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Teoria dell’orientamento alla dominanza sociale (Sidanius e

Pratto, 1999)

Questa teoria sostiene che all'interno delle diverse società e delle diverse culture sono
presenti differenze gerarchiche e di status e riconducibili sostanzialmente a tre ordini di
fattori gerarchici basati sull'età (questo fattore varia a seconda delle culture e dei contesti
sociali: ad esempio, nella nostra cultura gli adulti di mezza età costituiscono la fascia d’età
più avvantaggiata,mentre in altre culture e contesti culturali hanno maggior prestigio gli
anziani oppure i giovani), sul genere e su variabili culturali (come la religione, oppure
l’appartenenza a certi ceti sociali oppure a certe professioni ).
Per giustificare queste differenze gerarchiche e il dominio sociale che queste
garantiscono a determinati gruppi sociali sono stati sviluppate delle ideologie
legittimanti, di cui fanno parte anche i pregiudizi; le persone si differenziano per il loro
livello di orientamento alla dominanza sociale cioè il grado in cui accettano o meno
queste ideologie legittimante condivise riguardanti le differenze di status o di potere,
quindi le persone che sono contraddistinte da un elevato livello di orientamento alla
dominanza sociale ritengono giusto mantenere le relazioni asimmetriche esistenti
all'interno della società e per giustificare queste relazioni asimmetriche condivideranno
stereotipi negativi e pregiudizi verso quei gruppi sociali che sono ritenute inferiori quindi
ritengono giusta una strutturazione stratificata della società che prevede che ci siano gruppi
dominanti e gruppi non dominati.
Questa posizione si differenzia da quella sostenuta dell'autoritarismo di destra perché
le persone contraddistinte da elevati livelli di orientamento alla dominanza sociale non sono
particolarmente propensi a sottomettersi all'autorità e non mostrano un marcato
apprezzamento per la tradizione, ma semplicemente ritengono appropriato che le società
siano organizzate secondo strutture gerarchiche che attribuiscono a diversi gruppi sociali
maggiore o minore potere e capacità di influenza.
Questa è una teoria individuale quindi riconduce il pregiudizio a determinate
caratteristiche personali; questo genere di teorie peccano però di riduzionismo, perché
cercano di spiegare un fenomeno che evidentemente riguarda le relazioni e le percezioni
gruppi sociali (non per niente un pregiudizio è definito è una forma di atteggiamento
negativo nei confronti di coloro che appartengono a gruppi sociali diversi dal
proprio).

Si sono sviluppate delle teorie di carattere socio-economico nelle quali il pregiudizio


sarebbe innanzitutto frutto di particolari dinamiche, processi e relazioni che si
instaurano tra gruppi sociali diversi: il pregiudizio non è quindi tanto caratteristico di
specifici individui che hanno certi tratti, certi orientamenti e certe strutture di atteggiamenti e
che hanno fatto, in quanto singoli individui, particolari esperienze o che abbiano subito delle
frustrazioni, ma esso è dovuto piuttosto a particolari dinamiche e particolari forme di
interazione tra gruppi sociali diversi.

Di queste teorie fanno parte la teoria del conflitto realistico e la teoria della deprivazione
relativa.
Teoria del conflitto realistico

Essa sostiene che i pregiudizi e i conflitti si originano quando due o più gruppi sociali si
trovano a dover concorrere per aver accesso a risorse e materiali che sono ambite da
tutti i gruppi ma sono insufficienti per soddisfare i loro bisogni. Quindi, se le risorse
materiali presenti nell'ambiente a cui più gruppi sociali aspirano sono scarse allora tra gruppi
si scatena un conflitto che si manifesterà anche attraverso pregiudizi e azioni discriminatorie
agite nei confronti dell’outgroup. Un esempio di situazioni di questo tipo è il fatto che noi
vediamo gli immigrati come una sorta di "competitors" che mettono a rischio l’accesso ai
posti di lavoro oppure, nel caso di conflitti tra nazioni, un esempio può essere quello tra
Palestina e Israele per ottenere lo sbocco sul mare e il controllo della città di Gerusalemme;
anche le competizioni sportive costituiscono un esempio di questo tipo di conflitto, perché
due o più squadre concorrono all’ottenimento di un premio (in questo caso quindi una
risorsa simbolica, perché porta prestigio alla squadra vincitrice) e anche in questo contesto
possono quindi nascere pregiudizi e ostilità tra le squadre che competono.
Esperimenti della caverna dei ladri o del campo estivo

Questo tipo di fenomeno è stato studiato e illustrato attraverso tre studi sul campo condotti
dai coniugi Sherif (le tre versioni dell’esperimento si svolsero a distanza di anni), noti come
esperimenti della caverna dei ladri o il campo estivo, finalizzati dimostrare i fattori che
innescano conflitti, atteggiamenti ostili e pregiudizi nei confronti degli outgroup e
anche quali fattori possono essere utili per ridurre le tensioni che si verificano a livello
intergruppo.
Questi tre esperimenti, distinti tra loro ma tutti con un impianto simile e risultati empirici
comparabili, hanno visto coinvolti gruppi di ragazzi americani appartenenti alla classe
bianca appartenenti a famiglie relativamente benestanti di età compresa fra 11 e 12
anni che passarono parte dell’estate in campeggi organizzati a fini sperimentali (i genitori
ne erano stati informati anche se non erano state date loro delucidazioni specifiche in merito
alla finalità ultima degli esperimenti se non una volta che questi si conclusero); Prima di
partecipare a questo campo estivo i ragazzi non si conoscevano personalmente.
In uno dei tre esperimenti inizialmente questi ragazzi erano lasciati liberi di interagire in
modo spontaneo in modo tale che essi formassero delle amicizie spontanee (fase
preliminare di conoscenza interpersonale).
Nella seconda fase dell'esperimento (che è in realtà la prima per le altre due versioni
dell’esperimento) chiamata formazione dei gruppi i ragazzi erano divisi in due gruppi
facendo in modo che le persone che avevano formato dei legami spontanei fossero
separate; i due gruppi vennero chiamati le aquile e i serpenti a sonagli, e nell'arco della
prima settimana di campeggio svolgevano le proprie attività in aree diverse del campo estivo
non avendo occasione di interagire due gruppi fra di loro; nelle due versioni
dell'esperimento che partivano da questa fase quindi i ragazzi erano tenuti inizialmente
all'oscuro dell'esistenza dell’altro gruppo.
In questa fase si notò che nel momento in cui i ragazzi venivano a conoscenza
dell'esistenza dell’altro gruppo essi cominciavano a esprimere spontaneamente giudizi più
favorevoli nei confronti del proprio gruppo, mentre i membri dell’altro gruppo venivano
valutati meno favorevolmente rispetto ai membri del proprio gruppo, anche nelle due
versioni dell’esperimento in cui i membri dei due gruppi non avevano mai avuto occasione di
interagire; inoltre, i ragazzi chiesero agli educatori del campo estivo di poter sfidare i
componenti dell’outgroup all'interno di competizioni (ciò che gli sperimentatori avevano già
previsto nelle fasi successive).
Nella fase della competizione intergruppi venivano organizzati dei giochi di squadra tipici
di un campo estivo (es.: tiro alla fune, caccia al tesoro…) in cui le due squadre erano
contrapposte e si assegnavano dei premi (come medaglie o coltellini) che spettavano solo al
gruppo vincitore.
In questa fase si introduce quindi una situazione di competizione in cui è presente una
risorsa ambita da due gruppi diversi; essa è chiamata situazione di interdipendenza
negativa, perché i membri dei due gruppi sono legati in modo negativo, per cui se uno
se un gruppo vince questo implica automaticamente che l'altro gruppo perde.
In questa fase si notò innanzitutto che si svilupparono atteggiamenti ostili e pregiudizi nei
confronti dell’outgroup e favoritismo nei confronti dell'ingroup; aumentò quindi la coesione
interna al gruppo (risultato confermato da molti studi), andando a definire come leader del
proprio gruppo coloro che hanno tratti e più bellicosi e più aggressivi; aumentano anche le
azioni aggressive nei confronti dell’outgroup (ci furono ad esempio incursioni nelle tende del
campo della squadra avversaria in cui esse furono distrutte oppure la creazione di slogan e
striscioni offensivi e addirittura aggressioni), quindi la situazione degenerò; inoltre, si notò
che coloro che avevano gli atteggiamenti più ostili e pregiudizi più marcati nei confronti
dell’outgroup vincevano più spesso all'interno delle competizioni ; questo risultato
smentisce la teoria della frustrazione aggressività, perchè si dimostrò che non è
sempre più frustrato chi non riesce a raggiungere il proprio obiettivo che sviluppa
maggiori pregiudizi, ma addirittura chi risulta vincente all'interno delle competizioni,
quindi questo dato ci rivela che non sempre è la frustrazione la causa dell'aggressività.
Nell’ultima fase dell’esperimento, che riguardava la collaborazione intergruppi, si
crearono ad hoc delle situazioni apparentemente fortuite in cui i gruppi furono costretti a
collaborare per raggiungere scopi sovraordinati ambiti da tutti e due gruppi (es.: si
danneggiò l'approvvigionamento idrico bucando una cisterna per fare in modo che i membri
di entrambi i gruppi dovessero collaborare per ripararla, oppure fu data ai ragazzi la
possibilità di noleggiare un pulmino condividendo i soldi fino ad allora guadagnati); creando
questo tipo di situazioni, gradualmente le tensioni e i conflitti si ridussero.
Un risultato costante delle ricerche in questo ambito è il fatto che mentre è molto facile
innescare un conflitto (bastano poche occasioni competitive per fare in modo che le
relazioni diventino più tese) per ridurre le tensioni e conflitti sono necessari ripetuti
tentativi di cooperazione.
Dopo tre settimane (durata prevista dell’esperimento) le relazioni divennero più cooperative
e armoniose, infatti quando fu giunta l’ora di tornare a casa le due squadre decisero di
tornare tutti insieme sullo stesso pulmino;
questo significa che i due gruppi arrivarono a percepirsi come un unico gruppo e non più
come due gruppi in opposizione.
Altri studi successivi rimarcarono che una condizione importante affinché la
cooperazione contribuisca in modo efficace alla riduzione delle ostilità e dei
pregiudizi è che questa Cooperazione abbia successo;
Ciò accadde negli esperimenti di Sherif, perchè i partecipanti erano impegnati in compiti che
alla fine li vedevano vittoriosi (es.: riuscirono a riparare la cisterna e a noleggiare il pulmino).
Invece, nel caso in cui un tentativo di Cooperazione intergruppi sia caratterizzato da
insuccesso si attribuisce la causa di tale insuccesso all’outgroup.

Una seconda condizione importante affinché i tentativi cooperativi promuovano relazioni


intergruppi più distese prevede che il tipo di Compito proposto non comporti una perdita
delle identità sociali originarie; questo aspetto è stato sottolineato soprattutto dalla
studiosa Brewer.
Ad esempio, se noi studenti di psicologia fossimo chiamati a cooperare con altri studenti di
questa stessa università ma provenienti da corsi di laurea diversi in un progetto comune e ci
fosse chiesto di contribuire al progetto lavorando su aspetti che non riflettono le nostre
competenze e formazione, come questioni di calcoli numerici, in questo caso gli studi
prevedono che saremmo meno inclini a cooperare e collaborare perchè percepiremmo che
questo lavoro condiviso non risalta le nostre peculiarità rispetto agli altri.
Quindi, quando i tentativi cooperativi che vengono attivati forzano le persone a
rinunciare a delle identità sociali che per loro solo importanti allora in questo caso le
persone tenderanno a non essere particolarmente cooperative.

Gli esperimenti dei coniugi Sherif si possono estendere a gruppi diversi, come ad adulti.
Un esempio è l‘’esperimento di Bruere Campbell che nel 1976 condusse un'indagine
grafica su gruppi tribali dell'Africa Orientale, chiedendo ai membri di questi gruppi di
esprimere il proprio giudizio valutando le caratteristiche di altri gruppi tribali di cui
avevano conoscenza e che potevano essere più o meno distanti livello territoriale rispetto
all'ubicazione nel loro villaggio; si notò che i pregiudizi più forti furono nei confronti di
quelle tribù che erano più vicine a loro, perché venivano percepiti come competitori
più diretti per l'accesso delle risorse del territorio.

Esistono molti altri lavori di ricerca che confermano questo questo tipo di
conclusione.

VIDEO
● https://www.youtube.com/watch?v=8PRuxMprSDQ (video esperimento Sherif)
● http://www.youtube.com/watch?v=60GNXRGqBwM&list=PL478F51E5AC188ADB

Le situazioni di competizione quindi fomentano e legittimano maggiormente l'espressione


manifesta di pregiudizi e di ostilità che sono diffuse a livello sociale ma che in situazioni
normali è contenuta a causa delle norme sociali (ad esempio allo stadio); lo stesso vale
anche per i conflitti su larga scala.
La teoria del conflitto realistico è quindi importantissima perché ha ispirato diversi modelli
di intervento atti a contrastare pregiudizi, discriminazioni e conflitto intergruppi.

Limiti della teoria del conflitto realistico

Questa teoria presenta però anche dei limiti:

1. La mancata focalizzazione sulle dinamiche tra gruppi di maggioranza di


minoranza all'interno di gruppi aperti: in questa teoria non si può comprendere se
le cose funzionerebbero allo stesso modo quando abbiamo situazioni di competizioni
fra gruppi sociali dominanti e non dominati tra gruppi sociali che godono di uno
status di posizioni di prestigio diverse; invece, negli esperimenti che abbiamo
osservato i gruppi considerati sono chiusi, perché i componenti non potevano uscire
liberamente una volta assegnate le due squadre oppure cambiare squadra; infatti,
molti dei gruppi ai quali noi apparteniamo sono elettivi ossia la nostra appartenenza è
per scelta e noi possiamo entrare e uscire da questi gruppi.
2. L’assunzione che tutti i conflitti abbiano una valenza negativa e siano da
evitare: in realtà il conflitto è molto spesso l'unico mezzo che una minoranza
svantaggiata ha per far valere i propri diritti o bisogni. Moscovici infatti evidenziò
che il conflitto può essere un motore potente di cambiamento sociale per una
minoranza si mobilita perchè essa possa riguadagnare prestigio e status sociale;
soffocare conflitti o incentivare la cooperazione tra essi rischia infatti di essere a
vantaggio dei gruppi dominanti, perché in questo caso non ci sarebbe alcuna forma
di cambiamento e quindi le loro prerogative e loro vantaggi rimarrebbero inalterati.
3. L’assunzione che il pregiudizio e favoritismo verso il proprio gruppo e la
discriminazione intergruppi nascano necessariamente da un conflitto esplicito
di interessi: in realtà i pregiudizi nascono anche da altre situazioni. Ciò si può notare
dagli stessi tre esperimenti dei Sherif, infatti anche quando si divisero semplicemente
i partecipanti in due gruppi senza però creare delle situazioni di competizione, i
membri dei due gruppi tendevano ugualmente ad attribuire giudizi più negativi
all’outgroup. Inoltre, i pregiudizi e i conflitti si originano non solo quando ci sono
risorse materiali oggettivamente scarse, ma anche quando un altro gruppo è
percepito come portatore di valori ed ideali diversi dal proprio; in questo caso infatti
non è in gioco l'accesso a risorse materiale, ma è la dimensione simbolica che
caratterizza i gruppi ad innescare tensioni e pregiudizi. Potrebbe inoltre essere che le
risorse siano oggettivamente sufficienti a soddisfare i bisogni delle diverse
parti, ma si reputa che tali risorse siano state spartite in modo iniquo.

Quest'ultimo punto è stato analizzato dalle teorie delle minacce simboliche e le teorie della
deprivazione relativa.
Teoria delle minacce simboliche

Secondo questa teoria i pregiudizi e conflitti si originano quando due o più persone o
gruppi sentono di essere minacciati.
Ciò motiva ad entrare in conflitto con l’altra persona o gruppo e a svalutare l’outgroup; la
minaccia percepita può essere realistica (come previsto dalla teoria del conflitto realistico,
ci si sente minacciati rispetto l'accesso a beni materiali, come il posto di lavoro che mi
consente l'accesso alla risorsa materiale del denaro) oppure, in base a questa teoria, di
ordine simbolico (un gruppo si può sentire minacciato perché chiamato a confrontarsi con
uno o più gruppi portatori di valori di credenze di ideali di principi di identità sociali diverse
dal proprio; ad esempio, ci possiamo sentire minacciati dagli immigrati perché sono portatori
nel nostro territorio di punti di vista sul mondo sulla vita che percepiamo come diversi dal
nostro e addirittura difficilmente conciliabili).
Teoria della deprivazione relativa

Essa sostiene che il pregiudizio e il conflitto si innescano da una situazione di deprivazione


relativa, ossia quando noi percepiamo che gli altri si trovano in situazioni più
vantaggiose rispetto alle nostre o godono di privilegi maggiori rispetto al proprio
gruppo.
Quindi le persone in questo caso si sentono deprivate di qualcosa che in realtà avrebbe
dovuto a vantaggio degli ingroup.
Origine della deprivazione relativa

La deprivazione relativa deriva da:

1. Deprivazione egoistica: il confronto si gioca a livello interpersonale, quindi fra me e


un'altra persona, e in questo caso avviene che l'altro ha ottenuto ingiustamente
più risorse di me, nonostante io Ie avessi meritate ugualmente o
maggiormente perché mi sono impegnato di più o perché mi spettavano di
diritto. Un esempio può essere tratto dal contesto familiare e in modo più specifico
dal senso di deprivazione che può nascere a causa del proprio fratello o sorella
perché si percepisce che la madre dia più amore all’altro invece che a me stesso,
nonostante questo affetto spetti anche a me di diritto, oppure nel contesto scolastico
quando si percepisce che ci sia assegnato ingiustamente un voto più basso rispetto
ad un altro compagno nonostante il proprio impegno sia stato uguale o maggiore.
2. Deprivazione relativa fraterna: si innesca quando per gli individui è importante una
certa appartenenza sociale o identità sociale che si percepisce essere stata
discriminata a livello di spartizione di distribuzione di risorse; in questo caso allora ci
si mobilità non solo per tutelare il proprio personale benessere e raggiungere la
tutela dei propri diritti, ma anche quelli dell'intero gruppo di appartenenza.

La teoria della deprivazione relativa dimostra quindi che gli atteggiamenti negativi nei
confronti di singole persone o nei confronti di interi gruppi sociali si qualificano come
pregiudizi che si possono innescare da un senso di ingiustizia derivante da una distribuzione
iniqua di risorse.
Al di là di queste teorie, un senso di giustizia può ovviamente emergere anche da altre
ragioni oltre l'ingiustizia distributiva: un esempio è l’ingiustizia procedurale, in cui si
percepisce che le risorse siano spartite in modo relativamente equo ma non è percepito
come corretto il criterio delle procedure attraverso le quali si arriva a spartire tali risorse; in
questo caso l'ingiustizia deriva non tanto dal dall'esito ultimo della spartizione ma da come si
è arrivati a questa spartizione, e quindi attraverso quali principi, regole e norme si è regolata
la spartizione di risorse.

Ipotesi della curva J (Davis): Il senso di ingiustizia può derivare dal confronto con la
propria storia pregressa; secondo quindi questa curva tendiamo quindi ad avere aspettative
di ulteriore miglioramento nel tempo in termini di opportunità economiche e di benessere; se
però a un certo punto lentamente non si ha un miglioramento e quindi la curva di
incremento non è più così marcata e invece decresce, se questo mancato incremento è
lento e progressivo nel tempo allora le aspettative tenderanno ad adattarsi alla realtà,
ma se invece il decremento è improvviso e brusco come in un periodo improvviso e
inaspettato di forte recessione economica, le aspettative non hanno il tempo di adattarsi
rispetto alle condizioni reali e quindi si viene a creare un Gap tra le aspettative rispetto
al passato e la realtà e ciò crea una situazione di malcontento che sfocerà in un senso
di deprivazione e di ingiustizia perché si percepisce un peggioramento del proprio
benessere rispetto alle generazioni precedenti.
Questa situazione può esacerbare in conflitti sociali in genere non nei confronti di
particolari a gruppi, ma solitamente all’interno del proprio gruppo d’appartenenza.

Teorie cognitivo-motivazionali
Un terzo gruppo di teorie invece sono chiamate cognitivo-motivazionali e insistono su
processi di natura psicosociale; secondo questo gruppo di teorie il pregiudizio è un
fenomeno intrinseco della mente umana, quindi noi svilupperemo pregiudizi non solo
quando abbiamo certi tratti, certe caratteristiche e certe esperienze a livello personale o
quando i rapporti intergruppi diventano conflittuali o caratterizzati da spartizione iniqua di
risorse, ma innanzitutto da processi di tipo cognitivo.

Osservazioni empiriche

Questa tesi è stata sostenuta da diverse teorie, tra cui:

1. La teoria dell'identità sociale: questa teoria è molto importante, perchè trova


applicazione in tantissimi ambiti e consente di spiegare tantissimi fenomeni
che noi osserviamo a livello psicologico e sociale . Secondo questa teoria, noi
utilizziamo dei processi di categorizzazione sociale per categorizzare l’ambiente
sociale in cui ci troviamo e tendiamo a giudicare e valutare gli altri fornendoci delle
impressioni sulla base delle loro appartenenze categoriale e delle loro appartenenze
di gruppo. Una categorizzazione fondamentale che attiviamo è quella
ingroup/outgroup, valutando cioè se gli altri appartengono in quella determinata
situazione sociale al nostro stesso gruppo oppure no; in questa situazione, verso
coloro che appartengono il mio stesso gruppo si ha la tendenza a sviluppare un
atteggiamento di favoritismo, che si può manifestare in moltissimi modi, tra cui per
esempio tendendo più facilmente ad aiutare i membri dell'ingroup rispetto ai membri
dell’outgroup (come nel video mostrato nelle lezioni precedenti in cui le persone
tendevano ad aiutare una ragazzina vestita come una persona appartenente ad una
famiglia benestante e dello stesso gruppo dei passanti, mentre il contrario avveniva
se la stessa bambina si presentava come apparentemente appartenente alla famiglia
povera di un outgroup), distribuendo più ricompense agli ingroup anziché agli
outgrup oppure screditando e attribuendo caratteristiche negative ai membri
dell’outgroup. Secondo questa teoria, noi distinguiamo e categorizziamo il mondo
sociale in ingroup e outgroup in modo automatico. Questo è stato dimostrato da
thrasher in un celebre lavoro di ricerca (si vedrà la prossima volta), in cui lo scopo è
di verificare quali caratteristiche i gruppi sociali devono avere Affinché si
inneschino processi di favoritismo.

Studi sui gruppi minimali

Ci si può chiedere a questo punto quando un insieme di persone può essere


considerato un gruppo: in realtà, esistono tante definizioni di gruppo quanti sono gli autori
che hanno cercato di definirlo.
Che cos’è un gruppo?

Alcune di queste definizioni rimarcano alcuni dei tratti tipici del gruppo: secondo alcuni
autori, un gruppo è un insieme di persone che interagiscono tra di loro, direttamente
(faccia a faccia) o indirettamente.
Altri parlano invece attribuiscono importanza per un gruppo all'esistenza di un destino o
uno scopo comune: infatti, se le persone hanno un obiettivo o uno scopo comune essi
facilitano le interazioni reciproche e quindi la creazione di un gruppo. Un’altra versione di cui
fanno parte i coniugi Sheriff è la definizione di un gruppo come un insieme di persone che
che è dotato di una certa struttura e organizzazione interna, per cui ha delle norme
esplicite e implicite ed è caratterizzato da una differenziazione di ruolo e di status ( ci sono
persone che sono dotati di maggiore prestigio e potere rispetto ad altre oppure ricoprono
pari posizione di status e ruoli diversi, come nel caso di una squadra sportiva in cui tutti i
giocatori sono caratterizzati da ruoli diversi ma che sono di pari importanza per lo
svolgimento di una partita).
Un’ultima definizione appartiene a Brown ed è una delle più note: il gruppo è un insieme di
persone che si definisce come membro di quel gruppo e l'esistenza di questo gruppo
è riconosciuta da almeno un'altra persona esterna dal gruppo; non è quindi sufficiente
sentirsi parte di un gruppo.

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