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Antropologia

culturale
Amalia Signorelli

Riassunto di Chiara Filippeschi


Antropologia Culturale – Amalia Signorelli, riassunto
Capitolo 1: Lo studio delle diversità
Parte 1.1 – La specie umana
Che cosa è l’Antropologia?
Antropologia → scienza che studia le somiglianze e le diversità proprie della specie umana.
In quanto esseri umani, rivendichiamo l’uguaglianza di trattamento in nome della somiglianza
tra tutti noi. Ma rivendichiamo anche il diritto alla diversità contro il conformismo e la
sottomissione a regole generali che ci sembrano ingiuste o inadeguate → OSCILLAZIONE,
valorizzazione di entrambi gli aspetti.
Risultati della valorizzazione:

• Delle somiglianze → costituzione dei gruppi e delle alleanze tra gruppi


• Delle diversità → instaurazione di rapporti ostili
In generale, l’antropologia è una disciplina che ha poco meno di 150 anni di vita.
Nasce nel XIX secolo nei paesi occidentali in rapporto con le loro conquiste coloniali (territori
conquistati tra XVI E XX secolo). Quando i territori conquistati divengono autonomi nasce qui
un’antropologia dei nativi (autonoma, locale).
In Italia la prima cattedra universitaria nasce a Firenze nel 1869, in Inghilterra soltanto nel 1884 a
Oxford viene creato un corso di laurea ufficiale.
In che cosa si differenzia da altre discipline che si pongono il suo stesso interrogativo?
Siamo uguali o diversi? → antropologia indaga attraverso i suoi propri postulati, le sue ipotesi
generali, i suoi campi di ricerca, i suoi metodi e le sue tecniche di ricerca (≠ altre discipline,
ovviamente).
La specie umana e il suo studio
Etimologia dal greco antico → studio dell’uomo (uomo = intera umanità, quindi in aggregati:
interesse allo studio della società come somma di individui che ne costituiscono gli elementi
componenti).
Studio della specie umana come specie sociale, e quindi studio di:

• Relazioni che intercorrono tra gli individui e che li tengono insieme


• Strutture sociali, cioè sistemi stabili di relazioni tra individui
• Fattori sociali, cioè concreto funzionamento materiale e simbolico delle strutture di
relazioni
• Persistenze e mutamenti che interessano strutture e fatti sociali
Ma non solo! Studio non “dell’uomo” ma “della specie umana” perché siamo una specie sessuata
→ in tutte le società uomini e donne hanno ruoli e compiti diversi e complementari → è su
questa complementarietà che si basa l’organizzazione sociale di ogni società.

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Naturalmente questo non significa che queste strutture siano immutabili nel tempo o
insostituibili, o che si tratti dell’unica forma primaria di organizzazione sociale, quella che
riguarda la suddivisione dei compiti tra uomini e donne. MA esiste! E questo è innegabile.
Appartenere alla specie umana
1. Quali i requisiti della “specie umana”? Quali differenze tra gli esseri umani e gli esseri
viventi?
2. Tali requisiti sono uniformemente distribuiti tra tutti i gruppi umani? Se no, coloro che ne
sono carenti sono da considerarsi inferiori? → I Greci ritenevano i le popolazioni barbare
perché “balbuzienti”, perché comunicavano in una lingua che i Greci non erano in grado
di comprendere. Umani, quindi, sì, ma inferiori.
Nel tempo si è creduto che il possesso dell’anima, nello specifico di un’anima immortale potesse
essere considerato un requisito essenziale in questo senso. È quanto avviene nel caso delle
religioni musulmana, ebraica e cristiana.
Categorie “critiche”:

• Le donne hanno o no un’anima? Sì, ma non della stessa qualità di quella maschile →
esclusione dal sacerdozio!
• Gli indigeni hanno un’anima? (1942, scoperta dell’America) → Sì, ma affinché questa si
sviluppi completamente è necessario che siano convertiti al cristianesimo!
• E le popolazioni, in generale, “extra occidentali”? → Hanno degli attributi fisici che gli
occidentali percepivano come non-umani (MA “siamo sempre lo straniero di qualcun
altro”, infatti anche i bianchi venivano guardati come se non appartenessero alla
medesima specie!)
In moltissime società esistono poi come dei gradi di umanità (→ idea, ad esempio, che le donne
siano “meno umane” degli uomini).
Laddove invece troviamo strutture sociali come quella articolata in caste, gli appartenenti ad
alcuni gruppi sociali possono essere visti come non compiutamente umani (→ vale per chi
appartiene a una certa classe sociale, ma anche per chi presenta ad esempio delle menomazioni
fisiche).

Meccanismi di riconoscimento o misconoscimento dell’umanità da parte dei gruppi umani ai


danni del singolo (o dei gruppi minoritari, in generale):
→ se sei simile, sei umano
→ se sei diverso, sei subumano

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… e in funzione di queste somiglianze e diversità, sei escluso o incluso. Criteri? La lingua, il sesso,
il colore della pelle, il mestiere, il reddito, le caratteristiche corporee.
Comprendere il funzionamento di questi meccanismi di inclusione ed esclusione è un altro dei
compiti dell’antropologia.

Per quanto, comunque, il giudizio di un gruppo sociale su un altro possa essere negativo, questo
non ha mai impedito la presenza di relazioni. Due tipi principali di relazioni:

• Scambio ineguale + comunicazione asimmetrica = rapporto tra i gruppi basato sulla


violenza (RELAZIONE ANTAGONISTICA)
• Scambio paritario + comunicazione simmetrica = risultati vitali condivisi, convivenza,
costruzione di alleanze (→ processo di ibridazione: nascono nuove lingue, nuove usanze,
nuovi costumi, pratiche religiose sincretiche, concezioni filosofiche e norme giuridiche
che sono esito di un processo di fusione, prole meticcia esito di unioni miste) (RELAZIONE
COOPERATIVA)
Parte 1.2 – Somiglianze o diversità
Concezioni e indicatori di diversità
Naturalmente, quindi, chi è diverso è sempre diverso per qualcuno. Non si è diversi perché si ha
una certa caratteristica o un certo tratto: si è diversi perché qualcuno rileva quella caratteristica
o quel tratto e li considera indicatori di diversità (→ caratteri fisici o religione, ma anche diversità
rilevabili dentro piccoli gruppi, quando un ragazzo ha dei gusti musicali diversi da quelli dei suoi
compagni di classe, ad esempio).
Le diversità possono essere concepite come:

• Mutabili
• Immutabili → ricollegate a fattore causale immutabile (es. intervento divino che
determina la diversità di un gruppo, che lo elegge o lo condanna: le donne, gli ebrei →
importanza del mito, della religione//presunto fondamento scientifico: la “razza”
immutabile, il sangue, la stirpe, la discendenza → caratteri simili che si perpetuano, fisici
o intellettuali → razze superiori e razze inferiori)
• Permanenti → idea dei caratteri razziali immodificabili e dell’impossibilità di un
cambiamento, di un “miglioramento” delle razze “inferiori” (teorie razziste) →
SEGREGAZIONE, anche fisica, STERMINIO (di popolazione = genocidio, di cultura e
gruppo umano = etnocidio)
• Transitorie
Altre teorie che riguardano origini e cause delle diversità:

• Teoria dei fattori ambientali → idea che i fattori ambientali dei luoghi in cui una
popolazione vive influenzino i suoi caratteri sociali, culturali, psicologici e somatici (es.
montagna → neve, freddo → montanari tenaci e taciturni).

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• Teoria dell’ambiente sociale → idea che i processi educativi, i rapporti sociali e i processi
di inculturazione influiscano sui gruppi stessi e li differenzino tra loro. Le teorie
ambientaliste concordano sul fatto che queste diversità potrebbero essere eliminate per
creare condizioni migliori di convivenza tra gruppi umani “diversi”. Certi comportamenti
infatti (es. importazione del sistema di istruzione francese nelle colonie dell’Africa
settentrionale) vengono e venivano messi in atto per “migliorare le condizioni di vita”,
almeno formalmente.
La diversità è sempre relazionale e situazionale.
Importanza e significato attribuiti alle diversità
L’identificazione di un gruppo altro come portatore di tratti e caratteristiche che lo rendono
diverso implica sempre, da parte del gruppo giudicante, la consapevolezza anche della propria
diversità.
Consapevolezza che:

• Può restare non detta, implicita nella relazione


• Può essere esplicitamente rivendicata da un gruppo (valorizzare identità/affermare
superiorità su altri gruppi/giustificare un dominio)
Diversità e differenze

Diversità

Giudizio
di
valore

Differenze

Quando alle diversità viene applicato, come un filtro, un giudizio di valore, queste diventano
differenze. Si attraversano due momenti:
1. Momento di percezione e constatazione delle diversità
2. Momento in cui la diversità (non-somiglianza) viene giudicata buona o cattiva
Le differenze vengono ordinate come in una “graduatoria”, e procedendo per associazione si
individua un vero sistema delle differenze proprio di un gruppo. Ciascuna differenza trova quindi

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una sua collocazione in questo sistema più ampio. Si tratta di un sistema che interiorizziamo da
piccoli. È un sistema che funge per noi da mappa per conoscere-riconoscere gli altri e come una
griglia per giudicarli.

Ma concretamente, come opera questo sistema di differenze?


In tre modi diversi:
1. Riconoscere la diversità senza attribuirle un valore → diversità non problematica
2. Riconoscere la diversità e caricarla di significati e valori negativi → giudizio di inferiorità
3. Riconoscere la diversità e attribuirle un giudizio positivo → scambi e forme di
cooperazione, talvolta il gruppo che si riconosce “inferiore” si sottomette di buon grado
alle istanze dell’altro gruppo (i dominati accettano la “superiorità” dei dominatori)
Sistemi delle diversità e delle differenze → sistemi relazionali (il diverso è sempre diverso da
qualcuno e per qualcuno), situazionali (chi è diverso in una determinata situazione, potrebbe
essere considerato normale in un’altra situazione), variabili e dinamici (l’identificazione come
diverso non è necessariamente permanente e definitiva).
Parte 1.3 – L’esperienza delle diversità
Variabilità e dinamicità → non esiste una percezione universalmente condivisa della diversità,
un insieme di idee stabili e generalizzate su chi è diverso da chi o per che cosa.
Ma quindi le diversità esistono veramente? O sono solo delle invenzioni?
E soprattutto, che cosa sono/sarebbero davvero?
• Costruzioni mentali → strumenti inventati dalla mente umana per pensare il mondo
• Costruzioni ideologiche → interpretazioni della realtà arbitrarie e prevenute,
strumentali all'esercizio e alla legittimazione dei rapporti di forza
TUTTAVIA, è vero che la percezione e l’elaborazione delle diversità sono culturalmente
condizionate e hanno spesso anche una valenza strumentale, ideologica. Questo non significa
però che le diversità non esistano affatto e che siano tutte immaginate.
INFATTI, le diversità percepite ed elaborate sul piano culturale rimandano comunque a un
qualche dato di fatto, a un dato referente empirico, cioè a una dimensione fattuale. La
constatazione della consistenza empirica, fattuale delle diversità non basta per uniformare i
giudizi di valore.
Il concetto antropologico di cultura
Antropologia → ricerca della verità. La verità non è un dato di fatto, ma un obiettivo, un punto
di arrivo: non si dà per sé come evidenza, ma bisogna cercarla.
Qualsiasi fatto viene pensato dai soggetti umani, individuali e collettivi, attraverso la mediazione
della cultura. La cultura condiziona inevitabilmente le nostre idee sulle cose del mondo e la
nostra visione.
Dal punto di vista linguistico …

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Capacità di produrre gli strumenti del pensare e del parlare → capacità di produrre e comunicare
pensieri sui fatti = se si possiedono questi strumenti, si appartiene al genere umano.
Ci sono strumenti del parlare, modalità di strutturazione di una lingua che sono universali, nel
senso che sono propri di tutti gli esseri umani. Quindi non ci sono reali barriere linguistiche che
ci impediscano di apprendere un idioma anche molto diverso dal nostro.
Possiamo apprendere quindi qualsiasi lingua e qualsiasi sistema di pensiero.
Pensieri e parole sono costituiti da elementi minimi, detti segni, che servono a comporre concetti
e valori, parole e simboli, i quali a loro volta ci servono come sostituti delle “cose”. Parole e
simboli sono infinitamente più maneggevoli delle cose e consentono di pensare e parlare delle
cose anche in assenza di queste ultime. Quindi noi esseri umani pensiamo e parliamo di realtà
assenti, immaginate, di realtà astratte, oltre che di quelle concrete.
La capacità di produrre segni (e quindi concetti, parole, simboli) consente lo sviluppo di altre
capacità e competenze:

• Costruzione della memoria


• Capacità di previsione
• Verbalizzazione delle esperienze
• Comunicazione delle esperienze
• Accumulazione e trasmissione dei saperi → produzione sociale di cultura
Universalità del linguaggio come facoltà umana → anche la produzione di cultura è una capacità
umana universale
Diversità delle culture
Il “problema” è, dunque, la diversità tra le culture. Perché, come e quando le culture si sono
differenziate? Possiamo dare solo risposte ipotetiche, quindi individuiamo alcuni grandi fattori
di differenziazione (basi fattuali):

• Terra → pianeta notevolmente diversificato → l’uomo si è adattato all’ambiente e lo ha


manipolato (diversificazione di procedure di adattamento e tecniche di adattamento, es.
la specie umana diventa onnivora + modifica l’ambiente circostante in funzione delle sue
necessità + inventa una serie di tecniche). Ogni adattamento è stato l’occasione ed è
divenuto la base perché si avviassero alcune diversificazioni tra un gruppo umano e l’altro.
• Divisione sociale (e sessuale) del lavoro, organizzazione della società → altri fattori,
questi, di diversificazione.

FORME CULTURALI PROCESSI DI ADATTAMENTO


FORME DI PRODUZIONE DELLA VITA SOCIALE

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Le forme culturali influenzano i processi di adattamento e le forme di produzione della vita
sociale (e viceversa), continuamente.
Parte 1.4 – Etnocentrismo e relativismo culturale
Concetti vari affrontati nei vari passi
Vediamo ora alcuni concetti fondamentali, legati alle considerazioni precedenti che riguardano
le diversità delle culture e come queste vengono percepite.
• Etnocentrismo: secondo Sumner, concezione per la quale il proprio gruppo è
considerato il centro di ogni cosa e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto a
esso → DOVE classificare vuol dire applicare connotazioni, criteri e categorie che
derivano dalla propria esperienza (senza domandarsi se effettivamente questi siano
applicabili in casi diversi), mentre valutare significa applicare i valori che orientano i
giudizi nel proprio gruppo di appartenenza (ma che potrebbero essere irrilevanti in
contesti diversi) → etnocentrismo = applicare il proprio metro di giudizio dal punto di
vista culturale! (esempio di considerazione etnocentrica: “Gli americani mangiano male
perché non mangiano mai la pasta!” → pasta = cibo italiano).
Impossibile sentirsi completamente liberi dall’etnocentrismo → ogni società si basa su
regole condivise, il cui rispetto è interiorizzato fin dall’infanzia (processo di
inculturazione) → applicheremmo queste regole in maniera universale.
• Inculturazione: termine “ombrello” con cui ci riferiamo a quella parte cospicua di
costumi, regole e usanze che vengono apprese (educazione gioca un ruolo
fondamentale) dal gruppo e messe in atto dai singoli. Parte integrante dell’equilibrio
psichico personale e della visione del mondo di ciascuno.
• Etnocentrismo attitudinale: concezione per cui consideriamo il nostro modo di fare le
cose come “naturale” quando questo è in realtà un prodotto culturale che dà forma
all’identità collettiva di un gruppo. Alterazione del modo naturale → percepita come
minaccia (per l’inculturazione di cui sopra)!
Crisi di questa fiducia nella bontà dei costumi → esiti disastrosi, conflitti …
• Etnocentrismo ideologico: ciascuna società nei propri miti si sacralizza e nei riti celebra
solidarietà e integrazione tra gli individui che la compongono (Durkheim) → società
trasfigurata come valore condiviso (di una collettività → ethnos, secondo Tullio Altan) →
interiorizzazione dei simboli dello “stato-nazione” significa per i soggetti umani
valorizzare sé stessi.
Legame con l’idea di nazione, concetto che si sviluppa in Europa a partire dal XIX secolo.
Nazione = stato moderno con governo centrale e istituzioni formate e stabili +
caratteristiche dell’etnia (popolo omogeneo, lingua comune, comune territorio …).
• Razzismi: possono essere alimentati, in forma di teorie, da queste stesse idee di
etnocentrismo e avere delle conseguenze disastrose.
• Relativismo culturale: atteggiamento tollerante disposto a lasciare spazio a pratiche e
usanze e a favorire la convivenza fra culture tramite, ad esempio, iniziative interculturali.
• Relativismo cognitivo: idea secondo la quale da cultura a cultura variano non solo i
contenuti dei saperi, ma anche le strutture stesse del pensiero e le categorie in cui il
sapere viene organizzato.
• Relativismo morale: idea secondo la quale ogni azione umana è da prendersi in
considerazione sempre unitamente al contesto culturale → le azioni non sono malvagie

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o nobili in assoluto ma solo relativamente all’ambiente → rischio: non condannare
nessuna azione!
• Razzismo differenzialista: sistemi conoscitivi e morali = incompatibili e immodificabili,
ogni cultura può essere accettata ma deve rimanere circoscritta → SEGREGAZIONE.
Parte 1.5 – Fare antropologia, ovvero lo studio delle diversità e delle somiglianze
Antropologia → attività di investigazione, ricerca, riflessione che ha in comune con le scienze
della natura l’uso rigoroso del metodo.
Come può essere, in generale, il metodo?

• Deduttivo: parto da un enunciato generale e vado a verificarne l’applicabilità in un certo


numero di casi (“dall’enunciato deduco … sarà vero? Vediamo!”)
• Induttivo: generalizzo, riscontrando elementi che si ripropongono (e che quindi “mi
inducono a pensare…”)
Antropologia → “fare ricerca + scrivere le culture”.
Scrittura → Caratteristiche dell’esposizione dei risultati della ricerca:

• Lessico chiaro, termini ripetuti per evitare confusione


• Principio di non contraddizione → linguaggio non contraddittorio
Tenere sempre presente che non si tratta di una mera trascrizione di dati, e prendere in
considerazione anche tutte le varie influenze che sono esito della propria “configurazione di
base”, del proprio etnocentrismo.
La ricognizione delle diversità
Antropologia → ricognizione delle diversità!
Osservare, catalogare, distinguere. In:
• Diversità e somiglianze dei sistemi culturali o di mediazione culturale
• Diversità e somiglianze della corporeità
• Diversità e somiglianze dei sistemi di riproduzione
• Diversità e somiglianze dei sistemi di sostentamento
• Diversità e somiglianze dei tipi di insediamenti umani
• Diversità e somiglianze dei sistemi di relazioni ovvero delle strutture e istituzioni sociali
Come? Metodi vari, che includono sempre comunque un momento di osservazione, la
formulazione di ipotesi, il confronto con casi simili, il tentativo di mettere in luce le diversità
specifiche, le peculiarità.
Che cosa fanno gli antropologi? Con quali strumenti e con quali accorgimenti?
Antropologi → esseri umani, influenzati come tutti dal proprio etnocentrismo → cercare di porre
un filtro.
Inoltre, essenziale una disposizione iniziale al relativismo, perché utilizzando solo le nostre
categorie rischiamo di non cogliere certi comportamenti e istituzioni altri per cui nella nostra
cultura non esiste una concettualizzazione adeguata.

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Capitolo 2 – La costruzione degli altri da noi
La diversità è storica, relazionale, dinamica.
Storica perché prodotto della storia, e allo stesso tempo perché quella che in un certo momento
storico viene considerata una diversità potrebbe non esserlo in un altro momento storico.
Relazionale perché è si è sempre, come già detto precedentemente, “diversi da qualcun altro”,
e quindi in relazione a questo qualcun altro. È quindi prodotto degli scambi sociali che avvengono
tra gruppi umani anche molto diversi.
Dinamica perché la storia dell’uomo muta di continuo, di conseguenza mutano i rapporti che
legano i gruppi umani e le reciproche influenze che questi gruppi hanno gli uni sugli altri
innescano inevitabilmente dei cambiamenti.
Parte 2.1 – Le diversità sono antiche: la preistoria della specie umana
Tenere sempre presente che nelle considerazioni di tipo storico che faremo qui adotteremo,
inevitabilmente, la nostra ottica etnocentrica di europei-italiani. In altre parti del mondo la storia
si studia in modo diverso da come la studiamo noi qui.
Le origini della specie
Come spiegare le diversità? Essenzialmente si contrappongono due visioni principali:

• Creazionismo: uomo → creato da Dio. Le diversità sono esito delle degenerazioni


riscontrabili nel confronto tra l’uomo e il modello divino perfetto.
• Evoluzionismo: ogni forma di vita si evolve, si adatta cioè a nuove condizioni di vita →
Darwin e Lamark cercano di produrre ipotesi per interpretare la realtà dei fatti.
Ritrovamenti fossili hanno fortemente condizionato le teorie evoluzionistiche: ci si
allontana dal creazionismo perché questi ritrovamenti rappresentano la traccia, la prova
concreta, di un passato fatto di varie tappe di sviluppo e di cambiamento.
L’ambiente ha naturalmente avuto un ruolo fondamentale nel determinare la scomparsa di certe
specie (es. dinosauri) e l’adattamento, d’altra parte, delle specie che sopravvivevano →
sollecitazione di certe modifiche corporee (es. le giraffe e il collo lungo).
Come si inserisce l’uomo in questo quadro?

• Inizio processo di ominazione → 8-5 milioni di anni fa


• Homo → caratteristiche somatiche e comportamentali peculiari → 2-1,5 milioni di anni fa
(sequenza: abilis, erectus, di Neanderthal, sapiens)
Raccoglitrici e cacciatori
In origine (paleolitico), gruppi umani di poche decine di membri, che sembra potessero
configurarsi come:

• Gruppo di femmine con prole legate a una donna più anziana (maschi → periodo
dell’accoppiamento)
• Gruppo di maschi alleati, ciascuno con una o più donne

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Gruppi umani che vivono di raccolta e caccia → le risorse si esauriscono + si immagina che altrove
possano essercene di nuove → nomadismo lineare (si va in posti nuovi in cerca di cibo, ci si
sposta). Aggregati umani che vivono in accampamenti, in cui si sono riscontrati alcuni elementi
che hanno fatto pensare a una certa produzione simbolica (es. pitture sulle “pareti” delle grotte,
incisioni eccetera, nonché usanze legate alla cura dei cadaveri, alle loro tombe)
La società conosce già in questa fase alcune divisioni (rapporti asimmetrici e generati dalla
costatazione di disuguaglianze), due binomi sono:

• Uomini/donne → divisione sociale del lavoro in base al sesso (giocava un ruolo


fondamentale la necessità di una certa forza bruta, fisica, per portare a termine certi
lavori)
• Giovani/anziani → anziani = depositari del sapere, giovani = energia, forza fisica,
inesperienza
Nel corso di molte centinaia di anni la specie ha popolato il globo. In passato si è anche pensato
che in realtà ci sia stato un popolamento indipendente, e che quindi esistessero nuclei, ceppi
originari di varie zone (“aborigeni”), e che questo popolamento sia dipartito di conseguenza da
varie zone diverse. Questo popolamento ha, qualsiasi sia stata la sua realizzazione, comportato
una separazione e una diversificazione. Ad ogni modo, i gruppi conoscono sempre scambi.
L’allevamento, l’agricoltura
Uomini → scoprono la possibilità di far crescere intenzionalmente prodotti vegetali e di
controllare la riproduzione degli animali → diventano gruppi stanziali o gruppi di nomadi di
pastori – allevatori.
Fabbricazione di utensili (lavorazione di materiali grezzi che diventano oggetti utili, usati per certi
fini specifici) → età del neolitico (“della pietra nuova”).
La cerealicoltura
Pratica fondamentale, che ha notevolmente influenzato le nostre abitudini alimentari e quindi,
nel corso del tempo (anche se indirettamente) il fabbisogno dei nostri organismi. Consentiva la
produzione di un surplus → i cereali erano conservabili, potevano essere lavorati …
Granicoltura → bacini dei fiumi mediorientali Tigri ed Eufrate (Asia, Mesopotamia) e Nilo (Africa,
Egitto) → lavorazione → esigenze tecniche → divisione del lavoro!
I diversi “interni”
Società → articolate in base al ruolo di ciascuno e alla divisione del lavoro → nasce il ruolo del
comando istituzionalizzato (= nascono gruppi di sacerdoti-intellettuali-guerrieri → gestiscono
le attività di tre aspetti chiave, importanti per ogni società: religione, trasmissione del sapere,
guerra e armi).
Conservazione di questo potere di gruppi dominanti → società suddivisa in caste (i ruoli di potere
diversi influenzano la struttura sociale!) → ruoli di potere diversi generano anche culture diverse,
e determinano l’accesso alla conoscenza oppure una certa esclusione in questo senso.

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Tendenza espansiva era comunque sempre presente perché si aveva esigenza di coltivare nuove
terre, che andavano però conquistate! → incontro/scontro (guerra, conflitto/occasioni di
scambio e commercio).
Contatti tra culture → sulle sponde del Mediterraneo le popolazioni che venivano da zone dei
bacini apprendono tecniche di navigazione → potenzialità nuove: commercio marittimo +
espansione in terre d’oltremare.
Gli indoeuropei
Movimento di popolazioni tra Terzo millennio e Primo millennio avanti Cristo → arrivano gli
indoeuropei! Seguono tre direttrici:
1. Altopiano iranico → valle dell’Indo → corso inferiore del Gange
2. Mesopotamia e Anatolia
3. Europa
Che cosa determina il loro arrivo? Una fusione con le popolazioni e le culture già presenti sul
territorio + introducono nuove tecniche (ruota, addomesticamento grandi bovini ed equini).
Parte 2.2 – Le prime colonie, il primo impero: le età greca e romana
I greci
I greci furono colonizzatori delle terre altrui (soprattutto a Occidente, ma subiscono la
fascinazione dell’Oriente comunque → sotto Alessandro Magno si arriva fino all’Indo, nel cuore
dell’Asia). Tolleranti differenzialisti.
Approccio → convinti della propria superiorità ma non imperialisti o razzisti (cercavano punti di
incontro → Storie di Erodoto prima rilevazione etnografica).
I romani
Conquistatori → violenza, imposizione di una romanizzazione dei territori conquistati (non per
assoggettare, ma per la salvaguardia della forza militare e dell’efficienza della macchina statale
e amministrativa). Assimilazionisti decisi.
Questi diversi atteggiamenti rappresentano per gli antropologi spunti di riflessione molto
interessanti.
Consideravano i greci culturalmente di molto superiori.
212 d.C. → editto di Caracalla → la cittadinanza romana è estesa a tutti i cittadini dell’impero
(ogni territorio si “romanizza”, progressivamente a modo suo, comunque).
476 d.C. → Impero Romano come istituzione politica e militare ha termine.
Cristianesimo, ebraismo, paganesimo
Ebrei → popolazione stanziata in Palestina e sottomessa dai romani che aveva una religione
particolare: monoteista (romani → politeisti come i greci), di impostazione patriarcale, rivelata

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dal Dio a un popolo eletto (patriarca → Mosè che doveva guidare il popolo, poi altri dopo di lui)

DIASPORA (deportazione degli Ebrei dalla Palestina) dovuta a Adriano che decretò la distruzione
totale di Gerusalemme a causa del ribellismo del popolo, che anche Tito prima di lui aveva cercato
di “domare”. Dispersione degli Ebrei nei vari continenti.
Condanna da ambienti cristiani → “responsabili della morte di Cristo” → segregazione e
persecuzione del popolo ebraico nella storia.
1947 viene fondato lo Stato di Israele (dopo la II guerra mondiale e la shoah).

In che cosa il Cristianesimo è diverso dall’ebraismo?

• Gesù Cristo il messia


• Cristiani → NO popolo eletto → “umanità” → proselitismo (legato sicuramente almeno
in parte all’universalismo romano)
Parte 2.3 – L’età medievale: diversità e differenze
I barbari
Invasioni barbariche → Impero Romano cade. Progressivamente si formano i regni romano-
barbarici.
Nonostante l’immagine stereotipata e negativa che continuiamo ad avere dei barbari (idea molto
italiana, altrove le invasioni barbariche sono state valorizzate nel pensiero comune), questi regni
sono stati storicamente uno degli esempi più interessanti di sincretismo e di fusione sociale e
culturale. Per un antropologo è interessante notare queste etichette che sono state attribuite
all’idea di “barbaro” in vari paesi d’Europa.
Mescolanza: latino “imbarbarito” + cristianesimo e tradizioni barbare + matrimoni misti. Basi per
la costruzione di una memoria collettiva europea.
Gli scandinavi
I vichinghi (antenati dei barbari) non hanno lo stesso stigma negativo, li associamo all’idea di
esplorazione, di navigazione (di cui erano maestri) e di scoperta.
Dall’Europa del Nord arrivano in Francia (Normandia, nord), poi in Sicilia e in Italia meridionale
(meridionale biondo = origini scandinave, nell’immaginario comune).

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Gli arabi
Non tutti gli arabi sono islamici, e ci sono anche arabi non credenti! Spesso si creano idee
sbagliate perché a lungo gli islamici sono stati identificati con gli arabi, ma anche con i Turchi. In
realtà il mondo islamico è molto più vasto, ma solo i flussi migratori più recenti ci hanno fatto
veramente rendere conto di questo.

Islam → Maometto (fondatore, VII secolo d.C.), inizialmente profeta per un gruppo ristretto, poi
anche qui proselitismo, forte, potentissimo.
Islamizzazione progressiva del Medio Oriente, ma anche in Asia centrale, in una parte dell’India
e in Indonesia, in Africa grande successo al nord (zona mediterranea).
In Europa → Sicilia, VIII secolo d.C., poi Spagna → Vinti poi da Carlo Martello nel 732. Continuano
a rimanere per secoli, comunque, in Sicilia e nella penisola iberica!
IX secolo → Abbasidi (dinastia) capitale Damasco, Siria (successivamente trasferita a Baghdad).
Contemporaneamente a Cordoba si stabilisce l’ultimo degli Ommiadi (altra dinastia).
Idea diffusa: nemici della cristianità (minacciosi, pericolosi) + rispettosi delle regole della
cavalleria e del combattimento (Boiardo e Ariosto, teatro dei pupi, Chansons de geste). Se ne
riconoscono anche, in genere, i significativi lasciti intellettuali.
I turchi e le crociate
Popoli che arrivano da est verso ovest → in Medio Oriente arrivano i Turchi, che si islamizzano
rapidamente e tolgono agli Arabi il governo sulle terre conquistate.
Contraccolpi gravi sull’economia (dazi costosi) + occupazione della Palestina (preclusione
accesso a luoghi santi dei cristiani).
Idea della profanazione di quei luoghi da parte loro, che erano miscredenti (credono a cose
sbagliate) e infedeli (conoscono la vera fede ma la rifiutano) → comune ceppo biblico (tradizione
profetica giudaico-cristiana da Mosè e Abramo fino a Cristo è condivisa).
Differenze:

• No aspettativa messianica
• No raffigurazioni di Dio
• Libro sacro Corano
• *proselitismo, di cui abbiamo già ampiamente parlato
Si tratta comunque di una realtà molto vasta perché diffusa in così tanti territori, così diversi
proprio tra loro.
Crociate (7, cominciano nel 1096 e finiscono nel 1274) → obiettivo: riconquista dei Luoghi Santi
della vita, passione e morte di Gesù.
Guerre sì di religione (“che non ammettono soluzioni negoziate”), ma posta in gioco ancora più
alta:

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• Controllo dei grandi porti della sponda orientale del Mediterraneo
• Partecipazione = banco di prova dell’egemonia del papato sui singoli regnanti
La vicinanza di cristiani e musulmani (e di ebrei, talvolta, quindi) produce da una parte ostilità,
dall’altra nuovi legami, come abbiamo visto accade sempre.
Marco Polo e il Catai
Esplorazioni di Marco Polo → periodo che va dal 1274 al 1295 (Cina, corte di Koubilai). Quando
torna scrive Il Milione. Resoconto basato su esperienze diretta, fonte poi giudicata attendibile,
all’epoca era visto come un concentrato di invenzioni, come inattendibile.
Un secolo dopo sarebbe stato impossibile, perché i Turchi ottomani fondano il loro impero sotto
Tamerlano e le vie di terra diventano sempre più pericolose (1453 conquistano Costantinopoli).
Parte 2.4 – L’età moderna: scoperte, conquiste, colonie, imperi
La Riforma e la Controriforma
Martin Lutero → 95 testi, duomo di Wittemberg, 1517:

• Critiche al papato di Roma: mette in dubbio l’origine divina, critica comportamenti


eccessivamente mondani del papato e la vendita delle indulgenze
• Proclama modificazioni dottrinarie → Riforma protestante
Va incontro alla scomunica, ma ottiene comunque un discreto successo e un certo numero di
sostenitori → anche molti sovrani proclamarono la loro separazione da Roma e crearono chiese
nazionali.
La Chiesa a questo punto si proclama Cattolica apostolica romana e con il Concilio di Trento dà
inizio a una Controriforma.
Cacciata di arabi ed ebrei dalla Spagna
1492 data molto importante per la Spagna (Isabella di Castiglia + Ferdinando di Aragona):

• Riconquista dei territori dell’Andalusia (arabi)


• Ebrei e arabi vengono espulsi dal paese, pur avendo comunque l’opportunità di
convertirsi
La diversità religiosa che aveva contribuito ad arricchire il paese viene cancellata, ma con l’arrivo
della Riforma protestante riemergerà l’esigenza di una diversità dal punto di vista religioso.
La scoperta dell’America
Scoperta dell’America (scoperta di un nuovo continente) → Inizio dell’età moderna (12 ottobre
1492, Cristoforo Colombo). America da Amerigo Vespucci, che si era reso contro di trovarsi di
fronte a un vero nuovo continente nel 1509 e voleva chiamarlo Nuovo Mondo. Anche Ferdinando
Magellano, con il finanziamento della corona spagnola, compie nel 1519 la circumnavigazione
del mondo.

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Dal punto di vista antropologico ci interessa particolarmente perché per gli occidentali il diverso
per eccellenza, per antonomasia, è stato il colonizzato.
Diversità:

• Caratteristiche somatiche, psichiche, storiche, sociali, culturali


• La stessa riduzione a colonizzato da parte di un colonizzatore
I viaggi
Naturalmente, come si sa, l’intenzione era quella di andare verso l’Oriente! E invece …
Comunque, si seguono principalmente tre diverse tratte:
1. Mar Rosso → India → Cina (bisogna però passare per l’Egitto)
2. Circumnavigare l’Africa
3. Cercare l’Oriente andando verso Occidente (sfericità del pianeta)
Questi lunghissimi viaggi per mare erano stati resi possibili grazie a:

• Progressi nella scienza della navigazione e della strumentazione di bordo


• Miglioramenti nella tecnica di costruzione delle navi
• Interesse degli stati assoluti che si stavano formando a fornire finanziamenti
Le fonti e la loro utilizzazione
Fasi di questo avvicinamento tra colonizzatori e popolazioni aborigene:

• Prefigurazione: sicuramente prima che avvenisse l’incontro effettivo i colonizzatori


avevano pensato a quello che sarebbe successo, magari immaginato questi esseri umani
in forme estreme ed improbabili.
• Incontro effettivo: approccio dei conquistatori è cruento, violento vista anche la disparità
di forze in campo. Incontro/scontro, come vedremo, con un ventaglio di potenziali
conseguenze e comportamenti, testimoniato grazie ai diari personali dei navigatori, che
dovevano essere dati//approccio dei missionari che fanno proseliti: imparano lingue
locali, traducono i vangeli, registrano usanze e credenze locali. Tuttavia, violenza
simbolica (demolizione, devalorizzazione, inferiorizzazione delle culture native).
• Conseguenze successive: che vedremo in maniera dedicata più avanti.
XVIII SECOLO → prime iniziative per studio sistematico delle popolazioni del Nuovo (America) e
Nuovissimo (Oceania) Mondo. Nascono nuovi campi di ricerca: tra questi anche l’antropologia
come scienza.
ANNI 20 E 30 DEL XX SECOLO → impostazione in termini scientifici del problema del contatto tra
culture diverse da parte degli antropologi di terza generazione.
La conquista
Gli indigeni erano generalmente bendisposti nei confronti dei colonizzatori (li vedevano come
superiori e addirittura pensavano avessero origini divine), ma le spedizioni erano costate e
dovevano rendere:

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• Perché finanziate dalla Chiesa → necessità di produrre conversioni
• Perché finanziate dalle corone → necessità di ottenere ricchezza
QUINDI, piano piano, dopo aver ottenuto oro, argento e pietre preziose, ci si muove per avere
accesso alle fonti di ricchezza permanenti (miniere, campi, bestiame, foreste, forza-lavoro,
tributi pecuniari). PARALLELAMENTE ci si muove anche sul binario dell’evangelizzazione.
La colonizzazione
Così avviene più o meno gradualmente una transizione: da territori conquistati, quelli del nuovo
mondo divengono territori colonizzati.
Come ci si rapporta, in questo senso, con i capi locali? In vari modi, con varie strategie:

• Scelti come mediatori tra le culture.


• Indirect rule degli inglesi → lasciare a capi, notabili o sovrani locali la gestione degli affari
interni MA farli rinunciare alla politica estera e a qualsiasi forma di relazione alla pari con
la potenza colonizzatrice.
• Trasferimento in colonia di un modello di amministrazione simile a quello della
madrepatria (i francesi fanno così, ad esempio).
Parte 2.5 – Gli esiti: i colonizzatori e i colonizzati
Colonialismo → conseguenze che sono parte costitutiva della cultura bianca occidentale (che
riguardano anche gli italiani sebbene l’Italia abbia sperimentato solo tardivamente forme di
colonialismo rispetto ad altre potenze):

• Convinzione profonda della superiorità dell’uomo bianco → contenuto, questo, radicato


a livello inconscio in noi (è talmente intrinseco che non ci facciamo neanche caso) e nei
fatti storici e culturali della cultura occidentale (es. idea dell’Uomo diffusa con
l’Umanesimo: uomo maschio, cristiano, e adulto, che ha un compito, sorvegliare il
creato).
• Colonizzazione come ideale eroico, per cui individui “potenzialmente perfetti” devono
poter realizzare la propria perfezione → il colonizzatore è l’eroe dell’incivilimento dei
barbari (Benedetto Croce). Questo processo rappresenta il fardello dell’uomo bianco
(Rudyard Kipling).
È sempre importante ricordare che chi colonizza opera una scelta, una selezione preventiva dei
contenuti della cultura occidentale da veicolare a chi è colonizzato. Questo ovviamente per
favorire i propri obiettivi, gli scopi della colonizzazione tutta.
Il buon selvaggio
Altro mito, altra immagine: il buon selvaggio. Secondo Rousseau i selvaggi americani erano la
testimonianza ancora vivente di un’originaria condizione di natura. Ingredienti di questa
condizione di natura:

• Semplicità
• Schiettezza

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• Bontà
Il buon selvaggio è ignaro della prevaricazione, della violenza, della menzogna e dell’inganno. I
primi a riscontrare questo stesso tipo di qualità erano stati i missionari cattolici, in particolare i
Gesuiti, che ravvisavano nei tanti “buoni selvaggi” che cercavano di convertire nel XVI secolo dei
punti di contatto con il messaggio del cristianesimo delle origini.
Mito che è idea, idea che ritorna nel tempo. Nell’ ‘800:

• Comunismo primitivo
• Democraticità del sistema politico degli irochesi (Morgan, antropologo)
Spostandoci in Estremo Oriente troviamo invece il mito della saggezza orientale. È una
costruzione culturale simile a quella del buon selvaggio, che vede gli orientali come sempre
uguali a sé stessi, quasi fossero prodotti di natura. Il mondo occidentale ha introiettato anche
questa visione.
I colonizzati
L’azione colonizzatrice provoca delle conseguenze che comportano un fortissimo
indebolimento, quando non direttamente la scomparsa, delle culture indigene.
Tra queste:

• Crisi dei sistemi di produzione finalizzati al consumo e allo scambio locali dei popoli
colonizzati
• Rapidissima obsolescenza degli strumenti e degli utensili tradizionali
• Attivazione di processi di disgregazione dei sistemi di residenza legati a certi modi di
produzione
• Scomparsa delle lingue native
I prodotti di questa opera di colonizzazione sono culture dette postcoloniali, perché
appartengono a un tempo che ha registrato la fine degli imperi coloniali ma allo stesso tempo
recano l’impronta di questo condizionamento.
Processo di condizionamento progressivo (Fanon) → il colonizzatore esercita il proprio potere
(in un vero “rapporto di egemonia”, secondo Gramsci), mentre il dominato interiorizza, fa
propria, la visione di sé stesso che gli rimanda il colonizzatore bianco e perciò si giudica selvaggio,
incivile, inferiore.
Nascono, come strategie di resistenza e liberazione, movimenti indigeni di libertà e di salvezza
(es. Gandhi), alcuni violenti, altri non violenti.
I movimenti di popolazioni
Il regime coloniale ha messo in moto due tipi di flussi migratori:
1. Madrepatrie → Paesi colonizzati (scarsità di manodopera, possibilità di lavorare)
2. Campagne paesi coloniali → città

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3. “Tratta dei negri” → trasferimento forzato di africani nelle Americhe → SCHIAVITU’ viene
reintrodotta (abolita, poi, nel 1833, ma la tratta clandestina continua! Abolita
definitivamente da Lincoln nel 1865)
Sia nell’antichità sia nelle sue forme più recenti, la condizione di schiavo si acquisiva per due
motivi:

• Cattura nell’ambito di operazioni belliche


• Incapacità di ripagare debiti
Era però sempre e comunque una condizione acquisita e non innata, infatti si poteva essere
riscattati, liberati.
QUESTA schiavitù, coloniale, invece, ha dei contenuti diversi dal punto di vista ideologico, ed è
stata legittimata su basi razziste, a partire dall’asserita inferiorità dei neri.
Crisi degli imperi coloniali: il mondo post-coloniale e la globalizzazione
Progresso e fattori di ordine economico, tecnologico, politico → ridefiniscono differenze e
diversità.
Contribuisce in maniera determinante la globalizzazione, che provoca alcune sostanziali
conseguenze:

• Mobilizzazione di masse ingenti di popolazione


• Velocizzazione degli spostamenti
• Massmediatizzazione delle forme di comunicazione
• Forme di omologazione culturale
• Rivalorizzazione della vera o pretesa diversità di contenuti culturali tradizionali
Situazione complessa, fluida, instabile.
Parte 2.6 – Una sistemazione teorica: i contatti culturali tra popoli diversi e la teoria
dell’acculturazione
Acculturazione (se ne occupano scrivendo un Memorandum nel 1936 di Herskovits, Linton e
Redfield) → “contatto continuativo e diretto tra gruppi di individui dotati di culture differenti
… con conseguente trasformazione nei modelli originali di cultura di ciascuno dei gruppi”.
Gli inglesi preferiscono l’espressione culture-contact, mentre i francesi rencontre o
interprétation culturelle.
Ad + culturazione → idea che esista una cultura datrice (che dà, appunto, qualcosa, che
accultura) e una cultura recettrice (quella che viene acculturata)
L’acculturazione è un rapporto di scambio? È un rapporto meccanico di sostituzione di pezzi di
cultura. Dal punto di vista dinamico, questi i tratti caratterizzanti:

• In luoghi e tempi dati assumono caratteristiche peculiari (pur essendo ovviamente un


processo, l’acculturazione, continuo) da studiare nella loro specificità

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• L’acculturazione non avviene nel vuoto, ma nella storia ed è quindi condizionata dal
contesto storico
• Trasmissione culturale filtrata (*come già detto, la cultura che domina sceglie
scientemente cosa trasmettere)
• Quando si ingenera uno squilibrio molto forte tra due gruppi umani in contatto →
situazioni altamente drammatiche → marasma culturale/collasso (disgregazione del
patrimonio culturale del gruppo più debole), che può anche portare a un numero di suicidi
individuali o collettivi (perdita della cultura = perdita dell’identità = crisi)
• Gruppi più deboli, che non si disgregano e non si lasciano facilmente assimilare →
valorizzano origini vere o presunte (“invenzione della tradizione”) con forme di
attaccamento e resistenza culturale (nativismi, primordialismi, integralismi, revivalismi)
• Gruppi più deboli possono anche avviare processi di risemantizzazione e
rifunzionalizzazione dei nuovi costumi imposti, e quindi appropriarsi, di fatto, solo di una
parte di questi
• Gruppi più deboli rielaborano le proprie usanze per inserirle nel quadro della cultura
imposta in nuove forme → in un certo senso quindi anche il gruppo più forte viene
acculturato
L’acculturazione progressiva non incontra resistenze, le acculturazioni parziali dipendono
invece dal fatto che il processo incontra delle resistenze, dette aggiustamenti reattivi.
L’esito finale del processo di acculturazione è la nascita di nuove forme culturali.
Tra queste:

• Sincretismi culturali → culti religiosi esito dell’incontro/scontro tra culti dei nativi e grandi
religioni
• Culture ibride o meticce → risultato di processi di contatto e scambio di lunga data che
hanno investito tutti gli aspetti della vita sociale, modificandoli
• Società multiculturali → in un unico stato-nazione convivono gruppi portatori di culture
diverse
• Culture diasporiche o viaggianti → culture che partono da un unico paese e che pur
magari trovandosi in luoghi completamente diversi attorno al globo mantengono tra loro
rapporti e somiglianze culturali
Capitolo 3 – La ricognizione delle diversità: culture e parentele
Parte 3.1 – Sistemi, strutture, formazioni: le diversità umane nel flusso della storia
Storia della specie umana → flusso di processi di diversificazione e di fusione. Nessun tratto,
carattere, istituzione, relazione, conoscenza o valore è immutabile ed eterno.
In questo flusso si possono distinguere:

• Sistemi distinti dell’attività umana: sistema = insieme continuo di parti che hanno tra loro
relazioni varie (culturali, della corporeità, di riproduzione, di sostentamento, sociali,
insediativi umani).

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• Strutture: particolari relazioni tra le parti di un sistema che si mantengono costanti →
modificazione di uno degli elementi = modificazione di altri elementi e della struttura
tutta.
• Formazioni storico-sociali: sistemi di relazioni tra sistemi. Alcuni hanno avuto una certa
stabilità e si sono conservati per periodi di tempo anche lunghi → civiltà e culture.
È utile concentrare la nostra osservazione su formazioni storico-culturali dotate di una certa
stabilità per ricostruire il passato secondo una visione che lo doti di senso.
È importante ricordare comunque che nessuna ricostruzione del passato è “per sempre”,
nessuna è una verità assoluta. Perché?

• Perché si scoprono nuove fonti


• Perché il punto di vista è di per sé parziale, e può essere modificato o spostato
Ricostruzione del passato come storia delle civiltà e delle culture → ricognizione delle diversità
e delle somiglianze. Questa ricognizione si articola su due assi:

• Temporale (diacronico) → confronto tra antichi e moderni


• Spaziale (sincronico) → confronto tra civiltà e popoli contemporanei tra loro
La ricerca antropologica ha aiutato, nel tempo a liberarsi dei condizionamenti ideologici. Un
antropologo compara per conoscere e capire, non per giudicare e stabilire superiorità, inferiorità
e primati.
*Dei vari tipi di diversità abbiamo già parlato precedentemente. È fondamentale tenere presente
comunque che, nella realtà, i sistemi sono fusi in fatti, comportamenti, relazioni, esseri umani.
Articolare analiticamente fatti, relazioni, comportamenti distinguendo i sistemi ci permette di
sviluppare comparazioni più sottili e capire meglio differenze e somiglianze.
Parte 3.2 – Il concetto di cultura
Concezioni tradizionali di cultura
Per molti anni, in Italia come in altri paesi → cultura = termine abbastanza ristretto, che indica
patrimonio di conoscenze possedute da persone dotate di istruzione superiore.
Era un ideale per le élites, non tutti potevano permettersi di dedicarle tempo e non tutti erano
giudicati all’altezza di poterla comprendere. Persone colte, quindi → i cittadini “migliori” delle
nazioni civili!
Nel concetto di cultura e in quello di civiltà sono insite:

• Idea di miglioramento, crescita, perfezionamento (individuale e collettivo) → cultura e


civiltà hanno un significato prescrittivo
• Funzione gerarchizzante → chi ha sa coltivare meglio questo bene, è automaticamente
visto come migliore
Ma nonostante la funzione gerarchizzante, la concezione prescrittiva della cultura può aprire la
strada a un’idea progressista → in Francia, nel corso dell’‘800 maturò un’idea di cultura come

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risultato di una crescita spirituale, di un progresso in termini individuali che rimandava al
concetto di civilizzazione.
Germania → fine ‘700-‘800 altra connotazione → Kultur = patrimonio spirituale collettivo
(Volksgeist, spirito nazionale, di un popolo) → + popoli = + culture (necessario parlare al plurale).
Civilizzazione è invece un termine che rimanda ai progressi della tecnica, allo sviluppo
industriale, alla crescita materiale.

Tylor e la prima definizione antropologica di cultura


Tylor → antropologo inglese considerato uno dei padri dell’antropologia scientifica.
Sua definizione di cultura (in Primitive culture, 1871): la cultura, o civiltà intesa nel suo senso
etnografico più vasto, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la
morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine che l’uomo acquisisce come
membro di una società.
Si tratta di una definizione descrittiva e non prescrittiva.
Cultura → prodotto dell’attività umana in società, non ideale da realizzare! Sue caratteristiche:

• Universale: propria di tutte le società, che vanno tutte prese in esame


• Appresa: esclusione dell’idea di innatismo della cultura e della trasmissione biologica dei
tratti culturali. La cultura si apprende frequentando la società, non fa parte del nostro
patrimonio genetico!
• Sociale: è prodotto di una società e della sua storia evolutiva, non deriva dalla
trasmissione del patrimonio genetico degli individui che la compongono.
Tylor → culture umane soggette alla legge dell’evoluzione → MA questo processo evolutivo
non lede l’unità psichica del genere umano (postulato secondo cui la mente umana funziona
sempre allo stesso modo quando si trova in condizioni analoghe).
Questa unità psichica spiega le somiglianze culturali.

Fino alla metà del XX secolo → cultura termine usato in opposizione a termine civiltà:

• Civiltà: società più complesse e sviluppate

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• Culture: società più semplici e arretrate
Era diffusa l’idea che civiltà e culture fossero talmente diverse da non poter neanche essere
confrontate, e che le culture fossero compatte, integrate e immobili, mentre le civiltà vivessero
cambiassero nella storia.
Questo ha comportato anche la convinzione che per lo studio delle società naturali o culture
fosse sufficiente la competenza dell’antropologo applicata a un’unità di ricerca di piccole
dimensioni → settorializzazione dell’antropologia è successiva!
Le civiltà, invece, naturalmente, vengono studiate nei loro vari aspetti da tante discipline anche
diverse!
La concezione mentalistica della cultura
XX secolo → nuovo indirizzo dell’antropologia: scuola di Boas (Stati Uniti).
Gli studiosi di questa scuola ritengono la cultura una “concezione del mondo e della vita” →
realtà mentale, modo di concepire, vedere, giudicare il mondo e sé stessi nel mondo (ma allo
stesso tempo realtà sociale, perché appresa nel processo di inculturazione nella società).
La cultura vede poi delle implicazioni:

• Può supplire alla mancanza degli istinti, o meglio alla loro atrofia → certe abilità, la
maggior parte in verità, devono per forza venir insegnate (gli esseri umani non hanno gli
stessi istinti degli animali!) → vengono insegnate in modo diverso durante il processo di
inculturazione, e le modalità dipendono dalla società (processo di inculturazione).
• Inculturazione → formazione di automatismi culturali, risposte agli stimoli dell’ambiente
naturale o sociale che abbiamo appreso precocemente e diventano quindi reazioni
semiconsce o inconsce (es. piatto di insalata senza la forchetta → ???).
• Inculturazione → processo in cui si formano e si stabilizzano somiglianze culturali, ma
anche tratti profondamente interiorizzati che danno corpo a etnocentrismo attitudinale,
che può divenire ideologico.
• Inculturazione → processo che si diversifica: all’interno di una società la cultura non è
appresa in modo uniforme da tutti i membri! → nascono subculture o culture di gruppo
in una società più ampia.
In generale, l’implicazione fondamentale di questa visione della cultura come universale implica
che ogni società possa essere studiata dal punto di vista culturale.
È importante però vedere la cultura come qualcosa di interconnesso, di legato a
condizionamenti da parte delle strutture produttive, dei livelli tecnici e tecnologici, dei modi di
distribuzione dell’accesso alle risorse → la cultura non è e non deve essere considerata
scollegata da questi aspetti.
La definizione dinamista di cultura
Questi limiti possono essere superati se consideriamo le culture come realtà prodotte, anzi,
costantemente in processo di produzione.

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Grazie alla riflessione degli antropologi di orientamento storicista-marxista (soprattutto italiani
e francesi), siamo oggi in grado di considerare la cultura qualcosa di dinamico e non di statico.
Altra definizione avanzata, quindi → cultura è il senso (significato e valore) che il loro agire ha per
i soggetti agenti.
*Processo che risente di tutte le varie influenze già precedentemente elencate.
Parte 3.3 – Culture e diversità
Strutture interne comuni a ogni cultura:

• Rapporto con almeno una lingua


• Concezione del tempo e dello spazio
• Struttura di idee riguardanti il senso profondo dell’esistenza umana
• Struttura di conoscenze
• Struttura di valori
È importante ricordare che in ogni cultura vi sono idee e credenze non congruenti con altre idee
o con alcuni valori, e che i valori stessi possono essere in contraddizione tra loro.
Cultura, lingua e linguaggi
Le lingue parlate dagli esseri umani sono un fenomeno culturale per eccellenza. Possiamo
considerarle contemporaneamente un fenomeno universale e un fenomeno particolare.

Fenomeno universale: non c'è essere umano


che non parli almeno una lingua e non c'è
società umana che non abbia la sua lingua.

Fenomeno particolare: le lingue sono tutte


diverse l'una dall'altra --> hanno una natura
convenzionale che varia di lingua in lingua.

Si dice che le lingue hanno natura convenzionale perché ai suoni articolati che sono portatori di
significato (i fonemi) è attribuito implicitamente, appunto, un significato, che ha senso in una
certa lingua, ma in un’altra lingua può non significare niente.

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Altra caratteristica delle lingue → loro natura simbolica: attraverso la convenzione, l’insieme di
regole che trasforma i suoni in fonemi significanti di significati, la lingua ci consente di usare le
parole come se stessero per le cose.
Senza la lingua, il pensiero (utilizzando il linguaggio diamo forma al pensiero e siamo in grado di
esprimere anche concetti molto sottili) e la comunicazione (utilizzando il linguaggio ci mettiamo
in relazione con gli altri, attiviamo degli scambi dal punto di vista sociale) sarebbero ridotti a ben
poca cosa!
Le lingue sono tanto più adeguate a costruire e comunicare significati, in quanto sono anch’esse
realtà dinamiche. Si modificano, si adeguano a ciò che muta nella vita complessiva delle società.
Lingua scritta → la scrittura alfabetica deriva dalla scrittura cuneiforme dei Fenici (II millennio
a.C.). Consente di trascrivere puntualmente qualsiasi discorso, parola per parola, grazie alle
corrispondenze tra segno grafico e fonema. La punteggiatura indica invece l’intonazione.
In antropologia, vista l’invenzione della scrittura alfabetica che non appartiene a tutti, si è
parlato quasi sempre, soprattutto in passato, di:

• Società letterate
• Società illetterate
Oggi, in tempi di globalizzazione, non esistono praticamente più società illetterate. Piuttosto,
come già visto, abbiamo un’ineguale distribuzione della padronanza della scrittura e della lettura
da parte dei singoli esseri umani all’interno di ciascuna società.
Bisogna uscire da questa visione ristretta del binomio lettura-scrittura come unici esempi di
linguaggi. A prescindere dall’alfabetizzazione, infatti bisogna tener presente che ogni società
conosce anche una pluralità di altri linguaggi (gesti, posture, prossemica, emblemi, stemmi,
insegne… fino al linguaggio degli oggetti). Tutti questi linguaggi sono indicativi dei vari valori
che ogni società veicola.
Diversità linguistiche e comunicazione: la linguistica strutturale e lo strutturalismo in
antropologia
Il lessico che usiamo è in rapporto piuttosto stretto con la vita che viviamo, ma il rapporto cose-
parole è tutt’altro che un piatto rapporto di meccanico rispecchiamento.
Non è corretto quindi adottare una posizione esclusivamente nominalista (nomi fanno esistere
le cose) né una esclusivamente materialista (cose fanno esistere nomi).
Nella sua struttura grammaticale e sintattica, ogni lingua è anche un sistema di definizione delle
relazioni tra le cose che stanno nel mondo. Quindi, parlare una lingua vuol dire articolare e
strutturare il pensiero secondo modalità specifiche e diverse dalle altre?
La linguistica strutturale di De Saussure (seconda metà XIX secolo – XX secolo) riscontra la
presenza in tutte le lingue di opposizioni binarie che articolano il pensiero.

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Questa struttura oppositiva del pensiero e della lingua consente agli esseri umani di parlarsi e di
comprendersi → Levi – Strauss, antropologo francese: esiste una correlazione tra strutture
elementari del pensiero e della lingua e delle produzioni culturali?
Tempo e spazio
In NATURA → tempo e spazio non esistono → alternarsi tra luce solare e buio, ciclo delle stagioni
e discontinuità tra corpi solidi.
Tempi diversi, dedicati dai vari gruppi umani ad attività diverse:

• Tempo sacro: rapporto con il soprannaturale


• Tempo profano: altre attività
• Tempi propizi e infausti: per certe attività
• Tempi permessi e tempi proibiti: certe categorie di persone possono o non possono
svolgere determinate attività
Diritto di regolare i tempi → forma di potere che spettava alla casta sacerdotale, che deteneva
potere.
Con l’invenzione dei calendari si stabilizza la capacità di prevedere e la conseguente capacità di
programmare, in rapporto al tempo, le attività umane. Grazie ai calendari, altra distinzione:

• Tempo ciclico: tempo degli eventi che tornano, che si ripetono


• Tempo lineare: tempo della stabilità, della continuità
Nessuna società umana segue unicamente una delle due nozioni, però può essere interessante
notare che le società antiche seguivano un’organizzazione più legata al tempo ciclico, mentre la
società contemporanea è complessivamente orientata, nella sua organizzazione, verso l’idea di
tempo lineare.

Altra dimensione, il tempo mitico: in illo tempore, idea che esista un momento in cui “tutto è
cominciato”, tempo della creazione e della rivelazione.
Spazi diversi, idee diverse:

• Postura eretta + deambulazione bipede = 2 punti di vista: visione radiale e nozione di


centro stando fermi, camminando visione in movimento e in mutamento dello spazio che
ci circonda (“spazio sociale”).
• Confine = stabilire un’opposizione (dentro/fuori, noto/ignoto, noi/loro).
• Spazio sacro e spazio profano
• Spazi propizi e spazi infausti

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• Spazi accessibili e spazi proibiti
• Segregazione e autosegregazione in uno spazio → privazione dello spazio come pratica
coercitiva se imposta//strategia di valorizzazione dell’eccezionalità se scelta.
Intervento umano → mutamenti apportati alle condizioni originarie, “naturali” dell’ambiente
(es. impianti di riscaldamento), sviluppo dei mezzi di trasporto (→ riduzione delle distanze).
Trasformazione del pianeta (antropomorfizzazione) → inevitabile, l’uomo è presente e lascia la
propria impronta. Processo tuttavia non universale né equo → vantaggi non uniformemente
distribuiti, svantaggi colpiscono tutti (es. inquinamento).
Il senso profondo dell’esistenza umana: le cause prime e i fini ultimi
In modi diversi tutte le culture hanno affrontato la questione delle cause prime e dei fini ultimi
dell’esistenza umana, anche se è bene ricordare che questa dicotomia deriva da una visione
tipicamente occidentale. Altri gruppi umani, ad esempio, preferiscono interrogarsi sull’ordine e
disordine del mondo.
Al di là di queste differenze → tutte le culture presentano un insieme di idee relative a come è
fatto il mondo, a come è stato creato (cosmogonie = miti che riguardano il “modo di nascere del
cosmo”) e a come andrà a finire.
Tutti gli esseri umani infatti, a prescindere dalla loro cultura, sanno che un giorno dovranno
morire.
Abbiamo detto, quindi ORIGINE DEL MONDO → COSMOGONIE → Idea della creazione oppure
della messa in ordine, altrimenti di una commistione delle due cose.
Avviene con o senza un artefice (anche qui, dipende dal mito e dalla cultura), un demiurgo che
una volta compiuta la creazione si ritira e si disinteressa oppure è costantemente vigile e
interessato.
Comportamenti negativi dell’uomo (spesso, dell’essere umano di sesso femminile)
→disposizione negativa della divinità.
Alla cosmogonia si lega una cosmologia → insieme costituiscono il patrimonio mitico, il corpus
dei miti propri di ciascun popolo.
Ci sono poi i riti, comportamenti standardizzati collocati in ogni società in tempo e luogo
specifici. Presentificano quanto narrato nei miti e ne rinnovano implicazioni e conseguenze. Il
mito è comunque, spesso, un sacrificio che si compie su un capro espiatorio (soggetto su cui si
concentrano le colpe e gli errori di tutti).
La salvezza è comunque legata alla condotta dei credenti + potere sovrannaturale della divinità
e sua decisione.

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Durkheim ha analizzato le funzioni sociali della religione. Definisce i miti come le rappresentazioni
collettive che la società fa di sé stessa.
Sulla base della narrazione mitica si costruisce una solidarietà meccanica → forma di
integrazione sociale basata sulla condivisione di una rappresentazione del mondo. In questo
quadro, la celebrazione dei riti contribuisce a rinverdire questa solidarietà.
Altri studiosi hanno messo in evidenza altre funzioni delle religioni:

• Funzioni regolatrici e moralizzatrici → sacralizzazione delle regole di comportamento


• Funzione politica → apparato ideologico per la detenzione del potere

Come funziona il pensiero del sovrannaturale? A cosa pensano i devoti nelle società cosiddette
primitive?

• Animismo: il soprannaturale è presente in forma di anima in tutte le realtà esistenti →


due mondi paralleli, ma al secondo si accede solo da morti (morti fisicamente, perché le
anime non muoiono mai!). Secondo antropologi evoluzionisti, forma più arcaica di
religione.
• Totemismo: il potere appartiene al totem (elemento della natura + antenato mitico dei
clan)
• Culti degli antenati: pensati in un luogo remoto e inaccessibile, depositari del sapere e
della verità
Religioni “primitive” → assenza di clero → gruppo di persone che si occupano della religione in
maniera esclusiva (casta dei sacerdoti).
Quando una religione ha un clero è detta istituzionalizzata.

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Religioni istituzionalizzate → possono essere distinti secondo vari caratteri. Ad esempio, tra:

• Politeismi: religioni che venerano più divinità (es. Shintoismo giapponese o Induismo
professato in India)
• Monoteismi: religioni che venerano un’unica divinità (es. Ebraismi, Cristianesimo, Islam)
Buddhismo e Shintoismo (religioni nate in India e in Cina) → altre religioni ancora, in cui
attenzione e impegno dottrinari per la salvezza dei fedeli hanno un ruolo fondamentale. La
salvezza è in queste religioni un obiettivo che si persegue attraverso il rispetto di certi precetti e
l’adozione di un determinato stile di vita nell’al di qua!
Oltre alle religioni istituzionalizzate esistono una serie di sette secondarie, formate da individui
che possono avere origini sociali anche molto diverse.
Le influenze che diverse religioni che convivono hanno le une sulle altre generano sincretismi.
La magia
Nella nostra cultura di occidentali, la magia è considerata un insieme di credenze e di
comportamenti irrazionali e assurdi, vere superstizioni da selvaggi. Tuttavia, non esiste quasi
nessuno che non ne senta almeno un pochino la suggestione.
Che cos’è la magia? Un insieme di pratiche cerimoniali, fortemente ritualizzate, il cui scopo è quello
di catturare o controllare il potere soprannaturale, impersonale e occulto che si aggira tra cielo e
terra in modo tale da piegarlo ai voleri e farlo operare a vantaggio di chi, appunto, lo ha catturato e
lo controlla.
Chi controlla la magia? → un operatore magico specialista oppure una persona “normale”, ma
dotata di certi poteri.
Esistono diversi tipi di magia:

• Pratiche magiche preventive e protettive (apotropaiche): assicurano una protezione a


lungo raggio contro i mali
• Magia riparatrice: libera chi è vittima di un maleficio, cioè chi è stato colpito dalla magia
in senso negativo
• Malocchio: sguardo invidioso di qualcuno su qualcun altro, cattura energia negativa e
confluisce su questo qualcun altro. Può essere anche qualcosa che attiriamo su di noi
violando anche involontariamente certi tabù e certe proibizioni.
• Fattura: incantesimi con cui colpire vittime designate e compiere danni di vario tipo
(fattura d’amore, fattura a morte…)
• Adorcismo: contrario di esorcismo, pratica di evocazione degli spiriti perché entrino in chi
li evoca e lo governino nelle forme varie della possessione, della trance, dell’estasi
Che cosa fa l’operatore magico per liberare la persona colpita dal malocchio?
1. Accerta la natura di malocchio della fattura
2. Accerta chi è stato → grazie anche alla capacità divinatoria che gli consente di conoscere
le cose occulte del passato, del presente e del futuro

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3. Libera chi ne è stato colpito → pratica liberatoria che può essere addirittura, a volte,
esorcismo, rituale finalizzato a condurre fuori, a far uscire dalla vittima i poteri negativi che
sono entrati dentro di lui o lei
Questi contenuti hanno per certi gruppi sociali una grande importanza, un vero ruolo salvifico
correlato a quello delle religioni. Ernesto De Martino, antropologo italiano, ha condotto degli
studi importanti sul tema, individuando questi collegamenti.
La magia manca però di un orizzonte teologico, e non solo, anche di un orizzonte mitologico. La
salvezza che si cerca è sempre contingente, dipende dalle necessità dettate da un particolare
momento nel tempo. Le chiese considerano la magia opposta alla religione, come un
comportamento colpevole e perverso, che tenta di dominare le forze della natura e il destino
chiedendo aiuto a forze maligne anziché a Dio.
Ma la magia è stata vista anche, nel tempo, come una pratica di investigazione sulla natura
alternativa alla scienza (magia naturale, i maghi erano anche filosofi e matematici, rispettati e
temuti). Questa interpretazione è scaturita soprattutto tra XV e XVII secolo. Dall’Illuminismo in
poi, le pratiche magiche vengono condannate. Condanne che provengono da ambienti laici, e
legati alla credenza che nelle pratiche magiche non vi fosse nulla di razionale.
Conoscenze e valori: pensiero razionale e pensiero simbolico
Attività della mente umana → linguaggio. Lingue diverse = modi di pensare diversi???
È importante tenere presente che conosciamo due principali modi di pensare. Ma come
pensiamo, quindi? Sappiamo:

• Pensare per concetti: pensiero razionale → pensare secondo i principi dell’univocità,


dell’identità, della non contraddizione, della relazione causa-effetto (principi del
pensiero razionale)
• Pensare per simboli: pensiero simbolico → pensiero simbolico, per immagini mentali,
tramite associazioni e intuizioni → produzioni artistiche, religioni, magie, vita dei
sentimenti
“Il naufragar mi è dolce in questo mare” (G. Leopardi) → nell’ambito del pensiero simbolico ha
senso ciò che dal punto di vista razionale è privo di senso.
Ernesto de Martino e il mondo magico
Heidegger → “esserci nel mondo” (gli esseri umani sono consapevoli della labilità dell’esistenza
umana) → De Martino: la magia è un istituto culturale elaborato dagli esseri umani che permette
di risolvere la crisi della presenza.
De Martino ipotizza un’età remota, preistorica, in cui il mondo fu mondo magico, nel senso che
il magismo era l’orizzonte culturale dominante. Ipotesi, questa, chiaramente non dimostrabile,
ma è possibile che facesse parte dell’orizzonte culturale dell’epoca.
La magia, offrendoci gli strumenti per il controllo simbolico del negativo, garantisce le condizioni
minime necessarie per affrontarlo razionalmente → MA il fine delle azioni umane non è definito
mai esclusivamente in termini razionali.

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Fine dell’agire → (legato a) VALORI!
I valori sono astrazioni → si esprimono simbolicamente attraverso le immagini → queste
immagini generano universi di senso a cui partecipano collettivamente tutti coloro che
condividono il valore e il simbolo che lo rende presente.
Si individua quindi una finalità condivisa, si cercano mezzi per realizzarla, ci si identifica come
gruppo → l’io viene trasfigurato e trasceso in un noi (idea della collettività).

Non c’è agire umano dunque che non sia orientato dai valori, che non persegua la realizzazione
di qualcosa che vale, che vale almeno per colui che è soggetto dell’azione. Ma i valori non sono
né uniformi né universalmente condivisi, come abbiamo visto (devono sempre essere collocati
nel tempo e nello spazio, per farne un’analisi).
Occidente → XIX secolo-XX secolo → successi della scienza e della tecnica → la razionalità
diviene un valore.
La sfera simbolica dell’attività mentale viene quindi screditata, e i comportamenti orientati da
questa sfera simbolica definiti “irrazionali” → a comportarsi in modo irrazionale e primitivo sono
soprattutto donne e deboli di mente.
Queste categorie di persone si riteneva pensassero in modo diverso (“pensiero debole”):

• NO logica razionale, MA disposizione empatica e fusionale verso il mondo


• NO principio di causa-effetto, MA principi esplicativi del contatto e dell’isomorfismo
Era convinzione diffusa che questo modo di pensare, primitivo, infantile, femminile, fosse
destinato inevitabilmente a sparire davanti al progressivo affermarsi del regno della ragione.
DOPO la Seconda Guerra Mondiale → condanna della razionalità, che con la sua coerenza interna
aveva prodotto danni irreparabili → si privilegia la sfera emotiva e si rivendica diritto a essere
soggetto desiderante più che soggetto pensante.
L’osservazione sistematica dei comportamenti umani induce a ritenere che razionalità e
simbolismo siano tecnicamente e funzionalmente complementari.

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Parte 3.4 - Sistemi della corporeità
Diversità esteriore: colore della pelle, statura, struttura dello scheletro, dimensioni del cranio,
forma del cranio, colore degli occhi, colore e qualità dei capelli.
Queste caratteristiche diverse sono però legate a una straordinaria similarità interiore a livello
di funzionamento dei corpi dal punto di vista anatomico, fisiologico e patologico.
INFATTI → Migrazioni → difficoltà di adattamento (sviluppo di certe caratteristiche → loro
trasmissibilità attraverso la filiazione → certi tratti sono diventati fissi) non tanto fisiologiche
quanto più psicologiche e culturali.
le diversità generiche che contano sono quelle che si riscontrano tra individui, mentre quelle tra
gruppi non hanno né distribuzioni né frequenze tali da farle considerare rilevanti → se in un
gruppo c’è un individuo sterile, non è sterile l’intero gruppo.
Le diversità somatiche hanno comunque importanza sociale e culturale. Secondo una specie di
“politica delle diversità congenite”, per cui queste diversità sono considerate segni di
superiorità/inferiorità.

In tutte le culture → pratiche di manipolazioni dei corpi → imprimere caratteristiche permanenti


sui corpi (mutilazioni, deformazioni, scarificazioni, foratura dei lobi o delle labbra, tatuaggi,
bruciature, limature dei denti, estrazione dei denti, taglio dei capelli, depilazione…).
Che cosa si ottiene attraverso queste modificazioni?

• Si realizza un ideale estetico


• Si evidenzia l’appartenenza a un gruppo, le manipolazioni sono caratteristiche identitarie
• Si attribuisce loro un significato esemplare → mutilazioni genitali
• Si accentuano le diversità → numeri impressi sugli avambracci delle persone nei campi di
concentramento
• Si mostra un segno di lutto, perdita, sconfitta//pratiche virtuose per celebrare una
vittoria
• Si esplicita una superiorità sociale e politica
Oltre alle tecniche di manipolazione del corpo esistono delle vere e proprie tecniche del corpo,
insieme di modi standardizzati di usare il corpo.
Ci accorgiamo della loro esistenza solo quando ci troviamo in un ambiente che ne richiede altre,
diverse da quelle che possediamo. Hanno a che vedere con le tecniche e l’ambiente materiale

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propri di un determinato gruppo, e sono connesse al sistema di valori di cui sono espressione
(esempio fatto in classe: le gambe incrociate alla presenza di un capo locale, unica persona che
avrebbe dovuto/potuto incrociarle se avesse voluto).
Modificazioni sono anche le protesi, strumenti che prolungano, sostituiscono, potenziano una
parte del corpo umano. Protesi anche cibernetiche, il cui utilizzo provoca cambiamenti culturali
di enorme portata, che va a delineare anche capacità e abitudini diverse.
Il corpo umano può essere anche reificato, cioè ridotto a cosa. Può cioè essere esibito come
simbolo del proprio potere, oppure come simulacro attraente e suggestivo (es. quanto avviene
nelle pubblicità commerciali, ma anche su Instagram, ad esempio). Si tratta di forme di
alienazione, che può divenire anche autoalienazione quando è il soggetto stesso che decide di
usare il proprio corpo come strumento o come simbolo, per ottenere risultati.
Parte 3.5 - Diversità e somiglianze dei sistemi di riproduzione
Riproduzione → processi che consentono a un gruppo umano e alla specie umana di mantenersi
nello stato in cui si trova o trovava in un certo momento dato → riequilibrare continuamente la
dinamica delle morti e delle nascite nei gruppi sociali.
Processo (quella degli esseri umani è una riproduzione sessuata):
1. Accoppiamento
2. Fecondazione
3. Gestazione
4. Parto
Dopo il parto, con il graduale inserimento dell’individuo nella società:

• Prendersi cura del nuovo nato per un tempo lungo (da inetto, l’individuo diventa atto a
sopravvivere) … ma lungo quanto? Dipende dalle regole dei gruppi e delle società.
• Dall’istinto alla cultura → un comportamento culturalizzato, esito sempre dell’incontro
con la società, provoca l’incremento dei saperi, la loro circolazione e trasmissione,
l’incremento delle capacità e di conseguenza l’aumento dell’efficienza delle prestazioni.
• Si impara a vivere con gli altri → la società umana non è automaticamente,
meccanicamente cooperativa: si impara ad essere cooperativi stando con gli altri!
La parentela
Parentela → insieme di legami che uniscono tra loro un certo numero di individui.
Che tipo di legami? Basati su due principi:

• Principio della comune discendenza → siamo consanguinei di chi ha in comune con noi
una discendenza, vale a dire antenati o avi
• Principio del legame matrimoniale → siamo affini ai consanguinei dei nostri coniugi
La parentela è solo umana, perché non è naturale e istintuale ma culturale e convenzionale. Per
questo ci fa sorridere pensare che gli animali possano essere parenti e, d’altra parte, solo chi si
può parlare di parentela solo quando si sa di essere parenti e ci si comporta come tali.

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Le scienze sociali conoscono la nozione di famiglia nucleare:

Madre + padre + figli. Ma perché?

• I genitori generano i figli → sono i responsabili della loro procreazione e assegniamo loro,
nelle società occidentali, il compito di crescerli. Dunque, la famiglia è per noi un fatto di
natura (tutto il resto sono “degenerazioni”, secondo il nostro etnocentrismo), ma le
attribuiamo uno statuto prescrittivo (“la famiglia è questa, una vera famiglia deve essere
così”, sempre secondo il nostro etnocentrismo).
• L’etnografia e la storia ci insegnano però che la famiglia nucleare è una forma non
universale di organizzazione dei rapporti di riproduzione e di regolazione dei rapporti
sociali.
• Ogni società si è però posta l’interrogativo che riguarda chi deve prendersi cura del
neonato. Noi ci siamo dati una risposta legata al criterio della consanguineità e all’idea di
discendenza, di filiazione. Abbiamo modellato la nostra cultura di occidentali su questo
modello!
• Nei nostri paesi occidentali vige dunque un sistema di discendenza bilaterale. Un
bambino discende quindi sia dai familiari della madre sia da quelli del padre. Anche il
nostro sistema di leggi è modellato su questi presupposti.

Le più antiche strutture di parentela furono costruite prendendo in considerazione una sola di
queste due linee di discendenza. Si parlava dunque di discendenza matrilineare o patrilineare.
Quando l’appartenenza degli individui si stabilisce con riferimento a una sola di queste due linee,
si parla di lignaggio (patrilignaggio, matrilignaggio). Vediamo queste forme più nello specifico:

• Matrilignaggio: un individuo appartiene al lignaggio a cui appartiene la donna che lo ha


generato. Organizzazione legata a STABILITA’ delle donne e MOBILITA’ degli uomini.
Nessun uomo abbandona l’appartenenza al proprio lignaggio entrando nel lignaggio della

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moglie! Deve curarsi non dei propri discendenti ma di quelli della sorella. Rapporto zio-
nipoti femmine. Tracce nell’organizzazione dei romani, figura dell’avunculus.
RICORDA: Matrilinearità ≠ matriarcato!
La terminologia di parentela
La terminologia di parentela è l’insieme dei nomi con i quali un essere umano chiama e/o descrive
i propri parenti. È una costruzione culturale estremamente importante.
Come cambiano i sistemi di parentela, variano anche le terminologie di parentela. Gli antropologi
ne hanno distinti due:

• Terminologie classificatorie: utilizzate nei sistemi di parentela strutturati sui lignaggi


(classe materna/paterna + classe generazionale) → chiamare con un unico e stesso nome,
dipendere da tutti i vari membri.
All’epoca dell’incontro con società strutturate in questo modo ci si è chiesti il perché di
questa scelta. Sono state attribuite due giustificazioni: 1) “Non hanno idea del ruolo
maschile nella procreazione! Per questo chiamano tutti papà!”; 2) “Conoscono il ruolo
maschile nella procreazione, ma data questa promiscuità dal punto di vista sessuale non
sono in grado di capire chi effettivamente sia il padre!”.
• Terminologie descrittive: utilizzato nei sistemi a discendenza bilaterale, nei quali prende
forma e assume un ruolo più determinato la famiglia nucleare.
Proibizione dell’incesto e matrimonio
Parentela → dispositivo che ha consentito di strutturare la vita sociale come vita regolata.
L’accoppiamento tra consanguinei, tecnicamente chiamato incesto, è proibito in tutte le società
nonostante sia fecondo. È il divieto più radicale che conosciamo, un vero tabù, il più rigido che ci
sia.
La sua violazione comporta sanzioni molto gravi → nella mitologia greca ci sono interi cicli
dedicati alle stirpi maledette, tarate, generate dall’unione di consanguinei, sulle quali si
abbattono infinite sciagure (es. Edipo e la sua stirpe).
Ma come si spiega questa proibizione? Perché l’incesto è considerato storicamente
inaccettabile? Sono state avanzate numerose ipotesi:

• Spiegazioni di tipo biologico → sottolineano gli effetti negativi a medio e lungo termine
degli accoppiamenti tra consanguinei → conoscenze di biologia di cui gli esseri umani
dell’alba dei tempi erano sicuramente IGNARI! Non ha senso.
• Spiegazione di tipo psicologico → situazione di allevamento in comune = barriera
psicologica tale da neutralizzare le pulsioni sessuali → ma allora perché vietare qualcosa
che già spontaneamente viene rifiutato?
• Spiegazione di ordine socioculturale → sviluppata da Claude Levi-Strauss → proibizione
di sposarsi dentro il gruppo a cui si appartiene = interfaccia della prescrizione di sposarsi
fuori. La riproduzione diventa quindi un comportamento regolato, strutturato. Non è più
semplice e mero istinto → PASSAGGIO da condizione di natura a condizione di cultura.

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Legge della reciprocità tra gruppi: una delle leggi morali fondamentali della convivenza umana
→ in questo quadro, scambio delle donne = scambio delle parole (comunicazione) e dei beni
(commercio).
Lo scambio delle donne e la condizione femminile
Se le donne erano veramente considerate merce di scambio, allora si spiegano anche le
condizioni di vita svantaggiate rispetto a quelle degli uomini, che ritroviamo in tutte le società
che conosciamo e di cui si ha notizia (immagine, anche, simbolica e negativa → es. Eva). A queste
condizioni di vita svantaggiate corrispondono, in generale meno diritti e meno libertà (anche
nelle società più avanzate).
La condizione femminile è un tema centrale, in un certo senso il tema antropologico per
eccellenza: poiché esso è il caso universale, presente in tutte le culture, di diversità trasformata
in differenza, vale a dire in inferiorità.
Tipi di matrimoni
Pratica dello “sposarsi fuori” → esogamia (≠ endogamia) → obbligo universale, come abbiamo
visto, quello di effettuare un matrimonio che ci leghi a un altro gruppo.
Nelle società contemporanee, soprattutto in quelle occidentali, e sempre più spesso anche nelle
altre, la scelta del coniuge è lasciata alla libera iniziativa individuale.
Inizialmente, come ben sappiamo, le cose non andavano certo così: l’obiettivo del matrimonio
non era la felicità personale dei due sposi, ma:

• Garanzia della sopravvivenza della specie attraverso la procreazione e cura della prole.
• Creazione di alleanze matrimoniali, cioè di legami tra lignaggi, che garantissero stabilità
e buon funzionamento della società → consolidare l’alleanza tramite una pubblica
cerimonia, dote che il lignaggio della moglie trasmetteva al marito attraverso il
matrimonio oppure prezzo della sposa (il lignaggio di lui versava una cifra a quello di lei,
una vera compravendita).
Le transazioni economiche da una famiglia all’altra avevano diverse ragioni di essere:

• Favorire la stabilità del matrimonio (divorzio → restituzione della dote)


• Alimentare la circolazione dei beni (in gruppi anche piccoli, senza economia di mercato)
• Garantire la posizione della sposa nel nuovo lignaggio (per un certo periodo sarebbe stata
priva di qualsiasi potere)
Si andava a vivere nella casa dello sposo, mentre la sposa aggiungeva i mobili, il corredo … →
COSTUME OGGI MUTATO: risparmio comune, con eventuale aiuto economico dei genitori (che
è, appunto, un aiuto).
Nelle società tradizionali di livello etnologico e anche in quelle contadine → non esistevano adulti
non sposati, né di sesso femminile né di sesso maschile → bisognava svolgere il compito
riproduttivo.

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Il matrimonio monogamico non è l’unico tipo di matrimonio: esiste il matrimonio poligamico.
Si distingue in:

• Poliandrico: se ne conoscono pochissimi casi, in particolare riguardano il matrimonio di


una donna con più uomini tra loro fratelli. Logica legata alla riduzione delle nascite.
• Poliginico: tipo di poligamia più diffusa, soprattutto dagli islamici → è considerata come
un privilegio sessuale di maschi adulti in grado di procurarsi più di una donna.
Configurazione morale → doppia morale sessuale, che funziona così:

UOMO DONNA
- non necessaria verginità prematrimoniale - deve assolutamente essere vergine
- non necessaria fedeltà matrimoniale - deve assolutamente essere fedele
- attività sessuale libera

Esiste anche il concubinato, legame pubblico con una o più donne che non sono mogli nel senso
istituzionale del termine ma sono legate a lui da precisi obblighi.
Nelle società occidentali, comunque, la doppia morale sessuale è stata abolita, e l’adulterio
femminile e quello maschile sono equiparati come cause di separazione dei coniugi e non
costituiscono più reato.
Donne → spazi di vita = spazi matrimoniali (una donna sola ero considerata un elemento di
perturbazione e di disordine nella vita sociale) → in molte società vigeva:

• Obbligo del levirato: sposare il fratello del proprio defunto marito


• Obbligo del sororato: sposare il vedovo della propria sorella defunta
• Sati: (India) obbligo per la vedova di un uomo di darsi la morte alla morte di lui, lasciandosi
bruciare sulla sua pira funeraria
Nella storia dell’Europa medievale si cominciarono a creare alcune istituzioni-rifugio per le
vedove, come i conventi, dove potevano monacarsi o anche semplicemente rifugiarsi
(beguignages).

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Matrimoni infantili → Di che tipo?

• Due bambini sono destinati a sposarsi, è programmato, spesso addirittura prima della
loro nascita
• Una bambina viene data in moglie a un uomo molto più grande di lei → nella casa di
questo sposo le bambine “finiranno di crescere”
Ma soprattutto, perché?

• Liberarsi di una prole troppo numerosa


• Stabilizzare alleanze tra lignaggi e clan
Tutte le società ammettono, comunque, forme di scioglimento del matrimonio (sebbene questo
scioglimento non sia “consigliato” perché implica una ricollocazione di persone e beni). La donna
si trova in una situazione di subordinazione, e questo fa sì che la forma tradizionalmente più
diffusa di scioglimento del matrimonio fosse il ripudio unilaterale da parte del marito.
Nel mondo contemporaneo il divorzio è stato ammesso per legge in tutti i paesi occidentali, su
richiesta dell’uno o dell’altro coniuge e in genere con disposizioni che tutelano le donne.

Altro aspetto fondamentale che riguarda una coppia è il luogo in cui questa va a vivere dopo il
matrimonio.
Residenza → legata ai rapporti di parentela. Che tipi di residenza esistono?

• Residenza patrilocale: patrilignaggi


• Residenza matrilocale: matrilignaggi
• Residenze neolocali: distinta dai lignaggi
• Residenza virilocale: decisa in base ad appartenenze e legami del marito
• Residenza uxorilocale: decisa in base ad appartenenze e legami della moglie

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La procreazione e l’allevamento degli infanti
In tutte le società esistono dispositivi e addirittura prescrizioni per regolamentare le nascite,
vale a dire per conservare l’equilibrio tra popolazione e risorse.
Già ai tempi dei gruppi di cacciatori – raccoglitrici si praticava l’astinenza sessuale oppure si
adoperavano dispositivi sia comportamentali sia meccanici per contenere la natalità. Molte
società, anche arcaiche, mettevano in atto pratiche abortive oppure praticavano l’infanticidio
femminile.
Aspetti che riguardano la nascita dei bambini:

• Procreazione → parto medicalizzato nelle società occidentali, mentre in altri tipi di


società non è necessario l’intervento di un medico → in ogni società esistono però
tecniche per partorire bene e forme di protezione magico-religiosa legate al parto.
• Attribuire un nome → passaggio delle virtù e dei meriti dei suoi avi//auspicio, valore
predittivo e profetico.
• Ovviamente, con la nascita → inizio del processo di inculturazione.

La Paraponera Clavata, detta anche formica proiettile viene così chiamata perché il dolore che provoca quando morde con le
sue potenti mandibole è paragonabile a quello di un colpo di pistola. I giovani maschi della tribù dei Satere Mawe devono essere
molto coraggiosi per poter entrare nel mondo degli adulti: sono obbligati ad infilare le mani in un paio di speciali guanti
imbottiti con decine di esemplari di formica proiettile e resistere per almeno 10 minuti. Ma non basta! Durante la prova non
devono piangere né lamentarsi!

Inculturazione → RITI, scandire le tappe (es. passaggio dall’infanzia all’adolescenza). Che tipo di
riti?

• Riti di iniziazione: alcune società scandiscono il passaggio dall’età adolescenziale all’età


adulta attraverso prove psichiche e fisiche.
• Più in generale, riti di passaggio: scandire pubblicamente il passaggio di un individuo o di
un gruppo di individui da una condizione sociale a un’altra → il funerale è un rito di
passaggio comune a tutte le società.

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Capitolo 4 – La ricognizione delle diversità: sistemi di sostentamento, strutture e istituzioni sociali,
insediamenti
Parte 4.1 - I bisogni umani
Teoria scientifica della cultura (Malinowski) → ciascuna cultura è una risposta specifica prodotta
da un gruppo umano, in circostanze storiche e ambientali date, ai bisogni umani.
Risposte culturali = ambito di confronto, variano da cultura a cultura, così come variano
tendenzialmente anche i bisogni!

Esistono però alcuni bisogni universali (bisogni primari per Malinowski, 1), che sono propri della
specie umana tutta, bisogni dunque imprescindibili, cose senza le quali l’essere umano muore.
Quali?

• Apporto giornaliero di ossigeno (morte per asfissia)


• Apporto giornaliero di calorie e acqua (morte per fame e disidratazione)
• Possibilità di movimento e di riposo (morte per atrofia o per eccesso di fatica)
• Protezioni (morte di freddo per congelamento e colpi di calore)

Alcuni includono anche il bisogno sessuale → MA il bisogno sessuale è proprio della specie
umana più che dei singoli individui, nel senso che è condizione necessaria affinché la specie non
si estingua.
Il fatto che un essere umano sia vergine oppure inattivo sessualmente non lo mette,
assolutamente, in pericolo di vita. D’altra parte, il bisogno sessuale si presenta più come
un’esigenza culturalmente plasmata, come abbiamo anche già visto, piuttosto che come una
pulsione istintuale.
Importante ricordare anche che il bisogno sessuale umano è estemporaneo, può cioè insorgere
in qualsiasi momento (≠ animali che vivono il periodo di “estro” o “calore” a cui le loro attività
sessuali sono circoscritte).

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Altro bisogno umano difficile da classificare è il bisogno di salute (stare bene e sentirsi bene):
sappiamo che in tutte le culture sono state inventate pratiche finalizzate a contrastare lo star
male e a ripristinare una condizione di benessere (dalle sostanze curative agli amuleti, eccetera).

Malinowski individua anche la categoria dei bisogni derivati (2), che riguardano il
funzionamento della società e la sua organizzazione:

• Economia → sistema di produzione, distribuzione, scambio e consumo di beni e servizi +


apparato di strumenti che consentano la realizzazione delle operazioni economiche.
• Controllo sociale → sistema organizzato di premi e punizioni → incentivare i
comportamenti conformi alle regole e disincentivare i comportamenti non conformi alle
regole.
• Educazione → sistema organizzato che garantisca l’inculturazione dei nuovi membri.
• Organizzazione politica → sistema organizzato che definisca le forme e il funzionamento
del potere.

Infine, Malinowski individua una terza categoria, quella dei bisogni integrativi (3), senza
soddisfare i quali non è possibile che siano soddisfatti né i bisogni derivati né quelli primari. Tra
questi:

• Comunicazione → produzione di linguaggi (linguaggio verbale + linguaggi strutturali,


mimici, iconici, oggettuali, visuali).
• Produzione di conoscenze → saperi e tecniche che consentano di “utilizzare il mondo”,
di ordinarlo.
• Produzioni di valori → che diano fondamento e fine a economia, educazione, politica …
La teoria di Malinowski è conosciuta come una teoria funzionalista, perché Malinowski sostiene
che funzione delle istituzioni è il soddisfacimento dei bisogni umani.
Uno dei punti critici di questa teoria è che Malinowski non prende in considerazione il fatto che i
bisogni umani cambiano, mutano, non sono qualcosa di stabile e perpetuo. Sono bisogni
culturalizzati, e quindi influenzati in maniera determinante dal contesto.
Di fatto, le istituzioni non sono solo funzionali al soddisfacimento dei bisogni, ma li modellano. È
un meccanismo insito, sotteso.
Si tratta comunque di una teoria che mette in luce due aspetti fondamentali:

• Le istituzioni hanno determinate funzioni in determinate culture – società → nessuna


istituzione può essere giudicata a priori e dall’esterno.

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• Non ha senso separare bisogni umani di carattere fisiologico da quelli sociali
(interconnessi).
Parte 4.2 – I sistemi di sostentamento
Energia, strumenti e macchine utensili
I progressi tecnici complessivi dell’umanità hanno consentito alla specie umana di affiancare al
processo di adattamento della specie all’ambiente, un sempre più radicale processo di
adattamento dell’ambiente ai bisogni della specie.

Il progresso tecnico si è sviluppato seguendo due grandi piste:

• Scoperta di fonti di energia altre rispetto alla propria, fisica


• Invenzione di strumenti capaci di potenziare l’energia umana e non
Quali fonti di energia impara l’uomo ad utilizzare per “governare” l’ambiente, antropizzare i
territori in cui si stabilisce e ottenere risultati utili alla sopravvivenza? In ordine:
1. Il sole → luce e calore
2. Il fuoco → scoperta della combustione (produzione di energia termica, poi
successivamente anche potenzialità legate alla difesa e alla cottura dei cibi)
3. L’acqua, il vento → utilizzati per la produzione di energia cinetica → SECONDO Leroi-
Gourhan, qui deve essere collocata l’invenzione delle macchine!
4. L’energia animale → legata alle pratiche di addomesticamento, vengono impiegati
soprattutto animali da trasporto e da trazione → interessante notare come gli esseri
umani “diffondano” certi animali in virtù di questi scopi anche in zone che “non li
conoscono”, dove quei determinati animali non si conoscono!
Gli animali erano importanti, perché da loro e dal loro lavoro spesso dipendeva la
sopravvivenza di un gruppo, o di singoli individui. Per proteggerli si istituivano anche
pratiche magico-religiose.

Strumento → figlio del gesto e della parola → prolungamento naturale della corporeità e
dell’intelligenza degli esseri umani!

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Macchine → strumenti complessi, capaci di potenziare l’energia umana + di trasformarla (es.
cinetica → meccanica).
Tra i primi congegni inventati che funzionano in questo modo abbiamo la leva e la carrucola.
Ruolo fondamentale anche della ruota, per i trasporti e per la guerra, soprattutto. Altre macchine
di origini antiche sono i mulini a vento e ad acqua e il telaio.
Tappe del progresso tecnico → lavorazione delle cosiddette “materie prime” (che si trovano in
natura nelle più diverse forme e vengono trasformate in altro, anche perché ci si rende conto
delle loro peculiarità e potenzialità).
Una svolta fondamentale in questo senso è segnata dalla lavorazione dei metalli, e più in
particolare del ferro, che aveva una lavorazione particolarmente complicata e pericolosa.
Intorno alla lavorazione del ferro sono nati anche miti che riguardano figure di artigiani-divinità
abili (Efeso-Vulcano).

Spostiamoci in età moderna. Quali fenomeni interessanti hanno determinato dei cambiamenti
nel nostro modo di sfruttare le risorse?

• Abbiamo appreso come utilizzare nuovi strumenti e nuove invenzioni → nuove per noi,
perché importate
• Le colonie hanno iniziato a fornire nuove quantità e qualità di materie prime
• La rivoluzione industriale ha determinato molte innovazioni dal punto di vista tecnico,
soprattutto legate allo sfruttamento del carbone come combustibile
• Abbiamo imparato a gestire l’energia elettrica presente in natura in maniera sistematica,
e soprattutto abbiamo capito come produrla
• Abbiamo cominciato a utilizzare il petrolio → produzione di energia elettrica e di plastica
→ sappiamo oggi che la combustione del petrolio, e i derivati del petrolio esito della sua
lavorazione, sono altamente inquinanti
• Abbiamo sperimentato l’uso dell’energia atomica (che purtroppo ha causato notevoli
catastrofi, es. Chernobyl)
• Abbiamo cominciato a considerare l’uso di fonti di energia chiamate alternative (sole,
vento, acqua) → riproposizione di un modello antico
• Abbiamo cominciato a conoscere l’ambito elettronico dello sviluppo tecnologico

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Il lavoro umano
L’attività umana espletata all’interno dei sistemi di sostentamento prende il nome di lavoro.
Definire il lavoro in senso lato non è un compito semplice. Sappiamo che:

• Secondo la Bibbia → il lavoro è riservato all’uomo ed è “sudore della fronte”, pena e


fatica, punizione a Adamo per aver violato il peccato originale
• Età classica → idea dell’otium → concetto in base al quale il lavoro intellettuale coincideva
con una serie di attività impegnative e faticose, ma piacevoli per il soggetto che le
svolgeva
Sudore della fronte e creatività non sono più, per noi, due componenti della medesima attività,
ma caratteristiche opposte di due tipi di attività mutuamente esclusive. Da qui, una distinzione
fondamentale:

• Lavoro manuale → bruta fatica → meno riconosciuto, “manovalanza”


• Lavoro intellettuale → creativa invenzione → più riconosciuto in società, stipendi migliori
I sistemi di sussistenza umani
Distinti l’uno dall’altro in base a:

• Tecniche di produzione di beni e servizi


• Forme di organizzazione del lavoro umano
• Forme di circolazione, distribuzione dei beni e dei servizi prodotti
Vediamo come.
Cacciatori e raccoglitrici
È il più arcaico dei sistemi che conosciamo.
Cirese le ha definite economie di prelievo, perché gli esseri umani semplicemente prelevavano
ciò di cui avevano bisogno dall’ambiente senza intervenire su di esso con operazioni di
trasformazione, cosa che avverrà invece dal momento in cui si comincia a coltivare.
L’economia di prelievo vede due attività principali: la caccia/pesca e la raccolta di vegetali. Gruppi
umani non molto numerosi, spesso le donne erano più degli uomini, il lavoro era sessualizzato.
Questo tipo di economia era integrata nel sistema sociale, la sfera delle attività economiche non
era distinta dalle attività sociali ma ne era parte integrante.
Non esistevano le distinzioni che conosciamo noi tra lavoro e svago o tra orari di lavoro e orari di
riposo: certe attività di approvvigionamento si svolgevano quando era necessario, e ci si
facevano bastare le risorse per tre o quattro giorni (ricordiamo che qui siamo sempre in fase di
nomadismo, quindi muoversi avrebbe implicato doversi portare dietro “i frutti del raccolto”, e i
gruppi non erano organizzati in questo senso).
L’obiettivo non era quindi un’accumulazione di ricchezza, né si ricercava una crescita in questo
senso. Inoltre, le economie di prelievo non soffrivano di scarsità: tutti sapevano mettere in
pratica certi compiti, non esisteva una “manodopera qualificata”.

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La reciprocità
I beni scarseggiano → tentazione di approvvigionarsi rubando le scorte di altri → la circolazione
dei beni nasce per evitare questi scontri, e le guerre.
Circolazione dei beni → legata a un ciclo particolare di azioni (studiato in particolare
dall’antropologo Mauss):

3) Restituire 1) Dare

2) Ricevere

Ma da che cosa deriva l’obbligo a restituire? Mauss accetta l’ipotesi di un altro antropologo, Best,
derivata dall’incontro con un capo maori. Il capo maori sostiene che nella cosa donata sia insito
lo hau di colui che dona, come un principio spirituale che è anche obbligo morale di questa
restituzione. Se non si rispetta lo hau si incorre in gravi sanzioni.
Oggi conosciamo tre regole della reciprocità:

• Reciprocità generalizzata → vige nei contesti domestici, in ogni villaggio. È la reciprocità


delle comunità, che vige all’interno delle comunità. Non occorre alcuna forma di
contrattazione, è qualcosa di implicito e insito nei rapporti umani tra i membri del gruppo.
• Reciprocità bilanciata o equilibrata → si stabilisce tra gruppi tra i quali deve essere
contrattato un accordo (esempio importante: il kula → complesso scambio che definiamo
cerimoniale, perché di per sé non ha alcuna utilità pratica o strumentale → ha come esito
secondario il gimwali, effettivo scambio di tipo commerciale).
• Reciprocità inversa o negativa → si instaura quando le possibilità di cooperazione non
vengono raggiunte (esempio importante: il potlach → confrontazione violenta sul tema
del prestigio, durante la quale si arriva a bruciare, “sacrificare” i propri beni per
dimostrare all’altro quanti se ne possiedono e quanto più elevato è il proprio prestigio →
modello di educazione delle emozioni, dei sentimenti e dei valori).
Mauss conclude la propria analisi proponendo il concetto di fatto sociale totale, di cui i due rituali
kula e potlach sono due casi esemplari.

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Conferimento e redistribuzione
Introduzione delle prime forme di orticultura → processi di mutamento dell’organizzazione
economica e sociale → aumento delle risorse (l’uomo impara a governare l’ambiente e a trarne
tutto quello che può) → si elaborò una nuova modalità di organizzazione del lavoro e di
distribuzione del cibo.
Si impone, in particolare, il conferimento di almeno una parte degli alimenti da ciascuno a un
capo o un gruppo dei capi dei lignaggi → il capo/gruppo dei capi si occupano della
redistribuzione.
Redistribuzione = Compito per cui bisogna avere delle qualità:

• Distribuire bene a tutti


• Ottenere da tutti il conferimento
• Resistere alle pressioni di chi “vorrebbe fare la parte del leone” → il capo deve essere
forte
Si sviluppano, quindi, due modalità di relazione fino ad allora pressoché inesistenti:

• Una dimensione politica fatta di comando, obbedienza, consenso


• Un incentivo a incrementare la produzione dei beni
I grandi imperi dell’antichità
Queste le origini, in scala ridotta, dei grandi imperi agrari.
In queste società si passa dal versamento di tributi (es. cereali) al mercato e alla moneta. Si tratta
comunque di un processo di mercantilizzazione e di un processo di monetizzazione lunghi e
lentissimi. Questi mezzi consentiranno il commercio e la circolazione dei beni, salvo poi subire
una battuta d’arresto con l’economia curtense (crisi Impero Romano → secoli di Alto Medioevo).
Dal II millennio a.C., con Comuni e Repubbliche Marinare, i circuiti mercantili si riattivano.
Servi della gleba, artigiani e mercanti
Economia curtense, gli attori:

• Servi della gleba → lavoravano la terra e svolgevano lavori manuali


• Feudatario → aveva potere di vita o di morte su coloro che lavoravano nel suo feudo, per
concessione del sovrano
La separazione tra attività faticose e creative era netta. Chi aveva ancora un certo tipo di
indipendenza erano gli artigiani e i mercanti in città e i contadini proprietari di buoni poderi in
campagna. Loro potevano esplorare anche la parte più “creativa” del loro lavoro, mentre gli altri
dipendevano, erano loro imposte regole!

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Lavoro ed economia capitalista
Modo di produzione industriale → XVIII-XX secolo → favorisce un nuovo modello:

• Capitalisti → capitale e strumenti del lavoro


• Tecnici e professionisti → conoscenze e competenze tecniche
Le categorie di piccoli produttori, contadini, coltivatori e artigiani si sono proletarizzate → hanno
perso la proprietà degli strumenti di lavoro e il controllo sulla sua gestione organizzativa.
In cambio dell’erogazione della loro forza-lavoro → proletari ricevono salario (calcolato sulla
base di bisogni vitali e di sopravvivenza). Karl Marx definisce questo tipo di lavoro come alienato.
Perché alienato?

• Perché non coincide con la soddisfazione di un bisogno, ma è solo un mezzo per


soddisfarne altri
• Perché la retribuzione non tiene conto del cosiddetto plus-valore (valore in più del
prodotto dato dalla forza umana “incorporata” nel processo della sua produzione)
Questo innesca una dinamica del genere che vediamo illustrato qui sotto:

Da una parte... Dall'altra parte...

Classi Difesa del


sfavorite lavoro
lottano per salariato in
rivendicare i nome della
propri diritti libertà

Motivazioni di chi difende il lavoro salariato in nome della libertà:

• Società di mercato → ognuno trova ciò che gli occorre


• Libera concorrenza → offre le migliori condizioni possibili per trovare quello che si cerca
→ chi non riesce a inserirsi in queste dinamiche è responsabile della propria marginalità ed è un
peso negativo per la società.
Il conflitto tra le due concezioni (quella orientata dai valori della giustizia e dell’uguaglianza VS
quella orientata dal valore della libertà è da circa due secoli un carattere culturale distintivo in
occidente).

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Parte 4.3 – Le strutture sociali e le forme del potere
Società di lignaggio e società segmentarie
Per un lunghissimo arco di tempo le società umane si sono organizzate come società di
parentele. Organizzazione questa, come abbiamo visto, che voleva una collocazione degli
individui all’interno delle strutture di parentela a determinare il ruolo o i ruoli che essi
potevano/dovevano svolgere.
In questo sistema di “incastri” perfetti, determinati dai legami del lignaggio, potevano venirsi a
creare devi vuoti → integrazione con il parente simbolico (es. quando dei figli vengono adottati
dopo la morte di un “figlio naturale” all’interno di una famiglia).
Importante rendersi conto che questa presenza di parenti simbolici garantisce la sostituibilità
delle persone nei ruoli parentali, che è un punto fondamentale a favore della sopravvivenza degli
istituti della società!
Esiste poi una parentela spirituale che è rete di rapporti sacralizzati dalla somministrazione dei
sacramenti cattolici (es. madrina, padrino). Questa parentela spirituale crea legami profondi e
stabili, con contenuti affettivi, economici e sociali.
La parentela simbolica ha due funzioni principali:
1. Rimpiazzare i parenti reali se questi non ci sono
2. Far entrare gli individui in altre reti di relazioni
Attraverso questi dispositivi, la società di lignaggio cresce → alcune società, in risposta a questo
problema, si scindono → società dette segmentarie.
Si determinano forme organizzative più complesse come, ad esempio, il clan → unione, alleanza
+ comune discendenza da un antenato mitico → i clan possono riunirsi in fratrie (associazioni
che hanno funzioni meno definite).
Capi, sovrani, re
Chieftainships → si trasformano in regni → definizione dei gruppi soggetti al dominio di un
nuovo capo o re porta con sé l’individuazione di un territorio e, eventualmente, la fissazione dei
confini del territorio stesso.

In queste grandi formazioni economico-sociali le società assumono una struttura stratificata.

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A differenza di quanto avveniva nelle società di lignaggio, nelle società stratificate
l’assegnazione degli individui a uno dei livelli o strati è determinata da altri fattori.
Aspetto + importante di tutti = funzione che i singoli individui svolgono all’interno della società.
Il potere tende ad accentrarsi sempre di più nelle mani di un sovrano → concezione patrimoniale
dello stato (lo stato è patrimonio del sovrano → il suo potere è assoluto). Nel corso della storia
sono poi state elaborate forme di delega del potere del sovrano. Queste forme sono
essenzialmente due:

• Struttura feudale → il sovrano investe in alcuni sudditi a cui delega il potere


• Struttura burocratica → presenza di funzionari che si occupano dell’organizzazione
tecnica della gestione del potere

Una forma di strutturazione della società che irrigidisce la stratificazione sociale fino a renderla
immodificabile è il sistema a caste.
Una casta è una sezione chiusa di una società, alla quale si appartiene per nascita e dalla quale
non si può uscire. Le caste sono rigorosamente endogamiche e solo in casi eccezionali si accetta
il matrimonio di una persona (un uomo) che appartiene a una casta più elevata con una persona
(una donna) che appartiene a una casta inferiore.
La più famosa e la più grande società castuale è l’India. La costituzione democratica dell’india ha
abolito il sistema delle caste nel 1950 (formalmente), ma nei fatti la divisione in caste non è
scomparsa. Nel sistema indiano la gerarchia è giustificata dalla presunta maggior purezza fisica
e spirituale, e dunque dalla maggior vicinanza alla divinità degli appartenenti alle caste alte.
Stati patrimoniali e stati di diritto
Dallo stato patrimoniale (lo stato è di un capo, che dispone degli altri) → allo stato di diritto (lo
stato è vincolato e conforme a leggi vigenti, che esercita e deve anche rispettare).
Nelle società moderne nate dalle rivoluzioni politiche della fine del XVIII secolo e della
rivoluzione industriale, le società patrimoniali si trasformano in società in cui vige lo stato di
diritto → uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza distinzioni.

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Non per questo, però, la società è meno eterogenea.
Le appartenenze di ciascuno a particolari strutture della società vengono individuate soprattutto
con riferimento all’ambito economico:

• Rapporti di produzione → appartenenza di classe


• Livello del reddito → appartenenza di ceto
• Livello di istruzione → altro indicatore di appartenenza di ceto
• Modello dei consumi → indicatore economico e sociale
• Relazioni dettate dalla libera associazione delle persone → legami, rapporti (es. partiti)
Le strutture ibride delle società contemporanee
Le antiche strutture di relazione e le antiche strutture di valori ad esse collegate, a cominciare
da quelle parentali, non sono scomparse. Le strutture di parentela, in particolare, svolgono
ancora alcune funzioni rilevanti. Tra queste:

• Funzione vicaria → “di supplenza”, fare le veci delle istituzioni quando queste non
svolgono il loro dovere + “essere qualcuno su cui contare”.
• Funzione di mediazione tra bisogni e risorse → il bisogno viene preso in considerazione
all’interno della privata relazione di parentela, ma viene soddisfatto con risorse che
appartengono alla sfera pubblica (es. raccomandazioni, trattamenti preferenziali).
Di questa funzione di mediazione spesso ci vergogniamo, perché sappiamo che provoca delle
ingiustizie, e tuttavia siamo pronti a liquidare certe azioni condannandole in maniera blanda con
un “c’è sempre chi non fa il proprio dovere”, o simili.
Dobbiamo riconoscere che le società in cui viviamo sono basate su strutture di relazioni sociali
ibride, che mescolano e fondono sfere di relazioni, conoscenze e valori contraddittori e
addirittura in conflitto, e riescono in qualche modo a tenerli insieme.
Ubbidienza, consenso, egemonia
Il pensiero razionale necessita di coerenza → MA negli esseri umani tutti, i comportamenti
irrazionali sono frequenti.
In nessuna cultura, nemmeno in quelle occidentali, il principio di non contraddizione è applicato
costantemente e senza eccezioni. Esempi:

• L’energia degli idrocarburi è dannosa per l’ambiente → “So che inquina ma lo faccio
ugualmente”
• I sistemi sociopolitici! → Perché ci sono persone che comandano e persone che
ubbidiscono? → In generale, si ubbidisce perché si riconosce la validità. Ma se questo
impone di vivere un’esistenza mercificata? (es. gli schiavi).
EGEMONIA = costruzione simbolica → il rapporto tra subalterni che acconsentono e capi che
comandano è complesso. I subalterni partecipano alla potenza del capo, legittimano il suo
potere.

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Parte 4.4 – Gli insediamenti umani
Abbiamo visto che, secondo Malinowski, quello di “abitare” è un bisogno primario di riparo,
legato anche alla questione della termoregolazione.
Abitare è un comportamento sociale, prima ancora di essere un comportamento familiare o
individuale. Per analizzare la sfera dell’abitare, dobbiamo fare riferimento a tre indicazioni
operative:

• Gli insediamenti sono le unità di analisi, non tanto i singoli alloggi


• Negli insediamenti, gli spazi esterni collegano ogni elemento costruito e sono
fondamentali
• Le caratteristiche tecniche, strutturali, morfologiche e di uso dei singoli elementi
costruiti sono socialmente e culturalmente definite, anche se evidentemente sono in
rapporto con le condizioni dell’ambiente
Bivacchi e accampamenti

• Bivacco = tipo di insediamento più arcaico e più semplice, area di sosta (sosta lunga o
breve). Interessante notare come ci fosse una divisione sociale dei ruoli legata ai motivi
di sicurezza, e come la scelta di “chi sta accanto a chi” non fosse casuale ma studiata.
• Accampamento = tende smontabili e rimontabili, in cui si trova una differenziazione degli
spazi in funzione delle destinazioni d’uso → DIMENSIONE DEL NOMADISMO.
Il nomadismo comporta una visione dello spazio profondamente diversa da quella dei sedentari;
più che una superficie su cui stare, per i nomadi lo spazio è una dimensione da percorrere.
Proprietà, sicurezza, estraneità e intimità, lavoro e ozio, amicizia e ostilità e tutti i vari ambiti della
vita sociale assumono per i gruppi umani nomadi un significato e un valore molto diversi.
I villaggi
Insediamenti temporanei → villaggi. È importante parlare di villaggi al plurale perché questi
possono essere anche molto, molto diversi tra loro.
Che distinzioni possiamo individuare? Quali diversità esistono?

• I MATERIALI → i materiali da costruzione erano quelli forniti dall’ambiente circostante.


• VILLAGGI AUTONOMI e VILLAGGI INSERITI in più grandi formazioni storico-sociali:
1. Villaggi autonomi → villaggi di orticoltori e agricoltori e pescatori che controllavano
autonomamente il proprio territorio. Struttura modellata sui rapporti di lignaggio e
parentela.
2. Villaggi inseriti (…) → villaggio che nasce con il crearsi dei grandi imperi e regni. Abitanti
sono contadini e alcuni artigiani, vincolati da regole e obblighi dettati dal potere centrale.
Naturalmente si conoscono anche formazioni che sono ibride!
N.B. villaggi è il nome che oggi viene dato anche a un tipo di insediamenti per il tempo libero e il
turismo.

50
Le città
Le città esistono da oltre cinquemila anni, che, misurati sui tempi della storia della specie umana,
costituiscono un lasso di tempo piuttosto breve.
Secondo molti autori, ciò che fa di un insediamento umano una città sono tre caratteristiche:
ampiezza demografica, concentrazione ed eterogeneità.
Antropologia → antropologia urbana → branca dell’antropologia che studia le diversità urbane,
che hanno fondamento nelle varietà delle classi sociali in cui si articola la popolazione urbana,
nelle differenziazioni di reddito, di mestiere, di istruzione, di stili di vita legati alle varie classi
sociali.
Le diversità urbane generano anche culture urbane diverse. È urbana quella produzione
culturale che non potrebbe prodursi se non in città! Quali gli spazi in cui si viene a formare questa
cultura urbana?

• Spazi collettivi, luoghi pubblici → fabbrica della rivoluzione industriale (cultura urbana
industriale) ha generato in età contemporanea una coscienza sociale operaia e una
coscienza sociale borghese → socialmente contrapposte, ma stessa concezione del
lavoro come di qualcosa di vendibile sul mercato e come valore.
• Luoghi privati → la casa privata, luogo della vita privata, è garanzia di libertà e autonomia.
La dimensione privata sollecita l’interesse per il governo della sfera pubblica, che deve
essere gestita abbracciando le necessità secondo i criteri di pubblica utilità.

È una critica ricorrente che in città parentele e vicinati sarebbero distrutti dalla frammentazione
della vita sociale. Ma non si tiene conto del fatto che in città vicinanza e intimità non coincidono:
i nostri rapporti sociali oggi includono, grazie alle nuove tecnologie, rapporti a distanza, e con
molte più persone! Amici, colleghi … vicini o lontani.
Pur all’interno di vincoli dati, la vita urbana consente a tutti un certo margine di scelta della
propria identità e delle proprie relazioni.
Questo, però, con una serie di regole che danno una specifica dimensione etica ai rapporti umani
cosiddetti superficiali. Queste regole impongono di adattare il proprio comportamento a
limitazioni e regole tali che lo rendano compatibile con i comportamenti e i bisogni degli altri
(es. lasciare il posto agli anziani sull’autobus).

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È importante poi ricordare che questo profilo schematico delle città che abbiamo appena finito
di tracciare riguarda le città europee. Che cosa troviamo altrove?

• Città del Nord-America (+australiane e neozelandesi) → nate con l’età moderna, ne


portano i segni nell’architettura e nell’impianto urbanistico (no centro storico, ma City
Downtown).
• Città del Medio e dell’Estremo Oriente → città antiche, che hanno una storia, ma anche
una storia della modernizzazione influenzata dalla presenza europea e statunitense.
• Città africane e latinoamericane → influenzate dalla presenza massiccia del regime
coloniale e dalle forti contraddizioni del post-colonialismo.
Metropoli, megalopoli e globalizzazione
Opinione diffusa → “le città occidentali a cui siamo abituati scompariranno” → verranno, o sono
già, soppiantate da metropoli o megalopoli, nasceranno delle conurbazioni esito del saldamento
di più centri urbani insieme!
Crisi urbana → legata a inquinamento, edilizia … → molti aspetti contribuiscono a oggi ad
abbassare drasticamente gli indici di vivibilità. La crisi urbana è sicuramente uno dei fatti alla
base della teorizzazione che è stata fatta della società contemporanea come società a rischio.

Conosciamo alcuni fatti nuovi:

• Decentramento della produzione industriale → significativa diminuzione relativa e


assoluta degli addetti all’industria, chiusura di grandi fabbriche
• Consumismo → il consumo non è solo un valore ma anche un terreno e un mezzo di
integrazione sociale e costruzione identitaria
• Regime dei luoghi urbani → trasformazioni: dalla piazza al mall come luogo di ritrovo →
ci spostiamo progressivamente verso un terreno di luoghi che non frequentano tutti
• Mobilità e sue contraddizioni → sia infraurbana sia interurbana, ma anche internazionale
e intercontinentale (diverse dimensioni) → ci spostiamo molto velocemente grazie ai
mezzi → perdita della rilevanza della localizzazione su un territorio dato
(deterritorializzazione)
La deterritorializzazione si collega alla crescita esponenziale delle possibilità di comunicazione in
tempo reale, anzi, i due fenomeni vanno di pari passo.

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Capitolo 5 – Le specializzazioni dell’antropologia
Approccio olistico ≠ specializzazioni. Perché l’uno, perché l’altro?
Che tipi di approccio olistico conosciamo? (*li vedremo meglio più avanti, ma per intanto …)

• Forma giustificata dallo studio di società ritenute semplici → proprio in virtù di questa
semplicità si credeva che un unico studioso potesse occuparsi di tutti i vari aspetti.
• Forma che riconosce le complessità di ogni società → MA ritiene che compito
dell’antropologo sia quello di lavorare con altri specialisti, mettendo in luce le
interdipendenze tra i vari aspetti della società in questione.
L’antropologia ha poi conosciuto forme di specializzazione geografica o per aree già in un’epoca
piuttosto precoce della sua istituzionalizzazione accademica.
Potrà anche, a oggi, sembrare una suddivisione semplicistica, ma in realtà queste articolazioni
hanno avuto un ruolo fondamentale perché hanno messo in crisi la definizione di primitivi che
in ambito evoluzionista era stata riservata genericamente alle popolazioni indigene.

Ulteriore fattore di specializzazione → l’interesse nei confronti di un certo sistema all’interno di


una specifica società. Interesse nei confronti delle strutture e dei fatti sociali che lo
riguardavano. Questo interesse è dettato sicuramente da orientamenti teorico-metodologici,
concezione del mondo e della vita, ma anche dalle condizioni costrittive incontrate sul campo
(es. L’adolescenza a Samoa di Margaret Mead). A volte però l’antropologo non è così libero nella
scelta: magari dipende da chi lo finanzia!

Società

Sistema

Strutture

Fatti
sociali

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Per via di tutte queste dinamiche nel tempo si sono venute a creare alcune aree specialistiche,
tra queste:

• Antropologia culturale → studio delle concezioni del mondo e della vita, dei sistemi di
significati, valori e codici a essi collegati di ciascun gruppo umano.
• Antropologia sociale → studio dei sistemi e delle strutture di relazioni sociali delle singole
società.
• Antropologia della parentela, della religione e della magia, economica, politica, giuridica.
Forte spinta alla settorializzazione in particolare dal 1950 in poi: esigenza creata da un mondo in
crescita, per cui si temeva che l’antropologia e l’etnologia avessero perduto il loro oggetto di
ricerca.
E in effetti questo era vero, tutte le scienze demo-etno-antropologiche hanno vissuto un
sostanziale rinnovamento del loro oggetto. Che cosa è successo?

• Cambiamenti → hanno prodotto nuove diversità


• Cambiamenti/mutamenti → processi di rifunzionalizzazione e risemantizzazione di ciò che
è nuovo per integrarlo in vecchi sistemi, e al contempo conversione di ciò che è vecchio
• Opposizioni → alcuni tipi di opposizioni che riguardano il passato non sono più indagabili
oggi, ma un’opposizione rimane chiarissima, quella tra coloro che hanno molto potere e
coloro che ne hanno poco → le classi sociali “esistono” ancora, ci sono ancora disparità
Le diversità culturali legate alla condizione egemone e alla condizione subalterna costituiscono
un campo di ricerca particolarmente appropriato e fecondo per la ricerca antropologico-
culturale.
Parte 5.1 – L’antropologia di genere e i gender studies
“Mascolinità” e “femminilità” → concetti che sono dinamici e devono essere contestualizzati e
storicizzati. Come fare? Innanzitutto, definiamo le differenze tra genere e sesso, che sono due
cose diverse:

• Sesso = biologico, quello con cui si nasce.


• Genere = modo in cui storicamente e socialmente, in un determinato contesto, si
attribuiscono significati alle diversità fisiche e biologiche preesistenti tra uomini e donne
e rilevanza ai fini della loro differenziazione sociale → il genere è un costrutto sociale!
A determinare le differenze di status non è dunque un dato biologico, ma una costruzione
sociale.
In tutte le società è presente una forma di divisione sessuale del lavoro → donna = sfera
domestica, uomo = sfera pubblica → dinamica di esclusione delle donne.

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Teorie antropologiche sul genere
Movimenti femministi anni ’70 → riflessione teorica sul genere da parte di chi studia le scienze
sociali!
Margaret Mead è la prima studiosa che si occupa di porre al
centro della sua ricerca la differenza tra i sessi.
Pone un accento sul fatto che caratteristiche maschili e
femminili riflettono i condizionamenti culturali della società
→ mascolinità e femminilità sono costruzioni sociali!
Negli Anni Settanta si sviluppa il settore dei women’s
studies → sottolinea come in ogni ambito del sapere non
siano state considerate né la presenza né l’apporto delle
donne e propone di ovviare alla situazione con studi specifici.
1975 → Gayle Rubin scrive The Traffic in Women → nozione di sex gender system: come le società
trasformano i dati biologici in prodotti dell’attività umana. Basato sull’asimmetria e sulla
gerarchia tra i sessi.
Anni Settanta-Ottanta → ci si rende conto che le ricerche antropologiche hanno recepito
passivamente lo stereotipo che associa le donne alla natura. In questa chiave si sono lette
moltissime dinamiche!
Inoltre, si propone un’uscita dalla concezione occidentale del maschile e del femminile (in
culture diverse, anche i generi sono “letti” in maniera diversa, spesso si pongono in un
continuum piuttosto che come un’opposizione secca) → Butler propone di leggere il genere
come un set di azioni che la gente fa piuttosto che una qualità che possiede.
Che cosa ha fatto, di importante, l’antropologia femminista nel tempo?

• Ha ribaltato le concezioni di cui sopra, abbiamo già descritto come


• Si è proposta di dare voce o facilitare l’auto-espressione delle donne di altre culture
• Ha studiato i modi in cui le configurazioni del corpo si plasmano all’interno di ciascuna
cultura
• Ha ripensato i temi classici della ricerca antropologica (*di cui abbiamo lungamente
parlato nei riassunti dei capitoli precedenti)
• Ha introdotto temi nuovi, come l’impatto delle tecnologie riproduttive sulle donne
Gli studi italiani sul genere
Per lungo tempo c’è stato un occultamento della presenza femminile anche negli studi italiani.
Solo negli anni Ottanta e Novanta è stata rivolta attenzione alla soggettività femminile e
all’indagine tra norma asserita e norma praticata (esempio: la ricerca di Clara Gallini, che
interroga una contadina sarda proprio in questi anni).
Secondo Amalia Signorelli → pragmatismo del comportamento femminile → legato al lavoro di
riproduzione e sostituzione che è stato attribuito alle donne per lunghissimo tempo.

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Sono stati poi oggetto di studio la costruzione e le trasformazioni dell’immagine femminile e la
formazione e l’approccio educativo.
La rivendicazione del femminismo ha prodotto politiche pubbliche per le Pari Opportunità. Oggi
in Italia queste sono legate principalmente a due Azioni positive:
1. Legge 125 del 1991 → azioni positive per eliminare disparità di trattamento
2. Gender Mainstreaming → valorizzare e riconoscere l’uguaglianza di genere nei diversi
ambiti della società
Parte 5.2 – Antropologia del potere
Il potere è una relazione sociale asimmetrica, e va studiato in relazione con il consenso, sia esso
esplicito o mascherato. Chi è dominato può opporsi o essere vittima, anche in maniera
inconsapevole. Come?
Pierre Bordieu → nozione di “violenza simbolica”: quando la violenza si esercita con il consenso
di chi la subisce!
La cultura mantiene da una parte il consenso verso un certo potere, ma in maniera
diametralmente opposta può anche offrire gli strumenti per una ribellione. La cultura può
consentire, in maniera più o meno diretta, di sovvertire un ordine di potere prestabilito.

Consenso Ribellione

POTERE
Il potere ha anche a che vedere con la riproduzione di un ordine sociale → rapporti sociali =
rapporti di potere.
Questo nelle società non occidentali significa che la politica non è una sfera separata ma coincide
con le relazioni, soprattutto dettate dalla parentela, tra gli individui. Molti antropologi si sono
occupati proprio di indagare questo tipo di società dal punto di vista della gestione del potere.
Uno studio in questa chiave dei rapporti di potere in queste società ha reso necessaria una vera
riscrittura dei popoli colonizzati. Negli studi iniziali siamo stati quindi, da occidentali,
probabilmente influenzati dal nostro stesso etnocentrismo, perché la storia del mondo
occidentale è indissolubilmente legata allo studio della politica.

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È interessante notare come nelle società occidentali si verifichi una mescolanza della sfera
privata e di quella pubblica, sebbene il postulato per cui questo non dovrebbe avvenire sia
considerato uno dei più importanti → RISULTATO? Clientelismo politico.
Studio del potere → studio della cultura politica. Quali i problemi, in Occidente?

• La definizione del bene comune


• I limiti della democrazia → “non sono state trovate alternative” → ma l’antropologo sa
che esistono altri sistemi, e li studia proprio in cerca di queste risposte alternative e
un’esigenza che è in realtà comune

II guerra mondiale → FINE → organismi internazionali, che oggi però abbiamo l’esigenza di
ripensare, esigenza che riguarda anche il potere politico in generale.
La politica ci appare in generale insufficiente come arte della mediazione.

Infine, il problema della comunicazione (problema del mondo contemporaneo, ora più forte che
mai grazie alle nuove tecnologie) → concentrazione dei mezzi in mano a pochi → occultamento
di visioni diverse rispetto a quella dominante (es. nelle dittature) per accentrare il potere
politico.
La nostra epoca è un’epoca di poteri senza nome → non è facile individuare chi esattamente
mette in moto questo tipo di meccanismi! (es. chi lavora si trova ad avere molte meno garanzie,
molta meno “protezione” di quanto avveniva in passato).

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Parte 5.3 – L’antropologia medica
Antropologia medica → studio del corpo, della salute e della malattia in rapporto a contesti
sociali, culturali e politici.
Progressivamente è andata specializzandosi nello studio dei modi di costruzione sociale del
corpo → esplora dimensione culturale e istituzionale delle pratiche mediche.
Oggi è una scienza plurale nelle sue prospettive, e fondata sulla pratica della ricerca sul campo
(etnografia, e “diari di malattia”, strumenti narrativi del dialogo con persone sofferenze →
dimensione esperienziale).
Rientra nei programmi d’esame di scienze sociali ed umane degli studenti di medicina, ad
esempio, ed è una disciplina amata perché abbraccia più orizzonti. Il suo scopo è quello di
promuovere una metodologia critico-riflessiva nella prassi medica.
Indaga la dimensione della salute → intesa non solo come assenza di malattia, ma anche come
possibilità di accedere alle risorse che garantiscono la qualità della vita → riconcettualizzazione
della dimensione della salute in rapporto con la giustizia sociale.

Le nuove sfide e gli avanzamenti tecnico-scientifici della biomedicina contemporanea rendono


questa necessità di “umanizzazione” ancora più forte. In particolare, in relazione a quali aspetti?

• Le tecniche riproduttive
• La ridefinizione dei confini tra la vita e la morte (“stato vegetativo”, “morte cerebrale”)
• Mancata assistenza sanitaria di base
• Difficile accesso ai farmaci
• Fenomeni di mercificazione del corpo → traffico di organi
L’antropologia medica indaga la complessità di certi fenomeni e quindi, indirettamente, dei
problemi che interessano il mondo contemporaneo.
Anche le dicotomie che conosciamo (salute/malattia, normale/patologico …) perdono la loro
fissità se osservate con uno guardo che abbraccia una pluralità di egemonie culturali diverse.
In questo senso appare evidente il legame con lo studio dei rapporti di forza che regolano la vita
sociale nelle diverse società e nei gruppi umani.

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Parte 5.4 – L’antropologia urbana
Antropologia urbana → oggetto di analisi = studio delle città nelle loro forme culturali.
Indaga su interrogativi come:

• Esiste un modo specificamente urbano di produrre e riprodurre cultura?


• Che rapporto esiste tra gli spazi urbani, le modalità di aggregazione e le forme di vita
sociale?
La prima scuola di studi antropologici che ha esplorato questi temi è la Scuola di Chicago, che
riferiva i suoi studi alle città dell’esplosione urbana statunitense degli anni Venti e Trenta del
Novecento.
In particolare, Chicago → organizzazione spaziale per fasce residenziali concentriche →
all’interno di ogni fetta di questo spazio concentrico → persone simili, sottoculture diffuse!
Questa chiave di lettura legata allo studio delle varie sottoculture e dei modi di vivere è detta
ecologia culturale, e individua un rapporto tra spazio e cultura. In Europa questo tipo di modello
era però poco funzionale.
Louis Wirth individua tre caratteristiche fondamentali della città, a un livello generale:
1. Elevato numero degli abitanti
2. Densità
3. Eterogeneità

Dello studio dell’urbanizzazione del continente africano tra XIX e XX secolo si è occupata, invece,
la Scuola di Lusaka-Manchester. Qui, come abbiamo visto in varie parti precedentemente,
abbiamo avuto delle trasformazioni profonde legate anche e soprattutto al colonialismo.
In Italia questo tipo di studi ha una storia più recente, che possiamo suddividere in tre diversi
momenti (comunque, all’inizio, si parla di antropologia delle società complesse):
1. Fase propedeutica o di separazione → 1950-1980
2. Fase di definizione e acquisizione progressiva di visibilità → 1980-1995
3. Fase attuale

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Fase 1 (1950-1980), gli studi:

• Studio sul quartiere degradato di Bologna → Tentori e Guidicini, 1972


• Studio sull’analfabetismo in Sicilia → Callari Galli ed Harrison, 1974
• Studio sui “bassi” a Napoli → Mazzacane, 1978
Studi importanti, ma manca ancora una formulazione teorica dei presupposti che muovevano
questo tipo di indagine antropologica.
Fase 2 → negli anni Novanta:

• Antropologia della città, Sobrero, 1992


• Antropologia urbana, Signorelli, 1996
Definizione della Signorelli di antropologia urbana → studio di concezioni del mondo e della vita,
di sistemi cognitivo-valutativi elaborati in e per contesti urbani.
Fase 3, la fase attuale:

• Mappe Urbane. Per un’etnografia della città, Callari Galli, 2007 → oggetto-città è
connesso a tutta una serie di dinamiche (migrazioni, educazione …)
• La ricerca interdisciplinare tra antropologia urbana e urbanistica, Caniglia Rispoli e
Signorelli, 2009 → rapporto importante, perché l’urbanistica è la disciplina deputata a
progettare e pianificare città. Analisi, in quest’opera, delle varie modalità di
“appaesamento” (rapporto soggetti-luoghi)
La questione dello spazio urbano, del suo carattere multifunzionale e polisemico, va assumendo
oggi una rilevanza crescente. Le città cambiano, si modificano e si trasformano in relazione alle
esigenze dei cittadini, ma possono anche essere teatri di scontri e divergenze.
Parte 5.5 – Antropologia delle migrazioni
Antropologia delle migrazioni → studio delle dinamiche, degli scambi e delle relazioni che si
attivano tra diversi gruppi nazionali, sociali ed etnici che entrano in contatto in situazione
migratoria.
La mobilità non è un’invenzione moderna
Il termine migrazione indica lo spostamento di un popolo, di un gruppo o di un individuo da un
luogo a un altro. Può essere immigrazione o emigrazione. Si è soliti prendere anche in esame le
cause delle migrazioni, che le distinguono ulteriormente:

• Cause
• Attraversamento o non attraversamento delle frontiere
• Statuto giuridico del migrante
• Modalità di inserimento del migrante nel mercato di lavoro
Questa maniera di ordinare i movimenti di popolazione è legata alla costituzione degli stati
nazionali moderni e del capitalismo. Non tutte le culture attribuiscono a sedentarietà e mobilità
gli stessi valori, nelle società extra-occidentali lo straniero era spesso percepito come pericoloso.

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Naturalmente il fenomeno non è nuovo, e anche molto tempo addietro ha assunto forme che
potremmo definire globali (es. vie della seta).
Le forme migratorie hanno subito, piuttosto, una ridefinizione in età moderna, con la
progressiva costituzione degli stati nazionali, ma anche con l’urbanizzazione e
l’industrializzazione. Queste migrazioni si sono intrecciate ad altri processi e dinamiche, come la
schiavitù e il colonialismo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si è trasformata in terra di immigrazione
progressivamente.
Dalla Scuola di Chicago ai nuovi approcci teorici
Nonostante l’importanza storica dei movimenti di popolazione, questo fenomeno si è costituito
tardivamente come oggetto di studio legittimo dell’antropologia. Perché?
Perché per molti anni si è guardato alla migrazione come a un processo transitorio, una
condizione destinata a essere riassorbita con il ritorno del migrante al luogo di partenza o con la
sua completa integrazione nel luogo di arrivo.
In realtà, come abbiamo già detto, non possiamo limitarci a questa visione: il migrante non può
essere visto come un essere cui si aprono solo le due possibilità dell’assimilazione o del ritorno.
Le migrazioni continuano a produrre scontri, meticciati e sincretismi che devono essere studiati
per comprendere a fondo i problemi della età moderna e contemporanea.
L’Italia: paese di emigrazione ed immigrazione
L’interesse per la questione migratoria nesce negli anni Settanta. La storia d’Italia è stata
fortemente marcata da migrazioni interne e internazionali.
A partire dagli anni Ottanta poi l’Italia (come la Grecia, il Portogallo, la Spagna) diventa territorio
di immigrazione. La costruzione del modello migratorio mediterraneo rileva l’importanza di
fattori di migrazione che non sono economici in questi paesi, e sollevano quindi questioni
fondamentali per l’antropologia italiana.
Parte 5.6 – Antropologia applicata e antropologia dello sviluppo
Inizialmente, come abbiamo già visto, si procede su una linea per così dire evoluzionistica, per
cui le società sono ordinate secondo una scala in base al grado di “evoluzione”.
Ma gli effetti delle politiche di cooperazione hanno spesso smentito una rappresentazione
progressiva del cambiamento umano.
Si inizia a ritenere utile la conoscenza delle organizzazioni sociali dei nativi volta alla risoluzione
di una serie di problemi pratici → impulso in questa direzione dato da Malinowski, e sviluppato
negli anni Trenta in Gran Bretagna.
Gli antropologi sono stati accusati quindi, dagli anni Settanta in poi, di aver contribuito a
legittimare asimmetrie di potere internazionali. Tuttavia, è importante ricordare che gli

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antropologi sono stati pesantemente influenzati dalla pervasività di una visione economicistica
caratteristica degli anni Settanta.
Ma, sempre negli anni Settanta:

• Scuola di Manchester propone un’analisi del mutamento gradualmente più sofisticata


• Si inizia a notare come il colonialismo abbia avuto effetti molto negativi sulle condizioni
di vita dei nativi → anche l’idea di sviluppo entra in crisi. Che cosa è il sottosviluppo, se
non il risultato di disparità?
• Si torna a coinvolgere gli antropologi → nella speranza che il loro lavoro possa fornire gli
elementi per favorire il cambiamento promosso dai programmi internazionali
• Negli Stati Uniti, in questo periodo → Sol Tax e la strategia di ricerca-azione, che vedeva
coinvolti i vari attori che animavano i programmi di intervento → recupero, graduale, di
forme di analisi antropologica dei processi sociali (anni Settanta-Ottanta)
Successivamente poi, dai primi anni Novanta:

• Contributi antropologici → definiscono azioni di aiuto internazionale come processo


storico, politico, culturale → durante il quale si creano specifici immaginari e
rappresentazioni del terzo mondo
In questo senso sono particolarmente interessanti gli studi di Escobar, che critica l’incontro dello
sviluppo mettendo in luce le somiglianze tra le pratiche di cambiamento del periodo coloniale e
le contemporanee pratiche di cooperazione.
Ferguson mette in evidenza come in Lesotho il potere burocratico statale si espanda (obiettivo
→ svelare i retroscena, il funzionamento del potere e le conseguenze del suo esercizio),
concorrendo alla de-politicizzazione di questioni che sono politiche, come:

• Distribuzione di risorse
• Gestione della terra
• Occupazione
Progressivamente lo sviluppo viene inquadrato come processo endogeno. Si assiste, nel tempo,
alla nascita di nuovi orientamenti di cooperazione decentrata e di co-sviluppo. Si arriva ad
abbracciare l’idea che esistano relazioni di scambio e forme di reciprocità tra paesi del Nord e del
Sud del mondo, si esce dal modello dicotomico dominazione-subordinazione.
Parte 5.7 – L’antropologia visuale
Antropologia visuale → affiancamento alle tecniche di rilevazione di strumenti di
documentazione audiovisiva.
Brevissima ricostruzione tecnica (gli strumenti della cinematografia):

• 1839 scoperta della fotografia;


• Anni ’80 dell’Ottocento → nasce la cinematografia (macchine a manovella, registrazioni
inizialmente prive di audio;
• Anni ’50 del Novecento → la televisione.

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Dunque, seconda metà dell’Ottocento → scoperta della fotografia va di pari passo con i tentativi
da parte degli antropologi di conoscere i popoli della terra.
Le foto avrebbero giocato un ruolo fondamentale, avrebbero dato un aiuto sostanziale “nel
dimostrare la minor evoluzione di certi gruppi umani” (concezione, ovviamente, sbagliata). Si fa,
comunque, nel bene e nel male, una schedatura fotografica di razze e popoli della terra.

Dagli anni Ottanta dell’Ottocento → macchine più “agili” e tempi di otturazione dell’apparecchio
sempre inferiori. Si iniziano a studiare le attività umane cinetiche, si stilano lunghi elenchi di
osservazioni da effettuare durante i viaggi.
Tutto questo nella profonda convinzione che il mezzo audiovisivo garantisse una maggiore
obiettività. Sul fatto che potessero esserci fattori di non obiettività non aveva ancora riflettuto
nessuno. Quali fattori?

• Il mirino inquadra soltanto una porzione di realtà


• La percezione è sempre culturalmente connotata
• Il cineoperatore, ossia il tecnico addetto alle riprese, ha anche lui un punto di vista → ed
è proprio questo punto di vista quello che emerge → produzione sempre e comunque
autoriale, che dovrebbe essere riletta in chiave antropologica
Troppo spesso la foto considerata in posizione ancillare, le si attribuisce un ruolo esclusivamente
esplicativo dei contenuti di un testo. Ma la foto ha in sé due funzioni:

• Denotativa → descrittiva di situazioni


• Connotativa → si carica di significati sottesi, complessi e articolati
Dunque, la foto non è solo strumento di documentazione, ma piuttosto un vero e proprio
strumento di analisi.
In virtù di questo, i prodotti multimediali che fanno parte di uno studio antropologico devono
arricchirlo, e devono essere progettati secondo precise direttive.

63
Parte 5.8 – Antropologia culturale, beni culturali e processi di patrimonializzazione
I processi di patrimonializzazione sono stati osservati e studiati da tre diversi punti di vista:

Attitudine critica
Attitudine interna

Attitudine partecipativa
• Analisi etnografica •Si muove tra
dei processi di abitudini interne e
• Studio di oggetti patrimonializzazio propensioni
materiali e ne all'interno di critiche.
immateriali una più generale •Scelta integrata:
facenti parte di antropologia operare sul campo
quello che viene (politica) della e oggettivare i
definito contemporaneità. contenuti
patrimonio • Presupposti dell'osservazione.
demonologico, concettuali, che
etnologico, soggiacciono alla
antropologico. patrimonializzazio
ne.

Naturalmente questa è, come tutte le distinzioni di questo tipo, parziale. La scelta del metodo
dipende in larga misura dalla coscienza critica di chi è coinvolto nella ricerca.
Capitolo 6 – La ricerca antropologica
Nell’immaginario dei non specialisti la ricerca antropologica si identifica con la ricerca sul campo.
È questa ricerca sul campo che ha contribuito a caratterizzare la disciplina con quell’aria tra
l’avventuroso e il romantico.
La ricognizione delle diversità e delle somiglianze della specie umana può essere una
straordinaria avventura intellettuale, in terre vicine o lontane.
La produzione antropologica è sempre legata, innanzitutto, alle disposizioni mentali e morali di
chi, volendo fare ricerca antropologica, cerca l’incontro con l’altro da sé.
Ora ci occupiamo proprio di queste disposizioni mentali e morali più da vicino.

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Parte 6.1 – Le condizioni della produzione del sapere antropologico: disposizioni mentali e premesse
epistemologiche
Innanzitutto, per fare ricerca antropologica occorrono due requisiti fondamentali:

• Curiosità intellettuale → bisogno intellettuale di sapere di più, di capire meglio, di


conoscere più a fondo.
• Capacità di sospensione del giudizio → evitare che la nostra visione del mondo, il nostro
etnocentrismo, ci impediscano di abbracciare altre visioni → per ogni comportamento
osservato si possono dare almeno due definizioni (giudizi di fatto) e due valutazioni
(giudizi di valore) → ANTROPOLOGO/NATIVO (“punto di vista del nativo” di Malinowski).
Le premesse epistemologiche della ricerca antropologica culturale e sociale: metodo empirico e
approccio olistico
In generale, la ricerca antropologica culturale e sociale parte da ipotesi di ordine teorico e ne
cerca conferme, smentite e sviluppi sul piano empirico, sul piano dell’osservazione e
interpretazione sistematica dei comportamenti umani. La conoscenza antropologica procede
per progressive astrazioni formulate a partire da progressive comparazioni di materiali empirici
sulle diversità umane.

Comparazioni
Progressive Ricostruzione
di materiali
astrazioni dei fenomeni
empirici

Esistono, poi, vari modi di orientare la ricerca dal punto di vista metodologico:

• Orientamenti che si sviluppano sul piano dell’argomentazione teorica → ipotesi


• Ricerca empirica → verifica, incontro diretto
E, in generali, due principi di metodo:

• Approccio olistico → radici nel XIX-XX secolo e nel lavoro degli antropologi che si
occupavano dello studio di ogni aspetto della vita delle popolazioni che andavano a
studiare.
• Approccio che opera secondo una separazione disciplinare → risponde alle esigenze
della settorializzazione progressiva delle varie scienze → perdita della consapevolezza

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che riguarda i condizionamenti e le influenze che i vari aspetti della vita sociale esercitano
e hanno esercitato gli uni sugli altri.
La tradizione etnologica e antropologica dell’approccio olistico può renderci consapevoli dei
rischi dell’iperspecializzazione disciplinare e delle spiegazioni riduzionistiche. Ci spinge anche a
focalizzarci su due aspetti in particolare:

• Le interdipendenze e i condizionamenti interni alla situazione studiata


• I fattori di scala sovralocale
Le premesse epistemologiche della ricerca antropologica culturale e sociale: osservare,
ascoltare, domandare per comprendere il punto di vista dei nativi
La cultura ha una “realtà duplice”:

• È una realtà mentale


• È una realtà esterna, sociale
Questa sua duplice localizzazione pone al ricercatore un problema non trascurabile. Quale
equilibrio? Cogliere entrambi gli aspetti non è facile.

• Realtà esterna → osservabile


• Realtà mentale → si può indagare tramite l’incontro con i nativi → nonostante questo,
però, l’osservatore può non cogliere oppure fraintendere il significato di certe azioni
L’antropologia evoluzionista ha teso perlopiù a considerare valida anche la sola osservazione
della realtà esterna, mentre la scuola statunitense ha sempre privilegiato il punto di vista dei
nativi.
Lo studio del significato e del valore che il loro agire ha per i soggetti che agiscono è
estremamente importante. Dobbiamo osservare. Perché?

• Osservare → consente di non incorrere in gravi fraintendimenti. Rischiamo di


interpretare in maniera errata certe scelte culturali, essendo noi stessi influenzati
dall’etnocentrismo che è esito della nostra inculturazione.
• Osservare (e cercare occasioni di scambio e di confronto) → ci consente di capire quali
sistemi valoriali orientano le scelte, quali comportamenti vengono considerati come
violazioni delle norme del gruppo di appartenenza.
• Osservare → ci permette di ridimensionare le esagerazioni e correggere le attribuzioni.
Il soggiorno sul campo
Il lavoro sul campo deve essere:

• Di durata non breve, perché, per mettere in atto i vari processi di analisi *di cui abbiamo
già parlato sopra, occorre tempo → anche solo per l’assimilazione della sua presenza
(anche il suo comportamento è osservato attentamente) e lo smaltimento dell’effetto
dell’impatto iniziale.
• Continuativo → serendipità: scoperta fatta casualmente, in cui si può incorrere nel tempo
dell’indagine.

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• Validato da un uso di una buona conoscenza della lingua locale → dove buona significa
necessariamente approfondita, è opportuno quindi conoscere anche le espressioni
tipiche, chiavi d’accesso al “modo di pensare” di una certa lingua.
Spesso c’è bisogno di un interprete che sia bilingue e un po’ antropologo anche lui.
Ricerca e coinvolgimento: il coinvolgimento affettivo e l’osservazione partecipante
Due idee importanti:
1. Powdermaker, “antropologa come straniera e amica”
2. Malinowski, “osservazione partecipante”
Vediamole più nel dettaglio:
1. Powdermaker, “antropologa come straniera e amica”
Idea che il lavoro antropologico sul campo comporti un’identificazione profonda con i nativi.
L’antropologa/o è straniero, è un personaggio esterno a certe dinamiche, eppure si pone in
relazione con le dinamiche che osserva come un’amica/o, che ascolta, osserva, si confronta.
Ma perché è una visione delle cose problematica? Essenzialmente per due ragioni:

• Premessa implicita → essere come loro → non è accettabile, è una pretesa che porta ad
azzerare il valore delle storie individuali e collettive dei nativi → pretesa di inserirsi nelle
dinamiche di una storia che è ben radicata, di valori diversi ma solidi, nel breve tempo di
una spedizione
• Problemi → vengono semplicemente elusi, non si affrontano
Perché dei problemi, e questo è innegabile, insorgono: l’incontro con gli altri può sollecitare sì
un’adesione emotiva, ma talvolta provocare invece distacco (sentimenti di odio, insofferenza →
RIFIUTO).

In questo senso sicuramente una delle cose più utili da fare è tenere un diario (≠ “taccuino
dell’antropologo”) → il diario è una sorta di “valvola di sfogo”.
Quello di Malinowski è stato illuminante, perché indicava il grado di compressione psicologica
dello studioso al lavoro, le sue frustrazioni di uomo e di ricercatore. Scrivere un diario è un
efficacissimo strumento di autoformazione metodologica ed epistemologica.

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2. Malinowski, “osservazione partecipante”
Veniamo quindi al nostro secondo punto.
Il lavoro antropologico sul campo deve poter giocare tra due punti di vista, esterno e interno, e
trovare modi per farli interagire.
Tuttavia, più che parlare di partecipazione attiva bisognerebbe parlare di presenza.
E questo perché, di nuovo, il tempo dello studio potrà anche essere lungo ma una spedizione
rimane una spedizione, che ha un inizio e una fine.
In questo tempo si è presenti, ma si assumono ruoli temporanei: l’antropologo nella maggior
parte dei casi resta estraneo alle reti di relazioni locali.
Ad ogni modo, questo non significa che l’inserimento dell’antropologo non abbia valore, ma solo
che le sue libertà rimangono sempre e comunque circoscritte.
Ciò che è sicuro è che l’antropologo è privilegiato (cerca, cioè, di conquistarsi) di una prospettiva
quanto più possibile interna, dal momento in cui viene accolto, accettato, e questo facilita
osservazione e studio.
Il paradosso dell’incontro etnografico e dell’etnocentrismo critico
Veniamo ora al paradosso dell’incontro etnografico di De Martino (La fine del mondo, 1977).

L'antropologo
incontra

Perde i propri
strumenti, "la L'antropologo
propria studia
formazione"

L'antropologo cerca
Si rende conto di
di dare nomi e
questo, allora cerca
individuare
di evitare
categorie

L'antropologo
sceglie categorie
della sua (nostra)
cultura

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Come uscire da questo circolo virtuoso? Si può!

• Considerare certi comportamenti e modi come documenti della storia altra, aliena, del
gruppo di cui ci si sta occupando
• Contemporaneamente, interrogarsi, per allargare e riplasmare il significato delle nostre
categorie mediante il confronto con altri mondi storico-culturali
Per una nuova epistemologia antropologica
Sicuramente è anche opportuno in questo senso effettuare un’autoriflessione (Bordieu), e cioè
costruire un’autoconsapevolezza. L’antropologo deve rendersi oggetto a sé stesso, esaminarsi
con lo stesso distacco con cui analizza gli altri.
Geertz ha poi sottolineato come l’antropologo sia interprete di una cultura, quella dei nativi, che
è già di per sé interpretazione della realtà. Questo collegamento avrà luogo quando
l’antropologo sarà in grado di stabilire delle connessioni tra i concetti della cultura nativi e quelli
della propria cultura.

Nadel ha insistito nel sottolineare, in merito alla questione della conoscenza linguistica, quanto
non sia possibile tradurre “parola per parola” e quindi quanto più si debba ricercare il massimo
grado di corrispondenza anche dal punto di vista linguistico.
Il problema della traducibilità è ovviamente legato a considerazioni che riguardano i modi del
pensare umano e la razionalità umana, se questi siano universali oppure relativi.

Kilani → tramonto dell’universalismo particolaristico della cultura occidentale → l’antropologo


di formazione occidentale deve compiere un decentramento rispetto alle proprie categorie e
valori, riconoscendone il limite storico e la validità circoscritta.

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1984 → Seminario di Santa Fè → lavoro di revisione di epistemologia antropologica →
discussione a proposito della monografia come strumento di diffusione di informazioni.
Perché?

• Perché la monografia è un testo scritto in una lingua che non è quella dei portatori della
cultura di cui si parla
• Perché il suo testo è organizzato secondo le norme e le tradizioni espositive dell’autore
e dei suoi probabili lettori
Il seminario di Santa Fè ha contribuito rendendo visibile il potere autoriale che gli antropologi
occidentali hanno esercitato nella costruzione delle realtà extraoccidentali, non solo a uso
dell’Occidente ma dei nativi stessi.

Contemporaneamente, si dissolve la condizione di isolamento relativo dell’Oriente rispetto


all’Occidente → carattere meticcio, ibrido delle culture.
D’altra parte, c’è il problema dell’omologazione culturale di scala planetaria, dovuta anche alla
mobilità territoriale delle popolazioni e ai contatti, agli scambi.
Oggi abbiamo anche una nuova figura, quella dell’antropologo nativo, che può aver avuto una
formazione da antropologo nel suo paese oppure fuori, in università straniere.

I cultural studies o postcolonial studies si sono interessati delle culture diasporiche.


L’appartenenza plurima dei soggetti diasporici non è solo ideale, ma si concretizza in contatti
personali, attività plurilocalizzate, visite e soggiorni. Bhabha ha definito interstiziali e tradotte le
identità che si producono nei contesti diasporici.
Appadaurai → le culture contemporanee sono caratterizzate da un alto tasso di contenuto
immaginario → questa realtà immaginata diviene virtuale quando produce effetti sul
comportamento degli esseri umani.

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Marcus ha definito etnografia multisituata lo studio di queste culture ibride e diasporiche. In
particolare, nei contesti contemporanei non sono i prodotti culturali ad essere oggetto di studi,
ma i processi di produzione culturale. E dobbiamo aspettarci processi di ogni genere
(mescolanze, funzioni, sincretismi …).
Esistono, comunque, dinamiche di:

• Rifunzionalizzazione e risemantizzazione di elementi già presenti → es. i jeans


• Conversione → es. strutture di parentela che, con la migrazione all’estero, si convertono
in relazioni di amicizia, ecc.
Parte 6.2 – Fare ricerca antropologico-culturale
Adesso ripercorriamo passo per passo le tappe della ricerca antropologica “classica”, le sue varie
fasi. È importante tener presente che questo modello di ricerca è ideale.
Nella pratica infatti il lavoro dell’antropologo si muove tra continui feed-back e continui
imprevisti, perciò una delle qualità di primaria importanza per un antropologo è senz’altro la
duttilità, lo spirito di adattamento alle continue nuove condizioni a cui la ricerca impone di
adattarsi.
Lo schema di ricerca tradizionale ha il merito di rammentare sempre al ricercatore quali sono le
tappe che strutturano logicamente il percorso di ricerca.
L’individuazione dell’oggetto e la sua localizzazione
“Prima fase”
La prima decisione da prendere è individuare il tema, meglio ancora il problema che si intende
studiare.
Insieme al tema si sceglie anche l’area in cui questo determinato tema verrà studiato, perché
*abbiamo visto precedentemente che il luogo, l’ambiente, il territorio, giocano un ruolo
fondamentale e influenzano in maniera determinante fatti e problemi.
Si sceglie un tema perché pone interrogativi e problemi, perché si vuole indagare più a fondo e
capire meglio, non certo in funzione di sentimenti e risentimenti personali. La scelta del tema
può essere anche dettata da un committente finanziatore della ricerca, perché fare ricerca
necessita ovviamente di denaro.
“Seconda fase”
Verificare la congruenza tra:

• il tema e il luogo
• la presenza e la consistenza del fenomeno che si vuole studiare nell’area che si è scelta
• gli eventuali vincoli temporali e di calendario
Questo lavoro di verifica è corroborato anche da una ricerca preliminare che vuole lo studio della
storia del fenomeno e del contesto che si vuole studiare. Spesso la ricerca di fondo consente di
definire meglio il problema.

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Il problema teorico
Individuazione del problema teorico → individuazione della cornice teorica all’interno della
quale si muovono le nostre osservazioni.
Quali le caratteristiche di questa scelta?

• Non è una scelta casuale, ma deve essere motivata in base a quanto risulta dalla ricerca
di sfondo
• Individuazione e assunzione del problema teorico → NO atteggiamento di chiusura, ma
individuazione di una chiave di lettura, appunto, del problema
• Assunzione del problema teorico → le letture e gli approfondimenti di cui abbiamo
parlato sono orientati in questa direzione → le letture sono fondamentali anche per
evitare errori e ri-scoperte ingenue
Il lavoro sul campo: le regole generali
Esistono alcune regole generali comuni da seguire nel corso della ricerca:
Prima regola → il ricercatore, la ricercatrice, devono presentarsi per quello che sono e spiegare in
maniera chiara e diretta che cosa intendono fare.
Seconda regola → non dimenticare mai che l’antropologo sul campo è fondamentalmente un
intruso, venuto di propria iniziativa e non invitato. Quindi non dovrà fare niente senza assicurarsi
il gradimento degli interessati. Anche lo stile di vita deve essere adeguato, deve venir adattato,
senza che l’antropologo snaturi sé stesso.
Altri aspetti importanti:

• Evitare di esprimere opinioni o posizioni troppo nette e decise


• Mantenere un atteggiamento di cordiale equidistanza (o “equivicinanza”) da tutti
Talvolta può essere utile coinvolgere un informatore che “apra la strada”.
Il lavoro sul campo: gli strumenti
Quali gli strumenti dell’antropologo? Vediamoli:

• Osservazione → casuale e continuativa, oppure (o anche) programmata e ripetuta


(dedicata a particolari eventi, circostanze, momenti).
• Taccuino → da portare sempre con sé durante i vari momenti di osservazione,
fondamentale per annotare informazioni.
• Diario della ricerca → composto dalle note di campo via via accumulate (rielaborazione
die dati che troviamo nel taccuino).
• Parlare con le persone → ma come? In vari modi, 1) ascoltando i discorsi altrui, soprattutto
in prima battuta; 2) con un colloquio casuale e informale (metodo, questo, divenuto
prediletto); 3) intervista, poco direttiva oppure più strutturata.

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Il lavoro sul campo: gli interlocutori
A chi rivolgere le domande? Con chi parlare? → Questione dell’ampiezza del gruppo → se il
gruppo è molto ampio, si può estrarre un campione → 10% o 5%, ad esempio, dei membri totali
del gruppo.
Si può, poi, inoltre:

• Procedere con metodi “passa parola” o “valanga” → un interlocutore tira l’altro, l’ultimo
coinvolto indica un altro membro a cui potersi rivolgere
• Affidarsi al caso → le interviste non avranno validità statistica ma forniranno comunque
indizi importanti
• Intervistare i partecipanti a un evento → per avere un’idea dell’importanza dell’evento
per una certa categoria di persone o per i singoli individui
• Fare interviste a testimoni qualificati → in relazione a temi particolari vengono ritenuti
“particolarmente adatti”
L’uso del registratore durante le interviste si è ormai generalizzato; è bene però chiedere il
permesso prima di usarlo ed essere pronti a rinunciarvi nel caso che il permesso venga rifiutato.
La durata del lavoro di campo può essere variabile, hanno una rilevanza anche i condizionamenti
esterni (tempo e denaro). Qualsiasi ricerca è in qualche modo una specie di taglio operato dal
ricercatore dentro questo flusso di processi. Naturalmente il tempo va saputo sfruttare al
meglio.
I nuovi campi dell’antropologia: metropolitani, virtuali, globali
Fare ricerca in città, nella metropoli o nelle reti pone all’antropologo problemi nuovi, soprattutto
perché oggi l’uomo conosce molte dimensioni virtuali dell’esserci nel mondo. Le stesse attività
umane hanno localizzazione multipla.
La branca dell’antropologia che si occupa di studiare questi aspetti è, *come abbiamo visto,
l’antropologia urbana e metropolitana.
L’esistenza dei luoghi virtuali e l’esperienza che facciamo di essi non sta riplasmando il rapporto
tra soggetti sociali individuali e collettivi e luoghi materiali.
A oggi per noi l’altrove non è soltanto la meta, la destinazione di un viaggio, ma piuttosto una
seconda patria.
Il ritorno a casa: analisi dei dati e stesura del rapporto di ricerca
I dati non parlano da soli. È responsabilità dell’antropologo gestirli perché è l’antropologo che
ha avuto esperienza diretta delle situazioni in cui li ha raccolti.
L’antropologo può scegliere quindi di far parlare i dati in un modo o in un altro, esercita un
potere sullo scritto che pubblica e, di riflesso, sulla narrazione dei fatti e degli eventi che ha
vissuto e che racconta. Fa circolare un’immagine della cultura di cui parla.

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Come ovviare al problema del rapporto dell’antropologo con lo scritto che produce?

• Non pubblicare i risultati della ricerca


• Scrivere un rapporto dettagliato di tutte le difficoltà incontrate → sarebbe un duplicato
dell’esperienza, senza però le condizioni concrete che l’hanno caratterizzata, e sarebbe
inadeguato ai fini dell’obiettività
L’antropologo è dunque interprete, autore di una sintesi interpretativa. Non si limita a
raccogliere i materiali, ma li interroga.
Come li interroga?

• Li rende agibili, praticabili → chiarezza


• Ordina e indicizza il materiale
• Riparte dal problema teorico da cui la ricerca è nata → interroga dati sviluppando
domande
Cosa avviene/può avvenire dopo che si sono interrogati i dati?

• Non si troveranno tutte e solo conferme delle ipotesi fatte inizialmente


• Magari si trovano smentite
• Magari nascono nuovi interrogativi, anche e soprattutto grazie al materiale raccolto
Capitolo 7 – Breve storia dell’antropologia: dalle origini al Novecento
L’antropologia ha avuto e ha nomi diversi:

• Italia → discipline o scienze demo-etno-antropologiche (Cirese) = etnologia +


demologia/demopsicologia/storia delle tradizioni popolari.
• Inghilterra → antropologia sociale, folklore, cultural studies.
• Stati Uniti → anthropology = una serie di studi che afferiscono alle Humanities, ossia
cultural anthropology, archeological anthropology, biological (physical) anthropology,
linguistic anthropology.
• Francia → ethnologie, folklore.
Più recentemente (dopo metà Novecento) → anthropologie, con una suddivisione
ulteriore proposta da Levi-Strauss: 1) etnografia = ricerca sul campo; 2) etnologia =
sistemazione di un quadro concettuale coerente, costruzione di teorie; 3) antropologia =
fase della grande teorizzazione.
L’antropologia ha inoltre legami molto stretti con altre discipline (dipende dal paese, comunque
dalla linguistica alla psicanalisi, alla storia …).

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Parte 7.1 – I precursori

V secolo a.C. Erodoto di Alicarnasso → nato in città greca


dell’Anatolia, viaggia nei territori che oggi
chiameremmo del Medio Oriente. Scrive le
Storie (Historiai).
Lavoro che testimonia grande apertura
mentale e assenza di pregiudizi etnocentrici
(consapevolezza di appartenere a una cultura
dominante).
II a.C. – I secolo d.C. Polibio, Posidonio di Apamea, Strabone, Giulio
Cesare (De bello Gallico), Tacito (Germania).
XII secolo Giovanni da Pian del Carmine (Storia dei
Mongoli da noi chiamati Tartari).
XIII secolo Marco Polo (Il Milione).
XIV secolo Studi di Ibn Batuta e Ibn Khaldun.
1522 Bartolomeo de las Casas (Brevisima relacion de
la distruccion de las Indias).
XVI secolo Lettere dei padri gesuiti nel Vicereame di
Napoli (ri-evangelizzazione come
evangelizzazione degli Indios, élite).
XVII secolo Grande trasformazione investe il pensiero dei
dotti, secolo della nascita del pensiero
scientifico moderno che investe (più
lentamente) anche lo “studio dell’uomo”,
antropologia appunto.
XVIII – XIX secolo Processo di definizione e istituzionalizzazione
di una nuova antropologia, che riceve
supporto da:
1. Scoperte che riguardano i popoli
“selvaggi” e i luoghi in cui vivono
2. Apertura alla ricerca di nuovi campi,
importante soprattutto l’archeologia
3. Nascono nuove scuole di pensiero
filosofico → Rousseau (il mito del buon
selvaggio)
4. Si diffondono romanzi come quelli di
Swift → messa in dubbio della
superiorità degli europei

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Parte 7.2 – Il XIX secolo: l’evoluzionismo

1859 Charles Darwin pubblica L’origine delle specie.


Idea dell’evoluzione della specie umana →
l’antropologia trova una sua sistemazione
teorico – metodologica.
1871 Tylor pubblica Primitive culture.
• Cambio di definizione: da selvaggi a
primitivi → inclusione nella specie
umana, non più confinazione a stato di
natura
• Idea di un’evoluzione fatta di stadi, mai
interrotta da fratture
• Idea di sopravvivenza → processi,
costumi e opinioni che sono stati
conservati in stadi diversi della società

Tylor si dedica in particolar modo allo studio


della religiosità umana (animismo) → la
riconduce a esperienze di visioni e
allucinazioni → NON invoca fattori
trascendenti.

La concezione del soprannaturale dei primitivi


interesserà anche Frazer (Il ramo d’oro) →
messa in relazione con l’antichità classica ed
elaborazione di uno schema evolutivo
dell’esperienza religiosa. Tre fasi:
1. Magia
2. Religione
3. Scienza

Anche Robertson Smith è interessato allo


studio del tema della religione, che definisce
però non come un prodotto intellettuale ma
come un prodotto sociale (→ importanza dei
riti, dei sacrifici che uniscono le persone).

1851 Esce la Lega degli Irochesi di Morgan. Legato


agli studi delle “nazioni” degli indiani irochesi,
in particolare studia il funzionamento del
sistema delle alleanze matrimoniali.

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In questo modo sfata il mito dell’inferiorità e
“legittima”, “avvalora” la presenza degli
indiani d’America sul territorio,
condannandone la persecuzione.
1871 Esce Sistemi di consanguineità e affinità della
famiglia umana di Morgan. Si raggiungono
risultati fondamentali:
• Si capisce che oggetto di studio
devono essere terminologie di
parentela
• Suddivisione: terminologie di
parentela classificatorie/descrittive
• Si costruisce un sistema per la loro
comparazione

1877 Esce La società antica di Morgan → studio dei


tre stadi di evoluzione dell’umanità (processo
evolutivo):
1. Stadio selvaggio
2. Stadio barbarico
3. Stadio della civiltà
Mette in luce l’importanza che hanno avuto,
nella storia degli uomini, i vari utensili che
l’uomo ha prodotto.

Altre idee, altri studiosi importanti:

• McLennan e Sumner Maine → antropologia del diritto: studio dell’importanza della


discendenza matrilineare (il primo) e patrilineare (il secondo)
• Bastian → idee elementari o germi di idee → base culturale comune a tutti i popoli, si
differenzia per influsso dell’ambiente
• Bachofen → scrive Il matriarcato dove sostiene che in origine il potere di governo dei
gruppi di discendenza e dei lignaggi fosse delle donne, e che il patriarcato sia arrivato
dopo
L’evoluzionismo come teoria scientifica ha esercitato, in generale, un’egemonia → idea di
progresso diviene un mito, applicabile a qualsiasi cosa.
Il concetto di progresso è stato messo, nel tempo, in dubbio, è un’idea che è entrata in crisi → è
entrata in crisi anche la teoria evoluzionista.

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Parte 7.3 – Il diffusionismo
Abbiamo visto che la teoria evoluzionistica entra in crisi. Perché?

• La teoria degli stadi di sviluppo non trova riscontro puntuale in tutte le situazioni umane
• Per molti campi dell’attività umana (arte, poesia, morale, vita dei sentimenti …) non è
possibile individuare criteri scientificamente validi di misurazione dell’evoluzione ancora
meno del progresso
• Il modello evoluzionistico non tiene conto della circolazione culturale
La circolazione culturale, idea dei diffusionisti (Germania, Austria, USA), è fondamentale.
Secondo questa idea, la circolazione culturale può mettere a capo processi di omogeneizzazione
ma anche di differenziazione tra le culture.
Assunti importanti:

• Diffusione di singoli elementi culturali ≠ diffusione di complessi culturali → errato


desumere da singoli elementi che sia avvenuta una diffusione dei complessi interi
• Diffusione → avviene anche grazie ai processi di circolazione degli esseri umani
• Recezione degli elementi → attiva e manipolatoria
• Stessa funzionalità, ad esempio di due oggetti → non vuol dire vicinanza dei due popoli
In Italia ha avuto particolare rilevanza la Scuola di Vienna, e nello specifico Padre Schmidt ne è
stato il più illustre rappresentante. Secondo Padre Schmidt i politeismi, ad esempio, erano
oggetto della progressiva degenerazione della fede in un unico Dio. Questo legittimava, di
riflesso, il lavoro dei missionari che convertivano i nativi.
Parte 7.4 – L’influenza del marxismo sull’antropologia
L’oggetto centrale dell’analisi marxiana sono i rapporti sociali di produzione della vita sociale.
Ossia, i sistemi di relazioni sociali degli individui che sono inseriti in un sistema di produzione.
Morgan → INNOVAZIONE TECNOLOGICA = MUTAMENTO DELLE CONDIZIONI MATERIALI DELLA
VITA SOCIALE → aspetto che interessa Marx ed Engles, insieme all’idea di patriarcato come
istituzione finalizzata a controllo delle donne per avere figli, visti come veri e propri beni.
Ma è uno scambio da ambo le parti: antropologi, economisti e storici di formazione marxiana
utilizzeranno le teorie di Marx per costruire un’analisi critica dei regimi coloniali e
dell’imperialismo postcoloniale occidentale.

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Parte 7.5 – Il positivismo e la scuola sociologica francese
1799 → fondata in Francia Societé des Observateurs de l’homme che però ha vita piuttosto breve
visto il periodo storico “vivace” nel paese (Rivoluzione, Napoleone, la Comune…).

Prima metà dell’Ottocento Si diffonde il postivismo, filosofia di Comte.


Idea principale → l’umanità ha attraversato
tre stadi:
1. Pensiero teologico
2. Pensiero metafisico
3. Pensiero razionale → positivo →
realizzazione della conoscenza
scientifica, razionale, che porta con sé
progresso anche pratico

Nascita della sociologia.

Durkheim è considerato, in Francia, il


fondatore delle scienze sociali.

Condivide due premesse del positivismo:


• Studiare i fatti sociali a partire
dall’osservazione sistematica per
arrivare a spiegazione razionale
• Precisare statuto teorico dei fatti
sociali → non sono somme o
agglomerati di fatti individuali, si
producono nella società
(comportamenti umani
istituzionalizzati)

Che cosa ha scritto?

Le regole del metodo sociologico → Il suicidio


→ idea che si verifichino più suicidi in
situazioni di anomia, a causa
dell’indebolimento della solidarietà sociale

La divisione del lavoro sociale → concetto di


solidarietà sociale → principio di integrazione
di ciascuna società: ogni società fa parte di
una realtà integrata e funzionante. Ne
esistono due forme:

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- solidarietà meccanica → società a coscienza
collettiva, è omogenea e pervasiva
- solidarietà organica → alto tasso di divisione
del lavoro sociale → il ruolo di ciascuno si
determina in rapporto con quelli degli altri

Le forme elementari della vita religiosa → lo


stadio della vita religiosa contribuisce a
gettare le basi per la solidarietà meccanica →
esiste una rappresentazione collettiva del
soprannaturale che rafforza e rivalorizza i
legami sociali.

Novecento Collega di Durkheim è Hertz.

Che cosa ha scritto?

Contributo allo studio sulla rappresentazione


collettiva della morte → ricostruire la
rappresentazione collettiva della morte
presso alcune popolazioni → rito della doppia
sepoltura (prima tragedia, poi si ripristina un
ordine)
La preminenza della mano destra → la
preminenza dell’uso della mano destra dà
luogo a un bipolarismo

Mauss, idee:
• Il dono come fatto sociale totale (Il
saggio sul dono, ne abbiamo già
lungamente parlato)
• Forme di classificazione come
prodotto del sistema di classificazione
di ogni società (Su qualche forma
primitiva di classificazione)
Ottocento-Novecento Altri due studiosi importanti:

Lévy-Bruhl → idea dell’esistenza di una


mentalità di tipo logico, razionale, e di una
caratterizzata da funzioni mistiche,
partecipative, pre-logiche caratteristica delle
società primitive

Van Gennep:

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Manuel du folklore français contemporain →
studio della cultura delle classi contadine e
popolari della Francia
I riti di passaggio → 1909, ogni società è
caratterizzata da riti:
• Preliminari → separano chi deve
passare a una nuova condizione da
quella parte del gruppo della quale
fino a quel momento ha fatto parte
• Liminari → chi non è più parte di un
certo gruppo e viene preparato a far
parte del nuovo gruppo
• Postliminari → aggregazione al nuovo
gruppo di chi ha compiuto il passaggio

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