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Pedagogia dell'interculturalità

Pedagogia
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
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Pedagogia della interculturalità
25/09

Multiculturalità → (definisce un dato di fatto) la compresenza di culture diverse entro una società,
e perciò entro la scuola
Interculturalità → descrive invece uno specifico "progetto" di interazione entro una società
multiculturale; essa sostiene la necessità del dialogo fra culture diverse, attraverso relazioni fra
diverse comunità etniche e religiose
Multiculturalità è un processo indotto da globalizzazione
Globalizzazione → La globalizzazione è il fenomeno causato dall'intensificazione degli scambi e
degli investimenti internazionali che, nei decenni tra XX e XXI secolo, sono cresciuti più
rapidamente dell'economia mondiale nel suo complesso, con la conseguenza di una
tendenzialmente sempre maggiore interdipendenza delle economie nazionali, che ha portato anche
a interdipendenze sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno
una rilevanza planetaria, tendendo ad uniformare il commercio, le culture, i costumi e il pensiero
(OMOLOGAZIONE legata ai livelli di consumo) → MONDIALIZZAZIONE
Movimenti per ragioni economiche e culturali portano alla formazione di una società di tipo
multiculturale come la società occidentale che ha dato inizio alla prima colonizzazione ed è spesso
involontariamente responsabile di alcuni conflitti
Xenofobia → Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è
straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la
cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare una valutazione positiva della
propria cultura, come è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna tuttavia spesso a un
atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli
sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli dei paesi nemici, ed è
perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitarî.
Legato al concetto di xenofobia vi è il concetto di xenofilia ovvero il senso di attrazione / curiosità
nei confronti del diverso e dello straniero. Se non esistesse la xenofilia probabilmente non ci
sarebbero stati viaggi come la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo nel 1492 oppure i
viaggi di Marco Polo.
Razzismo → Ideologia che, fondata su un'arbitraria distinzione dell'uomo in razze, giustifica la
supremazia di un'etnia sulle altre e intende realizzarla attraverso politiche discriminatorie e
persecutorie.
Xenofobia e razzismo sono concetti profondamente diversi anche se oggi per superficialità questi
due termini vengono spesso usati indifferentemente. Xenofobia significa diffidenza e ostilità verso
lo straniero, ma non necessariamente senso di superiorità e disprezzo (pensiamo a certi
atteggiamenti nel Nord Italia verso i tedeschi (eredità di frequenti invasioni a partire dalla caduta
dell'Impero romani). Di contro il razzismo non sempre si manifesta con sentimenti di inimicizia, ma
può assumere forme più subdole di benevola protezione e di aiuto disinteressato verso individui
reputati biologicamente inferiori.

Relativismo culturale → Approccio antropologico che contrappone l'analisi delle singole culture,
storicamente e spazialmente determinate, alla loro analisi comparativa, finalizzata a individuare

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l'esistenza di principi comuni. Il riconoscimento della molteplicità culturale e delle differenze si
traduce in un riconoscimento dell'importanza dei costumi (o della cultura) nell'organizzazione della
vita e della società umana.
Assimilazione → tentativo di fondere due culture in una; negare l’esistenza di una cultura diversa
e imporre le idee di una sull’altra (Francia e Belgio).
Segregazione → creare territorializzazione nei confronti di un pregiudizio.
Integrazione → si cerca di creare una cultura nuova frutto di un “meticciamento culturale” (ogni
individuo deve avere i medesimi diritti).
POLITICA diventa il dialogo delle collettività ; un luogo di discussione della democrazia e delle
differenze. Ciascuno ha il diritto di essere rappresentato a prescindere dalle differenze. Con la
politica vengono a confrontarsi vari sistemi di valore.
Globalizzazione avviene alla fine del secolo scorso attraverso la MONDIALIZZAZIONE DEI
MERCATI con l’abolizione delle frontiere doganali e delle politiche economiche protezionistiche –
che in questo periodo riprendono potere soprattutto con la politica di Trump.
1989 → con il crollo del muro di Berlino vi è un primo rilevante allagamento del mercato
capitalistico. Prima vi era URSS che non permetteva libero scambio delle merci tra il mondo
occidentale e orientale.
1994 → Accordi di Marrakech del WTO (World Trade Organisation) sul libero commercio.
Cina (vedi slide)
Libertà di commercio su scala mondiale ha prodotto un unico mercato planetario.
L’intensificazione dello sviluppo della globalizzazione è stata inoltre favorita da più elementi come
lo sviluppo costante delle nuove forme di comunicazione(telefonia, internet,social) la velocità dei
nuovi mezzi di trasporto e l’applicazione su scala mondiale del principio economico della riduzione
dei costi di produzione (DELOCALIZZAZIONE→ prodotto della volontà di massimizzazione)
Le conseguenze della globalizzazione non si restringono al campo economico ma anche su quello
sociale infatti implica un cambiamento nella vita degli individui.
Falso mito della globalizzazione (affine a sogno americano del self-made man: ognuno può fare
economicamente ciò che vuole)
• Precarizzazione del lavoro : porta alla flessibilità dei lavoratori ; ovvero quando al
lavoratore è richiesto di adattarsi ad un esigente mercato del lavoro. ES se serve un
parrucchiere ma tu non lo sei devi accettare comunque.
• Crescita del lavoro nero e non tutelato
• Crisi stato sociale/rottura dei legami sociali e familiare WALFARE (Sistema sociale che
vuole garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali ritenuti indispensabili.)
• Assenza riduzione tutele sociali → porta a una difficoltà della famiglia e in crisi i soggetti
più deboli come anziani bambini e donne.
• Sempre più forte divaricazione tra ricchi e poveri
• Aumento costante dei consumi e di risorse energetiche non rinnovabili

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• Creazione di megalopoli (persone che seguono il lavoro in città con conseguente
formazione di BARACCOPOLI.)
• Aumento della corruzione e dell’illegalità organizzata (con aumento della prostituzione
adulta e minorile.)
• Privatizzazione dei luoghi della formazione (scuole, università) → diffusione
analfabetismo. Solo chi si può permettere strutture private può accedere a un livello più alto
di formazione, avviene degrado delle istituzioni pubbliche.
NEI PAESI POVERI
Aumento di consumi tipici dello sviluppo industriale (automobili, tecnologie informatiche ecc..)
L’omologazione degli stili di vita degli individui che si adattano ai costumi occidentali creando una
sempre più forte occidentalizazzione del pianeta (nuova forma di colonialismo moderno).

27/09/

Globalizzazione ha come scopo la massimilizzazione del profitto con conseguente delocalizzazione


(porta alla precarizzazione del lavoro)→ ripercussioni a livello individuale
Si creano nuovi termini (“giovani adulti”, “giovani vecchi”) per indicare la pluralizzazione delle
diverse età della vita.
PRO/CONTRO
Hawg parla a sostegno della globalizzazione dicendo che non si può stabilire con certezza e
scientificamente nessuna relazione causa/effetto tra lo sviluppo di alcune malattie e la
globalizzazione
La maggior parte delle critiche sulla globalizzazione derivano dai paesi occidentali che l’hanno
iniziata ma che non riescono più a gestirla come vorrebbero e spesso sono sorpassati dai paesi in via
di sviluppo
F.Onida sostiene che l’obbiettivo dei governi è quello di promuovere lo sviluppo delle risorse
umane quindi si attua una politica di inclusione sociale. In questo modo la globalizzazione diventa
la soluzione (vedi slide)
In epoca globalizzata la politica non può più intervenire per perseguire programmi sociali
all’interno del campo economico. Fondamento del NEOLIBERALISMO.
L’idea di progresso è associata all’idea del tempo. La globalizzazione non permette agli individui di
adattarsi ai cambiamenti e alle nuove idee/tecnologie. Questa mancanza di tempo per adattarsi porta
ad una mancata stabilità esistenziale (presente nella generazione precendente) e di conseguenza
l’aspetto umano viene “rovinato”.
Cos’è la pedagogia ?
La pedagogia è la sapere dell’educazione che riflette sulla teoria di quei processi sociali, culturali
e individuali che producono inculturazione, apprendimento e formazione personale. Questi
processi sono presenti in tutte le culture e società.

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La pedagogia è la scienza umana che studia l'educazione e la formazione dell'uomo nella sua
interezza ovvero lo studio dell'uomo nel suo intero ciclo di vita. Non si occupa esclusivamente dei
bambini e dell'infanzia, ma anche di adolescenti, giovani, adulti, anziani e disabili ovvero delle altre
fasi della vita. Insieme alle altre Scienze Umane si rivolge dunque ai contesti formali, non-formali
e informali dove avviene il processo di "trasformatività" proprio della pedagogia stessa.
Inculturazione : quando un soggetto viene introdotto nella sua cultura nazionale. Sono le pratiche
di determinate società e culture. IL SOGGETTO DIVENTA MEMBRO DELLA PROPRIA
CULTURA DI RIFERIMENTO.

COS’E’ LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE


È quel settore della pedagogia che si interroga su quanto implicito nei rapporti tra le culture. L’approccio di
base della pedagogia interculturale si basa su quello che è il rispetto delle differenze. Il basarsi su ciò implica
il puntare più sulle similitudini presenti nelle caratteristiche dell’umano e dell’umanità che alle differenze.
Esse, comunque, esistono e vanno rispettate, ma ciò non vuol dire che non si debbano mettere in discussione.
La necessità di una pedagogia interculturale ha avuto origine in Europa intorno agli anni ’60. Perché ci si è
iniziati a interrogare sui rapporti con le altre culture? Perché in seguito al massiccio arrivo di immigrati
conseguente al secondo conflitto mondiale, c’erano Paesi con sviluppo economico maggiore (come la
Svizzera, la Francia, la Germania) che richiedevano manodopera. La gente lavorava, guadagnava,
risparmiava e tornava nel proprio Paese d’origine. Negli anni ’60 si nota che questa rotazione di forza lavoro
non è vantaggiosa né per il Paese reclutatore (manodopera altamente specializzata la formazione ha un costo
elevato è inutile rimandare indietro i lavoratori specializzati) né per gli immigrati. Ci si ritrova ad un certo
punto a rendersi conto che certi strumenti didattici non valevano per i figli degli immigrati, che spesso non
erano in possesso nemmeno della lingua del Paese d’adozione. Il mutamento di prospettiva fa sì che si parli
di “pedagogia per stranieri”: i figli degli immigrati avevano bisogno di una pedagogia che si occupasse dei
loro problemi. Dunque, la pedagogia dei primi anni ’60 aveva un approccio deficitario. Si è finito è per
individualizzare un deficit che in realtà è strutturale: era la scuola che doveva farsi carico del problema
mettendo a disposizione i suoi strumenti (non doveva individualizzare il problema!). Le pratiche
compensative variano a seconda di come lo stato d’accoglienza percepisce il fenomeno dell’immigrazione:
mentre la Germania promuoveva le competenze dei bambini stranieri nella lingua madre per permettere il
loro reinserimento quando sarebbero tornati nel loro Paese (pensando a un rapido ritorno), la Francia
privilegiava la francesizzazione degli immigrati in virtù del suo passato coloniale (se il bimbo impara il
francese avrà di conseguenza i diritti di un cittadino francese, anche se ciò alla fine in realtà non accade).
L’approccio culturalista parte dall’idea che le difficoltà di integrazione siano legate agli stereotipi riguardanti
la cultura d’origine del bambino. Se però il bambino è nato nel paese di accoglienza la sua cultura non è
riferibile ad un determinato paese ma è di tipo familiare. Si creano però due interrogativi che mettono in
dubbio questo approccio:

1) Chi è abbastanza preparato sulla cultura di provenienza degli alunni stranieri?


2) Di quale cultura si parla? Ci chiediamo ciò perché in realtà la cultura è sottoposta a un mutamento
continuo; inoltre noi non conosciamo la cultura dell’altro, ma la creiamo in base alla nostra percezione (e qui
si cade nella trappola degli stereotipi).
Dunque, quello culturalista è un approccio corretto sul piano concettuale, ma di difficile applicazione (visto
che la persona con cui entro in contatto si è già staccato dalla sua cultura d’origine ma ne ha comunque una
visione familiare).

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Invece, quando si parla di integrazione culturale si parla di approccio dialettico, in quanto analizza i problemi
dell’alunno immigrato, le competenze dell’insegnante, gli strumenti della scuola. Essa richiede un impegno
all’inclusione: l’obiettivo è una nuova cultura frutto di un lavoro di mediazione di entrambe le parti. Il
concetto di mediazione nell’ambito della pedagogia interculturale è fondamentale: il movimento di
avvicinamento deve procedere da entrambe le parti (non si può integrare chi non vuole, ad esempio). Questo
modello, comunque, rimane astratto, se la cultura di origine non è aperta alla nuova cultura o se non esistono
gli strumenti adatti a realizzarlo.
La prospettiva interculturale si genera sia perché esistono i fenomeni migratori, sia perché esistono fattori
che rendono imprescindibile l’avviarsi di processi interculturali:
- La globalizzazione dei mercati (persone, merci, capitali che si spostano senza sosta)
- Gli stili di vita e di consumo delle società ricche (conosciuti e imitati in tutto il pianeta)
- La crescita del turismo e delle comunicazioni di massa (che permette di osservare gli eventi a livello
mondiale, grazie allo sviluppo soprattutto delle tecnologie digitali)
- L’andamento demografico disomogeneo (sia tra Paesi che tra continenti)
- La distribuzione della ricchezza (i pochi Paesi a sviluppo avanzato consumano l’80% della
produzione, e la maggioranza degli altri Paesi, che sono sottosviluppati, deve spartirsi la restante quantità di
ricchezza)
- L’avvio di processi di integrazione economica e politica tra i vari stati (costruzione Europa unita)
La pedagogia interculturale deve agire sia sul piano dell’accoglienza e dell’inserimento degli stranieri nella
società autoctona sia preparando la popolazione autoctona all’incontro con l’altro SENNO’ SI HANNO
CONFLITTI INEVITABILI. Il problema, dunque, non è solo educarsi ad accogliere gli immigrati ma anche
e soprattutto gestire l’incontro con la diversità. L’incontro con l’immigrato rappresenta solo un’occasione per
imparare a vivere e a confrontarsi con l’altro (inteso come cultura, valori, modi di essere, lingue e stili di
vita… non sempre peggiori delle proprie!), dunque non va interpretato come “scontro/conflitto” (due visioni
del mondo che si scontrano inesorabilmente e che vogliono avere la meglio l’una sull’altra), ma come
“possibilità di arricchimento” (deve portare a riflessione e ripensamento su varie questioni).
I compiti della pedagogia interculturale:
• Analizzare criticamente i modelli educativi, i progetti, i problemi legati all’incontro/scontro tra varie
culture, interpretando la complessità senza scendere nella semplificazione;
• Impedire la chiusura all’altro e la negazione delle altre culture, evitando al tempo stesso un’apertura
acritica agli altri valori e comportamenti;
• Analizzare i fenomeni collegati all’incontro/scontro tra le varie culture, decostruendo gli stereotipi
(considerazioni neutre legate all’immagine che abbiamo dell’altro, a caratteristiche esteriori che tutti
possiamo vedere è una semplice generalizzazione, senza ripercussioni negative) e i pregiudizi
(giudizio il più delle volte negativo) che minano questi incontri.

Quale ruolo l’intercultura assegna all’educazione?


- Revisione di concetti e paradigmi
- Far emergere i limiti e le contraddizioni della cultura dominante tramite un lavoro
di analisi critica delle istituzioni e dei modelli politici (compreso quello democratico F 0 E 0
non è detto che un concetto, debba essere accettato in toto proprio perché
democratico)
- Rilanciare l’istanza universalistica attraverso:
1) Decentramento punto di vista

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2) Rifiuto di gerarchizzazioni a priori delle diverse tradizioni
3) Ricerca continua di valori condivisi/condivisibili
4) Acquisizione consapevolezza etnocentrismi (=concetto per il quale un
popolo pensa che il proprio assetto sia il migliore che esista) F 0una
E0 persona
deve assumere la consapevolezza di agire con sentimenti di etnocentrismo,
per dar loro un valore relativo
5) Decostruzione stereotipi e pregiudizi
LO STEREOTIPO
Stereotipo = opinione precostituita su una classe di individui, gruppi, oggetti che riproducono forme
schematiche di percezione e di giudizio. Questo termine proviene dall’ambiente tipografico, dove, verso la
fine del ‘700, fu coniato per indicare la riproduzione di immagini a stampa per mezzo di forme fisse. Gli
stereotipi hanno valore notevole, in quanto contengono verità sufficienti a predire il comportamento di
individui o gruppi. Lo stereotipo ci serve ad isolare i dati di una realtà che non sono noti. Si po' considerare
una generalizzazione della realtà, è una sorta di sua semplificazione. Lipmann sostenne che il rapporto con la
realtà è mediato dalle immagini mentali che uno si costituisce di essa, e che spesso sono molto semplificate
e rigide in quanto non sempre la mente umana “desidera” trattare la grande varietà delle forme con cui il
mondo si presenta. GLI STEREOTIPI DUNQUE SI COSTRUISCONO ATTRAVERSO UN PROCESSO DI
SEMPLIFICAZIONE DELLA REALTA’, che ci viene spiegato da Mazzarra. Questo processo:
- Si verifica secondo modalità culturalmente previste
- Svolge una funzione di tipo difensivo, in quanto gli stereotipi garantiscono
all’individuo la salvaguarda della posizione di un individuo (in quanto contribuiscono al
mantenimento della sua cultura e delle sue forme di organizzazione)
- Guida la raccolta delle informazioni e l’analisi della realtà (perché i dati di
esperienza vengono già filtrati secondo le categorie rappresentate dagli stereotipi F 0la
E0

realtà che incontriamo, in realtà da noi è stata già filtrata ancora prima di approcciarci
ad essa F 0non
E0 ci si può approcciare alla realtà scevri di retro-pensieri)
Perché gli stereotipi?
La formazione degli stereotipi sarebbe dunque un processo naturale. Tra le molte spiegazioni delle ragioni di
questo fenomeno, una fa riferimento al fatto che la creazione è un processo di semplificazione della realtà e
che è necessario per la nostra mente, che, infatti, non potrebbe elaborare la grande quantità di dati
provenienti dall’esterno altrimenti. Tale processo di astrazione (creazione di categorie di significato
omogenee) comporta poi, però, che a ogni singolo elemento vengano date tute le caratteristiche di
quell’insieme.
IL PREGIUDIZIO
Pregiudizio = giudizio precedente all’esperienza, ossia giudizio emesso in assenza di dati sufficienti.
Potrebbe essere potenzialmente pericolo o dannoso per noi. Quando si ha un pregiudizio ma pur di
conservarlo si analizza la realtà della logica dell’eccezione, ecco che esso diventa negativo, dannoso per noi.
Il pregiudizio non si riferisce tanto a fatti o eventi quanto a gruppi sociali e si caratterizza come giudizio di
tipo negativo che tende a penalizzare l’oggetto del giudizio stesso. Il pregiudizio può essere:
- Al massimo livello di generalità (pre-giudizio)
- Al massimo livello di specificità
Il rapporto di coscienza dell’altro è dunque di fatto fortemente influenzato dagli stereotipi e dai pregiudizi.
Perciò è necessario capire quali sono i meccanismi che determinano il sorgere di queste modalità di
conoscenza per tentare di modificarli o per lo meno di evitare che siano usati meccanicamente e
inconsapevolmente.
La distanza sociale (quella che si tende a mantenere tra noi ed un diverso gruppo sociale/etnico) cresce
in maniera direttamente proporzionale agli stereotipi e ai pregiudizi. Ad esempio, in quasi ogni città c’è
una China Town. Ciò perché gli italiani hanno un’opinione positiva nei confronti della comunità cinese,

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dunque questa può permettersi di vivere all’interno delle città. I rom, al contrario, sono confinati nelle
periferie, in quanto non sono ben considerati (anzi sono stati sempre perseguitati in passato). Esiste però lo
stato sociale: una sorta di gerarchia che potenzia o mitiga la distanza sociale (più sulla base dei valori
piuttosto che su quella dell’etnia). Le differenze tra etnie portano ad avere distanza sociale. Ma se all’interno
di etnie svantaggiate rispetto alla distanza sociale si crea uno stato sociale alto, non c’è etnia che tenga.
L’attribuzione della classe sociale varia nel tempo e nello spazio, in quanto la classe sociale non è
cristallizzata. Esiste una discrepanza tra i diversi tipi di status che vengono attribuiti in Italia e nei paesi di
provenienza. Perché dunque lo status sociale è inversamente proporzionale alla distanza sociale? La nostra
società, che ha determinato alcune professioni, alcuni principi, alcuni valori come status elevati, fa
aumentare la distanza che si viene a creare tra il nostro gruppo sociale e quello di determinati emigrati.
Fondamentalmente il rapporto di conoscenza tra noi e l’altro è influenzato fortemente dagli stereotipi e dai
pregiudizi, dunque l’educazione interculturale deve modificare questo meccanismo o per lo meno evitare che
venga usato ripetutamente ed in maniera acritica. Ogni volta ci dovrebbe essere un processo di riflessione
che porta a smantellare pregiudizi e stereotipi.
Come si forma un pregiudizio?
Secondo l’approccio cognitivo il pregiudizio si forma a livello di organizzazione individuale delle
conoscenze: l’essere umano in quanto elaboratore di informazioni adotta dei meccanismi che gli consentono
di semplificare la realtà per renderla più comprensiva. Però l’individuo non entra in contatto con il
fenomeno, bensì utilizza dei dati che provengono dall’esterno (i pregiudizi sono da noi elaborati sulla base
dell’ambiente nel quale siamo immersi, sulla base delle credenze che si sono tramandate nel tempo in una
determinata società, sulla base del “ciò che ci viene detto”. Di conseguenza, secondo il suddetto approccio, il
pregiudizio non è un errore della formazione del nostro pensiero, bensì un nostro limite.
Le conseguenze quali sono?
Il pregiudizio è una sorta di calunnia, che porta alla diffusione di comportamenti denigratori. Tramite il
pregiudizio noi arriviamo a stigmatizzare il diverso, arrivando a denigrare i soggetti appartenenti a gruppi
minoritari. Non sempre però il disprezzo nutrito si traduce in atteggiamenti discriminatori (per esempio
quando il “diverso” posto al nostro stesso piano dal punto di vista legale). Il pregiudizio non si limita ad
essere mentale, e/o espresso. Spesso esso orienta all’azione: si può giungere a comportamenti violenti verso
il gruppo da noi stigmatizzato giustificandosi tramite il pregiudizio. Dallo stereotipo, che è un’immagine
(positiva o negativa che sia), in forza di un pensiero che ci viene dalla fisiognomica, se l’immagine è brutta
ci porta a costruire pregiudizi negativi. Quando costruiamo un pregiudizio che traccia un confine tra noi e
l’altro, siamo pronti a scagliarci su un capro espiatorio (esso ha una ragione ben precisa: distogliere
l’attenzione dal vero colpevole di una situazione di crisi che minaccia il gruppo maggioritario F 0piuttosto
E0

che accusare i governi, ad esempio, si accusa un gruppo di minoranza etnica F 0esempio:


E0 Germania pre-II
Guerra Mondiale vs Ebrei). Nel momento in cui la ragion di stato adotta un capo espiatorio ci troviamo
immediatamente in una condizione di razzismo. Il capro espiatorio, alla fine di tutto, abbruttito dalla
stigmatizzazione che lo ha investito, praticamente si lascia morire (non combatte più).
I pregiudizi possono essere di vario tipo:
- Etnico-razziali (minoranze etniche)
- Religiosi (ebrei/cristiani etc)
- Di genere (donne)
- Sociali (meridionali/disabili/anziani)
- Sessuali (gay/differenze sessuali)
Origini e cause del pregiudizio
Il pregiudizio sociale molto spesso nasce dalla paura che i propri spazi e interessi siano minacciati dalla
presenza dell’altro e diventa quindi uno strumento per difendere i propri privilegi e al tempo stesso entrare a
far parte di un gruppo (PRINCIPIO DI INCLUSIONE ED ESCLUSIONE). Dunque il gruppo si serve del

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pregiudizio anche per rafforzarsi, per trovare una identità, definire dei caratteri che lo differenziano
totalmente da un altro. L’origine del pregiudizio dipende da diversi fattori:
- L’eterogeneità della struttura sociale, che può alimentare una chiusura verso gli
altri
- Le trasformazioni sociali che determinano fratture culturali (es: frattura lifestyle
urbano vs campagna F 0iE 0settentrionali sono superiori ai meridionali)
- Le dimensioni del gruppo minoritario (se esso è grande e coeso tende ad essere
minacciante)
- Mass-media, cultura religiosa, politica, etc che non scoraggiano l’aggressività nei
confronti dell’altro, del diverso F 0alla
E0 lunga questo è il punto che attualmente viene
maggiormente sfruttato
STEREOTIPI E PREGIUDIZI IN AMBITO EDUCATIVO
F 0 L’EFFETTO
76 PIGMALIONE (Rosenthal e Jacobson) F 0le E 0 aspettative degli

insegnati, basate su una percezione stereotipata dell’allievo, si


trasformano in profezie che si auto-avverano (la profezia che si auto-
avvera è un fenomeno innescato da un altro significativo che si relaziona
con noi, che sia un insegnante, un allenatore, un genitore) e inducono
cambiamenti nei comportamenti che vanno verso la direzione attesa (ciò
perché se l’allievo ha buoni risultati da subito e viene incoraggiato
sempre a fare di meglio, egli si sforzerà sempre di più per migliorare
sempre; mentre se un allievo ha avuto dei risultati negativi e non viene
supportato, si convincerà che non è buono a nulla).
F 0 Una
76 RICERCA dei DURAND illustra le rappresentazioni che in alcuni
insegnanti francesi si creano in base alla percezione che hanno dei loro
studenti zingari/maghrebini/asiatici. Creano una graduatoria di merito (1°
posto asiatici, 2° maghrebini, 3° zingari) basata sullo stereotipo che si
trasforma in pregiudizio (grazie all’azione del senso comune) F 0ilE 0soggetto
non viene considerato un vero e proprio allievo, bensì l’espressione
stereotipata di quella determinata etnia. Il risultato di ciò è un insieme di
riferimenti che non hanno nulla a che fare con il rendimento scolastico, e
che diventano discriminanti per la valutazione.
PREGIUDIZI ETNICI F 0Difficoltà
E0 relazionali tra Ladinos e Indigeni Guatemaltechi (R.Menchu): i primi,
nonostante discendano da indigeni e spagnoli, si sentono superiori agli Indigeni, anche se sono poveri e
vivono nelle stesse condizioni: il possesso della lingua spagnola diventa l’unico elemento di discriminazione
tra i due gruppi, per riscattarsi da una medesima condizione economico-sociale.

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