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Contesto istituzionale
Uno degli aspetti centrali della vita degli immigrati una volta arrivati nei paesi di accoglienza,
è il rapporto con la burocrazia, prima occasione che “consente al migrante di esistere, uscire
dalla condizione di mimetizzazione che lo porta a nascondersi tra le piaghe della società”. Il
dominio in questione prevede, nell’articolazione dei bisogni dei migranti:
1. trovare un luogo di ascolto e orientamento;
2. localizzare un ufficio informazioni;
3. presentare la domanda di regolarizzazione;
4. ottenere i documenti per il soggiorno.
per ciascuno dei quali sono enucleati:
➢ funzioni di mediazione che potrebbe essere svolta dall’agenzia formativa,
interessante perché propone alla riflessione l’idea che non solo gli individui sono
coinvolti nel processo di mediazione, ma anche le istituzioni. Secondo Vedovelli
infatti, se l'agenzia formativa svolge questa funzione “il migrante si trova ad essere
inserito in un processo di interazione linguistica facilitante, con strutture comunicative
che sono orientate a risolvere il problema linguistico del rapporto tra migrante e
strutture istituzionali”. Non sempre però l’utilizzo dei mediatori linguistico-culturali
facilita la corretta decodifica di messaggi complessi, fra le cause di questo fallimento
si segnala l’applicazione degli schemi socioculturali e pragmalinguistici della L1 alla
lingua di comunicazione (che sia l’inglese o un’altra lingua franca). Questo problema
è stato riportato in documenti importanti tramite le testimonianze di mediatori,
operatori e immigrati le quali evidenziano la difficoltà di comunicare in una lingua che
non è la Lm per nessuno dei due interlocutori, che si somma alle difficoltà di
trasmettere le informazioni. Focalizzandosi su questo fallimento, molti studi hanno
invitato coloro che si occupano della formazione dei mediatori a prestare particolare
attenzione alla possibilità di offrire contenuti che mirino allo sviluppo di
consapevolezza in merito alla costruzione del discorso, ai fattori pragmalinguistici e
agli aspetti fonopragmatici e prosodici della lingua.
In uno studio di Boyd il 75% dei mediatori intervistati ha dichiarato di considerare
l’inglese del migrante un “ostacolo alla comprensione”, anziché uno strumento
efficace di comunicazione, perché caratterizzato diversamente rispetto alla variante
di inglese posseduta. E’ inoltre necessario ricordare che gli interventi di mediazione
in questi contesti, sono caratterizzati da alti livelli di stress emotivo, per cui le pratiche
di mediazione possono essere anche interazioni “dolorose” per i soggetti coinvolti.
➢ tipi di testo;
➢ eventi/atti comunicativi.
CAPITOLO 2: “INSEGNARE” UNA CULTURA STRANIERA È POSSIBILE?
INFORMANTI NATIVI
vantaggi → possedere gli stessi "schemi cognitivi", quei retroterra di conoscenze
esperienziali che costituiscono la semiotica sociale legata ad una determinata lingua che
sarebbe condivisa con il migrante per cui si svolge il servizio di mediazione.
TRADUTTORI/INTERPRETI
vantaggi → costituiti dalla solida formazione teorica, bagaglio di concetti e strategie che
potrebbero essere molto utili.
Fra gli aspetti legati alla formazione linguistica dei migranti è fondamentale l'esposizione alle
varietà diverse dello standard alle quali essi potrebbero essere esposti una volta inseriti in
contesti reali di mediazione, in modo da facilitare il processo di comprensione reciproca e
offrire a chi arriva un servizio di mediazione linguistica efficace.
In ambito italiano, le competenze che il mediatore dovrebbe possedere sono state descritte
nel documento CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro); all'interno del portale
Integrazione Migranti nato dalla collaborazione tra: Ministero del Lavoro, Ministero delle
politiche sociali, MIUR e Ministero dell'Interno, sono presenti riferimenti relativi a norme
regionali che regolamentano la formazione del mediatore.
Nel contesto accademico è stata istituita la laurea triennale in Mediazione Linguistica, con
un'offerta didattica presente in molti atenei d'Italia, e molti sono i master di primo e di
secondo livello proposti in questo ambito. Non si contano corsi regionali, provinciali,
organizzati da agenzie formative e associazioni del terzo settore, visto il fabbisogno di
personale qualificato in questo ambito con un numero variabile di ore di formazione
erogate.
Una delle ultime iniziative riguarda l'istituzione del corso di laurea europeo "Mediazione
per l'inclusione sociale", nell'ambito del progetto LIMEDiat, finanziato su fondi Erasmus+,
proposto da un consorzio di università e associazioni in Italia, Portogallo, Francia e
Spagna che mira consolidare la formazione nella mediazione a livello nazionale ed
europeo attraverso progetti di insegnamento, ricerca e impatto sociale.
Il raggiungimento di obiettivi come: il riconoscimento delle competenze acquisite con
l'esperienza e l'accesso prioritario a migranti e rifugiati, si è reso necessario dal momento
che nei diversi paesi europei la professione del mediatore viene svolta con modalità
differenti, infatti secondo un report proposto nel 2016 nell'ambito del progetto TIME
(Training Intercultural Mediator for a Multicultural Europe) ha evidenziato una situazione
poco omogenea fra i paesi:
● in Austria c'è un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’efficacia dei servizi di
mediazione, sebbene gli intervistati abbiano dichiarato l'utilità della mediazione per
risolvere i problemi degli individui;
● in Belgio c'è un notevole fabbisogno di mediatori interculturali, soprattutto nei centri
in cui vengono ospitati i richiedenti asilo, e qui esattamente come in Francia la
valutazione del reale fabbisogno dei mediatori è stata effettuata solo nell'ambito
dell'assistenza sanitaria;
● in Germania c'è un livello di specializzazione maggiore dei mediatori nei servizi
forniti per l'integrazione degli immigrati con due funzioni:
➢ facilitatori d'integrazione o mediatori linguistici e di integrazione di solito di
origine migrante che assistono i nuovi arrivati nel processo di integrazione e
nelle questioni pratiche,
➢ mediatori interculturali di solito non migranti cioè professionisti specializzati
nella risoluzione dei conflitti in un contesto interculturale;
● nei paesi dell’Europa meridionale come Grecia, Italia e Spagna, anche per il loro
carattere di frontiera si sono gradualmente trasformati da paesi di emigrazione a
paesi di immigrazione, con società plurilingui e pluriculturali, per cui il fabbisogno di
mediatori interculturali formati e qualificati è importante nei contesti interculturali
dove avvengono gli sbarchi e le procedure di prima accoglienza. Le principali aree
di intervento in questi paesi sono la sanità, il sociale, l’educazione, la pubblica
amministrazione, la giustizia, i centri di prima accoglienza e i centri di seconda
accoglienza.
Uno dei contributi più significativi per la definizione delle competenze del mediatore è
costituito dalla creazione della prova COMLINT, una certificazione delle competenze in
comunicazione e mediazione interlinguistica e interculturale elaborata dal Laboratorio di
Comunicazione Interculturale Didattica diretto da Fabio Caon presso l'Università di Venezia.
La prova è stata elaborata al fine di proporre un riconoscimento della figura del mediatore in
Italia a livello nazionale, uniformando le competenze richieste e di offrire una certificazione
anche agli stranieri presenti sul territorio che sono esclusi dai percorsi universitari per
questioni di titoli di accesso o convalidazione degli stessi; essa si articola in:
❖ tre sezioni nella parte scritta:
1. teoria e pratica della mediazione,
2. analisi di un intervento di mediazione,
3. commento critico su un caso autentico di mediazione
❖ due sezioni nella parte orale:
1. analisi di un video di una mediazione,
2. analisi e commento critico di un intervento di mediazione.
I candidati possono scegliere gli ambiti da analizzare tra quello socio-educativo, socio-
sanitario oppure dell'accoglienza.
Il contesto socio sanitario, oggetto di molti studi inerenti all'ambito della mediazione
linguistico-culturale. Secondo il report del WHO, la presenza dei mediatori interculturali in
questo contesto favorisce la rimozione delle barriere linguistiche e culturali in una varietà di
contesti sanitari, migliorando l'accessibilità e la qualità delle cure per i rifugiati e migranti in
generale.
Secondo Benucci e Grosso “le istituzioni sanitarie sono tra i contesti maggiormente
connotati dal contatto interlinguistico e interculturale in cui si può produrre assenza di
condivisione di codici linguistici e culturali e una diversa interpretazione della malattia e del
suo significato, compromettendo i principi fondativi della medicina, la promozione della
persona e la visibilità dei tuoi problemi di salute".
I mediatori interculturali svolgono questa funzione spiegando e contestualizzando i messaggi
e le situazioni per entrambi i partecipanti; possono anche cercare di chiarire quali sono i
valori e le norme socio-culturali alla base delle pratiche comunicative, dei comportamenti o
delle pratiche mediche.
Nel contesto della salute mentale (particolarmente delicato), i mediatori interculturali
possono indicare se il comportamento/la patologia di un paziente possa essere considerata
accettabile nella comunità di origine.
Il superamento dei divari socio-culturali può essere ottenuto attraverso:
● i dialoghi a tre tra l'operatore sanitario, il paziente e il mediatore interculturale;
● gli incontri uno a uno tra il mediatore, l'operatore sanitario o il paziente;
● le sessioni di gruppo con operatori sanitari e utenti.
contesti in cui i mediatori interculturali possono informare gli operatori sanitari sui bisogni
specifici e sui contesti socio-economici e culturali di provenienza degli utenti o possono
essere coinvolti nella pianificazione, progettazione, attuazione e valutazione di interventi per
coprire i bisogni dei rifugiati e dei migranti.
Lo studio condotto da Benucci e Grosso ha messo in luce come solo il 15% dei medici
intervistati ricorra in occasione delle visite a pazienti immigrati all'intervento di un mediatore
professionista, probabilmente per ragioni legate alla scarsa disponibilità di questa risorsa,
mentre il ricorso a strategie di mediazione attuate in prima persona si dimostra ampio: dalle
formulazioni e semplificazioni del discorso, alla richiesta di supporto a un familiare o un
amico del paziente, o ha ricorso a lingue ponte (strategia che comporta un rischio notevole
di incomprensioni profonde). Nonostante le risposte dei medici fossero favorevoli al rispetto
per le credenze i valori dei pazienti immigrati, sono state evidenziate delle aree di criticità
costituite dalle barriere linguistiche, della diversa concezione della malattia e della morte, le
modalità di esternazione della sofferenza e del dolore e dall’ incongruenza tra le aspettative
sul proprio percorso migratorio e la dolorosa realtà di integrazione che alcuni immigrati
sperimentano.
Restando nell'ambito della salute mentale, Resera ha notato la necessità di essere precisi,
emotivamente distaccati, e di sapere come comportarsi in relazione a una cultura specifica e
di essere neutrali e imparziali; mentre secondo Miller per ciò che concerne i rifugiati in
particolare la salute mentale è un contesto chiave per la mediazione linguistica e culturale,
specie per le vittime di tortura e rifugiati politici, perché le esposizioni a violenze e il
conseguente sviluppo di un trauma psicologico, così come l'esperienza della perdita di beni
personali, ruoli sociali e il disorientamento derivante dalla mancanza di conoscenza della
lingua, fanno sì che in questi contesti l'intervento del mediatore sia imprescindibile.
Tuttavia è necessario dimensionare il ruolo del mediatore, che potrebbe diventare
preponderante a scapito dello sviluppo e dell’esercizio dell’agency dei migranti stessi, come
dimostra la contrapposizione tra doctor-centered approach e patient centered approach in
cui l'ago della bilancia è l'atteggiamento del mediatore linguistico-culturale.
Il contesto penitenziario
Riprendendo il tema della fragilità della salute mentale, è necessario ribadire che esso
costituisce un nodo fondamentale all'interno del contesto penitenziario in cui la presenza del
mediatore linguistico-culturale è diventata imprescindibile. In Europa, la componente dei
detenuti stranieri sul totale della popolazione carceraria ha assunto una grande rilevanza,
rendendo il carcere un ambiente plurilingue e pluriculturale, in cui la convivenza forzata
scatena più facilmente il conflitto, soprattutto a causa delle barriere delle incomprensioni
linguistiche e culturali. Se a ciò si aggiunge la complessità comunicativa determinata dalla
necessità di confrontarsi con testi scritti di natura burocratica-giuridica, con la necessità di
usare il codice scritto per qualunque richiesta, in un ambiente caratterizzato da alti tassi di
analfabetismo, è facile comprendere come quella tra “le limitate capacità lavorative del
migrante e la complessità dell’input si configuri come una lotta impari".
In Italia i reclusi stranieri rappresentano oggi il 32,5% del totale della popolazione detenuta e
tra le nazionalità presenti ci sono: la marocchina, la rumena, l'albanese, la tunisina e la
nigeriana, ciascuna delle quali è portatrice di un patrimonio linguistico e culturale che va al di
là di quello che si potrebbe rappresentare facendo riferimento alla nazionalità dei detenuti.
A proposito della situazione sociolinguistica in carcere, l'ordinamento penitenziario italiano
prevede la presenza di mediatore all'interno degli istituti di pena il cui intervento si configura
come urgente e necessario.
Quali sono i compiti e le funzioni svolte dal mediatore all'interno del carcere? La figura
del mediatore è una presenza cruciale sia dal punto di vista intramurario, facilitando i
meccanismi di comprensione e comunicazione del detenuto straniero nelle dinamiche della
quotidianità detentiva, sia da un punto di vista extra murario, assolvendo al compito di
intermediario per il mantenimento e lo sviluppo della rete di relazioni sociali che interessano
il rapporto tra il recluso, il territorio circostante ed eventuali collegamenti nei paesi di origine.
Gli elementi comunicativi che dovrebbero coinvolgere la figura del mediatore nel carcere
possono essere:
● il momento dell'ingresso nella struttura, per chiarire le regole di comportamento e i
diritti del detenuto;
● i momenti legati alla pianificazione e progettazione di interventi dedicati (ad esempio
calendario di incontri traduzione di messaggi e foglietti informativi);
● l’accompagnamento all'inserimento in un eventuale realtà lavorativa per
comprendere regole e funzionamento;
● i colloqui con il legale assegnato;
● la redazione delle richieste in forma scritta;
● i momenti di incontro con il personale penitenziario per rispondere a domande e
chiarire aspetti oscuri delle relazioni interculturali di cui sono protagonisti gli attori del
contesto penitenziario.
Per questo nell'attuale contesto detentivo è indispensabile che il personale penitenziario
venga messo nelle condizioni di decodificare i codici di comportamento e i valori di
riferimento propri dei detenuti stranieri, al fine di evitare che dalle incomprensioni derivi una
discriminazione sostanzialmente frutto dell'ignoranza delle altre culture.
Oggi due tipologie di film portano sullo schermo le dinamiche migratorie: i film di impegno
sociale e quelli senza pretese artistiche, dal momento che la popolazione del paese
ospitante conosce l'immigrato attraverso le immagini che ne danno i mass media o da
contatti sporadici e conoscenze approfondite, ne risulta che viene spesso sottovalutata o
mal interpretata l'importanza dei conflitti culturali, che possono essere traumatizzanti per i
migranti e frustranti per coloro che appartengono alle società di accoglienza.
Tenendo presente che le attività di mediazione e la figura del mediatore non sono ben
definiti sia perché di recente concezione sia perché le forme della mediazione sono varie in
base ai contesti territoriali in cui si realizzano i relativi modelli di integrazione adottati (che
vanno dalla assimilazione, allo scambio interculturale, alla tolleranza) si rileva un'attenzione
che declina le diverse visioni della mediazione anche in base ai propri interessi e alle
competenze necessarie per gli ambiti di riferimento.
Nel cinema si stanno sviluppando rappresentazioni di tutte queste figure e questioni sia
relative alle modalità di ingresso sia l'instaurarsi di diverse relazioni interetniche tra migranti
e popolazioni autoctone, che dei percorsi identitari e interculturali.
Il cinema è un ambiente di metacognizione dalle infinite potenzialità potendo rappresentare
tutto e tutti, che spinge lo spettatore verso processi di identificazione, proiezione,
rappresentazione del contatto linguistico culturale; il cinema delle migrazioni propone figure
di immigrati eterogenee per provenienza, appartenenza etnica, livello d’istruzione,
estrazione sociale, conoscenza della L2 e racconta anche della difficoltà nel tracciare un
profilo univoco dell'immigrato tipo.
Gli obiettivi globali della didattica interculturale sono la capacità da parte
dell'apprendente di orientarsi in una cultura a lui sconosciuta e di essere in grado di avere
un comportamento consono alla situazione comunicativa in cui si trova, per questo è
necessario un certo allontanamento dalla propria cultura per avvicinarsi, comprendendo e
integrandosi, alla nuova.
Il cinema offre una vasta campionatura di situazioni comunicative caratteristiche di particolari
ambiti situazionali: è possibile analizzare gli atteggiamenti degli attori, le loro espressioni, i
turni di parola, la mimica, il modo di gesticolare (tutti elementi che in una comunicazione
reale sarebbero difficili da notare ed esaminare), gli attori poi interpretano un personaggio,
un copione stabilito ma la ricerca della realtà, del verosimile li rendono ugualmente
personaggi veri e credibili.
L'Italia è il paese per eccellenza della migrazione in quanto paese di arrivo e di transito di molti immigrati
dalla seconda metà del 900, in primo luogo punto di partenza di molti italiani emigrati a partire dall’ 800 nelle
varie parti del mondo. Anche di questo fenomeno il cinema ha dato conto in numerose pellicole, utili per
comprendere come certe sofferenze e meccanismi di esclusione siano già stati vissuti da molti italiani e di
come essi siano stati fonte di pregiudizi.
Se si guarda anche al secondo dopoguerra ci si può rendere conto della complessità del fenomeno
migratorio che può essere suddiviso e sintetizzato i quattro cicli:
migrazioni a partire dagli migrazioni dai paesi migrazioni degli anni ‘70 migrazioni, dopo l'11
anni ‘50 fino agli anni ‘80 dell'ex Patto di Varsavia del secolo scorso al settembre 2001 e dopo
del secolo scorso da e dell'ex URSS verso i 2010 circa dei paesi di gli interventi militari degli
zone dall'Europa paesi dell'Unione altri continenti come Stati Uniti in Afghanistan
meridionale Europea a seguito del Filippine, India, Pakistan e in Iraq, da aree di
(Mezzogiorno, Grecia, crollo del muro di Berlino e Bangladesh, America influenza islamica medio
penisola Iberica, ex Latina e Africa orientali ed alcune zone
Jugoslavia) verso regioni occidentale e del Nord, dell'Africa come il Corno
e paesi del centro e del verso tutti i paesi d'Africa, approdato sulle
nord Europa dell'Unione Europea frontiere meridionali
anche quelli meridionali dell'Europa
e balcanici
I paesi dell'Unione Europea hanno reagito in maniera differente a questi flussi migratori:
➢ Belgio, Olanda e Regno Unito hanno concesso molto autonomia alle comunità immigrate, in
particolare a quelle provenienti dagli ex imperi coloniali, ed è stato anche praticato il silenzio sulla
applicazione della sharia tra gli islamici. Dal secondo dopoguerra gli italiani sono emigrati verso
Belgio e Inghilterra impegnandosi nelle miniere e nella ristorazione;
➢ la Germania (o meglio Repubblica Federale Tedesca) ha adottato un approccio all'immigrazione di
carattere temporaneo e dietro l'impiego in attività lavorative, tanto da esportare nella definizione più
sintetica oltre che i suoi confini: l'espressione Gastarbeiter, lavoratore ospite, ha riguardato
inizialmente la categoria degli agricoli italiani di Puglia, Friuli e Veneto e poi dalle altre regioni verso le
fabbriche; gli immigrati italiani dovevano combattere con stereotipi dovuti agli eventi della Seconda
Guerra Mondiale venendo considerati traditori e vigliacchi. Solo di recente ha varato la nuova
normativa sull'immigrazione offrendo l'opzione della cittadinanza per i lavoratori stranieri stabilmente
residenti e per i loro figli;
➢ la Francia ha puntato all'integrazione senza impedire che si sviluppasse la ghettizzazione almeno nei
confronti dell'immigrazione araba e delle ex colonie del Nord Africa, gli italiani iniziano dall’800 a
spostarsi in grandi numeri verso questo paese confinante che negli anni ‘50 rappresenta la principale
metà del flusso migratorio;
➢ l'Italia e la Spagna sono divenuti solo recentemente paesi di immigrazione e hanno adottato politiche
più "moderne" di accoglienza, legate alla concessione di permessi di lavoro; insieme ad altri paesi che
si affacciano sul Mediterraneo come Grecia e Malta sono luoghi di approdo di flussi umani in cerca di
asilo e di nuove opportunità di vita. Ecco perché il Mediterraneo diviene l'ambiente di molti film recenti
che racconta la storia di immigrazione.
esempio di film sull’immigrazione in Italia: “Babylon fast food” (Valori 2011) Senegal, “Giamaica”
(Faccini 1998), “Ospiti” (Garrone 1998) Albania, “Quo Vado” (Nunziante 2016) vari paesi tra cui la
Norvegia.
Attraverso il cinema è dunque possibile riflettere sulla conflittualità dei rapporti tra individui e culture,
sulle sfide del fenomeno migratorio soprattutto in Italia sulla dimensione e sull'intreccio culturale
linguistico del Mediterraneo in quanto il paese è sede privilegiata per l'osservazione teorica e la
riflessione artistica sul fenomeno della migrazione.
Cinema italiano:
❖ presenta una documentazione sempre più attenta alla crescente multietnicità
del paese e del suo parlato, dunque il cinema diviene un ambiente di
metacognizione, di identificazione, rappresentazione del contatto linguistico-culturale
per eccellenza tracciando figure di immigrati eterogenee le cui rappresentazioni
rendono difficile la possibilità di poter tracciare un profilo univoco dell’immigrato tipo.
❖ incontro/scontro tra lingue e culture viene affrontato in chiave impegnata (nel
genere drammatico) e ironica (genere commedia, più adatto ad una riflessione
mediata e metacognitiva perché meglio rappresenta ed enfatizza gli stereotipi mentre
le ideologie sono meno evidenti);
❖ aspetti principali della produzione filmica sulla migrazione in Italia evidenziati
dal corpus LICCM (Lingua Italiana Cinema e Cultura della Migrazione):
1. gli atteggiamenti identitari dei migranti e dei parlanti nativi veicolati dagli usi
linguistici, il modo in cui essi vengono modulati attraverso gli usi linguistici e il
ruolo giocato dall’italiano di contatto nella definizione dell’identità dei migranti
stessi;
➔ assenza dell’articolo;
➔ uso di connettivi inadeguato al livello di italiano;
➔ parlato per giustapposizioni;
➔ uso errato di forme e tempi verbali;
➔ omissione o uso errato di preposizioni
il Foreigner talk è presente soprattutto nella commedia e si realizza più
frequentemente con l’uso di verbi all’infinito, la loro omissione o la
sillabazione, il rallentamento della velocità dell’eloquio.
AUTORAPPRESENTAZIONI E STEREOTIPI
Le riflessioni metaculturali sono favorite dalla visione del film per il loro potere di mostrare le
varie sfaccettature della vita e soprattutto, nei casi in cui producono il sorriso, di provocare
empatia per i migranti aiutando a comprendere meglio i loro punti di vista e i loro bisogni.
Nel caso dell’emigrazione italiana, sono tanti i pregiudizi e gli stereotipi diffusi all’estero
come quello che gli italiani siano tutti mafiosi, delinquenti, imbroglioni, inaffidabili, dalla
scarsa igiene e per quanto riguarda la popolazione femminile di essere baffuta (come è
mostrato nel film “Bello, onesto emigrato…”).
L’approccio dell’Intercomprensione prevede una didattica improntata al confronto costante, tra due o più
lingue che appartengono alla stessa famiglia linguistica.
Applicato in moltissimi progetti nazionali e europei incentrati in un primo momento sullo sviluppo dell’abilità
di comprensione, ha riscosso molto successo per la didattica delle lingue romanze, con progetti dedicati a
specifici pubblici (bambini, studenti universitari).
L’approccio interculturale si basa sull’idea che l’educazione plurilingue e interculturale siano un aspetto
fondamentale dell’educazione in contesti eterogenei e coinvolgano l’intera classe. Promuove la
conoscenza condivisa dei background di tutti gli studenti come strumento per la costruzione dell’identità
personale e collettiva degli studenti.
La didattica integrata delle lingue prevede l’apprendimento di più lingue con l’obiettivo di facilitare
l’accesso alla L2 a partire dalla L1, e alla L3 sfruttando le conoscenze acquisite in L2.
Un esempio potrebbe essere il CLIL.
Nel CEFR e nel Companion Volume, la mediazione viene rappresentata come un’abilità
chiave dei processi di apprendimento linguistico, tanto da meritare una denominazione
specifica: mediazione pedagogica, la quale presuppone una facilitazione e trasferimento di
contenuti da parte del docente agli studenti, il supporto nello sviluppo di un pensiero critico e
nella co-costruzione del senso all’interno di un gruppo e coinvolge gli insegnanti, i genitori e
gli alunni.
Fra le pratiche di mediazione informale in contesto didattico è possibile includere il
cosiddetto language brokering (=messa in atto di pratiche di mediazione linguistica e
culturale a opera di bambini e ragazzi, figli di immigrati o appartenenti a minoranze etnico-
linguistiche in svariati contesti come riunioni, colloqui, incontri tra scuole e famiglie cercando
di colmare la mancanza di informazioni e le incomprensioni tra scuole e famiglie di origine).
Il presupposto da cui si parte per delineare approcci e pratiche didattiche nell’ambito del
contatto linguistico e culturale sono i concetti di translanguaging e plurilingual
resourcefulness. Questo approccio promuove una visione non deficitaria degli individui che
invece vengono stigmatizzati per l'appartenenza alla categoria degli adulti immigrati e una
valorizzazione delle risorse di cui essi sono portatori.
Adottando un approccio basato sul translanguaging ci si propone di potenziare le risorse
linguistico-culturali già in possesso dei migranti, ciò può avvenire abbracciando una
prospettiva legata al concetto di resourcefulness che fa riferimento all’insieme di risorse
accumulate nel tempo non soltanto da un individuo ma da un’intera comunità e che possono
essere impiegate per un coinvolgimento attivo e trasformativo nella società.
Questa prospettiva riflette quella presente all’interno del CEFR, che definisce il
plurilinguismo come “capacità che una persona ha di usare le lingue per comunicare e di
prendere parte a interazioni interculturali, in quanto padroneggia, a diversi livelli,
competenze in più lingue ed esperienze in più culture, si tratta di una competenza
complessa o addirittura composita su cui il parlante può basarsi”.
Ciò è sostenuto dall’ampia accettazione e diffusione della teoria dell’interdipendenza
secondo la quale le risorse linguistiche degli individui, e di conseguenza l’accesso ad
ognuna delle lingue conosciute, sarebbero interconnesse nella comune facoltà di linguaggio
propria degli esseri umani e nella realizzazione della competenza comunicativa.
Le pratiche plurilingui di translanguaging prevedono che gli individui interagiscono
combinando elementi di diverse lingue e codici semiotici, sia nelle interazioni “reali” che
nelle interazioni sui social media e in tal modo sia i paesaggi linguistici individuali sia i
paesaggi linguistici pubblici sono caratterizzati dalla compresenza di più codici nell’uso dei
parlanti. Questa fluidità, deriva dalla condizione ormai deteriorizzata delle lingue che sono
diventate lingue usate dalle comunità diasporiche diffuse in tutto il mondo, ha posto la
necessità di mettere in discussione sia il concetto di “parlante nativo” che quello di
“integrazione linguistica”, così come i concetti di L1 contrapposta a L2 e di bilinguismo.
Questa prospettiva consente di identificare l’essenza del translanguaging: la possibilità per
l’individuo di vedere riconosciuto nella sua interezza il proprio patrimonio e la propria identità
plurilingue e la possibilità di avvalersene per poter comunicare. Il riconoscimento delle lingue
che sono parte del patrimonio linguistico degli individui è una pratica valida non solo in
ambito didattico ma in tutti i contesti che riguardano la prima e la seconda accoglienza dei
migranti.
Per poter far accrescere la consapevolezza interlinguistica e interculturale bisogna:
➢ far circolare maggiormente informazioni attendibili sulle risorse linguisticamente di cui
sono in possesso i migranti e usarle per facilitarne l’integrazione in contesti di
accoglienza, didattici e quotidiani;
➢ dare avvio a processi di metariflessione a partire da informazioni a concetti condivisi.
Le ricerche sulla produzione linguistica di studenti di diverse nazionalità hanno mostrato che
certi errori sono simili e non derivano esclusivamente dall’interferenza dei due sistemi
linguistici in contatto, ma sono errori di tipo evolutivo e ciò significa che il processo di
acquisizione del linguaggio è uguale per tutti e creativo: gli studenti ricostruiscono
gradualmente le regole e le strutture della L2, guidati da un meccanismo universale innato.
Il modo in cui un parlante acquisisce una Ls/L2 può essere regolato solo dalla grammatica
personale che ciascun individuo si costruisce nella propria L1 e da cui deriverebbero le
regole di acquisizione e di uso della Ls/L2, e da questa visione emergono due criteri
fondamentali: individualità e variabilità.
Partendo da quanto dimostrato da Chomsky (sul fatto che nell’apprendimento si possono
produrre anche regole e modelli che non appartengono né al sistema della L1 né a quello
della L2/Ls) è legittimo ipotizzare una grammatica generata dal parlante senza che questa
appartenenza alla Ls/L2 o alla L1, ma a un sistema intermedio definito "interlingua" da
Selinker, la quale identifica 5 processi fondamentali (transfer da L1 a L21; generalizzazione
delle regole anche quando non si dovrebbe; transfer di modelli fuori contesto; strategie di
controllo della L2; strategie più generali della comunicazione).
Secondo la teoria interlinguistica ogni stadio dell’apprendimento deve essere considerato
come un sistema linguistico vero e proprio con le regole della L1 e della L2 di cui gli errori
sono parte integrante; l’interlingua è inoltre un livello di competenza di transizione che
differisce da apprendente ad apprendente in base a fattori come l’età, la situazione,
l’esposizione alla lingua e il livello cognitivo, che rendono la gestione di una Classe ad Abilità
Differenziate (CAD) ancora più complessa in quanto sono presenti situazioni di disequilibrio
per l’organizzazione e la gestione della didattica, per la comunicazione e la valutazione degli
errori. Le caratteristiche dell’interlingua riguardano 4 variabili:
1. caratteristiche strutturali e tipologiche della L1;
2. fattori individuali;
3. fattori universali linguistici;
4. caratteristiche strutturali e tipologiche della L2.
Appurato poi che l’influenza dei vari sistemi costituiscono la norma si è passati da un
approccio all’interlingua in prospettiva contrastiva ad un approccio all’interlingua in
prospettiva interna, cercando di osservare il sistema di regole della produzione degli
apprendenti in sé stesso, con fenomeni di attrito con lingue che possono essere indotti
esternamente= la L1 porta a generalizzare internamente= i cui fenomeni si
le regole, estendere i significati, effettuare modificherebbero in base a principi
traduzioni letterali universali o in relazione alla grammatica
della L1
Nella misura in cui l’apprendimento è un’interazione di fattori interni ed esterni, la
spiegazione degli errori richiede un modello di analisi specifico e pluridimensionale.
Negli ultimi anni si è sviluppata una linea di ricerca in ambito europeo che si è concentrata
sui processi di intercomprensione (sia spontanea che guidata), si tratta di studi nei quali
l’attenzione alla coppia L1/L2 viene superata per rivolgere lo studio su più lingue
contemporaneamente con il transfer messo a fondamento dell’apprendimento.
Meissner distingue poi 5 tipi di transfer:
- transfer intralinguistico nella lingua di origine;
- transfer intralinguistico nella lingua ponte;
- transfer intralinguistico nella lingua target;
- transfer interlinguistico;
- transfer di apprendimento o didattico
questi tipi di transfer devono essere attivati dall’apprendente che deve passare dalla
mediazione della L1.
La didattica odierna si orienta sull’evitare il punto di vista normativo e sul non dare peso a
risoluzioni di ambiguità, scelte, opposizioni, esclusioni; per cui bisogna studiare queste
problematiche in una prospettiva funzionale e comunicativa facendo rifluire nella didattica
molti concetti di tipo sociolinguistico e poi analizzare anche gli errori che si possono dividere
in due categorie:
1. formali, che riguardano l’ortografia, la fonetica, la morfosintassi;
2. di uso, verificano la rispondenza del testo alla tipologia testuale o alla situazione.
Esistono inoltre profili di partenza degli adulti immigrati differiscono soprattutto per la
padronanza della scrittura:
1) pre alfabeti= individui in cui la L1 non possiede una forma scritta o è in fase di
sviluppo come nel caso di lingue indigene africane;
2) analfabeti totali o strumentali= che non hanno potuto accedere ad un sistema di
istruzione e di alfabetizzazione per vari motivi che possono essere politici o familiari;
3) debolmente alfabetizzati= hanno avuto un accesso limitato al sistema di istruzione
che risulta insufficiente per rispondere a necessità linguistiche e comunicative più
complesse;
4) migranti alfabetizzati in una lingua basata su un sistema di scrittura diverso da quello
latino= hanno coscienza dei legami esistenti fra suono e grafema e sanno ricercare i
significati di un testo
Ciascuno di questi profili richiede azioni specifiche da parte degli insegnanti che rispettino le
loro caratteristiche e diano spazio alle esigenze individuali affinché il patto formativo non
venga meno.
terzo setaccio riguarda l’uso strategico della parentela lessicale per scoprire le
corrispondenze tra i termini
BUONE PRATICHE
Sviluppate nell’ambito della ricerca sull’intercomprensione:
1. Valutazione dell’intercomprensione da parte di studenti universitari di corsi di
lingue
Chi studia le lingue straniere o segue un corso di laurea in mediazione linguistica e
culturale si forma un'opinione sul funzionamento dell’apprendimento delle lingue, su
cosa è utile apprendere prima e dopo, su come si può accedere meglio. Per questo è
stata svolta un’indagine su 40 soggetti che avevano seguito un corso teorico
introduttivo sull’intercomprensione ponendo le seguenti domande:
Scrivi una tua definizione di intercomprensione
esse possono essere raggruppate in 3 nuclei di significati:
➔ è un approccio più veloce degli altri allo studio di una Ls/L2, è divertente e stimolante;
rende esplicite le potenzialità del transfer e dello sfruttamento di competenze
linguistiche e di similitudini.
➔ permette di sviluppare gli aspetti cognitivi e di sfruttare le competenze parziali di cui i
rispondenti riconoscono il valore.
➔ è riconosciuta come appartenente a un campo di studi definendolo come un approccio
relativo a lingue romanze, a famiglie linguistiche e a coppie di lingue, che
riguarderebbe l’apprendimento contemporaneo di più lingue.
3. Valutazione e intercomprensione
Valutare le competenze comunicative nell’ambito plurilingue e pluriculturale è un
procedimento complesso che richiede la presa in esame delle molteplici dimensioni
che compongono il sistema della lingua. Il progetto MIRIADI- REFIC (Quadro di
Riferimento per le Competenze di comunicazione plurilingue in intercomprensione)
ha lo scopo di definire le attitudini, le conoscenze e la capacità in intercomprensione
tramite la creazione di protocolli e strumenti di valutazione per le lingue romanze
validati a livello internazionale. L’obiettivo principale è quello di dare la possibilità di
riconoscere le competenze che una persona possiede rispetto al proprio repertorio
linguistico e culturale, arrestando competenze in intercomprensione, identificando sei
livelli di competenza parziale e globale attraverso la costruzione di prove che
coinvolgono l’attività interattiva, ricettiva, produttiva nella dimensione orale e scritta
delle lingue romanze. Le dimensioni oggetto di valutazione sono:
❖ linguistica: comprensione dell’insieme delle conoscenze linguistiche a livello
fonetico, lessicale, ortografico, morfologico delle lingue romanze;
❖ preverbale e non verbale: una loro corretta gestione permette al parlante di
gestire i propri bisogni comunicativi all’interno di reali interazioni
comunicative;
❖ socio-pragmatica: attiva le conoscenze su più piani della lingua e permette
una comunicazione adeguata;
❖ interculturale: permette lo sfruttamento dei repertori culturali portando il
parlante a osservare i meccanismi della propria cultura in rapporto a quelli
delle culture altrui a capirne il funzionamento.
Sono stati poi individuati tre criteri di valutazione: disponibilità, adeguatezza e
ampiezza. Nei descrittori globali di intercomprensione ricettiva, interattiva e in
interproduzione sono inoltre esplicitati gli indicatori di valutazione, per la dimensione
scritta e orale: i livelli di competenza individuati sono sei e ognuno corrisponde ad
uno studio dello sviluppo della competenza comunicativa:
i primi due livelli corrispondono i livelli 3 e 4 gli ultimi due livelli
al livello A1-A2 del CEFR, e corrispondono ai livelli rappresentano gli stadi
identificano un profilo dell’utente B1-B2 del CEFR, e avanzati della competenza, i
basico che si trova nelle fasi identificano il profilo livelli C1-C2 dell’apprendente
iniziali dello sviluppo delle dell’utente indipendente. “competente”.
competenze, il raggio
d’interazione è ristretto, e il
parlato è caratterizzato da
frammentarietà e lentezza.
Un’ulteriore Buona Pratica fu presentata al XIV Simposio LESLLA (Literacy Education and
Second Language Learning for Adults) mirata ad approfondire percezione ed uso delle
lingue veicolari nell’insegnamento dell’italiano L2 con docenti che operano in contesto
migratorio.