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Liceo Scientifico di Stato Michelangelo

Cagliari

La scuola nel periodo fascista

Francesca Nonnis V G
Anno scolastico 2007-2008
Indice

1. Introduzione

2. Gentile filosofo (pedagogia come scelta filosofica), Riforma

3. Quintiliano

4. O.N.B

5. Mussolini e la riforma, ritocchi

6. Chiamami Duce, sarò il tuo papà

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La scuola nel periodo fascista

Ho scelto di parlare della scuola nel periodo del fascismo perché diversi
documenti che appartengono alla mia famiglia hanno suscitato in me interesse e
curiosità.

Mi sono subito resa conto che per capire come funzionava la scuola durante
il fascismo non si può prescindere dal contesto politico e sociale di quel periodo.

Ecco quindi, in estrema sintesi, gli aspetti fondamentali che hanno


determinato la storia italiana nel cosiddetto “ventennio”.

Negli anni venti Benito Mussolini diede inizio in Italia ad un sistema


politico di genere nuovo “il fascismo”. Fu un fenomeno originariamente italiano
anche se in tutto il continente europeo, nella situazione di grave crisi economica,
politica e sociale provocata dal conflitto, vi fu una diffusa tendenza verso
l’affermazione di regimi autoritari che presentava tratti comuni e che aveva cause
analoghe con il fascismo.

In Italia, con il suo discorso alla camera, il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini
annunciò la riforma dello Stato: inizia la dittatura fascista.

Lo stato italiano fascista ha come elementi costitutivi:

 Unica ideologia: il fascismo;

 Unico partito: il Partito Nazionale Fascista;

 Il duce: guida infallibile a cui si deve obbedienza cieca;

 La fascistizzazione delle masse: per fare degli italiani una nazione


animata da un’unica fede. L’arte, la letteratura, il cinema, la radio, l’architettura e la
scuola operano in vista di questo fine. La società tutta e ciascun individuo sono
inquadrati dal regime fin dalla nascita. Per meglio coinvolgere e controllare le masse,
nel 1926 fu soppressa la libertà di stampa e venne istituita la censura; i mezzi di
comunicazione quali la radio e il cinema furono utilizzati per esaltare la figura del
duce ed il fascismo.

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Tornando quindi al tema da noi proposto e considerando il fatto che la
pedagogia (e quindi il sistema educativo) non può prescindere da una visione del
mondo che solo la filosofia può offrire, ci sembra opportuno soffermarci sulla figura
che tanta parte ebbe nella politica culturale del regime e che affidò allo stesso la
riforma della scuola che da lui prese il nome: Giovanni Gentile.

Giovanni Gentile
La vita

Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano, in Sicilia, il 30 maggio 1875 e


compì gli studi universitari alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove venne a
contatto con la filosofia dell’idealismo.

Successivamente fu professore all'università di Palermo dal 1906 al 1913


dove scrisse alcune delle sue opere principali come "La filosofia di Marx" e "La
riforma della dialettica hegeliana". Passato inoltre all'università di Pisa e poi a quella
di Roma, Gentile cominciò ad elaborare il principio dell'"atto puro" e a pubblicare
una serie di opere teoriche in cui esponeva la propria filosofia; si dedicò allo studio
della cultura filosofica nazionale cercando di far emergere una tradizione di pensiero
italiano parallela a quella tedesca.

All'avvento del fascismo, Gentile entrò nel governo come Ministro della
Pubblica Istruzione (1922-24), realizzando quell’ampia riforma della scuola che porta
il suo nome.

Nominato senatore nel 1922, Gentile, dopo il delitto Matteotti lasciò il


governo, si allontanò dalla politica attiva e s’indirizzò ad una militanza di carattere
soprattutto culturale, non priva tuttavia d’importanti risvolti amministrativi; il regime
mussoliniano gli conferì incarichi di grande prestigio, facendolo direttore
dell’Enciclopedia Italiana.

Gentile, che aveva confermato la sua adesione al fascismo anche dopo l'8
settembre 1943, fu ucciso da un gruppo di partigiani a Firenze il 15 aprile 1944.

La teoria dell'educazione

Per Gentile pedagogia e filosofia coincidono, poiché entrambe hanno la


funzione di rendere l'uomo consapevole di essere unità tra pensiero e realtà nell'atto
del pensare.

In realtà il filosofo italiano è decisamente ostile a quella "pedagogia" che


aveva preteso di configurarsi come scienza autonoma. Egli combatte a fondo il
pedagogismo, vale a dire la pretesa di istituire una scienza dei metodi d’insegnamento
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e parimenti combatte il pedologismo, cioè la pretesa di studiare sistematicamente gli
stadi evolutivi che percorre lo spirito umano nel suo processo di formazione. In realtà
non si può, secondo il filosofo italiano, considerare lo spirito come un’entità naturale,
astratta e inerte, e imporgli dall’esterno delle leggi a cui debba conformarsi.
L'educazione presuppone la libertà, perché l'atto di pensare è un atto libero che mira
alla libertà e intende formare un uomo libero e padrone di sé. Lo spirito, nella sua
assoluta libertà, crea continuamente se stesso in forme sempre nuove. L’unico
approccio possibile alla realtà dello spirito è quello filosofico e la pedagogia,
pertanto, non può essere altro che la filosofia stessa in quanto considera il farsi dello
spirito in quel concreto rapporto tra maestro e allievo che è l’atto educativo.

Il rapporto di educazione si presenta come un rapporto tra insegnante e


allievo, ma la dualità dei due protagonisti si risolve in un'unica attività; nell'atto
educativo infatti la mente dell'insegnante e quella dell'allievo divengono una mente
sola: "la mente oggettiva che viene costruendo la verità". Sia l'insegnante che lo
studente negano quindi la loro "soggettività naturale" innalzandosi a quella unità
superiore, che è unione con l'oggettività. Con l’atto educativo si realizza una sintesi a
priori tra la mente del maestro e quella dell’allievo: una fusione attraverso cui la
conoscenza non viene attinta dai manuali scolastici, ma viene creata ex novo in una
“solitudine trascendentale” libera da influenze e condizionamenti esterni.

Queste opinioni di Gentile sono le premesse pedagogiche della riforma della


scuola del 1923 di cui il filosofo, in quanto ministro dell'educazione, ne fu l'autore.

Considerando la filosofia di Gentile appare evidente che egli non riconosce


valore formativo alla scienza, ma alla filosofia. Come conseguenza, nell'ambito
culturale assume particolare importanza il liceo classico (come scuola destinata alle
classi superiori della nazione) e in esso l'insegnamento della filosofia e della cultura
storico- letteraria; non c’erano programmi di insegnamento, ma solo programmi di
esame. Lo studio si basava sulla lettura diretta dei classici, filosofici e letterari, allo
scopo di “rivivere la vita dello scrittore nella sua pienezza”. Il sapere tecnico-
scientifico, esaltato dal Positivismo, assume invece un ruolo secondario destinato alle
classi inferiori. Anche l'insegnamento (obbligatorio) della religione nella scuola
elementare assume una funzione importante, poiché aiuta i bambini a cogliere la
dimensione dell'assoluto che sarà fornita nell'insegnamento successivo della filosofia.

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La riforma Gentile

Il Ministro della Pubblica Istruzione del primo governo Mussolini è il


filosofo Giovanni Gentile. Eppure il riformatore della scuola italiana non arrivò al
Ministero per meriti fascisti; . Quando Mussolini ottenne l’incarico di governo dal re
volle subito dimostrare che il fascismo non era avido di “posti” ed era disponibile ad
accettare la collaborazione di tutti gli uomini di valore. Di Gentile, Mussolini non
conosceva nemmeno il nome. Glielo propose per la pubblica istruzione il sindacalista
Lanzillo, e il futuro dittatore dovette restare piuttosto stupito quando, all’offerta
dell’incarico ministeriale, Gentile rispose ponendo due condizioni: che fossero
ristabilite le pubbliche libertà e introdotto l’esame di Stato nelle scuole secondarie.
Mussolini promise e Gentile accettò.

Il nuovo governo Mussolini doveva dimostrare al paese che non solo era
tornato l’ordine, per il quale sarebbe stato sufficiente un governo militare, ma che si
poneva anche mano ai grandi problemi del paese. E il filosofo fiorentino, assertore
della “moralità della storia”, ebbe l’incarico di dare una nuova e coerente forma alla
scuola italiana.

La riforma, varata con la legge del 31 dicembre 1923 n. 3126, presentata


come sistematica e costruttiva risposta alla crisi che aveva investito globalmente
l’istituzione scolastica, fu salutata da Mussolini come “la più fascista delle riforme”.
Questo preteso carattere fascista della riforma fu, tuttavia, più apparente che
reale.
Infatti, la riforma di Giovanni Gentile non creò una scuola fascista: creò una
scuola gentiliana, nella quale l’istruzione classica era considerata il punto centrale e
la sintesi della preparazione culturale del giovane.
Per descrivere la riforma di Gentile si usa l’espressione “sistema scolastico a
canne d’organo”, scuole parallele tra loro con indirizzi separati, di lunghezza diversa,
non comunicanti tra loro, con una tendenziale corrispondenza tra indirizzo di scuola e
un certo ceto sociale.

Dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione della scuola


secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo aristocratico,
cioè pensata e dedicata “ai migliori” e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello
secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale
per il popolo. Le materie scientifiche furono quindi messe in secondo piano, avevano
la loro importanza solo a livello professionale.

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La “Riforma Gentile” interessa tutti i gradi di scuola e prevede:

1. 5 anni di scuola elementare (dai 6 ai 10 anni) uguali per tutti


2. l'estensione dell’obbligo scolastico fino a quattordici anni;
3. la suddivisione della scuola superiore in scuole tecniche e in licei;
4. la riforma della scuola normale che diviene Istituto Magistrale della durata di
sette anni;
5. la messa al bando dello studio della didattica, della psicologia e di ogni attività
di tirocinio
6. la creazione di un liceo femminile che dovrebbe formare giovani della piccola-
media borghesia desiderose di acquisire un diploma superiore (a differenza di
quello maschile, questo liceo non prepara al lavoro ed alla vita ufficiale, bensì
garantisce alla donna un'educazione adeguata al ruolo di moglie e di madre);
7. l’ insegnamento obbligatorio della religione cattolica e l’introduzione dell'
istruzione estetica;
8. l'istituzione di scuole speciali per handicappati;

(il duce con Gentile)

La scuola elementare, obbligatoria e gratuita, era suddivisa in due corsi:


inferiore (fino alla 3° classe) e superiore (4° e 5° classe). Per l’ammissione al corso
superiore bisognava superare un apposito esame di Stato. Dopo la scuola elementare,
che si concludeva con l’esame per conseguire il “certificato di compimento”, lo
studente che desiderava proseguire la carriera scolastica fino ai più alti gradi doveva
sostenere un altro esame: quello di ammissione al Ginnasio. Anche il Ginnasio era
suddiviso in due corsi, e il passaggio dal corso inferiore a quello superiore
comportava un esame, che si sosteneva alla fine della terza Ginnasio. Alla fine del
quinto anno di Ginnasio lo studente doveva ancora sostenere degli esami, quelli
conclusivi della scuola ginnasiale, e che avevano il nome di “esami di ammissione al
liceo”. Il superamento di questi esami permetteva l’iscrizione al Liceo Classico,
triennale. Infine, il conseguimento del diploma di maturità classica permetteva
l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Il giovane che arrivava all’Università aveva
quindi superato un numero di sbarramenti non indifferente: sei esami nei primi tredici
anni di studi. Le materie di insegnamento del ginnasio erano italiano, latino, greco,
storia, geografia, matematica, lingua straniera (dalla 2° alla 5° ginnasio), religione ed
educazione fisica.

UNA SCELTA PER IL FUTURO Il Liceo Scientifico, di durata quadriennale e al


quale si accedeva con gli stessi titoli di ammissione per il Liceo Classico, prevedeva
un approfondimento degli studi scientifici e il proseguimento dello studio della lingua
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straniera, oltre all’insegnamento del disegno. La mancanza
dell’insegnamento del greco e il numero minore di ore dedicate alle altre materie
letterarie limitavano, per i maturati al Liceo Scientifico, l’accesso agli studi
universitari, escludendo la possibilità di iscrizione alle facoltà di lettere, filosofia e
giurisprudenza.
Lo schema gentiliano della scuola poneva quindi già dalla quinta elementare
una scelta per il futuro del giovane perché l’istruzione classica restava la scuola per
eccellenza, aprendo la strada ad ogni possibilità di studi universitari, mentre le
alternative al ginnasio andavano dalla scuola secondaria di avviamento professionale
(il più basso gradino, che serviva in sostanza ad avviare i giovani al lavoro dopo il
14° anno d’età), all’istituto tecnico e all’istituto magistrale, che erano pure scuole di
avviamento al lavoro, ma prevedevano anche un accesso limitato agli studi
universitari (la facoltà di agraria o di economia per il primo, la facoltà di magistero
per il secondo). Il liceo artistico infine dava la possibilità di proseguire gli studi solo
all’Accademia di belle arti o alla facoltà di architettura.

La rigidità del sistema si esprimeva anche attraverso le differenti spese che


doveva affrontare la famiglia per l’istruzione dei figli. Qui di seguito forniamo i costi,
riferiti al 1935, di un corso di studi completo (ossia fino al conseguimento del
diploma finale) nei diversi settori dell’istruzione secondaria:
- ginnasio e liceo classico: Lit. 3.700
- ginnasio e liceo scientifico: Lit. 4.120
- scuola di avviamento al lavoro: Lit. 50
- istituto magistrale: da Lit. 1.610 a Lit. 2.400

Diplomarsi geometri o ragionieri costava Lit. 2.136, mentre chi terminava gli
studi al grado inferiore degli istituto tecnici pagava in tutto Lit. 1.038.

BEATI I FIGLI DEL DANARO La scelta era quindi determinata anche dalle
possibilità economiche e il forte divario tra i costi per il conseguimento della
maturità, classica o scientifica, e quelli degli altri indirizzi di studio, oltre ai numerosi
sbarramenti di esami che vedevamo sopra, portavano ad un sistema che premiava
selettivamente i migliori, ma comunque determinava anche una selezione a priori
basata sul reddito. Lo studio restava comunque,sia concettualmente che praticamente,
un fatto di èlite ma era comunque uno studio libero in una scuola libera.

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Il fascismo fece della cultura classica, soprattutto di quella latina, un uso
strumentale, atto a legittimare, sul piano storico e culturale, la ripresa di una politica
imperialista e civilizzatrice.
Tuttavia per il fascismo non fu facile assimilare una teoria organica
sull’educazione dell’adulescens e quindi dello iuvenis romanus al fine di attualizzarla
– allo stesso modo con cui il regime aveva assimilato e cercato di attualizzare la
storia imperiale romana – e ciò per due motivi:
 La mancanza di un’opera organica sull’educazione nella letteratura
latina;
 La funzione che la cultura latina affidava alla cultura.

Di questa funzione ci informa Quintiliano, che disegna nei primi due libri
della sua Institutio oratoria il percorso che deve compiere il giovane romano per
diventare un “buon oratore”

Quintiliano

Quintiliano nacque in Spagna intorno al 35 d.C. e compì i suoi studi a Roma,


dove svolse l’attività di avvocato e inoltre insegnò retorica per vent’anni ottenendo
un importante riconoscimento pubblico: fu infatti tra i primi professori finanzianti
dallo stato per iniziativa di Vespasiano il quale lo volle accanto a sé e gli affidò il
compito di organizzare una scuola di retorica.

Vespasiano, infatti, fu il primo a istituire una scuola superiore statale e a


inquadrare i professori nei ruoli statali, come funzionari imperiali. Anche Quintiliano
usufruì di tale trattamento che, se da una parte assicurava uno stipendio ai retori,
dall’altra li rendeva produttori della cultura del tempo ma dipendenti della politica
governativa. In questo modo, la politica imperiale si contentava del fatto che i retori
non passassero all’ opposizione intellettuale e li vincolava invece a rimanere, come
oggi diremmo, “organizzatori di consenso”. Il governo vincolò progressivamente
l’educazione secondaria superiore, sempre più necessaria per formare i quadri
dell’amministrazione dell’impero di Roma, fino a giungere con Teodosio e
Valentiniano a proibire ogni forma di istruzione non gestita dallo stato.
Quintiliano, professore di oratoria e famoso studioso della stessa materia, è
una delle maggiori fonti restanti sull’educazione romana, egli dedicò buona parte
della sua vita all’insegnamento e alla formazione dei giovani delle migliori famiglie
di Roma, proponendo un modello educativo che finalizzava l’intero percorso
scolastico alla formazione dell’oratore, intesa come un uomo ricco di qualità morali
ed esperto nell’arte della parola. Secondo Quintiliano il criterio fondamentale con
cui valutare gli oratori è quello della loro adesione all’interesse dello Stato: ma lo
Stato è impersonato dal principe. Quintiliano istaura la sua dottrina e le sue norme di
comportamento dentro lo Stato, senza riservare a sé alcuna via di uscita; così
l’oratore deve essere un fedele collaboratore del principe.
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Anche se non è uno studioso dell’infanzia, propone un’educazione anche
prima del traguardo dei sette anni di vita, ma in realtà più che riferirsi al bambino in
genere parla del “futuro oratore”. Tuttavia va riconosciuto che le osservazioni che
propone sull’educazione dei bambini rivelano grande sensibilità e non sono prive
d’intuizioni che la pedagogia moderna ha riconosciute valide. Nell’istitutio oratoria
si richiama infatti su alcuni punti particolarmente attuali.
Molto interessante è innanzitutto il concetto di educazione intesa non come
un progressivo accumulo di nozioni, ma come un processo continuo, integrale e
unitario della persona. L’educazione non è solo opera del pedagogo, del precettore o
del maestro ma ad essa concorrono anche l’ambiente familiare, le nutrici, ovvero
l’intero contesto nel quale il bambino vive: la formazione inizia dalla culla, dal
momento in cui il bimbo, dopo la nascita, instaura i primi contatti con il mondo
circostante.
Quintiliano ha molta fiducia nell’educazione intenzionale e programmata e
sostiene che, a parte alcuni casi patologici, nessun bambino è del tutto incapace di
apprendere. L’innegabile diversità delle intelligenze e dei ritmi di apprendimento
non consentiranno a tutti di raggiungere gli stessi traguardi ma un’efficace azione
educativa garantirà in ogni caso risultati positivi. Risulta dalle osservazioni di
Quintiliano molta attenzione e grande rispetto per il mondo del bambino, per la sua
personalità, per i suoi ritmi di apprendimento e di crescita.
Altra intuizione attuale è l’importanza che assume la classe per una
formazione armonica. Essa è infatti intesa come comunità nella quale il bambino e
l’adolescente vengono a contatto con realtà diverse, si confrontano con i coetanei, e
proprio dal confronto scoprono le loro potenzialità e i loro limiti. Quintiliano dunque
suggerisce che l’apprendimento non avvenga all’interno delle mura domestiche ma
in una classe.
Molte osservazioni sono dedicate al rapporto educativo fra maestro e
alunno. La professionalità del docente esige qualità particolari, prima fra tutte la
capacità di porsi in relazione con il bambino in modo da coinvolgerlo attivamente
nel processo di crescita. Il maestro elementare deve essere consapevole del fatto che,
egli assume il ruolo di figura di riferimento per il bambino. Così fra maestro e
l’alunni si stabilisce un forte legame di dipendenza anche sul piano affettivo.
Per quanto riguarda gli usi dei mezzi di correzione Quintiliano respinge
l’uso della frusta poiché crea disturbi nella personalità e non ha alcuna efficacia,
perché induce soltanto timore e non crea apprendimento e tanto meno la
consapevolezza, e solo la consapevolezza può impedire che un errore si ripeta.

Se volessimo, pertanto, richiamarci per un solo attimo al fine che la nostra


ricerca sta conducendo, potremo concludere che se pure non vi sono affinità tra il
modo educativo fascista ed il concetto di educazione di Quintiliano (sarebbe
eccessivo chiedere a quest’ultimo anche un solo accenno all’educazione femminile)
un punto di contatto, se si vuole banale, ma d’estrema importanza, è che per
ambedue la cultura è una cultura di “classe”, finalizzata a formare il “bonus cives” in
quanto parte integrante dei fini politici dell’Impero: la cultura è per entrambi sempre
e solo consenso, mai critica.
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La politica del fascismo non poteva (e non voleva), come si è dimostrato
nella teoria filosofica di Gentile, rendere consapevoli l’intero corpo sociale (idea
minata, secondo il regime, da elementi “sovversivi” e quindi d’origine socialista).
Educare, per il fascismo, non voleva dire, soltanto, far partecipe l’élite di quel “farsi
dello spirito”, ma soprattutto “propagandare”, “diffondere il verbo” e, non ultimo,
formare i futuri soldati dell’Impero d’Italia. “Libro e moschetto” è il motto, che
riprende il detto di Giovenale (Satire, X) “mens sana in corpore sano”, e se il compito
riservato al “libro” era affidato alla scuola, l’uso del “moschetto”ed il fine per cui
doveva essere usato era affidato all’O.N.B. (Opera Nazionale Balilla)

L’ Opera Nazionale Balilla

Uno degli aspetti che i fascisti andavano ormai rimproverando a Gentile era
di aver trascurato l’educazione fisica come strumento essenziale di formazione del
coraggio e della forza militare. Emergeva insomma sempre più chiaro che Gentile
aveva tentato di migliorare la formazione dell’élite, trascurando o peggio mal
calcolando le componenti di educazione di massa, indispensabili ormai a ogni sistema
formativo moderno.
Nacque così nel 1926 l’Opera Nazionale Balilla per provvedere alla
“educazione fisica e morale della gioventù” (Balilla era il nomignolo di un ragazzo
genovese che nel 1746 aveva attaccato una pattuglia austriaca a sassate e della cui
impresa erano pieni i testi per le elementari); essa dipendeva direttamente dal Partito
fascista i cui istruttori, ufficiali della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale,
erano anche insegnanti di educazione fisica e sportiva nelle scuole. L' ONB, con RD
del ‘27, assumeva l'incarico dell'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole,
materia che divenne obbligatoria dalla terza elementare in su. Due anni dopo la sua
creazione, due RD del ‘28, ordinarono lo scioglimento e la fusione nell' ONB di tutte
le organizzazioni giovanili non fasciste
Inizialmente i bambini dagli 8 ai 14 anni vennero organizzati nei Balilla o
nelle Piccole Italiane (dieci anni dopo si aggiunsero i Figli della Lupa, dai 6 agli 8
anni), i ragazzi dai 14 ai 18 Avanguardisti o nelle Giovani Italiane. Poi verranno
creati i Fasci Giovanili di combattimento, cui erano iscritti i giovani dai 18 ai 21 anni,
se come studenti non fossero già inquadrati nei Gruppi universitari fascisti (GUF),
esistenti dai primi tempi del fascismo al potere. Dopo ci si iscriveva direttamente al
Partito fascista.
Contrariamente a quello che in genere si crede l’iscrizione all’ONB non era
obbligatoria. I maestri cui era stato attribuito il compito di sollecitarle, erano spesso
nei guai perché temevano che un insuccesso si potesse trasformare in una nota di
demerito personale. D’altra parte, la situazione economica delle famiglie era assai
precaria, resa più gravosa dall’imperversare di malattie sociali (malaria, TBC, ecc..).
La miseria di molti era testimoniata dai troppi alunni che andavano a scuola ancora
scalzi e con abiti rattoppati e laceri. Le cinque lire di iscrizione ai Balilla o alle
Piccole Italiane, soprattutto quando si aggiungevano alle cinque lire per la

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“Mutualità” (la prima forma di assicurazione scolastica lanciata di concerto fra l’INA
e l’opera Balilla) costituivano una somma assai gravosa per alcune famiglie italiane.

Se ne devono sentire! Proprio in questo momento ho dovuto firmare un


circolare del signor M., in cui vi era trascritta una minaccia del Podestà così
formulata: “Tra una quindicina di giorni terrò una riunione ai maestri che mi
dovranno riferire i risultati del tesseramento all’ONB. Se la cifra di 2/3 non sarà
raggiunta, proporrò il riferimento ad altra sede”. Pretesa assurda dato che per
essere Piccola Italiana occorre pagare cinque lire per la tessera e dato ancora che a
Quartu, come in tutti gli altri paesi regna la miseria.(Da un diario di classe di una
maestra di una Scuola femminile di Quartu Sant’Elena 1932)

La finalità ginnico-militare, con le sue applicazioni educative tipiche


rispettivamente della disciplina agonistica e di quella delle armi, valida per i maschi,
per le donne in età evolutiva si trasformava in un fine “eugenetico”: conferire grazia e
forza alle future madri, così che i figli fossero fin dalla nascita disponibili a divenire
presto dei buoni fascisti (“la maternità si addice alla donna, come la guerra
all’uomo”).
Era stato Mussolini stesso a lanciare lo slogan “libro e moschetto, fascista
perfetto”, con l’evidente senso che la formazione delle nuove generazioni doveva
ricomporre in sé, come ai tempi dell’antica Roma – vista secondo un modello molto
idealizzato, sempre presente nel ventennio fascista -, lo studio e le pratiche ginnico-
militari che insegnano a “vivere pericolosamente” (altro slogan pedagogico
mussoliniano, come “meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora”).
Per sancire meglio l’unione fra scuola e Opera Balilla, s’istituisce un
sottosegretariato per quest’ultima all’interno della struttura della P.I.
E’ naturale allora che l’Opera Balilla fosse considerata come “la vera scuola
del fascismo”, non solo perché gestita da uomini di indubbia fede fascista, ma
soprattutto perché essa veniva ad incarnare l’ideale pedagogico dei gerarchi in
camicia nera. Dunque, a fianco della scuola ricevuta in eredità dallo Stato liberale –
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che Gentile aveva restaurato ma non riformato in senso fascista – il Regime si
apprestò a erigere un itinerario formativo autenticamente fascista. Uno dei vanti
dell’ONB era che essa univa, per la prima volta nella storia italiana, bambini e
ragazzi di differenti classi sociali, quindi frequentanti scuole diverse: il figlio
dell’avvocato che studiava già il greco poteva stringere amicizia e comunque avere
un comune destino educativo con il figlio del tranviere, e così la figlia della
nobildonna con la figlia della donna di servizio.
L’ONB non va perciò vista solo come una parodia di parate militari e di
saggi ginnici, anche se proprio questo ne fu sempre l’aspetto più appariscente. Via via
essa assunse iniziative che le consentivano una penetrazione più efficace e profonda:
la formazione degli istruttori dell’OBN, che erano anche insegnanti di educazione
fisica nelle scuole secondarie; l’organizzazione di attività ricreative e pubblicistiche,
equivalenti per le età minori a quelle svolte per gli adulti del Dopolavoro fascista; la
diffusione di palestre e laboratori presso le Case del Fascio di tutta Italia; la
promozione di corsi di addestramento professionale nei centri dove non ci fossero
iniziative; infine, la gestione delle colonie di vacanza e cura che accoglievano ragazzi
di condizione sociale disagiata, in un’epoca in cui la villeggiatura estiva era ancora
limitata al ceto benestante.
Si potè così dire che l’ONB attuava un altro degli slogan mussoliniani:
“andare incontro al popolo” (anche se di fatto, avvenendo il reclutamento attraverso
le scuole, da una certa età in poi i figli della borghesia furono sempre in larga
maggioranza rispetto ai figli dei lavoratori, specie nei piccoli centri e nelle
campagne).
L’ONB rappresentò quindi l’intervento di politica pedagogica più
congeniale al nuovo regime, assai più della precedente riforma Gentile. Nel
frattempo, superata la crisi del delitto Matteotti, il fascismo si era ancora rafforzato,
assorbendo, eliminando o emarginando l’opposizione e acquistando poi ulteriore
consenso nell’opinione pubblica con i Patti Lateranensi del 1929, con i quali si
estendeva a tutti i tipi e gradi di scuole (teoricamente anche all’università ma
Mussolini si oppose) l’insegnamento della religione cattolica, che diveniva inoltre,
almeno sulla carta, il “fondamento e coronamento” di tutto l’iter pedagogico.

11Febbraio 1929: Le suore, colte da rara agitazione, prendono noi pipilletti


delle prime classi e ci portano nella sala grande, ci mettono in mano delle bandierine
metà bianco-rosso-verde e metà bianco-gialle con le chiavi di San Pietro; Suor
Gerarda si mette al piano e invece di intonare il solito inno alla Madonna o al
Santissimo, intona, porca miseria, “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”:
l’inno ufficiale fascista! Madre Rosaria spiega che quella musica non l’avevamo mai
sentita da loro ma che da quel giorno diventava di casa perché c’era stata la
Conciliazione, Re, Duce e Papa avevano fatto la pace, erano diventati grandi amici e
si aiutavano finalmente l’uno con l’altro. (A.S. Ruggiu “Dizionario della memoria”)

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Presentando in senato il Concordato del 1929, Mussolini anche per sedare il
dissenso aperto di alcuni laici (ad esempio di Benedetto Croce prima non ostile al
fascismo) e il malumore interno alle file fasciste per aver cambiato, qualcuno disse,
“il fez fascista con il cappello del prete”, annunciò che in futuro sarebbe stata
accentuata l’educazione tipica del fascismo “alla quale daremo finalmente un nome,
poiché le ipocrisie ci ripugnano: l’educazione guerriera. La parola non deve
spaventare: Necessaria è questa educazione virile e guerriera in Italia, perché
durante lunghi secoli le virtù militari del popolo italiano non hanno potuto
rifulgere”. Da quel momento la pedagogia al servizio del regime criticò la scuola
borghese e liberale, comprese le scuole nuove, perché prospettavano la pace come il
bene supremo e spegnevano nei giovani “l’istinto alla combattività”, mirando a
formare topi di biblioteca anziché “inventori, costruttori e soldati”.
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Non c’è dubbio che i fascisti intesero per primi l’importanza dei nuovi mezzi
di comunicazione di massa (cinema e radio) e delle manifestazioni ginnico- militari,
non solo come strumenti di educazione permanente degli adulti, ma anche come
strategia pedagogica per la formazione dell’infanzia e della gioventù. La novità vera
non fu quindi solo l’ONB, con le sue divise e i suoi inni, ma anche la decisione di
rioccupare quegli spazi e di riappropriarsi di quegli strumenti extra e parascolastici
che la scuola laica, sostituendosi a quella ecclesiastica, aveva abbandonato,
riducendosi all’istruzione in senso stretto.
In una parola, la pedagogia fascista intuì che l’educazione non poteva essere
soddisfatta, se non parzialmente, dalle ore passate sui banchi.

Il fenomeno della scolarizzazione di massa agli inizi degli anni ’30 aveva
conosciuto una fortissima e improvvisa espansione, passando, ad esempio, dai 379
mila frequentanti le scuole secondarie in genere nel 1931.32, ai 498 mila del 1933-34
e ai 675 mila del 1935-36, con una tendenza all’aumento netta e inarrestabile (in
effetti proseguirà fino agli anni 70): Sul piano formativo ciò significava per lo Stato
fascista un aumento dell’impegno a fornire a questi nuovi alunni anche la formazione
integrativa dell’apprendimento scolastico in senso stretto. Infine, la formazione
dell’ONB spesso surrogava quasi del tutto la scuola, quando questa era ben misera
cosa sul piano culturale, ad esempio nel caso di corsi complementari o di
addestramento al lavoro e simili. Far partecipare questi ragazzi, soprattutto i non
benestanti, ad attività gratificanti e talvolta divertenti, che agivano come incentivo
pedagogico per indurre mentalità e comportamenti desiderati, era stata fino ad allora
una preoccupazione, attuata in forma ben diversa, solo dalle organizzazioni religiose.
Il fascismo se ne servì per primo, e con notevole successo, per allargare il
consenso popolare, soprattutto fra la gioventù che avrebbe presto impiegato nella
guerra di Abissinia e in quella di Spagna.
Era insomma la nuova educazione imperiale: nel 1937, proclamato appunto
l’impero, l’ONB si trasforma nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio), dotata di
mezzi maggiori e di un’organizzazione più capillare, anche sul modello della recente
ma efficientissima Gioventù hitleriana. Già dal 1934 nelle scuole era stata introdotta
una nuova materia: la cultura militare (per le ragazze prima i Lavori domestici e poi
la Puericultura) che avrebbe dovuto fornire il supporto storico e teorico alla
formazione militare (o all’educazione di “sposa e madre dei soldati”) che, nel suo
aspetto morale e addestrativo, sarebbe spettata interamente alla GIL, tramite
l’istituzione di corsi “pre-militari” per i giovani che avessero superato i 18 anni.

14
DECALOGO DELLA PICCOLA ITALIANA:
PICCOLA ITALIANA, QUESTO È IL DECALOGO DELLA TUA
DISCIPLINA:

1 Prega e adoperati per la pace; ma prepara il tuo cuore alla guerra.


2 Ogni sciagura è mitigata dalla forza d'animo, dal lavoro, dalla carità.
3 La patria si serve anche spazzando la propria casa.
4 La disciplina civile comincia dalla disciplina familiare.
5 II cittadino cresce per la difesa e la gloria della Patria accanto alla
madre, alle sorelle, alla sposa.
6 II soldato sostiene ogni fatica ed ogni vicenda per la difesa del-
le sue donne e della sua casa.
7 Durante la guerra la disciplina delle truppe riflette la resistenza
morale delle famiglie a cui presiede la donna.
8 La donna è la prima responsabile del destino di un popolo.
9 II Duce ha ricostruito la vera famiglia italiana: ricca di figli, parca
nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana.
10 La donna italiana è mobilitata dal Duce al servizio della Patria. le
sue donne e della sua casa.

15
DECALOGO DEL BALILLA 1929

1 Ama la Patria come i genitori; ama i genitori come la Patria.


2 Sii religioso, sincero e compi i doveri del cristiano.
3 Non adoperare mai la tua forza contro il debole; difendilo se è
aggredito dal forte.
4 Aiuta chi ha bisogno: con la mente chi vuole apprendere; col cuore chi
manca di affetti; con le sostanze chi ha fame; con la vita chi sta per
perdere la sua.
5 Compì sempre i tuoi doveri di figlio, di fratello, di scolaro, di
camerata.
6 Non crescere un ozioso, perché chi non lavora, chi non produce non è
un buon Ballila, non è un buon italiano.
7 Rispetta tutte le cose che non sono tue, siano esse di privati come del
pubblico.
8 In una Chiesa, dinanzi ad un'immagine sacra, pensa a Dio; nel Parco
della Rimembranza, dinanzi ad un monumento e a una lapide ai Caduti,
pensa all'Italia e fa' voto d'essere pronto a dare per Essa tutto il tuo
sangue.
9 Ricorda che Ballila, in tempi di schiavitù, scagliò il primo sasso per
scacciare lo straniero. Oggi l'Italia è libera, ma può aver bisogno, un
giorno, anche della tua vita, per divenir grande. Accorri per primo alla
sua chiamata.
10 Balilla, Avanguardista, Fascista, non discutere i comandi del tuo
superiore, mai quelli del Duce.

16
Mussolini e la riforma – ritocchi

Mussolini, come abbiamo già detto, definì la riforma Gentile “la più fascista
delle riforme”; in realtà, però, gli esiti della riforma non furono eccessivamente
brillanti.
La scuola complementare si dimostrò un vero fiasco, registrando pochissimi
nuovi iscritti e vedendo calare notevolmente quelli già in corso.
Nella scuola elementare, non solo l’introduzione solenne dell’insegnamento
religioso ma anche la scomparsa del carattere pratico e pre- professionale a vantaggio
di attività espressive ed estetiche (il disegno e il canto soprattutto) suscitarono molte
reazioni fra i borghesi e, per motivi diversi, fra il popolo che vedeva nel nuovo
carattere il segno di una scuola perditempo, dove si scarabocchiava e si cantava come
nelle feste, invece di imparare cose concrete e utili nel lavoro futuro.
Ma l’insoddisfazione maggiore fu espressa dai ceti medi; Gentile ed i suoi
avevano concepito una riforma rispondente a criteri ideologici senza tener conto che
il fascismo, una volta consolidato al potere, non si sarebbe più potuto contentare di
soddisfare le richieste degli industriali, degli agrari o del Vaticano, ma avrebbe
dovuto cercare consenso anche nella piccola e media borghesia.
Con l’istaurarsi della dittatura, dopo la crisi seguita al delitto Matteotti, e la
soppressione tra il 1925-26 di tutte le libertà politiche e civili, dei giornali
d’opposizione, dei partiti e delle organizzazioni sindacali, cominciava a compiersi la
progressiva fascistizzazione dello Stato, della società e della cultura.
Ben presto ci si accorse degli enormi limiti della riforma Gentile di fronte
alla necessità di inserire sempre più la scuola nella vita della Nazione.

I ministri che si succedettero a Gentile negli anni misero in atto una serie di
modifiche alla riforma, che loro chiamarono “ritocchi”, per strumentalizzare la scuola
e gli insegnanti come veicoli di propaganda del regime. La scuola divenne poco per
volta il più efficace strumento per l’organizzazione del consenso di massa.

Elemento fondamentale nel percorso di “fascistizzazione dello Stato italiano


e della penetrazione fascista nella scuola fu l’imposizione del libro unico per
l’insegnamento elementare; approvato dal governo nel 1928, a partire dall’anno
17
scolastico 1930-31 diviene obbligatorio anche nelle scuole private; Fu istituita una
commissione, nominata dal ministero della Pubblica Istruzione, con il compito di
“dirigere e coordinare il lavoro di compilazione del Testo Unico di Stato” per le
singole classi elementari: (di essa faceva parte fra gli altri, Grazia Deledda).
Con il Testo Unico lo Stato poteva così esercitare un controllo diretto
sull’insegnamento, limitando ulteriormente l’autonomia didattico- educativa degli
insegnanti, anch’essi sottoposti ad una progressiva fascistizzazione, costretti al
“giuramento di fedeltà”, ad iscriversi al Partito e ad indossare, nell’esercizio delle
loro funzioni, l’uniforme (di ufficiale della Milizia o la camicia nera gli uomini e di
dirigenti delle Organizzazioni femminili dell’ONB le donne).

Si ritorna a scuola…. Ligia a quel senso di innato rispetto all’ordine e alla


disciplina, così come ci fu ordinato, vengo a scuola in divisa (quinta femminile –
Cagliari A. Riva. 1934)

La divisa la indosso da qualche mese e mi preoccupa il fatto che’essa si


consumi rapidamente, ciò significherebbe nuove spese che graverebbero sullo scarso
bilancio….. (seconda femminile – Cagliari – 1934)

Si voleva ottenere un consenso ed un controllo maggiori, si voleva costruire


l’immagine di un regime che funzionava in tutti i settori, che aveva saputo ricostruire
e ridare splendore all’Italia, con una efficienza tipicamente militare. Inoltre,
l’innovazione del testo unico e la sua revisione triennale volevano dare l’idea di un
processo di modernizzazione della struttura didattica precedente. C’era, poi, il
prestigio che lo stato sperava di ottenere nel curare un’operazione editoriale di alto
livello, avvalendosi di autori illustri. Infine il fascismo intendeva, demagogicamente,
anche andare incontro ai problemi finanziari che l’acquisto dei libri comportava,
soprattutto per le classi meno agiate; Mettendo ordine nella selva di letture che ogni
anno cambiavano per compiacere agli editori, tenendo i prezzi più bassi, si poteva
realizzare un risparmio per quelle famiglie per le quali la scuola rappresentava
ancora un lusso.
Gli anni che vanno dal 1925 al 1931 sono quelli che vedono un lento ma
progressivo appiattimento della produzione di testi scolastici sulle direttive e sulle
esigenze del regime. Da più parti negli ambienti fascisti del ministero della PI si
lamentava poca attenzione al fascismo nel libri di lettura, tanto che la Commissione
Giuliano, già dal 1926, iniziò a definire i nuovi criteri per valutare i libri scolastici:
inizialmente dando attenzione a temi militari e patriottici, in seguito ponendo
l’accento sulla propaganda e sull’esaltazione del fascismo: ai compilatori delle letture
si chiese di dare un’immagine favorevole del regime, di elencarne le conquiste e di
sottolinearne i meriti (i libri iniziarono a popolarsi di Balilla, di martiri della
Rivoluzione, della figura e dei discorsi del Duce, dei miti della Roma antica).

Tutti i punti di riferimento del mondo raccontato ai bambini erano presi


dall’universo fascista, perdendo perlopiù contatto con la realtà del vivere quotidiano.
I testi si preoccupavano sempre più di creare situazioni stereotipate in cui descrivere
18
come doveva essere il buon scolaro fascista. I personaggi erano poco realistici, non
avevano problemi con i genitori, non avevano affetti che non fossero quelli per la
patria o il duce.

Il processo di progressivo smantellamento della Riforma Gentile e la


fascistizzazione dell’educazione, e quindi delle letture scolastiche, furono due
fenomeni che procedettero di pari passo, anzi addirittura complementari, nel senso
che il primo fu il presupposto del secondo.
Negli anni trenta al Ministero per l’Educazione Nazionale si avvicendarono
ministri di sicura fede fascista come Belluzzo, Ercole De Vecchi (che estese il
controllo dello stato su tutti i manuali scolastici in uso nelle scuole medie, mentre
fino a quel momento il fascismo si era accontentato di imporre il libro di testo solo
alle scuole elementari) e Bottai. La politica della scuola continuava i suoi ritocchi alla
Riforma del 1923 che ormai era quasi del tutto snaturata. Si può affermare che la
scuola ormai era subordinata alla politica e alla propaganda di regime, era una parte
di quella struttura che è stata definita “fabbrica del consenso”, le cui finalità erano di
irreggimentare il popolo italiano, disciplinarlo in funzione delle tendenze sempre più
militaristiche ed espansionistiche del fascismo.
Anche la nomina di Bottai rispose alle esigenze del momento: organizzatore
di cultura e intellettuale, dal 1936 al 1943 fu ministro per l’Educazione Nazionale con
il chiaro obiettivo di realizzare una riforma autenticamente fascista della scuola.
Il 1939 è l’anno decisivo per una seconda importante svolta scolastica,
Bottai fa approvare dal Gran Consiglio del fascismo la “Carta della Scuola”, con la
quale si stabiliscono principi, fini e metodi per la realizzazione integrale dello stato
fascista che mira soprattutto alla formazione della “coscienza umana e politica delle
nuove generazioni”: Il problema che si pone Bottai è quello di creare una scuola
organicamente connessa col sistema corporativo e ottenere un duplice risultato
politico: garantirsi il consenso di massa necessario e dislocare gli alunni nelle
direzioni consone alla loro situazione sociale e alle esigenze economiche e politiche
dell’Italia fascista.

19
La “Carta” attraverso le sue 19 “dichiarazioni” indica ordinamenti,
insegnamenti e orari che vanno dalla scuola materna al sistema universitario e
stabilisce che nell’ “ordine fascista età scolastica ed età politica coincidono”.
Affiancati alla scuola nascono la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e i G.U.F.
(Gruppi Universitari Fascisti), con l’obbligo della frequenza dei “cittadini dalla prima
età ai ventun’anni”. La principale novità rispetto al sistema gentiliano è
l’introduzione di nuove scuole. Al biennio superiore della scuola elementare viene
cambiato nome in “Scuola del lavoro”. La nuova scuola media, triennale, istituita
unificando le prime tre classi del ginnasio e degli istituti tecnici e magistrali, invece
prevede tre filoni: 1) la scuola professionale per chi era destinato ad essere inserito
nel ceto impiegatizio; 2) la scuola artigiana (per le campagne e i piccoli centri) per
gli alunni dagli 11 ai 14 anni, destinata ai bambini provenienti dalle classi operaia e
contadina, e 3) l’istituzione della scuola media con l’insegnamento del latino, per chi
doveva essere avviato agli studi superiori (per le grandi città).
Il progetto di Bottai prevede anche l’equiparazione tra liceo classico e
scientifico.
Rimane irrealizzato un progetto reazionario, l'istituzione di un “ordine
femminile” (dichiarazione XXI) che avrebbe posto fine alle scuole promiscue e
confinato le donne in un apposito ghetto non avente altro sbocco professionale che
l'insegnamento nelle scuole materne e forse elementari.
La “Carta Bottai” tiene conto delle nuove realtà sociali; in particolare
programma l’introduzione nella scuola degli strumenti di comunicazione di massa
come la radio.
A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i principi espressi
nella Carta rimasero largamente inattuati, ad eccezione della legge del 1940 che
creava la scuola media.
Da ricordare che fu lo stesso Bottai che nel 1938 introdusse provvedimenti
antisemiti nella scuola (espulsione degli insegnanti ebrei, proibizione d’iscriversi a
studenti ebrei, istituzione di scuole elementari separate). Con una circolare del 6
agosto egli raccomandò ai Provveditori la massima diffusione nelle scuole primarie
della rivista “Difesa della Razza”. Il 15 novembre un testo unico riunì tutte le
disposizioni riguardanti la difesa della razza nella scuola italiana.

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Chiamami Duce, sarò il tuo papà

“Mussolini, che tutti chiamano Duce e che tu puoi chiamare babbo, è un


figlio del popolo, venuto dalla miseria. E’ l’uomo più grande e più buono del mondo.
Egli in un decennio ha fatto diventare l’Italia la prima nazione del mondo. Con la
Marcia su Roma il governo fu tolto agli uomini paurosi e fu inaugurato il Regime
Fascista che durerà più di un secolo…………”(dal “Libro fascista del Balilla”
adottato nel 1934 in tutte le scuole elementari).

A conclusione della mia ricerca, ho pensato che fosse interessante soffermarsi


sugli strumenti utilizzati dalla scuola fascista (testi scolastici, quaderni, diari, pagelle,
riviste, ecc…) in cui si esaltava il fascismo sia attraverso le immagini, strumento
rapido ed efficace, che attraverso i contenuti.

Eguali per tutto il territorio dello Stato erano le direttive ministeriali (fatta
salva la differenziazione dei testi destinati alle scuole elementari rurali), eguale era
l’esaltazione delle gesta guerriere, eguale era la retorica patriottarda che riempiva
aule, libri e lezioni, eguale era l’obbligo del “saluto al Duce” e, dopo il Concordato,
eguale era l’invocazione al Padre Eterno affinché proteggesse il Duce.
Scorrendo le pagelle di quegli anni apprendiamo quali erano le discipline
insegnate nelle scuole: religione, disegno e bella scrittura, lettura espressiva e
recitazione, ortografia, lettura ed esercizi scritti di lingua, aritmetica e contabilità,
geografia, storia e cultura fascista, scienze fisiche e naturali e igiene, nozioni di
diritto e di economia, educazione fisica, cultura militare, lavori donneschi e manuali;
erano inoltre oggetto di valutazione la disciplina (condotta) e l’igiene e la cura della
persona.
Con la spiccata ideologizzazione di tutte le materie di insegnamento, non
esclusa l’aritmetica, si può tranquillamente parlare di didattica manipolata e asservita
alle finalità del regime.
Il libro di lettura per la terza elementare, “Patria”, scritto da Adele e Maria
Zanetti, dà ad esempio questa spiegazione della guerra d’Africa:

"In Africa c’era un vasto impero, con una popolazione ancora barbara,
dominata da un imperatore incapace e cattivo: l’Abissinia. E gli Abissini ci
molestavano: danneggiavano, invadevano le nostre colonie e i nostri possedimenti.
Questo, poi, era troppo. Fu così che il Duce decise la guerra... l’Italia è tutta con
Mussolini... ferro, carta, oro, tutto dona alla Patria. La Regina, esempio a tutte le
spose, offre prima il suo anello nuziale".

“Per ordine del Duce la città è tutta imbandierata dall’alba al tramonto


perchè oggi hanno inizio le sanzioni. Esse sono una ingiusta punizione inflitta
all’Italia perché fa la guerra contro l’Abissinia allo scopo di ingrandire le sue
colonie sotto il sole africano e di concedere benessere a quel popolo schiavo ed
oppresso” (Diario scolastico – seconda femminile Cagliari – A.Riva )
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“Ho parlato anch’io della raccolta dell’oro e dei metalli che si sta facendo in
tutta Italia, come atto di protesta alle inique sanzioni. Gli alunni hanno risposto
volentieri all’appello e in questi giorni hanno portato molti rottami di ferro.
Qualcheduno poi ha regalato qualche piccolo oggetto d’oro e d’argento: tenui doni
ma, data la povertà dell’offerente, significativi.”(Diario scolastico – Terza maschile –
Cagliari A.Riva).

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Attraverso le copertine dei quaderni è evidente il coinvolgimento della scuola
in temi quali la guerra in Etiopia, la nuova dimensione imperiale del fascismo, la
modernità aviatoria, il mito della conquista fascista del cielo e il dominio su quello
che sarebbe dovuto tornare ad essere il “mare nostrum”.

Anche i calcoli di matematica non sfuggivano alla regola della propaganda.

Dal libro della III classe elementare, La libreria dello Stato, Roma, 1936,
parte di matematica, leggiamo:

“Nota sui numeri romani. Per la numerazione dei capitoli dei libri, per
l’indicazione della classe dei vagoni ferroviari, ecc., si usano i numeri romani, Cioè
si scrivono i numeri secondo il modo usato dagli antichi romani di cui noi siamo
eredi diretti. Il nostro popolo, sotto la guida del Duce, rivive oggi le glorie antiche e
porta il segno del littorio nei paesi lontani come un tempo portava nel mondo
l’aquila romana. E dal giorno in cui si è iniziato il rinnovamento della vita italiana,
cioè dalla Marcia su Roma, si conta una nuova era che si rappresenta coi numeri
romani”

“La maestra ha incaricato 4 piccole italiane di preparare in palestra la tavola per la


refezione ai bambini poveri. Essendo aumentato il numero di questi, la maestra
aggiunge alle prime 4, altre 3 Piccole Italiane: Quante sono ora le Piccole
Italiane?”

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” 4 comunisti, perchè hanno poca voglia di lavorare, guadagnano al giorno £ 8 e 4
fascisti guadagnano £ 15 al giorno. Chi guadagna di più?”

“Quanti anni ha il tuo babbo? Calcola quanti anni aveva quando avvenne la Marcia
su Roma.”

“Lo stipendio di Mussolini insegnante era, nel 1902, di L. 56 mensili. Quanto al


giorno? E in un anno?”

La Geografia non rispetta nessuna neutralità ed oggettività. Prendiamo ad


esempio la Spagna (dal libro della classe quinta elementare - Roma 1941):

“E’ un paese agricolo di clima propizio, ma di scarsa produttività perché molti e


vasti territori sono posseduti da poche famiglie che li lasciano incolti. Ora il
Generale Franco ha adottato provvedimenti analoghi a quelli del Duce per il
latifondo siciliano.”

Ma la più chiara dichiarazione di che cosa sia un regime dittatoriale la


possiamo leggere a pag. 141 dove si parla delle razze:

“La specie umana, pur avendo un’origine comune, si distingue per caratteri fisici e
spirituali in razze e sottorazze. I grandi gruppi delle razze sono quattro: razza bianca
o caucasica, razza gialla o mongolia, razza nera o africana e razza rossa o
americana. La razza bianca è la più civile, cioè quella capace delle più grandi idee;
a questo gruppo appartiene la razza italica. Le leggi sul fascismo vietano che i
cittadini di razza italiana contraggano matrimonio con individui di razza di colore o
con gli ebrei; ma oltre che dalle leggi ciò deve essere proibito dal nostro amor
proprio.”

I quaderni sono utili anche per il loro contenuto. Spesso, con la grafia incerta
e faticosa di molti bambini, troviamo il riverbero delle tante “parole di regime” che
dai maestri sono loro transitate, per essere poi ribadite nei temi, nei diari, nei dettati.
Possiamo così leggere, per esempio, cosa scrivevano alcuni bambini di Tonara, in
provincia di Nuoro, a proposito delle opere del regime:

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(saggio di dettatura prima classe elementare
Maestro Giuseppe Tore, mio bisnonno)

(raccolta di lavori scuola elementare)


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