Sei sulla pagina 1di 44

TULLIO DE MAURO: DIECI TESI PER UNA SCUOLA DEMOCRATICA

INTRODUZIONE

Il contesto delle Dieci tesi del GISCEL


Le Dieci tesi per una scuola democratica furono approvate a Roma il 26 aprile 1975
dal GISCEL (gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica).
Esse furono proposte inizialmente da Tullio De Mauro nel 1963, anno importante per
due ragioni:
1. Fu approvata la approvata la legge di riforma della scuola media unica;
2. Fu pubblicata la prima edizione del testo Storia linguistica dell’Italia unita di
De Mauro.
Con l’istituzione della scuola media unica fu eliminata la differenza vigente tra i
percorsi scolastici in base al ceto sociale e l’istruzione iniziò ad assumere un carattere
più democratico venendo intesa come uno strumento capace di elevare il livello
culturale di un cittadino per prepararlo alla vita pubblica futura.
Con la pubblicazione del testo di De Mauro invece vennero trattati numerosi temi,
per la prima volta, in maniera sistematica e con dati statistici (percentuali e numeri
che dimostravano i concetti espressi).
I temi principalmente trattati erano: il rapporto tra la lingua e la nazionalità, la
presenza di nuclei alloglotti (comunità che usano una lingua diversa da quella parlata
dalla maggior parte della popolazione) nei confini italiani, lo squilibrio tra italiani e
italofoni, il permanere dei dialetti, l’incontro tra l’italiano “popolare” e le varie forme
di italiano “regionale”. Inoltre, numerose erano le percentuali che rappresentavano il
tasso di analfabetismo della popolazione italiana e come questo variava negli anni
talvolta analizzandolo regione per regione secondo uno studio più approfondito.
Tullio sosteneva che l’esistenza di alcune “agenzie” (la scuola, la burocrazia,
l’esercito con l’esperienza nelle trincee) avevano avuto un ruolo fondamentale nel
regolare il rapporto tra i dialetti regionali e l’italiano popolare. Oltre a queste agenzie,
dava molta importanza anche al ruolo svolto dalla stampa, quotidiana e periodica, del
cinema sonoro, della radio e della televisione (entrambi promotori dell’italiano tra le
grandi masse).
Negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione di questo testo ci troviamo
nel pieno della Guerra Fredda, anni in cui in Italia ci fu una maggiore apertura di
dialogo tra il mondo cattolico e la sinistra storica con la conseguente formazione di
un governo di centrosinistra. Dal punto di vista linguistico furono elaborate numerose
traduzioni di opere straniere da case editrici come Laterza o il Mulino fortemente
1
richieste dai giovani studiosi italiani. Nel 1965 Tullio De Mauro pubblicherà
“L’introduzione alla semantica” e, dopo soli due anni, la traduzione del “Cours de
linguistique generale”.
Successivamente pubblica “Guida all’uso delle parole” in cui prende le distanze dal
formalismo di Chomsky affermando il tema del ‘patteggiamento del senso’, ovvero
per lui la definizione di significato lessicale non può prescindere dalla riflessione
dell’uso. Nel testo “Due parole”, pubblicato nel 1989 offre l’esempio di una scrittura
“controllata” basata sull’idea che il significato deve essere un modo di agire, una
“prassi”. Tale prassi deve essere attenta alla chiarezza: Il concetto deve sempre essere
capito dal ricevente.
Nel 1967 Tullio de Mauro fu promotore della società linguistica italiana (SLI), Una
realtà scientifica egualitaria aperta a qualsiasi tipo di metodo di ricerca in particolar
modo alle istanze scientifiche come la psicologia, l’antropologia, la filosofia, la
filologia e l’informatica. Egli infatti era convinto che i linguisti avrebbero dovuto
dialogare con gli studiosi di tanti altri ambiti In modo tale da diventare un filologo e
un glottologo con una buona conoscenza di tematiche indeuropeiste, un ricercatore
attento e consapevole di ciò che la linguistica avrebbe dovuto e potuto offrire sia ad
un contesto scientifico che sociale.
Nel 1973 Tullio de Mauro fu eletto come amministratore e assessore della cultura alla
Regione Lazio nel partito comunista italiano. Questo è l’anno in cui si affronta il
problema della promozione culturale di chi entrato, troppo presto nel mondo del
lavoro, non aveva concluso il ciclo scolastico obbligatorio, È l’anno della grande
battaglia all’analfabetismo tanto da parlare di ‘diritto all’alfabeto’ e di scuole
popolari. Questi sono gli anni del movimento di cooperazione educativa ispirato alla
pedagogia Popolare di Freinet in cui si trattavano temi come l’impegno per
l’educazione degli adulti, la formazione permanente, la promozione di libri, letture,
biblioteche e la divulgazione scientifica. Al centro dell’attenzione fu posta in modo
particolare la lettura che veniva considerata come una sorta di antidoto nei confronti
dei numeri sconfortanti relativi hai cosiddetti ‘inattivi culturali’.
In questi anni Tullio de Mauro ha elaborato un Vocabolario di base comprendente
7000 parole che necessitano di una cura particolare nella vita di tutti i giorni e nella
formazione linguistica di bambini e adulti sia italiani che stranieri, di tutti coloro che
formano il tessuto socio linguistico del nostro paese. In quest’ottica sono importanti
anche gli immigrati che contribuiscono ad arricchire lo spazio linguistico nazionale
tanto da far parlare di plurilinguismo. Accanto a questo primo vocabolario, Tullio de
Mauro sfruttando le nuove tecnologie offerte dal mercato editoriale hai elaborato il
grande dizionario italiano dell’uso edito in 8 volumi dalla casa editrice torinese
UTET.

2
Tullio de Mauro oltre ad insegnarci a considerare la lingua come una realtà
complessa capace di riflettere una società e come essa cambi nel tempo, ci ha
insegnato a considerare i fatti linguistici nella loro storicità tramite ambiti del sapere
diversi: per capire linguaggio e lingua occorre tenere conto di saperi diversi.
UNA SCUOLA NUOVA CHE NASCE
Negli anni 70 del 900 si assiste ad un forte desiderio di rinnovamento della scuola sia
dal punto di vista politico che sociale. Tale desiderio è attestato da due documenti:
 Il programma del partito comunista italiano del 7 maggio 1972;
 Il Progetto ‘80, ovvero documento preliminare del programma economico
nazionale preparato dal ministero del bilancio.
Secondo il partito comunista italiano la scuola italiana aveva bisogno di un
rinnovamento proponendo una scuola materna pubblica per i bambini dai tre ai sei
anni con l’istituzione di 30.000 scuole per l’infanzia finanziate dallo stato ma gestite
dai comuni. Inoltre proponeva la scuola dell’obbligo gratuita e l’abolizione delle
classi differenziali in modo tale da non emarginare gli allievi più sfavoriti. Infine si
puntava all’unione tra lo studio e il mondo del lavoro unendo la tecnica alla pratica.
Secondo il Progetto ’80 invece, la scuola doveva sempre essere aperta e
caratterizzata da un alto grado di libertà per gli individui che ne facevano parte e da
un alto grado di partecipazione. Inoltre si proponeva di anticipare a cinque anni di
età l’inizio della scuola elementare e prolungare l’obbligo scolastico di due anni. Un
altro principio è quello di estendere l’attività formativa a tutte le età durante tutto il
corso della vita creando oltre ai sistemi scolastici anche sistemi extrascolastici. 
Non è mai troppo tardi per apprendere e studiare.
In entrambe le proposte c’è al centro l’esigenza di un cambiamento scolastico e si
punta a garantire a tutti gli studenti pari opportunità a prescindere dallo stato sociale.
 Garantire il diritto allo studio e formare una scuola democratica!
Questo clima di rinnovamento e la tensione che esso provocò nella società italiana di
quegli anni, provocò Dieci tesi la costruzione di un’educazione linguistica
democratica, ovvero un’educazione che assicura a tutti una possibilità sempre più
ampia di usi linguistici, ma soprattutto che sia utile a formare persone adatte alla
nuova realtà sociale e politica. Si tratta di un vero e proprio progetto rivolto alla
‘nuova scuola che nasce’ proponendo tesi che mettono fine a quella pedagogia
linguistica incapace di garantire una buona formazione dell’individuo.
 Le forze politiche, la scuola e la società nutrono ancora questi intenti
democratici?

3
Secondo il Democracy Index 2018 l’Italia è tra i paesi definiti ‘democrazie
imperfette’ passando dal 21esimo posto del 2017 al 33esimo.
L’Italia di base è un paese democratico, ma in realtà è attraversato da una disillusione
interna sempre più profonda. La società italiana, infatti, è troppo accomodante e non
produce tensioni positive e produttive. In pratica la vita politica si basa sempre più su
scelte non democratiche e da manifestazioni linguistiche che non stimolano il
confronto e la discussione. Inoltre, secondo il Rapporto sul Benessere Equo e
Sostenibile del 2018 si evince come la maggior parte della popolazione italiana ha più
fiducia nelle forze dell’ordine italiane piuttosto che nel sistema giudiziario e politico.
 Ciò dimostra che qualcosa non funziona, ma soprattutto rappresenta un
campanello d’allarme sintomo di un aggravamento della situazione democratica. Un
esempio di questa riduzione della democrazia può essere rappresentato anche dai
social, dalla televisione, dai quotidiani che bombardano il lettore o lo spettatore con
idee e pensieri lasciando poco spazio ad un’interpretazione personale e alla
formazione di un pensiero critico e autonomo. Risulta quindi di primaria importanza
favorire lo sviluppo di capacità di valutazione critiche, di consolidare le proprie
opinioni e di elaborarne di nuove. In quest’ottica Tullio De Mauro delineava
l’urgenza di un’undicesima tesi, ovvero dato che le condizioni dell’informazione
odierna chiedono che la scuola sappia educare gli studenti ad un controllo critico del
linguaggio, la sfida più difficile all’interno di questa società sempre più mobile e
digitale è quella di sviluppare competenze in grado di fornire strumenti adeguati per
l’elaborazione di un pensiero critico.
Un’istantanea della scuola italiana
A questo disorientamento democratico della società si contrappone l’azione ed il
lavoro della scuola italiana. I dati dell’ISTAT la scuola italiana è costituita da oltre 8
milioni di persone tra docenti studenti e dirigenti ai quali se aggiungiamo i docenti
universitari, i ricercatori si arriva ad un numero complessivo di oltre 10 milioni. Tale
numero ci dimostra che la popolazione scolastica è superiore alla popolazione
complessiva di tutta la Lombardia nonché delle forze di sicurezza e delle forze
armate.
Secondo Piero Calamandrei la scuola è come quegli organi che nell’organismo
umano hanno la funzione di creare il sangue che rinnova quotidianamente tutti gli
altri organi e che porta la rinnovazione e la vita. L’esempio ci permette di cogliere il
lavoro incessante che giorno per giorno viene svolto dai docenti. Dunque la scuola
e un organo vitale per la vita democratica del nostro paese.
Tullio de Mauro afferma che la scuola pubblica italiana ha tirato fuori il paese dal
sottosviluppo culturale tant’è vero che se nel 1950 i livelli di scolarità erano in media
di tre anni di scuola a testa attualmente ci ha portati a 12 anni medi di scuola a testa
4
entrando così nel gruppo dei paesi sviluppati. Tale considerazione fa emergere quanto
sia stato prezioso il contributo della scuola e quindi dei docenti alla costruzione di
una società democratica.
Fra problemi fisiologici e patologie
All’interno della scuola ovviamente non mancano i problemi: alcuni di questi sono
fisiologici altri invece diventano addirittura patologici.
 Un esempio di problemi fisiologici è quando un docente ritiene che il proprio
metodo di insegnamento sia una legittima rivendicazione della libertà. Inoltre
fisiologico può anche essere considerato l’atteggiamento di quei docenti che
colgono la loro inadeguatezza nell’affrontare o nel non affrontare le sfide poste
dalla società alla scuola.
 Un esempio di problemi patologici e quando un docente non si rende conto che
il proprio metodo di insegnamento a prescindere dal fatto che sia tradizionale o
innovativo, talvolta può non produrre alla fine esiti positivi per quanto riguarda
la formazione di giovani studenti responsabili e in grado di inserirsi nella
società. Inoltre patologico e anche l’atteggiamento di quegli insegnanti che
accusano l’ordine scolastico inferiore o superiore per la risoluzione di un
problema appellandosi al ‘non è compito mio’.
I dati dell’ISTAT segnalano le più urgenti difficoltà sociali attuali come l’uscita
precoce dal sistema scolastico con la sola licenza media o la presenza in crescita di
giovani fra i quindici e i trent’anni che non lavorano e non studiano.
A questo punto ci chiediamo come si può intervenire per evitare che questi problemi
diventino patologici?
1. Una prima proposta potrebbe essere quella di prestare attenzione alla difficoltà
di includere quei giovani che escono dal sistema scolastico prematuramente e
interrogarsi se sul fatto che magari le loro difficoltà sono simili a quelle che si
incontrano nell’includere quei due o tre alunni, presenti di solito in classe, che
sono indifferenti ad ogni richiamo cognitivo da parte del docente.
2. Una seconda proposta potrebbe essere la realizzazione di piani operativi
nazionali.
3. Una terza proposta invece potrebbe essere quella di pensare e poi sperimentare
sul campo nuove tecniche e strategie di insegnamento più motivanti.
4. Una quarta proposta è quella di riflettere sulle istanze di democrazia prioritarie
in modo tale da potenziarle, insistere ovvero su tutti quei metodi che rendono
l’insegnamento e l’apprendimento più democratico.
5. Una quinta proposta è quella l’interrogarsi sulla nozione di cultura alla quale si
fa riferimento e si intende trasmettere allo studente.

5
6. L’ultima proposta e quella di esaminare quale educazione linguistica risponda
meglio ai bisogni linguistici e comunicativi degli studenti, ma soprattutto le
caratteristiche principali richieste dalla società per una partecipazione sempre
più attiva alla vita democratica del paese.
La centralità del linguaggio verbale
Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale,
esso va inteso come la capacità di comunicare e può avere tre usi principali:
1. Uso comunicativo Ci permette di capire gli altri e di farci capire;
2. Uso cognitivo Ordinare e sottoporre ad analisi l’esperienza;
3. Uso emotivo e argomentativo Intervenire a trasformare l’esperienza stessa.
Lo sviluppo delle capacità linguistiche affonda le sue radici nello sviluppo di tutto
l’essere umano a partire dall’età infantile fino all’età adulta ed è strettamente
connesso alla buona alimentazione. Un bambino che vede poco i suoi genitori o
fratelli maggiori, poco inserito nella comunità e malnutrito inevitabilmente parlerà
leggerà e scriverà male.
Il linguaggio verbale consiste in capacità evidenti e capacità meno evidenti. Le
prime sono la capacità di produrre parole e frasi corrette sia nella forma orale sia
nella forma scritta, capacità di conversare, di interrogare e di rispondere, la capacità
di Leggere ad alta voce, recitare a memoria e così via. Le seconde sono la capacità di
dare un senso alle parole e alle frasi ascoltate o lette, la capacità di analizzare
interiormente Le parole usate in varie situazioni, la capacità di ampliare il proprio
patrimonio linguistico.
La pedagogia linguistica deve tener presenti entrambe le capacità prestando
attenzione al rapporto tra le capacità linguistiche prese nel loro insieme e lo sviluppo
fisico, affettivo, sociale dell’individuo in vista della formazione di un linguaggio
verbale.
La pedagogia linguistica è democratica se e solo se accoglie e realizza i principi
linguistici esposti in tesi come l’articolo 3 della Costituzione italiana che riconosce
l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di lingua e propone tale eguaglianza
come traguardo del lavoro della Repubblica. Ovvero è democratica se e solo se si
impegna a rispettare e tutelare tutte le varietà linguistiche! Tra i vari organi che
formano la Repubblica vi è la scuola che ha come obiettivo quello di garantire
un’istruzione democratica. La scuola però non è l’unica istituzione che deve garantire
una attivazione paritaria delle capacità linguistiche, essa deve essere affiancata dal
lavoro di centri di pubblica lettura e centri di recupero all’interno dei quali vi è una
grande rinnovazione delle tradizioni etnico-culturali e la maturazione di nuove
opportunità di partecipazione all’informazione. Per migliorare le capacità verbali c’è
6
bisogno di un maggiore sforzo da parte di tutte le istituzioni che attivano la vita
culturale di massa ovvero quelle istituzioni che contribuiscono alla diffusione delle
informazioni all’interno della società contemporanea. La scuola potrebbe
rappresentare la spinta iniziale per queste istituzioni e rappresenta il luogo all’interno
del quale devono concentrarsi maggiormente questi sforzi.
La pedagogia linguistica tradizionale punta al rapido apprendimento da parte dei più
dotati di un soddisfacente grafismo e del possesso delle norme di ortografia italiana
(saper disegnare e scrivere), produzione scritta di pensieri e temi, classificazione
morfologica delle parti della frase (analisi grammaticale); Apprendimento
mnemonico di paradigmi verbali, analisi logica della frase; Capacità di esprimere
oralmente o per iscritto interpretazioni dei testi letterari. La pedagogia linguistica
tradizionale si è rivelata però inefficace tanto è vero che tutti coloro che sono passati
attraverso le classi che la adottavano non hanno acquisito buone capacità ortografiche
nonostante essa abbia puntato tutti i suoi sforzi proprio sull’ortografia. L’ossessione
per gli sbagli ortografici cominciava dalla prima elementare si prolungava per tutti gli
anni scolastici. La presenza di errori ortografici la si può notare anche nella scrittura
di persone colte, così come negli articoli di giornale spesso il linguaggio non brilla
per chiarezza, ma risulta complesso e oscuro. Questi periodi complicati dunque sono
il risultato della pedagogia linguistica tradizionale che dovrebbe cambiare il suo
metodo di insegnamento. Essa pecca non solo di inefficacia, ma anche per la
parzialità dei suoi scopi.
Analizziamo alcuni scopi:
 La pedagogia linguistica tradizionale pretende di operare nella cosiddetta ‘ora
di italiano’ ignorando la necessità di coinvolgere tutte le materie e tutti gli
insegnanti. Essa bada soltanto alle capacità produttive scritte ignorando
quelle ricettive, ovvero ignorando la comprensione delle parole lette e scritte.
Si chiede ai ragazzi di imparare e scrivere parole, produrre frasi senza chiedere
loro di leggere, rileggere, udire e comprendere il significato vero e proprio di
una parola per poi poterla utilizzare.
 Badando soltanto alle capacità produttive scritte, la pedagogia linguistica
tradizionale non tiene conto delle capacità di produzione orale che viene
sperimentata solamente nel momento dell’interrogazione. Non ponendo
attenzione alla capacità di organizzare un discorso orale significa non porre
attenzione alla conversazione, alla discussione, alla comprensione di parole e
nuove forme linguistiche. Questa caratteristica della pedagogia implica
soprattutto nella prima fascia elementare difficoltà nei rapporti con gli altri che
ricade anche su un apprendimento negativo.
 Nella produzione scritta, la pedagogia linguistica tradizionale tende a
concentrarsi su un solo argomento Trascurando l’importanza di prendere
7
buoni appunti virgola di schematizzare virgola di sintetizzare virgola di saper
scegliere un buon vocabolario adatto soprattutto all’argomento trattato e ai
destinatari.
 La pedagogia linguistica tradizionale si basa molto sull’insegnamento
dell’analisi grammaticale e logica quindi sulle regole sintattiche. Vari
studiosi ricercatori di insegnanti concordano sul fatto che l’insegnamento
grammaticale deve tener conto della storia della lingua, ovvero di tutti quei
fenomeni che hanno provocato un cambiamento linguistico, delle relazioni tra
questo cambiamento e le vicende storico sociali, del rapporto tra le conoscenze
e le abitudini linguistiche della popolazione, dei fenomeni del senso del
significato, della strutturazione del vocabolario (semantica). Inoltre questo
forte insegnamento grammaticale tradizionale risulta essere inutile rispetto allo
scopo primario dell’educazione linguistica poiché la buona conoscenza della
grammatica non implica necessariamente uno sviluppo delle capacità
linguistiche. Pensare infatti che chi conosce bene la grammatica tradizionale la
utilizzerà nel modo corretto è come pensare che chi conosce bene l’autonomia
delle gambe corre più veloce. Lo studio della grammatica di tipo tradizionale e
anche basato su una lingua antiquata.
 La pedagogia linguistica tradizionale trascura la realtà linguistica da cui
partono gli allievi quale quella colloquiale e dialettale. Non tiene conto dei
vari dialetti.
 La pedagogia linguistica tradizionale ignora che ci sia un rapporto tra le
capacità verbali e quelle intuitive sensibili come la danza, il disegno, la
musica e quelle più complesse come la matematica.
In conclusione se la pedagogia linguistica tradizionale risulta essere inefficace e
parziale e d’altra parte funzionale per quanto riguarda gli allievi delle classi sociali
più colte ed agiate che ricevono fuori dalla scuola, nelle famiglie e nella vita del loro
ceto, tutto ciò che serve allo sviluppo delle loro capacità linguistiche. Risulta dunque
inefficace soltanto per gli allievi provenienti dalle classi popolari, operaie, contadine
a cui garantisce soltanto un’alfabetizzazione parziale.
Principi dell’educazione linguistica democratica
I principi dell’educazione linguistica democratica sono 10:
1. Sviluppo di capacità verbali in stretto rapporto con lo sviluppo psicomotorio.
2. Lo sviluppo e l’esercizio delle capacità linguistiche non vanno perseguiti come
fini a se stessi, ma utili per l’inserimento dell’individuo alla vita sociale ed
intellettualeLe capacità verbali sono propedeutiche all’attività di studio,
ricerca, discussione e produzione.

8
3. Lo sviluppo delle capacità linguistiche deve partire dalle conoscenze
linguistiche di base, quelle familiari e ambientali dell’individuo in modo tale
da arricchire il patrimonio linguistico dell’allievo.
4. La scoperta delle diversità delle conoscenze linguistico-culturali personali,
familiari e ambientali è il punto di partenza per approfondire ed ampliare le
esperienze e le esplorazioni geografiche, sociali e storiche.
5. Sviluppare le capacità produttive e ricettive verificando il grado di
comprensione dei testi scritti stimolando le capacità di ampliare il vocabolario
personale.
6. Nello sviluppo di tali capacità produttive ricettive va prestata attenzione sia
all’aspetto orale che scritto esercitandosi anche su uno stesso argomento.
Dunque proposto un testo lo si analizza sia dal punto di vista orale che scritto.
7. Sviluppare buone capacità produttive tramite un linguaggio sia informale e
colloquiale sia formale.
8. Sviluppare la conoscenza e l’uso di modi istituzionalizzati d’uso della lingua
comune come il linguaggio giuridico, letterario o poetico.
9. Sviluppare una buona capacità di autodefinirsi auto dichiararsi e analizzarsi.
Questo compito inizia dalle classi elementari arricchendosi progressivamente
durante tutto il corso scolastico.
10.Sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile tipo di forma linguistica
che sia essa nota o ignota. La pedagogia tradizionale era esclusiva, ovvero
affermava ‘devi dire sempre e solo così. Il resto è errore’. La nuova educazione
linguistica invece afferma: ‘puoi dire così, e anche così e anche questo che
sembra un errore o una stranezza può dirsi e si dice’.
La nuova educazione linguistica richiede tante attenzioni e conoscenze sia da parte
degli alunni sia degli insegnanti. Quest’ultimo in particolare precedentemente
potevano accontentarsi di una conoscenza sommaria delle norme ortografiche del
libro di grammatica usato e delle varie metodologie. Seguire i principi
dell’educazione linguistica democratica invece comporta un salto di qualità e quantità
in fatto di conoscenze sul linguaggio educazione. Gli insegnanti futuri dovranno
avere un curriculum universitario e post universitario adeguato alle esigenze di una
società democratica, dovranno avere delle competenze che finora erano considerate
riservate agli specialisti.
TESI 1
La centralità del linguaggio verbale
La prima delle 10 tesi è quella che riguarda il linguaggio verbale.
La prima forma di ogni linguaggio verbale è certamente quella orale o parlata che si
acquisisce naturalmente e spontaneamente, ma ogni lingua può essere anche scritta
9
quando si impara a scrivere. Ci sono però delle lingue mai scritte ma non per questo
meno degne di essere considerate “lingue”.
I sistemi di scrittura sono vari: i linguisti ad esempio usano l’alfabeto fonetico
internazionale per trascrivere le lingue in modo univoco sottraendole alle convenzioni
grafiche che sono sempre reperibili anche nel caso di lingue, come l’italiano, dalla
scrittura apparentemente più fonetica rispetto al lingue come l’inglese o il francese.
Inoltre non tutte le scritture sono alfabetiche, ovvero nate da una ricerca di
corrispondenza tra i singoli suoni e le lettere usate per rappresentarli: ci sono per
esempio scritture ideografiche che non rappresentano i suoni delle parole, ma sono in
un rapporto più diretto con il loro significato come per il giapponese o il cinese.
Ogni lingua verbale e un sistema di segni (o codice) fatto di parole e di regole da
combinare fra loro e di conseguenza strutturare frasi e testi sia in forma orale che in
forma scritta.
Il linguaggio verbale si distingue dagli altri tipi di linguaggi esistenti che spesso sono
artificiali, ovvero costruiti appositamente dall’uomo per comunicare. Il linguaggio
verbale invece si acquisisce spontaneamente in un arco di tempo piuttosto breve che
di solito va dai primi due annidi vita dei bambini che conoscono già molte parole e
sanno formare piccole frasi esprimendosi soprattutto con il linguaggio utilizzato nel
proprio ambiente familiare e sociale. Spontaneamente e abbastanza facilmente viene
anche appreso l’utilizzo di segni che accompagnano il linguaggio verbale e orale
come segni gestuali, mimici e prossemici appartenenti a linguaggi non verbali che
variano da una cultura di un’altra. Accanto alla lingua che si apprende nell’ambiente
familiare si possono conoscere lingue distanti dalla propria studiandole come
straniere o acquisendole come “seconde” come succede ai vari migranti del mondo
attuale. Tutto ciò è consentito dalla facoltà di linguaggio che Saussure considerava
come insita nella nostra mente. Per facoltà di linguaggio si intende tutti i vari tipi di
linguaggi verbali e non verbali che si possono acquisire, apprendere e costruire, senza
che la conoscenza dell’uno cancelli quella degli altri, ma che al contrario la
arricchiscono, potenziando e rendendo più flessibile la nostra mente. Vari studi
dimostrano che persone bilingue sono avvantaggiate dal punto di vista intellettuale e
che chi conosce molte lingue ne impara altre con più facilità e rapidità.
In questa prima tesi pur ribadendo la centralità del linguaggio verbale si pone
attenzione anche agli altri linguaggi. Il linguaggio verbale è al centro dei vari
linguaggi in quanto esso permette di parlare di tutto e persino di se stesso mentre
infatti non si può spiegare per esempio il linguaggio della logica con la logica stessa
né si può descrivere un dipinto utilizzando la pittura. Per spiegare il linguaggio logico
oh la pittura si deve necessariamente passare per la lingua e quindi si devono
utilizzare delle parole. Ogni singola parola invece può essere spiegata con la lingua
stessa come avviene ad esempio nel dizionari. Quando vogliamo spiegare tramite il
10
linguaggio verbale qualcosa che appartiene al linguaggio artistico, logico o qualsiasi
tipo di linguaggio ovviamente qualcosa si perde sempre, ovvero si dice quasi la stessa
cosa ma mai la stessa cosa. Le parole non potranno mai esprimere ciò che è
espresso da un dipinto. Analogamente potremmo dire che neppure la migliore
parafrasi può essere considerata equivalente al testo poetico e pretendere di
sostituirne la lettura diretta. Il linguaggio verbale è però indispensabile per consentire
il transito da un linguaggio all’altro.
Le lingue verbali sono definite come codici a segni articolati capaci di esprimere un
numero infinito di significati. Tali significati nelle lingue sono parzialmente
sovrapponibili e dunque possiamo avere delle sinonimie che non sono prevedibili
come accade nel linguaggio del calcolo. Questa non prevedibilità non rappresenta
assolutamente un limite per il linguaggio verbale, anzi al contrario fonda proprio su
di essa la sua particolare creatività che permette alla lingua di trovare sempre il modo
di risolvere tutti i problemi di significazione creando nuove parole o aggiungendo
altri significati a parole preesistenti. Talvolta una lingua prende parole da altre lingue
lasciandole inalterate o adattandole morfologicamente.
Tullio de Mauro aveva dimostrato che un buon sviluppo del linguaggio verbale
richiede lo sviluppo di altre capacità espressive nei ragazzi come la danza il disegno e
la musica profondamente unite tra loro. Vari studi sul parlato e sull’oro avevano
messo in evidenza il fatto che la comunicazione non avviene soltanto tramite le
parole, ma si comunica anche con tutto ciò che le accompagna come gesti, mimica,
sguardi, postura. Nella scrittura stessa però si mescolano altri codici come le
emoticon, i colori, i caratteri e i vari espedienti grafici. Attualmente possiamo dire di
essere passati da una “scrittura secondaria” e digitale basata su email, chat, blog e
social network che mescola le carte, assorbe l’immediatezza e la rapidità linguistica
dell’oralità e, insieme, resta scrittura ma non è solo scrittura alfabetica, dato che
ricorre spesso a segni ideografici come appunto le emoticon. A scuola inoltre le
lezioni sono sempre più multimediali con l’utilizzo di slides, audiovisivi, LIM e
navigazione in rete. Gli stessi manuali scolastici sono sempre più misti ricchi di
immagini e didascalie, di tabelle e grafici, schede di approfondimento.
Un altro tipo di linguaggio analizzato nella prima tesi e il linguaggio specialistico. I
linguaggi specialistici sono delle varietà interne alla lingua stessa associate in genere
ad un registro distante da quello colloquiale della comunicazione ordinaria e
possedute da gruppi di parlanti esperti. Un esempio di questi linguaggi e quello
scientifico in particolar modo il linguaggio fisico, matematico e della linguistica.
Ciascuno di essi formato da un ricco apparato di termini poco noti e poco frequenti
nella lingua di tutti i giorni. I linguaggi specialistici, come quello verbale, sono
spesso commisti a linguaggi non verbali come ad esempio il linguaggio delle formule
chimiche, il linguaggio numerico, algebrico e geometrico in matematica, quello
11
cartografico in geografia, quello di tabelle, diagrammi e aerogrammi. I linguaggi
specialistici uniscono parole tipiche del proprio linguaggio a simboli come numeri o
simboli degli elementi chimici.
La prima tesi insiste molto sul fatto che tutti gli insegnanti dovrebbero occuparsi
dello sviluppo delle capacità linguistiche degli allievi non solo quelli in italiano. Ogni
insegnante è insegnante della lingua specifica della sua disciplinaOgni insegnante
deve accrescere e sviluppare il linguaggio specialista della propria disciplina nei suoi
alunni tramite l’utilizzo del linguaggio verbale!
TESI DUE
Il radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale
del linguaggio verbale
La seconda tesi pone attenzione sul rapporto tra la dimensione socio culturale del
linguaggio verbale e quella biologica. Per anni la comunità scientifica si è interrogata
sulla questione: la lingua verbale è un prodotto di natura o di cultura?
Attualmente questa contrapposizione tra natura e cultura è superata dando per
scontato che entrambe contribuiscono alla formazione del linguaggio verbale. La
domanda che ci si pone è: quanto c’è di naturale di socio culturale nella nostra
capacità di parlare?
Per rispondere a questa domanda partiamo dal modo che utilizziamo per costruire
sillabe, parole, frasi e testi. Tutti i suoni che produciamo sono il prodotto del flusso
d’aria che esce dai polmoni e che viene modificato dal movimento di alcuni organi
come le labbra, i denti e la lingua. Quando respiriamo, immettiamo nel nostro
organismo aria che prendiamo dall’esterno, la stessa aria viene poi espulsa
compiendo un percorso inverso. E’ proprio in questo tragitto inverso che l’aria viene
trasformata in parole e frasi. Il processo di respirazione è del tutto inconsapevole e
automatico mentre quello dell’articolazione della parola o frase è controllato e
volontario sebbene gli organi coinvolti in entrambi i lavori siano gli stessi. Dove
finisce dunque la natura e dove comincia la cultura?
Ogni singolo movimento degli organi coinvolti è identico per tutti i membri della
specie umana così come è identico il modo con cui essi respirano ed ispirano. Un
italiano infatti articola e pronuncia la lettera ‘a’ come lo fa un eschimese, quello in
differiscono è l’uso che fanno di quello stesso elemento (‘a’). Questo passaggio dalla
dimensione concreta a quella astratta è la rappresentazione dell’equilibrio tra la
componente naturale e quella culturale delle nostre lingue. L’elemento è lo stesso,
ma cambia l’uso che se ne fa. Due suoni identici dal punto di vista articolatorio,
quindi fisico, possono essere diversi dal punto di vista culturale.

12
Nelle lingue nessun suono ha valore da solo, acquisisce un senso solo se combinato
con altri suoni. Un esempio è il suono prodotto dal bacio, prodotto schioccando le
labbra. Il suo nome tecnico è click bilabiale. In italiano nessuna parola lo contiene
mentre in alcune lingue del Corno d’africa invece sì e dunque il click labiale serve a
distinguere significati. Il suono è identico mentre il suo valore socio-culturale
cambia.
Dunque il nostro corpo crea il materiale dal quale ricaviamo il significante delle
nostre lingue, cioè un ridotto insieme di suoni comuni a tutte le lingue dato che il
prodotto di un apparato fonatorio è identico per ogni individuo della specie. La
variazione dipende dall’ambiente dalla società e dalla cultura. Tale capacità di dare
un significato specifico ad un suono in base all’ambiente sociale e culturale non è una
attività automatica, ma si sviluppa nel momento in cui un neonato si colloca
all’interno di un contesto stimolante.
Il processo di acquisizione della lingua nativa è stato definito come una delle imprese
intellettuali più complesse che avviene attraverso meccanismi di imitazione. Un
neonato poco esposto a stimoli linguistici elaborati e quindi collocato in un contesto
culturalmente povero probabilmente svilupperà una competenza linguistica limitata.
Un bambino di questo tipo crescerà in un ambiente culturale molto basso
prediligendo trasmissioni televisive ‘popolari’, sarà poco abituato alla lettura e alla
scrittura formale, avrà rapporti solamente con modelli culturali del suo stesso livello e
faticherà ad adattarsi in un sistema culturalmente elevato. Lo stesso vale anche per
l’ambiente scolastico: un ambiente pulito, accogliente e stimolante agisce
positivamente sulle capacità linguistiche dello studente. Per la formazione dei ragazzi
è anche importante il gruppo di amici che si frequenta. Le capacità linguistiche di
ogni ragazzo rappresentano una sorta di identikit personale!
La presenza all’interno delle classi di bambini stranieri talvolta è stata considerata
come un ostacolo al corretto svolgimento del programma di lingua italiana e non
solo. Queste considerazioni danno per scontato che il gruppo degli italofoni sia
omogeneo e che chi ne fa parte condivide le stesse condizioni di partenza, cosa
assolutamente non vera. La scuola non viene affrontata in maniera uguale nemmeno
dagli italofoni. Assumere piena consapevolezza di ciò è uno dei principali
presupposti per un’educazione linguistica democratica: Ogni forma di educazione
linguistica dovrebbe sempre partire dalle competenze linguistiche e comunicative di
base di ogni singole considerare l’ambiente sociale da cui viene. Solamente in questo
modo la differenza esistente tra i ragazzi che vengono da ambienti sociali diversi non
si trasforma in discriminazioni e disuguaglianze. Ogni classe scolastica è un gruppo e
cioè ha un tessuto sociale contribuisce alla produzione linguistica. Ogni allievo
inserito in questo gruppo e quindi in questo tessuto sociale va incluso e non isolato
cercando di valorizzarlo soprattutto dal punto di vista linguistico dal momento che e
13
proprio grazie al linguaggio che si possono rafforzare l’integrazione dell’individuo e
le sue competenze. In quest’ottica la lingua viene sentita sempre di più come un
mezzo e non un fine.
È educativo che un bambino senta come errate forme linguistiche che utilizza
spesso nel suo mondo, al di fuori della scuola? O è più educativo che un bambino
venga educato alle varie forme esattamente come avviene per i vestiti?
Ci sono alcuni vestiti come una camicetta o un bel vestito adatti per la scuola e non
adatto per andare al mare come, al contrario ci sono costumi da bagno che sono adatti
per andare in spiaggia ma non a scuola. Lo stesso ragionamento vale per le forme
linguistiche: uno stesso costrutto può essere perfetto in ambito scolastico ma
sconveniente in un altro. È dunque importante a questo riguardo che la scuola si
occupi anche dell’educazione orale che spesso viene trascurata. Un ottimo esercizio
potrebbe essere quello di far parlare gli alunni tra loro oltre che con l’insegnante in
modo tale che rafforzino la consapevolezza della variazione di registro. Una delle
parti più sacrificate del linguaggio è proprio il lessico.
Le lingue sono per loro natura trasversali virgola non vivono di vita propria, ma di
vita riflessa: Esistono grazie all’uso che ne fanno i parlanti in funzione degli
argomenti che trattano e nei contesti nei quali vengono parlate scritte. La lingua è lo
strumento attraverso cui vengono insegnate le varie materie che però esistono
indipendentemente dalla lingua. La geografia, la storia, la fisica, la chimica esistono
di per sé mentre le lingue no. Senza la lingua però le stesse discipline non potrebbero
essere trasmesse.
Questo vale anche per le lingue straniere. Se quest’ultime diventano totalmente
autonome e scollegate dal resto dell’esperienza scolastica, si innesca un circuito
all’interno del quale la lingua racconta se stessa, ma non il mondo all’interno del
quale è nata e si è sviluppata. In questo modo essa non riesce a rappresentare la sua
complessità e il suo fascino. Si dovrebbe insegnare nelle lingue e non la lingua! (Si
deve insegnare in inglese e non l’inglese).
Già Aristotele aveva definito l’uomo come un animale parlante dal momento che il
parlare è una delle caratteristiche distintive Nel Regno animale. Come ben sappiamo
l’uomo sapiens era parte di una famiglia più ampia di specie umane: l’uomo di
Neanderthal, erectus e così via. Per quanto ne sappiamo solo l’uomo sapiens poteva
parlare. Molto probabilmente è stato proprio il linguaggio a salvarci dall’estinzione.
Come siamo diventati animali parlanti? Come stato possibile potenziare il
linguaggio e tutte le lingue che da esso scaturiscono?
Probabilmente il linguaggio e le lingue sono stati una conseguenza in attesa del
passaggio alla posizione eretta. Molto probabilmente in seguito ad un cambiamento
14
climatico i nostri lontani antenati hanno progressivamente abbandonato la vita
arboricola per iniziare a muoversi nella savana. Qui a causa della conformazione del
suolo, della postura eretta dava numerosi vantaggi come quello di poter scorgere per
tempo i predatori. Proprio l’assunzione la stabilizzazione della posizione eretta hanno
innescato una serie di processi a catena che ci hanno consentito di parlare. In primis
la posizione eretta riduce la parte del corpo direttamente esposte raggi solari, quindi
abbassa la temperatura interna. Un cervello più sviluppato aumenta le capacità di
pensiero, memoria e ragionamento. Tra i vari benefici della posizione eretta vi era
anche la libertà delle mani che potevano essere utilizzate per costruire oggetti e
utensili come armi e coltelli. Essi venivano utilizzati per cacciare e garantire una
migliore alimentazione, la quale accresce il benessere fisico e la forza degli uomini.
La caccia è l’uso di utensili portano anche ad una riduzione della dentatura e della
mandibola: i denti, ora, servono solo per masticare e non più per strappare la carne.
Questo crea più spazio per i movimenti della lingua nella cavità orale e aumenta le
potenzialità della fonazione. La liberazione delle mani dovuta alla posizione eretta
inoltre permetteva agli uomini di gesticolare: prima forma di comunicazione.
Dato che la manualità e la gestualità hanno accompagnato per secoli la nostra
capacità comunicativa e hanno facilitato l’acquisizione della lingua nativa esse
andrebbero stimolate in tutte le loro forme. La manipolazione, l’arte e la musica
giovano alla grammatica tanto quanto essa giova loro.
TESI 3
Pluralità e complessità delle capacità linguistiche
La terza tesi pone attenzione sulle abilità linguistiche nel loro complesso e sulla loro
importanza dal punto di vista sia produttivo sia recettivo.
Solitamente per competenza linguistica si fa riferimento alla capacità di parlare e
scrivere e solo raramente ci si sofferma con altrettanta attenzione sulla capacità di
comprendere realmente i testi sia parlati sia scritti. Ciò contribuisce alla convinzione
che il comprendere sia un processo passivo rispetto alla produzione. La terza tesi
vuole invece dimostrare che sapere utilizzare una lingua significa molto più che saper
parlare e scrivere. Conoscere una lingua in maniera competente significa innanzitutto
comprendere ciò che viene detto e scritto; in secondo luogo significa saper mettere
insieme delle parole e comprendere non solo pensieri, esperienze e concetti già noti,
ma poter comunicare idee e cose nuove. Conoscere una lingua vuol dire allargare i
confini della propria competenza. A tal fine sono importanti sia le esperienze
linguistiche produttive che quelle ricettive. Per comprendere meglio questo concetto
bisogna partire dallo sviluppo della percezione linguistica nei bambini. Il sistema
uditivo è Già pienamente sviluppato a 7 mesi di gestazione. La produzione

15
linguistica, non quella di suoni, invece inizierà molti mesi dopo perché l’apparato
vocale si completa solamente dopo la nascita. In altre parole l’ascolto viene prima del
parlare ed è proprio dall’ascolto che i bambini iniziano il loro lavoro linguistico. Ad
esempio, immaginiamo una neonata di nome Nina che sentirà numerose voci intorno
a lei. Tutte queste voci che si riferiscono a lei rappresentano degli stimoli dai quali la
bambina inizierà a capire quali sono i suoni utili che portano alla composizione di
suoni significanti e quali no. Il più delle volte infatti ascolterà discorsi lunghi dai
quali dovrà cogliere dovrà cogliere quelle sequenze di suoni significanti. Questo
compito sarà reso ancora più difficile dal fatto che i dati che la bambina dispone non
sono sempre uguali. Nina sentirà talvolta la voce della mamma talvolta quella del
papà, altre volte sentirà il nome sussurrato o urlato con intonazioni diverse. La
bambina fin dalla nascita è immersa in uno spazio plurilingue. Il plurilinguismo non
coincide con il multilinguismo che caratterizza invece aree geografiche in cui si
parlano lingue diverse.
Il lavoro di Nina per riconoscere gli elementi significanti si svolge su un doppio
binario:
 Segnali fonici;
 Contenuto.
La bambina incontrerà difficoltà anche dal punto di vista del contenuto dal momento
che i vari parlanti potranno attribuire sensi diversi ad una stessa sequenza fonica. In
sintesi la bambina al suono associa un significante perché quello stesso suono è
associato ad un significato: associo il suono bottiglia alla bottiglia vera e propria.
Tale processo permette di:
 Di riconoscere il significato di alcune sequenze di suoni;
 Di confrontare i significati con altri.
A diversi segnali fonici X1, X2, X3 si possono ricondurre ad un significato X.
In questo modo si costruisce un sistema astratto di corrispondenze che forma
l’insieme di segni che appartengono alla lingua madre. In conclusione per imparare a
parlare bisogna aver prima imparato ad ascoltare perché proprio dall’ascolto dei suoni
che si riesce a dare un significato alle cose e alle parole che poi pronunciamo. I
bambini in questo modo iniziano ad imparare quella che viene chiamata “grammatica
implicita”.
La grammatica implicita è una prima forma di grammatica che i bambini imparano,
non è completa, massi modifica, si allarga e si Ridefinisce man mano che crescono le
esperienze linguistiche quotidiane. I bambini infatti in maniera del tutto autonoma e
spontanea talvolta fanno delle riflessioni sulla lingua. Questa capacità è chiamata
“epilinguisticità”.
16
Si tratta della capacità di esplorare usi linguistici che i bambini esprimono anche
tramite domande come: cosa vuol dire questo? Come si chiama questa cosa?
All’epilinguisticità Si aggiunge la metalinguisticità, Cioè una capacità più matura di
riflettere sulla lingua che permette di riconoscere l’esistenza di un insieme di
relazioni interpretabili in base a categorie e nozioni generali.
Tutto ciò è possibile proprio perché la lingua è per definizione un oggetto flessibile in
continuo movimento e una buona educazione linguistica deve prevedere come suo
elemento costitutivo una possibile ridefinizione delle categorie metalinguistiche.
La grammatica stessa è un oggetto in movimento che cresce insieme ai parlanti e alle
loro esperienze linguistiche. La grammatica attiva è infatti quella parte della lingua
che non va imparata una volta per tutte, ma va modellata sui vari bisogni
comunicativi reali. La grammatica così come il lessico di una lingua va adattata ai
vari contesti e permette di sfruttare le varie situazioni comunicative come
un’occasione di apprendimento.
Inoltre crescendo la lingua aumenta e si arricchisce, Si impara Ad usare altre
modalità di comunicazione come la scrittura. Il parlato e la scrittura si distinguono
per il modo in cui si costruisce la trama del discorso.
 Quali sono i punti più rilevanti che distinguono una comunicazione parlata
da una scritta?
Nella prima comunicazione la situazione è più frequente è il dialogo in cui il
produttore e il ricevente sono compresenti e l’uso del canale fonico-uditivo permette
di usare la prosodia per trasmettere il senso del discorso. Essa può essere
accompagnata anche dai gesti e dalle espressioni del volto. La comunicazione parlata
è discontinua poiché lo scambio dialogico comprende la possibilità di essere interrotti
e quindi anche tutto il discorso linguistico può essere alterato. Inoltre la produzione e
la ricezione in tempo reale non permettono nessun tipo di correzione o cancellazione
di eventuali errori. Essa dà luogo ad una discontinuità verbale, chi parla, per quanto
programmi ciò che vorrebbe dire, deve sempre tenere conto delle reazioni del
destinatario. La comunicazione parlata inoltre non può fare affidamento su una
memoria esterna perché tutto ciò che viene detto non resta fissato da nessuna parte.
Nella seconda comunicazione, al contrario, la situazione è prevalentemente il
monologo, il destinatario è assente e non si possono controllare le sue reazioni. La
comunicazione scritta è invece continua, questa sua continuità è inversamente
proporzionale al grado di continuità dei testi: la possibilità di interrompere, rivedere,
correggere un testo durante la sua produzione permette la costruzione di sequenze
continue. Nello scritto, a differenza del parlato, si può fare affidamento su una

17
memoria esterna che è sostenuta proprio dalla pagina su cui viene scritto il testo che
ci permette di allungare organizzare meglio il discorso.
La differenza di comunicazione che viene adottata rende il processo di comprensione
parzialmente diverso. Cambia ovvero la capacità di mettere in relazione la lingua che
viene usata dal nostro interlocutore con i concetti già presenti nella nostra memoria.
—> Cambiano le capacità che usiamo nel momento in cui dobbiamo comprendere un
testo scritto o parlato.
Per comprendere i concetti, sia parlati sia scritti, il destinatario deve ricostruire la
dinamica tra l’informazione data e l’informazione nuova, stabilire le relazioni tra di
esse e con quello che già sa. Nella lettura di un testo scritto questo processo può
essere ripetuto più volte, quando invece si ascolta un test orale, tale processo deve
avvenire in tempo reale e deve anche prevedere la rapida eliminazione di tutte le
interruzioni, le pause più o meno lunghe per ricostruire un testo coerente e di senso.
Un esempio può essere il pensare a quanto sia diverso prendere appunti da una
lezione orale piuttosto che da un testo scritto. Il testo scritto può essere riletto infinite
volte mentre quello parlato va ascoltato e compreso nell’immediato.
Purtroppo, man mano che si cresce si perde interesse per il parlato e, ancora di più,
per l’ascolto nonostante entrambi siano considerati parte integrante dell’educazione
linguistica. Nella maggior parte dei casi si assume lo scritto come punto di partenza e
di arrivo di una buona competenza linguistica e, soprattutto nelle scuole superiori,
viene posta attenzione ai testi letterari. Lo scritto viene preferito al parlato A causa
del difficile rapporto tra parlato e ascolto. La scrittura permette di fissare la lingua, la
rende permanente e fruibile in tempi diversi rendendo lo studio della lingua stessa un
sapere trasmissibile e appunto insegnabile. Inoltre lo studio della lingua scritta si basa
su delle norme standard come quella di partire dall’analisi di testi letterari scritti,
poesie. Per il parlato invece quale norma dovrebbe essere scelta? La conversazione? I
monologhi?
A tale difficoltà si aggiunge il fatto che il parlato inevitabilmente conserva tracce di
provenienza linguistica regionale o locale del parlante e quindi presenta numerose
variazioni. Ciò è molto evidente in Italia in cui l’italiano manifesta ancora oggi forti
tracce del dialetto.
 È così importante inserire il parlato e l’ascolto nella tradizione didattica?
Quali sono i vantaggi che se ne possono ricavare?
In primis bisogna ricordare che il parlato e l’ascolto sono elementi primari per la
costruzione del sé e del sé relazionale, dell’instaurazione delle relazioni sociali ed
interpersonali. Insegnare ad ascoltare e a parlare è un passo importante per la
formazione dell’identità personale degli allievi. Dunque l’inserimento di tali elementi
contribuisce alla formazione di una didattica inclusiva tanto è vero che la maggior
18
parte delle esperienze comunicative tra ragazze e ragazzi avviene proprio tramite
l’ascolto e il parlato. Talvolta è proprio grazie a questi elementi che si riesce a
comunicare a prescindere dal fatto che si conosca o meno una lingua dal punto di
vista scritto.
Inoltre gli studenti apprendono soprattutto tramite l’ascolto e, in secondo luogo, per
scrivere e leggere bene gli allievi devono essere consapevoli delle proprietà di questo
tipo di comunicazione confrontandola con altre modalità, devono allenarsi ed
imparare a padroneggiare la lingua scritta nel parlato.
Interessante al riguardo può essere la scrittura conversazione anale, ovvero la
scrittura utilizzata nella messaggistica telematica via computer o cellulare. In questo
caso è come se avessimo una via di mezzo tra i due tipi di comunicazione
precedentemente mostrati. Nella scrittura conversazione anale il testo è diretto ad un
destinatario distante che, pur non essendo presente, può comunque rispondere nel
giro di qualche secondo. Le scelte linguistiche che si faranno saranno molto diverse
da quelle che si farebbero in un testo scritto mono logico, ma anche diverse da quelle
che si fanno parlando. Tale scrittura ha dei tempi di realizzazione molto più lenti
rispetto a quelli del parlato, legati alla digitazione delle parole, al fatto che non c’è un
tempo determinato entro cui il destinatario deve rispondere. D’altro canto sono
comunque nati degli usi linguistici tipici di questa modalità che velocizzano lo
scambio di informazioni come per esempio le abbreviazioni e l’uso di emoticon.
TESI IV
L’educazione linguistica democratica e la Costituzione
La quarta tesi affronta i temi cruciali del progetto innovativo ho della cosiddetta
annunciata “rivoluzione copernicana nel campo dell’educazione linguistica”.
La tesi:
1. Propone una nuova denominazione per l’insegnamento della lingua che si
chiamerà “Educazione linguistica democratica” spiegando la ragione per la quale è
necessario aggiungere quest’ultimo aggettivo: democratica.
2. Affronta il tema della complessità del linguaggio verbale, che non è una parola
neutra, ma una parola che ha un significato ben preciso che fa riferimento alla
corporeità, alla socialità, alle varietà e alle diversità della vita, del vivere e del
comunicare di ciascuno di noi all’interno di una società.
3. Afferma la responsabilità della scuola e di tutte le istituzioni culturali per quanto
riguarda la formazione del patrimonio linguistico di ognuno di noi. Lo scopo finale è
quello di aumentare i mezzi capaci di assicurare una partecipazione attiva il
responsabile di ogni cittadino alla vita della Repubblica.
19
La costituzione l’educazione linguistica democratica
Dopo la morte di Tullio de Mauro molti critici hanno obiettato l’associazione
dell’aggettivo democratico al termine educazione.
Se si pensa ai programmi ministeriali del 1979 per la ex scuola media si nota come
all’interno dei programmi buona parte delle materie di studio cambia nome
diventando “educazioni”: Educazione tecnica, educazione artistica, musicale,
linguistica. L’aggettivo “democratica” però risultava troppo legato all’ambito
politico.
Esso designa però il metodo con cui la lingua adopera: lingua e linguaggi sono
elementi necessari per mettere ciascuno, qualsiasi età, in ogni ambiente, in ogni
momento storico in relazione con l’altro. La lingua è di tutti e di ciascuno. È proprio
a questo concetto che allude l’aggettivo “democratica”.
La quarta tesi afferma che: la pedagogia linguistica efficace è democratica se e solo
se realizza i principi linguistici esposti in testi come, ad esempio, l’articolo 3 della
Costituzione italiana che riconosce l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni
di lingua e propone quest’eguaglianza come traguardo dell’azione della Repubblica.
La costituzione italiana in realtà ha un ruolo importantissimo in tutte le 10 tesi. I
padri della Repubblica, nell’assemblea costituente, hanno dato grande importanza alla
lingua e alla sua ricchezza, l’hanno trattata con tutto il rispetto e l’impegno che essa
richiede. Hanno compreso la potenza della lingua e la sua capacità sugli uomini e sui
cittadini. Un esempio possono essere i numerosi ripensamenti a proposito della
scrittura dell’articolo 1. Nella stesura di tale articolo, hanno pensato ad ogni singola
parola, costruito frasi brevi, hanno discusso allungo l’impianto che l’intero periodo
avrebbe dovuto avere per essere letto e compreso facilmente.
La quarta testi si sofferma in modo particolare sugli articoli 3 e 6 della costituzione
italiana soffermandosi in particolar modo sullo Stato e le sue istituzioni. Il primo
volto a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al dispiegarsi dei diritti
all’uguaglianza; il secondo ad assumere con la scuola la responsabilità della
formazione linguistica e umana di ciascun cittadino. La tesi punta ad eliminare tutto
ciò che rallenta o impedisce il pieno raggiungimento delle competenze linguistiche
individuando sul piano dei comportamenti come cause principali i pregiudizi,
l’ignoranza, la chiusura; su quello materiale, gli edifici poco funzionali o brutti,
l’assenza di biblioteche, ambienti di vita non confortevoli; su quello politico, la
povertà, la mancanza di lavoro, la burocrazia lenta.

LA IV TESI E LA LINGUISTICA “INTEGRATA”


20
Prima del 1979 i programmi scolastici affermavano semplicemente “italiano”
presupponendo che la lingua materna fosse da insegnare come qualsiasi altra cosa. Il
principio di base era che la lingua fosse da imparare a scuola, ovvero la lingua scritta,
da leggere e da scrivere; una lingua senza vita e senza storia chiamata “italiano
scolastico”. Dopo la pubblicazione delle 10 tesi invece E contemporaneamente alla
riscrittura dei nuovi programmi scolastici, Francesco Sabatini pubblica un manuale
per gli studenti della scuola media dedicato interamente alla storia della lingua
italiana. Il punto cruciale di questo manuale era proprio lo studio diacronico
dell’italiano, ovvero lo studio di una lingua tenendo presente la sua storia, i suoi
timbri, i caratteri diversi. Una lingua ricca e viva.
La quarta tesi si basa anche sull’idea che la lingua vera e la lingua d’uso, dei parlanti
Aprendo la strada all’incontro tra Accademia e scuola. Se l’Accademia teorizza la
continuità linguaggi/linguaggio verbale, lingua scritta/lingua parlata, la scuola
diventa essa stessa soggetto attivo di ricerca. (L’Accademia teorizza, la scuola mette
in pratica). Nasce in questo modo la figura dell’insegnante-ricercatore e l’idea di una
scuola come luogo centro di creazione della conoscenza.

La formazione linguistica dei cittadini: la scuola e le altre istituzioni


Tra le varie istituzioni che dovrebbero garantire lo sviluppo di una buona capacità
linguistica nei cittadini vi è la scuola. Essa però non è l’unica a anche sì spesso è la
prima ad essere accusata nel momento in cui le cose funzionano male o non
funzionano. A tal riguardo vi è una grande contraddizione. L’atteggiamento
dell’opinione pubblica che parla male dell’istituzione scolastica, è la stessa che la
chiama in causa per ogni emergenza civile, sociale e culturale del paese. Se gli
studenti, ad esempio, non conoscono la storia del mondo o della loro nazione, la
responsabilità è automaticamente attribuita alla scuola; se la qualità della lingua è
corrotta è colpa della scuola. Se i giovani non leggono, è la scuola che non fa il suo
dovere. Eppure davanti ad un qualsiasi problema da risolvere, si pensa e si decide di
impegnare la scuola: se il pianeta soffre, ad esempio, la scuola deve intervenire. Il
caso più emblematico è quello dell’educazione civica: dinanzi ai fenomeni di
bullismo, all’indifferenza nei confronti di antichi valori, il rimedio è sempre visto
nell’invenzione di una nuova educazione civica. Le famiglie non vengono chiamate
in causa se non in minima parte, i mezzi di informazione e comunicazione di massa
vengono dimenticati. Sostanzialmente si può affermare che la scuola, nel nostro
paese, ha sempre fatto la sua parte, non si è mai sottratta ai compiti che i suoi
governanti le hanno assegnato. All’interno della quarta tesi vengono elencate tutte le
varie istituzioni che dovrebbero preoccuparsi della cura del patrimonio linguistico
oltre la scuola. Tra queste sono citati i centri di pubblica lettura, la famiglia i politici.
Questi modelli devono rappresentare per i ragazzi un esempio.
21
 A questo punto ci si potrebbe chiedere cosa fare per creare percorsi didattici
di educazione linguistica democratica?
Come prima cosa bisognerebbe continuare a leggere le 10 tesi poiché il loro
messaggio è attuale. Accanto a questo testo, bisognerebbe rileggere libri e manuali di
lingua degli anni 70/90 del secolo scorso.
La seconda cosa da fare è impegnarsi politicamente e professionalmente, studiare per
sentirsi soddisfatti del mestiere che si fa.
La terza cosa è quella di leggere pagine sul dibattito sviluppatosi intorno alla
realizzazione dei primi articoli della Costituzione italiana in modo tale da capire
quanto sia importante la scelta dei termini di una lingua che si fa.

TESI V, VI, VII


La pedagogia linguistica tradizionale
Caratteri, inefficacia, limiti

Le tesi V, VI, VII spostano l’attenzione sulla scuola: Che cosa e come si insegna
dell’educazione linguistica (tesi V), con quali risultati (tesi VI) e quali limiti (tesi
VII).
Partiamo dall’analisi dei principali limiti della pedagogia linguistica tradizionale
praticata nei primi anni 70 del 900 per comprendere l’attualità di queste tesi. La
pedagogia linguistica tradizionale affermava che lo studio della lingua doveva
avvenire solamente nell’ora di italiano; puntava esclusivamente ad una buona
capacità di scrittura non curandosi dell’importanza dell’oralità; predilige un metodo
di insegnamento basato sull’obbligo divieto rimproverando gli alunni senza riflettere
con essi tramite ragionamento o colloquio; gli errori non vengono considerati parte
del processo di apprendimento, ma vengono direttamente sanzionati; le prove di
scrittura consistono in temi, riassunti o commenti di testi risultando poco o per nulla
motivanti e dando poca importanza a ciò che nella vita è più utile come prendere
appunti, schematizzare, adattare una lingua e uno stile dello scritto al destinatario;
l’insegnamento del codice verbale non interagisce con l’educazione di altre capacità
espressive come la danza, il disegno o il ritmo; esclude completamente il lessico.
Non tutte queste caratteristiche sono state superate o migliorate nella scuola attuale.

22
 Come si può spiegare una situazione ancora così arretrata? Che cosa è stato
fatto per dare agli insegnanti gli strumenti utili per superare questi limiti?
La risposta si basa su tre piani: gli studi, le sperimentazioni, la politica scolastica.
Gli studi hanno registrato dei progressi enormi per quanto riguarda l’educazione
linguistica. Il rapporto tra ricerca e sperimentazione delle scuole ha dato vita ad una
cospicua produzione di materiali teorico-applicativi raccolti nei 50 volumi pubblicati
a partire dal 1985 dal CISCEL. Le idee e i suggerimenti raccolti all’interno di questi
testi ha influito minimamente sui docenti in servizio. Uno dei motivi principali di
questo scarso coinvolgimento da parte dei docenti risiede sicuramente nella politica
scolastica omogenea, discontinua e incoerente. Nonostante i Programmi scolastici,
rigidi ed elencati, siano stati sostituiti dall’Indicazioni, è cambiato ben poco sia per lo
scarso impegno ministeriale nell’aggiornare i docenti sia per il succedersi di
Indicazioni diverse fra loro in pochi anni, molte di queste addirittura opposte tra loro.
La riforma Moratti, ad esempio, sospese nel 2004 la riforma Berlinguer di quattro
anni prima sostituendola con le Indicazioni nazionali. La stessa riforma fu a sua volta
sostituita nel 2007 dalla riforma Fioroni che sostituì le indicazioni nazionali con le
Indicazioni per il curricolo. Mariastella Gelmini, pur non abolendo le indicazioni
Fioroni, emanò nel 2009 un atto che prevedeva l’armonizzazione fra le Indicazioni
Moratti e le Indicazioni Fioroni. Nel 2012, infine, il ministro profumo scelse di
riscrivere le indicazioni partendo dal testo della riforma Fioroni dando vita alle
“Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione del
2012”, attualmente in vigore. In 10 anni si sono praticamente succeduti ben cinque
testi politici opposti per quanto riguarda il mondo dell’istruzione. Questo basta a
spiegare il disorientamento e il sostanziale disinteresse degli insegnanti per quello che
dovrebbe essere di base il testo-guida scolastico.
Confrontiamo le diagnosi sulla pedagogia linguistica tradizionale contenute nelle tesi
V, VI, VII con le soluzioni proposte per rimediare ai limiti e alle inefficienze della
pedagogia linguistica tradizionale delle Indicazioni Moratti del 2004 e le
Indicazioni nazionali del 2012.
1. Le 10 tesi affermano che la pedagogia linguistica tradizionale opera nell’ora di
italiano ignorando la necessità di coinvolgere tutte le materie e tutti gli
insegnanti. Le indicazioni 2004 danno per scontato che l’educazione linguistica
sia un compito esclusivo dell’insegnante di italiano nell’ora di italiano. Le
indicazioni 2012 invece affermano che l’apprendimento della lingua sia
oggetto di tutti i docenti che coordineranno le loro attività, i vari docenti
lavoreranno insieme con l’insegnante di italiano.
2. Le tesi affermano che la pedagogia linguistica tradizionale trascura la realtà
linguistica di partenza, spesso colloquiale dialettale, degli allievi ignorando le
23
diversità culturali e sociali. Le indicazioni del 2004 non fanno alcun accenno a
questo aspetto. Le indicazioni del 2012 invece affermano che l’apprendimento
della lingua italiana deve avvenire tenendo conto delle competenze linguistiche
e comunicative che gli alunni possiedono già in partenza.
3. Le tesi puntano ad un apprendimento rapido da parte dei più dotati per quanto
riguarda l’ortografia italiana. Le indicazioni del 2004 danno priorità assoluta
alla correttezza ortografica. Le indicazioni del 2012 invece affermano che la
competenza ortografica vieni acquisita nei primi due anni di scuola, ma gli
insegnanti devono comunque tenere conto dei tempi di apprendimento e delle
competenze già acquisite dai ragazzi.
4. Le tesi tengono conto soltanto della produzione scritta non curandosi di quella
orale se non durante l’interrogazione. Nelle indicazioni del 2004 Non ci si
occupa ancora dell’ascolto come capacità ricettiva, dando per scontata la
capacità di comprensione e di costruzione del significato. Per quanto riguarda
il parlato non si dà importanza all’arricchimento lessicale e alle scelte
linguistiche in base al contesto. Nelle indicazioni del 2012 invece ascolto e
parlato sono considerati, in maniera unitaria, Come capacità di interagire, di
elaborare il pensiero attraverso l’oralità e di comprendere discorsi e testi di
vario tipo. Ascolto e parlato hanno l’obiettivo di ampliare il lessico, ascoltare
produrre discorsi sempre più articolati e meglio pianificati. L’educazione
all’oralità e realizzata tramite il dialogo, l’interazione, la ricerca e la
condivisione di conoscenze.
5. Le tesi puntano ad una produzione scritta poco motivata come la
realizzazione di pensierini o temi trascurando lo sviluppo di capacità utili come
quella di prendere buoni appunti, schematizzare, sintetizzare. Le indicazioni
del 2004 consigliano di realizzare scalette mentali o scritte e schematizzazioni,
ma non affrontano il problema del distacco dalla verbalizzazione spontanea e il
riflessa. Le indicazioni del 2012 invece considerano la produzione iscritta
come un processo all’interno del quale si riconoscono varie fasi, dall’ideazione
alla pianificazione, alla prima stesura, alla revisione e al l’autocorrezione. Si
prevede la produzione di testi, schemi, riassunti, relazioni di attività e progetti
svolti nelle varie discipline, testi funzionali di vario tipo.
6. Per quanto riguarda la grammatica, le tesi presuppongono uno studio
mnemonico di paradigmi verbali, classificazione logica dei componenti della
frase. L’insegnamento non tiene conto dei mutamenti linguistici dal punto di
vista storico, semantico o socio-linguistico; non ha nessuna influenza sulle
capacità di comprensione e produzione linguistica; si basa su teorie linguistiche
antiquate. Le indicazioni del 2004 puntano ad uno studio grammaticale che si
basa sulla sintassi, sulle relazioni di connessione lessicale, polisemia,
iper/iponimia, predicato e argomento, coniugazione verbale eccetera. Le

24
indicazioni del 2012 invece, per quanto riguarda lo studio grammaticale,
partono dalle conoscenze possedute dai bambini fin dall’infanzia e si parte dai
testi orali e scritti recepiti e prodotti dagli allievi. Lo studio della grammatica e
quindi basato sul continuo confronto tra la grammatica implicita (grammatica
che si apprende gradualmente dalla nascita) e quella esplicita.
7. Per quanto riguarda il lessico, le tesi ignorano completamente le capacità
linguistiche ricettive non tenendo conto in questo modo della metà del
linguaggio fatta di capacità di capire le parole lette e scritte, ma proprio questa
metà è necessaria per il funzionamento delle capacità linguistiche generali:
come il bambino infatti, impara prima ad individuare le frasi, ad ascoltare e
capire, e poi impara a produrre parole e frasi, così da adulti prima dobbiamo
leggere e ascoltare le parole e le frasi, poi ci avventuriamo ad usarle e capirle.
Nelle indicazioni del 2004 le uniche informazioni che vengono fornite per
quanto riguarda il lessico riguardano le classi seconda e terza, ma non c’è nulla
che riguardi la comprensione, il significato o la progressiva acquisizione del
lessico. Nelle indicazioni del 2012 invece il lessico ha un rilievo notevole tanto
nella scuola primaria quanto in quella secondaria di primo grado. Spicca il
riferimento al rispetto degli stadi cognitivi del bambino e del ragazzo (vari
momenti di sviluppo delle capacità durante la vita) e al rapporto stretto con
l’uso vivo e reale della lingua: sono banditi dunque lo studio di definizioni
astratte e un approccio precoce a testi lontani dall’uso corrente della lingua a
bambini di sei o 7 anni.
Le indicazioni del 2012 infine sono le Ultime di una lunga serie di testi ministeriali,
ma sono state poco pubblicizzate ed è per questo che pochi sono gli insegnanti che le
hanno davvero lette, meditate e sperimentate. Tuttavia sono uno strumento utile a
disposizione dei docenti. Ad oggi, nella società odierna, grazie agli errori del passato
e con l’aiuto delle 10 tesi, possiamo affermare che i principi fondamentali riguardano
il passaggio dall’approccio punitivo a quello costruttivo, il rispetto del bambino e dei
suoi ritmi di crescita, l’inclusione e la trasmissione dei principi egualitari della vita
democratica.

TESI VIII
I principi dell’educazione linguistica democratica
La tesi VIII si pone come scopo principale quello di formulare le dieci tesi con cui
fondare l’educazione linguistica nella scuola democratica.
Essa parte da una domanda:
 I principi linguistici sono conosciuti?
25
All’interno del GISCEL ci si lamenta spesso del fatto che le 10 tesi per
un’educazione linguistica democratica siano ancora poco diffusi fra i docenti. Al
contrario, altri gruppi pensano chi l’educazione linguistica democratica con i suoi
principi sia così tanto diffusa da essere la radice di ogni male della scuola italiana. In
uno studio realizzato alla fine del 2004 dal GISCEL, Si volle provare a capire se e
quanto fossero conosciute le tesi e se venissero considerate attuali dai docenti. Tale
esperimento avvenne tramite un questionario: Le prime domande erano di ordine
generale e vertevano sulla conoscenza delle tesi, sulla loro influenza
nell’insegnamento e nella formazione professionale. Lo studio ha dimostrato un
accordo totale o parziale dei docenti con le 10 tesi. Anche i docenti che non
conoscevano le 10 tesi e i loro principi, hanno dichiarato il loro accordo.
Probabilmente concetti come la pluralità e la complessità delle abilità, la varietà della
lingua e dei testi, la trasversalità e la continuità dell’educazione linguistica sono
diventati familiari agli insegnanti attraverso i programmi della scuola media del 1979.
Perseguire e rendere concreti i principi enunciati nelle 10 tesi non è qualcosa di
semplice e scontato, il lavoro più impegnativo spetta proprio al docente, chiamato ad
abbandonare i principi stabili e rassicuranti della pedagogia linguistica tradizionale
conservatrice per abbracciare principi nuovi su cui basare l’educazione linguistica
nella scuola nuova che nasce, ovvero nella scuola democratica. Una prima difficoltà
che si potrebbe incontrare e quella rappresentata dall’opposizione dei sostenitori della
pedagogia linguistica tradizionale. Inoltre, un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto
che la nuova educazione linguistica democratica non ha ancora dei dati abbastanza
diffusi tali da far cogliere immediatamente la potenza rivoluzionaria dei principi
linguistici stessi. La strada per superare queste difficoltà è in salita e molto lenta. Solo
una discussione pubblica come quella attuata dal GISCEL, protesa a far cogliere
l’importanza dei principi, potrà fari cogliere l’importanza di tali principi.
1. Il primo principio: l’attività verbale come semiotica
Il primo principio dell’ottava tesi si riferisce allo sviluppo delle capacità di cui
disponiamo grazie al nostro patrimonio genetico.
Durante il corso della storia, la specie umana, dopo aver conquistato la posizione
eretta, è stata lungo senza parlare e si è avvalsa di semiotiche diverse dal linguaggio
verbale. Già Tullio de Mauro spiegava che ciò di cui l’uomo non può fare a meno non
sono le parole, ma la comunicazione. Dunque il linguaggio verbale si pone in un
rapporto di reciprocità con le altre attività semiotiche, con le altre capacità degli
esseri umani di comunicare. Le capacità verbali sono sullo stesso livello di quelle dei
gesti, delle posture del corpo e delle altre forme espressive quali la danza, la musica e
il disegno.

26
Chi trascorre la maggior parte del suo tempo all’interno della scuola si rende conto
con maggiore facilità del fatto che possiamo fare a meno delle parole per comunicare.
All’interno della scuola infatti sono numerosi gli alunni affetti da forme di ‘mutismo
volontario’ legate a varie ragioni personali. Questi alunni sono maggiormente
predisposti all’ascolto, prediligono un altro tipo di linguaggio, prestano maggiore
attenzione al parlante e provano difficoltà a sentire il suono della propria voce.
Spesso le cause di un linguaggio verbale limitato sono legate ai primi anni d’infanzia
del soggetto. Il linguaggio verbale non si può sviluppare pienamente se si vive fin
dalla nascita in una condizione di isolamento. L’assenza di cure parentali adeguate,
situazioni molto comune nelle zone più a rischio delle città, la disattenzione della
famiglia, situazione rilevata anche nei quartieri bene, spesso è accompagnata da una
sottovalutazione dell’interattività come un aspetto importante per sostenere lo
sviluppo linguistico. Dunque, anche se l’isolamento non è totale, la mancata ho
limitata interazione influenza lo sviluppo delle capacità verbali future. I possibili
ritardi nel linguaggio verbale diventano difficili da recuperare superata una certa
soglia di età. I docenti che lavorano nelle scuole dove vengono accolti i bambini
provenienti da ambienti difficili hanno imparato che inserire precocemente i bambini
in contesti stimolanti come gli asili o i nidi, può incidere sul superamento delle
difficoltà. Al contrario, un inserimento ritardato a scuola può incidere meno sulla
situazione di partenza e può essere meno efficace ad una certa età. L’assenza di
parola però non significa assenza di comunicazione. L’attenzione all’espressione del
volto, alla gestualità, ai movimenti involontari del corpo, al disegno o alla musica
possono essere utili per stabilire una prima comunicazione.
2. Il secondo principio: la lingua dello scambio della partecipazione
Il secondo principio dell’ottava tesi pone attenzione alle scelte educative da fare per
la realizzazione dell’educazione linguistica democratica. Questo secondo principio,
un po’ come il primo, capovolge il primato della parola. Ciò che si vuole
contrastare è il fatto che sapere una cosa non coincide necessariamente con il saperne
parlare. Oltre le parole, il linguaggio e le capacità linguistiche emerge una prospettiva
nuova all’interno della quale le diverse semiotiche si intrecciano per esprimere il
senso dell’educazione linguistica democratica: la scuola come luogo dove si
forniscono gli strumenti per la formazione di studenti in grado di partecipare
attivamente alla vita sociale e intellettuale. Il secondo principio anticipa un po’ le
Life skills, capacità umane acquisite tramite insegnamento o esperienza diretta usate
per gestire i problemi, situazioni incontrati durante il corso della vita quotidiana.
Tuttavia c’è una sostanziale differenza tra gli strumenti citati nel secondo principio e
le Life skills. I primi assumono come punto di forza lo sviluppo e l’esercizio delle
capacità linguistiche; le seconde sono invece delle applicazioni pratiche di
conoscenze, abilità, valori e atteggiamenti importanti nel processo di sviluppo
individuale. Questa differenza si riflette anche sui modelli concettuali.
27
Basta pensare ad esempio al modello delle competenze per una cultura democratica
dalla cui applicazione dovrebbe uscire rafforzata la coscienza democratica degli
studenti. Si tratta di un modello completo, ma non in grado di orientare
sufficientemente chi si occupa di educazione. La frammentazione delle competenze,
l’eccessiva descrizione di ciascuna competenza, impediscono di cogliere il senso
finale del progetto e rendono complessa l’operazione di creare delle linee guida da
seguire per le scelte didattiche. Le elaborazioni teoriche di Tullio de Mauro,
contrapposti al modello precedentemente citato, appaiono molto più complete. Le
elaborazioni di Tullio de Mauro ci permettono di comprendere meglio il rapporto tra
le capacità linguistiche, il loro sviluppo e le attività di studio, ricerca, partecipazione,
produzione individuale e di gruppo.
L’idea di base è quella che il mondo delle parole si configura nell’intreccio di tre assi.
Dal punto di vista della rappresentazione grafica ogni asse a una sua collocazione:
verticale, obliqua e orizzontale. L’asse verticale consente di graduare la diversa
territorialità delle produzioni linguistiche: dall’idioletto, ovvero l’insieme di usi
linguistici propri di un individuo o di un piccolo gruppo, alle espressioni che hanno
una circolazione interlinguistica, ovvero universale, insieme di usi linguistici legati a
lingue artificiali condivise a livello planetario. L’asse della profondità, rappresentato
in senso obliquo, segna la decrescente informalità dalla punta più esterna quella più
interna, o al contrario, la crescente formalità dalla parte più interna quella più esterna.
Rappresenta fondamentalmente il passaggio da forme di esprimersi molto legate al
contesto a forme in cui ci si allontana da quest’ultimo e perciò più formali. L’asse
orizzontale invece riguarda la varietà linguistica in stretta relazione con la
trasmissione e la ricezione dei testi.
Questo percorso, ovvero quest’analisi linguistica basata su questi tre assi, rappresenta
un modo concreto per valorizzare la cultura nella quale gli studenti sono immersi. Il
compito è abbastanza difficile e presuppone una grande competenza da parte del
docente. Il compito di quest’ultimo però non è soltanto quello di fornire agli studenti
gli strumenti linguistici per continuare a studiare, passando ad esempio dal liceo
all’università, ma occorre pensare in grande e fornire strumenti linguistici tali da
garantire, a chi oggi studia nella comunità scolastica, di muoversi domani nella vita
sociale ed intellettuale. La scuola dunque ha un ruolo fondamentale per le
generazioni future.

3. Il terzo principio: la lingua di casa


Il terzo principio dell’ottava tesi si basa sul retroterra linguistico-culturale personale,
familiare e ambientale di ciascun individuo. Questo terzo principio fu proposto
sostanzialmente per due motivi: da un lato contrastare la concezione dei dialetti come
28
la “malerba” da estirpare; dall’altro occorreva verificare che il dialetto fosse
dominante o esclusivo per l’apprendimento della lingua italiana.
Ad oggi, a distanza di tempo, la situazione linguistica italiana è cambiata, infatti l’uso
del dialetto è un fenomeno marginale. Attualmente sono presenti problemi legati
all’estrema varietà delle lingue materne di partenza e alle diverse tradizioni
idiomatiche che coesistono nella popolazione e in ogni individuo. Ciascuno di noi
infatti per esprimersi o farsi comprendere dagli altri ricorre a parole e strutture che
fanno riferimento a tradizioni idiomatiche diverse. La presenza in classe di un
bambino con una lingua di partenza diversa, ad esempio, costringerà i docenti alla
ricerca di aspetti nascosti fra le pieghe di una lingua incerta che possano tratteggiare
la fisionomia del nuovo apprendente. La stessa esigenza invece non sussiste con gli
studenti autoctoni. In questo caso, i docenti non andranno più alla ricerca di diversi
modi per esprimersi o farsi capire. Nel 2002 però, Daniel Kahneman, ha condotto un
esperimento per dimostrare come in realtà sia importante occuparsi del retroterra
linguistico di partenza di ogni studente a prescindere dalla sua provenienza.
Nell’introduzione del suo testo “Thinking Fast and Slow”, l’autore mostra come
spesso le persone, ma soprattutto gli studiosi emettono giudizi basandosi su
previsioni improprie. Molti docenti collocano ogni alunno nelle rispettive classifiche
all’interno delle quali è già tutto previsto, anche gli esiti finali. Queste forme di
pregiudizio sono molto comuni nel mondo della scuola. I docenti talvolta ritengono di
sapere già tutto. Il paradosso è che questi pregiudizi spesso compaiono anche quando
si acquisiscono le informazioni sul retroterra linguistico culturale personale,
familiare, ambientale degli allievi. Spesso i dati che i docenti raccolgono non
vengono usati per orientare il loro lavoro in modo corretto, ma lo inducono a
consolidare le proprie personali aspettative sull’alunno; a formulare gli obiettivi di
apprendimento; a prevedere gli esiti finali essenziali, ovvero dei traguardi fissati per
gli allievi.
Appare chiaro che la conoscenza del retroterra inchioda ogni alunno all’interno della
sua casella di partenza e lo obbliga a compiere degli spostamenti limitati, ovvero ogni
docente una volta venuto a conoscenza dell’ambiente familiare da cui proviene il
ragazzo, tende a classificarlo e a farsi un’idea di quest’ultimo che difficilmente
cambierà. Questo tipo di modo di ragionare fondamentalmente ha effetti negativi
sugli stessi docenti che lo adottano. I docenti in questo modo si rassegnano,
precludendosi in partenza la possibilità di intervenire nella formazione dei ragazzi
aiutandoli a migliorare e a svilupparsi.
Dunque, il terzo principio vuole dimostrare che la rilevazione del punto di partenza,
quindi la conoscenza dell’ambiente da cui proviene un ragazzo, ha un senso didattico
molto più profondo e distante dalla concezione di poter formulare dei giudizi o
raccogliere informazioni per classificare i ragazzi. La conoscenza del punto di
29
partenza dei ragazzi allo scopo di realizzare itinerari di sviluppo, di arricchire il
patrimonio linguistico di ciascuno all’alunno, anche di chi sembra non possederne
uno. Ad esempio se un bambino arriva in una scuola di Palermo con una storia
familiare fallimentare, non conosce una parola in italiano, le sue reazioni sono
violente sia verso i docenti che verso i compagni, è importante che la scuola, una
volta rilevato il punto di partenza, si concentrerà su questo aspetto investendo energie
ed intervenendo proprio su queste difficoltà. La scuola dovrebbe partire da quelle
poche parole che il bambino conosce e nel giro di tre o quattro mesi le parole saranno
raddoppiate. La rabbia del bambino scomparirà e cambierà il suo modo di
relazionarsi sia con i docenti sia con i compagni di classe. In questo caso, l’analisi del
retroterra iniziale, aiuta il docente a capire da quale punto partire per ottenere un
progresso e uno sviluppo dal punto di vista lessicale del bambino.

4. Il quarto principio: lingue a confronto


Il quarto principio si sofferma sull’esistenza di diversi retroterra linguistici presenti
all’interno di un gruppo classe. In un convegno del 2012 Tullio de Mauro a posto la
sua attenzione su alcune riflessioni volte ad aiutare la scuola trovare strade migliori
affinché gli studenti si impadroniscano sempre di più dell’italiano e dei suoi diversi
usi. In quel caso, Tullio de Mauro ha messo in risalto i problemi più urgenti della
scuola ricordando che, una loro possibile risoluzione, non spetta solo alla scuola, ma
anche ad altre istituzioni. La scuola tenta e attentato di trovare delle soluzioni ai vari
problemi quali l’analfabetismo, il dislivello culturale linguistico nella popolazione
contemporanea, ma è chiaro che essa da sola può fare meno di quanto si potrebbe fare
se il contesto culturale generale si decidesse ad “uscire dal recinto della scuola”.
Tullio de Mauro con l’espressione “uscire dal recinto della scuola” intende il
coinvolgimento delle famiglie e di tutte le agenzie sociali e mettere in relazione la
realtà della scuola con quella della società, la realtà linguistica di una classe con la
realtà linguistica di provenienza. Uno dei primi passi infatti è proprio quello di
imparare a capire e apprezzare la varietà linguistica per imparare a viverci senza
calpestarla. È impressionante, infatti come dietro ad un apparente omogeneità
linguistica degli alunni che compongono una classe si celi una diversità linguistico
culturale personale, familiare, ambientale dai docenti spesso sconosciuta. La
provenienza familiare, le abitudini, le esperienze fatte o mancate, la lingua parlata a
casa e quella invece parlata a scuola fanno sempre la differenza. È il retroterra
linguistico infatti non è qualcosa da tenere fuori dall’aula. Ogni retroterra linguistico
è invece una risorsa per svolgere indagini, confronti e approfondimenti che partono
dalla famiglia, dal territorio e dalla sua storia. Mario Lodi, un grande maestro, in un
libro scritto in collaborazione con Tullio de Mauro dal titolo “Lingue e dialetti”, ha
sintetizzato alcune proposte per la scuola dell’obbligo dai 6 ai 14 anni. Queste
30
proposte sono pensate sia per recuperare il patrimonio linguistico di partenza tramite
filastrocche, proverbi, canzoni, leggende e modi di dire di uno specifico territorio, sia
per indagare su chi, dove e quando parla il dialetto. Queste proposte servono per
scoprire le diversità che si celano dietro facce di ragazzetti ragazzette simili di
pettinature, atteggiamento, abbigliamento richiedendo un ampio coinvolgimento della
classe e degli alunni trasformandoli in “piccoli ricercatori”. Tullio de Mauro ha
proposto un semplice questionario agli alunni per verificare le abitudini linguistiche
personali e quelle dei loro familiari.
Il linguista però non ha mai tralasciato un punto di criticità: è possibile riuscire a
fondere il lavoro di indagine con il lavoro didattico? Può essere messa in pratica
questa nuova proposta?
La consapevolezza che in Italia oggi l’ambiente familiare da cui proviene un bambino
è importante ed è la causa principale delle differenze linguistiche a scuola, rende la
risposta a queste domande affermativa. Tuttavia chi è che decide di intraprendere
questa strada che seppure sia produttiva, è molto impegnativa e richiede un grande
impegno nonché l’abbandono del lavoro tradizionale per uno innovativo?

Il quinto e il sesto principio. I cardini dell’educazione linguistica: abilità


linguistiche ricettive produttive, oralità e scrittura.
6.1. Il quinto principio: la dimensione nascosta della comprensione
La didattica deve tener conto dell’intrecciarsi della produzione scritta e orale.
Tullio de Mauro ha individuato un alto tasso di analfabetismo in larghe fasce di adulti
per quanto riguarda la lettura. Questa difficoltà risiede nella comprensione e nella
rielaborazione linguistica e cognitiva del testo che può compromettere il complessivo
sviluppo cognitivo degli alunni. L’educazione linguistica democratica deve perciò
sviluppare le abilità ricettive stimolando la capacità di comprendere un vocabolario
sempre più esteso. Il lavoro didattico dei docenti, non si esaurisce alla semplice
capacità di lettura, non può dare per scontate quelle operazioni fondamentali per la
comprensione del testo come il riconoscimento del significato di alcune parole o
espressioni ricostruendolo talvolta anche grazie al contesto; il saper individuare
singole informazioni; saper ricavare informazioni presenti in maniera implicita nel
testo e così via. La mancanza di una didattica esplicita della comprensione penalizza
soprattutto coloro che, non avendo contesti familiari e socioculturali di sostegno, si
affidano unicamente a quanto la scuola offre loro. La scuola dunque non può essere
un semplice ente valutatore, non può cioè semplicemente giudicare i ragazzi per
quanto fanno in classe, ma il suo scopo principale è proprio quello di insegnare e
fornire ai ragazzi tutto il necessario per il processo di apprendimento.
31
6.1.2. Una didattica esplicita della scrittura
Anche l’attività della scrittura richiede un insegnamento esplicito. “Saper scrivere”
significa saper realizzare schemi e forme testuali come narrazioni, descrizioni,
argomentazioni, lettere relazioni, relazioni e quant’altro. “Scrivere” significa anche
saper gestire e pianificare dei contenuti, revisionare di continuo ciò che si va
scrivendo. La scrittura è un’attività dinamica, partendo infatti da un’idea iniziale, non
è detto che essa venga rispettata durante tutta la realizzazione del testo scritto,
talvolta infatti man mano che si mettono per iscritto i pensieri si possono applicare
delle revisioni.
Tutto ciò richiede il sapersi dislocare dai livelli macro a quelli micro strutturali del
testo e viceversa, richiede la necessaria distanza critica dal proprio testo per poterlo
valutare con chiarezza.
A tal riguardo è utile dotare i ragazzi di categorie di smontaggio, di strumenti
metalinguistici per riflettere sulla testualità, utilizzando, ad esempio, simboli grafici
per esplicitare la scala di intervento (lessicale, morfosintattica, del paragrafo o
capoverso) e il modo (rielaborativo, di registro), selezionando di volta in volta tipi di
intervento per evidenziarne meglio la specificità, per adeguare la propria scrittura non
solo al codice linguistico ma anche per dire meglio e chiarire quanto si vuole dire.
Utile risulta essere anche la pratica di letture incrociate tra coppie di allievi per far
loro acquisire l’importanza della distanza dal testo per controllarne meglio la
correttezza.

6.1.3. Relazioni speculari tra lettura e scrittura: la mobilità cognitiva


La base da cui partire per comprendere e produrre testi è quella di percepire il testo
come un’organizzazione complessa costruita da più livelli che interagiscono tra loro.
Chi scrive deve sempre mettersi dalla parte di chi leggerà il suo testo, la
comprensione richiede sempre un lettore dinamico, ovvero capace di dislocarsi dalle
proprie conoscenze al testo e viceversa. Questa capacità viene chiamata mobilità
cognitiva ed è necessaria per comprendere due processi interagenti: top-down,
dall’alto, guidati da assunti generali da confermare nel corso della letteratura, e
bottom-up, dal basso, processi guidati dai dati testuali via via selezionati ed elaborati
per ricostruire significati più generali.

6.1.4. Relazioni funzionali tra letture scrittura: attività di letto-scrittura

32
Leggere e scrivere sono due attività complementari. Leggere fa bene al saprei
scrivere e un buon controllo delle competenze di scrittura raffinano e consolidano le
competenze di lettura e comprensione dei testi. Lettura e scrittura danno vita alle
attività cosiddette di letto scrittura quali: prendere appunti durante una lettura,
riassumere un testo, schedare i testi, sintetizzare e rielaborare più documenti,
realizzare schemi e mappe di vario tipo. Si parte dalla lettura di testi, dati e documenti
per rielaborare un testo totalmente nuovo.

6.1.5. Riassumere e sintetizzare


Per riassumere, in particolar modo, c’è bisogno di una buona comprensione del testo
e il saper selezionare alcuni passaggi testuali fondamentali per rielaborare un nuovo
testo, uno schema o una mappa che però avranno lo stesso scopo del testo iniziale. Il
riassumere aiuta sviluppare la mobilità linguistica degli allievi e le loro capacità
logico-cognitive come il cancellare informazioni ridondanti e la generalizzazione. Il
riassumere è diverso dal sintetizzare in quanto quest’ultima attività presuppone la
presenza di più fonti testuali, la cui sintesi richiede la lettura e la comprensione delle
fonti nonché un lavoro intertestuale di costruzione e ricostruzione di dati per dare alla
luce un testo autonomo. La scrittura di sintesi si realizza nella rielaborazione dei dati
in forma testuale.

6.2. Il sesto principio


6.2.1. Oralità e scrittura
Le capacità ricettive produttive (Oralità e scrittura) interagiscono anche attraverso la
comunicazione orale. È importante che lo studente sia capace di passare da
formulazioni orali a formulazioni scritte e viceversa. L’interazione tra oralità e
scrittura è importante per la competenza comunicativa, per esercitare gli allievi nei
vari usi del parlato da quello mono logico, pianificato, a quello dialogico.

6.2.2. Ascolto attivo e annotazione scritta


Prendere appunti ascoltando è una circostanza frequente nei contesti di
apprendimento ed è un primo momento di interazione tra ricezione orale e traduzione
scritta delle informazioni. Questa attività non può essere paragonata al lavoro di un
registratore che ascolta le parole in maniera passiva, e invece il risultato di un ascolto
attivo che seleziona e rielabora dati e idee. Gestire contemporaneamente la
comprensione di ciò che si sta ascoltando e l’annotazione scritta dei dati è una
procedura complessa. Il parlante dunque dovrebbe aiutare l’ascoltatore con delle
33
iniziali indicazioni sul tema di cui si parlerà, segnando i punti più rilevanti tramite
un’intonazione diversa o tramite una riformulazione parafrastica nonché tramite la
ripetizione di alcuni concetti.

6.2.3 L’interazione verbale in classe


L’attività che maggiormente si svolge in classe e sicuramente l’ascolto. Le due azioni
principali realizzati in classe sono infatti la spiegazione e l’interrogazione, situazioni
nelle quali si ascolta il docente o l’allievo interrogato. Ciò pone un problema:
 Quante occasioni hanno gli allievi di allenarsi nelle diverse forme del
parlato, da quello monologico pianificato alle diverse forme dialogiche?
Per allenarsi sui diversi usi del parlato servono altrettanti schemi diversi che offrono
agli allievi situazioni diverse in base al numero e alle relazioni di ruolo dei
partecipanti alla comunicazione, in base alla gestione dei turni della parola, agli scopi
e alle strategie del discorso. Si possono prevedere, ad esempio, contesti di
informazioni diverse, nei quali la classe o gruppi di allievi confrontano diversi
documenti relativi ad un argomento di studio per poi raccogliere una sintesi scritta
all’interno della quale ci sono i dati raccolti e selezionati. Lo scopo principale di
questa attività è quella di realizzare un discorso costruito “a più mani”, secondo le
dinamiche del confronto orale, ma con fase di pianificazione tipiche della scrittura,
usando due caratteristiche tipiche rispettivamente dello scritto e dell’orale: autonomia
e correggibilità/ presenza di interlocutori e feedback. Un altro esempio potrebbe
essere quello di proporre un tema e dare vita ad un dibattito tra coloro che sono
favorevoli e coloro che invece sono sfavorevoli adesso. In questo caso entrano in
gioco le capacità di ogni studente di fornire le proprie giustificazioni e spiegazioni
cercando di dimostrare la correttezza della propria tesi rispetto alla tesi proposta dagli
altri compagni.

6.2.4. La classe come comunità di apprendimento


La comunità di apprendimento è uno spazio all’interno del quale insegnamento e
apprendimento si realizzano in una varietà di situazioni, viene inclusa non solo la
didattica frontale e il lavoro individuale, ma anche e soprattutto l’apprendimento
cooperativo, lavori di gruppo durante i quali l’insegnante osserva, interviene e
controlla il lavoro degli allievi, le loro modalità di interazione comunicativa, la
preparazione di ogni allievo. La classe intesa in questo modo è un ambiente di lavoro
in cui tutti gli allievi lavorano insieme svolgendo compiti diversi. È uno spazio
34
all’interno del quale l’interazione verbale si realizza sia in senso monologico che
dialogico. Il lavoro non ha soltanto uno scopo valutativo, ma diventa un’occasione
per incuriosire e motivare i ragazzi, per esplorare, per imparare a relazionarsi con gli
altri, per dare l’opportunità ad ognuno di loro di condividere i propri dubbi,
incertezze, capacità.
7. Il settimo principio: sviluppare gli usi informali e formali della lingua
Il settimo principio si basa sul fatto che gli allievi devono esplorare e conoscere le
varie modalità d’uso della lingua orale e scritta.
Sul versante dell’oralità, gli allievi devono imparare ad osservare la lingua usata a
casa e quella usata a scuola per imparare a distinguere le forme linguistiche usate per
parlare con gli amici e quelle usate con persone che non si conoscono. Gli allievi
devono acquisire, tramite l’esperienza, la capacità di saper scegliere le forme
adeguate alle specifiche situazioni, devono sviluppare capacità di controllo che
permettono loro di usare la lingua nelle diverse modalità come quelle locali,
colloquiali, immediate, informali, formali.
Sul versante della scrittura, gli allievi devono imparare a capire i testi d’uso
quotidiano e i testi di studio delle diverse discipline, testi di invenzione e testi scritti
per essere letti a voce o recitati. All’interno di questi testi, gli allievi devono
osservare il lessico, la sintassi, la struttura per imparare poi, scrivendo, a scegliere le
parole, le frasi, la struttura da dare al proprio testo.

8. L’ottavo principio: conoscenza e uso dei modi istituzionalizzati d’uso della


lingua comune
I modi istituzionalizzati d’uso della lingua comune sono le varietà linguistiche
particolari: quelle legate a specifici settori della conoscenza (il diritto, la storia, la
geografia, la fisica, la chimica). Generalmente si parla in questo caso di lingue o
linguaggi speciali.
Insegnare linguaggi speciali e compito degli insegnanti di matematica, scienze, fisica,
chimica, ma l’insegnante di italiano può fornire ai ragazzi gli strumenti di base per
accrescere le capacità di capire ed usare i linguaggi specifici.
I ragazzi devono perseguire i seguenti obiettivi:
 Sviluppo delle competenze lessicali, includendo sempre più parole chiave
delle discipline;
 Sviluppare la capacità di passare dalle forme orali spontanee a forme parlate
pianificate, al fine di elaborare temi coerenti, eliminare le ridondanze proprie
della forma orale, gestire gli elementi morfosintattici;
35
 Sviluppare la capacità di usare connettivi che indicano le relazioni logiche
(causa, condizione, ecc.);
 Sviluppare la capacità di ricorrere a strategie di lettura diverse in base allo
scopo della lettura.
Si tratta di competenze trasversali necessarie per affrontare lo studio delle discipline
non linguistiche. I docenti di tali discipline concorrono ugualmente all’educazione
linguistica degli allievi dal momento che si occupano di insegnare il linguaggio della
loro disciplina (terminologia, generi di discorso orali e scritti, operazioni linguistico-
cognitive che si attivano per capire e rielaborare i contenuti della disciplina).
A tal riguardo, è importante che i vari insegnanti collaborino con l’insegnante di
italiano anche se spesso ciò non è semplice.
Il principio 8 si sofferma anche sull’analisi dei linguaggi letterari e poetici
considerandoli come testi ineludibili dell’educazione linguistica. La lingua letteraria è
presente fin dai primi anni scolastici e persiste lungo tutto il percorso. Educazione
linguistica e educazione letteraria si fondono: la scuola primaria insegna a leggere
proponendo dei testi non letterari e testi letterari come i racconti, le poesie, le fiabe, le
favole che si alternano testi funzionali come gli avvisi, le liste della spesa, le ricette, i
fumetti, il teatro dei burattini. Nella scuola secondaria invece leggono racconti,
romanzi, poesie e si riflette sul lessico, sulle forme sintattiche, sulle caratteristiche
strutturali del testo; si recitano scene di testi teatrali sperimentando la varietà di
registro.
I testi letterari offrono la possibilità di potenziare l’abilità di scrittura e la sensibilità
linguistica degli allievi.
Secondo Cristina Lavinio l’educazione letteraria fa parte dell’educazione linguistica e
viceversa dato che per apprezzare i testi letterari occorre aver sviluppato capacità
generali di lettura, ma a loro volta i testi letterari sono utili a potenziare le capacità
linguistiche degli allievi.

9. Il nono principio: sviluppare la riflessività


9.1 La funzione metalinguistica
La capacità metalinguistica riflessiva è la capacità di riflettere sulla lingua fondata
sulla proprietà del linguaggio verbale di usare Le parole per parlare delle parole.
Essa si esprime tramite la formulazione di domande come: “che cos’è questo?”, dove
36
‘questo’ è sempre un elemento della frase; oppure ponendo l’attenzione al
funzionamento della lingua, alle norme di occorrenza degli elementi linguistici.
9.2 La gradualità del curricolo di riflessione linguistica
Tullio De Mauro ha più volte sottolineato l’importanza della gradualità del curricolo
di riflessione linguistica in cui la complessità dei contenuti crescesse via via nei gradi
superiori e universitari e non fosse invece prevalentemente a carico dei primi gradi di
istruzione. Risulta quindi essere poco opportuno un approccio precoce ad argomenti
complessi in rapporto all’età degli allievi, magari anche con delle semplificazioni
dannose per gli apprendimenti successivi e anche poco efficace dal momento che si
riprodurranno ripetutamente, nei vari gradi di istruzione, stessi contenuti con le stesse
modalità.
Riutilizzare invece, in nuovi e diversi contesti di apprendimento argomenti già
analizzati in precedenza per ampliare le conoscenze o fare osservazioni più avanzate,
servirà ad implementare lo sviluppo di nuovi nuclei concettuali. E’ dunque necessario
un approccio flessibile analizzando i vari fenomeni didattici da più punti di vista, in
vari contesti e soprattutto nelle diverse discipline.
9.3 La riflessione nel primo ciclo di istruzione
I bambini ancor prima di entrare a scuola hanno già fatto una certa esperienza per
quanto riguarda l’uso delle parole.
Di solito il loro linguaggio si basa su alcune forme spontanee di riflessione che essi
sviluppano per intendere e farsi intendere dagli altri, ma anche per ragionare sulle
espressioni altrui. Inizialmente ogni bambino inizia con un umile ripetizione di ciò
che ascolta. Successivamente emerge la capacità di combinazione che permetterà al
bambino di inserire una parola o un’espressione nota in una frase e infine comparirà
la più alta fra le capacità di linguaggio, ovvero la creatività che gli permetterà di
formulare frasi e pensieri tramite il materiale linguistico appreso. Ancor prima di
imparare a scrivere o a leggere, i bambini intuiscono che le parole sono composte da
lettere, ma non sanno ancora chiamare queste unità minime, riescono a cogliere
somiglianze e differenze fra parole, la possibilità creativa del codice che stanno
apprendendo.
I bambini però, se inseriti in un ambiente familiare o scolastico che li segue
quotidianamente, riescono ad apprendere con più facilità le attività di letto scrittura e
tutto ciò si realizza senza aver appreso nel dettaglio le relazioni morfologiche,
sintattiche, lessicali della lingua. Dunque bambini parlando e ascoltando a prendono
la lingua. Partendo da queste conoscenze, l’insegnante in classe può anche stimolare
l’apprendimento di nuove forme linguistiche e potenziare le abilità lungo il percorso
del primo ciclo.
37
L’esplorazione della lingua però non è possibile senza alcuni elementi basilari di
grammatica esplicita. Se nei primi anni di scuola primaria ci si basa molto sulla
grammatica vissuta, quella appresa in maniera spontanea, nel secondo biennio della
scuola primaria bisogna fornire la conoscenza di alcuni concetti come nome, verbo,
articolo, frasi, singolare e plurale per parlare con una maggiore precisione.

9.4. E nell’istruzione secondaria


Nel primo e nel secondo grado dell’istruzione secondaria la riflessione linguistica si
intensifica potenziando e ricontestualizzando categorie di descrizione, introducendo
nuove categorie di operazioni di analisi e di trasformazione di strutture linguistiche
sempre più complesse. Ad esempio, per quanto riguarda le categorie sintattiche, si
porrà l’attenzione ai diversi tipi di frase e alla loro gerarchia soffermandosi sulle
relazioni di reggenza, subordinazione e coordinazione. Si chiederà ai ragazzi di
passare da subordinate esplicite a implicite e viceversa, di passare dal discorso diretto
a quello indiretto e così via. Si chiederà ai ragazzi di sviluppare abilità di
trasformazione delle informazioni scritte e orali secondo i vari usi funzionali.

10. Il decimo principio: sviluppare il senso della funzionalità delle diverse forme
linguistiche note e ignote
Il 10º principio si basa sul fatto che la scuola deve garantire lo sviluppo delle capacità
necessarie per utilizzare la lingua in tutte le sue funzioni e forme.
Per poter comunicare tramite il parlato lo scritto, l’allievo deve tener conto dei
rapporti con l’interlocutore, del momento, del luogo, dello scopo; per capire discorsi
e testi, deve possedere un buon repertorio lessicale, saper riconoscere i vari tipi di
frasi e stili; deve sviluppare la consapevolezza del valore degli strumenti linguistici
che conosce.
Questo principio rifiuta la pedagogia del passato, imitativa, prescrittiva ed esclusiva,
che privilegiava l’addestramento mono linguistico, imponeva di seguire un’unica
norma e condannava gli errori.
La nuova pedagogia linguistica invece è attenta alle diverse forme di scrittura e
oralità, agli usi colloquiali e dialetti, a quelli poco familiari e più formali; libera
l’allievo dalla paura di sbagliare insegnandogli ad esprimersi in classe e fuori, tra i
suoi pari e con gli adulti, nei vari contesti.

38
TESI IX
Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
1. Un precedente d’autore
Il tema della formazione dei docenti è molto antico quanto attuale.
In relazione a tale tema si è espresso Giuseppe Lombardo Radice nelle sue “Lezioni
di didattica” suggerendo il modo per parlare di formazione degli insegnati. Per
Radice bisogna concentrarsi sui contenuti e non sulle posizioni ideologiche e
speculative. La centralità del tema deve essere la cultura con la quale si ha a che fare
durante tutto il corso della vita. Radice traccia il percorso da compiere: ciò che serve
non sono regole pedagogiche o materiali preconfezionati, ma approfondimenti
culturali che ampliano il sapere e la possibilità di nuove interpretazioni. La
formazione iniziale degli insegnanti deve basarsi su un sapere disciplinare che viene
analizzato e valutato alla luce di discipline come la psicologia dello sviluppo, la
pedagogia o la didattica. Parallelamente lo stesso contenuto va riconsiderato al fine di
adattarlo all’apprendimento disciplinare e va poi valutato per proporlo agli studenti.

2. Corsi e percorsi
2.1. Educazione linguistica per tutti
Nella formazione dei docenti l’educazione linguistica deve assumere un ruolo
centrale. Essa si impone come una necessità per la specie umana dal momento che la
lingua è la chiave d’accesso alla conoscenza, all’identificazione e affermazione del
sé.

2.2. Oltre la logica degli steccati


La formazione dei docenti deve essere caratterizzata dalla trasversalità.
La trasversalità è una caratteristica propria della matematica e della linguistica.
Soffermiamoci sul versante linguistico: la lingua favorisce in generale
l’apprendimento di altre discipline in quanto queste sono codificate in lingua. Tutte le
materie, infatti si servono della lingua per trasmettere i propri contenuti.
Questa caratteristica della trasversalità carica il docente di italiano di una serie di
responsabilità nei confronti dei colleghi di altre discipline, i quali spesso lamentano
una esigua conoscenza da parte degli allievi. L’educazione linguistica però ha
cercato di richiamare tutti i docenti al compito di preoccuparsi dello sviluppo delle
capacità di ricezione e produzione dei ragazzi nelle diverse modalità espressive di cui
39
ogni disciplina è portatrice. Bisogna quindi abbattere gli “steccati”, tutte le discipline
concorrono alla formazione e all’istruzione.

2. I contenuti della formazione linguistica


Per formare un ottimo docente non basta la sola tecnica o un sapere che poi non
riesce ad essere trasmesso ai ragazzi.
Per il GISCEL bisogna leggere le Dieci tesi per comprendere nel complesso la
formazione articolata di cui devono essere forniti i docenti. Le Dieci tesi sono ricche
di elenchi puntati e questo potrebbe nuocere alla ricostruzione dell’intelaiatura teorica
che sorregge l’intero testo. Gli elenchi puntati però sono più immediati rispetto ad
una presentazione estesa e continua.
Tullio De Mauro, per quanto riguarda la grammatica, ha osservato che un buon
insegnante deve sapere tanta di quella grammatica e fave sapersi destreggiare bene tra
i buoni dizionari della lingua italiana, da poter far passare lo studente da livelli
elementari a livelli sempre più complessi.

3.1. La prospettiva semiotica


Al centro delle Dieci tesi c’è il linguaggio verbale. Esso però non è l’unica forma di
comunicazione in quanto si parla anche di semiotica riferendosi alla capacità umana
di produrre codici, la cui peculiarità consiste tanto nella varietà di forme delle
espressioni quanto nella configurazione dei contenuti.
Le lingue che la specie umana adotta godono della proprietà metalinguistica del
codice per parlare del codice stesso (funzione metalinguistica riflessiva). Tale
proprietà è specifica delle lingue, infatti la metalinguisticità riflessiva separa le lingue
da tutti gli altri codici e permette di indagare e analizzare tutte le semiotiche
valutandone caratteristiche, potenzialità e limiti.
Gli insegnanti, a tal riguardo, devono essere consapevoli delle varie forme del
comunicare in uso. La lingua non è l’unica forma di codificazione di cui le discipline
si servono: rappresentazioni simboliche, codificazioni numeriche, note musicali.
Di ogni particolarità di questi codici sono consapevoli gli specialisti delle discipline, i
soli che hanno le competenze adatte per comprenderli e trasmetterli.

40
3.2. Tratti trasversali unificanti
La comunicazione rappresenta uno dei tanti territori comuni tra le discipline di
ambito diverso.
Per comunicare, gli studenti devono ascoltare, individuare elementi portatori di
informazione e controllare i processi di comprensione.
La comprensione è legata ai concetti di:
 Leggibilità
 Comprensibilità
Per leggibilità si intende il controllo delle difficoltà che un testo offre ai suoi lettori, è
un dato oggettivo; per comprensibilità si intende un dato soggettivo che si basa
sull’esperienza, sulla conoscenza, sull’istruzione. Pur con lo stesso livello di
leggibilità, un testo può risultare o poco o molto comprensibile a lettori diversi.
Spesso la comprensione di un testo, scritto o orale, è anche legata all’aspetto
fisiologico, ovvero al coinvolgimento emotivo o intellettuale di chi ascolta o legge
con chi parla o scrive.
Un altro punto di condivisione tra discipline riguarda lo sviluppo delle abilità
linguistiche.
Queste sono connesse alle abilità linguistiche. Un esempio è il fatto che l’accesso al
sapere disciplinare avviene attraverso testi scritti che però non sono solo i manuali
scolastici, ma anche riviste, enciclopedie, la rete. Inoltre non tutto il sapere lo si
ricava attraverso la capacità di leggere e comprendere anche se entrambe le attività
sono essenziali per una conoscenza non superficiale.
In conclusione possiamo dire che leggere, scrivere, ascoltare, parlare sono al tempo
stesso obiettivi del docente di lingua e di ogni altro insegnante che attraverso queste
quattro abilità trasmette un sapere specifico agli studenti. Dunque ogni docente è
corresponsabile, per la parte di sua competenza, nell’insegnamento e apprendimento
di discorsi e testi nelle diverse abilità.

3.3. Tratti specifici per gli insegnamenti linguistici


Un altro tratto significativo che l’educazione linguistica conferisce ai docenti è
l’acquisizione della consapevolezza dell’esistenza di un plurilinguismo in Italia e
all’estero. Attualmente in Italia si trovano a convivere idiomi diversi: i dialetti
41
italiani, derivanti da un ramo evolutivo del latino; idiomi che invece derivano
direttamente dal latino come il sardo, il friulano; lingue di minoranze legate a piccoli
gruppi immigrati in Italia.
L’educazione linguistica però individua all’interno di queste variazioni linguistiche
dei tratti costitutivi del linguaggio. In questa configurazione plurale di idiomi e
varietà, la nozione di spazio linguistico aiuta a tracciare le coordinate utili per un
insegnamento di un apprendimento consapevole. Tullio de Mauro in “Guida all’uso
delle parole” definisce lo spazio linguistico tramite tre parametri:
1. Il parametro della maggiore o minore informalità verso la minore o maggiore
formalità;
2. Il parametro della maggiore o minore idiolettalità verso la maggiore o minore
universalità;
3. Il parametro della minore o maggiore consistenza della sostanza adoperata per dare
corpo al significante.
Lo spazio linguistico permette a ciascun individuo di sapersi orientare muovere verso
gli altri parlanti con sicurezza gestendo idiomi, lingue e mezzi. Permette a tutti di
comprendere le produzioni altrui e di progettarne di proprie.

4. Aprirsi alla discussione


Ogni docente deve avere buone capacità di trasporre il sapere stesso agli altri. Questa
è un’arte difficile in cui talora occorre che l’insegnante stesso si faccia da parte per
assegnare all’allievo una posizione centrale; una posizione all’interno della quale
l’alunno è chiamato ad imparare lavorando ed interagendo con i compagni
rispettando la professionalità del docente.

TESI X
CONCLUSIONE
1. Le sfide dei sistemi educativi

L’OCSE afferma che la qualità di un sistema educativo dipende dalla qualità


dei suoi insegnanti. Quest’ultima però non può compensare le carenze di
qualità delle politiche che regolano l’ambiente scolastico.
Da molti anni l’OCSE effettua ricerche sulle relazioni esistenti tra i diversi
aspetti legati alla funzione del docente, l’organizzazione della scuola in cui gli

42
insegnanti lavorano e il rendimento scolastico degli studenti. I dati ottenuti
consentono di affermare che sistemi scolastici di maggior successo, efficaci, e
qui ed inclusive, sono costruiti su fondamenta ben solite: sulle buone politiche
per gli insegnanti.

2. Una questione politica


Fa un certo effetto leggere ai nostri giorni quanto scrive l’OCSE a proposito
del fatto che il corpo docente di qualità è il risultato di scelte politiche. Ciò
colpisce perché già più di quarant’anni fa, la formazione degli insegnanti
veniva considerata come una delle priorità dei politici. Nonostante tutto ciò che
è stato spiegato nelle 10 tesi, all’interno delle quali si chiedeva agli insegnanti
di realizzare adeguati centri locali e regionali di formazione e informazione
linguistica ed educativa, attualmente vediamo che l’incidenza di queste tesi è
stata limitata. Le ragioni di questi limiti però non vanno ricercati all’interno del
corpo docente, ma piuttosto bisogna chiedersi cosa abbia fatto l’università per
la loro formazione, che cosa abbia fatto il ministero dell’istruzione e dove
siano questi centri locali e regionali che dovevano sostenere il cambiamento
richiesto.

3. Le trasformazioni della professione di insegnante


I profondi cambiamenti sul piano politico, sociale, demografico, economico e
culturale obbligano i sistemi scolastici a rivedere la propria funzione. Ogni
discorso sulla scuola è inevitabilmente collegato al processo di
globalizzazione, multiculturalità e plurietnicità.
Oggi più che mai si rende indispensabile un ripensamento del ruolo degli
insegnanti e di conseguenza una revisione delle modalità relative sia la loro
retribuzione, sia il riconoscimento del loro status sociale. Agli insegnanti si
chiede di fare in modo che gli allievi si impadroniscono degli strumenti per
apprendere ad apprendere, di farsi che gli studenti acquistino non soltanto
competenze disciplinari ma altresì competenze trasversali come lo sviluppo del
pensiero critico, la capacità di cooperare, di risolvere i problemi e di
partecipare attivamente alla vita politica e sociale.
Soddisfare queste aspettative è possibile solo se gli insegnanti stessi
possiedono conoscenze e competenze professionali di alto livello. Attualmente
l’insegnante deve far fronte anche ad una nuova difficoltà in classe: la presenza
di bambini e ragazzi stranieri che porta a nuove disuguaglianze che si
aggiungono a quelle relative ai ragazzi con bisogni educativi speciali. L’inoltre
anche l’uso sempre più frequente delle nuove tecnologie nella comunicazione
pubblica e privata richiede nuovi compiti per gli insegnanti: insegnare i ragazzi
ad usare la tecnologia in maniera intelligente.

43
4. Fare buoni investimenti
Italia destina solo il 3,6% del suo Pil all’istruzione. Tullio de Mauro affermava
che per migliorare il sistema scolastico non conta la quantità di denaro che
viene investita, ma la percentuale che questa quantità a nella spesa pubblica di
un paese. È proprio quest’ultima a dirci qual è l’impegno di un governo e di un
paese nella scuola. Se uno Stato investe tanto nella spesa pubblica, ma poco nei
sistemi scolastici è poco propenso a migliorarli.
Dei cambiamenti a riguardo ci sono stati dopo la promulgazione della legge
107 del 2015 che arreso obbligatoria, permanente e strutturale la formazione.
In attuazione di questa legge è stato avviato il piano nazionale formazione dei
docenti (PNFD) che ha destinato 40 milioni di euro all’anno per la formazione
scolastica. Inoltre, sono stati assegnati ai singoli docenti 500 € annui con la
carta docente.

5. Richieste di formazione linguistica


I risultati di una recente indagine condotta dal GISCEL tra i docenti italiani di
scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, consentono di trarre alcune
considerazioni conclusive.
I docenti richiedono che:
 Il quadro normativo della formazione universitaria venga rivisto sia per
il numero di crediti sia per la tipologia di settori disciplinari;
 Insegnamenti come linguistica generale glottologia di ventino parte
essenziale della preparazione universitaria;
 Ampliare l’insegnamento con discipline teoriche e applicative.
I docenti sentono la necessità di trasporre i contenuti appresi teoricamente in
procedimenti applicativi in grado di generare un apprendimento specifico.
Inoltre durante l’indagine è stato chiesto ai docenti se conoscessero le 10 tesi:
il 70% ha dichiarato di non conoscerle.

44

Potrebbero piacerti anche