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dal momento che devono adottare codici di comportamento sia pratico sia mentale
che siano riconoscibili e quindi condivisi da altri.
La cultura di un mondo poi, in definitiva, il complesso dei codici comportamentali e
ideazionali riconoscibili dal gruppo nel quale gli esseri umani vengono al mondo e
nel quale sono educati. Il processo di formazione degli individui non cessa bens, gli
esseri umani sono in grado di accumulare nuove esperienze e di rielaborarle
continuamente in base ai codici culturali di cui sono in possesso. Gli antropologi
hanno messo in rilievo alcuni di quegli insiemi di idee e di comportamenti che
chiamiamo cultura.
Noi ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in un modo piuttosto che in un altro,
perch seguiamo determinati modelli di comportamento e di pensiero e non altri,
modelli culturali diversi che orientano comportamenti differenti. Tali modelli sono
stati introiettati grazie alleducazione, implicita o esplicita, indiretta o diretta che le
persone in questione hanno ricevuto dal gruppo nel quale sono cresciute. Questi
modelli possono essere qualificati come modelli-guida per il comportamento e per il
pensiero in contesti culturali diversi. Grazie ai modelli (culturali) di cui dispongono,
gli esseri umani si accostano al mondo in senso pratico e intellettuale. Senza di essi
non potrebbero pensare, agire, in pratica sopravvivere.
Qualunque atto o comportamento umano finalizzato a uno scopo tanto materiale che
intellettuale guidato dalla cultura. La cultura operativa, poich mette lessere
umano nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi, adattandosi sia
allambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.
La cultura un complesso di modelli tramandati, acquisiti e selezionati. Ci significa
che le generazioni successive ereditano i modelli culturali delle generazioni
precedenti e ne acquisiscono di nuovi o in base alla propria esperienza di un mondo
in mutamento, oppure per linfluenza di modelli di altre culture, ma in ambedue i casi
(trasmissione e assimilazione) agisce sempre un principio di selezione. Tramite la
messa in atto di processi selettivi infatti, le culture rivelano il loro carattere di sistemi
aperti e chiusi al tempo stesso. Esistono certamente culture pi aperte alle novit,
cio culture pi pronte di altre ad assorbire modelli ed elementi che possono rivelarsi
utili o dannosi per una determinata cultura. In molti casi per, alcuni modelli sono
stati imposti con la violenza, con un danno irreparabile per la cultura di coloro che li
hanno subiti.
I processi di selezione tipici di tutte le culture lasciano intendere che queste ultime
sono dei complessi di idee e comportamenti che cambiano nel tempo. Le culture,
infatti, sono prodotti storici cio il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni.
Si trasformano tanto secondo logiche proprie, quanto in relazione agli elementi di
provenienza esterna con cui esse entrano in contatto. Tutte le culture hanno una loro
storia, alla cui origine vi limpossibilit, per ognuna, di rimanere identica a se
stessa. anche se i modelli culturali tendono a conservarsi e a mostrarsi resistenti al
cambiamento, questultimo di produce in virt del fatto che le culture sono sempre
sottoposte alle influenze esterne.
Allinterno di una comunit esistono tanti modi diversi si percepire il mondo, di
rapportarsi agli altri, di esprimersi, di comportarsi in pubblico. Tali differenze di
Secondo certi antropologi alcune culture sarebbero pi olistiche di altre, nel senso
che i loro elementi costitutivi sarebbero pensati in un rapporto di integrazione
maggiore rispetto a quanto avviene in altre societ.
Dal momento che la cultura da intendersi in maniera olistica, cio come correlata
nelle sue parti e approssimativamente integrata a livello di pratiche e di idee, il
compito degli antropologi si presenta arduo. Lantropologo che lavora sul terreno
deve, con seriet ed equilibrio percorrere lintera estensione dei fenomeni in ogni
aspetto della cultura tribale studiata, senza distinzione fra ci che banale, incolore o
comune e ci che lo colpisce come straordinario e fuori dal consueto. Nello stesso
tempo si deve analizzare lintero campo tribale in tutti i suoi aspetti. Una ricerca
antropologica, non mira a cogliere le culture in una loro improbabile interezza. Gli
antropologi di solito studiano determinati aspetti di una cultura. Tuttavia essi non
possono concentrarsi solo sullaspetto da loro prescelto come se tutti gli altri non li
interessassero. Qualunque sia loggetto privilegiato di indagine degli antropologi,
questi ultimi sono costretti a considerare un fenomeno in relazione a tutti gli altri.
Letnografia costituisce un elemento-chiave della ricerca antropologica. Essa
rappresenta lo studio di realt mediante ladozione di prospettive e tecniche
particolari. Il principale compito dellantropologo sul campo , come si sempre
detto, quello di raccogliere dati utili alla conoscenza della cultura che vuole studiare.
Questo compito si traduce in parte nella raccolta di storie e di miti relativi alla
comunit in questione oltre che nella annotazione delle norme e dei comportamenti
che gli individui presentano esplicitamente o sotto forma di racconto. Gran parte dei
dati che un antropologo acquisisce sono frutto dellosservazione e dellascolto che
lantropologo riesce a esercitare nei confronti dei comportamenti e delle parole
rispettivamente della gente in mezzo alla quale vive.
A partire dal confronto tra ci che dicono e ci che fanno le persone, lantropologo
pu stabilire che cosa realmente accade in una societ e quando di ci che accade
realmente sia in conflitto con ci che le persone pensano o dicono di pensare su un
certo argomento.
La ricerca antropologica si avvale, come altre discipline, del metodo dellintervista,
della compilazione di tabelle e questionari, di registrazioni audiovisive, della
campionatura di esemplari di ogni tipo e altro ancora. Ci che peculiare del metodo
antropologico, ci che lo differenzia da tutte le altre pratiche di ricerca, il fatto che
gli antropologi trascorrono molto tempo con le persone sulle quali compiono
ricerche. Una ricerca etnografica comporta che lantropologo viva a stretto contatto
con i soggetti della sua ricerca, condivida il pi possibile il loro stile di vita,
comunichi nella loro lingua o in una lingua conosciuta da entrambi, e che prenda
parte alle loro attivit quotidiane. Questa condivisione di esperienze stata chiamato
dagli antropologi osservazione partecipante.
lespressione osservazione partecipante qualcosa che permette di considerare con
un certo distacco (osservazione) lesperienza condivisa dallantropologo con gli
appartenenti a una cultura diversa dalla sua (partecipazione). Durante il suo lavoro
lantropologo impara a connettere automaticamente certi aspetti della vita dei suoi
ospiti. Lantropologo capisce inoltre che in certe culture leconomia pu essere legata
attenzione e utili alla conoscenza del genere umano nel suo complesso. Questa
attenzione dellantropologia si tradotta in quella che potremmo definire unimpresa
etnografica generalizzata, consistente nello studio sul campo delle pi svariate
comunit.
Lantropologia stessa non per libera dalletnocentrismo, cio la tendenza istintiva
e irrazionale che consiste nel ritenere i propri comportamenti e i propri valori migliori
di quelli degli altri, nel senso che spesso anche gli antropologi interpretano la vita
degli altri popoli attraverso il filtro delle proprie categorie culturali. Tuttavia,
lantropologia si sforza di produrre modelli di analisi e di interpretazione che siano in
grado di rendere conto tanto dellunit quanto della diversit dei fenomeni che essa
studia.
Ai suoi esordi lantropologia si prefiggeva di giungere alla scoperta delle leggi che
segnano la trasformazione della cultura e della societ, dalle forme pi semplici fino
a quelle pi complesse. Pi che di un metodo comparativo vero e proprio si trattava
di un metodo illustrativo di tesi la cui validit era spesso data per scontata in
partenza.
Nel corso del secolo XX gli antropologi hanno progressivamente abbandonato questo
programma comparativo fondato sullaccostamento di somiglianze labili e
superficiali. Sono venuti cos emergendo due principali stili comparativi. Il primo si
esercita su societ e culture che sono storicamente interrelate o geograficamente
vicine. Il secondo stile comparativo prende invece in considerazione societ prive di
legami storici reciproci e cerca, attraverso laccostamento di fenomeni simili per
forma e per struttura, di pervenire allelaborazione di tipologie e conclusioni pi
ampie di quanto non lo faccia il primo stile comparativo. Gli antropologi tendono
oggi a precedere per gradini, ossia allargando progressivamente, a partire da un
ambito circoscritto, il raggio delle loro comparazioni. Ultimamente tuttavia prevista
la tendenza a effettuare comparazioni soprattutto per elaborare nozioni capaci di
descrivere in maniera unitaria atteggiamenti e comportamenti rilevanti dal punto di
vista della disciplina. Il compito dellantropologia diventa sempre pi quello di farci
cogliere lunit sotto lapparente diversit del comportamento e delle idee di certi
popoli, mentre altre volte in grado di mostrarci le profonde diversit che esistono
sotto la superficie di unapparente somiglianza.
La pratica etnografica consiste di esperienze di incontro con umanit portatrici di
valori, storie, memorie, assai diversi da quelle degli antropologi. Di conseguenza
questi ultimi devono prestare unattenzione particolare al modo di esprimersi di
coloro che di tali comunit fanno parte. Ci implica che lantropologia debba
praticare una cultura dellascolto , un atteggiamento intellettuale che mette in
condizione lantropologo di intendere la voce degli altri.
Dal punto di vista epistemologico il carattere dialogico dellantropologia rilevante
in quanto consente a due universi culturali di trovare uno spazio di incontro comune a
partire da qualche punto di riferimento condiviso.
La ricerca di un punto di riferimento si scontra con il problema linguistico, ma anche
e soprattutto con il senso che le parole rivestono allinterno di codici culturali diversi.
somatiche degli individui. La cosa pi corretta che si possa dire a proposito della
nozione di razza che tale nozione, oltre a costituire un prodotto del senso comune,
rappresenta un veicolo di stereotipi diffusi e persistenti in base ai quali lo stesso senso
comune opera distinzioni che sono quasi sempre connesse a pregiudizi, xenofobia,
interessi politici e problemi sociali.
Le ricerche scientifiche confermano infatti che le differenze somatiche tra gli esseri
umani, anche quelle pi evidenti, sono differenze superficiali e relativamente recenti
nella storia della nostra specie. Le origini anatomiche delluomo moderno sono da
situare in Africa orientale e risalgono a unepoca anteriore ai 100.000 anni fa. La
nostra specie ha poi raggiunto lo stato attuale circa 50.000 anni fa. Fu da questa data
che gli esseri umani cominciarono a differenziarsi somaticamente.
Le teorie dei genetisti sulla distribuzione dei geni umani, sembra ricevere una
conferma dagli studi sulla classificazione delle famiglie linguistiche. William Jones
not notevoli somiglianze tra il sanscrito, il latino, il greco, il celtico e il gotico. Con
il progredire degli studi, alcuni linguisti e glottologi cominciarono a intravedere
somiglianze e affinit tra altri gruppi di lingue, come quelle semito-camitiche e quelle
uraliche.
Di recente, un gruppo di studiosi, sulla base di nuove e pi solide conoscenze, sono
stati in grado di elaborare una visione del mosaico linguistico planetario come
riconoscibile a famiglie e superfamiglie a loro volta derivate da un ipotetico ceppo
comune. Non tutti i linguisti sono per oggi daccordo con questa visione unitaria, la
quale si basa pi che altro sulle similitudini fonetiche e morfologiche, facendo spesso
appello allarcheologia e alla storia economica e sociale.
Le migrazioni devono essere considerate in molti casi come leffetto di spinte
culturali allorigine della distanziazione genetica. In verit il corredo genetico degli
individui varia anche in conseguenza a fattori casuali (deriva genetica) e adattivi
(selezione naturale). La distanza genetica tra le popolazioni, e la sua larga
corrispondenza con la distanza tra famiglie linguistiche, non trova per alcun
corrispettivo nelle differenze culturali che le popolazioni presentano. Geni e lingue
cambiano a una velocit infinitamente minore rispetto a quella con cui mutano
comportamenti, usanze e modelli culturali.
Il grande sviluppo delle ricerche etnografiche nel corso del Novecento ha indotto gli
antropologi a sistematizzare le conoscenze acquisite secondo il criterio delle aree
culturali. Unarea culturale una regione geografica al cui interno sembra plausibile
comprendere una serie di elementi sociali, culturali, linguistici ecc, relativamente
simili.
La suddivisione del mondo per aree culturali deve essere considerata come
puramente indicativa delle maggiori differenze socio-culturali riscontrate
dallantropologia nel periodo aureo delletnografia. Tali aree erano semplicemente
dei modelli costruiti da antropologi e geografi culturali allo scopo di mettere ordine
nella grande variet di popolazioni, costumi, usanze e istituzioni che la ricerca andava
registrando e classificando. Soprattutto oggi che lintensificazione degli spostamenti
umani attraverso le regioni del pianeta diventata notevolmente superiore al passato,
parlare di aree culturali come si poteva fare nella prima met del Novecento poco
realistico anche per la sempre maggiore pervasivit dei media che consentono di
recepire modelli culturali, espressivi, estetici, politici ecc, a livello globale. La scelta
di uno o pi elementi socio-culturali come tipici delle societ comprese in
determinate aree, ha inoltre finito quasi sempre per creare una distinzione tra societ
e culture pi rappresentative e meno rappresentative delle aree in questione.
I pastori nomadi sono sempre stati in relazioni simbiotiche con il mondo agricolo e
urbano: fornendo mezzi di trasporto, guide, animali e prodotti derivati, i nomadi
ricevevano quello che la loro economia non era in grado di produrre.
La pastorizia nomade, soprattutto quella praticata tra il Medio Oriente e il Nord
America infatti una forma di adattamento iperspecializzata, che non pu combinare
efficacemente lallevamento degli animali con forme di produzione che richiedono
una vita stanziale, come lagricoltura.
La creazione dei confini, il sistema fiscale, il controllo politico, la monetizzazione
delleconomia, i conflitti internazionali, sono tutti elementi che hanno portato al
restringimento della libert di movimento e dazione dei nomadi, e accentuato la loro
dipendenza dagli Stati centralizzati. Molti Stati poi, sono intervenuti al fine di rendere
stabili i nomadi e meglio controllarli.
Molti tra i pastori nomadi scelgono le opportunit offerte dalle economie e dai servizi
degli Stati nazionali, molti altri sono restii ad adeguarsi a situazioni che avvertono
come minacciose per il mantenimento del loro stile di vita.
Altre comunit che fanno del nomadismo il loro modello di esistenza, quali Rom,
Singati e altri gruppi ancora presenti in Europa sin dal Medioevo, per distinguerle dai
pastori nomadi, sono chiamate peripatetiche, cio in movimento. Molti dei loro
componenti vivono in condizioni precarie.
1. Oralit e scrittura
Possono sussistere alcune importanti diversit tra visioni del mondo presenti nelle
varie culture dovute alle differenze tra comunicazione orale e comunicazione scritta.
La comunicazione ordinaria si svolge per lo pi in forma orale, per questo motivo
non ci rendiamo conto di quanto la comunicazione orale sia condizionata dalla
scrittura. Questultima ci influenza nel senso che il modo con il quale ci esprimiamo
guidato da un pensiero che si fonda sulla interiorizzazione della scrittura
medesima. Le culture come la nostra, presso le quali esiste una scrittura diffusa, sono
dette culture a oralit ristretta. Fino a non molto tempo fa esistevano invece societ
a oralit primaria. Si trattava di societ che non conoscevano alcuna forma di
scrittura. Gli esempi pi noti risalgono agli Inka in Sudamerica e al regno del
Dahomey, in Africa occidentale.
Durante il III sec a.C. la scrittura fece la sua comparsa nellarea mesopotamica e in
quelle aree a essa limitrofe. La scrittura venne sviluppata a partire da alcuni sistemi di
calcolo che videro la sostituzione di oggetti come sassolini, con dei veri e propri
segni aventi ciascuno un proprio significato. Oggi anche laddove lignoranza
dellalfabeto scritto ancora particolarmente diffusa la scrittura esercita la sua
influenza attraverso leggi, regolamenti, disposizioni, calcoli e statistiche prodotti da
un centro politico e amministrativo espressione di uno Stato nazionale. Le culture a
oralit diffusa indicano lo stile comunicativo in esse prevalente, non ancora
influenzato dallo stile della comunicazione scritta.
La dimensione orale della comunicazione corrisponde a modi di pensare che sono per
certi aspetti diversi da quello di soggetti abituati a maneggiare i segni di un alfabeto.
La scrittura esercita sulla parola una specie di imperialismo; le nostre menti di
individui scolarizzati non possono pensare a una parola se non in forma di parola
scritta.
Un caso di rapporto tra oralit e scrittura rappresentato dal regresso alloralit
nelle societ ricche e postindustriali. Il linguaggio televisivo di trasmissione delle
informazioni per immagini hanno comportato un regresso sul piano della ricchezza
lessicale e delle conoscenze linguistiche da parte di certe fasce sociali e det.
I soggetti che vivono in culture senza scrittura, o dove la scrittura penetrata solo
parzialmente, non possono essere definiti analfabeti in senso stretto. La dimensione
orale corrisponde a un modo di esprimersi diverso da quello tipico delle culture
dotate di scrittura diffusa. In assenza di scrittura, le parole non hanno una vera e
propria esistenza visiva: sono soltanto degli eventi che accadono in un tempo
preciso e con esso svaniscono.
Nelle culture orali la pregnanza delle parole, la loro efficacia, sembra essere
comunque legata al momento in cui vengono pronunciate. Anche noi, quando
vogliamo dare particolare forza a ci che diciamo, abbiamo la tendenza a muoverci in
accordo con i sentimenti e gli stati danimo che cerchiamo di trasmettere attraverso le
parole. Ma nelle culture a oralit primaria, certi discorsi prevedono determinati gesti
e non altri, certe posture del corpo o certe inflessioni della voce ben determinate e
non altre. Vige spesso un complesso di norme non dette a cui i parlanti si
conformano, atteggiando il corpo e la voce in un determinato modo a seconda dei
discorsi che devono pronunciare.
Alcuni popoli hanno una vera e propria teoria della parola. I Dogon del Mali, per
esempio, vedono nella parola quasi la proiezione sonora nello spazio della
personalit delluomo. Come il corpo umano costituito da quattro elementi, cos lo
la parola: lacqua, che la inumidisce; laria, grazie alla quale si trasforma in
vibrazione sonora; la terra, che d il peso alla parola, cio il suo significato; il fuoco,
che d calore alla parola come riflesso dello stato danimo del parlante.
Unimportante differenza tra culture orali e scritte, sta nella presenza di tecniche
altamente elaborate di conservazione della memoria, quindi di trasmissione del
sapere. Laddove la scrittura non presente, lunico modo per ricordare lunghe
sequenze argomentative pensare per moduli mnemonici che possano funzionare
per un rapido recupero orale: temi, proverbi, scenari, ripetizioni, antitesi.
La parola, per poter essere ricordata e trasmessa deve fare affidamento su moduli
mnemonici ripetitivi. Questo modo di trasmettere la memoria tende a eliminare tutto
ci che non ha interesse per il presente; del passato e delle conoscenze viene
trasmesso solo ci che interessa al presente. Tutte le culture tendono a operare
selezioni sulla propria memoria per cui non si ha conservazione dellinutile. Un
dato cruciale delle culture a oralit diffusa la dimensione dellesperienza: se il
rapporto immediato tra la parola e lesperienza viene meno, il significato della parola
tende ad alterarsi o perdersi.
2. Percezione e cognizione
La percezione del mondo circostante coincide con i processi mediante i quali gli
individui organizzano informazioni di natura prevalentemente sensoriale. La
percezione del mondo fisico pu per risultare differente a seconda dei soggetti
coinvolti.
3. Tempo e spazio
Gli esseri umani vivono nel mondo fisico, percepiscono lavvicendarsi di fenomeni
quali il giorno e la notte, lestate e linverno, il sonno e la veglia e, sperimentano la
diversa collocazione delle cose. La trasformazione delle cose si sperimenta sotto
forma di ci che noi chiamiamo tempo e, in riferimento al posizionamento del proprio
corpo e delle cose rispetto ad altri corpi e ad alte cose, gli umani percepiscono ci che
chiamiamo spazio. Tempo e spazio costituiscono infatti delle intuizioni a priori
universali. La percezione del tempo e dello spazio la funzione primaria della nostra
attivit mentale. Senza tale funzione non sarebbe possibile, per lintelletto, dare
forma al pensiero. Tempo e spazio sono le dimensioni costitutive di qualunque modo
di pensare. Tuttavia, dal momento che le rappresentazioni del tempo e dello spazio
non sono uguali in tutte le culture, diventa fondamentale conoscere cosa c di
identico, e al tempo stesso di diverso, tra i modi in cui tempo e spazio sono percepiti
e rappresentati presso culture diverse.
Agli inizi del Novecento Durkheim e Mauss sostennero che tempo e spazio sono
istituzioni sociali; sarebbe infatti lo stile di pensiero prevalente allinterno di una
societ a determinare le valenze simboliche, affettive, e percettive, che il tempo e lo
spazio assumono in quel contesto particolare.
Nilsson sostenne che nelle societ primitive il tempo concepito in maniera
puntiforme; in queste societ i riferimenti temporali non corrispondono infatti a
frazioni di un flusso temporale omogeneo e quantificabile, ma piuttosto a eventi
naturali o sociali.
Lidea che il tempo sia unentit uniforme, misurabile e frazionabile che pu essere
dedicata al lavoro, al riposo, alle vacanze ecc., non infatti universale. In molte
societ il tempo quantificato non un dato regolatore della vita collettiva e
individuale.
La nostra concezione del tempo abbastanza recente, ed strettamene legata allidea
della produttivit che il sociologo tedesco Max Weber defin lo spirito del
capitalismo. Lidea del tempo come denaro esprime bene questa concezione. Il
tempo si consacra cos alla produzione di beni quantificabili.
Letnografia molto ricca di esempi relativi a come le culture prive di pensiero
cronometrico collocano gli eventi nel tempo. Alcuni popoli africani collocano, per
esempio, gli eventi nel tempo facendo riferimento allorganizzazione dei mercati, che
comprendono cicli di cinque giorni.
Venendo alle scansioni del tempo giornaliero, molte popolazioni del Madagascar
rurale utilizzano ancora oggi, come punti di riferimento, la casa cui, a seconda della
parte della casa che illuminata dal sole nei diversi momenti della giornata, essi
possono collocare nel tempo azioni ed eventi.
In molte societ esiste poi una specie di doppio regime temporale. Si tratta di
societ rurali che sono state inglobate da sistemi statuali a base urbana e commerciale
e hanno adottato, accanto alle tradizionali forme locali di scansione del tempo, il
sistema calendariale o cronometrico degli organismi politico-statuali dominanti.
Il tempo non quantificabile detto qualitativo.
3. Il pensiero mitico
Il tema del mito, come quello della magia e del rito, ha affascinato a lungo tanto gli
studiosi di storia delle religioni quanto gli antropologi. Per molti anni costoro si sono
adoperati per spiegare lorigine dei miti, la loro coerenza e, soprattutto, la loro
connessione con i riti. La celebrazione di un rito spesso collegata al racconto di un
fatto accaduto in un tempo indeterminato e che ritenuto responsabile dello stato
attuale delle cose o della condizione degli esseri umani. I miti fanno spesso
riferimento a eventi che avrebbero dato origine al mondo e allaspetto che
questultimo possiede attualmente.
Alcuni studiosi hanno ritenuto che i miti fossero un modo inesatto, cio fantastico
in quanto primitivo, di ricostruzione o di giustificazione storica di eventi o fatti
realmente accaduti.
Il mito ignora lo spazio e il tempo. Le azioni dei protagonisti non tengono conto
dellanteriorit e della successione temporale. I personaggi del mito agiscono o
abitano in luoghi impossibili. Il mito disegna insomma una situazione originaria
come caratterizzata da un profonda unit degli esseri. In linea generale produce
unantropomorfizzazione della natura, poich attribuisce ad animali, piante e cose
caratteristiche fondamentalmente umane come il linguaggio, i sentimenti, le emozioni
ecc. Questa comunanza di esseri umani, spiriti, animali e cose viene descritta nei miti
come una situazione originaria di equilibrio cosmico e di unit, la cui fine avrebbe
dato origine al mondo attuale.
Gli antropologi hanno cercato di argomentare in molteplici direzioni la funzione del
mito: speculativa, pedagogica, sociologica, classificatoria. Il mito sarebbe inoltre
qualcosa in cui le societ possono leggere una morale dei rapporti tra gli uomini e tra
i gruppi, qualcosa che fissa un codice di comportamento, di pensiero e di
disposizioni.
Secondo Levi-Strauss il mito va analizzato in termini di strutture e di mitemi.
Questi considera il racconto mitico a partire dal modello della linguistica strutturale.
Il mito infatti unentit formalmente scomponibile in unit minime (i mitemi), le
quali rivestono un senso solo se poste accanto ad altre dello stesso tipo. Il medesimo
mitema prende sembianze diverse in culture diverse, ma ricorre in racconti mitici
differenti, assumendo di volta in volta un significato diverso a seconda degli altri
mitemi a cui si trova affiancato. Il pensiero mitico si assume cos il compito di
risolvere le contraddizioni tra spirito e corpo, bene e male, vita e morte, introducendo
nella narrazione un elemento che a prima vista inspiegabile ma che si presenta
come mediatore simbolico di una contraddizione irrisolvibile per via razionale. Il
pensiero mitico, cos come stato concepito da Levi-Strauss, ci appare come un
pensiero libero che ha i propri limiti solo in se stesso. Il mito sarebbe allora in
qualche modo il frutto di un pensiero che pensa se stesso.
Forse il confine identitario pi netto presente in tutte le societ umane quello tra
femminile e maschile. Vi sono culture che pongono esplicitamente questa
differenza allorigine di tutte le cose. Anche nelle nostre societ postindustriali e
postmoderne, vigono potenti confini tra il femminile e il maschile: colori, modelli di
consumo, aspettative, emozioni, sentimenti e atteggiamenti in generale sono
considerati cose da donne o cose da uomini.
Hrtier sostiene che la riflessione umana ha esercitato la propria attenzione sin dalle
origini su ci che si presentava ad essa nel modo pi diretto e immediato: la
differenza dei tratti sessuali e la diversa funzione riproduttiva deve essere stata sin
dalle origini fatta oggetto di speciali attenzioni. Infatti il corpo sessuato, in generale,
sembra contenere unopposizione irriducibile sul piano concettuale.
Sempre secondo lantropologa francese, lopposizione femminile/maschile oppone
lidentico al differente e costituisce temi che si trovano in tutto il pensiero
scientifico, antico e moderno e in tutti i sistemi di rappresentazioni. Altri antropologi
ritengono che il rapporto identico/differente sia alla base dei sistemi di opposizione
tra rappresentazioni e valori sia astratti che concreti, i quali rinviano al modo di
parlare del femminile e del maschile come categorie oppositive.
Il mito dellAndrogino ripreso da Platone per spiegare le ragioni per cui la donna e
luomo si cercano, un esempio del rapporto identico/differente di cui parla la
Hritier. LAndrogino di Platone infatti identico a se stesso e al tempo stesso
differente, in quanto nel suo corpo sono iscritti i caratteri di entrambi i sessi,
femminile e maschile. Secondo lantropologa la differenza femmina/maschio
presente inoltre in tutti i sistemi di pensiero.
Luniversalit dellopposizione femminile/maschile non implica che in tutte le
culture si abbiano rappresentazioni analoghe delle relazioni tra i sessi. Tale
distinzione il risultato di una serie di manipolazioni simboliche e concrete che
riguardano gli individui, essendo tale distinzione una costruzione sociale. Per
illustrare il carattere di costruzione sociale della distinzione femminile/maschile,
Hrtier cita il caso degli Inuit. Presso di loro lidentit sessuale di un individuo non
legata al sesso anatomico, ma allidentit sessuale dellanima-nome reincarnata, la
quale viene assegnata al neonato nel momento della nascita sulla base di determinati
segni leggibili degli sciamani. Lindividuo deve tuttavia inserirsi nei suoli del suo
sesso appartenente (anatomico) e assumersi le responsabilit del suo sesso. Cos,
un ragazzo dallanima-nome femminile sar allevato fino ad una certa et come una
ragazza ma, una volta raggiunta la pubert, dovr assumere i tratti, i comportamenti e
i ruoli sociali di un maschio, pur mantenendo per tutta la vita la sua anima-nome,
quindi la sua identit femminile.
Allo scopo di distinguere tra identit sessuale anatomica e identit sessuale
socialmente costruita, gli antropologi usano i termini sesso e genere
concetti che una cultura possiede di un determinato stato danimo (per es. essere
innamorati). Lemozione implicita nel fatto di essere innamorati tuttavia
qualcosa di diverso. Gli stati danimo non sono universali, o meglio, non sono
espressi ovunque nella stessa maniera. Lodio, la paura, la felicit e la tristezza, tutti
stati danimo implicanti linsorgenza di una reazione emotiva, non sono il frutto di
una natura geneticamente determinata. Essi sono piuttosto concepiti in base ai
modelli culturali introiettati durante linfanzia e riplasmati continuamente nel corso
della vita di un individuo.
I problemi dello studio antropologico della sfera emotiva non si limitano tuttavia alla
variabilit culturale della loro espressione. Poich cercare di mettersi nei panni degli
altri non implica che si sia capaci di ritrasmettere ci che si prova, lo studio delle
emozioni e delle sfera interiore si concentrato sul problema della traduzione. Gli
studi pi recenti di antropologia delle emozioni, si sono sforzati di tradurre quei
concetti e quelle parole che, in determinati contesti sociali, vengono usati per
esprimere particolari stati danimo, sentimenti ed emozioni.
Molte culture presso le quali gli antropologi hanno condotto ricerche sulla
dimensione dellinteriorit mancano di un termine unico per indicare gli stati danimo
che noi chiamiamo emozioni. Esse vengono modulate in relazione a una serie
complessa di fattori: et, genere, posizione social, contesto pubblico o privato,
concezioni locali della mente e del corpo.
Molti degli studi condotti dagli antropologi sulle emozioni hanno cercato di mettere
in evidenza il rapporto di queste ultime con il sistema delle interazioni personali e
delle relazioni sociali.
Vi sono inoltre molti altri stati danimo, emozioni e sentimenti connessi con
espressioni corporee che mutano da cultura a cultura. Tali espressioni sono apprese
dagli individui, tanto come frutto di un insegnamento quanto come effetto
dellimitazione. Tutte le culture hanno un modo razionale di parlare delle
emozioni, poich possiedono nozioni e concetti atte a descriverle. Le emozioni non
sono qualcosa che si oppone al pensiero, ma cognizioni che interessano un Io
corporeo, pensieri incorporati.
talvolta estremamente complesse. Tra i simboli, lultimo della tabella, chiamato Ego,
indica lindividuo attorno al quale viene costruito un diagramma, e dal cui punto di
vista il diagramma di parentela va letto.
Non sempre i diagrammi di parentela riproducono la realt delle relazioni esistenti
tra gli individui. Infatti tendono a riprodurre lidea che gli attori sociali hanno delle
proprie relazioni. I diagrammi infatti nascondono, sotto unapparente immagine della
parentela come fatto naturale, il carattere eminentemente sociale e culturale di
essa.
Vi sono altri elementi che servono a costruire i diagrammi di parentela. Si tratta di
sigle utilizzate per designare gli individui in rapporto a Ego. Luso di queste sigle
spesso fondamentale poich consente di descrivere i parenti di Ego
indipendentemente dal modo in cui, nella societ di questultimo, si soliti chiamare
o rivolgersi ai parenti. Infatti, non tutti i popoli designano allo stesso modo i parenti.
Quelli che noi, ad esempio, chiamiamo nipoti, presso alcune societ possono essere
chiamati figli, e gli zii diventano i padri. Questi sono modi del tutto coerenti e
razionali di classificare i parenti. Luso dei simboli e delle sigle consente di
rappresentare connessioni estremamente complicate in maniera rapida ed efficace.
Consente di tralasciare tutti gli individui che sono superflui rispetto allo scopo per il
quale il diagramma viene tracciato. Tutte le societ, bench in misura differente, si
sono applicate, per quanto ne sappiamo, a escogitare sistemi per definire dei gruppi e
a elaborare regole in base alle quali assegnare la prole a un gruppo piuttosto che a un
altro.
Ci troviamo in presenza di gruppi fondati sul principio della discendenza. Si tratta di
gruppi di individui i quali, per il fatto di discendere da un antenato comune, sono in
grado di far coincidere, popolazione e risorse, di affermare su queste ultime dei diritti
duso prioritario, e di trasmetter tali diritti ai loro discendenti, ossia a tutti quegli
individui che, nascendo, saranno inclusi nel gruppo in base al criterio della comune
discendenza. I tipi di discendenza sono essenzialmente tre:
- patrilineare: stabilita esclusivamente attraverso legami tra individui di sesso
maschile;
- matrilineare: fondata esclusivamente sui legami tra individui di sesso
femminile;
- cognatica: fondata su legami stabiliti attraverso una linea di discendenza che
comprende individui dia di sesso maschile che di sesso femminile.
Esistono anche societ a discendenza doppia le quali associano il principio della
patrilinearit a quello della matrilinearit.
Con lespressione gruppo corporato si indicano quei gruppi fondati sul principio
della discendenza i quali condivido, su basi collettive, diritti, privilegi e forme di
cooperazione economica, politica e rituale.
I lignaggi sono quasi sempre dei gruppi corporati. Ogni lignaggio costituito da tutti
coloro che possono tracciare una comune discendenza da un determinato individuo.
Clan sono invece chiamati quei gruppo di discendenza i cui membri non possono
ricostruire la successione degli individui che connettono i loro rispettivi lignaggi
2. Le terminologie di parentela
Una terminologia di parentela il complesso dei termini di cui una societ dispone
per designare gli individui in relazione di consanguineit o di alleanza. Alcuni
preferiscono parlare di terminologie di relazioni; altre culture possono in alcuni
casi non evocare lidea di un legame n di sangue n di alleanza.
Morgan deriv il primo degli assunti che sono alla base della natura delle
terminologie di parentela e cio che queste ultime costituiscono dei sistemi. Il
secondo assunto di Morgan quello per cui i sistemi terminologici di parentela
rientrano in poche categorie fondamentali. Il terzo assunto quello secondo cui
sistemi molto diversi possono trovarsi in regioni geograficamente vicine, mentre
sistemi tra loro simili possono essere rintracciati in localit lontanissime una
dallaltra.
Gli antropologi hanno isolato sei tipi di sistemi terminologici di parentela e hanno
assegnato loro i seguenti nomi: hawaiano, eschimese, omaha, crow, irochese e
sudanese. Questi prendono il nome da popoli o sa regioni presso cui tali sistemi
furono individuati o studiati per la prima volta. Questi sei tipo sono raggruppati in tre
differenti categorie:
1) Sistemi non lineari o bilaterali di cui sono propri quello hawaiano e
leschimese. I sistemi non lineari danno tendenzialmente la stessa importanza a
entrambe le linee di discendenza di Ego, quella patrilaterale e quella
matrilaterale.
2) Sistemi lineari che adottano il principio della biforcazione, ovvero fondono i
parenti dello stesso sesso e della stessa linea di discendenza di Ego. A questi
sistemi appartengono quello irochese, quello crow e quello omaha.
3) Sistemi descrittivi. Caratteristica di questi sistemi luso di un termine
differente per ogni parente di Ego appartenente alla propria generazione, a
quella dei genitori e a quella dei propri figli. Si tratta di sistemi a massima
distribuzione terminologica.
risorse e stabilire i criteri daccesso a queste ultime che, in molti casi, sono possedute
su basi collettive.
I gruppi di discendenza patrilineari sono quelli che ricorrono pi frequentemente.
Centrale per ogni gruppo patrilineare, la preoccupazione di avere maschi che ne
assicurino la continuit attraverso le successive generazioni. Queste societ hanno
istituzioni e regole finalizzare allacquisizione di prole maschile. Si tratta, di
conseguenza, di istituzioni e regole che si applicano al controllo delle facolt
riproduttive degli individui di sesso femminile. Il controllo della fertilit delle donne
ha comportato, presso questo tipo di societ, la nascita di vasti sistemi di scambio
matrimoniale i quali prevedono il coinvolgimento di numerosi gruppi.
I sistemi di discendenza di tipo matrilineare non sono la copia speculare di quelli
patrilineari. Ci che non consente di pensarli come tali la distribuzione asimmetrica
del potere e dellautorit tra maschi e femmine. Nei sistemi matrilineari, infatti, come
in quelli patrilineari, il potere e lautorit sono prerogativa degli uomini e non delle
donne. Mentre nelle societ patrilineari la discendenza e lautorit sono trasmessi
lungo la medesima linea, in quelle matrilineari la loro trasmissione si effettua lungo
due linee diverse: la discendenza per via femminile, lautorit per via maschile.
In questo tipo di societ lautorit si trasmette dal fratello di una donna al figlio
maschio di questultima. Lavuncolato il nome che gli antropologi hanno dato a un
complesso di elementi culturali che caratterizzano la relazione tra un individuo e il
figlio di sua sorella.
Uno dei maggiori problemi che le societ a discendenza matrilineare devono
affrontare come risolvere la tensione tra il potere e la discendenza. Al centro di tale
tensione troviamo infatti il fratello di una donna e il marito di questultima che si
contendono il controllo sulla prole della donna stessa. In definitiva per, non esiste
una conclusione valida per tutte le societ, ma si pu valutare la posizione della
donna in base allautorit maggiore o minore che su lei esercitano il marito da un lato
e il fratello dallaltro.
1. Concetti e culti
La nozione di religione possiede per noi un significato scontato. Sembra infatti
rinviare a un complesso di credenze che si fondano da un lato su dogmi e dallaltro su
riti, cerimonie e liturgie che hanno lo scopo di avvicinare i fedeli a delle entit
soprannaturali. Pensiamo infine che la religione abbia dei luoghi particolari in cui
viene praticata: chiese, sinagoghe, moschee, templi. tuttavia sufficiente compiere
un rapido giro etnografico per trovare popoli che non hanno dogmi della fede, altri
che non hanno dei, e altri ancora che non hanno n templi n individui specializzati
nelle attivit di culto. Troviamo semmai esseri umani che immaginano una vita dopo
la morte, che pensano il corpo come animato da un soffio vitale, che si
rappresentano il mondo come percorso di forze invisibili.
Tylor esortava a non considerare la religione come qualcosa di troppo simile allidea
che ne avevano gli europei e cio come di qualcosa composto da credenze, riti,
divinit, miti della creazione, quindi in quanto prodotto della volont degli europei di
ritrovare altrove qualcosa di simile a quello che essi conoscevano.
Se spostiamo lattenzione dagli aspetti formali e istituzionali della religione a quelli
motivazionali (che cosa spinge luomo a credere), avremo forse la possibilit di avere
una visione pi unitaria del fenomeno e cogliere la natura dellesperienza religiosa.
In generale una religione potrebbe essere definita come un complesso pi o meno
coerente di pratiche e di rappresentazioni che riguardano i fini ultima e le
preoccupazioni estreme di una societ di cui si fa garante una forza superiore
allessere umano. Questa definizione tocca due dimensioni: quella del significato che
sta nei valori esprimenti i fini ultimi e le preoccupazioni estreme di una societ; e
quella del potere che risiede nellidea che vi sia qualcosa o qualcuno che ha lautorit
di sanzionare tali valori. La religione ha il compito di spiegare limportanza
indiscutibile di quei valori stessi, di affermarlo e ribadirli; svolgendo di conseguenza,
una funzione integrativa nella pretesa di difendere la verit dei valori che crede debba
assumere la societ e, al tempo stesso, una funzione protettiva nel mettere a riparo gli
individui dalle insicurezze connesse con la vita personale e collettiva.
Nel 1966 Wallace distinse i tipi di culto in: individuali, sciamanici, comunitari ed
ecclesiastici.
I culti individuali sono quelli praticati dal singolo individuo allinterno di un codice
religioso culturalmente e socialmente condiviso di rappresentazioni.
I culti sciamanici sono quelli tipici di societ nelle quali il contatto con le potenze
invisibili assicurato, oltre che dal culto individuale, dallopera di una particolare
figura, uomo o donna, definita sciamano. Sciamano indica in maniera generica quei
personaggi che detengono un posto particolare nella vita religiosa e rituale della
comunit e che associata con il potere di curare malattie di vario tipo. Caratteristica
dello sciamano quella di essere un individuo come gli altri nella vita di tutti i giorni,
e che solo occasionalmente veste i panni della sua funzione.
I culti comunitari sono pratiche religiose che prevedono la partecipazione di gruppi di
individui organizzati sulla base dellet, del sesso, della funzione, del rango, oppure
su base volontaria e che si riuniscono temporaneamente per questo preciso scopo
senza alcun aspetto di permanenza e continuit delle funzioni cultuali. I gruppi
organizzati possono avvalersi della partecipazione di sciamani, gruppi di danza,
suonatori ecc. Un tipo speciale di culto comunitario quello chiamato totemico. Il
termine totem deriva dallespressione ototeman che significa qualcosa come egli fa
parte della mia parentela. I primi studiosi di antropologia parlarono di totemismo,
ritenendo che tutto ci che potesse segnalare luso di termini di animali o piante in
relazione a individui o a gruppi di essi, dovesse essere considerato una forma di
religione primitiva. Il totemismo comprende un complesso di fatti tra loro
estremamente eterogenei.
I culti ecclesiastici sono infine quelli che prevedono lesistenza di gruppi di individui
specializzati nel culto, come i sacerdoti. Con i culti ecclesiastici siamo di fronte a
religioni in possesso di testi quasi sempre scritti, i quali vengono tramandati in luoghi
speciali di istruzione.
2. Simboli e riti
Alla base di ogni rappresentazione religiosa, ha scritto Geertz, vi sono dei simboli
sacri i quali servono a sintetizzare lethos di un popolo, il tono, il carattere e la qualit
della sua vita, il suo stile e il suo sentimento morale ed estetico, nonch la sua
visione del mondo, limmagine che ha di come sono effettivamente le cose, le sue
idee pi generali dellordine. I simboli religioni sono infatti sacri, e quella di sacro
certamente una nozione centrale del pensiero religioso.
Secondo Durkheim le cose sacre sono quelle che suscitano negli esseri umani rispetto
e timore reverenziale, al punto da essere concepite come pericolose per chiunque le
avvicini senza la condizione appropriata per farlo. I simboli sacri producono,
nellanimo di chi ne riconosce il significato, unidea rappacificante di ordine; sono
ci che consente alla religione di svolgere la sua duplice funzione: integrativa e
protettiva. Per far s che un simbolo sia per riconoscibile come sacro bisogna infatti
che la sua sacralit si imponga alla sensibilit e alla mente dei soggetti.
Un rito pu essere inteso come un complesso di azioni, parole, gesti la cui sequenza
prestabilita da una formula fissa. I riti, sono di solito officiati da personaggi speciali
in qualche modo dotati di autorit: un sacerdote nel caso della processione, un
capofamiglia nellesecuzione del sacrificio musulmano, un gruppo di anziani in altri
casi. I riti sono ci che rende evidenti le verit della religione, ossia i valori, i fini
ultimi, lordine del cosmo e della societ; sono degli atti aventi come fine quello di
rassicurare gli individui di fronte alle incertezze e alle tensioni dellesistenza. Vi sono
dei riti che si distinguono per alcune caratteristiche particolari a cui gli antropologi
hanno dedicato importanti studi teorici.
I riti di passaggio sono quelli che sanzionano pubblicamente il passaggio di un
individuo, o di un gruppo di individui, da una condizione sociale o spirituale a
unaltra: battesimi, circoncisioni rituali, matrimoni, funerali, insediamenti ecc. Van
Gennep distinse, allinterno di ciascun rito di passaggio, tre fasi, ciascuna
caratterizzata da rituali specifici, separazione (riti preliminari), margine (riti liminari)
e aggregazione (riti postliminari), attribuendo la massima importanza a quella
centrale, o di margine in quanto espressamente dedicata al controllo della fase pi
incerta e delicata del passaggio. proprio nella fase di margine che lindividuo pu
essere involontariamente responsabile dello scatenamento di forze ambigue,
pericolose e diffuse capaci di mettere a repentaglio lordine sociale e concettuale.
Di fronte alla morte le comunit fanno riferimento ai valori ultimi sui quali esse si
fondano. I riti funebri contengono gesti, azioni e parole che richiamano, nella mente
di coloro che vi partecipano, i valori e i significati su cui la comunit in questione
fonda lordine del mondo e di s medesima. Certo i riti possono variare di molto nella
forma e nella sostanza a seconda che si celebrino in onore di un defunto di alto o di
basso rango sociale, a seconda che sia un uomo o una donna, un adulto o un bambino,
che si tratti di una persona importante. Molte di queste differenze dipendono dalla
complessit della struttura della societ in questione. Proprio perch contrapposta alla
vita, la morte appare agli esseri umani priva di senso. Per continuare a esistere, le
societ devono rendere ragionevole la morte e, a tale scopo, connetterla con i valori
e le rappresentazioni che danno un senso alla vita stessa.
I culti messianici, infine, sono quelli a sfondo carismatico, legati alla presenza di una
forte personalit (messia) e che sono sorti dallincontro fra culti locali e
cristianesimo.
Un classico esempio della compresenza di elementi nativistici, di rivitalizzazione e
messianici costituito dal culto del cargo, tipico dellarea melanesiana, il quale ruota
attorno alla credenza nellarrivo di grandi bastimenti (cargo) carichi dei beni
caratteristici della civilt occidentale. Il cargo sarebbe stato inviato dagli spiriti degli
antenati alle popolazioni di questarea per risollevarle dallo stato di decadenza
culturale e sociale in cui erano sprofondate in seguito alla colonizzazione.
Alla moltiplicazione e alla frantumazione della dimensione religiosa nel mondo
globalizzato, dove la religione sembra oggi tornare a essere il principale punto di
riferimento per migliaia di gruppi e di comunit alla ricerca di un senso da dare al
mondo e alla propria vita, si contrappone una rappresentazione della religione come
dato monolitico, assolutamente coerente, totalizzante e capace di definire intere
identit culturali. Le strategie planetarie emerse alla fine del XX secolo hanno trovato
estremamente comoda e semplificatrice lidea della religione come qualcosa che
esaurisce la molteplicit delle espressioni culturali di popoli con culture, tradizioni,
costumi, strutture sociali e sensibilit estetiche tra loro molto differenti.
Limmagine del mondo diviso in religioni anche una pericolosa mossa ideologica
e politica suscettibile di produrre forme di contrapposizione irriducibile e di scontro
laddove, invece, vi sono o possono esserci spazi di ascolto, comprensione reciproca e
dialogo tra culture.
Nel mondo attuale la religione tende a subire un processo di ci che abbiamo
chiamato essenzializzazione. Tale processo favorito dai media che tendono a
diffondere con grande facilit e velocemente immagini e rappresentazioni culturali, di
s e degli altri. Quando la religione diventa un modo per rappresentare gli altri e s
stessi, possibile che essa diventi motivo di confronto politico, soprattutto se la
differenza religiosa, equiparata alla differenza culturale, diventa strumento di
manipolazione ideologica da parte di qualcuno.
1. La creativit culturale
Le culture producono, a partire da esperienze passate e presenti, nuovi significati
mediante accostamenti tra rappresentazioni e patiche precedentemente non correlate.
La creativit culturale strettamente legata a una caratteristica del linguaggio umano:
la sua produttivit infinita. La creativit culturale consiste nella possibilit che gli
esseri umani hanno di produrre sempre nuovi significati a partire da modelli culturali
a loro disposizione. intesa come capacit di produrre novit mediante la
combinazione e la trasformazione delle pratiche culturali esistenti, non soltanto
presente in tutte le societ, ma trova anche riscontro in campi molto diversi dalla
tecnologia, la scienza e larte.
2. Lespressione estetica
Ci a cui diamo il nome di arte ci viene automatico collegarlo anche allidea di
creativit. Il concetto di arte rientra per noi in questa categoria ma rinvia a una tale
quantit di rappresentazioni riguardanti lartista, il suo prodotto, il valore economico
di ci che viene creato, la sua fruibilit, nonch la sua finalit, che si hanno forti
dubbi sulla possibilit di definire arte ci che, prodotto in altri contesti culturali pu
benissimo non essere considerato artistico altrove.
Le arti si ripartiscono in arti visive e non visive. Le arti visive comprendono quelle
platiche (scultura, intaglio, ceramica) e quelle grafiche (pittura e disegno). La danza,
il teatro, il cinema e la televisione sono anchesse forme di arte visiva. Invece la
poesia, loratoria, la musica e il canto appartengono alle arti non visive.
In tutte le culture vi sono modi diversi di accostare colori, forme, parole, suoni e
movimenti del corpo, i quali producono uno stato percettivo capace di suscitare
reazioni e stati danimo di un tipo diverso da quelli indotti dalle azioni e dalle
immagini della vita ordinaria. La percezione estetica non ha a che vedere soltanto con
lidea della bellezza e del suo contrario. Il senso estetico in parte un fatto soggettivo
contrario, consideravano leconomia come rapporto degli esseri umani con la natura e
con i propri simili.
Diversamente dai marxisti, Polanyi privilegia la distribuzione e lo scambio rispetto
alla produzione. Secondo Polanyi le forme di distribuzione e scambio presenti nelle
diverse societ sono tre: reciprocit, redistribuzione e mercato.
Si parla di mercato quando i prezzi e lorganizzazione degli scambi sono regolati
dalla moneta. Il prezzo determinato dalla legge della domanda e dellofferta.
Il mercato caratteristico delle societ industriali.
Influenzato dallo studio di Malinowski, Boas e Mauss, Polanyi elabor unidea di
economia come rapporto concreto degli esseri umani con la natura da un lato e con i
propri simili dallaltro. Questa visione delleconomia metteva laccento sulla
dimensione sociale di questultima, per cui le risorse e i beni prodotti erano
considerati come aventi soprattutto destinazione sociale.
Combinando la teoria di Polanyi con quella di Marx, lanalisi antropologica ha potuto
accostarsi alle forme di vita economica secondo nuove prospettive. Molte societ
dellAfrica e dellAsia sono state infatti studiate da un punto di vista che evidenzia
alcuni aspetti centrali del processo produttivo inteso come fenomeno sociale.
In uno studio dedicato ai Gouro della Costa dAvorio, lantropologo francese Claude
Meillassoux si prefisse di studiare quale tipo di rapporti sociali determinasse
lorientamento economico allinterno di ci che chiam comunit domestiche, cio
gruppi di individui per lo pi consanguinei e alleati coresidenti, i quali contribuiscono
allo svolgimento delle attivit di sussistenza di interesse comune. Secondo
Meillassoux, la comunit domestica si fonda su un accesso paritario di tutti gli
individui al mezzo di produzione per eccellenza, la terra. Tuttavia allinterno di tale
comunit vige il principio dellanzianit sociale come fondamento dellautorit. Sono
infatti gli anziani, cio uomini sposati con una prole in grado di lavorare la terra, a
detenere il controllo delle risorse. Tali risorse non coincidono per tanto con la terra e
gli attrezzi, ma sono piuttosto le donne, laccesso alle quali regolato dagli anziani
delle varie comunit domestiche: le donne sono la risorsa fondamentale grazie alla
quale gli individui possono diventare a loro volta indipendenti. Concedendo ai
giovani delle mogli, essi consentono loro di dare inizio a un nuovo ciclo domestico,
che vedr i nuovi anziani, cio i giovani di una volta, controllare a turno la
produzione agricola e la riproduzione della comunit.
Secondo diversi autori, tra cui lo stesso Meillassoux, la comunit domestica stata
funzionalmente incorporata dalle forme economiche e sociali. In et coloniale e
post-coloniale, le comunit domestiche di molti paesi africani sono divenute le
rifornitrici di manodopera sia per le piantagioni che per le industrie, tanto in Africa
quanto in Europa. Ci significa che il modo di produzione dominante nelle societ
tradizionali africane entrato, a un certo momento, in un rapporto di articolazione e
di dipendenza da quello capitalista. In conseguenza di questo fatto per la comunit
domestica delle societ africane si indebolita.
Larticolazione dei modi di produzione comporta il progressivo coinvolgimento dei
sistemi locali in sistemi pi ampi e, molto spesso, una forma di dipendenza
strutturale dei primi dai secondi.
concrete come se fossero disposte su una linea continua dalle forme pi semplici a
quelle pi complesse.
Negli ultimi decenni prevalso, come in tutti i settori di studio dellantropologia, uno
scetticismo nei confronti di tali classificazioni. Le forme di organizzazione politica
tendono infatti a sfumare le une nelle altre.
Elman Service ha proposto una tipologia delle forme di organizzazione politica: le
bande, le trib, le chefferies, o domini, o potentati e gli Stati.
Le prime due forme sono acefale, mentre le ultime due sono centralizzate.
La banda stata ritenuta dagli antropologi la forma pi elementare di
organizzazione politica, caratteristica dei gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi.
le bande sono piccoli gruppi basati sui legami di parentela, che possono essere reali o
fittizi e sono creati e mantenuti attraverso matrimoni e scambi.
Le bande si caratterizzano per essere fluide: i loro componenti possono cambiare da
un anno allaltro in maniera piuttosto significativa.
Le bande di cacciatori e raccoglitori sono fortemente egualitarie. Esistono persone
pi influenti delle altre, ma non per nascita: tutte le differenze di status sono
acquisite. Si pu acquisire prestigio guadagnandosi la stima e il rispetto degli altri, in
conseguenza di qualit o atti culturalmente valorizzati.
I cacciatori e raccoglitori sono privi di un diritto formalizzato; i conflitti sono risolti
ricorrendo ai legami di parentela. Nelle societ di questo tipo, i contrasti sono, in
genere, di natura personale.
Le trib sono, generalmente, riscontrabili presso popolazioni agricole o pastorali
(forme non intensive di produzione e sono organizzate in villaggi e/o gruppi di
discendenza. La societ tribale priva di classi sociali e di un potere centrale con
capacit di decisione, di controllo e di coercizione nei confronti dei gruppi di
discendenza che la costituiscono.
Generalmente, nelle societ organizzate in trib, guerre di piccola scala tra villaggi
sono frequenti. La risoluzione delle dispute spetta a capi villaggi, big men (figura
dellarea melanesiana e polinesiana), leader dei gruppi di discendenza, consigli di
villaggio e/o di associazioni pan-tribali.
Esistono quindi delle figure di autorit, ma questi individui godono di unautorit
limitata: esercitano il loro ruolo attraverso la persuasione e lesempio, ma non
dispongono di mezzi di coercizione.
Come le bande, le trib sono egualitarie; spesso, tuttavia, la stratificazione di genere
forte. Lo status dipende dal genere, dallet, da caratteristiche e capacit personali.
Nella letteratura antropologica le trib si distinguono a seconda della presenza o
meno di alcune caratteristiche che per sono spesso compresenti. Queste
caratteristiche sono i lignaggi segmentari, certe forme di stratificazione rituale, i
consigli di villaggio e i sodalizi.
I lignaggi segmentari sono i gruppi di discendenza unilineari costitutivi di una trib.
Essi sono di fatto dei gruppi corporati ma prendono il nome di segmentari perch
sono suscettibili di frazionarsi o di aggregarsi in segmenti di minore o di maggiore
estensione. In societ di tal genere viene posta grande enfasi sulla parentela
consanguinea, un fattore che di per s evoca, anche se a livello di pura