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RIASSUNTI: MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE E DIDATTICA

INCLUSIVA (Benucci, Grosso)

CAPITOLO 1: MEDIAZIONE, MIGRAZIONE E INTEGRAZIONE

PROCESSI DI INCLUSIONE SOCIALE E MEDIAZIONE IN EUROPA


La migrazione è influenzata da una combinazione di fattori economici, ambientali, politici e
sociali che agiscono sia nel paese di origine di un migrante (fattori di spinta) sia nel paese di
destinazione (fattori di attrazione).
Storicamente, si pensa che la prosperità economica e la stabilità politica dei paesi
dell'Unione Europea abbiano esercitato un effetto di richiamo sugli immigrati, negli ultimi
anni però le migrazioni verso l'Europa sono state determinate da catastrofi climatiche e
guerre che hanno coinvolto sempre più paesi:
➔ del sud Europa come paesi di primo approdo o di transito per coloro che sfuggono a
conflitti e calamità naturali;
➔ del nord Europa perché caratterizzati da opportunità formative e professionali migliori
quindi vengono considerati come destinazioni finali del percorso migratorio.
Pur essendo accomunate dal fatto di essere società in cui individui dai retroterra differenziati
linguisticamente e culturalmente condividono lo stesso spazio fisico e sociale, le società
europee hanno risposto alle sfide poste dalla migrazione con modelli di integrazione
culturale differenti, i quali si sono però spesso dimostrati inadeguati alla prova dei fatti, ma
che essendo ispirati a modelli ideologici o “costruzioni idealtipiche” hanno ispirato le politiche
pubbliche e le norme in vigore nei diversi Stati.
Questi modelli possono essere posti su un continuum in cui si evidenzia su un polo il
massimo grado di rinuncia alle identità etniche e adesione totale ai valori del paese di arrivo,
e sull'altro la massima valorizzazione delle identità e la creazione di comunità diasporiche
separate tra loro che alla lunga generano un tessuto sociale poco coeso.
Tali orientamenti, sono collegati agli aspetti pratici e materiali di inserimento degli immigrati
stessi nelle società.
Walzer ha fornito una classificazione dei sistemi politici secondo il loro approccio alle
diversità, definendo 5 tipi di “sistemi di tolleranza politica” in Occidente:
1. imperi multinazionali
2. società internazionale
3. consociazioni
4. stati nazionali
5. società di immigrazione
Ognuno dei quali è caratterizzato da una gestione specifica delle diversità culturali,
linguistiche e religiose. Secondo tale visione in Europa convivono:
● paesi che ostentano il modello di “precarietà istituzionalizzata” con al centro la
figura del Gastarbeiter.
ad esempio Svizzera e Germania che hanno modificato questo modello per aderire
maggiormente a un'idea di integrazione culturale dei cittadini stranieri, con una
facilitazione delle leggi per la concessione della cittadinanza pur nel rispetto delle
diverse lingue e culture di provenienza.
● paesi in cui l'applicazione del modello assimilazionista ha indotto alla creazione di
uno spazio pubblico laico in cui non è ammesso nessun segno religioso visibile; in
questi paesi il conflitto è stato generato dal mancato riconoscimento dei diritti delle
nuove minoranze e dall'esclusione sociale degli appartenenti ad esse.
ad esempio la Francia, basata sul riconoscimento da parte dello stato della
autonomia dell'individuo e della sua volontà all'adesione ai valori repubblicani come
presupposto per l'attribuzione della cittadinanza.
● paesi in cui il modello multiculturalista ha prodotto una serie di comunità
diasporiche identitarie, che hanno assunto la forma di ghetti generando scarsa
interazione e coesione sociale e un ridotto senso di appartenenza alla comunità
nazionale.
ad esempio Olanda e Regno Unito (dove negli ultimi anni si è rivendicata la
necessità di politiche maggiormente inclusive e di una maggiore attenzione alla tutela
dell'identità nazionale britannica con introduzione di test di lingua inglese e
conoscenza della società).
● paesi che hanno scelto per anni di adottare un “non-modello”
ad esempio l'Italia che è storicamente considerato un paese di emigrazione
nonostante il fatto che durante gli anni ‘60 iniziarono anche i primi flussi e
insediamenti di lavoratori stranieri in Italia. Il sistema politico italiano però si rese
conto dell'entità e dell'esistenza del fenomeno migratorio solo verso l'inizio degli anni
‘80 ma non fu in grado di realizzare leggi sull'immigrazione.
La prima legge organica su questo tema fu la legge n. 40 del 1998 detta Turco-
Napolitano che introdusse il “Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
questo ritardo non è stato privo di conseguenze, dal momento che il tema
dell'immigrazione è stato strumentalizzato all'interno del dibattito politico e
polarizzato nel discorso pubblico con l'assunzione di toni e atteggiamenti esasperati
improntati al razzismo e alla xenofobia, così come l'assunzione di realtà radicalizzate
in contesti specifici dove si è riscontrata la presenza di forme di estremismo.
Ad oggi sul territorio non è stata approvata una legge basata sull'introduzione dello
ius soli, nonostante le proposte dei vari parlamenti e le campagne di
sensibilizzazione; pertanto sarebbe auspicabile l'adozione di un modello inclusivo
capace di garantire coesione sociale a livello europeo.
Nella visione di Guolo questo modello dovrebbe “fondarsi su una concezione
dell'integrazione fondata su tre elementi: cultura condivisa, pluralismo culturale,
partecipazione civica”, il che sarebbe possibile costruendo consenso intorno agli aspetti
procedurali, definendo regole comuni, applicando il pluralismo culturale e delineando ciò che
è “riconoscibile in termini di identità culturale”.
Il pluralismo culturale può essere garantito da un modello che prevede accanto al
processo di acculturazione (= acquisizione di nuove pratiche nell'ambito della società di
arrivo) il rispetto del patrimonio culturale e linguistico così come la valorizzazione e il
mantenimento di questi ultimi.
Un altro punto chiave riguarda il coinvolgimento dei membri esperti della comunità di
pratica cioè coloro che hanno sempre vissuto nella società di arrivo: per cui l'integrazione
deve essere concepita come un processo reciproco risultato del contatto interculturale.
Questa riflessione è al centro del dibattito pubblico europeo e degli interventi della
Commissione Europea che si trova a gestire una situazione variegata a livello dei singoli
Stati.
L'integrazione dei migranti ha guadagnato importanza con l'appello dell’Agenda 2030 a "non
lasciare nessuno indietro" comprendendo i migranti nelle categorie degli individui
vulnerabili e soggetti all'esclusione sociale.
Il 23 settembre 2020, la Commissione Europea ha presentato un Nuovo Patto sulla
Migrazione e l'Asilo, basato sul Piano d'azione sull'integrazione e l'inclusione, che definisce
un approccio più equo alla gestione della migrazione e dell'asilo, mettendo in atto una
politica globale e sostenibile, fornendo una risposta umana ed efficace a lungo termine alle
attuali sfide della migrazione irregolare, sviluppando percorsi di migrazione legale,
integrando meglio i rifugiati e altri nuovi arrivati, e approfondendo i partenariati sulla
migrazione con i paesi di origine e di transito per un vantaggio reciproco.
Fra le priorità dell'Unione Europea c'è quella di dare vita a una politica di integrazione
inclusione efficace, il piano d'azione propone infatti un sostegno mirato che tiene conto delle
caratteristiche che possono presentare sfide per le persone con un background migratorio,
come il genere o l'identità religiosa.
Nonostante i responsabili della creazione delle politiche riguardanti l'immigrazione siano i
governi nazionali, l'Unione Europea svolge un ruolo chiave nel sostenere gli Stati membri
attraverso il finanziamento e la promozione di partenariati pertinenti. Reazioni principali
sono:
❖ istruzione e formazione inclusiva concentrata sul rapido apprendimento delle lingue;
❖ miglioramento delle opportunità di lavoro e riconoscimento delle competenze per
valorizzare il contributo delle comunità di migranti, delle donne garantendo che si
siano sostenute per raggiungere il loro potenziale;
❖ finanziamenti europei dedicati per promuovere l'accesso ai servizi sanitari per tutti
coloro i quali sono nati fuori dall'Unione Europea;
❖ accesso ad alloggi adeguati ed economici finanziati attraverso fondi europei così
come piattaforme di finanziamento per lo scambio di esperienze a livello locale e
regionale sulla lotta alla discriminazione e alla segregazione.

Gli ambiti in cui si potrebbe espletare l'intervento della mediazione linguistico-culturale


spaziano dalle attività da attuare prima della partenza dei migranti, all'ambito dell'educazione
e della formazione, al lavoro, ai servizi di base, all'inclusione sociale e agli interventi di
coordinamento generale. In tutti questi contesti la mediazione può costituire uno strumento
di prevenzione del conflitto e di facilitazione al fine di migliorare la questione delle società
europee.
Secondo il Companion Volume infatti: chi usa/apprende la lingua agisce come un attore
sociale creando dei ponti e aiutando a costruire o trasmettere significati all'interno della
stessa lingua da una modalità all'altra oppure da una lingua all'altra; questo processo
comporta il rafforzamento della comunicazione della comprensione reciproca e la creazione
di relazioni che attraversino le barriere al fine di evitare o risolvere situazioni problematiche o
conflitti.

BISOGNI E ASPIRAZIONI DEI MIGRANTI


La necessità di programmare interventi di mediazione per migliorare l'inclusione sociale dei
migranti nasce dall'idea che bisogna rimuovere le incomprensioni tra coloro che abitano la
società di arrivo da più tempo e i neo arrivati.
Le difficoltà di comunicazione possono derivare dalla mancanza di competenze linguistiche
o di conoscenze socio-culturali, per esempio: tra parlanti di lingue diverse, tra esperti e
inesperti, da lacune cognitive (bassa alfabetizzazione o sviluppo cognitivo), la scarsa
possibilità di accedere a informazioni rilevanti (come fare domanda per un alloggio o come
funziona il sistema sanitario), le differenze culturali (concetti di cortesia) o l’intraducibilità di
alcuni concetti, la disabilità fisica. Queste criticità riguardano solo i cittadini immigrati, ma
possono caratterizzare la relazione tra questi ultimi e i membri presenti da tempo nella
società di arrivo, dato che essi condividono spazi fisici, metaforici e linguistici e devono
servirsi di una lingua comune per comunicare.
Spesso però alla condivisione di una lingua franca non è collegata la condivisione di valori,
di regole comuni e di schemi cognitivi; infatti secondo Guido:
Le incomprensioni tra i parlanti di una stessa “lingua franca” sono riconducibili all'
elaborazione linguistico-cognitiva della concettualizzazione degli eventi nelle strutture
tipologiche delle rispettive lingue native, successivamente trasferite nelle strutture
semantiche, sintattiche e pragmatiche della “lingua franca”.
Il processo di mediazione deve: coinvolgere sia i membri esperti che i novizi della comunità
di pratica costituita della società di arrivo, e può costituire un valido strumento a supporto di
una maggiore coesione sociale.
Lo strumento principale attraverso il quale questo processo si realizza è l'uso della lingua.
All'interno del Companion Volume, la mediazione viene considerata come un processo che
può agire nell'ambito di 4 categorie:
1) mediazione linguistica=> dove è fondamentale l'affiancamento delle forme di
traduzione intralinguistica in L1 o L2. Dal punto di vista delle pratiche essa si compie
tanto in contesti didattici quanto in contesti quotidiani di interazione, in ogni caso
implica la valorizzazione delle lingue che fanno parte del repertorio degli individui
coinvolti nelle interazioni.
2) mediazione culturale => presuppone lo sviluppo della cultural awareness (cioè la
consapevolezza che permette all'individuo di mettere in relazione la propria lingua e
cultura con le lingue e culture degli altri); questa visione della mediazione chiama in
causa alcuni aspetti centrali:
➢ il primo riguarda il ruolo della mediazione nel permettere la decodifica di un
significato e avvicinare gli interlocutori alla comprensione sia nei confronti
l’uno dell'altro che nei confronti di un concetto non noto o distante;
➢ il secondo, collegato al primo, richiama l'idea della mediazione come la
possibilità di costruire un “terzo spazio” in cui esercitare la consapevolezza
interculturale e per poter osservare le situazioni agendo all'interno di esse con
il distacco necessario e assumere una prospettiva diversa dalla propria;
➢ l'ultimo aspetto riguarda la mediazione pedagogica, pratica realizzata da
figure parentali e insegnanti con l'obiettivo di facilitare l'accesso alla
conoscenza, sviluppare il pensiero critico, co-costruire il significato attraverso
la collaborazione in qualità di membro di un gruppo creando le condizioni per
una mediazione razionale.
3) mediazione sociale
4) mediazione pedagogica
Le forme di mediazione presenti nella società caratterizzate dalla presenza di migranti
possono manifestarsi sia in forma scritta, attraverso traduzioni plurilingue di cartelli o
materiali informativi, sia in forma orale, attraverso l'intervento in presenza, al telefono o in
videochiamata di un mediatore professionista o di un mediatore spontaneo (particolarmente
presente nel contesto formativo in cui il docente sovrappone il suo ruolo a quello di
mediatore).
Nel processo di mediazione è fondamentale il coinvolgimento delle comunità ospitanti
con il conseguente apprendimento informale che si genera nell'interazione con i membri
che ne sono parte:
★ il coinvolgimento dal basso della popolazione è tanto più efficace quanto più precoce
infatti, progetti come COMMIT (che creano legami e relazioni umane prima dell'arrivo
dei rifugiati nella società di accoglienza) creano i presupposti per i rapporti duraturi e
profondi che possono tutelare le comunità proteggendole dallo smarrimento generato
dall' incomprensione;
★ un altro strumento importante di coinvolgimento consiste nel fornire maggiori
conoscenze sulle lingue, sulle culture e sulle condizioni di provenienza/esistenti. In
questo caso, l'acquisizione o l'accrescimento delle competenze nella lingua è un
processo lento e graduale che a volte richiede anni, in cui è fondamentale che i
migranti abbiano degli strumenti che li rendano almeno parzialmente autosufficienti,
che permettono loro di usare le risorse che hanno a disposizione per stimolare la
collaborazione con l'interlocutore.
Come suggerisce il CEFR per l'integrazione linguistica dei migranti adulti, situare gli
insegnamenti in scenari comunicativi che simulano la realtà quotidiana e fortificare
quanto appreso in classe con uscite all'esterno, può aumentare l'indipendenza dei
migranti nel cercare e ottenere informazioni e soprattutto abituarli a sviluppare
strategie di mediazione.
Come evidenziato da Coste, Cavalli e McAllum è importante che sia i mediatori
professionisti che i volontari comprendano la responsabilità che comporta il ruolo di
mediatore, tenendo in considerazione i vissuti dei singoli individui che possono essere
traumatici.
Nel suo senso più ampio, "mediare" significa agire come intermediario in un conflitto tra le
parti al fine di raggiungere un accordo; in ambito sociale e linguistico, la "mediazione" ha un
significato correlato e altrettanto importante cioè aiuta le persone a comunicare
efficacemente tra loro quando parlano lingue diverse, non capiscono certi termini o concetti
o quando hanno a che fare con situazioni o idee che sono nuove per loro. Pertanto la
mediazione funge da meccanismo di costruzione di spazi terzi generando un processo di
facilitazione dell’evento comunicativo.

PRATICHE TRANSLINGUISTICHE NEI MODELLI DI INTEGRAZIONE


Secondo Machetti:
La mediazione è dunque una pratica sociale, la cui funzione è quella di rendere accessibile
una serie di significati costruiti socialmente a tutti i membri di una data comunità in
particolare quando si creano o potrebbero crearsi situazioni di non comprensione o
comprensione solo parziale.
Le pratiche plurilingui possono essere considerate delle forme di mediazione nella misura in
cui ciascuna varietà viene usata per ricostruire un terreno comune di comprensione con
l'interlocutore.
La pubblicazione del Companion Volume rappresenta l'affermarsi di una visione diversa
del concetto di mediazione che costituisce il quarto polo, a integrazione delle abilità di
ricezione, produzione e interazione nei processi di apprendimento/insegnamento.
Nel CEFR originale, il concetto di mediazione veniva descritto come attività scritta e orale
che rendeva possibile la comunicazione tra persone che non erano in grado di comunicare
direttamente. La traduzione e l'interpretariato, la parafrasi, il riassunto e il resoconto
consentono la (ri)formulazione del testo originario rendendolo accessibile a una terza
persona che non potrebbe accedervi direttamente.
Nell'ambito del Companion Volume, la competenza di mediazione è tratteggiata tramite
descrittori per ogni livello sviluppati attraverso un progetto portato avanti dal 2014 al 2017
considerando l'aspetto interlinguistico, sociale e culturale.
La presenza sempre maggiore di classi plurilingui e pluriculturali e la diffusione del CLIL
hanno costituito una spinta per la rivisitazione del concetto di mediazione; la mediazione
linguistica è un'attività che ha luogo durante lo scambio di informazioni tra individui che non
condividono lo stesso codice così come in situazioni in cui la mancanza di conoscenze
socioculturali rende impossibile per un individuo la comprensione del contesto del
messaggio, per cui il mediatore non esprime le proprie idee ma si limita a fare da
intermediario tra persone che non possono comunicare direttamente in quanto il suo
scopo e riformulare il messaggio e fornire uno spazio e condizioni appropriate che
rendono possibile la comunicazione.
Nel Companion Volume, le attività di mediazione sono organizzate in una lista che
comprende:
● mediazione così come concepita nel CEFR;
● mediazione come developmental notion;
● mediazione come prospettiva più ampia;
● mediazione come modello più ricco.
Le quali vengono organizzate in cinque scale e strategie di mediazione utilizzate durante il
processo di mediazione: Mediating a text, Mediating concepts, Mediating communications e
Mediating strategies; per ciascuna delle quali sono state formulate delle descrizioni relative
al significato di ciascuna delle aree e dei descrittori con i concetti chiave operazionalizzati in
una scala che comprende i 6 livelli da A a C.

Il processo di validazione ed elaborazione dei descrittori è stato descritto in North e


Piccardo e risulta particolarmente interessante in merito alla fase qualitativa della
sperimentazione. A una rete di circa 1000 rispondenti è stato chiesto se i descrittori
rispondessero a criteri di:
1. chiarezza
2. utilità pedagogica
3. relazione agli usi linguistici nel mondo reale
A livello di contenuti socio-culturali, North e Piccardo, hanno messo in evidenza la
coerenza fra: il descrittore nuovo per la mediazione, Creating plurilingual repertoire, e
descrittori preesistenti nel CEFR ovvero Sociolinguistic appropriateness e Exploring
plurilingual repertoire (=elaborata per misurare l'abilità funzionale di sfruttare valorizzando
il plurilinguismo e può essere personalizzata da ciascun cittadino inserendo le lingue
conosciute).
Questi descrittori si ricollegano agli aspetti che dovrebbero caratterizzare i processi di
integrazione e i destinatari di questi descrittori sono:
- studenti in contesto scolastico;
- docenti che impartiscono insegnamenti disciplinari in un'altra lingua veicolare;
- studenti internazionali che seguono corsi di preparazione all'università;
- bambini immigrati nelle scuole;
- immigrati adulti;
- persone che lavorano con immigrati adulti;
- uomini e donne d'affari;
- apprendenti di lingue straniere;
- conduttori/formatori in seminari/laboratori.
È possibile osservare i livelli e le abilità di mediazione degli individui in più contesti che
vanno da un massimo grado di formalità all’informalità. All'interno di essi la lingua di
mediazione può essere la L1 del migrante oppure una lingua franca in comune con
l'interlocutore, che nella maggior parte dei casi è in inglese.

Contesto istituzionale
Uno degli aspetti centrali della vita degli immigrati una volta arrivati nei paesi di accoglienza,
è il rapporto con la burocrazia, prima occasione che “consente al migrante di esistere, uscire
dalla condizione di mimetizzazione che lo porta a nascondersi tra le piaghe della società”. Il
dominio in questione prevede, nell’articolazione dei bisogni dei migranti:
1. trovare un luogo di ascolto e orientamento;
2. localizzare un ufficio informazioni;
3. presentare la domanda di regolarizzazione;
4. ottenere i documenti per il soggiorno.
per ciascuno dei quali sono enucleati:
➢ funzioni di mediazione che potrebbe essere svolta dall’agenzia formativa,
interessante perché propone alla riflessione l’idea che non solo gli individui sono
coinvolti nel processo di mediazione, ma anche le istituzioni. Secondo Vedovelli
infatti, se l'agenzia formativa svolge questa funzione “il migrante si trova ad essere
inserito in un processo di interazione linguistica facilitante, con strutture comunicative
che sono orientate a risolvere il problema linguistico del rapporto tra migrante e
strutture istituzionali”. Non sempre però l’utilizzo dei mediatori linguistico-culturali
facilita la corretta decodifica di messaggi complessi, fra le cause di questo fallimento
si segnala l’applicazione degli schemi socioculturali e pragmalinguistici della L1 alla
lingua di comunicazione (che sia l’inglese o un’altra lingua franca). Questo problema
è stato riportato in documenti importanti tramite le testimonianze di mediatori,
operatori e immigrati le quali evidenziano la difficoltà di comunicare in una lingua che
non è la Lm per nessuno dei due interlocutori, che si somma alle difficoltà di
trasmettere le informazioni. Focalizzandosi su questo fallimento, molti studi hanno
invitato coloro che si occupano della formazione dei mediatori a prestare particolare
attenzione alla possibilità di offrire contenuti che mirino allo sviluppo di
consapevolezza in merito alla costruzione del discorso, ai fattori pragmalinguistici e
agli aspetti fonopragmatici e prosodici della lingua.
In uno studio di Boyd il 75% dei mediatori intervistati ha dichiarato di considerare
l’inglese del migrante un “ostacolo alla comprensione”, anziché uno strumento
efficace di comunicazione, perché caratterizzato diversamente rispetto alla variante
di inglese posseduta. E’ inoltre necessario ricordare che gli interventi di mediazione
in questi contesti, sono caratterizzati da alti livelli di stress emotivo, per cui le pratiche
di mediazione possono essere anche interazioni “dolorose” per i soggetti coinvolti.
➢ tipi di testo;
➢ eventi/atti comunicativi.
CAPITOLO 2: “INSEGNARE” UNA CULTURA STRANIERA È POSSIBILE?

BARRIERE CULTURALI E SENSIBILITA’ INTERCULTURALE: IL RUOLO DEL


MEDIATORE
Le caratteristiche e il ruolo del mediatore linguistico-culturale sono al centro di vari lavori di
ricerca di alcuni anni. La prima area di criticità coincide con l'identificazione del profilo delle
competenze e delle professionalità connaturate allo svolgimento di questo ruolo.
Il mediatore può essere definito come potenziale appartenente a una delle tre seguenti
categorie:
1. informante nativo, che lavora all'interno di una data comunità etnica e fornisce le
informazioni "dall'interno". Si tratta molto spesso di migranti che si siano formati e
abbiano intrapreso successivamente la professione di mediatore;
2. traduttori e interpreti non professionisti e con minore esperienza (inclusi studenti di
traduzione, interpretariato e lingue straniere);
3. attivisti che lavorano nel settore della cooperazione umanitaria, internazionale e
interculturale, affari esteri e diplomazia, politiche migratorie.
L'appartenenza a ciascuna di queste categorie comporta vantaggi e svantaggi al fine di
svolgere al meglio la professione.

INFORMANTI NATIVI
vantaggi → possedere gli stessi "schemi cognitivi", quei retroterra di conoscenze
esperienziali che costituiscono la semiotica sociale legata ad una determinata lingua che
sarebbe condivisa con il migrante per cui si svolge il servizio di mediazione.

svantaggi → costituiti dagli aspetti psicologici e dall'eccesso di immedesimazione nelle


storie delle sofferenze del migrante, che potrebbe portare a valicare i confini di un ascolto
attivo ed empatico per sconfinare in una proiezione che porterebbe il mediatore a
compiere azioni comunicative non appropriate o legittimate, o il migrante a coltivare
aspettative non realistiche nei confronti della relazione con il mediatore.

TRADUTTORI/INTERPRETI
vantaggi → costituiti dalla solida formazione teorica, bagaglio di concetti e strategie che
potrebbero essere molto utili.

svantaggi → la mancanza di esperienze pratiche che caratterizza il mondo accademico


in generale, e in Italia in particolare mette però in luce la vulnerabilità di questa formazione
a confronto con le esperienze reali in contesti delicati come quello migratorio, in cui il
traduttore/interprete deve rivoluzionare il proprio modo di lavorare o integrare le sue
competenze e gestire la frustrazione che dovrebbe derivare dal non sentirsi in possesso
degli strumenti adeguati per affrontare situazioni complesse (ad esempio traumi vissuti dai
migranti).
Un altro problema è legato alla mancata condivisione del codice linguistico (lingua ufficiale
e dialetto), che può determinarsi se la varietà conosciuta del mediatore non coincide con
la varietà parlata dal migrante, il quale è un tipo di criticità che può presentarsi anche nel
caso di mediatori madrelingua.

ATTIVISTI (con formazione prettamente giuridica)


vantaggi → costituiti dalla possibilità di fornire informazioni precise ai migranti derivanti
dalle competenze in materia di legislazione e dalla consapevolezza del ruolo politico che
spesso la figura del mediatore è chiamata a svolgere, proponendo per una visione della
mediazione come agire sociale e come "pratica di ospitalità incondizionata verso i soggetti
in transito nelle zone di contatto".

svantaggi → la mancanza di una formazione linguistica potrebbe determinare una scarsa


attenzione nei confronti delle dinamiche comunicative, della corretta codifica e decodifica
degli scambi con i migranti, generando interpretazioni che in alcuni casi si rivelano
controproducenti per i migranti stessi.

Fra gli aspetti legati alla formazione linguistica dei migranti è fondamentale l'esposizione alle
varietà diverse dello standard alle quali essi potrebbero essere esposti una volta inseriti in
contesti reali di mediazione, in modo da facilitare il processo di comprensione reciproca e
offrire a chi arriva un servizio di mediazione linguistica efficace.

In ambito italiano, le competenze che il mediatore dovrebbe possedere sono state descritte
nel documento CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro); all'interno del portale
Integrazione Migranti nato dalla collaborazione tra: Ministero del Lavoro, Ministero delle
politiche sociali, MIUR e Ministero dell'Interno, sono presenti riferimenti relativi a norme
regionali che regolamentano la formazione del mediatore.

Nel contesto accademico è stata istituita la laurea triennale in Mediazione Linguistica, con
un'offerta didattica presente in molti atenei d'Italia, e molti sono i master di primo e di
secondo livello proposti in questo ambito. Non si contano corsi regionali, provinciali,
organizzati da agenzie formative e associazioni del terzo settore, visto il fabbisogno di
personale qualificato in questo ambito con un numero variabile di ore di formazione
erogate.
Una delle ultime iniziative riguarda l'istituzione del corso di laurea europeo "Mediazione
per l'inclusione sociale", nell'ambito del progetto LIMEDiat, finanziato su fondi Erasmus+,
proposto da un consorzio di università e associazioni in Italia, Portogallo, Francia e
Spagna che mira consolidare la formazione nella mediazione a livello nazionale ed
europeo attraverso progetti di insegnamento, ricerca e impatto sociale.
Il raggiungimento di obiettivi come: il riconoscimento delle competenze acquisite con
l'esperienza e l'accesso prioritario a migranti e rifugiati, si è reso necessario dal momento
che nei diversi paesi europei la professione del mediatore viene svolta con modalità
differenti, infatti secondo un report proposto nel 2016 nell'ambito del progetto TIME
(Training Intercultural Mediator for a Multicultural Europe) ha evidenziato una situazione
poco omogenea fra i paesi:
● in Austria c'è un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’efficacia dei servizi di
mediazione, sebbene gli intervistati abbiano dichiarato l'utilità della mediazione per
risolvere i problemi degli individui;
● in Belgio c'è un notevole fabbisogno di mediatori interculturali, soprattutto nei centri
in cui vengono ospitati i richiedenti asilo, e qui esattamente come in Francia la
valutazione del reale fabbisogno dei mediatori è stata effettuata solo nell'ambito
dell'assistenza sanitaria;
● in Germania c'è un livello di specializzazione maggiore dei mediatori nei servizi
forniti per l'integrazione degli immigrati con due funzioni:
➢ facilitatori d'integrazione o mediatori linguistici e di integrazione di solito di
origine migrante che assistono i nuovi arrivati nel processo di integrazione e
nelle questioni pratiche,
➢ mediatori interculturali di solito non migranti cioè professionisti specializzati
nella risoluzione dei conflitti in un contesto interculturale;
● nei paesi dell’Europa meridionale come Grecia, Italia e Spagna, anche per il loro
carattere di frontiera si sono gradualmente trasformati da paesi di emigrazione a
paesi di immigrazione, con società plurilingui e pluriculturali, per cui il fabbisogno di
mediatori interculturali formati e qualificati è importante nei contesti interculturali
dove avvengono gli sbarchi e le procedure di prima accoglienza. Le principali aree
di intervento in questi paesi sono la sanità, il sociale, l’educazione, la pubblica
amministrazione, la giustizia, i centri di prima accoglienza e i centri di seconda
accoglienza.

Uno dei contributi più significativi per la definizione delle competenze del mediatore è
costituito dalla creazione della prova COMLINT, una certificazione delle competenze in
comunicazione e mediazione interlinguistica e interculturale elaborata dal Laboratorio di
Comunicazione Interculturale Didattica diretto da Fabio Caon presso l'Università di Venezia.
La prova è stata elaborata al fine di proporre un riconoscimento della figura del mediatore in
Italia a livello nazionale, uniformando le competenze richieste e di offrire una certificazione
anche agli stranieri presenti sul territorio che sono esclusi dai percorsi universitari per
questioni di titoli di accesso o convalidazione degli stessi; essa si articola in:
❖ tre sezioni nella parte scritta:
1. teoria e pratica della mediazione,
2. analisi di un intervento di mediazione,
3. commento critico su un caso autentico di mediazione
❖ due sezioni nella parte orale:
1. analisi di un video di una mediazione,
2. analisi e commento critico di un intervento di mediazione.
I candidati possono scegliere gli ambiti da analizzare tra quello socio-educativo, socio-
sanitario oppure dell'accoglienza.

IL VALORE DEGLI ASPETTI CULTURALI IN ALCUNI AMBITI COMUNICATIVI


La figura del mediatore interculturale coincide spesso anche con quella di interprete di
comunità. Questo significa accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di riferimento,
favorendo la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e la valorizzazione
delle culture di appartenenza e l'accesso a servizi pubblici e privati e assistendo le strutture
di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all'utenza immigrata.
Nella descrizione del ruolo del mediatore emerge, però, un altro elemento su cui vale la
pena soffermarsi, ovvero il ruolo chiave del mediatore nel "valorizzare le culture di
appartenenza" dei migranti, responsabilità importante nell’ implementazione di un modello di
integrazione che non prevede lo schiacciamento delle lingue e delle culture di origine sulla
cultura dominante della società di arrivo, ma che al contrario contribuisce a rendere la
diversità un valore.
Questo è applicabile in tutti gli ambiti in cui si esercita la professione di mediatore in quanto
questi sono di estrema importanza per l'individuo e riguardano questioni delicate, su cui
occorre intervenire con grande tatto e nel rispetto della sensibilità culturale e individuale dei
migranti; è pertanto cruciale che i mediatori si attengano a comportamenti ispirati a un
codice deontologico professionale stringente, che deve mutare elementi dei codici
deontologici delle diverse discipline legate agli ambiti in cui il mediatore opera.
Quali sono i criteri per considerare un intervento di mediazione "efficace"? Secondo
una ricerca condotta da Vigo è stato analizzato un corpus di interazioni che coinvolgono
mediatori, partendo dalla definizione di scambio "efficace" del contesto dell’accoglienza
come "scambio che porta alla conoscenza dei bisogni e dei frames cognitivi di chi arriva, del
suo status e della sua immediata inclusione nei percorsi di inserimento, trasferimento e
formazione". Per cui è evidente che la definizione dei bisogni dei cittadini neo arrivati si
determini in base alle specifiche situazioni che si affrontano, pur essendo presenti delle
micro aree identificabili come sensibili per questo tipo di pubblico, come:

Il contesto socio sanitario, oggetto di molti studi inerenti all'ambito della mediazione
linguistico-culturale. Secondo il report del WHO, la presenza dei mediatori interculturali in
questo contesto favorisce la rimozione delle barriere linguistiche e culturali in una varietà di
contesti sanitari, migliorando l'accessibilità e la qualità delle cure per i rifugiati e migranti in
generale.
Secondo Benucci e Grosso “le istituzioni sanitarie sono tra i contesti maggiormente
connotati dal contatto interlinguistico e interculturale in cui si può produrre assenza di
condivisione di codici linguistici e culturali e una diversa interpretazione della malattia e del
suo significato, compromettendo i principi fondativi della medicina, la promozione della
persona e la visibilità dei tuoi problemi di salute".
I mediatori interculturali svolgono questa funzione spiegando e contestualizzando i messaggi
e le situazioni per entrambi i partecipanti; possono anche cercare di chiarire quali sono i
valori e le norme socio-culturali alla base delle pratiche comunicative, dei comportamenti o
delle pratiche mediche.
Nel contesto della salute mentale (particolarmente delicato), i mediatori interculturali
possono indicare se il comportamento/la patologia di un paziente possa essere considerata
accettabile nella comunità di origine.
Il superamento dei divari socio-culturali può essere ottenuto attraverso:
● i dialoghi a tre tra l'operatore sanitario, il paziente e il mediatore interculturale;
● gli incontri uno a uno tra il mediatore, l'operatore sanitario o il paziente;
● le sessioni di gruppo con operatori sanitari e utenti.
contesti in cui i mediatori interculturali possono informare gli operatori sanitari sui bisogni
specifici e sui contesti socio-economici e culturali di provenienza degli utenti o possono
essere coinvolti nella pianificazione, progettazione, attuazione e valutazione di interventi per
coprire i bisogni dei rifugiati e dei migranti.
Lo studio condotto da Benucci e Grosso ha messo in luce come solo il 15% dei medici
intervistati ricorra in occasione delle visite a pazienti immigrati all'intervento di un mediatore
professionista, probabilmente per ragioni legate alla scarsa disponibilità di questa risorsa,
mentre il ricorso a strategie di mediazione attuate in prima persona si dimostra ampio: dalle
formulazioni e semplificazioni del discorso, alla richiesta di supporto a un familiare o un
amico del paziente, o ha ricorso a lingue ponte (strategia che comporta un rischio notevole
di incomprensioni profonde). Nonostante le risposte dei medici fossero favorevoli al rispetto
per le credenze i valori dei pazienti immigrati, sono state evidenziate delle aree di criticità
costituite dalle barriere linguistiche, della diversa concezione della malattia e della morte, le
modalità di esternazione della sofferenza e del dolore e dall’ incongruenza tra le aspettative
sul proprio percorso migratorio e la dolorosa realtà di integrazione che alcuni immigrati
sperimentano.
Restando nell'ambito della salute mentale, Resera ha notato la necessità di essere precisi,
emotivamente distaccati, e di sapere come comportarsi in relazione a una cultura specifica e
di essere neutrali e imparziali; mentre secondo Miller per ciò che concerne i rifugiati in
particolare la salute mentale è un contesto chiave per la mediazione linguistica e culturale,
specie per le vittime di tortura e rifugiati politici, perché le esposizioni a violenze e il
conseguente sviluppo di un trauma psicologico, così come l'esperienza della perdita di beni
personali, ruoli sociali e il disorientamento derivante dalla mancanza di conoscenza della
lingua, fanno sì che in questi contesti l'intervento del mediatore sia imprescindibile.
Tuttavia è necessario dimensionare il ruolo del mediatore, che potrebbe diventare
preponderante a scapito dello sviluppo e dell’esercizio dell’agency dei migranti stessi, come
dimostra la contrapposizione tra doctor-centered approach e patient centered approach in
cui l'ago della bilancia è l'atteggiamento del mediatore linguistico-culturale.

Il contesto penitenziario
Riprendendo il tema della fragilità della salute mentale, è necessario ribadire che esso
costituisce un nodo fondamentale all'interno del contesto penitenziario in cui la presenza del
mediatore linguistico-culturale è diventata imprescindibile. In Europa, la componente dei
detenuti stranieri sul totale della popolazione carceraria ha assunto una grande rilevanza,
rendendo il carcere un ambiente plurilingue e pluriculturale, in cui la convivenza forzata
scatena più facilmente il conflitto, soprattutto a causa delle barriere delle incomprensioni
linguistiche e culturali. Se a ciò si aggiunge la complessità comunicativa determinata dalla
necessità di confrontarsi con testi scritti di natura burocratica-giuridica, con la necessità di
usare il codice scritto per qualunque richiesta, in un ambiente caratterizzato da alti tassi di
analfabetismo, è facile comprendere come quella tra “le limitate capacità lavorative del
migrante e la complessità dell’input si configuri come una lotta impari".
In Italia i reclusi stranieri rappresentano oggi il 32,5% del totale della popolazione detenuta e
tra le nazionalità presenti ci sono: la marocchina, la rumena, l'albanese, la tunisina e la
nigeriana, ciascuna delle quali è portatrice di un patrimonio linguistico e culturale che va al di
là di quello che si potrebbe rappresentare facendo riferimento alla nazionalità dei detenuti.
A proposito della situazione sociolinguistica in carcere, l'ordinamento penitenziario italiano
prevede la presenza di mediatore all'interno degli istituti di pena il cui intervento si configura
come urgente e necessario.
Quali sono i compiti e le funzioni svolte dal mediatore all'interno del carcere? La figura
del mediatore è una presenza cruciale sia dal punto di vista intramurario, facilitando i
meccanismi di comprensione e comunicazione del detenuto straniero nelle dinamiche della
quotidianità detentiva, sia da un punto di vista extra murario, assolvendo al compito di
intermediario per il mantenimento e lo sviluppo della rete di relazioni sociali che interessano
il rapporto tra il recluso, il territorio circostante ed eventuali collegamenti nei paesi di origine.
Gli elementi comunicativi che dovrebbero coinvolgere la figura del mediatore nel carcere
possono essere:
● il momento dell'ingresso nella struttura, per chiarire le regole di comportamento e i
diritti del detenuto;
● i momenti legati alla pianificazione e progettazione di interventi dedicati (ad esempio
calendario di incontri traduzione di messaggi e foglietti informativi);
● l’accompagnamento all'inserimento in un eventuale realtà lavorativa per
comprendere regole e funzionamento;
● i colloqui con il legale assegnato;
● la redazione delle richieste in forma scritta;
● i momenti di incontro con il personale penitenziario per rispondere a domande e
chiarire aspetti oscuri delle relazioni interculturali di cui sono protagonisti gli attori del
contesto penitenziario.
Per questo nell'attuale contesto detentivo è indispensabile che il personale penitenziario
venga messo nelle condizioni di decodificare i codici di comportamento e i valori di
riferimento propri dei detenuti stranieri, al fine di evitare che dalle incomprensioni derivi una
discriminazione sostanzialmente frutto dell'ignoranza delle altre culture.

SFRUTTARE CONTESTI SOCIALI, AMBIENTI DIGITALI E RETI DI RELAZIONI COME


STRUMENTO DI FACILITAZIONE E MEDIAZIONE
Nel mondo contemporaneo, gli individui abitano spazi fisici e digitali, all'interno di questi
ultimi la comunicazione avviene quando si usa la tecnologia attraverso l'uso di computer,
smartphone, pc, app e social network. Gli interventi di mediazione linguistico-culturale
possono avvenire anche nello spazio digitale, secondo modalità in parte condivise con le
situazioni in cui avviene tradizionalmente la mediazione e in parte determinate dal medium
usato con delle forme di adattamento. Molti degli eventi comunicativi in cui si svolgono
interventi di mediazione, prevedono la compresenza degli interlocutori del mediatore;
tuttavia, nei casi in cui è impossibile per il mediatore culturale essere fisicamente presente,
l'intervento di mediazione condotto attraverso le piattaforme di comunicazione è un valido
metodo di supporto.
A seguito di una ricerca sui servizi di mediazione interculturale e condotta in Emilia-
Romagna emerge come i mediatori abbiano creato nuovi setting relazionali e nuove forme di
erogazione/fruizione di servizi adattandosi ad agire da remoto secondo una nuova prassi
operativa definita "mediazione digitale".
In queste nuove modalità, la relazione con gli utenti stranieri è facilitata dal fatto che molti
immigrati hanno già familiarità con videochiamate e altre forme di comunicazione a distanza,
dal momento che costituiscono un modo per restare in contatto con le comunità di origine, è
ovvio che queste modalità hanno da una parte determinato la necessità di porre attenzione
ad alcuni aspetti legati alla privacy, ma dall'altra hanno amplificato le opportunità ed
espansione ambienti di interazione e apprendimento.
Sfruttando l'uso degli smartphone da parte dei migranti, negli ultimi anni si sono moltiplicate
le iniziative e i progetti di formazione che hanno posto al centro le nuove tecnologie come
strumenti "facilitatori della cultura della partecipazione”.
I processi di integrazione dei migranti nelle nuove società sono tanto più efficaci quanto più
sono precoci. Le migrazioni programmate, o quelle "economiche", prevedono
l'organizzazione di attività pre-partenza (PDO session) con lo scopo di “preparare il
terreno” per l'arrivo dei rifugiati nelle società di accoglienza attraverso l'organizzazione di
sessioni di orientamento culturale e linguistico. L'Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni (OIM) realizza nei paesi di partenza o di transito centinaia di sessioni di
orientamento pre-partenza classificate come vere e proprie attività di mediazione linguistico-
culturale preparatoria sia per i migranti che per le comunità delle società di arrivo.
Gli obiettivi da raggiungere sono sistematizzati in una “declaratoria" contenuta all'interno del
documento OIM: ridurre l'ansia e i timori per la partenza con una corretta informazione e
un'adeguata formazione che consentono ai rifugiati di sviluppare le capacità di adattamento
per affrontare l'ignoto e le aiutano a modellare gli atteggiamenti verso la vita nella loro nuova
società, allo stesso tempo l'orientamento culturale offre l'opportunità di stabilire collegamenti
tra il paese di origine e il paese di destinazione, nonché è un'opportunità per la comunità
ricevente per saperne di più sulla cultura e il profilo di questi nuovi membri della loro società.
Le attività pre-partenza possono essere condotte anche a distanza nel caso le condizioni
non permettono alle famiglie e/o agli individui di dislocarsi là dove si tiene l'orientamento.
Grosso, ha affermato che è possibile formulare una proposta di progettazione didattica
partendo dall'assunto che è fondamentale per le attività PDO, considerare l'aspetto relativo
alla modulazione delle aspettative e la riduzione dello shock culturale che potrebbe essere
determinato dal contatto con la società di accoglienza per i neo arrivati e con le nuove
lingue, culture, abitudini e vissuti di cui sono portatori i migranti per i membri che già vivono
nelle società di arrivo.
Quindi le attività di formazione linguistica si potenzieranno contestualmente alle competenze
implicite (socioculturali, pragmatiche, extralinguistiche) che permetterebbero agli
apprendenti di decodificare i contesti nei quali si troveranno a vivere.

CAPITOLO 3: L’IMMIGRATO NELLE RAPPRESENTAZIONI MEDIATICHE: IL


CASO DEL CINEMA

CINEMA E STORIE DI MIGRAZIONE NEL MEDITERRANEO


Il mediatore linguistico-culturale si occupa di favorire la comprensione e la comunicazione
tra individui, gruppi di persone, organizzazioni e servizi appartenenti alla cultura di
appartenenza e quelli di altre culture e di cui è competente. Il suo intervento consiste in
attività di traduzione linguistica scritta e/o orale, di intermediazione e di consulenza culturale:
a partire da una profonda competenza delle lingue straniere, e dei relativi sistemi culturali,
ha il ruolo di facilitare e rendere efficace la comunicazione e le relazioni tra locutori di lingue
differenti, di comprendere termini, concetti, nuove idee.
Le difficoltà di comunicazione possono avere varie cause:
● differenze linguistiche o terminologiche;
● mancanza di competenze nell'altra lingua o di gestione di registro;
● carenze cognitive e accesso insufficiente all'istruzione;
● basso livello di alfabetizzazione;
● mancanza di informazioni pertinenti;
● differenze culturali;
● handicap
i migranti possono incontrare molti di questi ostacoli al loro arrivo in un nuovo paese ma la
mediazione riguarda tutti, è molto importante per chiunque scopra un paese, la sua lingua e
la sua cultura, è parte integrante dell'educazione della maggior parte dei tipi di
apprendimento e della vita in generale. La mediazione si realizza oltre che con modalità di
comunicazione linguistica con mezzi non linguistici come i gesti, le immagini, gli
atteggiamenti.
I migranti hanno bisogno dell'intervento di mediazione da parte di persone che a loro volta
hanno vissuto l'esperienza migratoria stessa o da altri professionisti della comunicazione, e
a volte questo supporto è accompagnato da servizi di interpretariato fornito da insegnanti e
volontari, attraverso corsi di lingua, che mettono a disposizione le loro conoscenze
assumendosi la responsabilità di mediatori programmando attività pratiche per formare i
migranti a chiedere informazioni, assistenza linguistica o indicazioni, a divenire indipendenti
utilizzando internet o consultando documenti di varia natura.
Le competenze del mediatore sono preziose in una vasta gamma di situazioni, alcune
consolidatesi come la mediazione aziendale, altre in crescita e in via di definizione come la
mediazione nei centri di accoglienza o nelle carceri. La mediazione educativa che attribuisce
l'insegnante (L1, L2/LS) ha la funzione di educare all’intercultura e al plurilinguismo e si
propone come processo oltre che come azione, si intreccia con la traduzione di cui accentua
la dimensione interattiva nei suoi rapporti in ambiti di particolare rilievo nella società
contemporanea con riferimento a situazioni di comunicazione asimmetriche, agli aspetti etici
e ai 5 livelli problematici della comunicazione (prelinguistico, linguistico, metalinguistico, per
differenza nei valori, per differenze culturali).
Spesso, i membri delle comunità ospitanti ignorano o dimenticato il ruolo che possono
svolgere nel processo di integrazione: contrastare la discriminazione, la xenofobia e i
pregiudizi con una loro maggiore sensibilizzazione sui tipi di mediazione linguistica e
culturale che possono offrire in modo informale aiutandoli a non vedere gli altri solo dal
proprio punto di vista.
Dal momento che l'attività di mediazione implica una conoscenza interculturale in equilibrio
tra la società di accoglienza e quella di partenza dei migranti per favorire l'integrazione nel
paese di arrivo, è utile che essi conoscano anche le rappresentazioni che le società di arrivo
costruiscono sulla migrazione per prevenire eventuali problemi di comunicazione e che le
società ospitanti assumano una visione scevra da pregiudizi di come esse stesse li
rappresentano.
Uno dei più potenti mezzi di costruzione di diffusione di rappresentazioni è quello
cinematografico, specchio di comportamenti, ideologie, pensieri e stereotipi. Si tratta di uno
strumento impiegato nella didattica delle L2 che risulta molto efficace con classi di ogni
livello di competenza e per la formazione di figure di educatori e operatori sociali.
Il cinema è storia, ma anche identità, tramite la mediazione di un linguaggio estetico si pone
il rapporto dialettico con le coscienze e concorre a formare identità, avvisare le mutazioni di
costume che sono per loro definizione in continua mutazione, a riconoscere sé stessi se non
si ha paura dell'altro.
L'analisi dei conflitti culturali che provengono da scontri e incontri è necessaria per poter
superare le barriere suscitate dalle differenze, la confusione che è generata e i pregiudizi,
per comprendere meglio l'altro. Rappresentazioni delle lingue e delle culture altrui sono
sempre state presenti nel cinema e impiegate per effetti umoristici, soprattutto nel genere
commedia, tra i più apprezzati dal grande pubblico, attento alle soluzioni linguistiche e a
malintesi culturali così come ai mutamenti della società.
La comicità, associata nelle produzioni Italiane a tratti diatopici è legata alla provenienza
regionale degli attori, ha trovato la sua massima espressione nella commedia all'italiana e in
ciò che da essa è derivato, con la costante di presentare contenuti drammatici e al
contempo di produrre un “riso amaro", la commedia all'italiana, per usare le parole di
Monicelli, è servita a dare un'immagine dell'Italia e degli italiani agli italiani stessi.

Oggi due tipologie di film portano sullo schermo le dinamiche migratorie: i film di impegno
sociale e quelli senza pretese artistiche, dal momento che la popolazione del paese
ospitante conosce l'immigrato attraverso le immagini che ne danno i mass media o da
contatti sporadici e conoscenze approfondite, ne risulta che viene spesso sottovalutata o
mal interpretata l'importanza dei conflitti culturali, che possono essere traumatizzanti per i
migranti e frustranti per coloro che appartengono alle società di accoglienza.
Tenendo presente che le attività di mediazione e la figura del mediatore non sono ben
definiti sia perché di recente concezione sia perché le forme della mediazione sono varie in
base ai contesti territoriali in cui si realizzano i relativi modelli di integrazione adottati (che
vanno dalla assimilazione, allo scambio interculturale, alla tolleranza) si rileva un'attenzione
che declina le diverse visioni della mediazione anche in base ai propri interessi e alle
competenze necessarie per gli ambiti di riferimento.
Nel cinema si stanno sviluppando rappresentazioni di tutte queste figure e questioni sia
relative alle modalità di ingresso sia l'instaurarsi di diverse relazioni interetniche tra migranti
e popolazioni autoctone, che dei percorsi identitari e interculturali.
Il cinema è un ambiente di metacognizione dalle infinite potenzialità potendo rappresentare
tutto e tutti, che spinge lo spettatore verso processi di identificazione, proiezione,
rappresentazione del contatto linguistico culturale; il cinema delle migrazioni propone figure
di immigrati eterogenee per provenienza, appartenenza etnica, livello d’istruzione,
estrazione sociale, conoscenza della L2 e racconta anche della difficoltà nel tracciare un
profilo univoco dell'immigrato tipo.
Gli obiettivi globali della didattica interculturale sono la capacità da parte
dell'apprendente di orientarsi in una cultura a lui sconosciuta e di essere in grado di avere
un comportamento consono alla situazione comunicativa in cui si trova, per questo è
necessario un certo allontanamento dalla propria cultura per avvicinarsi, comprendendo e
integrandosi, alla nuova.
Il cinema offre una vasta campionatura di situazioni comunicative caratteristiche di particolari
ambiti situazionali: è possibile analizzare gli atteggiamenti degli attori, le loro espressioni, i
turni di parola, la mimica, il modo di gesticolare (tutti elementi che in una comunicazione
reale sarebbero difficili da notare ed esaminare), gli attori poi interpretano un personaggio,
un copione stabilito ma la ricerca della realtà, del verosimile li rendono ugualmente
personaggi veri e credibili.
L'Italia è il paese per eccellenza della migrazione in quanto paese di arrivo e di transito di molti immigrati
dalla seconda metà del 900, in primo luogo punto di partenza di molti italiani emigrati a partire dall’ 800 nelle
varie parti del mondo. Anche di questo fenomeno il cinema ha dato conto in numerose pellicole, utili per
comprendere come certe sofferenze e meccanismi di esclusione siano già stati vissuti da molti italiani e di
come essi siano stati fonte di pregiudizi.
Se si guarda anche al secondo dopoguerra ci si può rendere conto della complessità del fenomeno
migratorio che può essere suddiviso e sintetizzato i quattro cicli:
migrazioni a partire dagli migrazioni dai paesi migrazioni degli anni ‘70 migrazioni, dopo l'11
anni ‘50 fino agli anni ‘80 dell'ex Patto di Varsavia del secolo scorso al settembre 2001 e dopo
del secolo scorso da e dell'ex URSS verso i 2010 circa dei paesi di gli interventi militari degli
zone dall'Europa paesi dell'Unione altri continenti come Stati Uniti in Afghanistan
meridionale Europea a seguito del Filippine, India, Pakistan e in Iraq, da aree di
(Mezzogiorno, Grecia, crollo del muro di Berlino e Bangladesh, America influenza islamica medio
penisola Iberica, ex Latina e Africa orientali ed alcune zone
Jugoslavia) verso regioni occidentale e del Nord, dell'Africa come il Corno
e paesi del centro e del verso tutti i paesi d'Africa, approdato sulle
nord Europa dell'Unione Europea frontiere meridionali
anche quelli meridionali dell'Europa
e balcanici
I paesi dell'Unione Europea hanno reagito in maniera differente a questi flussi migratori:
➢ Belgio, Olanda e Regno Unito hanno concesso molto autonomia alle comunità immigrate, in
particolare a quelle provenienti dagli ex imperi coloniali, ed è stato anche praticato il silenzio sulla
applicazione della sharia tra gli islamici. Dal secondo dopoguerra gli italiani sono emigrati verso
Belgio e Inghilterra impegnandosi nelle miniere e nella ristorazione;
➢ la Germania (o meglio Repubblica Federale Tedesca) ha adottato un approccio all'immigrazione di
carattere temporaneo e dietro l'impiego in attività lavorative, tanto da esportare nella definizione più
sintetica oltre che i suoi confini: l'espressione Gastarbeiter, lavoratore ospite, ha riguardato
inizialmente la categoria degli agricoli italiani di Puglia, Friuli e Veneto e poi dalle altre regioni verso le
fabbriche; gli immigrati italiani dovevano combattere con stereotipi dovuti agli eventi della Seconda
Guerra Mondiale venendo considerati traditori e vigliacchi. Solo di recente ha varato la nuova
normativa sull'immigrazione offrendo l'opzione della cittadinanza per i lavoratori stranieri stabilmente
residenti e per i loro figli;
➢ la Francia ha puntato all'integrazione senza impedire che si sviluppasse la ghettizzazione almeno nei
confronti dell'immigrazione araba e delle ex colonie del Nord Africa, gli italiani iniziano dall’800 a
spostarsi in grandi numeri verso questo paese confinante che negli anni ‘50 rappresenta la principale
metà del flusso migratorio;
➢ l'Italia e la Spagna sono divenuti solo recentemente paesi di immigrazione e hanno adottato politiche
più "moderne" di accoglienza, legate alla concessione di permessi di lavoro; insieme ad altri paesi che
si affacciano sul Mediterraneo come Grecia e Malta sono luoghi di approdo di flussi umani in cerca di
asilo e di nuove opportunità di vita. Ecco perché il Mediterraneo diviene l'ambiente di molti film recenti
che racconta la storia di immigrazione.
esempio di film sull’immigrazione in Italia: “Babylon fast food” (Valori 2011) Senegal, “Giamaica”
(Faccini 1998), “Ospiti” (Garrone 1998) Albania, “Quo Vado” (Nunziante 2016) vari paesi tra cui la
Norvegia.
Attraverso il cinema è dunque possibile riflettere sulla conflittualità dei rapporti tra individui e culture,
sulle sfide del fenomeno migratorio soprattutto in Italia sulla dimensione e sull'intreccio culturale
linguistico del Mediterraneo in quanto il paese è sede privilegiata per l'osservazione teorica e la
riflessione artistica sul fenomeno della migrazione.

COME PARLANO GLI STRANIERI NEL CINEMA ITALIANO ED EUROPEO


Nella didattica delle L2 il film potenzia meglio la capacità di “fare” attraverso la lingua e la
competenza socio-pragmatica, presentando usi comunicativi anche attraverso input non
linguistici; è pertanto un mezzo di apprendimento motivante, favorisce il confronto, la
collaborazione e la formulazione di ipotesi e le attività di mediazione, ci narra l’importanza
delle parole e la loro stretta connessione con le culture.

Cinema italiano:
❖ presenta una documentazione sempre più attenta alla crescente multietnicità
del paese e del suo parlato, dunque il cinema diviene un ambiente di
metacognizione, di identificazione, rappresentazione del contatto linguistico-culturale
per eccellenza tracciando figure di immigrati eterogenee le cui rappresentazioni
rendono difficile la possibilità di poter tracciare un profilo univoco dell’immigrato tipo.
❖ incontro/scontro tra lingue e culture viene affrontato in chiave impegnata (nel
genere drammatico) e ironica (genere commedia, più adatto ad una riflessione
mediata e metacognitiva perché meglio rappresenta ed enfatizza gli stereotipi mentre
le ideologie sono meno evidenti);
❖ aspetti principali della produzione filmica sulla migrazione in Italia evidenziati
dal corpus LICCM (Lingua Italiana Cinema e Cultura della Migrazione):
1. gli atteggiamenti identitari dei migranti e dei parlanti nativi veicolati dagli usi
linguistici, il modo in cui essi vengono modulati attraverso gli usi linguistici e il
ruolo giocato dall’italiano di contatto nella definizione dell’identità dei migranti
stessi;
➔ assenza dell’articolo;
➔ uso di connettivi inadeguato al livello di italiano;
➔ parlato per giustapposizioni;
➔ uso errato di forme e tempi verbali;
➔ omissione o uso errato di preposizioni
il Foreigner talk è presente soprattutto nella commedia e si realizza più
frequentemente con l’uso di verbi all’infinito, la loro omissione o la
sillabazione, il rallentamento della velocità dell’eloquio.

2. la riflessione metaculturale, culturale e metalinguistica presente, in particolar


modo se avviene attraverso un confronto esplicito tra: culture, preghiere e
simboli religiosi, posizioni conservative di adulti vs. integrative di giovani, cibo,
atteggiamento, aspetti non verbali come gestualità, stereotipi, distanze, spazi
privati e pubblici e tracce dell’“altro”.

3. Strategie di sopravvivenza e non condivisione dello stesso codice di gestione


dialogica
esempio: in “Lezioni di cioccolato” Mattia cerca di intraprendere una
conversazione telefonica con Kamal al cellulare omettendo il preambolo
imprescindibile per Kamal per l’apertura di una conversazione: la richiesta di
informazioni sulla sua salute e su quella della sua famiglia.
❖ mostra diverse tipologie di interlingua:
➢ code mixing = combinazione di due o più varietà linguistiche del parlato
➢ code switching = passaggio da una lingua a un'altra, o da una lingua a un
dialetto
➢ translanguaging

L’integrazione dei migranti con le società di accoglienza è un processo multidimensionale


che coinvolge diverse variabili: ambito professionale, elementi che creano distanza o
vicinanza alla cultura del paese ospite, genere, status giuridico, natura del progetto
migratorio, atteggiamenti convergenti/divergenti degli individui in relazione al fenomeno,
includendo anche le differenti politiche per l’immigrazione.

AUTORAPPRESENTAZIONI E STEREOTIPI
Le riflessioni metaculturali sono favorite dalla visione del film per il loro potere di mostrare le
varie sfaccettature della vita e soprattutto, nei casi in cui producono il sorriso, di provocare
empatia per i migranti aiutando a comprendere meglio i loro punti di vista e i loro bisogni.
Nel caso dell’emigrazione italiana, sono tanti i pregiudizi e gli stereotipi diffusi all’estero
come quello che gli italiani siano tutti mafiosi, delinquenti, imbroglioni, inaffidabili, dalla
scarsa igiene e per quanto riguarda la popolazione femminile di essere baffuta (come è
mostrato nel film “Bello, onesto emigrato…”).

La riflessione metaculturale, culturale e metalinguistica


Le lingue sono segni di appartenenza, visioni del mondo, identità, ma sono basate anche su
impliciti culturali non evidenti che possono distorcere la comunicazione.
La riflessione metaculturale, culturale e metalinguistica è rilevabile in particolar modo se
avviene attraverso un confronto esplicito tra: culture, preghiere e simboli religiosi, posizioni
conservative di adulti vs. integrative di giovani, cibo, atteggiamento, aspetti non verbali come
gestualità, stereotipi, distanze, spazi privati e pubblici e tracce dell’“altro”.
La capacità di comunicare in modo appropriato ed efficace in una situazione interculturale
(ricorrendo ad aspetti linguistici e culturali) si manifesta e si serve di:
★ attitudini (curiosità, apertura, rispetto, tolleranza dell’ambiguità);
★ conoscenze (adozione di comportamenti idonei alla situazione, autoconsapevolezza
culturale, comprensione dell’influenza dei contesti nelle visioni del mondo,
consapevolezza sociolinguistica);
★ abilità (saper ascoltare, osservare, analizzare, interpretare, creare collegamenti).
La riflessione metaculturale ruota attorno a temi noti come i riferimenti ai colonizzatori
bianchi, le torture che fecero subire gli schiavi neri; gli stereotipi che si abbattono sul colore
della pelle; caratteristiche fisiche.

Temi culturali ricorrenti nella filmografia dell’immigrazione italiana:


● amore, famiglia → matrimonio che in alcuni casi è combinato;
● integrazione;
● mediazione e identità;
● contrasti generazionali tra genitori e figli di immigrati;
● gestione dei due codici;
● religioni → “Bangla” il ragazzo Phaim sfida la religione riguardo le proibizioni di
mangiare maiale o bere alcol;
● razzismo e pregiudizi;
● ruolo della donna;
● clandestinità;
● prostituzione/abusi;
● valori del cibo e della cucina → fraintendimenti generati dall’incontro/scontro con le
tradizioni autoctone confermano l’idea che la cucina sia una manifestazione di
identità profonda;
● abbigliamento;
● ignoranza, non conoscenza dell’altro e delle altre culture;
● auto/etero riflessioni sulla diversità;
● aspetti non verbali come la stretta di mano sostituita dall’inchino.

CAPITOLO 4: DIDATTICA DEL CONTATTO LINGUISTICO E CULTURALE

APPROCCI NATURALI E TRANSLANGUAGING


Nella maggior parte delle società europee alle lingue nazionali ufficiali, alle lingue minoritarie
regionali, alle minoranze linguistiche si sono aggiunte da alcuni anni le lingue di nuovo
inserimento, di cui sono portatori gli immigrati, e le varietà linguistiche “di contatto”, nate
in seno a processi di creatività linguistica che riguardano l’appropriazione di una o più lingue
da parte di nuovi parlanti attraverso le interazioni quotidiane.
I documenti europei riguardanti i processi di apprendimento/insegnamento delle lingue e
l’integrazione linguistica dei migranti hanno posto al centro della riflessione la competenza
plurilingue e pluriculturale come valore: il CARAP (Quadro di riferimento per gli approcci
plurali alle lingue e alle culture) e il Companion Volume, hanno evidenziato la necessità di
sfruttare il repertorio linguistico degli apprendenti nella sua interezza; il Companion Volume
al CEFR ha offerto un importante contributo alla definizione delle competenze dell’individuo
plurilingue e conseguentemente alla definizione teorica di questo concetto, inserendo dei
descrittori specifici per la mediazione all’interno della scala “Plurilingual and pluricultural
competences”, mentre il descrittore “Creating pluricultural space” è stato inserito nell’ambito
della scala riguardante la mediazione razionale.
Gli approcci plurali sono:
1. l’Éveil aux langues
2. l’intercomprensione
3. l’approccio interculturale
4. la didattica integrata delle lingue
A questi sottende l’idea che il processo di insegnamento/apprendimento linguistico debba
favorire la comunicazione tra i diversi sistemi linguistici gestiti dall’apprendente che
comunicano continuamente creando un sistema di competenze che interagiscono l’una con
l’altra, in contrasto con l’idea che le azioni di educazione linguistica debbano essere
indirizzate a una sola lingua.
Tutti e quattro gli approcci sono stati concepiti per gli apprendenti in età scolare, ma
possono essere applicati all’educazione linguistica degli adulti, e sono stati sperimentati
nell’ambito di progetti europei e in contesto scolastico/universitario.
L’approccio Éveil aux langues (=consapevolezza dei fenomeni linguistici) nasce dal movimento della
language awareness degli anni ‘80 e costituisce uno strumento per la valorizzazione delle lingue che fanno
parte del repertorio linguistico degli individui.
È particolarmente indicato con gli studenti immigrati/allofoni anche e soprattutto perché offre dignità al
patrimonio linguistico pregresso dello studente; può accompagnare il percorso di apprendimento della L2
permettendo l’espansione del repertorio con continui rimandi alle esperienze linguistiche dello studente.
Un esempio è offerto dal contributo di García in cui si fa riferimento all'esperienza didattica durante una
lezione di tedesco come L2 in cui l’insegnante, a partire dalle lingue di origine di uno studente
sudamericano, il quechua e lo spagnolo, invita l’intera classe a richiamare e a usare i propri repertori
linguistici, con ciò ottenendo un forte coinvolgimento emotivo degli studenti e un ancoraggio dell’esperienza
di apprendimento all’esperienza di vita di questi ultimi.

L’approccio dell’Intercomprensione prevede una didattica improntata al confronto costante, tra due o più
lingue che appartengono alla stessa famiglia linguistica.
Applicato in moltissimi progetti nazionali e europei incentrati in un primo momento sullo sviluppo dell’abilità
di comprensione, ha riscosso molto successo per la didattica delle lingue romanze, con progetti dedicati a
specifici pubblici (bambini, studenti universitari).

L’approccio interculturale si basa sull’idea che l’educazione plurilingue e interculturale siano un aspetto
fondamentale dell’educazione in contesti eterogenei e coinvolgano l’intera classe. Promuove la
conoscenza condivisa dei background di tutti gli studenti come strumento per la costruzione dell’identità
personale e collettiva degli studenti.

La didattica integrata delle lingue prevede l’apprendimento di più lingue con l’obiettivo di facilitare
l’accesso alla L2 a partire dalla L1, e alla L3 sfruttando le conoscenze acquisite in L2.
Un esempio potrebbe essere il CLIL.

Nell’insegnamento delle lingue, le strategie di mediazione sono una risorsa comunicativa


preziosa, anche quando non si stratta di strategie prettamente didattiche ma spesso adottate
(inconsapevolmente) in contesti sociali fuori dalla classe.
Le attività di mediazione, orale e scritta, proposte all’interno della versione originale del
CEFR sono state definite come attività di mediazione prettamente linguistica:
➔ le attività di mediazione orale comprendono: l’interpretazione simultanea,
l’interpretazione consecutiva e l’interpretazione informativa;
➔ le attività di mediazione scritta comprendono invece: la traduzione esatta, la
traduzione letteraria, riassunto (nella stessa lingua del testo originale o in un’altra
lingua) e parafrasi.
La mediazione linguistica viene descritta nel CEFR in termini di micro-abilità (=attività
linguistiche che ogni utente competente è in grado di svolgere in tutti gli ambiti della vita
quotidiana). Tra le micro-abilità spiccano:
● riassumere/sintetizzare;
● parafrasare (=spiegare con altre parole);
● apostillare (=fare un commento);
● mediare (=fornire spiegazioni e chiarimenti);
● interpretare (=fare una traduzione orale);
● negoziare (=arrivare a un accordo)

Nel CEFR e nel Companion Volume, la mediazione viene rappresentata come un’abilità
chiave dei processi di apprendimento linguistico, tanto da meritare una denominazione
specifica: mediazione pedagogica, la quale presuppone una facilitazione e trasferimento di
contenuti da parte del docente agli studenti, il supporto nello sviluppo di un pensiero critico e
nella co-costruzione del senso all’interno di un gruppo e coinvolge gli insegnanti, i genitori e
gli alunni.
Fra le pratiche di mediazione informale in contesto didattico è possibile includere il
cosiddetto language brokering (=messa in atto di pratiche di mediazione linguistica e
culturale a opera di bambini e ragazzi, figli di immigrati o appartenenti a minoranze etnico-
linguistiche in svariati contesti come riunioni, colloqui, incontri tra scuole e famiglie cercando
di colmare la mancanza di informazioni e le incomprensioni tra scuole e famiglie di origine).
Il presupposto da cui si parte per delineare approcci e pratiche didattiche nell’ambito del
contatto linguistico e culturale sono i concetti di translanguaging e plurilingual
resourcefulness. Questo approccio promuove una visione non deficitaria degli individui che
invece vengono stigmatizzati per l'appartenenza alla categoria degli adulti immigrati e una
valorizzazione delle risorse di cui essi sono portatori.
Adottando un approccio basato sul translanguaging ci si propone di potenziare le risorse
linguistico-culturali già in possesso dei migranti, ciò può avvenire abbracciando una
prospettiva legata al concetto di resourcefulness che fa riferimento all’insieme di risorse
accumulate nel tempo non soltanto da un individuo ma da un’intera comunità e che possono
essere impiegate per un coinvolgimento attivo e trasformativo nella società.
Questa prospettiva riflette quella presente all’interno del CEFR, che definisce il
plurilinguismo come “capacità che una persona ha di usare le lingue per comunicare e di
prendere parte a interazioni interculturali, in quanto padroneggia, a diversi livelli,
competenze in più lingue ed esperienze in più culture, si tratta di una competenza
complessa o addirittura composita su cui il parlante può basarsi”.
Ciò è sostenuto dall’ampia accettazione e diffusione della teoria dell’interdipendenza
secondo la quale le risorse linguistiche degli individui, e di conseguenza l’accesso ad
ognuna delle lingue conosciute, sarebbero interconnesse nella comune facoltà di linguaggio
propria degli esseri umani e nella realizzazione della competenza comunicativa.
Le pratiche plurilingui di translanguaging prevedono che gli individui interagiscono
combinando elementi di diverse lingue e codici semiotici, sia nelle interazioni “reali” che
nelle interazioni sui social media e in tal modo sia i paesaggi linguistici individuali sia i
paesaggi linguistici pubblici sono caratterizzati dalla compresenza di più codici nell’uso dei
parlanti. Questa fluidità, deriva dalla condizione ormai deteriorizzata delle lingue che sono
diventate lingue usate dalle comunità diasporiche diffuse in tutto il mondo, ha posto la
necessità di mettere in discussione sia il concetto di “parlante nativo” che quello di
“integrazione linguistica”, così come i concetti di L1 contrapposta a L2 e di bilinguismo.
Questa prospettiva consente di identificare l’essenza del translanguaging: la possibilità per
l’individuo di vedere riconosciuto nella sua interezza il proprio patrimonio e la propria identità
plurilingue e la possibilità di avvalersene per poter comunicare. Il riconoscimento delle lingue
che sono parte del patrimonio linguistico degli individui è una pratica valida non solo in
ambito didattico ma in tutti i contesti che riguardano la prima e la seconda accoglienza dei
migranti.
Per poter far accrescere la consapevolezza interlinguistica e interculturale bisogna:
➢ far circolare maggiormente informazioni attendibili sulle risorse linguisticamente di cui
sono in possesso i migranti e usarle per facilitarne l’integrazione in contesti di
accoglienza, didattici e quotidiani;
➢ dare avvio a processi di metariflessione a partire da informazioni a concetti condivisi.

Il docente mediatore, è al centro di un processo di triangolazione in cui l’oggetto di studio


(la lingua o la disciplina di studio) è messo in comunicazione con lo studente. Secondo
Kohler, il docente è colui che fornisce informazioni al principiante avvicinando ciò che è
nuovo e trasformandolo in conosciuto, attraverso l’uso di strumenti; il docente assume il
ruolo di facilitatore e regista. Il lavoro di mediazione si svolge con l’intera classe, anche se
specifiche azioni di mediazione devono essere messe in campo per categorie di alunni
considerati maggiormente vulnerabili, come gli alunni disabili o gli individui che presentano
un percorso di scolarizzazione nulla o interrotta. Il docente deve mediare, quindi:
❖ a livello socio culturale, rendendo consapevoli gli studenti delle pratiche discorsive e
delle dinamiche comportamentali che caratterizzano la classe;
❖ a livello linguistico, attuando strategie di semplificazione dei testi con cui gli studenti
vengono a contatto;
❖ a livello contenutistico, avvicinando i contenuti specialistici della disciplina
attraverso la loro traduzione in termini più comprensibili e accessibili.
La mediazione del docente passa attraverso strategie concrete, tra le quali occupa un posto
di fondamentale importanza la semplificazione dei testi, il cui approccio può rappresentare
un ostacolo insormontabile.

Il volontario/mentore mediatore, la relazione tra “mentor” =volontario e “mentee” =


rifugiato/immigrato, è molto delicata dal momento che coinvolge aspetti psicologici non
secondari. Nonostante tutti i limiti l’affidamento di un immigrato o di una famiglia di
neoarrivati a un volontario membro esperto della società di accoglienza, si è dimostrato
efficace per migliorare l’inclusione sociale dei migranti e per la creazione di una società
caratterizzata da maggior coesione perché improntata alle relazioni tra persone, con un
beneficio esteso e reciproco di società di arrivo e migranti.
Il ruolo dei mentori nell’integrazione dei migranti neoarrivati è cruciale, dal momento che essi
si trovano a svolgere funzioni fondamentali per il processo di socializzazione. I mentori
possono essere a loro volta ex rifugiati reinsediati, rappresentando quindi una risorsa
importante sia per gli immigrati che per istituzioni, le organizzazioni e i servizi dedicati a
migranti o che interagiscono con essi.
Molto spesso, queste figure non sono formate adeguatamente e possono generarsi dei
corto-circuiti nella comunicazione, i quali possono essere ovviati:
★ analizzando casi di studio riguardanti relazioni di mentoring per individuare all’interno
delle relazioni dinamiche di inclusione/esclusione;
★ formando adeguatamente le figure che ricopriranno questo ruolo;
★ mettendo in atto un processo continuo di valutazione dell’esperienza di mentoring, in
modo da monitorare ex ante, in itinere ed ex post le attitudini di mentors e mentee a
questa relazione e le eventuali difficoltà sperimentate.

STRATEGIE DIDATTICHE PER LE CLASSI PLURILIVELLO


Una didattica efficace, improntata al translanguaging e basata sui bisogni di una classe
multilivello, può basarsi sul modello operativo da usare dell’UdA. È importante, secondo
Caon e Tonioli applicare nelle classi di adulti migranti, specie quelle dove siano presenti
adulti a bassa scolarizzazione/con percorsi interrotti, una didattica improntata ad alcuni
principi:
1. “una varietà della didattica all’interno dell’aula” comprendente materiali, contenuti e
tecniche didattiche per rispettare i diversi stili cognitivi, di apprendimento e i diversi
retroterra di scolarizzazione degli studenti;
2. “un’organizzazione flessibile della classe”, per valorizzare sia gli studenti con
maggiori competenze che quelli che presentano difficoltà di apprendimento;
3. “una concezione cooperativa e basata sull’aiuto reciproco tra gli studenti” che
portano a termine dei compiti collaborando e stimolando il confronto reciproco tra
lingue e culture;
4. la differenziazione dei compiti e delle attività proposte a seconda del grado di
difficoltà per mettere gli studenti a proprio agio.
Nella stragrande maggioranza dei casi i materiali didattici multilivello destinati ad adulti
immigrati e presenti oggi sia nell’editoria nazionale e internazionale abbiano recepito queste
indicazioni:
● segnalano la presenza di attività stratificate per i diversi livelli dei destinatari;
● propongono testi autentici e ancorati ai bisogni comunicativi degli apprendenti;
● presentano attività che valorizzano gli aspetti interculturali e di interazione con la
comunità ospitante;
● fanno riferimento ad approcci autobiografici per usare come base per la didassi le
esperienze di vita degli studenti adulti e motivare così i processi di apprendimento.
Lo strumento Toolkit per il supporto linguistico a rifugiati, pubblicato dal Consiglio
d’Europa, è uno dei migliori strumenti disponibili per l’organizzazione interna e la versatilità
dei contenuti proposti.
Al suo interno vengono proposti gruppi di attività suddivisi per tema/obiettivo: per
cominciare, apprendere il vocabolario, riflettere sull’apprendimento linguistico, scenari per il
supporto linguistico, orientarsi nello spazio e interagire con la comunità ospitante. I quali
sono strumenti che hanno l’obiettivo di accrescere la consapevolezza degli studenti
immigrati e di sviluppare le competenze di mediazione così come intese nel Companion
Volume attraverso attività task-based.
esempi di strumenti utili: attività collegate all’uso dei dispositivi mobili e delle nuove
tecnologie o app collegate ai manuali didattici, gli strumenti di condivisione di contenuti.
BUONE PRATICHE IN CONTESTI FORMALI E NON FORMALI
L’integrazione nel curriculum di attività che contribuiscono alla consapevolezza linguistica e
culturale favorisce la creazione di un ambiente multiculturale e offre l’opportunità agli
studenti di ampliare i loro confini culturali e linguistici.
Attività che si svolgono in contesti scolastici o presso dei corsi di L2 per migranti e che
promuovono l’integrazione della cultura e della lingua dei diversi membri nel processo di
insegnamento/apprendimento:
1. il ritratto plurilingue = chiedere agli studenti di disegnare una figura vuota per creare il
proprio ritratto plurilingue.
- presenta il task come un’attività spontanea e intuitiva e anticipa che
successivamente ci sarà il tempo per riflettere su ciò che hanno
creato;
- incoraggiali a includere tutte le varietà linguistiche (i dialetti sono
tanto importanti come le lingue standard);
- spiega loro che il livello di competenza non è importante;
- chiarisce che, se preferiscono, possono scrivere il nome delle lingue
nella figura invece di colorarla;
- dopo aver consentito a tutti i rifugiati di completare il proprio ritratto,
forma delle coppie affinché gli stessi possano parlare tra loro dei vari
repertori emersi, usando domande per esempio:
- dove si usano le diverse lingue (in famiglia, con gli amici, al lavoro)?
- quali lingue sono importanti/rispettate all’interno delle varie comunità?
- parlano una lingua o un dialetto che non riceve lo stesso rispetto?
- ci sono situazioni in cui usano più lingue allo stesso tempo per
comunicare con altre persone?

Attività implementate e proposte in contesti scolastici plurilingui e pluriculturali, e sfruttano il


tessuto urbano, altrettanto plurilingue e ricco di simboli, per trasformare gli alunni in
ricercatori sviluppandone le curiosità:
1. attività sperimentata al centro storico della città di Barcellona, la quale proponeva di
mettere l’alunno al centro del processo educativo e far creare agli studenti
un’enciclopedia visiva multilingue, per permettere alla classe di riflettere sulla
diversità linguistica e confrontare le lingue; imparare a osservare l’ambiente, a fare
una presentazione formale, a usare le tecnologie. Il prodotto finale si proponeva
inoltre di supportare gli alunni neoarrivati nella comunicazione a scuola.
In contesto europeo, la scuola svolge quindi un ruolo di fondamentale importanza nel
processo di integrazione e inclusione sociale. La scuola italiana, luogo per eccellenza di
plurilinguismo e contatto, ha risposto alla sfida di integrazione degli alunni stranieri
attraverso cinque documenti:
1) La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri
2) Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione
3) Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri
4) Diversi da chi? Raccomandazioni per l’integrazione
5) L’italiano che include: la lingua per non essere stranieri. Attenzioni e proposte per un
progetto di formazione linguistica nel tempo della pluralità.
All’interno di questi documenti si evidenzia la necessità di valorizzare le lingue che
compongono il repertorio linguistico degli studenti, coinvolgere le famiglie di origine
immigrata e rassicurarle sull’uso della lingua di origine nel contesto familiare, assicurare la
visibilità simbolica a tutte le lingue nei contesti scolastici.
Il Centro COME, attivo nel settore della mediazione linguistico-culturale e della didattica
dell’italiano L2, propone specifiche attività per la valorizzazione del plurilinguismo a livello
scolastico, oltre che per l’apprendimento dell’italiano L2. Ultimamente ha preso parte al
progetto IRIS (Identifying and Restructuring Individual Language Stories) che ha visto
l’attivarsi di un partenariato composto da: Austria, Francia, Grecia, Italia, Romania e Svezia;
i cui obiettivi principali consistevano nella formazione di insegnanti ed educatori attivi in
contesti multilingue e multiculturali, per ampliarne il bagaglio delle conoscenze attraverso
strumenti, lo storytelling e l’autoriflessione.

CAPITOLO 5: L’ERRORE: ASPETTI PSICOLINGUISTICI E CONTESTI


EXTRASCOLASTICI

DIDATTICA PER ABILITA’ DIFFERENZIATE E NUOVE CONCEZIONI DELL’ERRORE


L’analisi contrastiva sviluppata da Lado si occupa dello studio delle differenze linguistiche al
fine di fornire una rassegna completa delle loro convergenze e divergenze a livello
fonologico e morfosintattico. Lado sosteneva che una descrizione strutturale dei due sistemi
linguistici avrebbe aiutato l’insegnante a prevedere le difficoltà di un apprendimento dello
studente: “i singoli discenti tendono a trasferire forme e significati dalla loro lingua e cultura
nativa alla lingua e cultura straniera, sia sul piano produttivo che su quello ricettivo”, mentre
secondo Weinreich “lo studio parallelo di due lingue” prende in considerazione l’influenza
della L1 sulle nuovi abitudini linguistiche di L2, di conseguenza dei due sistemi linguistici
permetterebbe di classificare e prevedere errori.
Questa interpretazione del contatto tra lingue si ispira ad una concezione dell’apprendimento
come “insieme di abitudini automatizzate” che si rifà alla teoria di Selinker del
“condizionamento”: stimoli corretti, ripetuti correttamente, avrebbero portato a produzioni
linguistiche corrette.
Secondo la “versione forte” dell’analisi contrastiva gli La “versione debole” dell’analisi contrastiva ricerca
errori si produrrebbero nelle zone di differenza fra le cause degli errori al fine di impostare opportune
L1 e L2, e l’apprendimento di una lingua straniera strategie didattiche, spostando l’attenzione sulle
consisterebbe nel superamento di tali differenze. varianti individuali poiché sono gli individui a
L’analisi contrastiva ha mostrato presto i suoi limiti comunicare, i quali hanno le loro personalità,
subendo delle critiche per il suo carattere sentimenti e convinzioni.
meccanicistico e per l’impossibilità di disporre di L’analisi degli errori dopo aver spostato la sua
analisi comparative di tutte le lingue e delle loro attenzione sull’apprendente, elabora la nozione di
varietà interne, inoltre tutti gli studi sull’errore si interlingua= processo di avvicinamento da una
basavano su classi di apprendenti linguisticamente ipotetica conoscenza zero della lingua target
omogenee. verso l’altrettanto ipotetica conoscenza piena
Secondo Flynn l’analisi contrastiva non ha neppure della lingua target, connotata in ogni suo stadio di
dimostrato che l’acquisizione sia realmente facilitata avanzamento da caratteristiche dei due sistemi
quando i due sistemi linguistici sono simili e invece linguistici coinvolti nel processo stesso.
ostacolata quando sono diversi, ma il limite principale Gli errori vengono interpretati come tappe necessarie
è che essa si concentrava soprattutto sul transfer per impadronirsi di tale lingua e come rilevatori di ciò
negativo. A proposito del transfer Klein ricorda che che l’apprendente ha scoperto, imparato e processato
sarebbe il modo in cui l’apprendente tratta le proprietà anche se non correttamente: rivelano cioè che c’è
strutturali che importerebbe piuttosto che il confronto stato un “noticing” nell’apprendimento di Ls/L2
di tali proprietà, inoltre molti errori possono avere l’errore diviene fonte di informazioni sul processo di
cause non dovute al transfer che non funziona allo apprendimento rivelatrice delle ipotesi fatte
stesso modo per gli aspetti fonologici, morfologici, dall’apprendente e può essere usato per migliorare le
lessicali; infine il transfer si può produrre anche a strategie di apprendimento. In questo modo il concetto
livello concettuale dato che il contesto di L1 implica un di transfer assume una valenza più ampia
determinato sviluppo di concetti come spazio, tempo e dell’interferenza fra L1 e L2 e comprende anche le
modalità. Non tutti gli errori possono essere previsti e regole che l’apprendente costruisce sulla L2 secondo
spiegati con la L1 poiché nell’apprendimento il sociocostruttivismo, il translanguaging e
intervengono anche fatti di natura psicologica, sociale, dell’intercomprensione.
didattica e patologica.

L'apprendimento può essere:


➢ attivo, collaborativo, complesso,
➢ costruttivo, perché le nuove conoscenze si integrano a quelle già possedute;
➢ riflessivo perché le competenze già possedute possono essere usate solo se si
richiede agli allievi di riflettere su ciò che stanno facendo, sulle decisioni che
prendono, sulle strategie adottate e sulle ipotesi che essi si costruiscono, esso
necessita di competenze procedurali perché secondo l’ipotesi del noticing di
Schmidt niente è appreso se non è prima notato, inoltre la consapevolezza di poter
effettuare operazioni di transfer migliora lo sviluppo cognitivo generale e le
competenze di apprendimento della L2 stessa.

Le ricerche sulla produzione linguistica di studenti di diverse nazionalità hanno mostrato che
certi errori sono simili e non derivano esclusivamente dall’interferenza dei due sistemi
linguistici in contatto, ma sono errori di tipo evolutivo e ciò significa che il processo di
acquisizione del linguaggio è uguale per tutti e creativo: gli studenti ricostruiscono
gradualmente le regole e le strutture della L2, guidati da un meccanismo universale innato.

Il modo in cui un parlante acquisisce una Ls/L2 può essere regolato solo dalla grammatica
personale che ciascun individuo si costruisce nella propria L1 e da cui deriverebbero le
regole di acquisizione e di uso della Ls/L2, e da questa visione emergono due criteri
fondamentali: individualità e variabilità.
Partendo da quanto dimostrato da Chomsky (sul fatto che nell’apprendimento si possono
produrre anche regole e modelli che non appartengono né al sistema della L1 né a quello
della L2/Ls) è legittimo ipotizzare una grammatica generata dal parlante senza che questa
appartenenza alla Ls/L2 o alla L1, ma a un sistema intermedio definito "interlingua" da
Selinker, la quale identifica 5 processi fondamentali (transfer da L1 a L21; generalizzazione
delle regole anche quando non si dovrebbe; transfer di modelli fuori contesto; strategie di
controllo della L2; strategie più generali della comunicazione).
Secondo la teoria interlinguistica ogni stadio dell’apprendimento deve essere considerato
come un sistema linguistico vero e proprio con le regole della L1 e della L2 di cui gli errori
sono parte integrante; l’interlingua è inoltre un livello di competenza di transizione che
differisce da apprendente ad apprendente in base a fattori come l’età, la situazione,
l’esposizione alla lingua e il livello cognitivo, che rendono la gestione di una Classe ad Abilità
Differenziate (CAD) ancora più complessa in quanto sono presenti situazioni di disequilibrio
per l’organizzazione e la gestione della didattica, per la comunicazione e la valutazione degli
errori. Le caratteristiche dell’interlingua riguardano 4 variabili:
1. caratteristiche strutturali e tipologiche della L1;
2. fattori individuali;
3. fattori universali linguistici;
4. caratteristiche strutturali e tipologiche della L2.
Appurato poi che l’influenza dei vari sistemi costituiscono la norma si è passati da un
approccio all’interlingua in prospettiva contrastiva ad un approccio all’interlingua in
prospettiva interna, cercando di osservare il sistema di regole della produzione degli
apprendenti in sé stesso, con fenomeni di attrito con lingue che possono essere indotti
esternamente= la L1 porta a generalizzare internamente= i cui fenomeni si
le regole, estendere i significati, effettuare modificherebbero in base a principi
traduzioni letterali universali o in relazione alla grammatica
della L1
Nella misura in cui l’apprendimento è un’interazione di fattori interni ed esterni, la
spiegazione degli errori richiede un modello di analisi specifico e pluridimensionale.
Negli ultimi anni si è sviluppata una linea di ricerca in ambito europeo che si è concentrata
sui processi di intercomprensione (sia spontanea che guidata), si tratta di studi nei quali
l’attenzione alla coppia L1/L2 viene superata per rivolgere lo studio su più lingue
contemporaneamente con il transfer messo a fondamento dell’apprendimento.
Meissner distingue poi 5 tipi di transfer:
- transfer intralinguistico nella lingua di origine;
- transfer intralinguistico nella lingua ponte;
- transfer intralinguistico nella lingua target;
- transfer interlinguistico;
- transfer di apprendimento o didattico
questi tipi di transfer devono essere attivati dall’apprendente che deve passare dalla
mediazione della L1.

ASPETTI FORMALI E PRAGMATICI DELLE PRODUZIONI


Le strategie di comunicazione intervengono quando la comunicazione può essere
compromessa (chi acquisisce una L2 per esposizione naturale e tende ad usarla
spontaneamente utilizzando la parafrasi per superare i problemi di chi la studia a livello
formale). Tuttavia la produzione comporta la progettazione del piano cioè della finalità
comunicativa che richiede di richiamare alla mente modelli di discorso adatti all’occasione.
La teoria della processabilità è un tentativo di spiegare le sequenze evolutive
dell’interlingua sulla base delle abilità procedurali, prevede la necessità di certe procedure di
elaborazione cognitiva dipendente l’una dall’altra che si presentano in ordine gerarchico
implicazionale di modo che la tipologia delle procedure stesse procede per livelli di
accessibilità; questa teoria afferma che ciò che non può essere processato non può essere
acquisito ma accorda particolare importanza anche alla variabilità individuale.
Fino a pochi anni fa, l’unico modo per descrivere la lingua degli apprendenti era in termini di
errori e deviazioni rispetto alla L2, essi possono essere divisi in quattro categorie:
omissione di aggiunta di elementi selezione erronea di errato ordine degli
elementi obbligatori non necessari un elemento elementi
inoltre è valida anche la distinzione tra → errore=frutto di disfunzione della competenza
↘ svista=dovuta a una cattiva ma temporanea
realizzazione della competenza
Una classificazione più accurata comprende anche le fasi di apprendimento e le strategie:
errori di competence e di performance strategie comunicative

errori sistematici e non sistematici strategie percettive

errori endolinguistici e interlinguistici strategie di produzione linguistica

strategie di apprendimento strategia probabilistica (si scelgono le


strutture più frequenti)

Le cause dell’errore possono essere ricercate in tre macro ambiti:


↙ ↓ ↘
nell’apprendente nel processo di apprendimento all’interno delle due
o più lingue a contatto

Un’ulteriore distinzione è quella tra:


criteri interni al sistema linguistico che permettono di criteri esterni che si orientano verso il processo
descrivere il prodotto (=interlingua), ci sono due (=percorso interiore dell’apprendente) e servono a
tipologie: comprenderlo secondo criteri:
1. nella prima, l’osservazione si svolge secondo ❖ longitudinali, si osserva il comportamento e si
criteri formali in cui si isola il messaggio dal ipotizzano i meccanismi che governano il
contesto; processo di apprendimento, si registrano gli errori
2. nella seconda procede secondo criteri di uso, ci in un arco di tempo in base alla quantità e alla
si riferisce alle altre componenti della frequenza (per l’insegnante un errore compiuto
competenza generale, si applica al testo definito più volte dallo stesso allievo è diverso da un
nella sua funzione per vedere la rispondenza errore compiuto dalla maggioranza degli allievi).
alla tipologia testuale in questione. Si distingue anche tra errori pre-sistematici (=di
Secondo questo criterio gli errori sono di 3 tipi: cui si ignora la norma), errori sistematici (=propri
❖ comunicativi o pragmatici (=ignoranza della dell’interlingua), errori post sistematici, errori di
situazione comunicativa e affidamento alla forma esecuzione.
formale); Gli errori possono essere:
❖ referenziali (=non conoscenza degli oggetti del ➢ relativi alla L2, errori intralinguistici, accordo
mondo ed esperienza limitata delle relazioni tra morfologico, uso dei tempi verbali;
loro esistenti); ➢ di ordine interlinguistico cioè in base al
❖ socioculturali (=infrangono le convenzioni del rapporto con la lingua materna dello studente
gruppo sociale) che comprendono anche gli errori occasionali
commessi prima di conoscere l’esistenza di
regole, gli errori cristallizzati prodotti nel
momento in cui l’apprendente tenta di scoprire
il funzionamento di un sottosistema facendo
ipotesi e gli errori superflui dovuti alla
distrazione e alla fretta.
❖ contrastivi, si riferiscono a entrambe le lingue e
riguardano le relazioni interlinguistiche tra L1 e
L2:
➢ in base all’equivalenza (la L1 ha una regola e
la L2 ha la sua equivalente e viceversa,
oppure la L1 ha una regola che non ha
equivalenti nella L2)
➢ in base all’obbligatorietà di alcuni elementi che
pone tre tipi di scelta:
- obbligatoria (es. in italiano l’uso
dell’ausiliare dipende dal verbo)
- facoltativa (es. con un modale possiamo
usare il clitico prima e dopo il verbo)
- zero (es. in italiano non esiste l’oggetto
diretto preceduto dalla preposizione “ho
visto a mia madre”).

La didattica odierna si orienta sull’evitare il punto di vista normativo e sul non dare peso a
risoluzioni di ambiguità, scelte, opposizioni, esclusioni; per cui bisogna studiare queste
problematiche in una prospettiva funzionale e comunicativa facendo rifluire nella didattica
molti concetti di tipo sociolinguistico e poi analizzare anche gli errori che si possono dividere
in due categorie:
1. formali, che riguardano l’ortografia, la fonetica, la morfosintassi;
2. di uso, verificano la rispondenza del testo alla tipologia testuale o alla situazione.

Lo sviluppo della competenza pragmatica è fondamentale qualunque sia il livello di


competenza linguistica, infatti un errore grammaticale è più tollerato e innesca nel nativo un
atteggiamento di disponibilità e aiuto verso lo straniero (accomodamento convergente),
mentre l’errore sociolinguistico, culturale e pragmatico può costruire una distanza malgrado
il senso del messaggio sia stato compreso (accomodamento divergente).
L’errore è quindi una deviazione della norma rispetto:
● a una competenza generale, che comprende la componente linguistica, discorsiva,
referenziale e socioculturale;
● all’interazione comunicativa, ovvero il processo attraverso il quale creiamo,
negoziamo, interpretiamo significati personali che riguarda anche il contesto.
Le teorie sull’apprendimento hanno prodotto diverse posizioni nei confronti dell’errore nel
quale si sintetizza la natura stessa dei metodi e degli approcci e il rapporto tra insegnanti e
apprendenti.

DINAMICHE RELAZIONALI E VALUTAZIONE DI PERFORMANCE IN CLASSI


PLURILIVELLO
Nella didattica CAD e per task si attribuisce importanza al significato, che diviene primario
rispetto ad altri aspetti della performance: l’attenzione dei parlanti si concentra su ciò che
stanno dicendo, più che su come lo stanno dicendo.
Nella valutazione si guarda infatti al risultato finale, cioè l’insegnante valuta la capacità di
portare a termine il task e non la capacità di utilizzare correttamente determinate strutture
linguistiche.
Questo approccio didattico permette di provocare uno stimolo per un uso
comunicativamente autentico della lingua tant’è che gli alunni si sforzano nell’utilizzare la
lingua e se non conoscono le parole precise, bisogna incoraggiarli a dirle utilizzando altri
modi e non correggendo la sua versione in quanto si interviene solo quando ciò che dice è
totalmente incomprensibile.
Nell’Agenda Europea per l’Apprendimento per gli Adulti, adottata dal Consiglio d’Europa,
vengono dichiarati specifici obiettivi tarati sulla natura dell’apprendimento da parte degli
adulti quali l’occupabilità, l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva e lo sviluppo personale;
la New Skills agenda, invece, si focalizza sulle competenze chiave che consistono nel
portare gli adulti in difficoltà ad acquisire un livello minimo di alfabetizzazione, nel favorire la
progressione verso l’acquisizione di una qualificazione di livello 3-4 dell'European
Qualifications Framework.
Nell’ambito dell’immigrazione questo si traduce in un’attenzione allo sviluppo di skills che
permettano l’integrazione linguistico-culturale degli immigrati, la loro occupabilità e la
certificazione delle competenze. In più il concetto di “apprendimento significativo” include
la valorizzazione delle qualità personali dell’allievo, fino alle esperienze di “rieducazione”:
l’apprendimento è significativo quando i relativi contenuti sono vissuti dallo studente come
rilevanti per la soddisfazione dei suoi bisogni e per la realizzazione delle sue personali
finalità. Nell’apprendimento è necessario coinvolgere la sfera cognitiva, emotiva, affettiva,
sociale e quella costruttiva secondo il condizionamento della motivazione, di conseguenza
l’apprendimento può essere favorito dalla riflessione sull’errore.
Spostando l’attenzione sugli insegnanti/mediatori si può affermare che da alcuni di loro
l’errore viene ormai considerato:
“fisiologico” e utile per comprendere il “patologico”, l’errore viene corretto dal
livello di interlingua raggiunto dallo docente con una brutta nota fornendo una
studente, correggendo gli errori alla fine spiegazione formale di esso.
dell’azione comunicativa, coinvolgendo gli
altri studenti o incoraggiando
l’autocorrezione, nel caso di produzioni
scritte, l’errore viene evidenziato e si
incoraggia lo studente a correggerlo.

Alcuni docenti/mediatori prendono in considerazione tra le cause di errori anche:


● conoscenze imprecise che lasciano agli studenti la libertà di costruire la loro risposta
a piacimento;
● assenza di un modello unico di riferimento, evidente per i compiti di espressione con
consegne vaghe o dove esse sembrano più precise (es. la traduzione si può
effettuare in modi differenti ma ugualmente accettabili);
● sensibile lunghezza della risposta che va di pari passo con il numero di compiti che si
esigono ed è destinata a compensare tale numero (per alcune prove come riassunti,
saggi e commenti di un testo la dimensione della risposta costituisce un elemento
importante che interviene nella notazione).
In ambito migratorio, l'errore dipende da fattori socio-psicologici (atteggiamenti verso la
comunità di arrivo), dalla motivazione, dalla personalità, dall’attitudine, dallo stile cognitivo e
dalla conoscenza. I fattori cognitivi, affettivi e sociali favoriscono o impediscono
l’apprendimento influendo sulla velocità dell’apprendimento e sul livello di competenza
linguistica che si può raggiungere.
Dal punto di vista dell’insegnante la trattazione dell’errore permette di conoscere le strategie
di apprendimento dei propri allievi, valutare il proprio modo di insegnare ed essere critici nei
confronti dei materiali didattici ponendosi domande come:
➢ quando è bene correggere? durante tutta l’azione didattica, dopo che si è cercato di
rendere gli studenti coscienti della qualità della loro performance.
➢ che cosa correggere? questo dipende dagli obiettivi dell’attività in questione, dagli
obiettivi del corso, della fase del programma, dalla qualità e quantità dell’input al
quale è esposto l’apprendente.
➢ come correggere? rispettando la personalità e l’età dell’apprendente, stimolando i
“perché” in modo cooperativo e a partire dalle strategie cognitive dell’apprendente.

Nelle CAD l’applicazione del Cooperative Learning permette lo sviluppo di competenze


linguistico-comunicative, sociali e relazionali, culturali e interculturali, metacognitive e meta
emotive. In base a queste competenze l’apprendente impara a riflettere su ciò che sta
facendo imparando ad affrontare delle sfide e a non bloccarsi se ci sono parole o frasi che
non capisce.

Esistono inoltre profili di partenza degli adulti immigrati differiscono soprattutto per la
padronanza della scrittura:
1) pre alfabeti= individui in cui la L1 non possiede una forma scritta o è in fase di
sviluppo come nel caso di lingue indigene africane;
2) analfabeti totali o strumentali= che non hanno potuto accedere ad un sistema di
istruzione e di alfabetizzazione per vari motivi che possono essere politici o familiari;
3) debolmente alfabetizzati= hanno avuto un accesso limitato al sistema di istruzione
che risulta insufficiente per rispondere a necessità linguistiche e comunicative più
complesse;
4) migranti alfabetizzati in una lingua basata su un sistema di scrittura diverso da quello
latino= hanno coscienza dei legami esistenti fra suono e grafema e sanno ricercare i
significati di un testo
Ciascuno di questi profili richiede azioni specifiche da parte degli insegnanti che rispettino le
loro caratteristiche e diano spazio alle esigenze individuali affinché il patto formativo non
venga meno.

CAPITOLO 6: IL CASO DELL’INCOMPRENSIONE EDUCATIVA

EDUCAZIONE PLURILINGUE E STRATEGIE DI COMPRENSIONE


La mediazione interculturale è una pratica costruttiva volta a rendere possibile e proficuo il
dialogo tra immigrati e società di accoglienza. Generalmente il mediatore è un immigrato o
figlio di immigrati che ha acquisito da figure di professionisti formati una qualche forma di
bilinguismo e che viene affiancato da professionisti per svolgere attività di interpretariato,
traduzione e orientamento culturale. Il mediatore deve essere in grado di esercitare la
funzione di facilitatore, che sia un ponte tra le due macro culture e le lingue coinvolte
assumendo un’ottica plurilingue e pluriculturale.
Chi svolge la propria attività nell’ambito della gestione della comunicazione e del contatto tra
lingue sa di cosa si occupa l’intercomprensione, d’altra parte, però, all’esterno dell’ambito
accademico questa conoscenza è quasi assente o produce diffidenza perché scardina una
serie di prassi consolidate alle quali la didattica tradizionale sembra restare ancorata.
L’educazione linguistica promuove anche una buona conoscenza delle L1 che favorisce
l’apprendimento delle altre lingue. L’educazione plurilingue e le relative pratiche educative
devono conciliare il plurilinguismo del singolo e il multilinguismo di carattere collettivo
portando l’individuo (e il mediatore) ad acquisire le competenze necessarie per potersi
muovere all’interno di tutti gli usi comunicativi: per cui il mediatore avrà come obiettivo
primario quello di non produrre ulteriore esclusione e marginalizzazione.
L’approccio plurilingue all’apprendimento linguistico, l’intercomprensione, rappresenta una
modalità operativa e didattica potenzialmente fruttuosa per operare all’interno della gestione
dei contesti “svantaggiati” segnata dalla gestione e dalla disperazione delle esperienze e
delle buone pratiche realizzate. La creazione di uno spazio comune rappresenta
un’importante opportunità per l’inclusione, l’integrazione e l’affermazione individuale.
Lo sviluppo della ricerca e l’elaborazione epistemologica dell’intercomprensione sono
avvenuti parallelamente alle tappe fondamentali di questo processo a partire dagli anni ‘90:
si ricordi il Simposio di Rüschlikon del 1991, che raccomandava di sviluppare metodi per
diffondere il multilinguismo e il multiculturalismo, seguito da documenti in cui la politica
linguistica europea perseguiva la finalità di far diventare l’Europa sempre di più una società
della conoscenza in cui la formazione deve essere intesa come life-long learning. La
sensibilità verso la comprensione multilingue appare nel “Libro bianco” in cui si
raccomanda l’ampliamento della conoscenza di altre lingue anche senza poterle parlare o
scrivere.
La prima aggettivazione su cui soffermarsi parlando di intercomprensione è quella di
“interconnessione” messo in rilievo dal linguista Ronjat, il quale osservando la presenza
di fenomeni di intercomprensione tra interlocutori di una varietà di franco-provenzale,
espresse una posizione contraria rispetto alla linguistica nazionalista del tempo che
configurava i dialetti presenti sul territorio come entità separate, non interconnesse.
Anni importanti per lo sviluppo dell’intercomprensione sono il 1996 e il 1997 in cui venne
pubblicato un numero speciale di “Francais dans le monde “in cui vengono riunite ricerche
da parte di specialisti che toccano i punti cardine dell’intercomprensione e cioè il diritto
di capire le lingue senza parlarle, il legame tra lingue romanze e multilinguismo, come
importare la comprensione.
Altre tappe fondamentali per la definizione e l’ampliamento della teoria intercomprensiva
sono:
● il Convegno di Lisbona (2007) che riunisce ricercatori di tutto il mondo e a cui fa
seguito la creazione del progetto internazionale REDINTER con il quale si farà il
punto sulla ricerca condotta in ambito intercomprensivo, sulla formazione di
insegnanti e apprendenti, sulle buone pratiche, sulla politica linguistica e sulla
epistemologica della disciplina;
● il Convegno di Augsburg (2010)
Nel CEFR Companion Volume with New Descriptions, le lingue conosciute dagli
apprendenti sono considerate possibili risorse per la comunicazione plurilingue e si allude
alla possibilità di sfruttare le conoscenze per dedurre significati in altre lingue. La prospettiva
plurilingue è poi promossa dai più recenti lavori del Consiglio d’Europa relativi
all’integrazione linguistica dei migranti adulti. Ciò che l’intercomprensione ha dimostrato è la
necessità di una rivisitazione di alcuni punti rispetto ai quali la didattica tradizionale fatica a
distaccarsi.
Negli anni ‘80 in Germania sono state elaborate procedure più avanzate e messe in rilievo le
trasparenze tra le lingue latine sulla base di studi contrastivi e ricerche glottodidattiche per
permettere il passaggio da una lingua latina all’altra. Due progetti segnano il rinnovo della
prospettiva contrastiva (EuroComRom) e glottodidattica in ottica intercomprensiva
(Eurom4) seguiti da molti altri a conferma che l’approccio all’intercomprensione ha
motivazioni ideologiche e legate alla natura delle lingue.
I progetti di intercomprensione più recenti allargano il ventaglio delle possibili lingue
coinvolte al di là della stessa famiglia, sfruttando le similitudini pragmatiche e i processi
metacognitivi. Negli ultimi anni si fa strada l’idea che l’intercomprensione sia anche uno
strumento di mediazione perché opera a partire dal contatto tra lingue e popoli diversi
e presenta prospettive applicative anche per la metodologia CLIL: mette gli apprendenti in
contatto con un contenuto di apprendimento espresso in una lingua non perfettamente
controllata, in cui le strategie di accesso al senso si rivelano indispensabili.
I principali aspetti su cui si fonda la teoria intercomprensiva utili per la riflessione sulla
sua valenza educativa per (ma non soltanto) immigrati:
➢ il concetto di parzialità → le competenze parziali, acquisite sia in contesti
istituzionali che naturali, concorrono tutte alla costruzione delle identità individuali e
all’integrazione sociale ed è necessario uscire dalla tradizionale dicotomia dalla
coppia L1/L2 e considerare che gli individui non dispongono di repertori di
competenze comunicative distinte e separate per le lingue che conoscono ma
possiedono una competenza plurilingue e pluriculturale che le ingloba tutte.

➢ transfer e similitudine → utilizzando la metafora del setaccio, i promotori hanno


individuato 7 campi linguistici all’interno dei quali possono essere trasferiti gli
elementi di una lingua ad altre lingue romanze:
primo setaccio, permette la selezione e comprensione del lessico internazionale

secondo setaccio rivolge la stessa operazione alle lingue romanze

terzo setaccio riguarda l’uso strategico della parentela lessicale per scoprire le
corrispondenze tra i termini

quarto setaccio riguarda le grafie e le pronunce essendo la trascrizione fonetica


comune alla maggior parte delle lingue romanze; affronta le corrispondenze di
sintassi e dimostra che conoscere la sintassi di una lingua romanza agevola
l’individuazione degli elementi sintattici nelle altre lingue

sesto setaccio descrive le corrispondenze morfosintattiche

settimo setaccio permette all’apprendente di effettuare un’analisi delle parole


composte dato che fornisce una lista di prefissi e suffissi
Un altro progetto intercomprensivo, MINERVA, punta a sfruttare le corrispondenze
pragmatiche, sociali e culturali e utilizza come input testi orali avendo come focus principale
l’interazione. Il progetto, applicando i principi dell’intercomprensione all’oralità, ha ricercato le
soluzioni per un uso funzionale delle similarità linguistiche che intercorrono tra lingue
romanze con un obiettivo da reimpiegare nella vita quotidiana.
Dunque l’approccio plurilingue dei lavori dell’intercomprensione sfrutta in modo positivo i
transfer che si generano attraverso lo studio delle lingue affini, facilita l’accesso alle altre
lingue e valorizza l’uso della L1 del parlante, che si sente rassicurato durante il processo di
apprendimento rafforzando anche le competenze in L1, con la possibilità di sviluppare
riflessioni circa il funzionamento delle L2.

➢ oralità e scrittura → Doyé si serve di elementi centrali della linguistica per


incanalarli all’interno dell’analisi del fenomeno di intercomprensione:
- binomio comunicazione scritta/orale, presente in ogni lingua con la
constatazione di una preminenza dell'oralità nei contesti comunicativi;
- vantaggi della pratica intercomprensiva, dato che il parlante non necessita di
abilità specifiche in lingue straniere per potersi esprimere;
- distinzione tra competenza e performance, da ricondursi all’attività
comunicativa dei parlanti che avviene quando ognuno parla la sua L1 e la
competenza da perseguire è la capacità di comprensione reciproca, senza
aver appreso le lingue in questione.
è molto più facile predisporre di materiali didattici che abbiano come input solo testi
scritti e servirsi dei sistemi dei grafici e iconici per favorire i transfer e le riflessioni
metalinguistiche ma la sfida è quella di applicare i principi validati della funzionalità e
operatività dell’approccio intercomprensivo ai nuovi pubblici della L2, migranti adulti
anche con bassi livelli di scolarità pregressa.

➢ in contesto esterno e il contesto mentale → lo studente, attraverso le attività


previste negli approcci didattici della L2, prende consapevolezza delle strategie che
utilizza per portare a termine determinati compiti linguistici all’interno dei contesti in
cui avviene la comunicazione. I materiali intercomprensivi sono selezionati in modo
che le tematiche trattate permettono all’apprendente di riattivare schemi che già
possedeva nella propria lingua. Il contesto esterno è filtrato da: apparato percettivo,
meccanismi di attenzione, associazioni e memoria a lungo termine, familiarità con gli
ambienti e le immagini, categorizzazione linguistica facilitata dalla trasparenza delle
lingue che vengono messe in contatto. La cornice di elementi esterni all’apprendente
è in diretta connessione e in costante interazione con il contesto mentale. Per questo
la dimensione extralinguistica, assume un ruolo primario di correlazione tra il
contesto esterno e quello mentale, interno, in cui agisce l’apprendente: la
comunicazione passa attraverso la prossemica, la gestualità e si dispiega in più
codici che divergono da cultura a cultura.
Dunque l’intercomprensione valorizza le competenze parziali, promuove il plurilinguismo
rispetto al multilinguismo e monolinguismo, sviluppa consapevolezza linguistica e
interculturale e, stimola a un apprendimento lungo tutto l’arco della vita e sviluppa coesione
sociale, competenze e conoscenze strategiche e metacognitive su fondamenti costruttivi,
pragmatici, antropologici ed etici, favorisce l’interespressione. Ha una visione delle lingue
come strumenti di mediazione tra una lingua già conosciuta e una nuova.

LA RIFLESSIONE METACOGNITIVA PER IL POTENZIAMENTO DELLA CAPACITA’ DI


ATTIVARE TRANSFER LINGUISTICI, CULTURALI E PRAGMATICI
La nozione di intercomprensione può risultare operativa non solo sul piano della didattica
linguistica ma anche su quello educativo, e facilitare la consapevolezza dei processi e delle
modalità di appropriazione del senso che non può prescindere dallo sfruttamento di variabili
socioculturali, situazionali, linguistiche e quelle legate alla personalità dell’apprendente.
Il CEFR ricorda che un apprendimento riflessivo comporta un saper apprendere vs.
autoapprendimento. La capacità di apprendimento linguistico è il risultato di diverse
componenti, tra le quali vi sono le abilità di studio e su di esse si concentra gran parte del
problema dato che un tale approccio comporta uno sforzo di concentrazione, una posizione
attiva nei confronti dei testi, un'attitudine costruttiva, la creazione di relazioni interlinguistiche
sistematizzabili di differenti livelli: questo può essere un aspetto debole dell’approccio
intercomprensivo con adulti immigrati ma è pur sempre possibile far prendere coscienza
all’apprendente della propria identità plurilinguistica con tecniche didattiche che lo portino a
prendere confidenza in sé stesso.
La conoscenza metalinguistica e interlinguistica passa da una lingua all’altra in base a reti
che si attivano in funzione della logica, la cui complessità sfugge parzialmente ma che
suppongono l’esistenza di implicazioni internazionali attive degli individui nelle attività sociali
che hanno legami tra storia, contesto, percezione, intenzione e azione. Il cervello percepisce
somiglianze e differenze; il linguaggio, infatti, ricco di analogie grazie alle quali si possono
interpretare situazioni nuove, permette di affrontare ciò che non è conosciuto assimilandolo
a ciò che è conosciuto. Inoltre le somiglianze e le differenze percepite dal cervello non
riguardano solo la sfera linguistica ma sono proprie anche della sfera culturale, la riflessione
infatti diviene sempre più complessa quando l’individuo appartiene o ha conosciuto contesti
culturalmente molto differenti.
Analogamente al translanguaging si può parlare di transculturing, ovvero il modo con il
quale l’esperienza transculturale agisce sulla formazione dei comportamenti degli individui a
partire dai diversi linguaggi e codici che è in grado di gestire.
Il settore di ricerca sulla metacognizione è molto ampio e rappresenta le strategie cognitive
come l’applicazione di una serie di meccanismi dall’alto (top-down) e dal basso (bottom-up)
la cui alternanza è essenziale per un’ottima comprensione (nel caso si tratti di una
comprensione orale, il meccanismo di comprensione bottom-up fa elaborare la materia
fonica attraverso l’abilità di riconoscimento di parola mentre quello di comprensione top-
down riguarda le inferenze che opera l’individuo in base all’immediato contesto linguistico,
extralinguistico e paralinguistico).
Una delle caratteristiche dei metodi intercomprensivi è di essersi sviluppati su base
sperimentale ponendo molta attenzione ai processi mentali utilizzati da soggetti nel corso
delle attività di comprensione e quindi di essere molto interessati alle strategie di
apprendimento. Alcuni studiosi dopo aver osservato gruppi di studenti attraverso i think-
aloud protocols hanno confermato l’ipotesi che gli apprendenti di L2 hanno maggiore
successo sono quelli che attivano una serie di strategie metacognitive le quali riguardano la
pianificazione, il monitoraggio e la valutazione della propria comprensione.

BUONE PRATICHE
Sviluppate nell’ambito della ricerca sull’intercomprensione:
1. Valutazione dell’intercomprensione da parte di studenti universitari di corsi di
lingue
Chi studia le lingue straniere o segue un corso di laurea in mediazione linguistica e
culturale si forma un'opinione sul funzionamento dell’apprendimento delle lingue, su
cosa è utile apprendere prima e dopo, su come si può accedere meglio. Per questo è
stata svolta un’indagine su 40 soggetti che avevano seguito un corso teorico
introduttivo sull’intercomprensione ponendo le seguenti domande:
Scrivi una tua definizione di intercomprensione
esse possono essere raggruppate in 3 nuclei di significati:
➔ è un approccio più veloce degli altri allo studio di una Ls/L2, è divertente e stimolante;
rende esplicite le potenzialità del transfer e dello sfruttamento di competenze
linguistiche e di similitudini.
➔ permette di sviluppare gli aspetti cognitivi e di sfruttare le competenze parziali di cui i
rispondenti riconoscono il valore.
➔ è riconosciuta come appartenente a un campo di studi definendolo come un approccio
relativo a lingue romanze, a famiglie linguistiche e a coppie di lingue, che
riguarderebbe l’apprendimento contemporaneo di più lingue.

Scrivi una definizione di Buona Pratica


esse possono essere raggruppate in due categorie:
➔ è una valutazione positiva di un apprendimento più veloce e divertente, considerato
anche ecologico perché pone attenzione all’apprendente e rispondendo alle sue
motivazioni e bisogni.
➔ è il raggiungimento di obiettivi prefissati ma anche come insieme di approcci, metodi,
materiali e tecniche per un buon apprendimento che siano coerenti con la teoria che li
ispira e che rispondano ai nuovi bisogni dei nuovi pubblici con il coinvolgimento di più
lingue.

Trovi positivo essere esposto a un percorso didattico in più lingue contemporaneamente?


Perché?
➔ si sono ricavate in maggior parte risposte positive giustificate con il fatto che ciò
permette di conseguire un apprendimento più veloce, più facile e stimolante, di
sviluppare le abilità cognitive; si riconosce anche l’operatività dell’esposizione a più
input contemporaneamente e l’opportunità di una formazione plurilinguistica di base.
➔ un secondo gruppo di risposte è positivo ma con delle restrizioni e dimostra una certa
incertezza dei rispondenti ancora influenzati da prassi tradizionali di didattica
linguistica che giustificano le loro posizioni affermando che dipende dai livelli di
apprendimento, dagli obiettivi, dalla tipologia dei destinatari e del loro interesse per
l’approccio.
➔ altri raccomandano che le diverse lingue non siano insegnate separatamente, bensì in
maniera integrata e che siano introdotte progressivamente specificando che si tratti di
lingue affini.
➔ un solo rispondente ha ritenuto che non fosse pertinente esporre gli apprendenti a più
lingue contemporaneamente perché tale situazione potrebbe creare interferenze.

2. Educazione interculturale e contesti svantaggiati


Una sfida recente della didattica delle lingue moderne è quella di creare pratiche utili
a studenti sia in età scolare che poco scolarizzati. Si tratta di pratiche che possono
raggiungere pubblici più ampi a patto che si superino le visioni stereotipate legate
all’apprendimento linguistico: bisogna avere doti particolari per apprendere le lingue
come essere “predisposti” fin dalla nascita, studiare le lingue è faticoso e a volte
noioso, o ancora che solo gli apprendenti più giovani sono in grado di apprendere
meglio le lingue.
I progetti DEPORT e RiUscire hanno applicato alcuni principi dell’intercomprensione
in due contesti: quello di accoglienza e i penitenziari, in cui gli apprendenti
possiedono repertori linguistici che possono includere alcune lingue europee apprese
o “incontrate” nei tragitti migratori come lo spagnolo, il francese o l’inglese che si
configurano come lingue franche nei paesi di provenienza, e che vengono utilizzate
in questi contesti per interagire con i propri simili o gli operatori. All’interno di questi
contesti viene registrato un ampio ricorso al code switching e code mixing.

3. Valutazione e intercomprensione
Valutare le competenze comunicative nell’ambito plurilingue e pluriculturale è un
procedimento complesso che richiede la presa in esame delle molteplici dimensioni
che compongono il sistema della lingua. Il progetto MIRIADI- REFIC (Quadro di
Riferimento per le Competenze di comunicazione plurilingue in intercomprensione)
ha lo scopo di definire le attitudini, le conoscenze e la capacità in intercomprensione
tramite la creazione di protocolli e strumenti di valutazione per le lingue romanze
validati a livello internazionale. L’obiettivo principale è quello di dare la possibilità di
riconoscere le competenze che una persona possiede rispetto al proprio repertorio
linguistico e culturale, arrestando competenze in intercomprensione, identificando sei
livelli di competenza parziale e globale attraverso la costruzione di prove che
coinvolgono l’attività interattiva, ricettiva, produttiva nella dimensione orale e scritta
delle lingue romanze. Le dimensioni oggetto di valutazione sono:
❖ linguistica: comprensione dell’insieme delle conoscenze linguistiche a livello
fonetico, lessicale, ortografico, morfologico delle lingue romanze;
❖ preverbale e non verbale: una loro corretta gestione permette al parlante di
gestire i propri bisogni comunicativi all’interno di reali interazioni
comunicative;
❖ socio-pragmatica: attiva le conoscenze su più piani della lingua e permette
una comunicazione adeguata;
❖ interculturale: permette lo sfruttamento dei repertori culturali portando il
parlante a osservare i meccanismi della propria cultura in rapporto a quelli
delle culture altrui a capirne il funzionamento.
Sono stati poi individuati tre criteri di valutazione: disponibilità, adeguatezza e
ampiezza. Nei descrittori globali di intercomprensione ricettiva, interattiva e in
interproduzione sono inoltre esplicitati gli indicatori di valutazione, per la dimensione
scritta e orale: i livelli di competenza individuati sono sei e ognuno corrisponde ad
uno studio dello sviluppo della competenza comunicativa:
i primi due livelli corrispondono i livelli 3 e 4 gli ultimi due livelli
al livello A1-A2 del CEFR, e corrispondono ai livelli rappresentano gli stadi
identificano un profilo dell’utente B1-B2 del CEFR, e avanzati della competenza, i
basico che si trova nelle fasi identificano il profilo livelli C1-C2 dell’apprendente
iniziali dello sviluppo delle dell’utente indipendente. “competente”.
competenze, il raggio
d’interazione è ristretto, e il
parlato è caratterizzato da
frammentarietà e lentezza.

Un’ulteriore Buona Pratica fu presentata al XIV Simposio LESLLA (Literacy Education and
Second Language Learning for Adults) mirata ad approfondire percezione ed uso delle
lingue veicolari nell’insegnamento dell’italiano L2 con docenti che operano in contesto
migratorio.

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