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INTRODUZIONE
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Tullio de Mauro oltre ad insegnarci a considerare la lingua come una realtà
complessa capace di riflettere una società e come essa cambi nel tempo, ci ha
insegnato a considerare i fatti linguistici nella loro storicità tramite ambiti del sapere
diversi: per capire linguaggio e lingua occorre tenere conto di saperi diversi.
UNA SCUOLA NUOVA CHE NASCE
Negli anni 70 del 900 si assiste ad un forte desiderio di rinnovamento della scuola sia
dal punto di vista politico che sociale. Tale desiderio è attestato da due documenti:
Il programma del partito comunista italiano del 7 maggio 1972;
Il Progetto ‘80, ovvero documento preliminare del programma economico
nazionale preparato dal ministero del bilancio.
Secondo il partito comunista italiano la scuola italiana aveva bisogno di un
rinnovamento proponendo una scuola materna pubblica per i bambini dai tre ai sei
anni con l’istituzione di 30.000 scuole per l’infanzia finanziate dallo stato ma gestite
dai comuni. Inoltre proponeva la scuola dell’obbligo gratuita e l’abolizione delle
classi differenziali in modo tale da non emarginare gli allievi più sfavoriti. Infine si
puntava all’unione tra lo studio e il mondo del lavoro unendo la tecnica alla pratica.
Secondo il Progetto ’80 invece, la scuola doveva sempre essere aperta e
caratterizzata da un alto grado di libertà per gli individui che ne facevano parte e da
un alto grado di partecipazione. Inoltre si proponeva di anticipare a cinque anni di
età l’inizio della scuola elementare e prolungare l’obbligo scolastico di due anni. Un
altro principio è quello di estendere l’attività formativa a tutte le età durante tutto il
corso della vita creando oltre ai sistemi scolastici anche sistemi extrascolastici.
Non è mai troppo tardi per apprendere e studiare.
In entrambe le proposte c’è al centro l’esigenza di un cambiamento scolastico e si
punta a garantire a tutti gli studenti pari opportunità a prescindere dallo stato sociale.
Garantire il diritto allo studio e formare una scuola democratica!
Questo clima di rinnovamento e la tensione che esso provocò nella società italiana di
quegli anni, provocò Dieci tesi la costruzione di un’educazione linguistica
democratica, ovvero un’educazione che assicura a tutti una possibilità sempre più
ampia di usi linguistici, ma soprattutto che sia utile a formare persone adatte alla
nuova realtà sociale e politica. Si tratta di un vero e proprio progetto rivolto alla
‘nuova scuola che nasce’ proponendo tesi che mettono fine a quella pedagogia
linguistica incapace di garantire una buona formazione dell’individuo.
Le forze politiche, la scuola e la società nutrono ancora questi intenti
democratici?
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Secondo il Democracy Index 2018 l’Italia è tra i paesi definiti ‘democrazie
imperfette’ passando dal 21esimo posto del 2017 al 33esimo.
L’Italia di base è un paese democratico, ma in realtà è attraversato da una disillusione
interna sempre più profonda. La società italiana, infatti, è troppo accomodante e non
produce tensioni positive e produttive. In pratica la vita politica si basa sempre più su
scelte non democratiche e da manifestazioni linguistiche che non stimolano il
confronto e la discussione. Inoltre, secondo il Rapporto sul Benessere Equo e
Sostenibile del 2018 si evince come la maggior parte della popolazione italiana ha più
fiducia nelle forze dell’ordine italiane piuttosto che nel sistema giudiziario e politico.
Ciò dimostra che qualcosa non funziona, ma soprattutto rappresenta un
campanello d’allarme sintomo di un aggravamento della situazione democratica. Un
esempio di questa riduzione della democrazia può essere rappresentato anche dai
social, dalla televisione, dai quotidiani che bombardano il lettore o lo spettatore con
idee e pensieri lasciando poco spazio ad un’interpretazione personale e alla
formazione di un pensiero critico e autonomo. Risulta quindi di primaria importanza
favorire lo sviluppo di capacità di valutazione critiche, di consolidare le proprie
opinioni e di elaborarne di nuove. In quest’ottica Tullio De Mauro delineava
l’urgenza di un’undicesima tesi, ovvero dato che le condizioni dell’informazione
odierna chiedono che la scuola sappia educare gli studenti ad un controllo critico del
linguaggio, la sfida più difficile all’interno di questa società sempre più mobile e
digitale è quella di sviluppare competenze in grado di fornire strumenti adeguati per
l’elaborazione di un pensiero critico.
Un’istantanea della scuola italiana
A questo disorientamento democratico della società si contrappone l’azione ed il
lavoro della scuola italiana. I dati dell’ISTAT la scuola italiana è costituita da oltre 8
milioni di persone tra docenti studenti e dirigenti ai quali se aggiungiamo i docenti
universitari, i ricercatori si arriva ad un numero complessivo di oltre 10 milioni. Tale
numero ci dimostra che la popolazione scolastica è superiore alla popolazione
complessiva di tutta la Lombardia nonché delle forze di sicurezza e delle forze
armate.
Secondo Piero Calamandrei la scuola è come quegli organi che nell’organismo
umano hanno la funzione di creare il sangue che rinnova quotidianamente tutti gli
altri organi e che porta la rinnovazione e la vita. L’esempio ci permette di cogliere il
lavoro incessante che giorno per giorno viene svolto dai docenti. Dunque la scuola
e un organo vitale per la vita democratica del nostro paese.
Tullio de Mauro afferma che la scuola pubblica italiana ha tirato fuori il paese dal
sottosviluppo culturale tant’è vero che se nel 1950 i livelli di scolarità erano in media
di tre anni di scuola a testa attualmente ci ha portati a 12 anni medi di scuola a testa
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entrando così nel gruppo dei paesi sviluppati. Tale considerazione fa emergere quanto
sia stato prezioso il contributo della scuola e quindi dei docenti alla costruzione di
una società democratica.
Fra problemi fisiologici e patologie
All’interno della scuola ovviamente non mancano i problemi: alcuni di questi sono
fisiologici altri invece diventano addirittura patologici.
Un esempio di problemi fisiologici è quando un docente ritiene che il proprio
metodo di insegnamento sia una legittima rivendicazione della libertà. Inoltre
fisiologico può anche essere considerato l’atteggiamento di quei docenti che
colgono la loro inadeguatezza nell’affrontare o nel non affrontare le sfide poste
dalla società alla scuola.
Un esempio di problemi patologici e quando un docente non si rende conto che
il proprio metodo di insegnamento a prescindere dal fatto che sia tradizionale o
innovativo, talvolta può non produrre alla fine esiti positivi per quanto riguarda
la formazione di giovani studenti responsabili e in grado di inserirsi nella
società. Inoltre patologico e anche l’atteggiamento di quegli insegnanti che
accusano l’ordine scolastico inferiore o superiore per la risoluzione di un
problema appellandosi al ‘non è compito mio’.
I dati dell’ISTAT segnalano le più urgenti difficoltà sociali attuali come l’uscita
precoce dal sistema scolastico con la sola licenza media o la presenza in crescita di
giovani fra i quindici e i trent’anni che non lavorano e non studiano.
A questo punto ci chiediamo come si può intervenire per evitare che questi problemi
diventino patologici?
1. Una prima proposta potrebbe essere quella di prestare attenzione alla difficoltà
di includere quei giovani che escono dal sistema scolastico prematuramente e
interrogarsi se sul fatto che magari le loro difficoltà sono simili a quelle che si
incontrano nell’includere quei due o tre alunni, presenti di solito in classe, che
sono indifferenti ad ogni richiamo cognitivo da parte del docente.
2. Una seconda proposta potrebbe essere la realizzazione di piani operativi
nazionali.
3. Una terza proposta invece potrebbe essere quella di pensare e poi sperimentare
sul campo nuove tecniche e strategie di insegnamento più motivanti.
4. Una quarta proposta è quella di riflettere sulle istanze di democrazia prioritarie
in modo tale da potenziarle, insistere ovvero su tutti quei metodi che rendono
l’insegnamento e l’apprendimento più democratico.
5. Una quinta proposta è quella l’interrogarsi sulla nozione di cultura alla quale si
fa riferimento e si intende trasmettere allo studente.
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6. L’ultima proposta e quella di esaminare quale educazione linguistica risponda
meglio ai bisogni linguistici e comunicativi degli studenti, ma soprattutto le
caratteristiche principali richieste dalla società per una partecipazione sempre
più attiva alla vita democratica del paese.
La centralità del linguaggio verbale
Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale,
esso va inteso come la capacità di comunicare e può avere tre usi principali:
1. Uso comunicativo Ci permette di capire gli altri e di farci capire;
2. Uso cognitivo Ordinare e sottoporre ad analisi l’esperienza;
3. Uso emotivo e argomentativo Intervenire a trasformare l’esperienza stessa.
Lo sviluppo delle capacità linguistiche affonda le sue radici nello sviluppo di tutto
l’essere umano a partire dall’età infantile fino all’età adulta ed è strettamente
connesso alla buona alimentazione. Un bambino che vede poco i suoi genitori o
fratelli maggiori, poco inserito nella comunità e malnutrito inevitabilmente parlerà
leggerà e scriverà male.
Il linguaggio verbale consiste in capacità evidenti e capacità meno evidenti. Le
prime sono la capacità di produrre parole e frasi corrette sia nella forma orale sia
nella forma scritta, capacità di conversare, di interrogare e di rispondere, la capacità
di Leggere ad alta voce, recitare a memoria e così via. Le seconde sono la capacità di
dare un senso alle parole e alle frasi ascoltate o lette, la capacità di analizzare
interiormente Le parole usate in varie situazioni, la capacità di ampliare il proprio
patrimonio linguistico.
La pedagogia linguistica deve tener presenti entrambe le capacità prestando
attenzione al rapporto tra le capacità linguistiche prese nel loro insieme e lo sviluppo
fisico, affettivo, sociale dell’individuo in vista della formazione di un linguaggio
verbale.
La pedagogia linguistica è democratica se e solo se accoglie e realizza i principi
linguistici esposti in tesi come l’articolo 3 della Costituzione italiana che riconosce
l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di lingua e propone tale eguaglianza
come traguardo del lavoro della Repubblica. Ovvero è democratica se e solo se si
impegna a rispettare e tutelare tutte le varietà linguistiche! Tra i vari organi che
formano la Repubblica vi è la scuola che ha come obiettivo quello di garantire
un’istruzione democratica. La scuola però non è l’unica istituzione che deve garantire
una attivazione paritaria delle capacità linguistiche, essa deve essere affiancata dal
lavoro di centri di pubblica lettura e centri di recupero all’interno dei quali vi è una
grande rinnovazione delle tradizioni etnico-culturali e la maturazione di nuove
opportunità di partecipazione all’informazione. Per migliorare le capacità verbali c’è
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bisogno di un maggiore sforzo da parte di tutte le istituzioni che attivano la vita
culturale di massa ovvero quelle istituzioni che contribuiscono alla diffusione delle
informazioni all’interno della società contemporanea. La scuola potrebbe
rappresentare la spinta iniziale per queste istituzioni e rappresenta il luogo all’interno
del quale devono concentrarsi maggiormente questi sforzi.
La pedagogia linguistica tradizionale punta al rapido apprendimento da parte dei più
dotati di un soddisfacente grafismo e del possesso delle norme di ortografia italiana
(saper disegnare e scrivere), produzione scritta di pensieri e temi, classificazione
morfologica delle parti della frase (analisi grammaticale); Apprendimento
mnemonico di paradigmi verbali, analisi logica della frase; Capacità di esprimere
oralmente o per iscritto interpretazioni dei testi letterari. La pedagogia linguistica
tradizionale si è rivelata però inefficace tanto è vero che tutti coloro che sono passati
attraverso le classi che la adottavano non hanno acquisito buone capacità ortografiche
nonostante essa abbia puntato tutti i suoi sforzi proprio sull’ortografia. L’ossessione
per gli sbagli ortografici cominciava dalla prima elementare si prolungava per tutti gli
anni scolastici. La presenza di errori ortografici la si può notare anche nella scrittura
di persone colte, così come negli articoli di giornale spesso il linguaggio non brilla
per chiarezza, ma risulta complesso e oscuro. Questi periodi complicati dunque sono
il risultato della pedagogia linguistica tradizionale che dovrebbe cambiare il suo
metodo di insegnamento. Essa pecca non solo di inefficacia, ma anche per la
parzialità dei suoi scopi.
Analizziamo alcuni scopi:
La pedagogia linguistica tradizionale pretende di operare nella cosiddetta ‘ora
di italiano’ ignorando la necessità di coinvolgere tutte le materie e tutti gli
insegnanti. Essa bada soltanto alle capacità produttive scritte ignorando
quelle ricettive, ovvero ignorando la comprensione delle parole lette e scritte.
Si chiede ai ragazzi di imparare e scrivere parole, produrre frasi senza chiedere
loro di leggere, rileggere, udire e comprendere il significato vero e proprio di
una parola per poi poterla utilizzare.
Badando soltanto alle capacità produttive scritte, la pedagogia linguistica
tradizionale non tiene conto delle capacità di produzione orale che viene
sperimentata solamente nel momento dell’interrogazione. Non ponendo
attenzione alla capacità di organizzare un discorso orale significa non porre
attenzione alla conversazione, alla discussione, alla comprensione di parole e
nuove forme linguistiche. Questa caratteristica della pedagogia implica
soprattutto nella prima fascia elementare difficoltà nei rapporti con gli altri che
ricade anche su un apprendimento negativo.
Nella produzione scritta, la pedagogia linguistica tradizionale tende a
concentrarsi su un solo argomento Trascurando l’importanza di prendere
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buoni appunti virgola di schematizzare virgola di sintetizzare virgola di saper
scegliere un buon vocabolario adatto soprattutto all’argomento trattato e ai
destinatari.
La pedagogia linguistica tradizionale si basa molto sull’insegnamento
dell’analisi grammaticale e logica quindi sulle regole sintattiche. Vari
studiosi ricercatori di insegnanti concordano sul fatto che l’insegnamento
grammaticale deve tener conto della storia della lingua, ovvero di tutti quei
fenomeni che hanno provocato un cambiamento linguistico, delle relazioni tra
questo cambiamento e le vicende storico sociali, del rapporto tra le conoscenze
e le abitudini linguistiche della popolazione, dei fenomeni del senso del
significato, della strutturazione del vocabolario (semantica). Inoltre questo
forte insegnamento grammaticale tradizionale risulta essere inutile rispetto allo
scopo primario dell’educazione linguistica poiché la buona conoscenza della
grammatica non implica necessariamente uno sviluppo delle capacità
linguistiche. Pensare infatti che chi conosce bene la grammatica tradizionale la
utilizzerà nel modo corretto è come pensare che chi conosce bene l’autonomia
delle gambe corre più veloce. Lo studio della grammatica di tipo tradizionale e
anche basato su una lingua antiquata.
La pedagogia linguistica tradizionale trascura la realtà linguistica da cui
partono gli allievi quale quella colloquiale e dialettale. Non tiene conto dei
vari dialetti.
La pedagogia linguistica tradizionale ignora che ci sia un rapporto tra le
capacità verbali e quelle intuitive sensibili come la danza, il disegno, la
musica e quelle più complesse come la matematica.
In conclusione se la pedagogia linguistica tradizionale risulta essere inefficace e
parziale e d’altra parte funzionale per quanto riguarda gli allievi delle classi sociali
più colte ed agiate che ricevono fuori dalla scuola, nelle famiglie e nella vita del loro
ceto, tutto ciò che serve allo sviluppo delle loro capacità linguistiche. Risulta dunque
inefficace soltanto per gli allievi provenienti dalle classi popolari, operaie, contadine
a cui garantisce soltanto un’alfabetizzazione parziale.
Principi dell’educazione linguistica democratica
I principi dell’educazione linguistica democratica sono 10:
1. Sviluppo di capacità verbali in stretto rapporto con lo sviluppo psicomotorio.
2. Lo sviluppo e l’esercizio delle capacità linguistiche non vanno perseguiti come
fini a se stessi, ma utili per l’inserimento dell’individuo alla vita sociale ed
intellettualeLe capacità verbali sono propedeutiche all’attività di studio,
ricerca, discussione e produzione.
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3. Lo sviluppo delle capacità linguistiche deve partire dalle conoscenze
linguistiche di base, quelle familiari e ambientali dell’individuo in modo tale
da arricchire il patrimonio linguistico dell’allievo.
4. La scoperta delle diversità delle conoscenze linguistico-culturali personali,
familiari e ambientali è il punto di partenza per approfondire ed ampliare le
esperienze e le esplorazioni geografiche, sociali e storiche.
5. Sviluppare le capacità produttive e ricettive verificando il grado di
comprensione dei testi scritti stimolando le capacità di ampliare il vocabolario
personale.
6. Nello sviluppo di tali capacità produttive ricettive va prestata attenzione sia
all’aspetto orale che scritto esercitandosi anche su uno stesso argomento.
Dunque proposto un testo lo si analizza sia dal punto di vista orale che scritto.
7. Sviluppare buone capacità produttive tramite un linguaggio sia informale e
colloquiale sia formale.
8. Sviluppare la conoscenza e l’uso di modi istituzionalizzati d’uso della lingua
comune come il linguaggio giuridico, letterario o poetico.
9. Sviluppare una buona capacità di autodefinirsi auto dichiararsi e analizzarsi.
Questo compito inizia dalle classi elementari arricchendosi progressivamente
durante tutto il corso scolastico.
10.Sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile tipo di forma linguistica
che sia essa nota o ignota. La pedagogia tradizionale era esclusiva, ovvero
affermava ‘devi dire sempre e solo così. Il resto è errore’. La nuova educazione
linguistica invece afferma: ‘puoi dire così, e anche così e anche questo che
sembra un errore o una stranezza può dirsi e si dice’.
La nuova educazione linguistica richiede tante attenzioni e conoscenze sia da parte
degli alunni sia degli insegnanti. Quest’ultimo in particolare precedentemente
potevano accontentarsi di una conoscenza sommaria delle norme ortografiche del
libro di grammatica usato e delle varie metodologie. Seguire i principi
dell’educazione linguistica democratica invece comporta un salto di qualità e quantità
in fatto di conoscenze sul linguaggio educazione. Gli insegnanti futuri dovranno
avere un curriculum universitario e post universitario adeguato alle esigenze di una
società democratica, dovranno avere delle competenze che finora erano considerate
riservate agli specialisti.
TESI 1
La centralità del linguaggio verbale
La prima delle 10 tesi è quella che riguarda il linguaggio verbale.
La prima forma di ogni linguaggio verbale è certamente quella orale o parlata che si
acquisisce naturalmente e spontaneamente, ma ogni lingua può essere anche scritta
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quando si impara a scrivere. Ci sono però delle lingue mai scritte ma non per questo
meno degne di essere considerate “lingue”.
I sistemi di scrittura sono vari: i linguisti ad esempio usano l’alfabeto fonetico
internazionale per trascrivere le lingue in modo univoco sottraendole alle convenzioni
grafiche che sono sempre reperibili anche nel caso di lingue, come l’italiano, dalla
scrittura apparentemente più fonetica rispetto al lingue come l’inglese o il francese.
Inoltre non tutte le scritture sono alfabetiche, ovvero nate da una ricerca di
corrispondenza tra i singoli suoni e le lettere usate per rappresentarli: ci sono per
esempio scritture ideografiche che non rappresentano i suoni delle parole, ma sono in
un rapporto più diretto con il loro significato come per il giapponese o il cinese.
Ogni lingua verbale e un sistema di segni (o codice) fatto di parole e di regole da
combinare fra loro e di conseguenza strutturare frasi e testi sia in forma orale che in
forma scritta.
Il linguaggio verbale si distingue dagli altri tipi di linguaggi esistenti che spesso sono
artificiali, ovvero costruiti appositamente dall’uomo per comunicare. Il linguaggio
verbale invece si acquisisce spontaneamente in un arco di tempo piuttosto breve che
di solito va dai primi due annidi vita dei bambini che conoscono già molte parole e
sanno formare piccole frasi esprimendosi soprattutto con il linguaggio utilizzato nel
proprio ambiente familiare e sociale. Spontaneamente e abbastanza facilmente viene
anche appreso l’utilizzo di segni che accompagnano il linguaggio verbale e orale
come segni gestuali, mimici e prossemici appartenenti a linguaggi non verbali che
variano da una cultura di un’altra. Accanto alla lingua che si apprende nell’ambiente
familiare si possono conoscere lingue distanti dalla propria studiandole come
straniere o acquisendole come “seconde” come succede ai vari migranti del mondo
attuale. Tutto ciò è consentito dalla facoltà di linguaggio che Saussure considerava
come insita nella nostra mente. Per facoltà di linguaggio si intende tutti i vari tipi di
linguaggi verbali e non verbali che si possono acquisire, apprendere e costruire, senza
che la conoscenza dell’uno cancelli quella degli altri, ma che al contrario la
arricchiscono, potenziando e rendendo più flessibile la nostra mente. Vari studi
dimostrano che persone bilingue sono avvantaggiate dal punto di vista intellettuale e
che chi conosce molte lingue ne impara altre con più facilità e rapidità.
In questa prima tesi pur ribadendo la centralità del linguaggio verbale si pone
attenzione anche agli altri linguaggi. Il linguaggio verbale è al centro dei vari
linguaggi in quanto esso permette di parlare di tutto e persino di se stesso mentre
infatti non si può spiegare per esempio il linguaggio della logica con la logica stessa
né si può descrivere un dipinto utilizzando la pittura. Per spiegare il linguaggio logico
oh la pittura si deve necessariamente passare per la lingua e quindi si devono
utilizzare delle parole. Ogni singola parola invece può essere spiegata con la lingua
stessa come avviene ad esempio nel dizionari. Quando vogliamo spiegare tramite il
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linguaggio verbale qualcosa che appartiene al linguaggio artistico, logico o qualsiasi
tipo di linguaggio ovviamente qualcosa si perde sempre, ovvero si dice quasi la stessa
cosa ma mai la stessa cosa. Le parole non potranno mai esprimere ciò che è
espresso da un dipinto. Analogamente potremmo dire che neppure la migliore
parafrasi può essere considerata equivalente al testo poetico e pretendere di
sostituirne la lettura diretta. Il linguaggio verbale è però indispensabile per consentire
il transito da un linguaggio all’altro.
Le lingue verbali sono definite come codici a segni articolati capaci di esprimere un
numero infinito di significati. Tali significati nelle lingue sono parzialmente
sovrapponibili e dunque possiamo avere delle sinonimie che non sono prevedibili
come accade nel linguaggio del calcolo. Questa non prevedibilità non rappresenta
assolutamente un limite per il linguaggio verbale, anzi al contrario fonda proprio su
di essa la sua particolare creatività che permette alla lingua di trovare sempre il modo
di risolvere tutti i problemi di significazione creando nuove parole o aggiungendo
altri significati a parole preesistenti. Talvolta una lingua prende parole da altre lingue
lasciandole inalterate o adattandole morfologicamente.
Tullio de Mauro aveva dimostrato che un buon sviluppo del linguaggio verbale
richiede lo sviluppo di altre capacità espressive nei ragazzi come la danza il disegno e
la musica profondamente unite tra loro. Vari studi sul parlato e sull’oro avevano
messo in evidenza il fatto che la comunicazione non avviene soltanto tramite le
parole, ma si comunica anche con tutto ciò che le accompagna come gesti, mimica,
sguardi, postura. Nella scrittura stessa però si mescolano altri codici come le
emoticon, i colori, i caratteri e i vari espedienti grafici. Attualmente possiamo dire di
essere passati da una “scrittura secondaria” e digitale basata su email, chat, blog e
social network che mescola le carte, assorbe l’immediatezza e la rapidità linguistica
dell’oralità e, insieme, resta scrittura ma non è solo scrittura alfabetica, dato che
ricorre spesso a segni ideografici come appunto le emoticon. A scuola inoltre le
lezioni sono sempre più multimediali con l’utilizzo di slides, audiovisivi, LIM e
navigazione in rete. Gli stessi manuali scolastici sono sempre più misti ricchi di
immagini e didascalie, di tabelle e grafici, schede di approfondimento.
Un altro tipo di linguaggio analizzato nella prima tesi e il linguaggio specialistico. I
linguaggi specialistici sono delle varietà interne alla lingua stessa associate in genere
ad un registro distante da quello colloquiale della comunicazione ordinaria e
possedute da gruppi di parlanti esperti. Un esempio di questi linguaggi e quello
scientifico in particolar modo il linguaggio fisico, matematico e della linguistica.
Ciascuno di essi formato da un ricco apparato di termini poco noti e poco frequenti
nella lingua di tutti i giorni. I linguaggi specialistici, come quello verbale, sono
spesso commisti a linguaggi non verbali come ad esempio il linguaggio delle formule
chimiche, il linguaggio numerico, algebrico e geometrico in matematica, quello
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cartografico in geografia, quello di tabelle, diagrammi e aerogrammi. I linguaggi
specialistici uniscono parole tipiche del proprio linguaggio a simboli come numeri o
simboli degli elementi chimici.
La prima tesi insiste molto sul fatto che tutti gli insegnanti dovrebbero occuparsi
dello sviluppo delle capacità linguistiche degli allievi non solo quelli in italiano. Ogni
insegnante è insegnante della lingua specifica della sua disciplinaOgni insegnante
deve accrescere e sviluppare il linguaggio specialista della propria disciplina nei suoi
alunni tramite l’utilizzo del linguaggio verbale!
TESI DUE
Il radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale
del linguaggio verbale
La seconda tesi pone attenzione sul rapporto tra la dimensione socio culturale del
linguaggio verbale e quella biologica. Per anni la comunità scientifica si è interrogata
sulla questione: la lingua verbale è un prodotto di natura o di cultura?
Attualmente questa contrapposizione tra natura e cultura è superata dando per
scontato che entrambe contribuiscono alla formazione del linguaggio verbale. La
domanda che ci si pone è: quanto c’è di naturale di socio culturale nella nostra
capacità di parlare?
Per rispondere a questa domanda partiamo dal modo che utilizziamo per costruire
sillabe, parole, frasi e testi. Tutti i suoni che produciamo sono il prodotto del flusso
d’aria che esce dai polmoni e che viene modificato dal movimento di alcuni organi
come le labbra, i denti e la lingua. Quando respiriamo, immettiamo nel nostro
organismo aria che prendiamo dall’esterno, la stessa aria viene poi espulsa
compiendo un percorso inverso. E’ proprio in questo tragitto inverso che l’aria viene
trasformata in parole e frasi. Il processo di respirazione è del tutto inconsapevole e
automatico mentre quello dell’articolazione della parola o frase è controllato e
volontario sebbene gli organi coinvolti in entrambi i lavori siano gli stessi. Dove
finisce dunque la natura e dove comincia la cultura?
Ogni singolo movimento degli organi coinvolti è identico per tutti i membri della
specie umana così come è identico il modo con cui essi respirano ed ispirano. Un
italiano infatti articola e pronuncia la lettera ‘a’ come lo fa un eschimese, quello in
differiscono è l’uso che fanno di quello stesso elemento (‘a’). Questo passaggio dalla
dimensione concreta a quella astratta è la rappresentazione dell’equilibrio tra la
componente naturale e quella culturale delle nostre lingue. L’elemento è lo stesso,
ma cambia l’uso che se ne fa. Due suoni identici dal punto di vista articolatorio,
quindi fisico, possono essere diversi dal punto di vista culturale.
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Nelle lingue nessun suono ha valore da solo, acquisisce un senso solo se combinato
con altri suoni. Un esempio è il suono prodotto dal bacio, prodotto schioccando le
labbra. Il suo nome tecnico è click bilabiale. In italiano nessuna parola lo contiene
mentre in alcune lingue del Corno d’africa invece sì e dunque il click labiale serve a
distinguere significati. Il suono è identico mentre il suo valore socio-culturale
cambia.
Dunque il nostro corpo crea il materiale dal quale ricaviamo il significante delle
nostre lingue, cioè un ridotto insieme di suoni comuni a tutte le lingue dato che il
prodotto di un apparato fonatorio è identico per ogni individuo della specie. La
variazione dipende dall’ambiente dalla società e dalla cultura. Tale capacità di dare
un significato specifico ad un suono in base all’ambiente sociale e culturale non è una
attività automatica, ma si sviluppa nel momento in cui un neonato si colloca
all’interno di un contesto stimolante.
Il processo di acquisizione della lingua nativa è stato definito come una delle imprese
intellettuali più complesse che avviene attraverso meccanismi di imitazione. Un
neonato poco esposto a stimoli linguistici elaborati e quindi collocato in un contesto
culturalmente povero probabilmente svilupperà una competenza linguistica limitata.
Un bambino di questo tipo crescerà in un ambiente culturale molto basso
prediligendo trasmissioni televisive ‘popolari’, sarà poco abituato alla lettura e alla
scrittura formale, avrà rapporti solamente con modelli culturali del suo stesso livello e
faticherà ad adattarsi in un sistema culturalmente elevato. Lo stesso vale anche per
l’ambiente scolastico: un ambiente pulito, accogliente e stimolante agisce
positivamente sulle capacità linguistiche dello studente. Per la formazione dei ragazzi
è anche importante il gruppo di amici che si frequenta. Le capacità linguistiche di
ogni ragazzo rappresentano una sorta di identikit personale!
La presenza all’interno delle classi di bambini stranieri talvolta è stata considerata
come un ostacolo al corretto svolgimento del programma di lingua italiana e non
solo. Queste considerazioni danno per scontato che il gruppo degli italofoni sia
omogeneo e che chi ne fa parte condivide le stesse condizioni di partenza, cosa
assolutamente non vera. La scuola non viene affrontata in maniera uguale nemmeno
dagli italofoni. Assumere piena consapevolezza di ciò è uno dei principali
presupposti per un’educazione linguistica democratica: Ogni forma di educazione
linguistica dovrebbe sempre partire dalle competenze linguistiche e comunicative di
base di ogni singole considerare l’ambiente sociale da cui viene. Solamente in questo
modo la differenza esistente tra i ragazzi che vengono da ambienti sociali diversi non
si trasforma in discriminazioni e disuguaglianze. Ogni classe scolastica è un gruppo e
cioè ha un tessuto sociale contribuisce alla produzione linguistica. Ogni allievo
inserito in questo gruppo e quindi in questo tessuto sociale va incluso e non isolato
cercando di valorizzarlo soprattutto dal punto di vista linguistico dal momento che e
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proprio grazie al linguaggio che si possono rafforzare l’integrazione dell’individuo e
le sue competenze. In quest’ottica la lingua viene sentita sempre di più come un
mezzo e non un fine.
È educativo che un bambino senta come errate forme linguistiche che utilizza
spesso nel suo mondo, al di fuori della scuola? O è più educativo che un bambino
venga educato alle varie forme esattamente come avviene per i vestiti?
Ci sono alcuni vestiti come una camicetta o un bel vestito adatti per la scuola e non
adatto per andare al mare come, al contrario ci sono costumi da bagno che sono adatti
per andare in spiaggia ma non a scuola. Lo stesso ragionamento vale per le forme
linguistiche: uno stesso costrutto può essere perfetto in ambito scolastico ma
sconveniente in un altro. È dunque importante a questo riguardo che la scuola si
occupi anche dell’educazione orale che spesso viene trascurata. Un ottimo esercizio
potrebbe essere quello di far parlare gli alunni tra loro oltre che con l’insegnante in
modo tale che rafforzino la consapevolezza della variazione di registro. Una delle
parti più sacrificate del linguaggio è proprio il lessico.
Le lingue sono per loro natura trasversali virgola non vivono di vita propria, ma di
vita riflessa: Esistono grazie all’uso che ne fanno i parlanti in funzione degli
argomenti che trattano e nei contesti nei quali vengono parlate scritte. La lingua è lo
strumento attraverso cui vengono insegnate le varie materie che però esistono
indipendentemente dalla lingua. La geografia, la storia, la fisica, la chimica esistono
di per sé mentre le lingue no. Senza la lingua però le stesse discipline non potrebbero
essere trasmesse.
Questo vale anche per le lingue straniere. Se quest’ultime diventano totalmente
autonome e scollegate dal resto dell’esperienza scolastica, si innesca un circuito
all’interno del quale la lingua racconta se stessa, ma non il mondo all’interno del
quale è nata e si è sviluppata. In questo modo essa non riesce a rappresentare la sua
complessità e il suo fascino. Si dovrebbe insegnare nelle lingue e non la lingua! (Si
deve insegnare in inglese e non l’inglese).
Già Aristotele aveva definito l’uomo come un animale parlante dal momento che il
parlare è una delle caratteristiche distintive Nel Regno animale. Come ben sappiamo
l’uomo sapiens era parte di una famiglia più ampia di specie umane: l’uomo di
Neanderthal, erectus e così via. Per quanto ne sappiamo solo l’uomo sapiens poteva
parlare. Molto probabilmente è stato proprio il linguaggio a salvarci dall’estinzione.
Come siamo diventati animali parlanti? Come stato possibile potenziare il
linguaggio e tutte le lingue che da esso scaturiscono?
Probabilmente il linguaggio e le lingue sono stati una conseguenza in attesa del
passaggio alla posizione eretta. Molto probabilmente in seguito ad un cambiamento
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climatico i nostri lontani antenati hanno progressivamente abbandonato la vita
arboricola per iniziare a muoversi nella savana. Qui a causa della conformazione del
suolo, della postura eretta dava numerosi vantaggi come quello di poter scorgere per
tempo i predatori. Proprio l’assunzione la stabilizzazione della posizione eretta hanno
innescato una serie di processi a catena che ci hanno consentito di parlare. In primis
la posizione eretta riduce la parte del corpo direttamente esposte raggi solari, quindi
abbassa la temperatura interna. Un cervello più sviluppato aumenta le capacità di
pensiero, memoria e ragionamento. Tra i vari benefici della posizione eretta vi era
anche la libertà delle mani che potevano essere utilizzate per costruire oggetti e
utensili come armi e coltelli. Essi venivano utilizzati per cacciare e garantire una
migliore alimentazione, la quale accresce il benessere fisico e la forza degli uomini.
La caccia è l’uso di utensili portano anche ad una riduzione della dentatura e della
mandibola: i denti, ora, servono solo per masticare e non più per strappare la carne.
Questo crea più spazio per i movimenti della lingua nella cavità orale e aumenta le
potenzialità della fonazione. La liberazione delle mani dovuta alla posizione eretta
inoltre permetteva agli uomini di gesticolare: prima forma di comunicazione.
Dato che la manualità e la gestualità hanno accompagnato per secoli la nostra
capacità comunicativa e hanno facilitato l’acquisizione della lingua nativa esse
andrebbero stimolate in tutte le loro forme. La manipolazione, l’arte e la musica
giovano alla grammatica tanto quanto essa giova loro.
TESI 3
Pluralità e complessità delle capacità linguistiche
La terza tesi pone attenzione sulle abilità linguistiche nel loro complesso e sulla loro
importanza dal punto di vista sia produttivo sia recettivo.
Solitamente per competenza linguistica si fa riferimento alla capacità di parlare e
scrivere e solo raramente ci si sofferma con altrettanta attenzione sulla capacità di
comprendere realmente i testi sia parlati sia scritti. Ciò contribuisce alla convinzione
che il comprendere sia un processo passivo rispetto alla produzione. La terza tesi
vuole invece dimostrare che sapere utilizzare una lingua significa molto più che saper
parlare e scrivere. Conoscere una lingua in maniera competente significa innanzitutto
comprendere ciò che viene detto e scritto; in secondo luogo significa saper mettere
insieme delle parole e comprendere non solo pensieri, esperienze e concetti già noti,
ma poter comunicare idee e cose nuove. Conoscere una lingua vuol dire allargare i
confini della propria competenza. A tal fine sono importanti sia le esperienze
linguistiche produttive che quelle ricettive. Per comprendere meglio questo concetto
bisogna partire dallo sviluppo della percezione linguistica nei bambini. Il sistema
uditivo è Già pienamente sviluppato a 7 mesi di gestazione. La produzione
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linguistica, non quella di suoni, invece inizierà molti mesi dopo perché l’apparato
vocale si completa solamente dopo la nascita. In altre parole l’ascolto viene prima del
parlare ed è proprio dall’ascolto che i bambini iniziano il loro lavoro linguistico. Ad
esempio, immaginiamo una neonata di nome Nina che sentirà numerose voci intorno
a lei. Tutte queste voci che si riferiscono a lei rappresentano degli stimoli dai quali la
bambina inizierà a capire quali sono i suoni utili che portano alla composizione di
suoni significanti e quali no. Il più delle volte infatti ascolterà discorsi lunghi dai
quali dovrà cogliere dovrà cogliere quelle sequenze di suoni significanti. Questo
compito sarà reso ancora più difficile dal fatto che i dati che la bambina dispone non
sono sempre uguali. Nina sentirà talvolta la voce della mamma talvolta quella del
papà, altre volte sentirà il nome sussurrato o urlato con intonazioni diverse. La
bambina fin dalla nascita è immersa in uno spazio plurilingue. Il plurilinguismo non
coincide con il multilinguismo che caratterizza invece aree geografiche in cui si
parlano lingue diverse.
Il lavoro di Nina per riconoscere gli elementi significanti si svolge su un doppio
binario:
Segnali fonici;
Contenuto.
La bambina incontrerà difficoltà anche dal punto di vista del contenuto dal momento
che i vari parlanti potranno attribuire sensi diversi ad una stessa sequenza fonica. In
sintesi la bambina al suono associa un significante perché quello stesso suono è
associato ad un significato: associo il suono bottiglia alla bottiglia vera e propria.
Tale processo permette di:
Di riconoscere il significato di alcune sequenze di suoni;
Di confrontare i significati con altri.
A diversi segnali fonici X1, X2, X3 si possono ricondurre ad un significato X.
In questo modo si costruisce un sistema astratto di corrispondenze che forma
l’insieme di segni che appartengono alla lingua madre. In conclusione per imparare a
parlare bisogna aver prima imparato ad ascoltare perché proprio dall’ascolto dei suoni
che si riesce a dare un significato alle cose e alle parole che poi pronunciamo. I
bambini in questo modo iniziano ad imparare quella che viene chiamata “grammatica
implicita”.
La grammatica implicita è una prima forma di grammatica che i bambini imparano,
non è completa, massi modifica, si allarga e si Ridefinisce man mano che crescono le
esperienze linguistiche quotidiane. I bambini infatti in maniera del tutto autonoma e
spontanea talvolta fanno delle riflessioni sulla lingua. Questa capacità è chiamata
“epilinguisticità”.
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Si tratta della capacità di esplorare usi linguistici che i bambini esprimono anche
tramite domande come: cosa vuol dire questo? Come si chiama questa cosa?
All’epilinguisticità Si aggiunge la metalinguisticità, Cioè una capacità più matura di
riflettere sulla lingua che permette di riconoscere l’esistenza di un insieme di
relazioni interpretabili in base a categorie e nozioni generali.
Tutto ciò è possibile proprio perché la lingua è per definizione un oggetto flessibile in
continuo movimento e una buona educazione linguistica deve prevedere come suo
elemento costitutivo una possibile ridefinizione delle categorie metalinguistiche.
La grammatica stessa è un oggetto in movimento che cresce insieme ai parlanti e alle
loro esperienze linguistiche. La grammatica attiva è infatti quella parte della lingua
che non va imparata una volta per tutte, ma va modellata sui vari bisogni
comunicativi reali. La grammatica così come il lessico di una lingua va adattata ai
vari contesti e permette di sfruttare le varie situazioni comunicative come
un’occasione di apprendimento.
Inoltre crescendo la lingua aumenta e si arricchisce, Si impara Ad usare altre
modalità di comunicazione come la scrittura. Il parlato e la scrittura si distinguono
per il modo in cui si costruisce la trama del discorso.
Quali sono i punti più rilevanti che distinguono una comunicazione parlata
da una scritta?
Nella prima comunicazione la situazione è più frequente è il dialogo in cui il
produttore e il ricevente sono compresenti e l’uso del canale fonico-uditivo permette
di usare la prosodia per trasmettere il senso del discorso. Essa può essere
accompagnata anche dai gesti e dalle espressioni del volto. La comunicazione parlata
è discontinua poiché lo scambio dialogico comprende la possibilità di essere interrotti
e quindi anche tutto il discorso linguistico può essere alterato. Inoltre la produzione e
la ricezione in tempo reale non permettono nessun tipo di correzione o cancellazione
di eventuali errori. Essa dà luogo ad una discontinuità verbale, chi parla, per quanto
programmi ciò che vorrebbe dire, deve sempre tenere conto delle reazioni del
destinatario. La comunicazione parlata inoltre non può fare affidamento su una
memoria esterna perché tutto ciò che viene detto non resta fissato da nessuna parte.
Nella seconda comunicazione, al contrario, la situazione è prevalentemente il
monologo, il destinatario è assente e non si possono controllare le sue reazioni. La
comunicazione scritta è invece continua, questa sua continuità è inversamente
proporzionale al grado di continuità dei testi: la possibilità di interrompere, rivedere,
correggere un testo durante la sua produzione permette la costruzione di sequenze
continue. Nello scritto, a differenza del parlato, si può fare affidamento su una
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memoria esterna che è sostenuta proprio dalla pagina su cui viene scritto il testo che
ci permette di allungare organizzare meglio il discorso.
La differenza di comunicazione che viene adottata rende il processo di comprensione
parzialmente diverso. Cambia ovvero la capacità di mettere in relazione la lingua che
viene usata dal nostro interlocutore con i concetti già presenti nella nostra memoria.
—> Cambiano le capacità che usiamo nel momento in cui dobbiamo comprendere un
testo scritto o parlato.
Per comprendere i concetti, sia parlati sia scritti, il destinatario deve ricostruire la
dinamica tra l’informazione data e l’informazione nuova, stabilire le relazioni tra di
esse e con quello che già sa. Nella lettura di un testo scritto questo processo può
essere ripetuto più volte, quando invece si ascolta un test orale, tale processo deve
avvenire in tempo reale e deve anche prevedere la rapida eliminazione di tutte le
interruzioni, le pause più o meno lunghe per ricostruire un testo coerente e di senso.
Un esempio può essere il pensare a quanto sia diverso prendere appunti da una
lezione orale piuttosto che da un testo scritto. Il testo scritto può essere riletto infinite
volte mentre quello parlato va ascoltato e compreso nell’immediato.
Purtroppo, man mano che si cresce si perde interesse per il parlato e, ancora di più,
per l’ascolto nonostante entrambi siano considerati parte integrante dell’educazione
linguistica. Nella maggior parte dei casi si assume lo scritto come punto di partenza e
di arrivo di una buona competenza linguistica e, soprattutto nelle scuole superiori,
viene posta attenzione ai testi letterari. Lo scritto viene preferito al parlato A causa
del difficile rapporto tra parlato e ascolto. La scrittura permette di fissare la lingua, la
rende permanente e fruibile in tempi diversi rendendo lo studio della lingua stessa un
sapere trasmissibile e appunto insegnabile. Inoltre lo studio della lingua scritta si basa
su delle norme standard come quella di partire dall’analisi di testi letterari scritti,
poesie. Per il parlato invece quale norma dovrebbe essere scelta? La conversazione? I
monologhi?
A tale difficoltà si aggiunge il fatto che il parlato inevitabilmente conserva tracce di
provenienza linguistica regionale o locale del parlante e quindi presenta numerose
variazioni. Ciò è molto evidente in Italia in cui l’italiano manifesta ancora oggi forti
tracce del dialetto.
È così importante inserire il parlato e l’ascolto nella tradizione didattica?
Quali sono i vantaggi che se ne possono ricavare?
In primis bisogna ricordare che il parlato e l’ascolto sono elementi primari per la
costruzione del sé e del sé relazionale, dell’instaurazione delle relazioni sociali ed
interpersonali. Insegnare ad ascoltare e a parlare è un passo importante per la
formazione dell’identità personale degli allievi. Dunque l’inserimento di tali elementi
contribuisce alla formazione di una didattica inclusiva tanto è vero che la maggior
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parte delle esperienze comunicative tra ragazze e ragazzi avviene proprio tramite
l’ascolto e il parlato. Talvolta è proprio grazie a questi elementi che si riesce a
comunicare a prescindere dal fatto che si conosca o meno una lingua dal punto di
vista scritto.
Inoltre gli studenti apprendono soprattutto tramite l’ascolto e, in secondo luogo, per
scrivere e leggere bene gli allievi devono essere consapevoli delle proprietà di questo
tipo di comunicazione confrontandola con altre modalità, devono allenarsi ed
imparare a padroneggiare la lingua scritta nel parlato.
Interessante al riguardo può essere la scrittura conversazione anale, ovvero la
scrittura utilizzata nella messaggistica telematica via computer o cellulare. In questo
caso è come se avessimo una via di mezzo tra i due tipi di comunicazione
precedentemente mostrati. Nella scrittura conversazione anale il testo è diretto ad un
destinatario distante che, pur non essendo presente, può comunque rispondere nel
giro di qualche secondo. Le scelte linguistiche che si faranno saranno molto diverse
da quelle che si farebbero in un testo scritto mono logico, ma anche diverse da quelle
che si fanno parlando. Tale scrittura ha dei tempi di realizzazione molto più lenti
rispetto a quelli del parlato, legati alla digitazione delle parole, al fatto che non c’è un
tempo determinato entro cui il destinatario deve rispondere. D’altro canto sono
comunque nati degli usi linguistici tipici di questa modalità che velocizzano lo
scambio di informazioni come per esempio le abbreviazioni e l’uso di emoticon.
TESI IV
L’educazione linguistica democratica e la Costituzione
La quarta tesi affronta i temi cruciali del progetto innovativo ho della cosiddetta
annunciata “rivoluzione copernicana nel campo dell’educazione linguistica”.
La tesi:
1. Propone una nuova denominazione per l’insegnamento della lingua che si
chiamerà “Educazione linguistica democratica” spiegando la ragione per la quale è
necessario aggiungere quest’ultimo aggettivo: democratica.
2. Affronta il tema della complessità del linguaggio verbale, che non è una parola
neutra, ma una parola che ha un significato ben preciso che fa riferimento alla
corporeità, alla socialità, alle varietà e alle diversità della vita, del vivere e del
comunicare di ciascuno di noi all’interno di una società.
3. Afferma la responsabilità della scuola e di tutte le istituzioni culturali per quanto
riguarda la formazione del patrimonio linguistico di ognuno di noi. Lo scopo finale è
quello di aumentare i mezzi capaci di assicurare una partecipazione attiva il
responsabile di ogni cittadino alla vita della Repubblica.
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La costituzione l’educazione linguistica democratica
Dopo la morte di Tullio de Mauro molti critici hanno obiettato l’associazione
dell’aggettivo democratico al termine educazione.
Se si pensa ai programmi ministeriali del 1979 per la ex scuola media si nota come
all’interno dei programmi buona parte delle materie di studio cambia nome
diventando “educazioni”: Educazione tecnica, educazione artistica, musicale,
linguistica. L’aggettivo “democratica” però risultava troppo legato all’ambito
politico.
Esso designa però il metodo con cui la lingua adopera: lingua e linguaggi sono
elementi necessari per mettere ciascuno, qualsiasi età, in ogni ambiente, in ogni
momento storico in relazione con l’altro. La lingua è di tutti e di ciascuno. È proprio
a questo concetto che allude l’aggettivo “democratica”.
La quarta tesi afferma che: la pedagogia linguistica efficace è democratica se e solo
se realizza i principi linguistici esposti in testi come, ad esempio, l’articolo 3 della
Costituzione italiana che riconosce l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni
di lingua e propone quest’eguaglianza come traguardo dell’azione della Repubblica.
La costituzione italiana in realtà ha un ruolo importantissimo in tutte le 10 tesi. I
padri della Repubblica, nell’assemblea costituente, hanno dato grande importanza alla
lingua e alla sua ricchezza, l’hanno trattata con tutto il rispetto e l’impegno che essa
richiede. Hanno compreso la potenza della lingua e la sua capacità sugli uomini e sui
cittadini. Un esempio possono essere i numerosi ripensamenti a proposito della
scrittura dell’articolo 1. Nella stesura di tale articolo, hanno pensato ad ogni singola
parola, costruito frasi brevi, hanno discusso allungo l’impianto che l’intero periodo
avrebbe dovuto avere per essere letto e compreso facilmente.
La quarta testi si sofferma in modo particolare sugli articoli 3 e 6 della costituzione
italiana soffermandosi in particolar modo sullo Stato e le sue istituzioni. Il primo
volto a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al dispiegarsi dei diritti
all’uguaglianza; il secondo ad assumere con la scuola la responsabilità della
formazione linguistica e umana di ciascun cittadino. La tesi punta ad eliminare tutto
ciò che rallenta o impedisce il pieno raggiungimento delle competenze linguistiche
individuando sul piano dei comportamenti come cause principali i pregiudizi,
l’ignoranza, la chiusura; su quello materiale, gli edifici poco funzionali o brutti,
l’assenza di biblioteche, ambienti di vita non confortevoli; su quello politico, la
povertà, la mancanza di lavoro, la burocrazia lenta.
Le tesi V, VI, VII spostano l’attenzione sulla scuola: Che cosa e come si insegna
dell’educazione linguistica (tesi V), con quali risultati (tesi VI) e quali limiti (tesi
VII).
Partiamo dall’analisi dei principali limiti della pedagogia linguistica tradizionale
praticata nei primi anni 70 del 900 per comprendere l’attualità di queste tesi. La
pedagogia linguistica tradizionale affermava che lo studio della lingua doveva
avvenire solamente nell’ora di italiano; puntava esclusivamente ad una buona
capacità di scrittura non curandosi dell’importanza dell’oralità; predilige un metodo
di insegnamento basato sull’obbligo divieto rimproverando gli alunni senza riflettere
con essi tramite ragionamento o colloquio; gli errori non vengono considerati parte
del processo di apprendimento, ma vengono direttamente sanzionati; le prove di
scrittura consistono in temi, riassunti o commenti di testi risultando poco o per nulla
motivanti e dando poca importanza a ciò che nella vita è più utile come prendere
appunti, schematizzare, adattare una lingua e uno stile dello scritto al destinatario;
l’insegnamento del codice verbale non interagisce con l’educazione di altre capacità
espressive come la danza, il disegno o il ritmo; esclude completamente il lessico.
Non tutte queste caratteristiche sono state superate o migliorate nella scuola attuale.
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Come si può spiegare una situazione ancora così arretrata? Che cosa è stato
fatto per dare agli insegnanti gli strumenti utili per superare questi limiti?
La risposta si basa su tre piani: gli studi, le sperimentazioni, la politica scolastica.
Gli studi hanno registrato dei progressi enormi per quanto riguarda l’educazione
linguistica. Il rapporto tra ricerca e sperimentazione delle scuole ha dato vita ad una
cospicua produzione di materiali teorico-applicativi raccolti nei 50 volumi pubblicati
a partire dal 1985 dal CISCEL. Le idee e i suggerimenti raccolti all’interno di questi
testi ha influito minimamente sui docenti in servizio. Uno dei motivi principali di
questo scarso coinvolgimento da parte dei docenti risiede sicuramente nella politica
scolastica omogenea, discontinua e incoerente. Nonostante i Programmi scolastici,
rigidi ed elencati, siano stati sostituiti dall’Indicazioni, è cambiato ben poco sia per lo
scarso impegno ministeriale nell’aggiornare i docenti sia per il succedersi di
Indicazioni diverse fra loro in pochi anni, molte di queste addirittura opposte tra loro.
La riforma Moratti, ad esempio, sospese nel 2004 la riforma Berlinguer di quattro
anni prima sostituendola con le Indicazioni nazionali. La stessa riforma fu a sua volta
sostituita nel 2007 dalla riforma Fioroni che sostituì le indicazioni nazionali con le
Indicazioni per il curricolo. Mariastella Gelmini, pur non abolendo le indicazioni
Fioroni, emanò nel 2009 un atto che prevedeva l’armonizzazione fra le Indicazioni
Moratti e le Indicazioni Fioroni. Nel 2012, infine, il ministro profumo scelse di
riscrivere le indicazioni partendo dal testo della riforma Fioroni dando vita alle
“Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione del
2012”, attualmente in vigore. In 10 anni si sono praticamente succeduti ben cinque
testi politici opposti per quanto riguarda il mondo dell’istruzione. Questo basta a
spiegare il disorientamento e il sostanziale disinteresse degli insegnanti per quello che
dovrebbe essere di base il testo-guida scolastico.
Confrontiamo le diagnosi sulla pedagogia linguistica tradizionale contenute nelle tesi
V, VI, VII con le soluzioni proposte per rimediare ai limiti e alle inefficienze della
pedagogia linguistica tradizionale delle Indicazioni Moratti del 2004 e le
Indicazioni nazionali del 2012.
1. Le 10 tesi affermano che la pedagogia linguistica tradizionale opera nell’ora di
italiano ignorando la necessità di coinvolgere tutte le materie e tutti gli
insegnanti. Le indicazioni 2004 danno per scontato che l’educazione linguistica
sia un compito esclusivo dell’insegnante di italiano nell’ora di italiano. Le
indicazioni 2012 invece affermano che l’apprendimento della lingua sia
oggetto di tutti i docenti che coordineranno le loro attività, i vari docenti
lavoreranno insieme con l’insegnante di italiano.
2. Le tesi affermano che la pedagogia linguistica tradizionale trascura la realtà
linguistica di partenza, spesso colloquiale dialettale, degli allievi ignorando le
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diversità culturali e sociali. Le indicazioni del 2004 non fanno alcun accenno a
questo aspetto. Le indicazioni del 2012 invece affermano che l’apprendimento
della lingua italiana deve avvenire tenendo conto delle competenze linguistiche
e comunicative che gli alunni possiedono già in partenza.
3. Le tesi puntano ad un apprendimento rapido da parte dei più dotati per quanto
riguarda l’ortografia italiana. Le indicazioni del 2004 danno priorità assoluta
alla correttezza ortografica. Le indicazioni del 2012 invece affermano che la
competenza ortografica vieni acquisita nei primi due anni di scuola, ma gli
insegnanti devono comunque tenere conto dei tempi di apprendimento e delle
competenze già acquisite dai ragazzi.
4. Le tesi tengono conto soltanto della produzione scritta non curandosi di quella
orale se non durante l’interrogazione. Nelle indicazioni del 2004 Non ci si
occupa ancora dell’ascolto come capacità ricettiva, dando per scontata la
capacità di comprensione e di costruzione del significato. Per quanto riguarda
il parlato non si dà importanza all’arricchimento lessicale e alle scelte
linguistiche in base al contesto. Nelle indicazioni del 2012 invece ascolto e
parlato sono considerati, in maniera unitaria, Come capacità di interagire, di
elaborare il pensiero attraverso l’oralità e di comprendere discorsi e testi di
vario tipo. Ascolto e parlato hanno l’obiettivo di ampliare il lessico, ascoltare
produrre discorsi sempre più articolati e meglio pianificati. L’educazione
all’oralità e realizzata tramite il dialogo, l’interazione, la ricerca e la
condivisione di conoscenze.
5. Le tesi puntano ad una produzione scritta poco motivata come la
realizzazione di pensierini o temi trascurando lo sviluppo di capacità utili come
quella di prendere buoni appunti, schematizzare, sintetizzare. Le indicazioni
del 2004 consigliano di realizzare scalette mentali o scritte e schematizzazioni,
ma non affrontano il problema del distacco dalla verbalizzazione spontanea e il
riflessa. Le indicazioni del 2012 invece considerano la produzione iscritta
come un processo all’interno del quale si riconoscono varie fasi, dall’ideazione
alla pianificazione, alla prima stesura, alla revisione e al l’autocorrezione. Si
prevede la produzione di testi, schemi, riassunti, relazioni di attività e progetti
svolti nelle varie discipline, testi funzionali di vario tipo.
6. Per quanto riguarda la grammatica, le tesi presuppongono uno studio
mnemonico di paradigmi verbali, classificazione logica dei componenti della
frase. L’insegnamento non tiene conto dei mutamenti linguistici dal punto di
vista storico, semantico o socio-linguistico; non ha nessuna influenza sulle
capacità di comprensione e produzione linguistica; si basa su teorie linguistiche
antiquate. Le indicazioni del 2004 puntano ad uno studio grammaticale che si
basa sulla sintassi, sulle relazioni di connessione lessicale, polisemia,
iper/iponimia, predicato e argomento, coniugazione verbale eccetera. Le
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indicazioni del 2012 invece, per quanto riguarda lo studio grammaticale,
partono dalle conoscenze possedute dai bambini fin dall’infanzia e si parte dai
testi orali e scritti recepiti e prodotti dagli allievi. Lo studio della grammatica e
quindi basato sul continuo confronto tra la grammatica implicita (grammatica
che si apprende gradualmente dalla nascita) e quella esplicita.
7. Per quanto riguarda il lessico, le tesi ignorano completamente le capacità
linguistiche ricettive non tenendo conto in questo modo della metà del
linguaggio fatta di capacità di capire le parole lette e scritte, ma proprio questa
metà è necessaria per il funzionamento delle capacità linguistiche generali:
come il bambino infatti, impara prima ad individuare le frasi, ad ascoltare e
capire, e poi impara a produrre parole e frasi, così da adulti prima dobbiamo
leggere e ascoltare le parole e le frasi, poi ci avventuriamo ad usarle e capirle.
Nelle indicazioni del 2004 le uniche informazioni che vengono fornite per
quanto riguarda il lessico riguardano le classi seconda e terza, ma non c’è nulla
che riguardi la comprensione, il significato o la progressiva acquisizione del
lessico. Nelle indicazioni del 2012 invece il lessico ha un rilievo notevole tanto
nella scuola primaria quanto in quella secondaria di primo grado. Spicca il
riferimento al rispetto degli stadi cognitivi del bambino e del ragazzo (vari
momenti di sviluppo delle capacità durante la vita) e al rapporto stretto con
l’uso vivo e reale della lingua: sono banditi dunque lo studio di definizioni
astratte e un approccio precoce a testi lontani dall’uso corrente della lingua a
bambini di sei o 7 anni.
Le indicazioni del 2012 infine sono le Ultime di una lunga serie di testi ministeriali,
ma sono state poco pubblicizzate ed è per questo che pochi sono gli insegnanti che le
hanno davvero lette, meditate e sperimentate. Tuttavia sono uno strumento utile a
disposizione dei docenti. Ad oggi, nella società odierna, grazie agli errori del passato
e con l’aiuto delle 10 tesi, possiamo affermare che i principi fondamentali riguardano
il passaggio dall’approccio punitivo a quello costruttivo, il rispetto del bambino e dei
suoi ritmi di crescita, l’inclusione e la trasmissione dei principi egualitari della vita
democratica.
TESI VIII
I principi dell’educazione linguistica democratica
La tesi VIII si pone come scopo principale quello di formulare le dieci tesi con cui
fondare l’educazione linguistica nella scuola democratica.
Essa parte da una domanda:
I principi linguistici sono conosciuti?
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All’interno del GISCEL ci si lamenta spesso del fatto che le 10 tesi per
un’educazione linguistica democratica siano ancora poco diffusi fra i docenti. Al
contrario, altri gruppi pensano chi l’educazione linguistica democratica con i suoi
principi sia così tanto diffusa da essere la radice di ogni male della scuola italiana. In
uno studio realizzato alla fine del 2004 dal GISCEL, Si volle provare a capire se e
quanto fossero conosciute le tesi e se venissero considerate attuali dai docenti. Tale
esperimento avvenne tramite un questionario: Le prime domande erano di ordine
generale e vertevano sulla conoscenza delle tesi, sulla loro influenza
nell’insegnamento e nella formazione professionale. Lo studio ha dimostrato un
accordo totale o parziale dei docenti con le 10 tesi. Anche i docenti che non
conoscevano le 10 tesi e i loro principi, hanno dichiarato il loro accordo.
Probabilmente concetti come la pluralità e la complessità delle abilità, la varietà della
lingua e dei testi, la trasversalità e la continuità dell’educazione linguistica sono
diventati familiari agli insegnanti attraverso i programmi della scuola media del 1979.
Perseguire e rendere concreti i principi enunciati nelle 10 tesi non è qualcosa di
semplice e scontato, il lavoro più impegnativo spetta proprio al docente, chiamato ad
abbandonare i principi stabili e rassicuranti della pedagogia linguistica tradizionale
conservatrice per abbracciare principi nuovi su cui basare l’educazione linguistica
nella scuola nuova che nasce, ovvero nella scuola democratica. Una prima difficoltà
che si potrebbe incontrare e quella rappresentata dall’opposizione dei sostenitori della
pedagogia linguistica tradizionale. Inoltre, un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto
che la nuova educazione linguistica democratica non ha ancora dei dati abbastanza
diffusi tali da far cogliere immediatamente la potenza rivoluzionaria dei principi
linguistici stessi. La strada per superare queste difficoltà è in salita e molto lenta. Solo
una discussione pubblica come quella attuata dal GISCEL, protesa a far cogliere
l’importanza dei principi, potrà fari cogliere l’importanza di tali principi.
1. Il primo principio: l’attività verbale come semiotica
Il primo principio dell’ottava tesi si riferisce allo sviluppo delle capacità di cui
disponiamo grazie al nostro patrimonio genetico.
Durante il corso della storia, la specie umana, dopo aver conquistato la posizione
eretta, è stata lungo senza parlare e si è avvalsa di semiotiche diverse dal linguaggio
verbale. Già Tullio de Mauro spiegava che ciò di cui l’uomo non può fare a meno non
sono le parole, ma la comunicazione. Dunque il linguaggio verbale si pone in un
rapporto di reciprocità con le altre attività semiotiche, con le altre capacità degli
esseri umani di comunicare. Le capacità verbali sono sullo stesso livello di quelle dei
gesti, delle posture del corpo e delle altre forme espressive quali la danza, la musica e
il disegno.
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Chi trascorre la maggior parte del suo tempo all’interno della scuola si rende conto
con maggiore facilità del fatto che possiamo fare a meno delle parole per comunicare.
All’interno della scuola infatti sono numerosi gli alunni affetti da forme di ‘mutismo
volontario’ legate a varie ragioni personali. Questi alunni sono maggiormente
predisposti all’ascolto, prediligono un altro tipo di linguaggio, prestano maggiore
attenzione al parlante e provano difficoltà a sentire il suono della propria voce.
Spesso le cause di un linguaggio verbale limitato sono legate ai primi anni d’infanzia
del soggetto. Il linguaggio verbale non si può sviluppare pienamente se si vive fin
dalla nascita in una condizione di isolamento. L’assenza di cure parentali adeguate,
situazioni molto comune nelle zone più a rischio delle città, la disattenzione della
famiglia, situazione rilevata anche nei quartieri bene, spesso è accompagnata da una
sottovalutazione dell’interattività come un aspetto importante per sostenere lo
sviluppo linguistico. Dunque, anche se l’isolamento non è totale, la mancata ho
limitata interazione influenza lo sviluppo delle capacità verbali future. I possibili
ritardi nel linguaggio verbale diventano difficili da recuperare superata una certa
soglia di età. I docenti che lavorano nelle scuole dove vengono accolti i bambini
provenienti da ambienti difficili hanno imparato che inserire precocemente i bambini
in contesti stimolanti come gli asili o i nidi, può incidere sul superamento delle
difficoltà. Al contrario, un inserimento ritardato a scuola può incidere meno sulla
situazione di partenza e può essere meno efficace ad una certa età. L’assenza di
parola però non significa assenza di comunicazione. L’attenzione all’espressione del
volto, alla gestualità, ai movimenti involontari del corpo, al disegno o alla musica
possono essere utili per stabilire una prima comunicazione.
2. Il secondo principio: la lingua dello scambio della partecipazione
Il secondo principio dell’ottava tesi pone attenzione alle scelte educative da fare per
la realizzazione dell’educazione linguistica democratica. Questo secondo principio,
un po’ come il primo, capovolge il primato della parola. Ciò che si vuole
contrastare è il fatto che sapere una cosa non coincide necessariamente con il saperne
parlare. Oltre le parole, il linguaggio e le capacità linguistiche emerge una prospettiva
nuova all’interno della quale le diverse semiotiche si intrecciano per esprimere il
senso dell’educazione linguistica democratica: la scuola come luogo dove si
forniscono gli strumenti per la formazione di studenti in grado di partecipare
attivamente alla vita sociale e intellettuale. Il secondo principio anticipa un po’ le
Life skills, capacità umane acquisite tramite insegnamento o esperienza diretta usate
per gestire i problemi, situazioni incontrati durante il corso della vita quotidiana.
Tuttavia c’è una sostanziale differenza tra gli strumenti citati nel secondo principio e
le Life skills. I primi assumono come punto di forza lo sviluppo e l’esercizio delle
capacità linguistiche; le seconde sono invece delle applicazioni pratiche di
conoscenze, abilità, valori e atteggiamenti importanti nel processo di sviluppo
individuale. Questa differenza si riflette anche sui modelli concettuali.
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Basta pensare ad esempio al modello delle competenze per una cultura democratica
dalla cui applicazione dovrebbe uscire rafforzata la coscienza democratica degli
studenti. Si tratta di un modello completo, ma non in grado di orientare
sufficientemente chi si occupa di educazione. La frammentazione delle competenze,
l’eccessiva descrizione di ciascuna competenza, impediscono di cogliere il senso
finale del progetto e rendono complessa l’operazione di creare delle linee guida da
seguire per le scelte didattiche. Le elaborazioni teoriche di Tullio de Mauro,
contrapposti al modello precedentemente citato, appaiono molto più complete. Le
elaborazioni di Tullio de Mauro ci permettono di comprendere meglio il rapporto tra
le capacità linguistiche, il loro sviluppo e le attività di studio, ricerca, partecipazione,
produzione individuale e di gruppo.
L’idea di base è quella che il mondo delle parole si configura nell’intreccio di tre assi.
Dal punto di vista della rappresentazione grafica ogni asse a una sua collocazione:
verticale, obliqua e orizzontale. L’asse verticale consente di graduare la diversa
territorialità delle produzioni linguistiche: dall’idioletto, ovvero l’insieme di usi
linguistici propri di un individuo o di un piccolo gruppo, alle espressioni che hanno
una circolazione interlinguistica, ovvero universale, insieme di usi linguistici legati a
lingue artificiali condivise a livello planetario. L’asse della profondità, rappresentato
in senso obliquo, segna la decrescente informalità dalla punta più esterna quella più
interna, o al contrario, la crescente formalità dalla parte più interna quella più esterna.
Rappresenta fondamentalmente il passaggio da forme di esprimersi molto legate al
contesto a forme in cui ci si allontana da quest’ultimo e perciò più formali. L’asse
orizzontale invece riguarda la varietà linguistica in stretta relazione con la
trasmissione e la ricezione dei testi.
Questo percorso, ovvero quest’analisi linguistica basata su questi tre assi, rappresenta
un modo concreto per valorizzare la cultura nella quale gli studenti sono immersi. Il
compito è abbastanza difficile e presuppone una grande competenza da parte del
docente. Il compito di quest’ultimo però non è soltanto quello di fornire agli studenti
gli strumenti linguistici per continuare a studiare, passando ad esempio dal liceo
all’università, ma occorre pensare in grande e fornire strumenti linguistici tali da
garantire, a chi oggi studia nella comunità scolastica, di muoversi domani nella vita
sociale ed intellettuale. La scuola dunque ha un ruolo fondamentale per le
generazioni future.
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Leggere e scrivere sono due attività complementari. Leggere fa bene al saprei
scrivere e un buon controllo delle competenze di scrittura raffinano e consolidano le
competenze di lettura e comprensione dei testi. Lettura e scrittura danno vita alle
attività cosiddette di letto scrittura quali: prendere appunti durante una lettura,
riassumere un testo, schedare i testi, sintetizzare e rielaborare più documenti,
realizzare schemi e mappe di vario tipo. Si parte dalla lettura di testi, dati e documenti
per rielaborare un testo totalmente nuovo.
10. Il decimo principio: sviluppare il senso della funzionalità delle diverse forme
linguistiche note e ignote
Il 10º principio si basa sul fatto che la scuola deve garantire lo sviluppo delle capacità
necessarie per utilizzare la lingua in tutte le sue funzioni e forme.
Per poter comunicare tramite il parlato lo scritto, l’allievo deve tener conto dei
rapporti con l’interlocutore, del momento, del luogo, dello scopo; per capire discorsi
e testi, deve possedere un buon repertorio lessicale, saper riconoscere i vari tipi di
frasi e stili; deve sviluppare la consapevolezza del valore degli strumenti linguistici
che conosce.
Questo principio rifiuta la pedagogia del passato, imitativa, prescrittiva ed esclusiva,
che privilegiava l’addestramento mono linguistico, imponeva di seguire un’unica
norma e condannava gli errori.
La nuova pedagogia linguistica invece è attenta alle diverse forme di scrittura e
oralità, agli usi colloquiali e dialetti, a quelli poco familiari e più formali; libera
l’allievo dalla paura di sbagliare insegnandogli ad esprimersi in classe e fuori, tra i
suoi pari e con gli adulti, nei vari contesti.
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TESI IX
Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
1. Un precedente d’autore
Il tema della formazione dei docenti è molto antico quanto attuale.
In relazione a tale tema si è espresso Giuseppe Lombardo Radice nelle sue “Lezioni
di didattica” suggerendo il modo per parlare di formazione degli insegnati. Per
Radice bisogna concentrarsi sui contenuti e non sulle posizioni ideologiche e
speculative. La centralità del tema deve essere la cultura con la quale si ha a che fare
durante tutto il corso della vita. Radice traccia il percorso da compiere: ciò che serve
non sono regole pedagogiche o materiali preconfezionati, ma approfondimenti
culturali che ampliano il sapere e la possibilità di nuove interpretazioni. La
formazione iniziale degli insegnanti deve basarsi su un sapere disciplinare che viene
analizzato e valutato alla luce di discipline come la psicologia dello sviluppo, la
pedagogia o la didattica. Parallelamente lo stesso contenuto va riconsiderato al fine di
adattarlo all’apprendimento disciplinare e va poi valutato per proporlo agli studenti.
2. Corsi e percorsi
2.1. Educazione linguistica per tutti
Nella formazione dei docenti l’educazione linguistica deve assumere un ruolo
centrale. Essa si impone come una necessità per la specie umana dal momento che la
lingua è la chiave d’accesso alla conoscenza, all’identificazione e affermazione del
sé.
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3.2. Tratti trasversali unificanti
La comunicazione rappresenta uno dei tanti territori comuni tra le discipline di
ambito diverso.
Per comunicare, gli studenti devono ascoltare, individuare elementi portatori di
informazione e controllare i processi di comprensione.
La comprensione è legata ai concetti di:
Leggibilità
Comprensibilità
Per leggibilità si intende il controllo delle difficoltà che un testo offre ai suoi lettori, è
un dato oggettivo; per comprensibilità si intende un dato soggettivo che si basa
sull’esperienza, sulla conoscenza, sull’istruzione. Pur con lo stesso livello di
leggibilità, un testo può risultare o poco o molto comprensibile a lettori diversi.
Spesso la comprensione di un testo, scritto o orale, è anche legata all’aspetto
fisiologico, ovvero al coinvolgimento emotivo o intellettuale di chi ascolta o legge
con chi parla o scrive.
Un altro punto di condivisione tra discipline riguarda lo sviluppo delle abilità
linguistiche.
Queste sono connesse alle abilità linguistiche. Un esempio è il fatto che l’accesso al
sapere disciplinare avviene attraverso testi scritti che però non sono solo i manuali
scolastici, ma anche riviste, enciclopedie, la rete. Inoltre non tutto il sapere lo si
ricava attraverso la capacità di leggere e comprendere anche se entrambe le attività
sono essenziali per una conoscenza non superficiale.
In conclusione possiamo dire che leggere, scrivere, ascoltare, parlare sono al tempo
stesso obiettivi del docente di lingua e di ogni altro insegnante che attraverso queste
quattro abilità trasmette un sapere specifico agli studenti. Dunque ogni docente è
corresponsabile, per la parte di sua competenza, nell’insegnamento e apprendimento
di discorsi e testi nelle diverse abilità.
TESI X
CONCLUSIONE
1. Le sfide dei sistemi educativi
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insegnanti lavorano e il rendimento scolastico degli studenti. I dati ottenuti
consentono di affermare che sistemi scolastici di maggior successo, efficaci, e
qui ed inclusive, sono costruiti su fondamenta ben solite: sulle buone politiche
per gli insegnanti.
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4. Fare buoni investimenti
Italia destina solo il 3,6% del suo Pil all’istruzione. Tullio de Mauro affermava
che per migliorare il sistema scolastico non conta la quantità di denaro che
viene investita, ma la percentuale che questa quantità a nella spesa pubblica di
un paese. È proprio quest’ultima a dirci qual è l’impegno di un governo e di un
paese nella scuola. Se uno Stato investe tanto nella spesa pubblica, ma poco nei
sistemi scolastici è poco propenso a migliorarli.
Dei cambiamenti a riguardo ci sono stati dopo la promulgazione della legge
107 del 2015 che arreso obbligatoria, permanente e strutturale la formazione.
In attuazione di questa legge è stato avviato il piano nazionale formazione dei
docenti (PNFD) che ha destinato 40 milioni di euro all’anno per la formazione
scolastica. Inoltre, sono stati assegnati ai singoli docenti 500 € annui con la
carta docente.
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