Sei sulla pagina 1di 9

LA STORIA DELLA SCUOLA ITALIANA IN ALCUNE PUBBLICAZIONI RECENTI

Author(s): Luigi Ambrosoli


Source: Belfagor , 31 GENNAIO 1980, Vol. 35, No. 1 (31 GENNAIO 1980), pp. 77-84
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/26144473

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide
range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and
facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
https://about.jstor.org/terms

Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l. is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend
access to Belfagor

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
VARIETÀ E DOCUMENTI 77

nota
NOTA bibliografica.
BIBLIOGRAFICA.
1 T7
- - Francisco Rodrig
tion e interpretacion de Estesicoro, « Em
L'EIMìAON di Elena, in Mythos. Scripta in
81-96; C. Maurice Bowra, Greek Lyric Po
Idem, The two Palinodes of Stesichorus, «
John A. Davison, Stesichorus and Helen, in
Toronto e New-York 1968, pp. 196-222
Idem, De Helena Stesichori, « Quaderni U
George Devereux, Stesichoros' Palinodes:
«Rheinisches Museum» 116, 1973, pp. 20
coro, «La parola del passato» 18, 1963, pp
blico, in La Grecia nell'età di Pericle, « St
pp. 209-254; Douglas E. Gerber, Studies in
World», Special Survey Issue, 70, 1976,
coro, « Annali della Facoltà di Lettere e Fil
pp. 5-28; Francesco Sisti, Le due Palinodi
301-313; Martin L. West, Stesichorus, « T
Leonard Woodbury, Helen and the Palino

LA STORIA DELLA SCUOLA ITALIANA


IN ALCUNE PUBBLICAZIONI RECENTI

La storia della scuola trova ancora in Italia, nell'organizzazione universi


taria, una collocazione che non è pienamente corrispondente al significato che
tale disciplina attualmente ha e all'indirizzo attuale degli studi che la riguardano.
Nel concorso a cattedre universitarie da poco bandito la storia della scuola è
compresa nel raggruppamento numero 118 che, oltre ad essa, comprende: peda
gogia; istituzioni di pedagogia; metodologia della ricerca pedagogica; pedagogia
sociale; storia della pedagogia; teoria e storia della didattica; filosofia dell'educa
zione. Si è così dimenticato che la storia della scuola è strettamente connessa alla
storia sociale perché l'istruzione è, in tutti i tempi, un momento fondamentale
della vita e dello sviluppo della società ed è la storia di un'istituzione che svolge
una funzione specifica nei confronti della collettività. È vero che, per ricostruire
la storia della scuola, non si può non tener conto della storia della pedagogia come
storia del dibattito teorico che, nei diversi momenti storici, ha influenzato la
politica scolastica (dello Stato e delle forze politiche operanti nello Stato come
delle Chiese) e ha orientato le scelte in materia di istituzioni scolastiche; ma è
vero anche che la storia della pedagogia sta alla storia della scuola come la storia
delle dottrine politiche sta alla storia delle istituzioni politiche che sono, da sem
pre, due settori di studio ben distinti tra loro.
La convinzione che la storia della scuola fosse assimilabile alle discipline
pedagogiche derivava dal fatto che si riteneva sua precipua finalità quella di veri
ficare le forme in cui le dottrine pedagogiche si erano tradotte in istituzioni sco
lastiche ed educative. Ma questo concetto ha subito una radicale trasformazione
negli ultimi decenni perché anche in Italia, sulla traccia di quanto era avvenuto
in Inghilterra e in Francia, si è affermata la tendenza a considerare la storia della
scuola (o storia dell'istruzione, che ha una significazione più ampia; o storia del

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
78 VARIETÀ E DOCUMENTI

l'educazione, più ampia ancora, history of education e histoire de l'education, cor


renti nella terminologia storiografica inglese e francese per indicare la storia del
l'azione educativa, in tutte le forme, istituzionalizzate o meno, in cui si manifesta)
come appartenente alle scienze storiche e ad essa hanno rivolto ripetutamente il
loro interesse storici della politica, dell'economia, della società. Nel progetto del
corso di laurea in storia presentato in un recente convegno dalla facoltà di lettere
e filosofia dell'università di Torino è prevista, nel secondo biennio dell'indirizzo
moderno, una disciplina denominata « storia dell'istruzione e delle istituzioni
scolastiche ».
Questo nuovo modo di intendere la storia della scuola deriva dal fatto che,
nei criteri per impostare e organizzare l'istruzione, hanno sempre di più preso il
sopravvento le scelte politiche rispetto a quelle pedagogiche e ciò non vale sol
tanto per le istituzioni scolastiche ed educative promosse dallo Stato, ma anche
per quelle che hanno origine diversa e propongono concezioni della istruzione e
dell'educazione alternative rispetto a quelle accolte dallo Stato. Dietro la conce
zione della scuola c'è una determinata concezione della società, dei rapporti tra
potere e cittadini, del ruolo delle classi, della dialettica tra autorità e libertà;
dietro la concezione della scuola c'è, o vi dovrebbe essere, un modello di sviluppo
sociale.

Un buon esempio del nuovo modo di considerare la storia della scuola è of


ferto dal libro di Ester De Fort, Storia della scuola elementare in Italia, volume
primo: Dall'Unità all'età giolittiana, Milano, Feltrinelli, 1979 (è annunciato come
imminente il secondo volume: Dall'età giolittiana alla Liberazione), che propone
un quadro complessivo fondato su una ampia documentazione del dibattito poli
tico e parlamentare e su un buon corredo di statistiche sull'istruzione. Siamo con
vinti che, sull'argomento affrontato dalla De Fort, ci sia ancora molto da scavare
e da approfondire e che molte ricerche debbano essere effettuate, come l'autrice
stessa rileva, sul piano locale: ma questo tentativo di delineare complessivamente
la stòria della scuola elementare è importante sia come stimolo all'approfondi
mento che come proposta metodologica.
Un problema importante che la De Fort affronta è quello dei rapporti tra
sviluppo economico e istruzione (e ci spiace che ella non abbia avuto presente
il volume di Carlo G. Lacaita, Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859
1914, Firenze, Giunti-Barbera, 1973, recensito su questa rivista e ricco, a nostro
avviso, di suggerimenti originali); dopo aver affermato che « la spinta decisiva
all'incremento dell'alfabetismo su scala cosi vasta si ebbe in seguito all'affermarsi
del processo d'industrializzazione capitalistico e alle trasformazioni sociali e poli
tiche cui esso diede luogo », la De Fort aggiunge però che « l'influenza che lo
sviluppo economico ha esercitato sull'istruzione popolare è difficilmente valutabile
nella sua portata effettiva, dati i molteplici fattori in gioco» (p. 11) e, richia
mandosi in particolare a ricerche di storici inglesi, prospetta l'ipotesi opposta,
cioè che lo sviluppo industriale abbia bloccato quello dell'istruzione. Si tratta, a
nostro avviso, di un problema che non può essere oggetto di soluzioni univoche:
è necessario, prima di tutto, (distinguere tra istruzione elementare e istruzione

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
VARIETÀ E DOCUMENTI 79

secondaria (lo sviluppo industriale potrebbe aver favorito l'alfabetizzazione ma


può aver incoraggiato, offrendo accettabili possibilità di occupazione, l'abbandono
della scuola dopo la frequenza delle elementari), e poi tra paesi diversi e mo
menti storici diversi. La De Fort, ad esempio (p. 60), riconosce come la mede
sima legislazione scolastica produce effetti diversi in rapporto alla realtà econo
mica sulla quale agisce: nonostante che Piemonte e Sardegna avessero avuto la
medesima legislazione scolastica gli analfabeti sono nel 1861 il 51% in Piemonte
e il 9196 in Sardegna; la stessa situazione si verificò nel Lombardo-Veneto au
striaco che aveva avuto la medesima organizzazione scolastica con risultati molto
diversi a vantaggio della Lombardia più progredita economicamente.
Un'altra questione importante alla quale la De Fort dedica la sua attenzione
è quella della avocazione della scuola elementare allo Stato attraverso la revi
sione della legge Casati che ne affidava la gestione ai Comuni con risultati non
certo soddisfacenti dovuti agli scarsi mezzi di bilancio dei quali la maggior parte
di essi disponeva, ma anche alla volontà politica delle amministrazioni comunali
conservatrici, le quali ritenevano pericoloso promuovere l'alfabetizzazione perché
avrebbe favorito l'acquisizione della coscienza dei loro diritti da parte del prole
tariato e gli avrebbe aperto la strada dell'elettorato creando il pericolo che nuovi
elettori spezzassero gli equilibri tradizionali. Vien da chiedersi come la prima
richiesta di avocazione delle scuole elementari allo Stato provenga, subito dopo
l'approvazione della legge Coppino sull'istruzione obbligatoria, da un radicale, il
Marcora, che non poteva non richiamarsi alla tradizione cattaneana volta a fare
delle autonomie il motivo fondamentale delle sue battaglie politiche. La risposta
è implicita in quanto si accennava precedentemente: la esigenza di superare il
carattere conservatore, reazionario di gran parte delle amministrazioni manipolate
dai notabili locali e avversarie della alfabetizzazione delle masse; ma quando non
erano conservatrici e reazionarie, le amministrazioni erano soggette all'influenza
dei cattolici. I cattolici, in virtù del « non expedit » pontificio, non partecipavano
alle elezioni politiche ma parteciparono sempre alle elezioni amministrative e in
esse il loro obiettivo principale fu il controllo dell'istruzione e degli insegnanti
perché dessero al loro insegnamento un'impostazione corrispondente alle esigenze
del mondo cattolico. L'avocazione delle scuole elementari allo Stato era dunque,
come la De Fort pone chiaramente in luce, una ragione di difesa della scuola
pubblica dall'ingerenza clericale e quindi non stupisce che il principio, pur sacro
santo, dell'autonomia comunale dovesse lasciare il posto a un'esigenza politica e
ideologica in quel momento prioritaria. Si pensi che il Marcora, insieme ad altri
esponenti della sinistra parlamentare, presentò nel 1886 un ordine del giorno
con il quale chiedeva l'adozione di libri di testo obbligatori, d'ispirazione laica,
per tutte le scuole elementari per impedire la continuazione nelle scuole di un
« sistema fondato sull'indirizzo cattolico » (p. 234).
Se motivo fondamentale della strategia dei cattolici fu il controllo sulla scuola
pubblica per evitare che in essa si insegnassero « massime e concetti » incompa
tibili con la dottrina cattolica, loro ideale rimaneva la scuola cattolica e per
questo essi appaiono, da sempre, sostenitori accesi della « libertà d'insegnamen
to »; l'organizzazione della scuola cattolica richiedeva però disponibilità di mezzi

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
80 VARIETÀ E DOCUMENTI

notevoli ed il ripiego divenne dunque quello di ingerirsi nella scuola pubblica.


Va dato atto ai cattolici di essere stati sempre fermamente presenti su questo
terreno, senza reticenze e senza perplessità; essi avvertivano come la completa
conquista laica della scuola sarebbe stata causa di una emarginazione ancora più
grave e più seria di quella che avevano patito per gli avvenimenti che avevano
portato all'unità nazionale e alla presa di Roma. Ma va anche rilevato, come fa
la De Fort, la grande incertezza esistente tra i laici sui problemi della scuola e su
quello della sua completa sconfessionalizzazione.
La De Fort cita il caso Gabelli: « La rivalutazione della religione nell'ambito
educativo, sia pure in forma storicamente differenziata, portava tuttavia il Gabelli
(per citare uno degli esponenti più significativi del positivismo italiano, anche
alla luce dell'influenza da lui esercitata sull'organizzazione scolastica) ad accettare
sul piano pratico il mantenimento dello status quo, e cioè dell'insegnamento della
pur tanto criticata dottrina cattolica. L'ambiguità della sua posizione era giusti
ficata da un certo pragmatismo [...] » (p. 77-78). Ma la storia della scuola italiana
pare proprio caratterizzata dal « pragmatismo »: Benedetto Croce difenderà nella
« Critica » del 20 luglio 1923 (Postille, Sull'insegnamento religioso) il nuovo e
fondamentale ruolo che la riforma Gentile assegnava alla religione nella scuola
elementare per « motivi pratici » affermando che il rischio che le famiglie cattoli
che dovessero mandare i loro figli dalle monache era ben maggiore. La carenza
di metodi saldi e stabili da parte dell'insegnamento laico era tale, secondo Croce,
da non poterne fare il sostituto della tradizionale educazione cattolica; l'intransi
genza nei confronti dell'insegnamento della religione avrebbe portato soltanto alla
scuola neutra, e, aggiungeva Croce, una scuola priva del senso del divino sarebbe
stata anche priva di interiore freno e disciplina. Ma in Gabelli come in Croce, ci
pare opportuno sottolinearlo, al di là degli argomenti « pragmatici » o « pratici »,
c'era la preoccupazione conservatrice: la religione e il suo insegnamento sono
fattori di stabilità, sono ostacoli alla diffusione di idee rivoluzionarie o anche solo
profondamente riformatrici. La distinzione tra teoretica e pratica è un comodo
espediente concettuale per giustificare l'adesione a provvedimenti dei quali si
riconosce 1'« opportunità » dal punto di vista della propria concezione della
società e del rapporto tra le classi.
Il libro della De Fort si ferma, come si è detto, alle soglie dell'età giolittiana,
ai primissimi anni del secolo; i riferimenti al Partito socialista, fondato da pochis
simi anni, sono quindi ancora limitati. C'è comunque un'osservazione che merita
di essere rilevata ed è quella che, mostrando interesse quasi esclusivo per la
scuola elementare « come sola scuola riservata alle masse popolari » i socialisti
rinunciavano a rivendicare una istruzione integrale uguale per tutti e « a porre in
discussione la struttura classista della scuola e l'egemonia borghese che essa con
sacrava » (p. 150). Va detto, prima di tutto, che manca uno studio complessivo,
opportunamente documentato, sulla politica scolastica del Partito socialista dalla
sua costituzione in poi per cui il ricorrere, come fa la De Fort, agli interventi dei
deputati del partito nei dibattiti parlamentari è toccare soltanto un aspetto del
problema, non certo tutto. Ma va aggiunto che in un paese nel quale vi era ancora
una percentuale molto elevata di analfabeti e ancora più elevata di semianalfabeti

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
VARIETÀ E DOCUMENTI 81

il chiedere provvedimenti pratici per l'istruzione integrale uguale per tutti era
operare in modo astratto con risultati che potevano essere controproducenti. I so
cialisti rivendicavano nei loro programmi (come la De Fort stessa sottolinea)
l'istruzione uguale per tutti; ma attendevano a proporne l'attuazione che la situa
zione dell'istruzione elementare si fosse modificata. Essi si schierarono accanto
ai radicali, per l'avocazione della scuola elementare allo Stato perché in essa intrav
vedevano uno dei primi passi per dare il colpo decisivo all'analfabetismo che nel
1901 superava ancora il 48% con una punta del 70% nel Mezzogiorno. Anche
dal punto di vista politico superare l'analfabetismo significava disporre di un
proletariato che fosse in grado di leggere e di accedere cosi direttamente alle fonti
delle notizie e non riceverle esclusivamente attraverso la mediazione del padrone
o la predica del sacerdote. L'alfabetismo era la garanzia che il proletariato aveva
raggiunto un primo grado di autonomia.
Un utile contributo alla storia della scuola elementare italiana del secolo
scorso è la pubblicazione di Scritti e discorsi di Michele Coppino, curata da Aldo
Alessandro Mola e promossa dalla Famija Albeisa di Alba. Il Coppino, vissuto dal
1822 al 1901, fu ministro della Pubblica istruzione dall'aprile all'ottobre 1867,
dal marzo 1876 al marzo 1878, dal dicembre 1878 al luglio 1879, dal marzo 1884
al febbraio 1888 e, soprattutto, occupò per primo tale carica dopo l'avvento al
potere della Sinistra ed elaborò la legge del 1877 sull'obbligo scolastico. L'intro
duzione del Mola ricostruisce la biografia dell'uomo politico piemontese e delinea
gli aspetti fondamentali della sua figura senza avere lo spazio e la possibilità di
affrontare i grossi nodi della politica scolastica della Sinistra della quale Coppino
fu, se non il maggiore, certo uno dei principali ispiratori. Per avere conferma
di ciò è sufficiente leggere nella raccolta testé pubblicata l'intervento parlamentare
sull'abolizione della facoltà di teologia (30 aprile 1872), la relazione sul bilancio
della Pubblica istruzione 1876-77 (20 maggio 1876), la presentazione del progetto
di legge sull'obbligo dell'istruzione elementare (16 dicembre 1876), il testo del
progetto, gli interventi durante la discussione parlamentare (9 e 10 marzo 1877),
la circolare inviata ai prefetti per l'esecuzione della legge (3 agosto 1877), l'inter
vento nella discussione sul disegno di legge relativo al pagamento degli stipendi,
alla nomina e al licenziamento dei maestri elementari (13 giugno 1884), la risposta
a un'interrogazione parlamentare sui disordini provocati dagli studenti universitari
e sulla situazione della scuola (19 dicembre 1885), la risposta a un'interpellanza
ancora sulla situazione della scuola secondaria (28 novembre 1886). l'illustrazione
del bilancio della Pubblica istruzione (3 e 9 dicembre 1886), l'intervento sull'ordi
namento degli asili d'infanzia (19 dicembre 1887), sull'ordinamento della istru
zione secondaria classica (25 gennaio 1888), l'intervento, da semplice deputato,
sull'incremento dell'edilizia scolastica (23 marzo 1888); abbiamo elencato questo
abbondante materiale perché sia possibile rendersi conto di come il Coppino abbia
trattato e affrontato tutti i problemi dell'istruzione pubblica, dalla scuola materna
all'università. E va aggiunto che, se non è difficile riconoscere i limiti politici di
alcune posizioni coppiniane, si deve però valutare la sua competenza e l'attenzione
dedicata ai problemi dell'istruzione sui quali si esprime sempre dimostrando di
aver studiato le varie questioni e senza improvvisazioni.

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
82 VARIETÀ E DOCUMENTI

Dall'Ottocento al fascismo: la riforma Bottai è stata oggetto, negli ultimi


tempi, di particolare attenzione forse in omaggio al tentativo di scoprire nuovi
aspetti di quel « fascismo di sinistra » sul quale si è soffermato con acume e
chiarezza metodologica su queste pagine Silvio Lanaro. Ha cominciato Giordano
Bruno Guerri (Giuseppe Bottai un fascista critico, prefazione di Ugoberto Alfassio
Grimaldi, Milano, Feltrinelli, 1976) con un ampio capitolo dedicato a Scuola, arte,
razza. Gli ha fatto seguito Alexander J. De Grand (Bottai e la cultura fascista,
Bari, Laterza, 1978) anche lui con un capitolo su « Quer pasticciaccio brutto » alla
Minerva: Bottai e la politica fascista dell'educazione (1922-1943). È stata poi la
volta, ma con un lavoro più specificamente attinente alla scuola, di Teresa Maria
Mazzatosta (Il regime fascista tra educazione e propaganda 1935-1943, presenta
zione di Renzo De Felice, Bologna, Nuova Universale Cappelli, 1978) che ha
effettuato alcune ricerche negli archivi del Ministero della Pubblica istruzione per
dimostrare come, con Bottai, la fascistizzazione della scuola diviene integrale e
investe programmi, libri di testo, libri da introdurre nelle biblioteche scolastiche,
sussidi audiovisivi mentre apre la strada alla più larga operazione propagandistica
con continue conferenze, discorsi, celebrazioni, con la sempre maggiore confusione
provocata tra scuola e organizzazioni giovanili del regime. Tollerante con gli uo
mini di cultura importanti che voleva avere al suo fianco, quali collaboratori delle
sue riviste, nel quadro di una ben congegnata gestione del consenso, Bottai trattò
invece con molto rigore gli umili insegnanti ai quali impose di seguire le sue sem
pre più restrittive disposizioni.
Dopo la Mazzatosta, che ha indicato alcune opportune linee di ricerca, è
Rino Gentili a presentare ora un suo studio sull'argomento (Giuseppe Bottai e la
riforma fascista della scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1979) con taglio più sto
rico-pedagogico e quindi con l'attenzione dedicata soprattutto all'analisi della
Carta della scuola, alle novità che essa introduceva nelle strutture educative e
scolastiche, al significato della riforma della scuola media (l'unica realmente at
tuata) e dei nuovi programmi predisposti per tale scuola. Il Gentili ricostruisce
nelle grandi linee il dibattito tra i pedagogisti sulla scuola media unica, un dibat
tito che fu sicuramente di retroguardia perché Bottai non si proponeva la crea
zione di una scuola unica per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni ma l'unificazione dei
corsi inferiori dei licei e degli istituti mantenendo in vita la scuola di avviamento
professionale per i figli dei contadini e degli operai. Anche il Gentili (come la
Mazzatosta, il cui lavoro non viene citato dal Gentili) avverte che l'introduzione
di qualche novità è in funzione prevalentemente strumentale rientrando nel piano
diretto ad agganciare più strettamente la scuola al regime attraverso la Gioventù
italiana del littorio e le attività parascolastiche (si veda, a questo proposito, l'arti
colo di Paolo Nello, Mussolini e Bottai: due modi diversi di concepire l'educa
zione fascista della gioventù, in « Storia contemporanea », vili, 1977, n. 2, p. 335).
Nello stesso tempo l'unificazione dei corsi inferiori dei licei e degli istituti e
l'introduzione del lavoro nella nuova scuola media servirono a Bottai per dare
l'immagine che la Carta della scuola fosse una proposta « di sinistra »; fu salutata,
infatti, come tale da molti giovani intellettuali e contribuì a confermare il « con

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
VARIETÀ E DOCUMENTI 83

senso » nei confronti del fascismo nel momento in cui esso portava il paese nella
seconda guerra mondiale.
Il Gentili illustra le opinioni espresse dal mondo cattolico sulla Carta della
scuola e sugli altri interventi in materia scolastica di Bottai servendosi però sol
tanto della fonte autorevole ma non esclusiva della « Civiltà cattolica »; era più
importante il giudizio della cultura cattolica laica (ad esempio « Frontespizio » nel
quale Piero Bargellini esaltava la Carta della scuola, xi, 1939, n. 5, pp. 283-287)
con la quale Bottai era sicuramente in contatto da quando aveva assunto il mini
stero dell'educazione nazionale (si vedano i suoi rapporti con don Giuseppe De
Luca) come è stato già abbastanza ben lumeggiato dal De Grand. Si tratta di veri
ficare fino a qual punto la riforma della scuola media fu preventivamente discussa
con personalità o gruppi cattolici. Non solo Bottai non intendeva fare nulla che
potesse dispiacere al mondo cattolico e alla Chiesa ma egli si era molto probabil
mente impegnato per ristabilire quei rapporti fra fascismo e Chiesa che si erano
deteriorati dopo la Conciliazione e, anche se si era evitata una netta rottura, non
avevano ritrovato quella saldezza che Bottai desiderava da fascista e da « cri
stiano ».
Nonostante la sua formazione fosse prevalentemente pedagogica, Dina Ber
toni Jovine, che ricordiamo collaboratrice di questa rivista, ha aperto la strada
a ricerche che si possono propriamente chiamare di storia della scuola; la sua
Storia della scuola popolare in Italia (Torino, Einaudi, 1954; ripubblicata con il
titolo Storia dell'educazione popolare in Italia da Laterza nel 1965), l'ampio stu
dio dedicato a La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri (Roma, Editori Riuniti,
1958), sotto certi aspetti anche L'alienazione dell'infanzia. Il lavoro minorile nella
società moderna (Roma, Editori Riuniti, 1963) sono stati, insieme al limpido e
insuperato profilo di Lamberto Borghi, Educazione e autorità nell'Italia moderna,
(Firenze, La Nuova Italia, 1951), i primi tentativi di cogliere lo sviluppo della
scuola italiana dall'Ottocento ai giorni nostri nel quadro della storia politica,
sociale ed economica della penisola. A Dina Bertoni Jovine, scomparsa prematu
ramente, è dedicato lo studio di Angelo Semeraro, Dina Bertoni Jovine e la storio
grafia pedagogica nel Dopoguerra, con una presentazione di Lucio Lombardo Ra
dice, Manduria, Lacaita, 1979, che coglie anche l'aspetto al quale ci siamo riferiti
dell'opera della studiosa frusinate nel secondo capitolo dedicato a La ricostruzione
storica della politica scolastica nazionale dove il termine politica scolastica può
sembrar restrittivo se lo si considera riferito soltanto alla attività del governo e del
Parlamento mentre la Bertoni, entro i limiti consentitile da un settore di studi
che era ai suoi inizi e che non aveva compiuto quel lavoro di scavo e di scoperta
delle fonti che è l'indispensabile premessa della ricerca storica, si sforzò di rile
vare la formazione dell'opinione pubblica sui problemi dell'istruzione e di verifi
care le iniziative « di base » che erano state lo specchio di nuove esigenze emer
genti.
L'interesse della Bertoni per la ricostruzione della politica scolastica nazio
nale nasceva, come in Lamberto Borahi, negli anni in cui il ministero della Pub
blica istruzione era affidato a Guido Gonella il quale si era assunto il compito di
esasperare l'ipoteca confessionale sull'istruzione pubblica favorita dagli errori

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
84 VARIETÀ E DOCUMENTI

della riforma Gentile e dai cedimenti fascisti alle richieste della Santa Sede; il ri
torno al passato era un modo per avvertire quali erano i pericoli del presente e
bastano rapide noterelle come I primordi dell'educazione popolare e la Compagnia
di Gesù, pubblicata dalla Bertoni in « Belfagor » nel 1949, per avvertire quale
era lo stimolo che la induceva a compiere quelle ricerche storiografiche.
Il libro del Semeraro si apre con una rapida introduzione sulla situazione del
lavoro storico-pedagogico nel dopoguerra che fa risaltare come la Bertoni, con
pochissimi altri, abbia proseguito, con metodologia nuova, quelle ricerche storio
grafiche che oggi non sono più diffuse come lo erano state nel passato perché la
« ricerca educativa », che ha nella sperimentazione il suo terreno di indagine, ha
preso, come ci pare, nettamente il sopravvento. Ecco perché, riprendendo quanto
si osservava all'inizio di questa nota, pedagogia, storia della pedagogia, storia
della scuola continuano a sembrarci discipline che, neppure agli effetti di un con
corso universitario, è opportuno confondere tra loro.

Luigi Ambrosoli

This content downloaded from


31.48.166.111 on Wed, 18 Oct 2023 23:58:48 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms

Potrebbero piacerti anche