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Cagliari
Francesca Nonnis V G
Anno scolastico 2007-2008
Indice
1. Introduzione
3. Quintiliano
4. O.N.B
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La scuola nel periodo fascista
Ho scelto di parlare della scuola nel periodo del fascismo perché diversi
documenti che appartengono alla mia famiglia hanno suscitato in me interesse e
curiosità.
Mi sono subito resa conto che per capire come funzionava la scuola durante
il fascismo non si può prescindere dal contesto politico e sociale di quel periodo.
In Italia, con il suo discorso alla camera, il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini
annunciò la riforma dello Stato: inizia la dittatura fascista.
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Tornando quindi al tema da noi proposto e considerando il fatto che la
pedagogia (e quindi il sistema educativo) non può prescindere da una visione del
mondo che solo la filosofia può offrire, ci sembra opportuno soffermarci sulla figura
che tanta parte ebbe nella politica culturale del regime e che affidò allo stesso la
riforma della scuola che da lui prese il nome: Giovanni Gentile.
Giovanni Gentile
La vita
All'avvento del fascismo, Gentile entrò nel governo come Ministro della
Pubblica Istruzione (1922-24), realizzando quell’ampia riforma della scuola che porta
il suo nome.
Gentile, che aveva confermato la sua adesione al fascismo anche dopo l'8
settembre 1943, fu ucciso da un gruppo di partigiani a Firenze il 15 aprile 1944.
La teoria dell'educazione
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La riforma Gentile
Il nuovo governo Mussolini doveva dimostrare al paese che non solo era
tornato l’ordine, per il quale sarebbe stato sufficiente un governo militare, ma che si
poneva anche mano ai grandi problemi del paese. E il filosofo fiorentino, assertore
della “moralità della storia”, ebbe l’incarico di dare una nuova e coerente forma alla
scuola italiana.
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La “Riforma Gentile” interessa tutti i gradi di scuola e prevede:
Diplomarsi geometri o ragionieri costava Lit. 2.136, mentre chi terminava gli
studi al grado inferiore degli istituto tecnici pagava in tutto Lit. 1.038.
BEATI I FIGLI DEL DANARO La scelta era quindi determinata anche dalle
possibilità economiche e il forte divario tra i costi per il conseguimento della
maturità, classica o scientifica, e quelli degli altri indirizzi di studio, oltre ai numerosi
sbarramenti di esami che vedevamo sopra, portavano ad un sistema che premiava
selettivamente i migliori, ma comunque determinava anche una selezione a priori
basata sul reddito. Lo studio restava comunque,sia concettualmente che praticamente,
un fatto di èlite ma era comunque uno studio libero in una scuola libera.
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Il fascismo fece della cultura classica, soprattutto di quella latina, un uso
strumentale, atto a legittimare, sul piano storico e culturale, la ripresa di una politica
imperialista e civilizzatrice.
Tuttavia per il fascismo non fu facile assimilare una teoria organica
sull’educazione dell’adulescens e quindi dello iuvenis romanus al fine di attualizzarla
– allo stesso modo con cui il regime aveva assimilato e cercato di attualizzare la
storia imperiale romana – e ciò per due motivi:
La mancanza di un’opera organica sull’educazione nella letteratura
latina;
La funzione che la cultura latina affidava alla cultura.
Di questa funzione ci informa Quintiliano, che disegna nei primi due libri
della sua Institutio oratoria il percorso che deve compiere il giovane romano per
diventare un “buon oratore”
Quintiliano
Uno degli aspetti che i fascisti andavano ormai rimproverando a Gentile era
di aver trascurato l’educazione fisica come strumento essenziale di formazione del
coraggio e della forza militare. Emergeva insomma sempre più chiaro che Gentile
aveva tentato di migliorare la formazione dell’élite, trascurando o peggio mal
calcolando le componenti di educazione di massa, indispensabili ormai a ogni sistema
formativo moderno.
Nacque così nel 1926 l’Opera Nazionale Balilla per provvedere alla
“educazione fisica e morale della gioventù” (Balilla era il nomignolo di un ragazzo
genovese che nel 1746 aveva attaccato una pattuglia austriaca a sassate e della cui
impresa erano pieni i testi per le elementari); essa dipendeva direttamente dal Partito
fascista i cui istruttori, ufficiali della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale,
erano anche insegnanti di educazione fisica e sportiva nelle scuole. L' ONB, con RD
del ‘27, assumeva l'incarico dell'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole,
materia che divenne obbligatoria dalla terza elementare in su. Due anni dopo la sua
creazione, due RD del ‘28, ordinarono lo scioglimento e la fusione nell' ONB di tutte
le organizzazioni giovanili non fasciste
Inizialmente i bambini dagli 8 ai 14 anni vennero organizzati nei Balilla o
nelle Piccole Italiane (dieci anni dopo si aggiunsero i Figli della Lupa, dai 6 agli 8
anni), i ragazzi dai 14 ai 18 Avanguardisti o nelle Giovani Italiane. Poi verranno
creati i Fasci Giovanili di combattimento, cui erano iscritti i giovani dai 18 ai 21 anni,
se come studenti non fossero già inquadrati nei Gruppi universitari fascisti (GUF),
esistenti dai primi tempi del fascismo al potere. Dopo ci si iscriveva direttamente al
Partito fascista.
Contrariamente a quello che in genere si crede l’iscrizione all’ONB non era
obbligatoria. I maestri cui era stato attribuito il compito di sollecitarle, erano spesso
nei guai perché temevano che un insuccesso si potesse trasformare in una nota di
demerito personale. D’altra parte, la situazione economica delle famiglie era assai
precaria, resa più gravosa dall’imperversare di malattie sociali (malaria, TBC, ecc..).
La miseria di molti era testimoniata dai troppi alunni che andavano a scuola ancora
scalzi e con abiti rattoppati e laceri. Le cinque lire di iscrizione ai Balilla o alle
Piccole Italiane, soprattutto quando si aggiungevano alle cinque lire per la
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“Mutualità” (la prima forma di assicurazione scolastica lanciata di concerto fra l’INA
e l’opera Balilla) costituivano una somma assai gravosa per alcune famiglie italiane.
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Presentando in senato il Concordato del 1929, Mussolini anche per sedare il
dissenso aperto di alcuni laici (ad esempio di Benedetto Croce prima non ostile al
fascismo) e il malumore interno alle file fasciste per aver cambiato, qualcuno disse,
“il fez fascista con il cappello del prete”, annunciò che in futuro sarebbe stata
accentuata l’educazione tipica del fascismo “alla quale daremo finalmente un nome,
poiché le ipocrisie ci ripugnano: l’educazione guerriera. La parola non deve
spaventare: Necessaria è questa educazione virile e guerriera in Italia, perché
durante lunghi secoli le virtù militari del popolo italiano non hanno potuto
rifulgere”. Da quel momento la pedagogia al servizio del regime criticò la scuola
borghese e liberale, comprese le scuole nuove, perché prospettavano la pace come il
bene supremo e spegnevano nei giovani “l’istinto alla combattività”, mirando a
formare topi di biblioteca anziché “inventori, costruttori e soldati”.
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Non c’è dubbio che i fascisti intesero per primi l’importanza dei nuovi mezzi
di comunicazione di massa (cinema e radio) e delle manifestazioni ginnico- militari,
non solo come strumenti di educazione permanente degli adulti, ma anche come
strategia pedagogica per la formazione dell’infanzia e della gioventù. La novità vera
non fu quindi solo l’ONB, con le sue divise e i suoi inni, ma anche la decisione di
rioccupare quegli spazi e di riappropriarsi di quegli strumenti extra e parascolastici
che la scuola laica, sostituendosi a quella ecclesiastica, aveva abbandonato,
riducendosi all’istruzione in senso stretto.
In una parola, la pedagogia fascista intuì che l’educazione non poteva essere
soddisfatta, se non parzialmente, dalle ore passate sui banchi.
Il fenomeno della scolarizzazione di massa agli inizi degli anni ’30 aveva
conosciuto una fortissima e improvvisa espansione, passando, ad esempio, dai 379
mila frequentanti le scuole secondarie in genere nel 1931.32, ai 498 mila del 1933-34
e ai 675 mila del 1935-36, con una tendenza all’aumento netta e inarrestabile (in
effetti proseguirà fino agli anni 70): Sul piano formativo ciò significava per lo Stato
fascista un aumento dell’impegno a fornire a questi nuovi alunni anche la formazione
integrativa dell’apprendimento scolastico in senso stretto. Infine, la formazione
dell’ONB spesso surrogava quasi del tutto la scuola, quando questa era ben misera
cosa sul piano culturale, ad esempio nel caso di corsi complementari o di
addestramento al lavoro e simili. Far partecipare questi ragazzi, soprattutto i non
benestanti, ad attività gratificanti e talvolta divertenti, che agivano come incentivo
pedagogico per indurre mentalità e comportamenti desiderati, era stata fino ad allora
una preoccupazione, attuata in forma ben diversa, solo dalle organizzazioni religiose.
Il fascismo se ne servì per primo, e con notevole successo, per allargare il
consenso popolare, soprattutto fra la gioventù che avrebbe presto impiegato nella
guerra di Abissinia e in quella di Spagna.
Era insomma la nuova educazione imperiale: nel 1937, proclamato appunto
l’impero, l’ONB si trasforma nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio), dotata di
mezzi maggiori e di un’organizzazione più capillare, anche sul modello della recente
ma efficientissima Gioventù hitleriana. Già dal 1934 nelle scuole era stata introdotta
una nuova materia: la cultura militare (per le ragazze prima i Lavori domestici e poi
la Puericultura) che avrebbe dovuto fornire il supporto storico e teorico alla
formazione militare (o all’educazione di “sposa e madre dei soldati”) che, nel suo
aspetto morale e addestrativo, sarebbe spettata interamente alla GIL, tramite
l’istituzione di corsi “pre-militari” per i giovani che avessero superato i 18 anni.
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DECALOGO DELLA PICCOLA ITALIANA:
PICCOLA ITALIANA, QUESTO È IL DECALOGO DELLA TUA
DISCIPLINA:
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DECALOGO DEL BALILLA 1929
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Mussolini e la riforma – ritocchi
Mussolini, come abbiamo già detto, definì la riforma Gentile “la più fascista
delle riforme”; in realtà, però, gli esiti della riforma non furono eccessivamente
brillanti.
La scuola complementare si dimostrò un vero fiasco, registrando pochissimi
nuovi iscritti e vedendo calare notevolmente quelli già in corso.
Nella scuola elementare, non solo l’introduzione solenne dell’insegnamento
religioso ma anche la scomparsa del carattere pratico e pre- professionale a vantaggio
di attività espressive ed estetiche (il disegno e il canto soprattutto) suscitarono molte
reazioni fra i borghesi e, per motivi diversi, fra il popolo che vedeva nel nuovo
carattere il segno di una scuola perditempo, dove si scarabocchiava e si cantava come
nelle feste, invece di imparare cose concrete e utili nel lavoro futuro.
Ma l’insoddisfazione maggiore fu espressa dai ceti medi; Gentile ed i suoi
avevano concepito una riforma rispondente a criteri ideologici senza tener conto che
il fascismo, una volta consolidato al potere, non si sarebbe più potuto contentare di
soddisfare le richieste degli industriali, degli agrari o del Vaticano, ma avrebbe
dovuto cercare consenso anche nella piccola e media borghesia.
Con l’istaurarsi della dittatura, dopo la crisi seguita al delitto Matteotti, e la
soppressione tra il 1925-26 di tutte le libertà politiche e civili, dei giornali
d’opposizione, dei partiti e delle organizzazioni sindacali, cominciava a compiersi la
progressiva fascistizzazione dello Stato, della società e della cultura.
Ben presto ci si accorse degli enormi limiti della riforma Gentile di fronte
alla necessità di inserire sempre più la scuola nella vita della Nazione.
I ministri che si succedettero a Gentile negli anni misero in atto una serie di
modifiche alla riforma, che loro chiamarono “ritocchi”, per strumentalizzare la scuola
e gli insegnanti come veicoli di propaganda del regime. La scuola divenne poco per
volta il più efficace strumento per l’organizzazione del consenso di massa.
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La “Carta” attraverso le sue 19 “dichiarazioni” indica ordinamenti,
insegnamenti e orari che vanno dalla scuola materna al sistema universitario e
stabilisce che nell’ “ordine fascista età scolastica ed età politica coincidono”.
Affiancati alla scuola nascono la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e i G.U.F.
(Gruppi Universitari Fascisti), con l’obbligo della frequenza dei “cittadini dalla prima
età ai ventun’anni”. La principale novità rispetto al sistema gentiliano è
l’introduzione di nuove scuole. Al biennio superiore della scuola elementare viene
cambiato nome in “Scuola del lavoro”. La nuova scuola media, triennale, istituita
unificando le prime tre classi del ginnasio e degli istituti tecnici e magistrali, invece
prevede tre filoni: 1) la scuola professionale per chi era destinato ad essere inserito
nel ceto impiegatizio; 2) la scuola artigiana (per le campagne e i piccoli centri) per
gli alunni dagli 11 ai 14 anni, destinata ai bambini provenienti dalle classi operaia e
contadina, e 3) l’istituzione della scuola media con l’insegnamento del latino, per chi
doveva essere avviato agli studi superiori (per le grandi città).
Il progetto di Bottai prevede anche l’equiparazione tra liceo classico e
scientifico.
Rimane irrealizzato un progetto reazionario, l'istituzione di un “ordine
femminile” (dichiarazione XXI) che avrebbe posto fine alle scuole promiscue e
confinato le donne in un apposito ghetto non avente altro sbocco professionale che
l'insegnamento nelle scuole materne e forse elementari.
La “Carta Bottai” tiene conto delle nuove realtà sociali; in particolare
programma l’introduzione nella scuola degli strumenti di comunicazione di massa
come la radio.
A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i principi espressi
nella Carta rimasero largamente inattuati, ad eccezione della legge del 1940 che
creava la scuola media.
Da ricordare che fu lo stesso Bottai che nel 1938 introdusse provvedimenti
antisemiti nella scuola (espulsione degli insegnanti ebrei, proibizione d’iscriversi a
studenti ebrei, istituzione di scuole elementari separate). Con una circolare del 6
agosto egli raccomandò ai Provveditori la massima diffusione nelle scuole primarie
della rivista “Difesa della Razza”. Il 15 novembre un testo unico riunì tutte le
disposizioni riguardanti la difesa della razza nella scuola italiana.
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Chiamami Duce, sarò il tuo papà
Eguali per tutto il territorio dello Stato erano le direttive ministeriali (fatta
salva la differenziazione dei testi destinati alle scuole elementari rurali), eguale era
l’esaltazione delle gesta guerriere, eguale era la retorica patriottarda che riempiva
aule, libri e lezioni, eguale era l’obbligo del “saluto al Duce” e, dopo il Concordato,
eguale era l’invocazione al Padre Eterno affinché proteggesse il Duce.
Scorrendo le pagelle di quegli anni apprendiamo quali erano le discipline
insegnate nelle scuole: religione, disegno e bella scrittura, lettura espressiva e
recitazione, ortografia, lettura ed esercizi scritti di lingua, aritmetica e contabilità,
geografia, storia e cultura fascista, scienze fisiche e naturali e igiene, nozioni di
diritto e di economia, educazione fisica, cultura militare, lavori donneschi e manuali;
erano inoltre oggetto di valutazione la disciplina (condotta) e l’igiene e la cura della
persona.
Con la spiccata ideologizzazione di tutte le materie di insegnamento, non
esclusa l’aritmetica, si può tranquillamente parlare di didattica manipolata e asservita
alle finalità del regime.
Il libro di lettura per la terza elementare, “Patria”, scritto da Adele e Maria
Zanetti, dà ad esempio questa spiegazione della guerra d’Africa:
"In Africa c’era un vasto impero, con una popolazione ancora barbara,
dominata da un imperatore incapace e cattivo: l’Abissinia. E gli Abissini ci
molestavano: danneggiavano, invadevano le nostre colonie e i nostri possedimenti.
Questo, poi, era troppo. Fu così che il Duce decise la guerra... l’Italia è tutta con
Mussolini... ferro, carta, oro, tutto dona alla Patria. La Regina, esempio a tutte le
spose, offre prima il suo anello nuziale".
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Attraverso le copertine dei quaderni è evidente il coinvolgimento della scuola
in temi quali la guerra in Etiopia, la nuova dimensione imperiale del fascismo, la
modernità aviatoria, il mito della conquista fascista del cielo e il dominio su quello
che sarebbe dovuto tornare ad essere il “mare nostrum”.
Dal libro della III classe elementare, La libreria dello Stato, Roma, 1936,
parte di matematica, leggiamo:
“Nota sui numeri romani. Per la numerazione dei capitoli dei libri, per
l’indicazione della classe dei vagoni ferroviari, ecc., si usano i numeri romani, Cioè
si scrivono i numeri secondo il modo usato dagli antichi romani di cui noi siamo
eredi diretti. Il nostro popolo, sotto la guida del Duce, rivive oggi le glorie antiche e
porta il segno del littorio nei paesi lontani come un tempo portava nel mondo
l’aquila romana. E dal giorno in cui si è iniziato il rinnovamento della vita italiana,
cioè dalla Marcia su Roma, si conta una nuova era che si rappresenta coi numeri
romani”
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” 4 comunisti, perchè hanno poca voglia di lavorare, guadagnano al giorno £ 8 e 4
fascisti guadagnano £ 15 al giorno. Chi guadagna di più?”
“Quanti anni ha il tuo babbo? Calcola quanti anni aveva quando avvenne la Marcia
su Roma.”
“La specie umana, pur avendo un’origine comune, si distingue per caratteri fisici e
spirituali in razze e sottorazze. I grandi gruppi delle razze sono quattro: razza bianca
o caucasica, razza gialla o mongolia, razza nera o africana e razza rossa o
americana. La razza bianca è la più civile, cioè quella capace delle più grandi idee;
a questo gruppo appartiene la razza italica. Le leggi sul fascismo vietano che i
cittadini di razza italiana contraggano matrimonio con individui di razza di colore o
con gli ebrei; ma oltre che dalle leggi ciò deve essere proibito dal nostro amor
proprio.”
I quaderni sono utili anche per il loro contenuto. Spesso, con la grafia incerta
e faticosa di molti bambini, troviamo il riverbero delle tante “parole di regime” che
dai maestri sono loro transitate, per essere poi ribadite nei temi, nei diari, nei dettati.
Possiamo così leggere, per esempio, cosa scrivevano alcuni bambini di Tonara, in
provincia di Nuoro, a proposito delle opere del regime:
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(saggio di dettatura prima classe elementare
Maestro Giuseppe Tore, mio bisnonno)