricerca sfugge, molto più che altri oggetti di ricerca, ha una
analisi ad un'indagine di tipo strettamente scientifico. Si è sempre posta in una condizione di presunta
subordinazione o inferiorità. Questo si riverbera sempre, così che il rischio primario è quello di un'adesione
acritica a ciò che arriva da altri ambiti del sapere, ad uno sbilanciamento anche metodologico.
Dunque, nel caso dell'apporto della pedagogia interculturale in primo piano c’è il concetto di cultura,
all’idea che il concetto di cultura non indichi qualcosa di prodotto finale, bensì è il processo, coltivazione,
fare . Questa idea della cultura è una lente che viene poi rischiarare le diverse condizioni che in ambito
antropologico sono state date della cultura.
Il primo riferimento va a Taylor che lo considera un insieme non soltanto di tradizioni ma anche di
conoscenze, di leggi, di credenze e di costumi. Un insieme che però è caratterizzato, come rileverà Boas da
una staticità e da una chiusura che non attiene alla cultura. Franz Boas ha avuto il merito di porre l'accento
sulle culture, sull'esistenza di più sistemi, il relativismo culturale che costituisce il rischio della cultura
stessa. L'accento sul relativismo culturale ci dice che dobbiamo sempre guardare al contesto perché le
culture sono sempre determinate, in un determinato tempo e in un determinato livello e ne esistono di
differenti.
Interessante è la prospettiva dell'Antropologo Levi Strauss perché aggiunge a questa visione l'idea che dei
tratti comuni siano ravvisabili, che è possibile individuare dei modelli di riferimento per le diverse strutture,
un sistema simbolico a cui le culture aderiscono e che sono caratterizzati da comparabilità, cioè è possibile
comparare i modelli simbolici per trovare dei tratti comuni.
Abbiamo affrontato nelle scorse lezioni il discorso della cultura della prospettiva di Argian. Abbiamo messo
in luce come per loro la cultura sia paragonabile ad un fiume, un corpo unico che mi sembra statico, fisso,
ma man mano che mi avvicino mi accorgo che nel fluire è sempre differente.
La visione del dinamismo culturale verrà ripresa in pedagogia interculturale con piena consapevolezza da
Martina Adelaxei (non si capisce il cognome), culture che non sono un unicum statico che vanno ad
incidere sul soggetto fino a renderlo un oggetto, bensì è il risultato di diverse dinamiche in cui il soggetto è
costruttore delle culture e le culture sono viste nel loro essere pienamente dinamiche.
D’altra parte, richiamiamo all'opposizione di questa visione con quello che può essere un modello
precedente della pedagogia culturale, cioè l' universalismo. Nel credere di fondo all'esistenza di realtà
esterne oggettivabili sganciate dall'individuo e quindi oggetto di conoscenza certa, l'identità fondate che
però vanno ad influenzare il soggetto in maniera monolitica, azzerando il dinamismo e le diversità.
Quali sono però i rischi dell'intersezione della pedagogia interculturale con l'antropologia culturale? Il
relativismo assoluto. Che ci porta a dire che non possiamo entrare nel merito delle diverse culture o
comunque è impossibile operare nel cercare di trovare dei punti di contatto perché sono troppo differenti.
L'approccio opposto, quello che Granata chiama tipico della pedagogia cuscus, cioè un esotismo per cui si
sintetizza la cultura dell'atto. Anche questo è un rischio. O addirittura si può scadere nella sottovalutazione
della cultura, cioè si può arrivare a minimizzare l'importanza della diversità culturale nelle dinamiche
intersoggettive che riguardano la pedagogia interculturale.
Dalla prospettiva invece della sociologia delle migrazioni, la studiosa mette in luce, oltre a sottolineare la
lunga separazione come tra questi due ambiti disciplinari molto più lunga dell’antropologia culturale a cui la
pedagogia interculturale ha sempre guardato.
La sociologia delle migrazioni diventa interessante se la pedagogia interculturale, mantenendo la sua
centratura sulla persona, guarda alle tassonomie in merito all'identità del migrante, anche in relazione;
quindi, alle posture e gli atteggiamenti che connotano lo stare dello straniero nella società ospitante.
Nel campo della sociologia delle migrazioni sono state fornite delle classificazioni delle tassonomie, dei
modelli, anche esplicativi, che possono essere ripresi pedagogia interculturale per comprendere meglio
alcune fenomenologie dell’educativo. Per esempio, una tassonomia citata è quella di Luisa Leonini che ha
messo in luce di come c’è l'atteggiamento di chi è cosmopolita (i cosmopoliti sono coloro i quali si sentono
sempre turisti in viaggio, sempre ospiti nella terra di arrivo), gli isolati (gli isolati sono coloro i quali hanno
l'opposto. Si sentono sempre fuori dal contesto nel quale vivono, nella terra straniera e tendono a chiudersi
quindi a frequentare per esempio, soltanto i loro connazionali e ad entrare in delle comunità ristrette,
mantenerlo anche gli usi e costumi, le proprie tradizioni nella separazione rispetto alla cultura del paese
accogliente), i nostalgici (sono coloro i quali guardano, vicino alla posizione di coloro i quali si isolano, tant'è
che i nostalgici possono essere presentati come un sottogruppo. Essi hanno un chiaro rifiuto della cultura
del paese accogliente per motivi di esperienza soggettiva o di educazione. E non soltanto si isolano
fisicamente, ma hanno il netto rifiuto, non cercano l'integrazione, non cercano di comprendere né di
condividere) coloro i quali vogliono integrarsi pienamente (essi finiscono col rinnegare marginalizzare,
tenere a bada la propria cultura per cercare di aderire pienamente al modello di vita della cultura del paese
ospitante. Il rischio è e di applicare simili modelli simili in maniera rigida nei contesti educativi, alle strategie
di intervento educativo.

Bisogna stare attenti, per comprendere i fenomeni che riguardano anche l'educazione, per comprendere le
storie delle persone con cui andiamo a lavorare, e non applicare in maniera rigida questi modelli perché
esistono strategie identitarie.

Su questo pone l’accento Camilleri, noto pedagogista interculturale che ci dice che non possiamo pensare
di catalogare le persone.

Non possiamo assolutamente pensare di aderire a tassonomia come quella appena descritta in maniera
acritica. Dobbiamo mantenere questo atteggiamento critico e comprendere che la persona è la sua storia.
Però nel corso della storia della persona possono esserci stati dei momenti in cui ha avuto il rifiuto e quindi
quella tassonomia ci serve per comprendere come si manifesta, da dove deriva, soprattutto quando
possono essere i contesti che l'hanno influenzata. Ma dal rifiuto può aver maturato un atteggiamento di
desiderio di inclusione, integrazione che ha fatto rivedere la propria cultura d'origine.
Noi dalla prospettiva pedagogica interculturale dobbiamo avere un punto fermo, l 'equilibrio. L'equilibrio
che nasce dal dialogo, dallo scambio, che non è né adesione acritica alla cultura del paese accogliente, nel
rifiuto di quello del paese di provenienza, né viceversa, come per esempio esaltazione della cultura di
provenienza.
Questa posizione di centro serve perché dobbiamo considerare la persona ed è questo il senso di tutto
l'intervento di questo capitolo. Mantenere la centratura sulla persona, sulla storia della persona, sui diritti
della persona.
Significa poi sul piano pratico riuscire a prevedere degli interventi più efficaci, secondo il nostro obiettivo.

Rispetto al diritto minorile è importante la centralità che per noi ha la Costituzione, oltre alle normative
specifiche e il diritto internazionale

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