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Anno XLIX, nn.

1-2, gennaio-dicembre 2020


ISSN 1591-3988 - ISSN 2532-0203 (on line)

“Orto in condotta”. Una esperienza di educazione


transdisciplinare
di Giampiero Finocchiaro

come citare:
Giampiero Finocchiaro, “Orto in condotta”. Una esperienza di educazione
transdisciplinare, in «Teorie pedagogiche e pratiche educative, Bollettino
della Fondazione “Vito Fazio-Allmayer”», anno XLIX, nn. 1-2, gennaio-
dicembre 2020, pp. 83-98.

Edizioni della Fondazione “Vito Fazio-Allmayer”, Palermo


GIAMPIERO FINOCCHIARO*

“ORTO IN CONDOTTA”
Una esperienza di educazione transdisciplinare

Attraverso una breve presentazione di transdisciplinarità e complessità, si


introduce una riflessione sui limiti di una educazione disciplinarmente fram-
mentata in un panorama che già dai primi del Novecento si confronta con
la fine delle certezze della scienza positivista. Si sostiene l’utilità di un me-
todo attualizzato capace di fronteggiare l’incertezza che caratterizza la con-
temporaneità e gestire la complessità crescente. Si propone una riflessione
sulla scuola come esperienza a tempo determinato e si presenta una espe-
rienza di applicazione pratica dei principi della transdisciplinarità in una
difficile realtà scolastica della periferia di Palermo. Si suggerisce il concetto
di educ-azione come antidoto teorico-pratico al concetto di “scolarizza-
zione” che ancora propone una forma di addestramento alla quiete in aula
non compatibile con le esigenze di identità dei giovani in formazione.
Through a brief presentation of transdisciplinarity and complexity, a
reflection is introduced on the limits of a disciplinarily fragmented
education in a panorama that since the early twentieth century is
confronted with the end of the certainties of positivist science. The
usefulness of an updated method is supported, capable of facing the
uncertainty that characterizes contemporaneity and managing the growing
complexity. A reflection on school as a temporary experience is proposed.
Moreover, an experience of practical application of the principles of
transdisciplinarity in a difficult school reality on the outskirts of Palermo
is presented. The concept of educ-action is suggested as a theoretical-
practical antidote to the concept of “schooling” which still proposes a
form of training for quiet in the classroom that is not compatible with the
identity needs of young people in training.
Parole chiave: Complessità, transdisciplinarità, educazione, metodo edu-
cativo.
Keywords: Complexity, transdisciplinarity, education, educational method.

* Docente contitolare della cattedra di Psicología clínica de la persona con disca-


pacidad; Docente e Direttore del corso post-laurea di Educación centrada en la iden-
tidad presso Facultad de Psicología, Universidad del Museo social di Buenos Aires
(UMSA); Docente e Direttore del corso post-laurea di Educación inclusiva presso Fa-
cultad de Ciencias Humanas, Univesidad Católica de Argentina, Buenos Aires.

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Il mondo educativo ha da tempo appreso i vantaggi di una prospettiva più
ampia di quella condizione che Morin chiama, con allarme, “frammentazione
disciplinare”1. Sperimentati i limiti della multidisciplinarità che offriva i mol-
teplici punti di vista del sapere ma senza metterli in dialogo, si è infatti com-
preso il salto qualitativo dell’interdisciplinarità che invece ha creato spazi di
scambio tra le discipline e dato vita a nuovi indirizzi d’indagine e studio. Con
ciò facendo, però, si è ulteriormente ampliata la frammentazione lamentata
dal pensatore francese, arricchendo il panorama di ibridi disciplinari che ri-
vendicano autonomia e dignità. Ciò che ancora tarda a ricevere interesse è la
prospettiva transdisciplinare formalizzata nel 1994 su iniziativa di un pensa-
tore trasversale come Edgar Morin, un fisico di forte spiritualità cristiana come
Basarab Nicolescu ed un artista originale come Lima de Freitas2. La morte di
quest’ultimo, deceduto pochissimi anni dopo, ha probabilmente influito sulla
diversa enfasi che gli altri due autori hanno dato a quella prospettiva. Morin
ha privilegiato l’analisi della complessità che caratterizza la contemporaneità,
mentre Nicolescu ha dato un forte impulso alla ricerca di assetti metodologici
capaci, anche in ambito umanistico, di dare risposte adeguate in ambito edu-
cativo senza rinunciare alla ricchezza e al rigore delle scienze naturali3.
Il mondo dell’educazione, a mio modo di vedere, sembra paradossalmente
tardare a seguire una via aperta, si può dire a partire dagli anni Venti del se-
colo scorso, con il principio di indeterminazione di Heisenberg. A mio giu-
dizio, è ciò che pare abbia spinto la comunità delle cosiddette scienze dure a
rivedere quel paradigma lineare esaltato dal Positivismo che fomentava nelle
società la ricerca del senso di sicurezza, vincolandolo alla ricerca di leggi
immutabili ed erodendo quel principio di libertà che l’analisi di Fromm ci
ha restituito in forma di “paura”. Sotto un certo profilo, questo orientamento
che potrebbe dirsi iniziato da Galilei, è andato avanti sino a Hawking pur nel
variare delle prospettive teleologiche. Ambiti disciplinari come la fisica, la
chimica, la biologia, la matematica, seppure inizialmente indotti dalle scienze
sociali a pensare in modo interdisciplinare, hanno svelato la direzione della

1
Si tratta di un tema ricorrente nella bibliografia del pensatore francese. Per una
prima introduzione si veda E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento
e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 2000.
2
Si veda B. Nicolescu, Il manifesto della transdisciplinarità, Armando Siciliano,
Messina 2014 (ma il testo è oggi di difficile reperibilità).
3
In questo breve articolo si fa ricorso, per semplicità, all’uso comune di defini-
zioni come scienze umane e naturali. La prospettiva della complessità, invece, porta
a ripensare le stesse definizioni per indurre un cambiamento di mentalità che resti-
tuisca al sapere l’unità che gli corrisponde.

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complessità come la più adeguata, temporaneamente – per dirla con la con-
sapevolezza ereditata da Popper e Kuhn – per affrontare problemi divenuti
di complessità crescente nel panorama contemporaneo in cui spazio e tempo
sono stati fortemente influenzati dai fenomeni di accelerazione e globaliz-
zazione. Significa che tutto ciò che è parte integrante di qualsiasi “contesto”
che riguardi l’uomo, ha ricevuto profonde modificazioni alle fondamenta
dell’esistenza stessa, si sia o meno consapevoli del processo.
Nello spazio che da Heisenberg conduce a Bauman, in un dialogo stentato
tra due mondi culturali (della natura e dell’uomo) troppo a lungo rimasti se-
parati, emerge la necessità di incontrare soluzioni che offrano risposte ade-
guate al grado di incertezza che, come ormai sappiamo, non è generativo di
uno stato di caos, quanto piuttosto rappresentativo della condizione essen-
ziale della vita. Prigogine4 ritiene che la dicotomia tra scienze della natura e
scienze dell’uomo sia il risultato di una diversa forma di incorporare la no-
zione di tempo e che il caos, più che dare vita a timori, deve spingere a cer-
care di ampliare la nozione di leggi di natura per includervi i concetti di
probabilità e irreversibilità. Mi pare una riflessione importante in una dimen-
sione pedagogica. La soluzione, in questa prospettiva, non è più un contenuto,
una legge naturale o la sua scoperta, quanto piuttosto l’affidabilità di un me-
todo che si riveli capace di sostenere le nuove domande che la complessità
crescente propone. Ne è un indizio “emergente”, dal mio punto di vista, la
ripresa dei metodi educativi che per certi versi dovrebbero essere consegnati
alla storia per una celebrazione ex post capace di cogliere la loro eredità, ma
inquadrata negli attuali scenari. Il favore ancora registrato da metodi come
il Montessori e altri, infatti, su un piano di analisi socioculturale pare indica-
tivo di una esigenza, inconsapevole ma forte, di qualcosa di certo con cui af-
frontare le sfide dell’educazione. La domanda è se questi metodi, nati in
contesti sideralmente distanti dagli scenari attuali, possono offrire risposte
adeguate o se, come di fatto avviene, finiscono col promettere forme di pro-
tezione dalla incertezza contemporanea. Si tratta, a mio modo di vedere, di
un quesito interessante che meriterebbe analisi mirate. Un metodo che per
essere tale deve coincidere con il suo oggetto, deve necessariamente essere
espressione del tempo attualizzato e non sorgere da un passato avvolto nel
mito del grande personaggio che a suo tempo lo ideò. Le forme in cui so-
pravvivono oggi le eredità di Maria Montessori, Loris Malaguzzi e altri
grandi leader della storia della pedagogia, offrono il fianco a perplessità sulla
loro reale capacità di preparare i propri alunni per il mondo attuale.

4
I. Prigogine, Las leyes del caos, Crítica, Barcelona 1997.

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Credo sia di aiuto ricordare che educazione e scuola non sono termini
coincidenti anche se l’uso comune ne fa quasi dei sinonimi. Concorre il pro-
gressivo processo di spoliazione della società che ha abdicato a molti dei
suoi compiti e finalità in un contesto fortemente disumanizzato dal sistema
liberista centrato sull’economia. L’individualismo crescente ha a sua volta
generato dinamiche di distanziamento relazionale che rendono sempre più
difficile gestire l’educazione attraverso istituzioni pensate come centri ero-
gatori di servizi. Oggi non perde la sua carica di provocazione l’invito di
Illich5 che invitava a descolarizzare la società per restituire ai discenti l’ini-
ziativa e la responsabilità della propria istruzione dato che la scuola, come
istituzione, svolge male i propri compiti in quanto confonde il compito di of-
frire una istruzione e quello di consentire l’acquisizione di competenze. Si
tratta di un aspetto che si può ritenere valido nei termini più ampi dell’edu-
cazione se si pensa a quanto dell’esperienza di Freire6 coincide con l’analisi
dell’originale pensatore austriaco. Senza entrare nel merito di un tema vasto
e complesso, preme sottolineare che tra scuola ed educazione vi è una diffe-
renza di fondo che appare discriminante e che chiama in causa il valore che
assegniamo al tempo. Nella prospettiva che riteniamo più adeguata, dal mio
punto di vista, la scuola è una esperienza a tempo determinato; l’educazione,
al contrario, è un processo a tempo indeterminato. Significa, in altri termini,
che l’educazione in ambiente scolastico deve fare i conti con la non reversi-
bilità del tempo, caratteristica che l’educazione in sé non patisce perché la
sua natura di processo senza fine le offre una garanzia di reversibilità su cui
si fonda la stessa idea di longlife learning. Il tempo è elemento strutturale di
un sistema educativo e scolastico, non tenerlo in una rinnovata considera-
zione rende asimmetrica la relazione tra i propositi e i risultati. E mi sembra
sia proprio questo uno dei grandi problemi dei sistemi scolastici moderni di
molti paesi, ancorché cosiddetti sviluppati.
Il sistema scolastico, infatti, ha in generale ancora un forte ritardo persino
rispetto all’arricchimento del concetto stesso di sistema che autori come
Bertalanffy7 hanno apportato rispetto al precedente ereditato dalla cultura
greca per mano di Aristotele. La visione transdisciplinare, in tal senso, ha sa-
puto portare avanti quel processo di fondazione epistemologica che tra Ari-
stotele e Hegel aveva piantato gli assi portanti della logica, per così dire, del

I. Illich, Deschooling society, Harper & Row, New York 1971.


5

P. Freire, Pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, Torino 2018, p. 50.


6

7
L. von Bertalanffy, Perspectivas en la teoría general de sistemas, Alianza uni-
versitaria, Madrid 1981.

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Terzo escluso. La precedente ricerca olistica del filosofo greco e la successiva
riflessione storicistica del filosofo tedesco ci hanno consentito oggi di per-
venire a direzioni di pensiero che si basano sul principio dei diversi livelli di
realtà e ammettono perciò la logica del Terzo incluso. Non si tratta di un am-
bito specifico della fisica quantica che, come noto, ha riaperto tutto l’oriz-
zonte della ricerca scientifica. È, al contrario, uno spazio di ragionamento
che si rende immediatamente disponibile per quella riunione dei saperi di cui
sempre parla Morin.
Sulla base di queste essenziali premesse, nei dieci anni in cui ho diretto
una scuola di frontiera, ho ideato e coordinato un progetto formativo ispirato
ai principi della teoria della complessità e coerente con un indirizzo teso a
sviluppare ciò che si definisce attitudine transdisciplinare8. L’idea centrale,
sintetizzata nel titolo del progetto “Senso del Bello e Innovazione”9, era di
lavorare sull’identità. Identità degli alunni ma anche degli adulti che si oc-
cupano di loro, della scuola, del quartiere. E poiché, come afferma Nietzsche,
«il metodo nasce sempre alla fine», da quella esperienza è nato il metodo
Educando.it che ha generato un cambio nella mentalità della comunità sco-
lastica e ha dato vita ad una identità collettivamente riconosciuta.
Come ogni processo di cambiamento, anche il nostro ha avuto sostenitori
(molti) e detrattori (pochi), ma è interessante notare che i primi hanno nel
tempo raggiunto un livello di consapevolezza che ha premiato la loro identità
umana e professionale ed ha rappresentato un punto di non ritorno. Il cam-
biamento a cui si è dato vita si è basato sul principio per cui gli alunni dove-
vano essere realmente e concretamente il centro della nostra attenzione10. Per

8
B. Nicolescu riferisce che l’espressione è stata introdotta nel 1991 dal poeta ar-
gentino Roberto Juarroz e nel suo Manifesto della Transdisciplinarità (1996) precisa:
«En la teoría transdisciplinaria, la actitud es la capacitad individual o social de guar-
dar una orientación constante, inmutable, cualquiera sea la complejidad de una si-
tuación y los avatares de la vida» (p. 69 della traduzione in spagnolo dell’edizione
originale pubblicata da Du Rocher, Monaco).
9
I risultati ottenuti e qui brevemente presentati non sarebbero stati possibili senza
la creazione di una équipe, elemento e tappa essenziale di un metodo transdiscipli-
nare. L’équipe del progetto scolastico basato su Senso del Bello e Innovazione, nel
cui alveo sono state possibili varie sperimentazioni quale quella di cui qui si dice, è
stata costituita – nel suo nucleo essenziale rimasto inalterato per 10 anni consecutivi
– dai docenti: Rita Bologna, Mario Calafiore, Laura Cordaro, Marco Candela, Angela
Fantasia, Filippo Pizzo, Cettina Surdi.
10
Si veda il mio: La scuola di chi. Come realizzare la centralità degli alunni,
Carlo Saladino, Palermo 2016, in cui si svolge la tesi per cui il nostro sistema edu-
cativo è centrato sui bisogni degli adulti che vi lavorano.

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farlo, dovevamo rinunciare alla prospettiva dell’attenzione alla persona ormai
compromessa da un ambiente sociale globalizzato che ha sviluppato forme
di disumanizzazione che hanno svuotato il senso che la parola invece man-
tiene, ma come nicchia culturale, nella pedagogia di ispirazione cristiana11.
Occorreva creare le condizioni per un percorso di apprendimento nel quale
fosse possibile svincolare l’assegnazione dei ruoli dalle procedure di scola-
rizzazione e restituire loro iniziativa ed entusiasmo12. E dovevamo, infine,
anche prenderci delle responsabilità nel tentare nuovi assetti per i quali la le-
gislazione vigente non è preparata. Senza contravvenire ai compiti conferiti,
in sostanza, si doveva cercare di dare corpo allo spirito trasgressivo della
transdisciplinarità: «una pequeña desviación de las normas en vigor pone en
marcha repentinamente el derrumbamiento del sistema reinante y, seguida-
mente, la aparición de nuevas normas todopoderosas»13.
Nell’ambito di questa esperienza condotta tra il 2007 e il 2017, con un
primo piano di sviluppo di durata quinquennale e due successive attualizza-
zioni triennali (assetto ben diverso dalla logica del progetto annuale e solo
parzialmente compatibile con la triennalità del PTOF), si sono realizzate ini-
ziative ispirate alla scoperta – in ogni componente della comunità, adulto o
minore – di un Io capace di relazionarsi con un Altro, ben diversa da quella
ossessione del sé che rappresenta il correlato psicologico del concetto di per-
sona svuotato dal contesto culturale della globalizzazione in cui prevale una
visione economicista.
Una di queste attività è stata, nel 2016, la sperimentazione “Orto in con-
dotta”14 ed è stata fin da subito pensata come “esperimento di esperienza”15

11
Il concetto di persona è oggi fatalmente esposto ad analisi rigorose che ne ri-
velano la natura di soggetto che ha interiorizzato le influenze egemoniche della logica
del mercato. In tal senso, la “persona” ricorda da vicino le riflessioni dei filosofi che
si sono occupati delle dinamiche della cultura di massa e, per riferirsi ad un pensatore
contemporaneo, manifesta una preoccupante analogia con il concetto di Uguale svi-
luppato da Byun-Chul Han, L’espulsione dell’Altro, Nottetempo, Milano 2016.
12
I. Illich, Deschooling society, cit.
13
«una piccola deviazione dalle norme in vigore improvvisamente mette in moto
il collasso del sistema regnante e consente l’emergere di nuove potenti norme». Trad.
mia. B. Nicolescu, La transdisciplinaridad. Manifiesto, Du Rocher, Monaco 1996,
p. 90 (ed. spagnola).
14
Evidente il gioco di parole tra “orto” e “otto” come forma di valutazione della
condotta scolastica.
15
L’espressione è di L. Piasere, L’etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione
in antropologia, Laterza, Roma-Bari 2006.

88
nel senso che si è andato attribuendo a questa espressione nell’ambito della
riflessione etnologica ed etnografica che dagli anni Cinquanta ha rivisitato i
propri presupposti teorici ed epistemologici. L’obiettivo era mettere a punto
un percorso formativo per alunni di differente età, frequentanti classi di di-
verso livello della scuola media16. Gli alunni coinvolti erano stati protagonisti
di ripetuti episodi di insofferenza e ribellione e presso la comunità scolastica
erano marcati dai segni delle cattive valutazioni. Si trattava cioè di soggetti
che pur compresi dentro l’ambiente ufficiale della scuola vi vivevano in con-
dizioni di marginalità non dichiarata, sotto pressioni implicite e invisibili che
insieme alle sollecitazioni positive (dovute per legge) creavano un tessuto
relazionale spiegabile in termini di conflittualità-convivenza, sopportazione-
opposizione, integrazione-esclusione. Nei termini di una diagnosi preventiva,
dunque, apparivano come soggetti con difficoltà attentive, di socializzazione
e adattamento, dalla scarsa capacità di lavoro mnemonico e di rispetto delle
regole di convivenza civile; allievi che manifestavano in modo palese il loro
disagio attraverso il rifiuto della didattica ordinaria, del gruppo dei pari e
dello spazio classe, mettendo in atto comportamenti caratterizzati da oppo-
sizione e agitazione psicomotoria.
I contesti educativi, in generale, sono sempre gravati da un modello cul-
turale per cui se fosse possibile individuare una usiologia17 dell’educazione,
almeno come la conosciamo nei sistemi scolastici di molti paesi, questa con-
sisterebbe nel convincimento che tutto ciò che si fa a scuola è positivo per
l’alunno. In termini neuroscientifici, però, nemmeno gli educatori né la
scuola in generale sono esenti da pattern sotterranei che producono bias co-
gnitivi che sono facilmente individuabili nel comportamento diffuso dei do-
centi, soprattutto quelli nei quali la lunga esperienza prende il sopravvento
sui riferimenti teorici non adeguatamente aggiornati. La vita relazionale e la
stessa presenza di questo gruppo di alunni selezionati erano fortemente con-
dizionati dal background, ovvero dal “curriculum” che si portavano dietro
come il masso di pietra del suicida. Già questi primi aspetti ci ricordano che

16
In totale il gruppo era costituito da tredici elementi di età compresa fra gli un-
dici e i quattordici anni, tutti ripetenti o pluriripetenti.
17
Il riferimento è al lavoro di Giuseppe Sergi, antropologo di antica formazione
che oggi definiremmo “antropologo fisico”, il quale nel secolo XIX si era dedicato
all’indagine di costanti anatomiche caratteristiche delle popolazioni mediterranee in
opposizione al nascente interesse per lo studio di razze privilegiate, in tal senso sol-
lecitato dalla nascita stessa degli studi etnologici che in occidente erano inquadrati
dentro la categoria delle “razze diverse”. G. Sergi, Usiologia. Scienza dell’essenza,
Pensa MultiMedia, Lecce 2002 (ed. or. 1868).

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la natura “complessa” dell’educazione consiste nel tessuto relazionale che
genera e gestisce. In un suo recente scritto, Carlos Delgado, in linea con la
prospettiva di Edgar Morin, precisa che vi è un: «elemento relevante para
identificar la complejidad: lo que aparece, emerge, como resultado de esas
tramas de interrelaciones tomadas en su conjunto»18. Si trattava di agire pe-
dagogicamente dentro questo spazio relazionale inteso nella sua ampiezza e
potenziale valore. E, in tal senso, lo scopo era in linea con una “pedagogia
degli oppressi” che resta un tentativo concreto di risvegliare in alunni demo-
tivati una riflessione critica sulla propria condizione e la voglia di darsi un
futuro diverso da quello che la roulette della nascita impone, una pedagogia,
in sintesi, «che deve essere forgiata con lui e non per lui»19. Si trattava di
sollecitare nei destinatari della sperimentazione creatività e voglia di cono-
scere, liberandoli dal peso delle coordinate spaziotemporali ufficiali (aula-
curricolo)20 che tengono conto dei normotipi funzionali al discorso, in senso
foucaltiano, dello Stato. Per farlo occorreva ricordare che «L’individuo crea-
tivo può emergere solo entro un contesto attento alla valorizzazione delle
specificità individuali, all’integrazione di queste specificità in un più generale
gioco di squadra»21. E si trattava, infine, di sostenere il carattere plurale e
complesso della dimensione didattico-educativa che include diversi livelli di
realtà: intellettiva, relazionale, affettivo-sentimentale, corporea, emotiva22.
Ad inizio dell’anno scolastico si è così “patteggiato”23 una formula mista

18
«elemento importante per identificare la complessità: ciò che appare, che emerge
come risultato di una trama di interrelazioni prese nel loro insieme» (trad. mia). C. Del-
gado, Cinco claves para reinventar la educación, 2020, in https:// carlosjdelgado.blog-
spot.com/2020/04/dialogos-1-cinco-claves-para-reinventar_57.html?spref=fb&m=1.
19
P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 50.
20
È in corso di stampa una mia pubblicazione in cui si propone una riflessione
su “Ripensare spazio-tempo in educazione”.
21
M. Ceruti, Il tempo della complessità, Raffaello Cortina, Milano 2018, p. 145.
22
Cfr. M. Sibilio, Corpo e cognizione nella didattica, in P. C. Rivoltella, P. G.
Rossi (a cura di), L’agire didattico. Manuale per l’insegnante, La Scuola, Brescia
2012, pp. 329-347.
23
Il “patteggiamento” è sembrato una strategia efficace per evitare ricadute in
quel fenomeno poco osservato in ambito scolastico della “polarizzazione delle opi-
nioni”. Si tratta di una dinamica psicologica per la quale al di là dell’evidenza, per-
siste una opinione anche se non confortata o non più confortata da alcun elemento
di realtà. Una rappresentazione tipica di quanto si dice, si rileva nella classica scena
in cui la docente valuta l’alunno come “capace, ma non si impegna, potrebbe fare di
più” e l’alunno, a sua volta, si ritiene perseguitato dall’insegnante e sintetizza: “ce
l’ha con me, le sto sul naso”.

90
che prevedeva la presenza in classe per le prime tre ore soltanto, ma con l’im-
pegno del rispetto della puntualità all’ingresso (le ore otto del mattino) che
per abitudine consolidata non rispettavano. Va qui fatto almeno un inciso
sulla cosiddetta “scolarizzazione” che continua a prevedere essenzialmente
l’addestramento ad una forma di quiete in aula che accompagna la storia
stessa dell’istituzione scolastica. Si tratta di una modalità di relazione che
revoca quasi per intero la centralità del corpo del discente alla luce del vin-
colo azione-conoscenza che si basa sul valore della corporeità nel processo
cognitivo e che cerca di riconnettere fisico e mente in un comune universo
di senso24. Da questo punto di vista, l’autentico fervore con cui gli alunni di
ogni tempo ed ogni luogo si recano in palestra nelle ore previste per la gin-
nastica, sono da leggere più come fenomeno emergente di un malessere den-
tro le pareti dell’aula che come autentica passione per l’attività sportiva.
Sorge spontanea l’espressione educ-azione che pone l’accento sull’agire edu-
cativo che comporta acquisizione di conoscenza:
L’azione è anche conoscenza in quanto la conoscenza si reifica nel sistema,
co-evolve con il sistema, diviene modo di essere del sistema, è rappresentata
dalla trasformazione dello stesso. La conoscenza non è un contenuto, un’in-
formazione collocata in qualche angolo del cervello, ma è uno stato della per-
sona, frutto di quella trasformazione che coinvolge mente e corpo durante
l’azione25.

Dal punto di vista della mia esperienza, inoltre, se in ambito educativo si


applica una prospettiva transdisciplinare centrata sulla identità, si creano le
condizioni per un agire capace di influenzare positivamente la ricerca di
senso identitario. Nell’unione di corporeità, azione e conoscenza intendo
consista la proposta di un neurologo come Antonio Damasio che alla do-
manda su cosa sia il sé risponde con l’ipotesi secondo cui grazie alla con-
nessione tra corteccia cerebrale, tronco encefalico e corpo «generiamo mappe
del cervello, dell’interno del corpo e le usiamo come referenti per tutte le
altre mappe»26. Il sé, l’Io, l’identità, la coscienza stessa avrebbero dunque la
propria origine in quella unica forma di continuità che per ciascuno di noi
rappresenta il corpo. E in tal senso un’attività fortemente centrata sull’uso
del corpo, quale quella dell’Orto in condotta, si prestava a consentire una ri-

24
Si vedano in tal senso i contributi degli studi di orientamento bio-educativo
(Rivoltella, Sibilio et alii).
25
P. G. Rossi, Didattica enattiva. Complessità, teorie dell’azione, professionalità
docente, Franco Angeli, Milano 2011, p. 26.
26
In https://www.ted.com/talks/antonio_damasio_the_quest_to_understand_
.consciousness/transcript?language=it#t-1067563

91
partenza, un reset degli schemi cognitivi del gruppo selezionato che accusava
un inceppamento nella routine scolastica.
Dopo la prima parte della mattinata, al termine cioè della ricreazione, in-
vece di fare rientro nelle rispettive aule, gli alunni si recavano all’esterno
presso gli spazi verdi della scuola. Qui trascorrevano le restanti tre ore del
giorno in compagnia di due docenti tutor chiamati gli Ogotemmeli, con chiaro
riferimento all’anziano cieco e saggio del resoconto di Marcel Griaule sulla
cosmogonia dei Dogon27. Chi conosce l’opera dell’etnologo francese com-
prende subito che il giardino28, che i nostri alunni avrebbero attrezzato prima
e curato dopo come orto della scuola, svolgeva la stessa funzione che per Ogo-
temmeli svolgeva il canestro con cui spiegò all’antropologo francese la
cosmogonia del suo popolo. I docenti, in sostanza, erano stati opportunamente
selezionati per ciò che si considera attitudine transdisciplinare, considerando
la base del loro curriculum professionale, il profilo umano e personale e la
“sincerità vocazionale” (molto più rara e aleatoria di quanto si dichiari istitu-
zionalmente). Essi avevano il compito transdisciplinare di connettere il lavoro
nell’orto con i contenuti obbligatori delle discipline secondo il curriculum
formale. Tutti i temi obbligatori venivano trattati in base ad un approccio
transdisciplinare. Non a caso i docenti selezionati (uno dell’area scienze
umane e l’altro dell’area scienze matematiche) si distinguevano per un per-
sonale percorso che invece di radicarli nella loro disciplina di laurea li aveva
portati a cercare sconfinamenti in altri settori anche distanti e tra loro scollegati
secondo la logica istituzionale. In sintesi, si era ravvisato in loro una attitudine
transdisciplinare di tipo “potenziale” su cui scommettere intuitivamente.

27
M. Griaule, Dio d’acqua, Bollati Boringhieri, Torino 2002 (ed. or. 1948). Il ri-
ferimento all’opera dell’etnologo è stato la base con cui i docenti coinvolti sono stati
avviati e preparati all’esperienza.
28
Un cenno sull’importanza dell’eco simbolica delle parole va qui fatto in merito
al termine “giardino” che è stato abbandonato dai vecchi asili per un’esigenza tutta
centrata sul bisogno di riconoscimento professionale e sociale delle docenti adulte
che preferiscono parlare di “scuola dell’infanzia”. Basterebbe ricordare il primo libro
del Genesi (1:27) per trovare sufficienti ragioni per recuperare il termine “giardino
d’infanzia” se si riflette che in quel giardino Elohim creò l’uomo a sua immagine e
lo fece maschio e femmina e considerando che sempre in quel giardino, origine della
vita umana, vi crescevano l’albero della vita e l’albero della conoscenza (2:9). Il
giardino, inoltre, in una prospettiva transdisciplinare si presta meglio a forme di edu-
cazione complessa se si considera la tradizione architettonica, storica, culturale del-
l’arte del giardino e il suo valore relativo alla biodiversità, la cultura ecologica e la
sollecitazione di un senso di appartenenza del tipo invocato da Morin quando parla
di Natura e sentimento di Terra Patria.

92
Va però detto anche che proprio il docente di area matematica ha poi ri-
tirato la sua disponibilità, giusto quando si stavano per iniziare le attività29.
Si è perciò ripiegato su un’altra docente di area linguistica, proveniente dalla
carriera delle lingue straniere ma, anche lei, con potenziali attitudini transdi-
sciplinari. Ciò ha portato ad una imprevista debolezza strutturale del progetto
iniziale che ha compromesso la ricerca di un equilibrio tanto dei modelli di
genere quanto dei modelli di area scientifica30.
In questo modo gli alunni coinvolti venivano disinnescati radicalmente
della carica di “cattivi alunni” e inseriti in una sperimentazione che li trattava
da protagonisti, senza altra qualificazione che quella di essere soggetto-og-
getto allo stesso tempo (e come avveniva anche per gli stessi docenti tutor in
linea con quanto esposto prima). Si dava loro voce e si dava cittadinanza alle
loro parole, al loro linguaggio così poco adatto a restituire in performance
accettabili i “livelli di competenza” richiesti dal curriculum ufficiale. Era il
primo passo verso quella che Freire chiamava conscientização. Lungi dal
conferire loro una condizione di ghetto o di marginalità subliminale, quale
quella che invece inevitabilmente vivevano nello spazio angusto ed etichet-
tato delle “aule”, con un tempo scandito dal curricolo formale, gli alunni del
progetto “Orto in condotta” hanno iniziato con autentico entusiasmo un per-
corso che li liberava dall’assolvimento di obblighi formali (la presenza statica
e composta, il silenzio prolungato, etc.) intesi alla creazione di un normotipo
estraneo alla loro provenienza socio-culturale, e li proiettava in un mondo
“comprensibile” pur inserendoli in sentieri di apprendimento istituzionaliz-
zato. Il valore della sperimentazione, dunque, consisteva nel tentativo di su-
perare la logica lineare che ha prodotto la frammentazione disciplinare che

29
Dimostrando ancora una volta la inadeguatezza dei percorsi universitari che
conducono dentro le scuole docenti la cui preparazione si limita all’acquisizione di
contenuti disciplinari e, nel caso di specie, nonostante l’insegnante in questione
avesse un interessante profilo personale.
30
Sono già ampiamente e ripetutamente intervenuto sul problema derivante dallo
squilibrio di genere nelle scuole, aspetto che ha reso questo ambito una specie di
“gineceo di Stato” come ho voluto definirlo provocatoriamente in alcuni scritti di
impegno sociale ed accademico. Lo squilibrio di genere presente nei sistemi scola-
stici di tanti paesi e particolarmente pronunciato in Italia, infatti, costituisce da tempo
un importante campo di indagine e riflessione. Il tema è però controversiale a causa
dell’invadenza della politica e di quella sua forma di linguaggio priva di senso critico
che è il politically correct. Sul tema si vedano i contributi di Barbara Mapelli e Duc-
cio Demetrio, oltre al mio già citato La scuola di chi. Come realizzare la centralità
degli alunni, nonché il mio articolo Gli squilibri del monopolio rosa nell’insegna-
mento, Il Messaggero, 2 ottobre 2015.

93
costituisce il paradigma organizzativo e pedagogico del sistema scolastico.
Per una visione complessa dell’educazione, infatti, «resulta inevitable incluir
elementos que se encuentran fuera de la ciencia, en la vida cotidiana, las
costumbres, los modos de vivir, los imaginarios sociales, todo lo cual es
difícil de manejar y estructurar en parámetros medibles»31.
L’esperienza è stata positiva tanto per gli alunni quanto per le due docenti
Ogotemmeli. La sensazione di avere vissuto una esperienza di insegnamento
autentico, con libertà e autonomia concrete (ben diverse dalla tutela costitu-
zionale della libertà di insegnamento e dall’autonomia scolastica conferita
per legge, entrambe prive di reale contenuto), le ha entusiasmate e spinte a
rivedere molte delle loro posizioni consuete in tema di insegnamento, ap-
prendimento, valutazione. Era la loro prima esperienza di transdisciplinarità
e per quanto l’équipe di lavoro fosse molto ridotta (alle due Ogotemmeli che
operavano “sul campo” si aggiungevano una psicologa esterna, già da tempo
collaboratrice della scuola e che coadiuvava nelle osservazioni di monito-
raggio, una istruttrice di cani, con cui per molti anni si sono svolti progetti
di inclusione32 e che interveniva in alcuni momenti della sperimentazione, e
lo scrivente come ideatore e coordinatore del progetto), l’esito ha dimostrato
che fare scuola con reale autonomia e capacità di adattamento all’ambiente
contemporaneo e locale, fuori dal condizionamento sotterraneo di quelle
coordinate spazio-temporali dettate dall’aula e dal curricolo, è stata ed è una
strada che offre vantaggi. L’educazione ha bisogno di essere liberata dai con-
dizionamenti che ne inibiscono la naturale creatività. In questo senso anche
il recente entusiasmo per la didattica per competenze obbedisce a finalità
vincolate alle esigenze di un sistema sociale basato sui concetti di produzione
ed efficienza produttiva. Non vi può essere reale educazione senza processi
e metodi capaci di generare trasformazione autentica e vincolati alle dina-
miche di costruzione dell’identità. Inventare un modo per cui nello spazio di
un orto scolastico sia possibile migliorare le capacità di espressione lingui-

31
K. A. Bustos, C. J. Delgado Díaz, G. Finocchiaro, M. D. Godoy, J. A. Navarra,
M. Pérez Bruno, Complejidad y transdisciplinariedad: el desafío de los métodos cen-
trados en la identidad, in «Orbis Cognita», vol. 5, n. 1, 2021: «risulta inevitabile in-
cludere elementi che stanno al di fuori della scienza, nella vita quotidiana, le abitudini,
i modi di vivere, l’immaginario sociale, tutte cose difficili da gestire e strutturare den-
tro parametri misurabili» (p. 70, trad. mia).
32
Si veda l’art. La bimba disabile e il cane che accende la luce, apparso sul Cor-
riere della Sera il 30 maggio 2014, ora in: https://www.corriere.it/cronache/14_mag-
gio_30/cane-che-sa-accendere-luce-tv-cambia-vita-padroncina-disabile-7561e57a-e7
ba-11e3-bc61-842949f24f5a.shtml.

94
stica di alunni “difficili” o comprendere il valore di un fatto storico certa-
mente è una sfida che oggi pochi docenti accetterebbero.
Alla fine dell’anno, tutti gli alunni hanno raggiunto un livello soddisfacente
che li ha fatti avanzare nel percorso scolastico, senza ulteriori ritardi. Nessuno
ha fatto registrare risultati eccezionali. Semplicemente, ciascuno di loro ha
raggiunto un obiettivo “possibile” con lui dopo avere inutilmente tentato per
anni di raggiungere obiettivi che erano stati pensati per lui. Per quanto resti
teoricamente possibile che, trattandosi di un esperimento, il risultato sia stato
il prodotto della sperimentazione in termini di prevedibilità dei risultati stessi
(eredità del dubbio epistemologico lasciato dai vari Popper, Kuhn, Lakatos
pur nelle distinte traiettorie che, però, oggi appaiono complementari), la novità
intrinseca dell’approccio transdisciplinare ha in qualche modo garantito che
non fossero possibili fenomeni di auto-produzione degli esiti positivi. D’altra
parte, la testimonianza diretta degli alunni ha dato ampi segni di conforto sul
reale successo dell’iniziativa. Basterebbe citare la richiesta di uno di loro che
si è offerto, durante la pausa estiva, di continuare a recarsi regolarmente a
scuola per curare l’orto che avevano avviato e da cui avevano raccolto frutti33.

CONCLUSIONI
Se l’iniziativa ha avuto successo è stato perché era inserita in un contesto
(l’intera scuola) in cui già da tempo (a partire dal 2007) si era attivato un pro-
cesso di cambiamento che nel 2016 era ormai pienamente integrato nel know
how quotidiano della scuola e della sua comunità professionale, così come
ormai era parte integrante del bagaglio professionale dei singoli. In estrema
sintesi, tanto il progetto generale quanto l’iniziativa di cui si è riferito, hanno
seguito un approccio metodologico organizzato su tre livelli di intervento stra-
tegico, ciascuno dei quali rappresenta una tappa di progressiva crescita di con-
sapevolezza e correlativa acquisizione di un maggior grado di complessità.
A tal proposito, si propone il seguente schema:
• Costruzione di un linguaggio comune;
• Lavoro in équipe;
• Dinamiche di leaderismo per la trasformazione sociale34.

33
Di tale sperimentazione si è data notizia al Convegno-Forum Dissodare cultura,
seminare il futuro, organizzato dall’Università di Catania l’1 e 2 aprile del 2016.
34
È in via di pubblicazione un articolo, in collaborazione con gli autori citati alla
nota n. 30, sull’argomento specifico che dà conto degli aspetti metodologici di orien-
tamento transdisciplinare applicati agli ambiti educativo e sanitario con riferimento
a casi concreti tra Italia e Argentina.

95
Alla luce dell’esperienza acquisita sul campo, l’applicazione di modelli,
lo sviluppo di numerose sperimentazioni tutte con ottimi risultati in termini
di efficacia per la trasformazione sociale – che dovrebbe essere sempre il
primo proposito di una istituzione educativa – credo che la scuola di oggi
dovrebbe essere un grande laboratorio senza divisione rigida in classi in cui
una équipe di docenti dovrebbe giornalmente organizzare le attività in modo
flessibile, accorpando da un lato équipe di docenti non sempre uguali e dal-
l’altro studenti di età diverse per coinvolgerli direttamente nella costruzione
dei percorsi di apprendimento, utilizzando le sollecitazioni provenienti dagli
stessi alunni, i contenuti della loro vita quotidiana e da lì partire per compiere
traiettorie basate sulla consapevolezza che ciò che non-sanno è la motiva-
zione centrale per costruire il proprio sapere. Nel suo Emilio, Rousseau fa-
ceva dire al personaggio del tutore che ciò che essenzialmente desiderava
insegnare al suo discepolo era la vita in se stessa, insegnargli a vivere.
Quando chiediamo ai nostri alunni di compiere cento passi perché è “impor-
tante per il loro futuro” non sollecitiamo e non rinforziamo una reale moti-
vazione ad apprendere. Apprendono coloro che sono già stati disciplinati dal
sistema, attraverso la famiglia ed altre variabili di contesto che non sono sem-
pre presenti e uguali per tutti. Quando mostriamo ai nostri alunni che entro
un tempo determinato, che passerà a prescindere da noi, si troveranno a una
distanza di mille passi, se gli chiediamo di farne cento in nostra compagnia
è probabile che si sentiranno più motivati, soprattutto se spieghiamo che una
parte di quella distanza dovranno comunque compierla da soli. È in questa
stessa distanza – che per ogni educatore è la prospettiva pedagogica dentro
la quale agire con consapevolezza e preparazione – che prendono corpo le
altre forme di apprendimento: quello casuale, quello preterintenzionale,
quello motivazionale, quello ambientale che in realtà costituiscono la fonte
della maggior parte dei nostri apprendimenti. Tutte forme messe in opera in
un contesto quale quello che qui si è tentato di descrivere e che si è avuto
modo di sperimentare nel progetto pilota denominato “Orto in condotta” rea-
lizzato dentro una più generale proposta di rinnovamento del paradigma edu-
cativo di un istituto comprensivo della difficile periferia di Palermo35.

L’Istituto è il “Laura Lanza” di Carini (PA) di cui sono stato Dirigente scola-
35

stico dal 2007 al 2017. Tutta l’esperienza è stata centrata sulla costruzione di identità
e il metodo che ha generato è oggi confluito nel Metodo Vetas-Educando® (regi-
strado: EX-2020-71845838 - APN-DNDA#MJ en Buenos Aires, Argentina) nato
dall’incontro del metodo transdisciplinare Vetas, sviluppato dalla Fondazione AlunCo
di Buenos Aires in ambiente sociosanitario, con il già presentato Educando.it pro-
dotto dall’esperienza di cui si è qui riferito.

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