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La scuola laboratorio è stata da tempo studiata da molti autori, da Dewey hai giorni nostri con le
idee innovative di Granfranco Zavalloni.
Trattare pedagogicamente del laboratorio in campo educativo appare un'esigenza diffusa avvertita
mossa dal bisogno di recuperare un equilibrato senso dell'esperienza nei diversi contesti umani e
sociali.
La scuola laboratorio è una scuola dove i saperi si fanno pratici attraverso botteghe, officine e
laboratori. La scuola laboratorio è un complesso laboratoriale di produzione/costruzione dove i
saperi si apprendono e si scoprono in modo attivo.
Il primo esempio della scuola laboratorio è la Scuola di Chicago, fondata da Dewey nel 1896.
Secondo Dewey la scuola è un'istituzione sociale, che rappresenta la vita attuale. Riprende le
attività quotidiane per rendere partecipe il fanciullo delle abitudini della vita familiare ed
assicurargli un'adeguata integrazione sociale. L'industrializzazione ha allontanato il giovane dalle
esperienze di partecipazione al processo lavorativo, per cui la scuola ha il compito di introdurre il
lavoro come fattore formativo, al fine di assicurare un'attiva vita in comune e un apprendimento
pratico di cose reali. I punti su cui si fonda la scuola di Chicago sono:
• Esperienze che vengono apprese da chi si immerge in queste situazioni, qui nasce il motto
"Imparare facendo".
• Deve essere un'esperienza di ampio respiro, quindi allargata e che riguardi più ambiti del
sistema.
• Deve essere un'esperienza vitale: deve essere carica di dinamismo vitalico, deve toccare le
corde vibranti del soggetto in fase di apprendimento, deve toccare la sua energia sia sul
piano fisico che emozionale.
• L'esperienza deve essere organica, complessa.
• Deve essere un'esperienza che sia volta alla socializzazione senza la quale non si apprende.
La conoscenza può essere solamente co-costruita, altrimenti non si potrebbe definire
conoscenza.
• L'esperienza deve essere legata all'ambiente storico-culturale di appartenenza, deve crearsi
un collegamento tra l'intrascuola e l'extrascuola.
• L'esperienza non deve essere settorializzata: non deve andare nella direzione della
monodisciplinarità, ma verso quella della pluridisciplinarità.
• Non deve essere né unitaria né isolante: democratizzazione dell'esperienza. Deve essere un
esercizio che si connetta agli altri favorendo la socializzazione.
La Scuola di Chicago, come tutte le scuole, deve essere organizzata in maniera laboratoriale.
Ma che cosa si intende con laboratorio in Dewey?
Il laboratorio è un ambiente ideale, un mezzo per scoprire la verità, conoscere e comprendere, un
luogo di passaggio dal ludico al ludiforme. Deve essere presente una continuità dialettica tra
metodo empirico e metodo strumentale, motivo per cui la scuola prende il nome di sperimentale.
Dewey si batte contro le idee del comportamentismo, secondo le quali la mente è una scatola nera
(“black box”). Per Watson, il maggior esponente del comportamentismo, la mente non è oggetto di
conoscenza scientifica in quanto non è osservabile direttamente, mentre il comportamento è
considerato scientifico poiché può essere oggetto di osservazione. Invece Dewey afferma che
l'educatore non deve far altro che sollecitare gli impulsi già presenti nel bambino senza considerarlo
una scatola vuota.
Proprio per questo il concetto di fondo del laboratorio è l'automotivazione: il centro dell'educazione
deve spostarsi da adultocentrico a puerocentrico in quanto il vero motore dell'apprendimento
diventa la mente stessa del bambino.
Gardner apprezza la rivoluzione attivista e da la sua adesione all'educazione progressista ma ne
rileva dei punti deboli come:
• eccesso di spontaneismo e puerocentrismo;
• assenza del sufficiente apparato valutativo-docimologico;
• adeguati sistemi valutativi;
• stili di apprendimento degli alunni per gestire al meglio un piano di individualizzazione
della didattica;
• la non-strutturazione dei contesti;
• la necessità di cambiare programma laddove non è produttivo.
Ne rileva invece anche dei punti forti come:
• superiorità di livello raggiunto rispetto alle scuole tradizionali;
• maggior adattamento ai contesti;
• il sapere non è una cosa data, ma viene costruito dall'alunno stesso;
• le attività sono pratiche e concrete.
Per Gardner l'educazione al comprendere deve essere ricontestualizzata a fronte delle esigenze
socio-culturali contemporanee.
Il post-attivismo
Dopo Dewey in Italia molti autori si sono interessati alla scuola attiva di Dewey, fra cui Franco
Frabboni. Secondo Frabboni <<il dispositivo didattico pedagogico del laboratorio è dinamicamente
interagente con l'aula-classe secondo una prospettiva che vede da una parte la classe, dall'altra
l'interclasse>>1.
Il laboratorio è uno spazio interclasse in grado di aprire le porte della scuola all'ingresso delle
competenze, in modo da soddisfare un rinnovato modello pedagogico-didattico; il laboratori offrono
un rinnovamento e acquisiscono prospettive didattiche e pedagogiche che oltrepassano
l'apprendimento di nozioni. Il laboratorio entra ed esce dalla classe sotto forma di aule didattiche
decentrate come le paninoteche, museoteche, parchi, fattorie didattiche, ecc..
Oltre a Frabboni Gianfranco Zavalloni, si interessa del post-attivismo. Scomparso a soli
cinquantaquattro anni per un male incurabile lo scorso mese di agosto, è stato uno dei più validi
educatori del nostro paese. Dirigente scolastico, ma soprattutto maestro di scuola materna; e ancora:
disegnatore, calligrafo, attore, creatore di burattini, animatore dell'Eco-istituto di Cesena,
straordinario sperimentatore delle vie di una educazione nonviolenta, ecologica, creativa.
La strada sulla quale si è inoltrato l’educatore Zavalloni è, come accennato, una strada che va in
direzione opposta a quella percorsa oggi dai più. Un piccolo sentiero di campagna, si direbbe, poco
praticato ma pieno di sorprese per chi vi si inoltra. È il sentiero di una pedagogia consapevole delle
molte violenze che possono essere giustificate in nome dell’educazione. L’elogio della lentezza non
è un vezzo, ma nasce dal semplice rispetto dei soggetti, che è il fondamento stesso dell'educazione.
In educazione non è possibile correre e rispettare al contempo la personalità degli educandi; correre
vuol dire fare pessima educazione, o non fare affatto educazione. Ma noi siamo in una civiltà della
corsa. Non dovrà l’educazione adeguarsi? Se si concepisce l’educazione come semplice
socializzazione, portare l’educando allo stato attuale della società, senz’altro. Ma gli scopi
dell’educazione sono, per Zavalloni, più complessi. L’educazione è, anche, riflessione critica sulla
società e ricerca di una società migliore, come spiegava don Milani ai giudici. Non è possibile, oggi
più che mai, fare educazione senza fermarsi a riflettere sulla società attuale, senza chiedersi dove ci
sta portando la strada che abbiamo imboccato con la rivoluzione industriale (e poi informatica).
Secondo Zavalloni la scuola può muoversi tra due poli: quello del soggetto e quello del sistema.
Può, cioè, occuparsi dello sviluppo delle persone che le sono affidate, lavorare perché crescano in
più dimensioni in un ambiente sereno, oppure preoccuparsi di adattarle a vivere in società, facendo
accettare loro i valori dominanti, affinché la società stessa possa mantenersi salda e perpetuarsi. In
teoria, la scuola italiana (ed occidentale) non sceglie uno dei due poli, ma rispetta entrambe le
1 R. Travaglini “Il laboratorio didattico”, edizioni Angelo Guerini e S.P.A., Milano, 2009. pag. 83
istanze: è una scuola al tempo stesso per la persona e per il sistema, che educa alla formazione piena
della personalità ma non trascura la socializzazione e l’inserimento nel mondo del lavoro. In realtà,
in una società capitalistica è semplicemente impossibile tenere insieme le due cose. Oltre ai
numerosi progetti realizzati per l'educazione, Zavalloni introduce la figura del contadino-educatore.
Infatti è stato tra gli ispiratori del progetto degli orti di pace, espressione che ribalta quella di orti di
guerra, gli orti improvvisati che si diffusero nelle città durante la guerra per rispondere ai bisogni
alimentari della popolazione. La diffusione della scuola di massa, in Italia, ha coinciso con la fine
della civiltà contadina e l’avvio di un processo di omologazione culturale che ha progressivamente
smussato le differenze culturali tra classi sociali, imponendo il modello borghese. Oggi non esiste
più, in Italia, qualcosa come una «cultura contadina». Chi ancora vive del lavoro con la terra quasi
se ne vergogna. Zavalloni ricorda che quando, entrando in una classe, chiedeva quanti studenti
erano figli di contadini, si alzavano pochissime mani; quando poi raccontava di essere lui stesso
figlio di contadini, e spiegava l’importanza del mondo agricolo, le mani alzate aumentavano
(Zavalloni 2010b, 11). Il progetto, che intende portare nelle scuole gli orti ed il lavoro della terra,
dimostra come l’innovazione nella scuola non debba passare necessariamente attraverso la
tecnologia. Lavorare la terra, per dei bambini di città, vuol dire recuperare abilità manuali,
sviluppare l’osservazione, fare esperienze utili anche per la crescita delle conoscenze e della
riflessione. Ma soprattutto, notava Zavalloni, significa «attenzione ai tempi dell’attesa, pazienza,
maturazione di capacità previsionali» (Zavalloni 2010b, 24). Vuol dire imparare a fermarsi e ad
aspettare: in una parola, a rispettare. E forse nulla è più urgente da imparare, per i bambini e per gli
adulti che insegnano ai bambini.
Una scuola laboratorio non deve essere pensata come sinonimo di nullafacenza, ma come una
scuola che attraverso le attività pratiche i bambini riscoprono il senso del dovere, la collaborazione,
l'interazione con gli altri e la partecipazione collettiva ad attività ormai dimenticate. Lo stesso
Zavalloni, promotore dell'orto di pace, promuove attività che ormai ai giorni nostri sono state
abbandonate e sono considerate lavori “poveri” ma che invece aiutano lo sviluppo sociale e
cognitivo del bambino stesso.
Bibliografia:
• Travaglini R. “Il laboratorio didattico”, edizioni Angelo Guerini e S.P.A., Milano, 2009:
• Wikipedia, l'enciclopedia libera: http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dewey ;
• Zavalloni Gianfranco, Educazione democratica: http://educazionedemocratica.org/?p=2118 ;
• Zavalloni Gianfranco, “Pedagogia della lumaca”, edizioni EMI, 3° ed. 2012.