Sei sulla pagina 1di 8

Il multiculturalismo è l’attuale orizzonte culturale, di cui osserveremo

i due modelli più interessanti dal punto di vista teorico: il modello


francese e il modello anglosassone, che sono l’uno l’opposto
dell’altro.
Tutti i modelli multiculturali sono di tipo dinamico e riconoscono la
multiculturalità, ma in modo differente
- Francese: demos - emigrazione - assimilazione
Ha una concezione di popolo che potremmo descrivere con il
termine “demos” dal greco antico, ossia “popolo” dal punto di
vista politico (democrazia = governo del popolo).
Su questa base la repubblica francese lavora sul pluralismo
riconoscendo la presenza degli stranieri: l’immigrato che entra
in Francia diventa parte del demos (ossia del popolo),
indipendentemente della tua origine (questo modello si
concentra sulla cultura di arrivo - francese - e non sulla cultura
origine; una volta in francia lo straniero deve adeguarsi alle
leggi francesi (di natura giuridica e d’immagine pubblica): i tuoi
usi e costumi vengono rispettati nella sfera privata, ma nello
spazio pubblico devi rispettare l’immagine pubblica della
cultura francese.
Es. l'hijab non può essere utilizzato nei luoghi pubblici ma nella
sfera privata sì (in casa)
Il governo francese si è giustificato, sotto livello politico, dicendo
che bisognava essere riconoscibili nelle vie pubbliche; la
motivazione culturale impone di rispettare usi e costumi del
Paese in pubblico perché sei demos (facente parte della
popolazione), e per tanto non devi ostentare segni di una
cultura diversa da quella Francese.

1
La critica: il modello multiculturale francese tende
all’assimilazione (che proviene dal termine “ab similem”), in cui
l’elemento esterno venendo assimilato diventando simile al
soggetto che lo ingloba.
Questo modello è palesemente fallito, ne sono una prova le
ripetute manifestazioni e rivendicazioni da parte del popolo.

- Anglosassone: etnos - immigrazione - integrazione


Il modello anglosassone si oppone radicalmente a quello
francese; si basa su “etnos” (popolo in senso culturale).
Il modello anglosassone si concentra sull’emigrazione e sul
Paese di origine: nello spazio privato e nello spazio pubblico
puoi mantenere i tratti culturali della tua origine.
Questo modello non vede il cittadino come individuo, ma il
Governo vede la pienezza della tua cultura d’origine e ti
permette di esprimere gli usi e costumi, integrando una cultura
diversa nel Paese; queste comunità eleggono i propri
rappresentanti con cui poi il governo si rapporta.
Il modello anglosassone è fallimentare: se pensiamo agli
attentati terroristici ci rendiamo conto che i soggetti i prima
linea pronti a far del male erano emigrati da paesi dell’Africa
verso gli Stati uniti.
Questo dimostra che anche nel modello anglosassone questa
integrazione è fallimentare perché gli immigrati non si sentono
al pari con gli altri cittadini, ma si sentono cittadini di serie B.
Questo modello si basa sul melting pot, si intende un
pentolone dove si mescolano le varie origini culturali per
crearne una nuova, risultata da una fusione dei diversi.
In realtà la situazione è ben diversa: le realtà sociali americane
sono colme di odio razziale, discriminazioni, gang e ostilità nella
convivenza.

2
Oltre questi due modelli ne abbiamo anche altri come:
- il modello tedesco in cui vi sono per l’immigrato i corsi di lingua
o modalità di integrazione sociale, venivano considerati
gastarbeiter, lavoratori ospiti. Si prevedeva infatti che
quest’ultimi fossero lì solo temporaneamente per lavoro, non
era prevista alla possibilità che si stabilissero in Germania.
- nel modello italiano (modello misto) non esistono modi legali
per arrivare in Italia: allo straniero viene dato un visto turistico e
nel tempo i cui permane in italia trova lavoro, così alla scadenza
del visto, invece di tornare nel paese d’origine, si stabilisce in
Italia.

Nessun modello è perfetto e funzionale al massimo; ci ritroviamo a


parlare dell’integrazione (nato con il modello anglosassone) come
soluzione per le società multietniche, ma sul piano teorico anche
l’integrazione presenta delle criticità. La parola “intercultura” indica
un qualcosa di unico e omogeneo, ma come sappiamo la società è
sempre stata complessa ed eterogenea.
Non è mai esistita un'integrità, semplicemente l’immigrato lo ha
sottolineato.
Il percorso dell’integrazione viene definito un percorso a termine:
l’immigrato deve prima trovare un lavoro, mandare i figli a scuola e
procurarsi una casa, e solo poi potrà definirsi integrato.
In realtà questo processo è senza fine perché continuamente
esistono sfide in campo culturale, il processo di integrazione infatti
dura tutta la vita. L’idea che l’integrazione sia un percorso a termine è
tipico di determinati ceti sociali ambienti che possiedono strumenti
che facilitano l’integrazione sociale, a differenza dei ceti sociali
disagiati in cui non vi sono mezzi insieme a centinaia di difficoltà.
Il concetto di integrazione scarica la responsabilità al soggetto più
fragile, l'emigrante; deresponsabilizzando gli autoctoni.
Gli studiosi propongono di togliere “g” dal termine “inte(g)razione”,
non si vuole un modello omogeneo ma si riconosce l’importanza
concreta delle interazioni faccia a faccia.
Parlare di interazione vuol dire parlare non più di due culture che si
incontrano, ma di soggetti che assorbono solo alcuni tratti di una
cultura.

3
A differenza del multiculturalismo esiste (società multiculturali in cui
abbiamo la compresenza di culture diverse), l’intercultura
rappresenta un progetto socio-culturale teorico su come dovrebbe
basarsi la società
James Clifford scrisse il libro “i frutti puri impazziscono”(lo
indichiamo come punto di riferimento dal passaggio da multicultura
e intercultura), in cui usa come metafora del fatto che la purezza e
l’omogeneità in una cultura è un difetto che porta quella cultura a
morire, perché quando vi è un contatto tra culture diverse sorge un
problema alla base del rapporto.
Secondo Clifford infatti le culture nascono già meticce, le culture
nascono nella realtà attraverso scambi e contaminazioni (tra il
commercio, gli eserciti con le guerre e le invasioni, la musica, la tv…).
Di fatto non esistono società pure, tutte le culture sono soggette a
mescolamenti.
<<La cultura è un risiedere nel viaggiare, e un viaggiare nel
risiedere>>, il “viaggio” è un qualcosa di costitutivo della cultura che
si basa sul contatto con le altre culture; “viaggia anche chi risiede”
significa che l’essere umano è soggetto a contaminazioni continue
da parte delle altre culture anche attraverso i flussi culturali continui
(feste, cellulari…) -quindi pur non viaggiando-.
Questo ci porta a collegarci al problema base del multiculturalismo
che non riconoscere le diverse sfumature all’interno di una cultura,
bensì la interpreta come unica e compatta; ma come sottolinea
Clifford, la cultura è sempre soggetta a sfumature diverse e
contaminanti.

4
L’(inter)cultura, come il prefisso ci fa notare, si concentra sugli
scambi tra una cultura e un’altra sottolineando le differenze
intraculturali e interculturali - non si parla più di “bagaglio culturale”
ma di esperienze culturali: l'appartenenza plurima è un chiaro
esempio.
I soggetti scelgono attivamente con quali tratti delle culture
identificarsi, non siamo obbligati a identificarci con la totalità di una
cultura: il passaggio da identità a identificazione.
Il concetto di multicultura dà la responsabilità di integrazione
all’immigrato: diamo la responsabilità al soggetto minore e così
facendo deresponsabilizzare la maggioranza; invece il concetto di
interazione responsabilizza tutti.
Il modello interculturale riesce a comprendere meglio le nuove
migrazioni:
- prima il modello migratorio vedeva il soggetto spostarsi da
Paese A a Paese B, in cui lo spostamento era unidirezionale e
lineare e si spezzavano i legami con la propria patria a causa
dell’impossibilità di mantenere i contatti con la propria cultura
d’origine (mezzi lenti e pochi mezzi di comunicazioni)
- oggi abbiamo dei nuovi modelli di integrazioni internazionali,
tanto che si parla ormai di migrazioni transnazionali: i mezzi
comunicazione e mezzi di trasporto sono molto veloci e
permettono di mantenere il contatto con il proprio paese
d’origine, questo fa si che non ci sia un passaggio tra una
cultura all’altra. Le migrazioni infatti ormai sono plurali e
ricorsivi: es. il migrante può spostarsi anche temporaneamente
in un altro paese per accumulare un capitale e tornare nel
proprio paese, mentre i figli sono in altri Paesi per motivi di
studio o matrimoni.
Parliamo di migrazioni transnazionali o di diaspore perché non ci si
posta più da un Paese ad un altro, ma si oltrepassano continuamente
confini avendo sempre contatti differenti.

5
Diaspora è un termine di origine greca (Διασπορά: dia- esprime la
dispersione, spéirō esprime l'atto di seminare, rimandando a nuove
radici, a nuove stabilità).
Il significato originario è quello della dispersione di un popolo nel
mondo dopo l’abbandono delle sedi di origine, della dispersione in
varie parti del mondo di un popolo costretto ad abbandonare la sua
sede di origine, dispersione di individui in precedenza riuniti in un
gruppo. La diaspora ci ricorda quella degli ebrei nel mondo antico
(diaspora ebraica): dopo le successive deportazioni in Babilonia e la
distruzione del Tempio di Gerusalemme, gli Ebrei si sono dispersi in
tutto il mondo. Gli studi sulla diaspora (Diaspora Studies) sono un
campo accademico istituito alla fine del XX secolo per studiare le
popolazioni etniche disperse, che sono spesso chiamate popoli della
diaspora.
Esistono vari tipi di diaspore
● labor diasporas: eredi delle deportazioni lavorative dell’800
(indiani e cinesi)
● trade and business diasporas: che strutturano estesi network
commerciali (come i libanesi e i cinesi di oggi)
● de-territorialized diasporas: fanno riferimento ad una patria
d’origine che non esiste, un immaginario condiviso
● victim diasporas: originatesi da traumi sociali, catastrofi
storiche, crisi ecologiche (come quella di ebrei, ar
● meni, tamil o palestinesi e, domani, siriani)
Le caratteristiche delle diaspore sono: dispersione geografica,
orientamento verso la madrepatria (reale o immaginaria),
mantenimento dei confini identitari, comunità separata e solidale,
network transnazionali.

6
Le diaspore non sono indicatori di immigrazione da parte di popoli,
ma possono anche svilupparsi in un unico territorio (es. caso dei rom).
Queste popolazioni:
● non viaggiano da un posto all’altro ma sono sempre nel loro
territorio,
● sono comunità multi-locata e di identità trans-locale
(sparsi per tutta Europa),
● accettano l'integrazione ma mantengono le distanze culturali e
affermando la propria (integrazione selettiva),
● mantengono dei confini tra le culture esterne e la propria,
● attuano pratiche sincretiche
(fusione di elementi ideologici già inconciliabili)
● puntano ad una rivendicazione politica e un riconoscimento
ufficiale

I Tamil sono originari della Sri Lanka, un’isola a sud dell’India nonché
ex colonia britannica in cui ci fu una guerra civile tra i Tamil e
i Singalesi (quest’ultimi vinsero e tuttora detengono il potere).
Questo governo provocò una diaspora per cui circa 80.000 Tamil si
sono sparsi per il mondo, guadagnandosi il titolo come gruppo con il
maggior numero di permessi di soggiorno in Italia, oltre che essere la
terza comunità al mondo per dimensioni (situata a Palermo, che
conta circa 8.000 persone).
Quando parliamo di diaspore, soprattutto rispetto alle migrazioni
transnazionali, ci colleghiamo con un network diasporico (rete fatto
di rapporti economici, matrimoniali, culturali tra di loro).
Le conseguenze di questa situazione porta a vedere questa
migrazione come un non-movimento perchè non sono mai usciti
dalla comunità Tamil (rimanendo dentro la comunità chiusa gestito
da un movimento coordinatore, frequentando solo connazionali).

7
In passato eravamo abituati ad una migrazione che portava il
soggetto a spostarsi da un punto A ad un punto B, ora invece questi
gruppi sono in continuo movimento e nessun luogo di arrivo è mai la
meta perchè nessun luogo è casa.
La diaspora non è più intesa come un qualcosa che genere una
minoranza etnica (come i Tamil in Sri Lanka), ma descrive un popolo
che si stabilisce in un luogo e decide di integrarsi solo parzialmente, e
resta legato ai propri usi e costumi. Rifiutano l'omogeneizzazione:
vogliono avere relazioni limitate (soprattutto di stampo economico)
rimanendo nella propria comunità.
Questo causa un problema nel modello di integrazione sul piano
teorico, una sfida per gli studiosi di intercultura; cambia anche il
concetto di patria che non si ferma più ai confini geografici, si parla
di comunità multilocata (residente in vari nodi di una rete
transnazionale, risiede in molti luoghi).
Con la diaspora Tamil si può parlare di Stato senza territorio, gestito
da un governo in esilio: il presidente è un Tamil statunitense che
gestisce i vari nodi della diaspora Tamil; in ogni luogo in cui è
presente la comunità vi sono anche scuole in cui insegnano la lingua
Tamil con insegnanti Tamil, con lo stesso programma (fatto da usi,
costumi e valori della comunità) e viene consegnato un attestato a
fine corso.
Viene pagata anche una tassa a questo governo che aiuta le famiglia
in difficoltà appartenenti alla comunità (sia a Sri Lanka che nella
diaspora), una sorta di welfare state privo di territorio.
Queste nuove diaspore sono in viaggio verso l’occidente (Tamil, Rom)
hanno un profondo sentimento di nazionalismo e si riconoscono
come nazione (ormai globalizzata e diffusa in tutti i nodi della
diaspora).

Potrebbero piacerti anche