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Riassunto - libro "Elementi di antropologia culturale" - Ugo


fabietti

Antropologia culturale (Universit di Bologna)

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ELEMENTI DI ANTROPOLOGIA CULTURALE- UGO FABIETTI

Parte prima- Genesi e natura dellantropologia culturale

1. Origini e significato dellantropologia


Antropologia significa letteralmente studio del genere umano. Questa per una
definizione vaga perch sono molti i saperi e le scienze che studiano il genere umano
tra cui la filosofia, la psicologia, la sociologia, la storia, la demografia e la genetica.
Ed anche imprecisa perch non ci dice quale aspetto del genere umano costituisca il
suo oggetto si studio privilegiato.
In questo libro ci si occuper dello studio del genere umano dal punto di vista
culturale, ovvero delle idee e dei comportamenti espressi dagli esseri umani in tempi
e luoghi distanti tra loro. Lantropologia, ossia linsieme delle riflessioni che sono
state condotte attorno a tali comportamenti e idee, ha preso spunto dal fatto che gli
esseri umani si rivelano molto diversi oggi rispetto a un tempo.
Le origini dellantropologia non sono facili da stabilire; risalgono forse al greco
Erodoto (VI sec a.C.) il quale per non parl mai di antropologia. Le radici
dellantropologia pi immediatamente riconoscibili risalgono piuttosto
allumanesimo europeo, al Quattrocento e ai dibattiti che fecero seguito alla scoperta
del Nuovo Mondo e dei suoi abitanti, della cui esistenza nessuno, in Europa, avrebbe
mai sospettato. Non mancano per in altre epoche e presso popoli extraeuropei,
tentativi di riflessione. Lumanesimo europeo pose il genere umano al centro della
riflessione filosofica, dellarte e della letteratura, nonch della scienza medica. Il
genere umano, pur rimanendo il fine ultimo del progetto divino, divenne un soggetto
capace di forgiare il proprio destino, nonch di esplorare la natura studiandone le
leggi e i meccanismi nascosti. Gli umanisti rimasero legati a unidea di umanit
idealizzata, pensata in riferimento alle societ classiche.
La scoperta (1492) e poi la conquista dellAmerica posero, allEuropa cristiana,
quesiti precedentemente poco considerati o addirittura inimmaginabili. Gli europei
cominciarono a interrogarsi circa la natura di queste popolazioni definite ora selvagge
e ora barbare. Con lespansione coloniale e i traffici commerciali, con la conquista e
lopera missionaria, i contatti degli europei con gli altri popoli si intensificarono in
maniera impressionante e di conseguenza crebbero le descrizioni dei loro costumi e
delle loro istituzioni sociali. Si pu infatti parlare di un vero e proprio progetto
scientifico di segno antropologico solo a partire dalla seconda met del XVIII secolo,
quando grazie agli illuministi la riflessione sul genere umano acquist
definitivamente i caratteri di una riflessione su soggetto universale. In quanto
disciplina accademica poi, le origini dellantropologia culturale sono ancora pi
recenti, dal momento che listituzione dei primi insegnamenti di questa materia risale
per lo pi allultimo quarto dellOttocento. Infatti, nel corso dellOttocento linteresse
per i popoli esotici and crescendo perch le maggiori potenze europee si erano
impegnate nella conquista di nuove regioni in Africa, in Asia e in Oceania, mentre
negli Stati Uniti i pellirosse e la residenza indiana erano confinati nelle riserve.

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Se ci si chiedesse cosa fanno gli antropologi si potrebbe rispondere dicendo che


prevalentemente si sono occupati dello studio delle istituzioni sociali e politiche, dei
culti, delle credenze religiose, delle tecniche di costruzione dei manufatti, dellarte
dei popoli lontani e diversi da quelli europei o dorigine europea. Gli antropologi si
sono dedicati allo studio dei popoli che per molto tempo sono stati chiamati
selvaggi, i quali costituivano popolazioni spesso fornite di una tecnologia assai
semplice, ignare della scrittura e con costumi che si segnalavano per la loro notevole
diversit rispetto a quelli degli europei. Oggi gli antropologi non studiano pi solo le
popolazioni delle savane africane, delle isole della Polinesia, dei deserti del Medio
Oriente o della foresta amazzonica. Essi studiano tanto le popolazioni urbane dei
paesi extraeuropei quanto della stessa Europa e del Nord America, i minatori delle
Ande e i gruppi di adolescenti nelle aree urbane dei paesi economicamente sviluppati.
Studiano le comunit di villaggio indiane e i fenomeni migratori verso lEuropa,
verso gli Stati Uniti e allinterno delle stesse aree meno ricche del pianeta; i
supermercati, le sette religiose, le imprese, gli ospedali, la tossicodipendenza, i
conflitti etnici, la prostituzione, il nazionalismo, il commercio di organi, la
fecondazione assistita e i culti del mondo postindustriale.
Nella seconda met dellOttocento gli antropologi si avvalevano delle testimonianze
di viaggiatori, esploratori, militari e funzionari coloniali. Tra fine dellOttocento e i
primi anni del secolo XX si verific tuttavia una svolta importante. Gli antropologi
cominciarono a recarsi personalmente presso i popoli che volevano studiare, dando
inizio a una nuova fase nella storia dellantropologia. Essi inaugurarono cio la
pratica della ricerca sul campo. Questo modo di fare ricerca prevede che le
conoscenze relative a una popolazione derivino dallosservazione diretta di un
ricercatore professionale. Essi si servono anche delle relazioni dei loro colleghi, o di
altri osservatori che antropologi non sono. Fare antropologia significa innanzitutto
voler affrontare lincontro con esseri umani con costumi diversi dai propri,
coniugando le conoscenze teoriche della disciplina con la personale esperienza di
osservazione, riflessione e ricerca.
Il fatto di pensare lumanit con le sue somiglianze e differenze, cos come i rapporti
che legano gli esseri umani al mondo animale o vegetale, non affatto una
prerogativa esclusiva delle grandi civilt storiche. proprio presso popoli semplici
che possiamo trovare affascinanti visioni della natura delluomo e del cosmo. Gli
occidentali non sono infatti gli unici detentori di un sapere del genere umano. Da
questo punto ti vista dunque, non solo esisterebbero tante antropologie, ma la
nostra antropologia sarebbe solo un caso tra tanti.
Lantropologia di cui qui si tratter un sapere che andato trasformandosi nel
tempo in relazione ai mutamenti della societ euro-americana e delle relazioni tra
questultima e i popoli della Terra. La visione dellantropologia comparativa e
globale perch il progetto di questo sapere quello di comprendere il senso
dellesperienza e della vita di un singolo popolo nel confronto con lesperienza e la
vita di molti altri popoli. Ci troviamo difronte a una forma di riflessione sullumanit
che si articolata attraverso il viaggio, lo spostamento, lincontro, tutte pratiche

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sviluppate in maniera sistematica da una societ a partire da un momento preciso


della sua storia.
Pensare antropologicamente significa anche elaborare un discorso sistematico sulla
differenza tra i modi di vita dei diversi popoli, su come le diverse comunit umane si
adattano ad ambienti differenti, sui loro culti, sulle loro istituzioni familiari e
politiche, nonch sulla loro sensibilit estetica e sulla loro creativit tecnica, per poi
partire alla ricerca di che cosa le avvicini le une alle altre.

2. Origini e metodi dellantropologia culturale


non facile dare una definizione di cultura perch tutti noi crediamo ormai di
sapere cosa essa sia. Potremmo dire che una cultura un complesso di idee, di
simboli, di comportamenti e di disposizioni storicamente tramandati, acquisiti,
selezionati e largamente condivisi da un certo numero di individui, con cui questi
ultimi si accostano al mondo, sia in senso pratico sia intellettuale.
Oggetto privilegiato dellantropologia sono le differenze che intercorrono tra le idee e
i comportamenti in vigore presso le varie comunit umane. Ci che gli antropologi
chiamano culture sono modi diversi in cui i gruppi umani che condividono certe
idee e certi comportamenti affrontano il mondo: interpretandolo, conoscendolo,
immaginandolo, adattandosi ad esso, trasformandolo.
Col tempo il termine cultura ha rivestito significati un po diversi che se non sono
in contraddizione tra loro, riflettono per vedute differenti su come la cultura vada
studiata. Taylor elabor la prima definizione antropologica di cultura a partire da idee
precedentemente espresse in campo filosofico, e ne fece un concetto che si accordava
con il progetto scientifico dellantropologia: la cultura, o civilt, intesa nel suo senso
etnografico pi ampio, quellinsieme complesso che include le conoscenze, le
credenze, larte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacit e abitudine
acquisita dalluomo in quanto membro della societ. Da Taylor in poi sono state
date molte altre definizioni di cultura la cui formulazione rivela la diversit di
approcci che hanno gli studi antropologici.
Al contrario degli animali che raggiungono una maturazione psichica che consente
loro di mettere in atto tutte le disposizioni finalizzate al controllo dellambiente
circostante nel giro di breve tempo, luomo acquisisce tale facolt solo molto pi
tardi.
Fabbricare certe cose piuttosto che altre, unirsi sessualmente con certi individui
piuttosto che con altri, pregare certe entit invisibili piuttosto che altre dipender da
ci che ci stato insegnato dal gruppo in cui siamo cresciuti.
Allo stesso modo comunichiamo con i nostri simili non mediante segnali
geneticamente programmati, ma sulla base di un codice linguistico specifico che
apprendiamo durante i primi anni di vita e che costituir il mezzo espressivo pi che
rilevante della nostra esistenza sociale.
Il fatto che negli esseri umani i comportamenti e le immagini del mondo non siano
geneticamente programmate, non significa che costoro siano totalmente liberi di
scegliere. Al contrario, nei pensieri come negli atti, gli esseri umani sono determinati,

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dal momento che devono adottare codici di comportamento sia pratico sia mentale
che siano riconoscibili e quindi condivisi da altri.
La cultura di un mondo poi, in definitiva, il complesso dei codici comportamentali e
ideazionali riconoscibili dal gruppo nel quale gli esseri umani vengono al mondo e
nel quale sono educati. Il processo di formazione degli individui non cessa bens, gli
esseri umani sono in grado di accumulare nuove esperienze e di rielaborarle
continuamente in base ai codici culturali di cui sono in possesso. Gli antropologi
hanno messo in rilievo alcuni di quegli insiemi di idee e di comportamenti che
chiamiamo cultura.
Noi ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in un modo piuttosto che in un altro,
perch seguiamo determinati modelli di comportamento e di pensiero e non altri,
modelli culturali diversi che orientano comportamenti differenti. Tali modelli sono
stati introiettati grazie alleducazione, implicita o esplicita, indiretta o diretta che le
persone in questione hanno ricevuto dal gruppo nel quale sono cresciute. Questi
modelli possono essere qualificati come modelli-guida per il comportamento e per il
pensiero in contesti culturali diversi. Grazie ai modelli (culturali) di cui dispongono,
gli esseri umani si accostano al mondo in senso pratico e intellettuale. Senza di essi
non potrebbero pensare, agire, in pratica sopravvivere.
Qualunque atto o comportamento umano finalizzato a uno scopo tanto materiale che
intellettuale guidato dalla cultura. La cultura operativa, poich mette lessere
umano nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi, adattandosi sia
allambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.
La cultura un complesso di modelli tramandati, acquisiti e selezionati. Ci significa
che le generazioni successive ereditano i modelli culturali delle generazioni
precedenti e ne acquisiscono di nuovi o in base alla propria esperienza di un mondo
in mutamento, oppure per linfluenza di modelli di altre culture, ma in ambedue i casi
(trasmissione e assimilazione) agisce sempre un principio di selezione. Tramite la
messa in atto di processi selettivi infatti, le culture rivelano il loro carattere di sistemi
aperti e chiusi al tempo stesso. Esistono certamente culture pi aperte alle novit,
cio culture pi pronte di altre ad assorbire modelli ed elementi che possono rivelarsi
utili o dannosi per una determinata cultura. In molti casi per, alcuni modelli sono
stati imposti con la violenza, con un danno irreparabile per la cultura di coloro che li
hanno subiti.
I processi di selezione tipici di tutte le culture lasciano intendere che queste ultime
sono dei complessi di idee e comportamenti che cambiano nel tempo. Le culture,
infatti, sono prodotti storici cio il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni.
Si trasformano tanto secondo logiche proprie, quanto in relazione agli elementi di
provenienza esterna con cui esse entrano in contatto. Tutte le culture hanno una loro
storia, alla cui origine vi limpossibilit, per ognuna, di rimanere identica a se
stessa. anche se i modelli culturali tendono a conservarsi e a mostrarsi resistenti al
cambiamento, questultimo di produce in virt del fatto che le culture sono sempre
sottoposte alle influenze esterne.
Allinterno di una comunit esistono tanti modi diversi si percepire il mondo, di
rapportarsi agli altri, di esprimersi, di comportarsi in pubblico. Tali differenze di

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comportamento hanno spesso a che vedere con il potere, la ricchezza, la posizione


sociale, listruzione; ma anche con le convinzioni, religiose o politiche che siano.
In passato queste differenze di cultura o dislivelli interni di cultura erano assai pi
evidenti, al punto che si parlava di cultura colta e di cultura popolare, dove la prima
era identificata con le scienze, le arti e le lettere, mentre la seconda era quella dei
rituali e delle feste paesane, delle credenze, del culto e della superstizione. Il pi delle
volte, limmagine che noi abbiamo delle culture spesso quella che i dominatori sono
interessati a trasmetterci; si parla di situazioni in cui una cultura, espressione di
interessi dominanti, si impone a unaltra allinterno della medesima societ.
La cultura esiste nella capacit che gli esseri umani hanno di comunicare. La
dimensione comunicativa centrale in qualunque processo di tipo culturale. I modelli
devono essere riconoscibili da tutti, e quindi comunicabili. Il fatto che i modelli
culturali debbano essere condivisi per poter essere compresi non significa che tutti
debbano per forza aderire a essi nel senso di seguirli o approvarli. Essi devono essere
riconosciuti come facenti parte di un sistema di segni condiviso. Se la cultura esiste
come insieme di segni riconoscibili questi, possono essere combinati secondo
sequenze riconoscibili ma innovative, capaci cio di creare nuovi significati. La
natura creativa della cultura ha riscontro in due caratteristiche del linguaggio umano:
luniversalit semantica e la produttivit infinita.
Il concetto di universalit semantica riassumibile nel dato che tutte le lingue sono in
grado di produrre informazioni relative a eventi del passato e del futuro, vicini e
lontani, reali e immaginari.
La produttivit infinita del linguaggio umano riguarda invece il fatto che data una
proposizione nulla ci dice che cosa potr seguire ad essa. Naturalmente noi siamo in
grado di anticipare spesso con buona approssimazione quale sar, date certe
premesse, la continuazione di un messaggio. Esiste un altro tipo di creativit
culturale. Essa consiste nella creazione di nuovi significati che modificano il nostro
modo di intendere le cose, rappresentare il mondo o di manipolare e modificare il
mondo naturale e sociale circostante. Per essere culturalmente rilevanti le innovazioni
devono implicare la riorganizzazione delle espressioni collettive e bisogna che siano
in qualche modo accettate dal sistema di modelli culturali correnti.
Il successo della creativit, nella cultura, sta nel dire parole, immaginare situazioni o
inventare cose che si allontanano da ci che una cultura gi conosce, ma che non
diventino per questo irriconoscibili o inutilizzabili dai componenti della societ nella
quale tale creativit si manifesta.

I modelli interagiscono sempre con altri modelli, ed la loro capacit di coniugarsi in


un insieme complesso pi o meno coerente che d vita a quel qualcosa che noi
chiamiamo cultura. Questo interagire e coniugarsi di modelli forma infatti un
complesso integrato. Per questo motivo si dice che la cultura unentit olistica (da
los- intero), cio complessa e integrata, formata da elementi che stanno in un
rapporto di interdipendenza reciproca.

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Secondo certi antropologi alcune culture sarebbero pi olistiche di altre, nel senso
che i loro elementi costitutivi sarebbero pensati in un rapporto di integrazione
maggiore rispetto a quanto avviene in altre societ.
Dal momento che la cultura da intendersi in maniera olistica, cio come correlata
nelle sue parti e approssimativamente integrata a livello di pratiche e di idee, il
compito degli antropologi si presenta arduo. Lantropologo che lavora sul terreno
deve, con seriet ed equilibrio percorrere lintera estensione dei fenomeni in ogni
aspetto della cultura tribale studiata, senza distinzione fra ci che banale, incolore o
comune e ci che lo colpisce come straordinario e fuori dal consueto. Nello stesso
tempo si deve analizzare lintero campo tribale in tutti i suoi aspetti. Una ricerca
antropologica, non mira a cogliere le culture in una loro improbabile interezza. Gli
antropologi di solito studiano determinati aspetti di una cultura. Tuttavia essi non
possono concentrarsi solo sullaspetto da loro prescelto come se tutti gli altri non li
interessassero. Qualunque sia loggetto privilegiato di indagine degli antropologi,
questi ultimi sono costretti a considerare un fenomeno in relazione a tutti gli altri.
Letnografia costituisce un elemento-chiave della ricerca antropologica. Essa
rappresenta lo studio di realt mediante ladozione di prospettive e tecniche
particolari. Il principale compito dellantropologo sul campo , come si sempre
detto, quello di raccogliere dati utili alla conoscenza della cultura che vuole studiare.
Questo compito si traduce in parte nella raccolta di storie e di miti relativi alla
comunit in questione oltre che nella annotazione delle norme e dei comportamenti
che gli individui presentano esplicitamente o sotto forma di racconto. Gran parte dei
dati che un antropologo acquisisce sono frutto dellosservazione e dellascolto che
lantropologo riesce a esercitare nei confronti dei comportamenti e delle parole
rispettivamente della gente in mezzo alla quale vive.
A partire dal confronto tra ci che dicono e ci che fanno le persone, lantropologo
pu stabilire che cosa realmente accade in una societ e quando di ci che accade
realmente sia in conflitto con ci che le persone pensano o dicono di pensare su un
certo argomento.
La ricerca antropologica si avvale, come altre discipline, del metodo dellintervista,
della compilazione di tabelle e questionari, di registrazioni audiovisive, della
campionatura di esemplari di ogni tipo e altro ancora. Ci che peculiare del metodo
antropologico, ci che lo differenzia da tutte le altre pratiche di ricerca, il fatto che
gli antropologi trascorrono molto tempo con le persone sulle quali compiono
ricerche. Una ricerca etnografica comporta che lantropologo viva a stretto contatto
con i soggetti della sua ricerca, condivida il pi possibile il loro stile di vita,
comunichi nella loro lingua o in una lingua conosciuta da entrambi, e che prenda
parte alle loro attivit quotidiane. Questa condivisione di esperienze stata chiamato
dagli antropologi osservazione partecipante.
lespressione osservazione partecipante qualcosa che permette di considerare con
un certo distacco (osservazione) lesperienza condivisa dallantropologo con gli
appartenenti a una cultura diversa dalla sua (partecipazione). Durante il suo lavoro
lantropologo impara a connettere automaticamente certi aspetti della vita dei suoi
ospiti. Lantropologo capisce inoltre che in certe culture leconomia pu essere legata

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a determinate forme di solidariet sociale o di religione, oppure al desiderio di


primeggiare attraverso la dissipazione; che per altre culture laggressivit che in
ciascuno di noi pu produrre effetti catastrofici grazie al semplice atto del guardare;
che in altre culture la concezione dello spazio pu essere modellata non dagli assiomi
di Euclide, ma dalle relazioni sociali.
Durante il lavoro sul campo lantropologo e le persone con le quali interagisce
entrano in una relazione assai pi complessa di quanto potrebbe far pensare
unetnografia intesa come semplice osservazione e registrazione di dati. Lelemento
partecipativo, necessario per cogliere le idee e i modelli culturali che si vogliono
analizzare, comporta una condivisione di esperienze e situazioni culturali che non
possono ridurre letnografia ad una semplice registrazione di dati:
per gli antropologi fare etnografia significa anche scoprire, dietro i comportamenti
e idee, altri comportamenti e altre idee connessi con i primi e che costituiscono una
loro possibile spiegazione. Questo lavoro reso possibile solo da una frequentazione
assidua e da una presenza interattiva con i propri interlocutori da parte degli
antropologi sul campo.
I pensieri dellantropologo infatti si impregnano dei pensieri dei suoi interlocutori,
per cui la visione della societ che questultimo studia sar determinata sempre dalla
visione che ne danno i suoi componenti. Il compito dellantropologia quello di
gettare un ponte tra le culture.
Il lavoro sul campo in effetti qualcosa che non prevede solo la raccolta dei dati, ma,
oltre che linterazione con la comunit studiata, anche una faticosa negoziazione del
ruolo dellantropologo con soggetti politici di varia natura. Comunque sia, la
dimensione etnografica conferisce allantropologo un tono particolare in quanto fa di
questa disciplina un sapere che si fonda sullo studio di contesti socio-culturali
specifici e, soprattutto, un sapere basato su esperienze dirette in contesti culturali
diversi dal proprio.

3. Le caratteristiche fondamentali del ragionamento antropologico


Pensare antropologicamente una prerogativa di chi possiede competenze radicate,
anzitutto nellesperienza etnografica e nella ricerca sul campo. Altre competenze
sono invece acquisite mediante lo studio, la discussione e lapplicazione di ipotesi e
teorie che fanno capo a un certo numero di assunti fondamentali.
La prospettiva olistica ha indotto gli antropologi per lungo tempo a privilegiare lo
studio di comunit di piccole dimensioni, dove linterconnessione tra i differenti
aspetti della vita sociale e culturale pu essere colta meglio che altrove. La
prospettiva olistica rimane centrale in quanto legata alla problematica del contesto. Se
si adotta una prospettiva del tipo olistico il ricercatore obbligato a considerare ogni
aspetto della cultura in relazione ad altri aspetti di essa, cio a definire il contesto in
cui si collocano i fenomeni da lui presi in considerazione. La ricostruzione del
contesto consente di far emergere le varie sfaccettature e i differenti significati che un
dato fenomeno pu assumere se osservato da punti di vista differenti.
Fin dalle sue origini lantropologia si presentata come un sapere universalista che
considera tutte le forme di produzione culturale e di vita associata come degne di

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attenzione e utili alla conoscenza del genere umano nel suo complesso. Questa
attenzione dellantropologia si tradotta in quella che potremmo definire unimpresa
etnografica generalizzata, consistente nello studio sul campo delle pi svariate
comunit.
Lantropologia stessa non per libera dalletnocentrismo, cio la tendenza istintiva
e irrazionale che consiste nel ritenere i propri comportamenti e i propri valori migliori
di quelli degli altri, nel senso che spesso anche gli antropologi interpretano la vita
degli altri popoli attraverso il filtro delle proprie categorie culturali. Tuttavia,
lantropologia si sforza di produrre modelli di analisi e di interpretazione che siano in
grado di rendere conto tanto dellunit quanto della diversit dei fenomeni che essa
studia.
Ai suoi esordi lantropologia si prefiggeva di giungere alla scoperta delle leggi che
segnano la trasformazione della cultura e della societ, dalle forme pi semplici fino
a quelle pi complesse. Pi che di un metodo comparativo vero e proprio si trattava
di un metodo illustrativo di tesi la cui validit era spesso data per scontata in
partenza.
Nel corso del secolo XX gli antropologi hanno progressivamente abbandonato questo
programma comparativo fondato sullaccostamento di somiglianze labili e
superficiali. Sono venuti cos emergendo due principali stili comparativi. Il primo si
esercita su societ e culture che sono storicamente interrelate o geograficamente
vicine. Il secondo stile comparativo prende invece in considerazione societ prive di
legami storici reciproci e cerca, attraverso laccostamento di fenomeni simili per
forma e per struttura, di pervenire allelaborazione di tipologie e conclusioni pi
ampie di quanto non lo faccia il primo stile comparativo. Gli antropologi tendono
oggi a precedere per gradini, ossia allargando progressivamente, a partire da un
ambito circoscritto, il raggio delle loro comparazioni. Ultimamente tuttavia prevista
la tendenza a effettuare comparazioni soprattutto per elaborare nozioni capaci di
descrivere in maniera unitaria atteggiamenti e comportamenti rilevanti dal punto di
vista della disciplina. Il compito dellantropologia diventa sempre pi quello di farci
cogliere lunit sotto lapparente diversit del comportamento e delle idee di certi
popoli, mentre altre volte in grado di mostrarci le profonde diversit che esistono
sotto la superficie di unapparente somiglianza.
La pratica etnografica consiste di esperienze di incontro con umanit portatrici di
valori, storie, memorie, assai diversi da quelle degli antropologi. Di conseguenza
questi ultimi devono prestare unattenzione particolare al modo di esprimersi di
coloro che di tali comunit fanno parte. Ci implica che lantropologia debba
praticare una cultura dellascolto , un atteggiamento intellettuale che mette in
condizione lantropologo di intendere la voce degli altri.
Dal punto di vista epistemologico il carattere dialogico dellantropologia rilevante
in quanto consente a due universi culturali di trovare uno spazio di incontro comune a
partire da qualche punto di riferimento condiviso.
La ricerca di un punto di riferimento si scontra con il problema linguistico, ma anche
e soprattutto con il senso che le parole rivestono allinterno di codici culturali diversi.

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Fare antropologia significa dedicarsi, in ultima analisi, a un lavoro di traduzione di


tipo soprattutto concettuale.
Lantropologia ha esercitato una potente funzione critica nei confronti di quegli
atteggiamenti di sopraffazione e di sottovalutazione delle culture pi deboli messi in
atto dai gruppi di interesse pi disparati. La funzione critica dellantropologia non si
esaurisce nella difesa delle culture pi deboli, ma consiste nellindividuare le
trasformazioni delle culture nei contesti storici che le hanno poste in contatto con le
forze del colonialismo e che oggi le espongono a quelle della globalizzazione.
Orientamento caratteristico della riflessione antropologica il relativismo culturale.
Con lespressione relativismo culturale si indica quellatteggiamento che consiste nel
ritenere che comportamenti e valori, per poter essere compresi, debbano essere
considerati allinterno del contesto complessivo entro cui prendono vita e forma.
Lantropologia relativista perch ritiene che le esperienze culturali altre non
possono venire interpretate attraverso lapplicazione scontata e ingenua delle
categorie della cultura dellosservatore. Per poter essere compresi, i comportamenti e
i valori devono essere letti in una prospettiva olistica. Il relativismo culturale,
tuttavia, non deve essere inteso come un abile trucco per giustificare tutto e tutti. Il
relativismo, se correttamente inteso, un atteggiamento intellettuale che mira a
comprendere, dove comprendere non significa affatto giustificare, ma collocare il
senso delle cose al posto giusto, nel loro contesto. Lo scopo del relativismo quello
di trovare modi difendibili, posto che ve ne siano, per far posto alla diversit.
In antropologia pi paradigmi possono costituire contemporaneamente i punti di
riferimento per gli studiosi di questa disciplina. Talvolta, paradigmi precedentemente
abbandonati riaffiorano successivamente sotto una forma differente. Non esiste quasi
un contesto definitivo su quasi nessuno dei temi affrontati dallantropologia. La
situazione pluriparadigmatica dellantropologia, infatti una conseguenza del fatto
che questo sapere radicato nellesperienza etnografica. Questultima si fonda
sullincontro, lascolto, il dialogo con umanit produttrici di significato e di
interpretazioni della loro stessa vita e del mondo che le circonda.
Nella seconda met dellOttocento lantropologia fu considerata uno strumento per
riformare la societ. eliminando le sacche di pregiudizio, superstizione e ignoranza.
Nello stesso tempo per fu concepita dai governi europei come uno strumento per
meglio conoscere i popoli delle colonie, e quindi per meglio controllarli.
Tra la fine dellOttocento e per tutta la met del Novecento furono condotte, sotto la
protezione e il finanziamento delle amministrazioni coloniali e dei governi, molte
importanti ricerche sui popoli dellAfrica, dellAsia, dellAmerica meridionale e
dellOceania. Gli antropologi collaborarono con le amministrazioni traendo
vantaggio falle occasioni di ricerca che queste ultime offrivano loro.
Verso la met del Novecento lantropologia ha vissuto poi una lunga stagione di
dibattiti interni, miranti a stabilire quanta parte la disciplina avesse avuto nel favorire
limpresa coloniale.
Dalla seconda met del Novecento in avanti gli antropologi sono stati spesso
implicati in progetti di sviluppo di varia natura: economici, educativi, sanitari.

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Un dovere degli antropologi sicuramente quello di far si che le conoscenze da loro


stessi elaborate non vengano usate per dominare, opprimere, discriminare, sfruttare
parti di umanit.
Negli ultimi anni venuta diffondendosi tra gli antropologi lidea che la loro sia una
disciplina riflessiva. Ci significa che lincontro con soggetti appartenenti a culture
diverse dalla propria, consente agli antropologi di esplorare la propria soggettivit e
la propria cultura. Le esperienze altre si riflettono infatti sullesperienza
dellantropologo che coglie meglio il senso delle vite altrui: assistere a una
manifestazione di gioia o di lutto. Lincontro con lalterit produce sempre un
tentativo di comprensione che induce a riflettere anche su se stessi.
Lantropologia applica metodicamente la dimensione riflessiva ma non per fare
dellincontro con le altre culture unesperienza personale, bens una vicenda
produttiva sul piano della conoscenza e che possa essere messa a disposizione di un
vasto pubblico. La dimensione riflessiva infatti centrale per lantropologia non solo
in quanto consente di cogliere meglio il punto di vista degli altri, ma anche perch
cos possiamo capire meglio noi stessi. Per ottenere questo risultato dobbiamo cercare
di osservare noi stessi attraverso lo sguardo degli altri. Lantropologia indica il
cammino per arrivare a quellapertura mentale che ci consentir di raggiungere tale
consapevolezza.

Parte seconda- Unicit e variet del genere umano

1. Razze, geni, lingue e culture


Nonostante lintensit crescente dei contatti tra le popolazioni del pianeta, non pu
non colpire la grande variet che caratterizza lumanit attuale. Tale variet si
manifesta a pi livelli di cui in primis, dal punto di vista fisico e poi sul piano
culturale.
Possiamo constatare altres elementi di forte unit delineata in primo luogo dal fatto
che i gruppi umani fanno parte tutti di una sola specie e sono tali in quanto tutti
produttori di cultura. Le lingue parlate poi, al di l delle enormi differenze che le
contraddistinguono, contengono strutture grammaticali paragonabili dal punto di
vista della complessit.
Per lungo tempo, laspetto degli esseri umani ha costituito il principale fattore di
riconoscimento della differenza.
In varie epoche storiche le differenze fisiche sono state di supporto a ideologie e
pratiche di discriminazione. Le ideologie della superiorit dei bianchi sui neri, degli
europei sugli africani e gli asiatici posero le basi concettuali, ideologiche e
giustificative di tutti i massacri e di tutte le persecuzioni razziali che insanguinarono
il nostro continente nella prima met del Novecento. Il razzismo, un atteggiamento di
autocelebrazione delle propria superiorit da un lato e di disprezzo per coloro che
sono ritenuti inferiori dallaltro, ruota attorno alla nozione di razza. Gli studiosi
tuttavia hanno dimostrato che non si pu parlare di razze umane perch non esiste
alcun criterio per individuarle che possa ritenersi scientificamente fondato. Non
possibile tracciare distinzioni nette tra gruppi umani basandosi sulle caratteristiche

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somatiche degli individui. La cosa pi corretta che si possa dire a proposito della
nozione di razza che tale nozione, oltre a costituire un prodotto del senso comune,
rappresenta un veicolo di stereotipi diffusi e persistenti in base ai quali lo stesso senso
comune opera distinzioni che sono quasi sempre connesse a pregiudizi, xenofobia,
interessi politici e problemi sociali.
Le ricerche scientifiche confermano infatti che le differenze somatiche tra gli esseri
umani, anche quelle pi evidenti, sono differenze superficiali e relativamente recenti
nella storia della nostra specie. Le origini anatomiche delluomo moderno sono da
situare in Africa orientale e risalgono a unepoca anteriore ai 100.000 anni fa. La
nostra specie ha poi raggiunto lo stato attuale circa 50.000 anni fa. Fu da questa data
che gli esseri umani cominciarono a differenziarsi somaticamente.
Le teorie dei genetisti sulla distribuzione dei geni umani, sembra ricevere una
conferma dagli studi sulla classificazione delle famiglie linguistiche. William Jones
not notevoli somiglianze tra il sanscrito, il latino, il greco, il celtico e il gotico. Con
il progredire degli studi, alcuni linguisti e glottologi cominciarono a intravedere
somiglianze e affinit tra altri gruppi di lingue, come quelle semito-camitiche e quelle
uraliche.
Di recente, un gruppo di studiosi, sulla base di nuove e pi solide conoscenze, sono
stati in grado di elaborare una visione del mosaico linguistico planetario come
riconoscibile a famiglie e superfamiglie a loro volta derivate da un ipotetico ceppo
comune. Non tutti i linguisti sono per oggi daccordo con questa visione unitaria, la
quale si basa pi che altro sulle similitudini fonetiche e morfologiche, facendo spesso
appello allarcheologia e alla storia economica e sociale.
Le migrazioni devono essere considerate in molti casi come leffetto di spinte
culturali allorigine della distanziazione genetica. In verit il corredo genetico degli
individui varia anche in conseguenza a fattori casuali (deriva genetica) e adattivi
(selezione naturale). La distanza genetica tra le popolazioni, e la sua larga
corrispondenza con la distanza tra famiglie linguistiche, non trova per alcun
corrispettivo nelle differenze culturali che le popolazioni presentano. Geni e lingue
cambiano a una velocit infinitamente minore rispetto a quella con cui mutano
comportamenti, usanze e modelli culturali.
Il grande sviluppo delle ricerche etnografiche nel corso del Novecento ha indotto gli
antropologi a sistematizzare le conoscenze acquisite secondo il criterio delle aree
culturali. Unarea culturale una regione geografica al cui interno sembra plausibile
comprendere una serie di elementi sociali, culturali, linguistici ecc, relativamente
simili.
La suddivisione del mondo per aree culturali deve essere considerata come
puramente indicativa delle maggiori differenze socio-culturali riscontrate
dallantropologia nel periodo aureo delletnografia. Tali aree erano semplicemente
dei modelli costruiti da antropologi e geografi culturali allo scopo di mettere ordine
nella grande variet di popolazioni, costumi, usanze e istituzioni che la ricerca andava
registrando e classificando. Soprattutto oggi che lintensificazione degli spostamenti
umani attraverso le regioni del pianeta diventata notevolmente superiore al passato,
parlare di aree culturali come si poteva fare nella prima met del Novecento poco

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realistico anche per la sempre maggiore pervasivit dei media che consentono di
recepire modelli culturali, espressivi, estetici, politici ecc, a livello globale. La scelta
di uno o pi elementi socio-culturali come tipici delle societ comprese in
determinate aree, ha inoltre finito quasi sempre per creare una distinzione tra societ
e culture pi rappresentative e meno rappresentative delle aree in questione.

2. Forme storiche di adattamento- Le societ acquisitive


Nel corso degli ultimi cinquantamila anni luomo anatomicamente moderno
andato diversificandosi non solo sul piano somatico, linguistico e culturale, ma anche
dal punto di vista delle forme di adattamento allambiente. Durante questi
cinquantamila anni la specie umana ha dovuto pertanto elaborare strategie di
adattamento altamente diversificate. Adattarsi a un ambiente particolare, costruire
utensili differenti per sfruttare il diverso ambiente circostante, inventare metodi
diversi per proteggersi dal freddo o dal caldo, mediare con altri popoli vicini che
avevano nel frattempo elaborato altri stili di vita, costituiscono le caratteristiche
principali dei gruppi. Queste forme di adattamento hanno al loro centro il lavoro.
Per circa quattro quindi di questa storia lunga cinquantamila anni, lhomo sapiens
sapiens, ha fondato il proprio adattamento sulla caccia-raccolta e sulla pesca con
strumenti tecnologicamente semplici ricavati dalle piante o dalle ossa di altri animali.
solo nellultima parte di questa storia che il genere umano ha compiuto la
rivoluzione agricola. Questultima risale a circa diecimila anni fa e ha portato con
se la nascita delle societ stratificate, la formazione delle citt, la nascita delle
religioni statuali nonch lelaborazione di forme di divisione del lavoro, la
centralizzazione politica e, infine, la scrittura.
Con la rivoluzione industriale prodottasi in Europa alla fine del secolo XVIII
lumanit ha conosciuto unaccelerazione precocemente impensabile nel campo della
produzione e dellinnovazione tecnologica. Fino a quella data lumanit rimase per
millenni legata a forme storiche di adattamento sviluppate nel corso della sua storia
precedente: la caccia-raccolta, lagricoltura e la pastorizia nomade.
Parlare di popoli cacciatori-raccoglitori significa rinviare alle nostre idee di origine
sociale e produrre una rappresentazione del nostro remoto passato. La caccia forniva
la maggior parte del cibo, e dagli animali essi traevano gran parte del materiale per la
fabbricazione di vestiti, utensili, armi, ripari e suppellettili varie. I cacciatori-
raccoglitori attuali invece catturano per lo pi piccole prede che non offrono loro un
supporto alimentare paragonabile a quello degli animali cacciati nella preistoria, e
nemmeno prodotti derivati. Anche dal punti di vista dellorganizzazione sociale vi
sono molte differenze. I popoli della preistoria a differenza dei cacciatori- raccoglitori
attuali formavano gruppi di varie centinaia di individui; i cacciatori-raccoglitori
attuali vivono in gruppi di venti-trenta individui al massimo. Altri gruppi recenti di
cui si hanno testimonianze vivevano per in villaggi permanenti e avevano
unorganizzazione sociale molto differenziata.
La caccia-raccolta non implica alcuna forma di intervento sulla natura che possa
determinare un cambiamento della natura stessa. gli esseri umani prendono ci che la
natura offre. Nelle societ acquisitive il lavoro umano si presenta cos, come

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unattivit a rendimento immediato. Per molti antropologi il carattere spontaneo delle


risorse su cui si basano le societ acquisitive avrebbe ripercussioni importanti sulla
loro organizzazione sociale. Le condizioni generali di vita di questi gruppi fanno s
che le differenze tra gli individui nellabitabilit del cacciare, nel valutare i problemi,
nella capacit di comunicare con gli spiriti non siano stabili n trasmissibili da una
generazione allaltra. Diventa altres problematico stabilire delle relazioni dirette tra
forma di adattamento e organizzazione sociale. I cacciatori-raccoglitori della
preistoria europea sembra vivessero in aree talmente ricche di selvaggina da rendere
superflui gli spostamenti.
Le differenze inerenti alle societ acquisitive, tanto a quelle fondate sulla caccia-
raccolta quanto a quelle basate sulla pesca, rendono problematico il tentativo di
leggere nelle societ acquisitive contemporanee le eredi di quelle dellEuropa
preistorica. Sarebbe altes fuorviante ritenere che i cacciatori-raccoglitori di oggi
siano dei semplici relitti del passato. I cacciatori-raccoglitori odierni mantengono
rapporti di vario genere con le societ agricole, pastorali e, soprattutto, con le
amministrazioni degli stati centralizzati. Alcuni autori ritengono addirittura che i
cacciatori-raccoglitori di oggi non potrebbero sopravvivere senza interagire con
societ fondate su altre forme di adattamenti. Leconomia multipolare tipica di tutte
le societ acquisitive attuali rende ovviamente problematico dire chi siano i veri
cacciatori-raccoglitori.

3. Forme storiche di adattamento- Coltivatori e pastori


Le societ acquisitive hanno costituito la forma di adattamento dominante per gran
parte della storia umana. Ma il domesticamento delle piante e degli animali apr
scenari alimentari, demografici e politici dirompenti per quel tipo di societ. Proprio
con il domesticamento delle piante e degli animali, gli esseri umani operarono le
prime vere modifiche sui processi di crescita e riproduzione degli organismi naturali.
Sino alla met del XX secolo, oltre i due terzi della popolazione mondiale era
costituita da orticoltori e agricoltori. Orticoltura e agricoltura si fondano sullo
sfruttamento di piante addomesticate, e implicano entrambe un investimento
lavorativo nel processo di produzione. Diversamente dalle forme di adattamento
messe in atto dalle societ acquisitive, che si fondano sullo sfruttamento di risorse
naturali spontanee e per cui il lavoro umano unattivit a rendimento immediato,
nelle societ di coltivatori e in quelle pastorali il lavoro costituisce unattivit a
rendimento differito. Lorticoltura implica limpianto nel terreno di talee provenienti
da alberi adulti le quali danno vita ad altri alberi produttori di frutti. Le specie
coltivate in questo modo si riproducono velocemente per gran parte dellanno, per cui
il rifornimento di cibo abbastanza continuo. Popoli che fondano la propria
sussistenza sullorticoltura sono distribuiti un po ovunque nella fascia tropicale, ma
li si trova specialmente nellAfrica subsahariana e nellAmerica meridionale.
A differenza dellorticoltura, lagricoltura implica invece operazioni e strumenti pi
complessi, in quanto essa si fonda soprattutto sulla coltivazione di legumi, alberi da
frutto e cereali, i quali hanno bisogno di cure continue, di operazioni legate a
determinati ritmi stagionali.

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Secondo alcuni antropologi le societ che fondano la propria sussistenza


sullagricoltura contengono in s le premesse per la comparsa dellautorit politica e
della stratificazione sociale. Le societ che praticano lorticoltura come principale
forma di produzione del cibo avrebbero invece forme di organizzazione sociale pi
egualitarie come quelle dei cacciatori-raccoglitori ma non per questo altrettanto
equilibrate e pacifiche.
Le societ fondate sullagricoltura sono talvolta conosciute come societ contatine.
La nascita degli Stati non avrebbe potuto verificarsi senza lesistenza di queste
comunit. Spesso tali societ sono diventate il principale oggetto di sfruttamento
delle lites politiche istallate nei centri urbani. Il rapporto tra il mondo contadino,
fonte della produzione, e quello urbano, sede del potere politico, amministrativo e
militare, stato storicamente complesso, problematico e talvolta conflittuale.
NellEuropa e nel Nord America le societ agricole hanno subto negli ultimi decenni
una profonda trasformazione grazie allintroduzione delle nuove tecnologie agricole,
di nuove sementi e nuove forme di rapporti sociali e di lavoro. Oggi si parla di
agricoltura industriale. Tuttavia nei quattro quindi del pianeta la produzione
agricola ancora basata su metodi tradizionali, che si rivelano sempre meno efficaci
di fronte allincremento della popolazione. Le societ agricole dellAsia, dellAfrica e
dellAmerica centro-meridionale sono societ economicamente arretrate in quanto
meno capaci di sostenere una popolazione sempre pi crescente. Un effetto
importante di questo deficit produttivo il progressivo inurbamento che, verificatosi
in questi paesi, non funzionale allo sviluppo dellindustria. Linurbamento ha fatto
s che nella maggior parte dei paesi dellAsia, dellAfrica e dellAmerica centro-
meridionale si siano create enormi masse prive di lavoro, che conducono una vita al
di sotto della soglia della povert, sprovviste di istruzione e di assistenza sanitaria e
con una bassa aspettativa di vita.
Le societ contadine sono sempre state parte di sistemi sociali complessi in funzione
dei quali si sono sviluppate rifornendo derrate alimentari e manodopera per ledilizia,
lesercito e lindustria.
La forma di adattamento che segna il passaggio da uneconomia di caccia-raccolta a
uneconomia di produzione vera e propria la pastorizia, la quale sembra essersi
sviluppata contemporaneamente alla coltivazione.
La pastorizia si distingue dallallevamento in quanto, questultimo pu riguardare
animali di vario tipo ma stanziali (suini, bovini, volatili, ovini), mentre la pastorizia
implica che gli animali vegano nutriti con il pascolo naturale.
La pastorizia nacque in Medio Oriente allepoca della rivoluzione agricola. Popoli
pastori sono presenti quasi in tutta lAsia e in Africa e, in passato, in Europa. Tutti i
casi di popoli che fondano la propria sussistenza sulla pastorizia sembrano aver
adottato questa forma di sussistenza nel periodo successivo alla conquista europea.
La pastorizia ha assunto inoltre carattere nomade cio sotto forma di spostamenti
regolari di uomini e animali allinterno di determinati territori, secondo schemi fissi,
un anno dopo laltro.

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I pastori nomadi sono sempre stati in relazioni simbiotiche con il mondo agricolo e
urbano: fornendo mezzi di trasporto, guide, animali e prodotti derivati, i nomadi
ricevevano quello che la loro economia non era in grado di produrre.
La pastorizia nomade, soprattutto quella praticata tra il Medio Oriente e il Nord
America infatti una forma di adattamento iperspecializzata, che non pu combinare
efficacemente lallevamento degli animali con forme di produzione che richiedono
una vita stanziale, come lagricoltura.
La creazione dei confini, il sistema fiscale, il controllo politico, la monetizzazione
delleconomia, i conflitti internazionali, sono tutti elementi che hanno portato al
restringimento della libert di movimento e dazione dei nomadi, e accentuato la loro
dipendenza dagli Stati centralizzati. Molti Stati poi, sono intervenuti al fine di rendere
stabili i nomadi e meglio controllarli.
Molti tra i pastori nomadi scelgono le opportunit offerte dalle economie e dai servizi
degli Stati nazionali, molti altri sono restii ad adeguarsi a situazioni che avvertono
come minacciose per il mantenimento del loro stile di vita.
Altre comunit che fanno del nomadismo il loro modello di esistenza, quali Rom,
Singati e altri gruppi ancora presenti in Europa sin dal Medioevo, per distinguerle dai
pastori nomadi, sono chiamate peripatetiche, cio in movimento. Molti dei loro
componenti vivono in condizioni precarie.

Parte terza- Comunicazione e conoscenza

1. Oralit e scrittura
Possono sussistere alcune importanti diversit tra visioni del mondo presenti nelle
varie culture dovute alle differenze tra comunicazione orale e comunicazione scritta.
La comunicazione ordinaria si svolge per lo pi in forma orale, per questo motivo
non ci rendiamo conto di quanto la comunicazione orale sia condizionata dalla
scrittura. Questultima ci influenza nel senso che il modo con il quale ci esprimiamo
guidato da un pensiero che si fonda sulla interiorizzazione della scrittura
medesima. Le culture come la nostra, presso le quali esiste una scrittura diffusa, sono
dette culture a oralit ristretta. Fino a non molto tempo fa esistevano invece societ
a oralit primaria. Si trattava di societ che non conoscevano alcuna forma di
scrittura. Gli esempi pi noti risalgono agli Inka in Sudamerica e al regno del
Dahomey, in Africa occidentale.
Durante il III sec a.C. la scrittura fece la sua comparsa nellarea mesopotamica e in
quelle aree a essa limitrofe. La scrittura venne sviluppata a partire da alcuni sistemi di
calcolo che videro la sostituzione di oggetti come sassolini, con dei veri e propri
segni aventi ciascuno un proprio significato. Oggi anche laddove lignoranza
dellalfabeto scritto ancora particolarmente diffusa la scrittura esercita la sua
influenza attraverso leggi, regolamenti, disposizioni, calcoli e statistiche prodotti da
un centro politico e amministrativo espressione di uno Stato nazionale. Le culture a
oralit diffusa indicano lo stile comunicativo in esse prevalente, non ancora
influenzato dallo stile della comunicazione scritta.

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La dimensione orale della comunicazione corrisponde a modi di pensare che sono per
certi aspetti diversi da quello di soggetti abituati a maneggiare i segni di un alfabeto.
La scrittura esercita sulla parola una specie di imperialismo; le nostre menti di
individui scolarizzati non possono pensare a una parola se non in forma di parola
scritta.
Un caso di rapporto tra oralit e scrittura rappresentato dal regresso alloralit
nelle societ ricche e postindustriali. Il linguaggio televisivo di trasmissione delle
informazioni per immagini hanno comportato un regresso sul piano della ricchezza
lessicale e delle conoscenze linguistiche da parte di certe fasce sociali e det.
I soggetti che vivono in culture senza scrittura, o dove la scrittura penetrata solo
parzialmente, non possono essere definiti analfabeti in senso stretto. La dimensione
orale corrisponde a un modo di esprimersi diverso da quello tipico delle culture
dotate di scrittura diffusa. In assenza di scrittura, le parole non hanno una vera e
propria esistenza visiva: sono soltanto degli eventi che accadono in un tempo
preciso e con esso svaniscono.
Nelle culture orali la pregnanza delle parole, la loro efficacia, sembra essere
comunque legata al momento in cui vengono pronunciate. Anche noi, quando
vogliamo dare particolare forza a ci che diciamo, abbiamo la tendenza a muoverci in
accordo con i sentimenti e gli stati danimo che cerchiamo di trasmettere attraverso le
parole. Ma nelle culture a oralit primaria, certi discorsi prevedono determinati gesti
e non altri, certe posture del corpo o certe inflessioni della voce ben determinate e
non altre. Vige spesso un complesso di norme non dette a cui i parlanti si
conformano, atteggiando il corpo e la voce in un determinato modo a seconda dei
discorsi che devono pronunciare.
Alcuni popoli hanno una vera e propria teoria della parola. I Dogon del Mali, per
esempio, vedono nella parola quasi la proiezione sonora nello spazio della
personalit delluomo. Come il corpo umano costituito da quattro elementi, cos lo
la parola: lacqua, che la inumidisce; laria, grazie alla quale si trasforma in
vibrazione sonora; la terra, che d il peso alla parola, cio il suo significato; il fuoco,
che d calore alla parola come riflesso dello stato danimo del parlante.
Unimportante differenza tra culture orali e scritte, sta nella presenza di tecniche
altamente elaborate di conservazione della memoria, quindi di trasmissione del
sapere. Laddove la scrittura non presente, lunico modo per ricordare lunghe
sequenze argomentative pensare per moduli mnemonici che possano funzionare
per un rapido recupero orale: temi, proverbi, scenari, ripetizioni, antitesi.
La parola, per poter essere ricordata e trasmessa deve fare affidamento su moduli
mnemonici ripetitivi. Questo modo di trasmettere la memoria tende a eliminare tutto
ci che non ha interesse per il presente; del passato e delle conoscenze viene
trasmesso solo ci che interessa al presente. Tutte le culture tendono a operare
selezioni sulla propria memoria per cui non si ha conservazione dellinutile. Un
dato cruciale delle culture a oralit diffusa la dimensione dellesperienza: se il
rapporto immediato tra la parola e lesperienza viene meno, il significato della parola
tende ad alterarsi o perdersi.

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In molte societ a oralit diffusa, la scrittura possiede una forma di autorevolezza


quasi sacrale. Questo fu un tratto di molte civilt antiche dellOriente e del
Mediterraneo, ma anche delle civilt precolombiane dei Maya e degli Aztechi. I
documenti scritti sono autorevoli in quanto riportano regole o decisioni come la
promulgazione di una legge, una prescrizione o un divieto di carattere religioso, una
transazione, un contratto, il regolamento di un gioco ecc. il documento materiale
una specie di dichiarazione sullonore da parte di colui che ne cita lesistenza.
Citare un documento significa fare riferimento a unautorit che non pu essere
messa in discussione, nel senso che colui che cita tale documento , di per s, nella
condizione di dover essere creduto.
molto interessante osservare come esistano culture presso le quali lapprendimento
di effettua tendenzialmente in linea con lo stile orale. I soggetti che hanno
interiorizzato la scrittura pensano in maniera tendenzialmente diversa da coloro che si
muovono per in questi ambienti orali. La scrittura infatti consente lacquisizione di
un pensiero pi ampio di quello legato alloralit. Ci nel senso che la scrittura
permette di entrare in contatto con altri mondi e altri punti di vista, di confrontarli in
maniera sistematica e di elaborare nuove proposizioni a partire da quelle esistenti.
Limpatto che la diffusione della scolarizzazione e della scrittura in generale ha avuto
sulle culture del pianeta stato enorme.
Dagli anni Settanta in poi si assistito a una grande diffusione dei media su scala
planetaria. La televisione rapidamente giunta un po ovunque, persino in luoghi
dove non arriva la corrente elettrica; simbolo del carattere pervasivo che i media
svolgono nella vita delle popolazioni del pianeta. La televisione infatti un mezzo
culturalmente influente nel senso che suggerisce comportamenti, gusti, valori,
costumi, idee politiche, religiose, estetiche. I messaggi che essi trasmettono sono
suscettibili tanto da influire potentemente sulle relazioni tra gli esseri umani e sulla
loro immaginazione. Questa forma di immaginazione nuova diventata, tramite i
media, parte del nostro stesso quotidiano nonch capace di orientarlo. Oggi, grazie ai
media, le sfere pubbliche si sono moltiplicate in maniera incredibile. Basti pensare ai
siti Internet e ai blog per capire che non c pi un vero centro che regoli la
formazione dellopinione, ma che questa sempre pi prodotta dalluso che gruppi
diversi possono fare dei media. Grazie allo spostamento di uomini e di idee, e grazie
ai media, limmaginazione dunque sempre pi allorigine anche di quelle sfere
pubbliche che ormai possiamo definire diasporiche. Lo studio dei media da parte
degli antropologi si giustifica per il fatto che mai grazie ad essi, e alla televisione in
particolare, limmagine delle culture del pianeta viene diffusa presso un pubblico
sempre pi numeroso.

2. Percezione e cognizione
La percezione del mondo circostante coincide con i processi mediante i quali gli
individui organizzano informazioni di natura prevalentemente sensoriale. La
percezione del mondo fisico pu per risultare differente a seconda dei soggetti
coinvolti.

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Lo psicologo Vygotskij distinse il pensiero in processi cognitivi elementari e sistemi


cognitivi funzionali. I primi sono alcune capacit universalmente presenti, e
formalmente identiche in tutti gli umani sani. Questi processi sono: astrazione,
categorizzazione, induzione, e deduzione. I secondi sono invece il prodotto del
contesto culturale entro cui il soggetto attiva i processi cognitivi elementari. Tali
sistemi potrebbero essere anche definiti come delle strategia di organizzazione dei
processi cognitivi in funzione della risoluzione di particolare problemi che cambiano
a seconda del contesto culturale. Lespressione stile cognitivo denota il diverso modo
in cui individui provenienti da ambiti culturali differenti si rapportano al mondo sul
piano cognitivo. Lo stile pu oscillare, in misura diversa, tra due estremi ideali: tra
uno stile cognitivo globale e uno stile cognitivo articolato a seconda delle situazioni
in cui si trovano a esercitare la propria attenzione e il proprio ragionamento.
Tutti i popoli possiedono una conoscenza pi o meno ricca e complessa del mondo
naturale. Tutti classificano le specie animali o vegetali, tutti hanno elaborato una
classificazione dei colori, dei suoni e tutti ordinano in diverse categorie i fenomeni
naturali di cui hanno esperienza. Letnoscienza lo studio di come le differenti
culture organizzano le loro conoscenze del mondo naturale.
Il mondo fisico percepibile dallocchio umano caratterizzato da forti regolarit ma
anche da variabilit che pare obblighi la mente a fare continuamente ricorso a forme
stabili di categorizzazione che sembra prodursi sempre in relazione a un prototipo. Le
classificazioni del mondo naturale non sono il semplice riflesso sulla nostra mente di
una realt esterna che noi cogliamo in maniera oggettiva, ma tali classificazioni sono
in larga misura il prodotto dei principi dorganizzazione che stanno dalla parte del
soggetto che classifica il carattere culturale delle classificazioni appare pi evidente
in relazione a certe pratiche sociali.
I prototipo individuano particolari aspetti della realt, ma non sono ci che consente
di mettere concettualmente in forma la realt. La possibilit di individuare e
ordinare la realt data dagli schemi. Nella Critica della ragion pura, Kant chiamava
schemi regole concettuali grazie alle quali la nostra immaginazione messa in
grado di delineare in generale la figura, senza tuttavia chiudersi dentro una
particolare raffigurazione offerta dallesperienza o in una qualsiasi immagine che si
possa rappresentare in concreto. Lo schema, cio la possibilit che noi abbiamo di
pensare al concetto. Che lattivit schematica sia una propriet universale della mente
umana indubbio. Lo schema infatti una cornice organizzata di oggetti e di
relazioni che deve essere riempita di dettagli concreti, mentre un prototipo consiste in
un gruppo specifico di aspettative culturalmente determinate. Gli schemi sono ci che
organizza la nostra esperienza, la quale, per essere rappresentata, deve procedere per
prototipi e sottoprototipi, che vengono organizzati a loro volta da schemi e
sottoschemi. Noi infatti non conosciamo tutta la nostra cultura, ma siamo in grado di
attuarla tramite la schematizzazione. Questultima una caratteristica universale del
pensiero umano; essa viene riempita e messa in moto al tempo stesso da prototipi
elaborati al contesto desperienza, i quali rinviano a cose simili ma non identiche.

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3. Tempo e spazio
Gli esseri umani vivono nel mondo fisico, percepiscono lavvicendarsi di fenomeni
quali il giorno e la notte, lestate e linverno, il sonno e la veglia e, sperimentano la
diversa collocazione delle cose. La trasformazione delle cose si sperimenta sotto
forma di ci che noi chiamiamo tempo e, in riferimento al posizionamento del proprio
corpo e delle cose rispetto ad altri corpi e ad alte cose, gli umani percepiscono ci che
chiamiamo spazio. Tempo e spazio costituiscono infatti delle intuizioni a priori
universali. La percezione del tempo e dello spazio la funzione primaria della nostra
attivit mentale. Senza tale funzione non sarebbe possibile, per lintelletto, dare
forma al pensiero. Tempo e spazio sono le dimensioni costitutive di qualunque modo
di pensare. Tuttavia, dal momento che le rappresentazioni del tempo e dello spazio
non sono uguali in tutte le culture, diventa fondamentale conoscere cosa c di
identico, e al tempo stesso di diverso, tra i modi in cui tempo e spazio sono percepiti
e rappresentati presso culture diverse.
Agli inizi del Novecento Durkheim e Mauss sostennero che tempo e spazio sono
istituzioni sociali; sarebbe infatti lo stile di pensiero prevalente allinterno di una
societ a determinare le valenze simboliche, affettive, e percettive, che il tempo e lo
spazio assumono in quel contesto particolare.
Nilsson sostenne che nelle societ primitive il tempo concepito in maniera
puntiforme; in queste societ i riferimenti temporali non corrispondono infatti a
frazioni di un flusso temporale omogeneo e quantificabile, ma piuttosto a eventi
naturali o sociali.
Lidea che il tempo sia unentit uniforme, misurabile e frazionabile che pu essere
dedicata al lavoro, al riposo, alle vacanze ecc., non infatti universale. In molte
societ il tempo quantificato non un dato regolatore della vita collettiva e
individuale.
La nostra concezione del tempo abbastanza recente, ed strettamene legata allidea
della produttivit che il sociologo tedesco Max Weber defin lo spirito del
capitalismo. Lidea del tempo come denaro esprime bene questa concezione. Il
tempo si consacra cos alla produzione di beni quantificabili.
Letnografia molto ricca di esempi relativi a come le culture prive di pensiero
cronometrico collocano gli eventi nel tempo. Alcuni popoli africani collocano, per
esempio, gli eventi nel tempo facendo riferimento allorganizzazione dei mercati, che
comprendono cicli di cinque giorni.
Venendo alle scansioni del tempo giornaliero, molte popolazioni del Madagascar
rurale utilizzano ancora oggi, come punti di riferimento, la casa cui, a seconda della
parte della casa che illuminata dal sole nei diversi momenti della giornata, essi
possono collocare nel tempo azioni ed eventi.
In molte societ esiste poi una specie di doppio regime temporale. Si tratta di
societ rurali che sono state inglobate da sistemi statuali a base urbana e commerciale
e hanno adottato, accanto alle tradizionali forme locali di scansione del tempo, il
sistema calendariale o cronometrico degli organismi politico-statuali dominanti.
Il tempo non quantificabile detto qualitativo.

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Esattamente come avvenuto per la scrittura, il tempo cronometrico, espressione di


societ organizzate sul piano amministrativo, politico e produttivo, tende a imporsi
come modalit dominante, ma non esclusiva, di rappresentazione del tempo.
Molte delle considerazioni fatte a proposito della percezione del tempo valgono
anche nel caso dello spazio. Questultimo non sempre e ovunque inteso come lo
spazio astratto della geometria. Lo spazio si riveste di valenze qualitative che lo
rendono diversamente significante agli esseri umani.
Lo spazio si rivela molto spesso un elemento centrale per la memoria di un gruppo.
Una popolazione agricola del Madagascar centrale, per esempio, dispone i villaggi in
senso altitudinale per esprimere la successione delle generazioni che discendono da
una coppia fondatrice della famiglia; cos, nella diversa altitudine a cui sono collocati
i villaggi, una successione storica e genealogica che viene ufficializzata mediante la
trasformazione della casa originaria in luogo sacro, carico cio di valenze religiose e
affettive.
Nelle culture umane si presenta costantemente la necessit di concepire un luogo
dello spazio, un centro, che valga da punto di riferimento e di sicurezza. Gli esseri
umani si sentono al sicuro in luoghi noti e controllabili, siano questi semplici punti di
riferimento oppure luoghi particolarmente cari alla memoria di una comunit, laica o
religiosa che sia.
La disposizione delle cose o degli esseri umani nello spazio fisico pu avere una
gamma assai ampia di significati sociologici nelle diverse culture.
Le differenze tra modi culturali di percepire, rappresentare e organizzare il tempo e lo
spazio, hanno suscitato grandi dibattiti e molti sono stati i tentativi di spiegazione.
Hallpike riconduce due concezioni della temporalit alla distinzione stabilita da
Piaget tra pensiero operatorio e preoperatorio. Secondo Piaget, il pensiero
operatorio mette in relazione spazio e tempo considerandoli due variabili dipendenti.
Tale capacit di coordinazione invece assente nel pensiero preoperatorio.
Questultimo non stabilisce una coordinazione tra i fattori della durata, della
successione, e della simultaneit. Hallpike estese la presenza del pensiero
preoperatorio a tutte le societ che non erano in possesso di una concezione lineare e
misurabile del tempo e dello spazio. Questi raggiunse le conclusioni per cui c un
pensiero fondato sulla concretezza, e non sullastrazione, il quale non in grado di
riflettere in maniera conoscitiva su quanto non sia un fatto desperienza. Alcuni
studiosi hanno mostrato invece qualche dubbio sul fatto che popoli privi di una
concezione dello spazio e del tempo come entit lineari, omogenee e misurabili
possiedano sempre e comunque un pensiero di tipo preoperatorio.
La mancanza di una concezione non lineare e quantificabile del tempo sembra non
escludere la capacit di coordinare perfettamente, durata, successione e simultaneit.
La tesi di Hallpike, secondo la quale la mancanza di unidea quantizzata del tempo
sarebbe implicitamente connessa con un pensiero preoperatorio, sembrerebbe dunque
smentita.

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Parte quarta- Sistemi di pensiero

1. Sistemi chiusi e sistemi aperti


A met del Novecento gli antropologi iniziarono a parlare di sistemi di pensiero,
cio a studiare in una nuova prospettiva lattivit speculativa dei popoli sino ad allora
ritenuti poco votati alla riflessione pura. Cos, nel corso dei decenni successivi, gli
antropologi poterono dimostrare come molti di quei popoli avessero una visione
complessa, articolata e coerente del mondo umano e naturale. Il pensiero umano
tende sempre alla ricerca di una coerenza, e questa una caratteristica di tutti i
sistemi di pensiero. I sistemi di pensiero comprendono ambiti di riflessione assai
diversi tra loro, quali ad esempio le rappresentazioni dello spazio e del tempo, le
credenze religiose, le pratiche magiche e di stregoneria, le teorie sul rapporto natura-
cultura, quelle relative alle relazioni tra i sessi e alla causalit in generale. I sistemi
sono alla ricerca di una spiegazione del mondo, dove spiegare significa: 1)
oltrepassare il senso comune, 2) ricercare lunit dei principi e delle cause, 3)
semplificare al di l delle complessit dei fenomeni e 4) superare lapparente
disordine per trovare un principio dordine del mondo. Infine spiegare significa 5)
cogliere la dimensione della regolarit al di l dellanomalia e della causalit dei
fenomeni.
Il pensiero elabora sempre delle analogie esplicative. stato osservato che mentre il
pensiero occidentale si rivolto alle cose per costruire le proprie analogie esplicative,
altri sistemi, tra cui quelli dellAfrica subsahariana, hanno privilegiato il mondo
sociale. La loro stranezza (per noi) deriverebbe proprio dal fatto che essi si sono
allontanati dai riferimenti empirici (le cose) che invece costituiscono i parametri di
riferimento dei modelli scientifici moderni. In Africa e altrove, invece, le analogie
esplicative si sono espresse in termini di idioma personale, il quale viene trasferito al
sistema delle relazioni causali, per cui le spiegazioni dei fenomeni possono essere
legittimamente fatte coincidere con lazione di un dio o di un antenato particolari. Le
spiegazioni vengono cio date in termini di relazioni sociali e interpersonali.
Alcuni autori hanno tentato di rendere conto delle grandi differenze che, da una
cultura allaltra, caratterizzano il modo di percepire e rappresentare la realt. Horton
ritiene che uno degli elementi centrali della differenza tra sistemi di pensiero africani
e scienza moderna sia costituito dal fatto che lindovino o il sacerdote africano non
sono consapevoli del fatto che esistono delle alternative esplicative. Lo scienziato,
invece, consapevole dellesistenza di alternative ai principi teoretici chiamati a
spiegare la realt. Questo fatto porterebbe a concludere che i sistemi di pensiero
tradizionali, siano sistemi di pensiero chiusi, mentre quelli che fanno capo a
modelli e concetti di natura scientifica sarebbero invece sistemi di pensiero aperti.
Nei primi esiste un rapporto speciale tra le parole da un lato e gli oggetti e le azioni
dallaltro per cui, la corrispondenza di parole e cose chiude il pensiero
dellindovino, del mago e del sacerdote in un ragionamento privo di alternative.
La distinzione tra sistemi chiusi e aperti va intesa in senso relativo e non assoluto.
Questa pu tuttavia risultare utile per capire come certe trasformazioni del modo di
ragionare possano essere determinate da mutamenti importanti nel sistema di

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trasmissione delle conoscenze e della comunicazione delle informazioni. Come si


visto, lintroduzione della scrittura ha comportato importanti cambiamenti nel modo
di produrre certe forme di ragionamento pi disposte ad accogliere variazioni e
alternative.

2. Pensiero metaforico e pensiero magico


Tra i temi che pi hanno appassionato e coinvolto gli studiosi di antropologia vi sono
quelli delle credenze apparentemente irrazionali e del pensiero magico. Tali
credenze e la magia stessa sono stati man mano ricondotti a forme di pensiero dotate
di coerenza, con una proprio funzione sociale e una loro efficacia di tipo simbolico.
Per magia si intende comunemente un insieme di gesti, atti e formule verbali
mediante cui si vuole influire sul corso degli eventi e sulla natura delle cose. Un atto
magico sarebbe unazione compiuta da un soggetto nellintento di esercitare
uninfluenza di qualche tipo su qualcosa o qualcuno. I primi antropologi
interpretarono la magia come una specie di aberrazione intellettuale tipica
delluomo primitivo, oppure come una scienza imperfetta. Nel primo caso si not,
nei primitivi, una mancanza di coerenza logica, un tentativo di manipolare, sebbene
in maniera sbagliata, la natura si cui pur si intuivano regolarit e costanti. Frazer
riteneva che esistessero due tipi fondamentali di magia: la magia imitativa e la magia
contagiosa; la prima si risolveva nellidea che imitando la natura la si sarebbe potuta
influenzare; la magia contagiosa invece si fonderebbe sullidea che due cose, per il
fatto di essere state a contatto, conserverebbero, anche una volta allontanate, il potere
di agire luna sullaltra. Sempre Frezer riteneva ad esempio che magia, religione e
scienza fossero tra loro legate dalleterno tentativo delluomo di spiegare lorigine dei
fenomeni e le relazioni tra di essi. Egli aveva colto il carattere di tendere alla
coerenza. Luomo si sarebbe dedicato alla magia nellintento di manipolare il corso
degli eventi. Poi, quando si accorse che la magia non era efficace, si sarebbe rivolto a
esseri spirituali a lui superiori per ingraziarseli e ottenere da loro ci che egli non era
stato capace di ottenere con i propri mezzi.
Unaltra teoria elaborata negli anni Trenta distingueva nettamente magia, religione e
scienza. La religione chiamata a fornire certezze di fronte ai grandi misteri della
vita; la magia invece ha finalit eminentemente pratiche. Questultima non ha nulla a
che vedere con la scienza, la quale esiste tra i primitivi solo n torma elementare.
Compiendo una serie di atti particolari e appropriati alla situazione da affrontare, si
cercherebbe, mediante atti di natura magica imitativa o contagiosa, di prefigurare il
buon esito dellimpresa. La magia consiste in una serie di atti sostitutivi e sarebbe
un tratto primordiale che afferma il potere autonomo delluomo di creare dei fini
desiderati. La magia mette luomo in grado di mantenere il suo equilibrio. La
questione che riguarda la sua efficacia deve quindi essere posta in termini di una
ricerca di rassicurazioni di fronte allincertezza e allimprevedibilit degli eventi.
A met del Novecento, secondo Ernesto De Martino luniverso magico pu essere
compreso solo in relazione allangoscia, tipicamente umana, della perdita della
presenza. La presenza a cui De Martino fa riferimento una condizione che lessere
umano non cessa di immaginare e di costruire per sottrarsi allidea, angosciosa, di

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non esserci. Il mago, la figura centrale di questo drammatico tentativo di superare


lannientamento, tentativo che coincide con laffermazione del mondo magico come
spazio di pensiero e di azione in cui luomo realizza la propria volont di esserci di
fronte al rischio di non esserci.

3. Il pensiero mitico
Il tema del mito, come quello della magia e del rito, ha affascinato a lungo tanto gli
studiosi di storia delle religioni quanto gli antropologi. Per molti anni costoro si sono
adoperati per spiegare lorigine dei miti, la loro coerenza e, soprattutto, la loro
connessione con i riti. La celebrazione di un rito spesso collegata al racconto di un
fatto accaduto in un tempo indeterminato e che ritenuto responsabile dello stato
attuale delle cose o della condizione degli esseri umani. I miti fanno spesso
riferimento a eventi che avrebbero dato origine al mondo e allaspetto che
questultimo possiede attualmente.
Alcuni studiosi hanno ritenuto che i miti fossero un modo inesatto, cio fantastico
in quanto primitivo, di ricostruzione o di giustificazione storica di eventi o fatti
realmente accaduti.
Il mito ignora lo spazio e il tempo. Le azioni dei protagonisti non tengono conto
dellanteriorit e della successione temporale. I personaggi del mito agiscono o
abitano in luoghi impossibili. Il mito disegna insomma una situazione originaria
come caratterizzata da un profonda unit degli esseri. In linea generale produce
unantropomorfizzazione della natura, poich attribuisce ad animali, piante e cose
caratteristiche fondamentalmente umane come il linguaggio, i sentimenti, le emozioni
ecc. Questa comunanza di esseri umani, spiriti, animali e cose viene descritta nei miti
come una situazione originaria di equilibrio cosmico e di unit, la cui fine avrebbe
dato origine al mondo attuale.
Gli antropologi hanno cercato di argomentare in molteplici direzioni la funzione del
mito: speculativa, pedagogica, sociologica, classificatoria. Il mito sarebbe inoltre
qualcosa in cui le societ possono leggere una morale dei rapporti tra gli uomini e tra
i gruppi, qualcosa che fissa un codice di comportamento, di pensiero e di
disposizioni.
Secondo Levi-Strauss il mito va analizzato in termini di strutture e di mitemi.
Questi considera il racconto mitico a partire dal modello della linguistica strutturale.
Il mito infatti unentit formalmente scomponibile in unit minime (i mitemi), le
quali rivestono un senso solo se poste accanto ad altre dello stesso tipo. Il medesimo
mitema prende sembianze diverse in culture diverse, ma ricorre in racconti mitici
differenti, assumendo di volta in volta un significato diverso a seconda degli altri
mitemi a cui si trova affiancato. Il pensiero mitico si assume cos il compito di
risolvere le contraddizioni tra spirito e corpo, bene e male, vita e morte, introducendo
nella narrazione un elemento che a prima vista inspiegabile ma che si presenta
come mediatore simbolico di una contraddizione irrisolvibile per via razionale. Il
pensiero mitico, cos come stato concepito da Levi-Strauss, ci appare come un
pensiero libero che ha i propri limiti solo in se stesso. Il mito sarebbe allora in
qualche modo il frutto di un pensiero che pensa se stesso.

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Parte quinta- Il S e lAltro

1. Identit, corpi, persone


Lattenzione degli umani non si soffermata soltanto sul mondo della natura. Essa si
rivolta da sempre anche allumanit stessa, ossia al S e allAltro intesi tanto come
soggetti individuali quanto come soggetti collettivi. Essa riguarda in maniera tanto
implicita quanto esplicita il modo in cui individui e gruppi percepiscono e pensano la
propria relazione con lalterit. Il problema di sapere chi siamo noi e chi invece
siano loro o quali siano i tratti del carattere femminile piuttosto che di quello
maschile, presente in tutte le lingue.
Lidea di far parte di un S collettivo, di un Noi, si realizza attraverso comportamenti
e rappresentazioni che contribuiscono a tracciare dei confini, delle frontiere nei
confronti degli altri. Lidea di appartenere a un s collettivo e quella di essere ci che
siamo come individui, rinviano entrambe a ci che si soliti chiamare identit.
Essere esclusi da un gruppo al quale pensavamo di appartenere, subire uningiustizia
o vivere alterazioni nella nostra vita sono fatti che possono far vacillare la nostra
identit, fino a mettere in pericolo il nostro equilibrio psichico. Oggi le citt del
mondo sono caratterizzate dalla presenza sempre maggiore di minoranze di ogni tipo:
etniche, razziali, linguistiche, religiose, sessuali. Gli incontri con la differenza sono
un tratto sempre pi costitutivo della nostra vita. La cultura occidentale ad
esempio una di quelle che pi ha enfatizzato la propria identit come contrapposta al
altre. Tuttavia non si valuta abbastanza che la cultura occidentale ci che in
quanto si plasmata in relazione ad altre culture.
Gli esseri umani hanno esperienza del mondo attraverso il corpo: sentono,
comunicano, percepiscono, desiderano innanzitutto attraverso il corpo. Il corpo
infatti una specie di mediatore tra noi e il mondo, un mezzo attraverso il quale
entriamo in relazione con lambiente circostante. Pierre Bordieu parla di una forma di
conoscenza incorporata. gli antropologi hanno molto insistito, negli ultimi anni, sulla
nozione di incorporazione come nozione capace di descrivere il nostro essere nel
mondo. Se il soggetto ha una comprensione immediata del mondo familiare, ci
dipende dal fatto che le strutture cognitive messe in opera da lui sono il prodotto
dellincorporazione delle strutture del mondo in cui egli agisce, nonch dal fatto che
gli strumenti impiegati per conoscere il mondo sono costruiti da e attraverso il mondo
stesso. Questa conoscenza incorporata sta alla base di ci che Bordieu chiama
habitus, cio il complesso degli atteggiamenti psico-fisici mediante cui gli esseri
umani stanno al mondo. Questo stare al mondo uno stare di natura sociale e
culturale, per cui il nostro habitus varia tanto sulla base delle nostre particolari
caratteristiche psico-fisiche, quanto a seconda dei modelli comportamentali e delle
rappresentazioni che noli interpretiamo in quanto individui facenti parte di una
determinata cultura. Il corpo degli esseri umani sempre culturalmente disciplinato
nel senso che le tecniche che sono preposte allattuazione di tale disciplina dipendono
dai modelli culturali in vigore. La societ cerca di imprimere nel corpo dei suoi
componenti i segni della propria presenza. Tatuaggi, scarificazioni, perforazioni,
pitture, deformazioni craniche, avulsioni, circoncisioni, infibulazioni, escissioni,

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sarebbero tutte pratiche finalizzate a ci che Remotti ha chiamato appunto


antropoiesi, cio fabbricazione dellumano da parte della societ.
Il corpo un luogo di messa in scena del S. Pu essere un mezzo per rivendicare
non solo unidentit o diversit individuale; esso pu diventare loggetto di discorsi
identitari come quelli sviluppati dai movimenti femministi o dagli omosessuali in
Occidente. Il corpo pu anche diventare terreno di confronto ideologico e politico;
pu essere infatti uno strumento di resistenza e di risposta, tanto consapevole quanto
inconscia, nei confronti delle situazioni esterne.
Strettamente connesse con le concezioni del corpo e della persona sono quelle di
salute e di malattia. Non affatto scontato che lelaborazione sociale e culturale dello
stare bene e dello stare male sia ovunque la stessa, cos come, non lo stesso il
metodo di cura, n la spiegazione delle cause che hanno provocato lo stato di
sofferenza. Molte culture sono depositarie di conoscenze sul mondo naturale che
hanno consentito loro di elaborare terapie efficaci basate sullutilizzo di sostanze
ricavate dalle piante e dagli animali. Molti popoli hanno scoperto le virt terapeutiche
di sostanze a cui solo da poco tempo la medicina occidentale guarda con interesse per
la cura di certe malattie. Un assunto delle sottodiscipline antropologiche che studiano
la salute e la malattia fisica e psichica, e cio letnomedicina e letnopsichiatria, che
questi stati del corpo e della mente si intrecciano con vari piani della vita e
dellordine sociale e rinviano costantemente alle concezioni locali del corpo e della
persona. Il modo antropologico di accostarsi alle concezioni della salute e della
malattia ha posto in evidenza come non vi sia una medicina che possa considerarsi
svincolata dal contesto sociale e culturale entro la quale viene praticata. In Occidente
prevale nettamente il cosiddetto paradigma biomedico, cio lidea che lo stato di
malattia fisica abbia solo cause di tipo organico, ossia biologico. Nella medicina
occidentale ha preso piede ormai da tempo lidea della prevenzione che si ispira a
unidea di cura che tiene conto del contesto ambientale entro cui le patologie hanno
pi probabilit di manifestarsi.
In occidente chiamata bioetica, lo studio degli atteggiamenti e delle idee che sono
implicite nel nostro modo di trattare il corpo umano nella sua relazione con la sfera
della persona, della dignit dellindividuo, della sua libert, del suo diritto alla vita
ecc.
Mauss, in un celebre studio del 1938 ha sottolineato come lidea dellindividuo quale
soggetto svincolato dal contesto fosse non solo unidea occidentale, ma come presso
altre culture la dipendenza dellindividuo dalla societ fosse esplicitamente
riconosciuta. In effetti le nozioni di individuo e persona non dovrebbero essere usate
come intercambiabili. Mentre la nozione di individuo rinvia al singolo in quanto
unico esemplare diverso da tutti gli altri, la nozione di persona rinvia al modo in cui
lindividuo entra in relazione con il mondo sociale di cui fa parte. In quanto
persona lindividuo condivide con altri molte caratteristiche riconosciute dalla
societ come proprie di tutti gli individui. Ci che noi chiamiamo persona si
presenta ovunque come un insieme di elementi costitutivi, di natura tanto materiale
quanto spirituale, dotati di una certa capacit di integrazione. Il soggetto pensato

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ovunque come unentit largamente coerente, anche se tale coerenza non pu


essere concepita sul modello di quella a noi pi familiare.

2. Sesso, genere, emozioni

Forse il confine identitario pi netto presente in tutte le societ umane quello tra
femminile e maschile. Vi sono culture che pongono esplicitamente questa
differenza allorigine di tutte le cose. Anche nelle nostre societ postindustriali e
postmoderne, vigono potenti confini tra il femminile e il maschile: colori, modelli di
consumo, aspettative, emozioni, sentimenti e atteggiamenti in generale sono
considerati cose da donne o cose da uomini.
Hrtier sostiene che la riflessione umana ha esercitato la propria attenzione sin dalle
origini su ci che si presentava ad essa nel modo pi diretto e immediato: la
differenza dei tratti sessuali e la diversa funzione riproduttiva deve essere stata sin
dalle origini fatta oggetto di speciali attenzioni. Infatti il corpo sessuato, in generale,
sembra contenere unopposizione irriducibile sul piano concettuale.
Sempre secondo lantropologa francese, lopposizione femminile/maschile oppone
lidentico al differente e costituisce temi che si trovano in tutto il pensiero
scientifico, antico e moderno e in tutti i sistemi di rappresentazioni. Altri antropologi
ritengono che il rapporto identico/differente sia alla base dei sistemi di opposizione
tra rappresentazioni e valori sia astratti che concreti, i quali rinviano al modo di
parlare del femminile e del maschile come categorie oppositive.
Il mito dellAndrogino ripreso da Platone per spiegare le ragioni per cui la donna e
luomo si cercano, un esempio del rapporto identico/differente di cui parla la
Hritier. LAndrogino di Platone infatti identico a se stesso e al tempo stesso
differente, in quanto nel suo corpo sono iscritti i caratteri di entrambi i sessi,
femminile e maschile. Secondo lantropologa la differenza femmina/maschio
presente inoltre in tutti i sistemi di pensiero.
Luniversalit dellopposizione femminile/maschile non implica che in tutte le
culture si abbiano rappresentazioni analoghe delle relazioni tra i sessi. Tale
distinzione il risultato di una serie di manipolazioni simboliche e concrete che
riguardano gli individui, essendo tale distinzione una costruzione sociale. Per
illustrare il carattere di costruzione sociale della distinzione femminile/maschile,
Hrtier cita il caso degli Inuit. Presso di loro lidentit sessuale di un individuo non
legata al sesso anatomico, ma allidentit sessuale dellanima-nome reincarnata, la
quale viene assegnata al neonato nel momento della nascita sulla base di determinati
segni leggibili degli sciamani. Lindividuo deve tuttavia inserirsi nei suoli del suo
sesso appartenente (anatomico) e assumersi le responsabilit del suo sesso. Cos,
un ragazzo dallanima-nome femminile sar allevato fino ad una certa et come una
ragazza ma, una volta raggiunta la pubert, dovr assumere i tratti, i comportamenti e
i ruoli sociali di un maschio, pur mantenendo per tutta la vita la sua anima-nome,
quindi la sua identit femminile.
Allo scopo di distinguere tra identit sessuale anatomica e identit sessuale
socialmente costruita, gli antropologi usano i termini sesso e genere

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rispettivamente. Le differenze sessuali sarebbero allora quelle legate alle


caratteristiche anatomofisiologiche di un individuo; le differenze di genere, invece,
risulterebbero dal diverso modo di concepire culturalmente la differenza sessuale.
Distinguere tra sesso e genere fondamentale. In molte societ, tra cui la nostra,
ragazzi e ragazze ricevono uneducazione di genere diversa. Si insegna a
comportarsi in base a una certa idea di come ragazze e ragazzi dovrebbero
rispettivamente comportarsi. Questo fatto spinge molte persone a ritenere che il
comportamento di genere appropriato per ragazze e ragazzi sia una conseguenza
diretta della loro identit sessuale. tuttavia sappiamo bene quanto leducazione e il
comportamento di genere siano cambiati.
I lavori degli antropologi ci hanno insegnato come quelli che dovrebbero essere i
tratti della femminilit e della mascolinit non siano affatto intesi ovunque nello
stesso modo. Le distinzioni di genere, sembrano essere piuttosto delle costruzioni
culturali. Le culture costruiscono rappresentazioni sociali e culturali dellidentit
sessuale sorprendentemente diverse tra loro.
Sesso e genere sono dunque due dimensioni identitarie distinte. tuttavia chiaro che
nella pratica sociale tali dimensioni tendono a fondersi in rappresentazioni e
comportamenti di vario tipo. Una di queste rappresentazioni, con i comportamenti ad
essa connessi, che le donne sarebbero individui preposti naturalmente alla
riproduzione, ritenendo che la funzione riproduttiva delle donne sia ovvia.
Nella costruzione delle differenze di genere, tipiche delle varie societ, non sono
presenti solo dati naturali (il sesso anatomico) o credenze di vario tipo (anime-
nome) ma anche e soprattutto dinamiche che fanno della riproduzione femminile
qualcosa di controllabile, di manipolabile. Il controllo delle capacit riproduttive
delle donne costituisce un elemento cruciale di tutti i sistemi sociali e della nascita di
certe forme di potere. I rapporti tra i sessi sono fatti oggetto di vere e proprie norme
giuridiche codificate. La separazione, lesclusione, la distinzione tra i sessi sono
realizzate mediante attribuzione di ruoli, tanto reali quanto immaginari. Molte societ
insistono su aspetti della personalit femminile quali la reputazione, la modestia, la
verginit, lonore, tutti tratti connessi con lostentazione del corpo. In molte societ si
ritiene inoltre che uomini e donne abbiano personalit differenti: pi razionali e
lucide quelle degli uomini, pi istintive ed emotive quelle delle donne.
Mead, che negli anni Venti e Trenta intraprese delle ricerche sulla natura maschile e
femminile, riusc a mostrare come presso popoli da lei studiati, i tratti del carattere
maschile e femminile fossero determinati pi dalleducazione e dai modelli appresi
che non da una predisposizione naturale, e come i diversi valori espressi da culture
differenti tendessero a produrre un carattere tipico medio.
Lo studio delle emozioni costituisce un settore di ricerca sviluppato solo
recentemente dallantropologia. Tale studio nasce come parte di un interesse pi
generale per la costruzione del S in relazione al mondo esterno, all alterit
umana, sociale, di genere e naturale. La rabbia, lansia o la felicit sono tutti elementi
costitutivi della persona e della sua maniera di essere nel mondo. Tali stati danimo
fanno parte di una pi generale sfera dellinteriorit in cui non sempre facile
distinguere tra emozioni, sentimenti e sensazioni. I sentimenti sono in genere i

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concetti che una cultura possiede di un determinato stato danimo (per es. essere
innamorati). Lemozione implicita nel fatto di essere innamorati tuttavia
qualcosa di diverso. Gli stati danimo non sono universali, o meglio, non sono
espressi ovunque nella stessa maniera. Lodio, la paura, la felicit e la tristezza, tutti
stati danimo implicanti linsorgenza di una reazione emotiva, non sono il frutto di
una natura geneticamente determinata. Essi sono piuttosto concepiti in base ai
modelli culturali introiettati durante linfanzia e riplasmati continuamente nel corso
della vita di un individuo.
I problemi dello studio antropologico della sfera emotiva non si limitano tuttavia alla
variabilit culturale della loro espressione. Poich cercare di mettersi nei panni degli
altri non implica che si sia capaci di ritrasmettere ci che si prova, lo studio delle
emozioni e delle sfera interiore si concentrato sul problema della traduzione. Gli
studi pi recenti di antropologia delle emozioni, si sono sforzati di tradurre quei
concetti e quelle parole che, in determinati contesti sociali, vengono usati per
esprimere particolari stati danimo, sentimenti ed emozioni.
Molte culture presso le quali gli antropologi hanno condotto ricerche sulla
dimensione dellinteriorit mancano di un termine unico per indicare gli stati danimo
che noi chiamiamo emozioni. Esse vengono modulate in relazione a una serie
complessa di fattori: et, genere, posizione social, contesto pubblico o privato,
concezioni locali della mente e del corpo.
Molti degli studi condotti dagli antropologi sulle emozioni hanno cercato di mettere
in evidenza il rapporto di queste ultime con il sistema delle interazioni personali e
delle relazioni sociali.
Vi sono inoltre molti altri stati danimo, emozioni e sentimenti connessi con
espressioni corporee che mutano da cultura a cultura. Tali espressioni sono apprese
dagli individui, tanto come frutto di un insegnamento quanto come effetto
dellimitazione. Tutte le culture hanno un modo razionale di parlare delle
emozioni, poich possiedono nozioni e concetti atte a descriverle. Le emozioni non
sono qualcosa che si oppone al pensiero, ma cognizioni che interessano un Io
corporeo, pensieri incorporati.

3. Casta, classe, etnia


Il termine casta viene oggi utilizzato in maniera fluida e generica in riferimento a
gruppi sociali ritenuti superiori o inferiori ad altri e che tendono a condurre una vita
in qualche modo separata da questi ultimi. In antropologia il termine casta ha per un
significato pi ristretto e meglio definito. Casta un termine portoghese che
significa casata o stirpe.
Lavorare, mangiare, usare oggetti duso quotidiano, frequentare luoghi ecc. sono tutti
atti che non consentono ai membri delle caste superiori di entrare in contatto con i
membri delle caste inferiori. Le caste sono infatti disposte gerarchicamente. Tale
gerarchia si fonda su un criterio di maggiore o minore purezza rituale. Numerosi
autori hanno visto nel sistema delle caste indiano un esempio particolarmente
esasperato di stratificazione sociale, fondato sulla disparit di accesso alle risorse.

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Il problema delle caste in India, oggi una questione politico-sociale di grande


attualit e presenta notevoli difficolt di soluzione per via delle resistenze a concepire
il contatto tra individui di caste diverse reso per altro necessario dalle trasformazioni
produttive e sociali.
Il sistema castale per, oltre a rispondere effettivamente a un criterio di divisione
occupazionale, si fonda su unidea di gerarchia che profondamente diversa da
quella di gerarchia e di potere che gli occidentali hanno in mente. La gerarchia castale
una gerarchia di purezza rituale la cui logica informa non solo le relazioni
economiche di potere.
La nozione di classe sociale strettamente legata alla tradizione della filosofia e
delleconomia politica europea, e in special mode alle analisi della societ nata sulla
spinta della rivoluzione industriale. Marx riteneva che la storia della societ europea
fosse caratterizzata da ci che chiam lotta di classe, ossia dallo scontro tra gruppi
sociali con interessi economici e politici diversi e conflittuali. Cos la societ
moderna era nata dallo scontro tra borghesia e aristocrazia, e dal trionfo della prima
sulla seconda. Le distinzioni di classe non si risolvono in differenze di tipo
economico. Tali distinzioni erano infatti per lo stesso Marx il frutto, oltre che di
disparit oggettive nellaccesso alle risorse, anche della rappresentazione che ogni
gruppo aveva di se stesso in relazione alle altre classi. Nella visione tipica di Marx,
un ruolo fondamentale spettava a ci che egli chiamava coscienza di classe, ossia
alla consapevolezza che una classe come il proletariato doveva acquisire circa la
propria condizione di sfruttamento che la subordinava alla borghesia capitalista.
Le distinzioni di classe si riflettono infatti anche sul piano della cultura che ogni
classe elabora ed esprime sulla base della propria esperienza del mondo.
La divisione della popolazione in classi ha naturalmente a che vedere con la visione
del lavoro, ma non coincide con questultima. Gruppi occupazionali diversi possono
infatti appartenere alla stessa classe sociale.
La nozione di classe stata talvolta estesa a realt sociali e storiche molto diverse da
quelle emerse negli ultimi due secoli in Occidente. Si infatti parlato di classi sociali
in presenza di gruppi economicamente interconnessi ma caratterizzati da disparit
socio-economiche e tra i quali esistono rapporti di dominio e di subordinazione.
Per molti anno gli antropologi hanno impiegato il termine etnia per indicare un
gruppo umano identificabile mediante la condivisione di una medesima cultura, di
una medesima lingua, di una stessa tradizione e di uno stesso territorio.
Nella seconda met del secolo XX prevalsa la tendenza a rivedere questo uso del
termine etnia. Si parla infatti di etnicit per riferirsi al sentimento di
appartenenza a un gruppo definito culturalmente, linguisticamente e territorialmente
in maniera rigida e definita. Tutti i gruppi umani, le loro culture e lingue sono frutto
di un pi o meno lento processo di interazione con altri. Letnicit una
manifestazione facente parte di ci che alcuni antropologi hanno definito la sfera dei
sentimenti primordiali. Con lespressione sentimenti primordiali non si vuole dire
che tali sentimenti siano naturali, ma piuttosto che gli esseri umani devono
necessariamente trovare delle ragioni ultime per auto-percepirsi come individui dotati

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di una stabile identit; e che la parentela, come lattaccamento al gruppo etnico,


sembrano far parte di questi sentimenti di base.
Nella contrapposizione etnica ci che agisce pi di ogni altra cosa la volont di
enfatizzare uno o pi elementi differenti reali o immaginari dimenticando tutti gli
altri che invece accomunano. Lo scopo dello scontro etnico leliminazione
dellaltro, il suo annullamento fisico, per allontanamento o sterminio.
Il fattore etnico pu anche essere utilizzato allo scopo di ottenere vantaggi sul piano
economico per alcuni gruppo di interesse, per ceti insofferenti delle regole fiscali
imposte da un centro politico o anche per gestire risorse in assenza di unautorit
centrale capace di imporre regole comuni. Letnicit deve essere letta insomma come
il prodotto di uninterazione tra gruppi con interessi diversi spesso innescati da
soggetti politici esterni. Il fenomeno etico si presenta a noi in una forma tale che ne
maschera il vero significato storico.

Parte sesta- Forme della parentela

1. La parentela come relazione e come rappresentazione


In questa parte affronteremo lesame di quelle che siamo abituati a chiamare
relazioni di parentela. Si tratta di relazioni biologicamente, socialmente e
culturalmente stabilite. La parentela un dato fondamentale, un elemento da cui non
si pu prescindere nello studio e nella conoscenza delle diverse societ e culture.
La parentela potrebbe essere definita come la relazione che lega gli individui o sulla
base della consanguineit o per via matrimoniale. Le relazioni di parentela sono
ovunque alla base dei diritti e dei doveri primari che legano tra loro le persone.
La parentela, oltre a costituire un campo speciale di relazioni sociali, coincide con un
complesso di rappresentazioni riguardante la concezione che ogni societ ha dei
rapporti tra esseri umani. Tutte le culture hanno unidea del tipo di legami che
intercorrono, ma le idee relative alla parentela implicano differenti concezioni
inerenti al concepimento, alla formazione e alla crescita degli esseri umani.
Teorie locali della parentela potrebbero stupirci, ma non dimentichiamoci che in
Europa ha prevalso, per molti secoli, la rappresentazione della procreazione come
effetto della crescita di un seme maschile nel ventre della donna.
Lo studio della parentela non ci dice soltanto chi sono e chi non sono i parenti di un
individuo allinterno di questa o quellaltra societ; esso ci illumina su molti aspetti
della vita sociale e culturale in quanto si ricollega alle concezioni della vita e della
morte, della morale, della religione, alle concezioni della persona, dei diritti, dei
doveri e di altre cose ancora. La concezione della parentela tipica di una data societ
comprende, oltre alle idee sulla riproduzione e il concepimento, anche e soprattutto
una notevole quantit di regole e norme che coinvolgono tanto gli individui quanto i
gruppi a cui essi appartengono. I legami parentali non riguardano solo i rapporti tra
individui, bens anche, e soprattutto i rapporti tra gruppi.
Per descrivere le relazioni di parentela tra individui e tra gruppi, vengono tracciati dei
diagrammi, ossia disegni costituiti da simboli convenzionali, linee, lettere e numeri.
Tali elementi consentono di illustrare in poco spazio e in breve tempo connessioni

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talvolta estremamente complesse. Tra i simboli, lultimo della tabella, chiamato Ego,
indica lindividuo attorno al quale viene costruito un diagramma, e dal cui punto di
vista il diagramma di parentela va letto.
Non sempre i diagrammi di parentela riproducono la realt delle relazioni esistenti
tra gli individui. Infatti tendono a riprodurre lidea che gli attori sociali hanno delle
proprie relazioni. I diagrammi infatti nascondono, sotto unapparente immagine della
parentela come fatto naturale, il carattere eminentemente sociale e culturale di
essa.
Vi sono altri elementi che servono a costruire i diagrammi di parentela. Si tratta di
sigle utilizzate per designare gli individui in rapporto a Ego. Luso di queste sigle
spesso fondamentale poich consente di descrivere i parenti di Ego
indipendentemente dal modo in cui, nella societ di questultimo, si soliti chiamare
o rivolgersi ai parenti. Infatti, non tutti i popoli designano allo stesso modo i parenti.
Quelli che noi, ad esempio, chiamiamo nipoti, presso alcune societ possono essere
chiamati figli, e gli zii diventano i padri. Questi sono modi del tutto coerenti e
razionali di classificare i parenti. Luso dei simboli e delle sigle consente di
rappresentare connessioni estremamente complicate in maniera rapida ed efficace.
Consente di tralasciare tutti gli individui che sono superflui rispetto allo scopo per il
quale il diagramma viene tracciato. Tutte le societ, bench in misura differente, si
sono applicate, per quanto ne sappiamo, a escogitare sistemi per definire dei gruppi e
a elaborare regole in base alle quali assegnare la prole a un gruppo piuttosto che a un
altro.
Ci troviamo in presenza di gruppi fondati sul principio della discendenza. Si tratta di
gruppi di individui i quali, per il fatto di discendere da un antenato comune, sono in
grado di far coincidere, popolazione e risorse, di affermare su queste ultime dei diritti
duso prioritario, e di trasmetter tali diritti ai loro discendenti, ossia a tutti quegli
individui che, nascendo, saranno inclusi nel gruppo in base al criterio della comune
discendenza. I tipi di discendenza sono essenzialmente tre:
- patrilineare: stabilita esclusivamente attraverso legami tra individui di sesso
maschile;
- matrilineare: fondata esclusivamente sui legami tra individui di sesso
femminile;
- cognatica: fondata su legami stabiliti attraverso una linea di discendenza che
comprende individui dia di sesso maschile che di sesso femminile.
Esistono anche societ a discendenza doppia le quali associano il principio della
patrilinearit a quello della matrilinearit.
Con lespressione gruppo corporato si indicano quei gruppi fondati sul principio
della discendenza i quali condivido, su basi collettive, diritti, privilegi e forme di
cooperazione economica, politica e rituale.
I lignaggi sono quasi sempre dei gruppi corporati. Ogni lignaggio costituito da tutti
coloro che possono tracciare una comune discendenza da un determinato individuo.
Clan sono invece chiamati quei gruppo di discendenza i cui membri non possono
ricostruire la successione degli individui che connettono i loro rispettivi lignaggi

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allantenato comune, ma che hanno solo un sentimento di appartenere a una comune


discendenza. Spesso, in questi casi, lantenato una figura mitica.
Il parentado di un individuo sempre un gruppo egocentrato, poich costituito da
tutti gli individui patri- e matrilaterali in relazione di consanguineit con Ego. La
cerchia degli individui che formano il parentado costituita dagli individuo con i
quali Ego ha una qualche forma di interazione. Un parentado esiste solo in relazione
a un individuo vivente. Il parentado costituisce la cerchia degli individui su cui, in
quasi tutte le societ, gli individui possono effettivamente contare,
indipendentemente dalle regole che assegnano un individuo a un gruppo di
discendenza determinato. Un parentado sempre egocentrato e un individuo rientra
in molteplici parentadi, quelli di tutti gli individui con i quali in relazione di
consanguineit.
La residenza importante perch la maggiore o minore prossimit spaziale tra
individui determina spesso il grado della loro coesione. Nel caso di gruppi di
discendenza che risiedono nello stesso territorio, la prossimit diventa un fattore di
ulteriore coesione e il loro carattere corporato pu uscirne rafforzato. Quando si
disperdono, il loro carattere corporato pu ridursi.
Unaltra importante caratteristica delle comunit umane la dimensione del vicinato.
In tutte le societ la formazione di nuclei abitativi, soprattutto se stabili, comporta la
coresidenza di gruppi che possono non essere irrelati tra loro. Il vicinato stato
definito come forma sociale effettivamente esistente, una comunit effettiva
caratterizzata dalla sua concretezza, spaziale o virtuale, e dal suo potenziale di
riproduzione sociale.
Di fondamentale importanza la dimensione dellaffinit. Questa coincide coi legami
contratti da un individuo con altri attraverso listituzione da noi conosciuta come
matrimonio. Le forme del matrimonio ordinariamente riconosciute sono:
monogamico (tra due individui), poliginico (tra un uomo e pi donne) e poliandrico
(tra una donna e pi uomini). Questultimo sicuramente quello meno diffuso. Il
matrimonio una forma socialmente riconosciuta di unione attraverso la quale un
individuo entra in relazione di alleanza con altri individui. un atto formale che
legalizza un rapporto sessuale da cui possono nascere dei figli i quali, proprio perch
nati in questo contesto, potranno essere ritenuti legittimi. Alle diverse forme di
matrimonio corrispondono altrettante forme di costituzione di ci che noi chiamiamo
famiglia. In molte societ la famiglia nucleare costituisce listituzione sociale di
orientamento primario dellindividuo e lambito nel quale avviene in primo luogo la
trasmissione dei valori sociali. La famiglia nucleare esiste quasi sempre nel contesto
di quella che si chiama famiglia estesa, costituita dagli individui appartenenti a tre
generazioni e che formano spesso un gruppo domestico.
- Esogamia indica lunione matrimoniale di un individuo allesterno del gruppo;
-Endogamia indica invece lunione matrimoniale di un individuo allinterno del
gruppo.
Unioni sessuali con individui vietati sul piano matrimoniale vengono considerate
incestuose. Con lespressione proibizione dellincesto viene indicato infatti il

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divieto, universalmente diffuso nelle societ umane, relativo allunione matrimoniale


tra determinati individui.
Una distinzione da tracciare quella tra cugini incrociati e cugini paralleli. I primi
sono i figli e le figlie di fratelli germani di sesso differente. I cugini paralleli sono i
figli e le figlie di fratelli germani delle stesso sesso.

2. Le terminologie di parentela
Una terminologia di parentela il complesso dei termini di cui una societ dispone
per designare gli individui in relazione di consanguineit o di alleanza. Alcuni
preferiscono parlare di terminologie di relazioni; altre culture possono in alcuni
casi non evocare lidea di un legame n di sangue n di alleanza.
Morgan deriv il primo degli assunti che sono alla base della natura delle
terminologie di parentela e cio che queste ultime costituiscono dei sistemi. Il
secondo assunto di Morgan quello per cui i sistemi terminologici di parentela
rientrano in poche categorie fondamentali. Il terzo assunto quello secondo cui
sistemi molto diversi possono trovarsi in regioni geograficamente vicine, mentre
sistemi tra loro simili possono essere rintracciati in localit lontanissime una
dallaltra.
Gli antropologi hanno isolato sei tipi di sistemi terminologici di parentela e hanno
assegnato loro i seguenti nomi: hawaiano, eschimese, omaha, crow, irochese e
sudanese. Questi prendono il nome da popoli o sa regioni presso cui tali sistemi
furono individuati o studiati per la prima volta. Questi sei tipo sono raggruppati in tre
differenti categorie:
1) Sistemi non lineari o bilaterali di cui sono propri quello hawaiano e
leschimese. I sistemi non lineari danno tendenzialmente la stessa importanza a
entrambe le linee di discendenza di Ego, quella patrilaterale e quella
matrilaterale.
2) Sistemi lineari che adottano il principio della biforcazione, ovvero fondono i
parenti dello stesso sesso e della stessa linea di discendenza di Ego. A questi
sistemi appartengono quello irochese, quello crow e quello omaha.
3) Sistemi descrittivi. Caratteristica di questi sistemi luso di un termine
differente per ogni parente di Ego appartenente alla propria generazione, a
quella dei genitori e a quella dei propri figli. Si tratta di sistemi a massima
distribuzione terminologica.

3. La parentela come pratica sociale


I diversi modi di intendere la parentela consistono nelluso pratico che i vari popoli
fanno di essa. Presso molte societ i parenti costituiscono una cerchia di individui con
cui intraprendere iniziative economiche, con cui svolgere determinati riti e formare
fazioni politiche. La parentela agisce in diversi contesti culturali, storici e soprattutto
pratici: per contesti pratici intendiamo quelle situazioni, o aspetti della vita sociale,
che coincidono con le condizioni della riproduzione sociale.
Le societ unilineari sono di due tipi: patri e matrilineari. Il principio della
discendenza unilineare consente la costituzione di gruppi, i quali possono gestire

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risorse e stabilire i criteri daccesso a queste ultime che, in molti casi, sono possedute
su basi collettive.
I gruppi di discendenza patrilineari sono quelli che ricorrono pi frequentemente.
Centrale per ogni gruppo patrilineare, la preoccupazione di avere maschi che ne
assicurino la continuit attraverso le successive generazioni. Queste societ hanno
istituzioni e regole finalizzare allacquisizione di prole maschile. Si tratta, di
conseguenza, di istituzioni e regole che si applicano al controllo delle facolt
riproduttive degli individui di sesso femminile. Il controllo della fertilit delle donne
ha comportato, presso questo tipo di societ, la nascita di vasti sistemi di scambio
matrimoniale i quali prevedono il coinvolgimento di numerosi gruppi.
I sistemi di discendenza di tipo matrilineare non sono la copia speculare di quelli
patrilineari. Ci che non consente di pensarli come tali la distribuzione asimmetrica
del potere e dellautorit tra maschi e femmine. Nei sistemi matrilineari, infatti, come
in quelli patrilineari, il potere e lautorit sono prerogativa degli uomini e non delle
donne. Mentre nelle societ patrilineari la discendenza e lautorit sono trasmessi
lungo la medesima linea, in quelle matrilineari la loro trasmissione si effettua lungo
due linee diverse: la discendenza per via femminile, lautorit per via maschile.
In questo tipo di societ lautorit si trasmette dal fratello di una donna al figlio
maschio di questultima. Lavuncolato il nome che gli antropologi hanno dato a un
complesso di elementi culturali che caratterizzano la relazione tra un individuo e il
figlio di sua sorella.
Uno dei maggiori problemi che le societ a discendenza matrilineare devono
affrontare come risolvere la tensione tra il potere e la discendenza. Al centro di tale
tensione troviamo infatti il fratello di una donna e il marito di questultima che si
contendono il controllo sulla prole della donna stessa. In definitiva per, non esiste
una conclusione valida per tutte le societ, ma si pu valutare la posizione della
donna in base allautorit maggiore o minore che su lei esercitano il marito da un lato
e il fratello dallaltro.

Parte settima- Dimensione religiosa, esperienza rituale

1. Concetti e culti
La nozione di religione possiede per noi un significato scontato. Sembra infatti
rinviare a un complesso di credenze che si fondano da un lato su dogmi e dallaltro su
riti, cerimonie e liturgie che hanno lo scopo di avvicinare i fedeli a delle entit
soprannaturali. Pensiamo infine che la religione abbia dei luoghi particolari in cui
viene praticata: chiese, sinagoghe, moschee, templi. tuttavia sufficiente compiere
un rapido giro etnografico per trovare popoli che non hanno dogmi della fede, altri
che non hanno dei, e altri ancora che non hanno n templi n individui specializzati
nelle attivit di culto. Troviamo semmai esseri umani che immaginano una vita dopo
la morte, che pensano il corpo come animato da un soffio vitale, che si
rappresentano il mondo come percorso di forze invisibili.
Tylor esortava a non considerare la religione come qualcosa di troppo simile allidea
che ne avevano gli europei e cio come di qualcosa composto da credenze, riti,

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divinit, miti della creazione, quindi in quanto prodotto della volont degli europei di
ritrovare altrove qualcosa di simile a quello che essi conoscevano.
Se spostiamo lattenzione dagli aspetti formali e istituzionali della religione a quelli
motivazionali (che cosa spinge luomo a credere), avremo forse la possibilit di avere
una visione pi unitaria del fenomeno e cogliere la natura dellesperienza religiosa.
In generale una religione potrebbe essere definita come un complesso pi o meno
coerente di pratiche e di rappresentazioni che riguardano i fini ultima e le
preoccupazioni estreme di una societ di cui si fa garante una forza superiore
allessere umano. Questa definizione tocca due dimensioni: quella del significato che
sta nei valori esprimenti i fini ultimi e le preoccupazioni estreme di una societ; e
quella del potere che risiede nellidea che vi sia qualcosa o qualcuno che ha lautorit
di sanzionare tali valori. La religione ha il compito di spiegare limportanza
indiscutibile di quei valori stessi, di affermarlo e ribadirli; svolgendo di conseguenza,
una funzione integrativa nella pretesa di difendere la verit dei valori che crede debba
assumere la societ e, al tempo stesso, una funzione protettiva nel mettere a riparo gli
individui dalle insicurezze connesse con la vita personale e collettiva.
Nel 1966 Wallace distinse i tipi di culto in: individuali, sciamanici, comunitari ed
ecclesiastici.
I culti individuali sono quelli praticati dal singolo individuo allinterno di un codice
religioso culturalmente e socialmente condiviso di rappresentazioni.
I culti sciamanici sono quelli tipici di societ nelle quali il contatto con le potenze
invisibili assicurato, oltre che dal culto individuale, dallopera di una particolare
figura, uomo o donna, definita sciamano. Sciamano indica in maniera generica quei
personaggi che detengono un posto particolare nella vita religiosa e rituale della
comunit e che associata con il potere di curare malattie di vario tipo. Caratteristica
dello sciamano quella di essere un individuo come gli altri nella vita di tutti i giorni,
e che solo occasionalmente veste i panni della sua funzione.
I culti comunitari sono pratiche religiose che prevedono la partecipazione di gruppi di
individui organizzati sulla base dellet, del sesso, della funzione, del rango, oppure
su base volontaria e che si riuniscono temporaneamente per questo preciso scopo
senza alcun aspetto di permanenza e continuit delle funzioni cultuali. I gruppi
organizzati possono avvalersi della partecipazione di sciamani, gruppi di danza,
suonatori ecc. Un tipo speciale di culto comunitario quello chiamato totemico. Il
termine totem deriva dallespressione ototeman che significa qualcosa come egli fa
parte della mia parentela. I primi studiosi di antropologia parlarono di totemismo,
ritenendo che tutto ci che potesse segnalare luso di termini di animali o piante in
relazione a individui o a gruppi di essi, dovesse essere considerato una forma di
religione primitiva. Il totemismo comprende un complesso di fatti tra loro
estremamente eterogenei.
I culti ecclesiastici sono infine quelli che prevedono lesistenza di gruppi di individui
specializzati nel culto, come i sacerdoti. Con i culti ecclesiastici siamo di fronte a
religioni in possesso di testi quasi sempre scritti, i quali vengono tramandati in luoghi
speciali di istruzione.

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2. Simboli e riti
Alla base di ogni rappresentazione religiosa, ha scritto Geertz, vi sono dei simboli
sacri i quali servono a sintetizzare lethos di un popolo, il tono, il carattere e la qualit
della sua vita, il suo stile e il suo sentimento morale ed estetico, nonch la sua
visione del mondo, limmagine che ha di come sono effettivamente le cose, le sue
idee pi generali dellordine. I simboli religioni sono infatti sacri, e quella di sacro
certamente una nozione centrale del pensiero religioso.
Secondo Durkheim le cose sacre sono quelle che suscitano negli esseri umani rispetto
e timore reverenziale, al punto da essere concepite come pericolose per chiunque le
avvicini senza la condizione appropriata per farlo. I simboli sacri producono,
nellanimo di chi ne riconosce il significato, unidea rappacificante di ordine; sono
ci che consente alla religione di svolgere la sua duplice funzione: integrativa e
protettiva. Per far s che un simbolo sia per riconoscibile come sacro bisogna infatti
che la sua sacralit si imponga alla sensibilit e alla mente dei soggetti.
Un rito pu essere inteso come un complesso di azioni, parole, gesti la cui sequenza
prestabilita da una formula fissa. I riti, sono di solito officiati da personaggi speciali
in qualche modo dotati di autorit: un sacerdote nel caso della processione, un
capofamiglia nellesecuzione del sacrificio musulmano, un gruppo di anziani in altri
casi. I riti sono ci che rende evidenti le verit della religione, ossia i valori, i fini
ultimi, lordine del cosmo e della societ; sono degli atti aventi come fine quello di
rassicurare gli individui di fronte alle incertezze e alle tensioni dellesistenza. Vi sono
dei riti che si distinguono per alcune caratteristiche particolari a cui gli antropologi
hanno dedicato importanti studi teorici.
I riti di passaggio sono quelli che sanzionano pubblicamente il passaggio di un
individuo, o di un gruppo di individui, da una condizione sociale o spirituale a
unaltra: battesimi, circoncisioni rituali, matrimoni, funerali, insediamenti ecc. Van
Gennep distinse, allinterno di ciascun rito di passaggio, tre fasi, ciascuna
caratterizzata da rituali specifici, separazione (riti preliminari), margine (riti liminari)
e aggregazione (riti postliminari), attribuendo la massima importanza a quella
centrale, o di margine in quanto espressamente dedicata al controllo della fase pi
incerta e delicata del passaggio. proprio nella fase di margine che lindividuo pu
essere involontariamente responsabile dello scatenamento di forze ambigue,
pericolose e diffuse capaci di mettere a repentaglio lordine sociale e concettuale.
Di fronte alla morte le comunit fanno riferimento ai valori ultimi sui quali esse si
fondano. I riti funebri contengono gesti, azioni e parole che richiamano, nella mente
di coloro che vi partecipano, i valori e i significati su cui la comunit in questione
fonda lordine del mondo e di s medesima. Certo i riti possono variare di molto nella
forma e nella sostanza a seconda che si celebrino in onore di un defunto di alto o di
basso rango sociale, a seconda che sia un uomo o una donna, un adulto o un bambino,
che si tratti di una persona importante. Molte di queste differenze dipendono dalla
complessit della struttura della societ in questione. Proprio perch contrapposta alla
vita, la morte appare agli esseri umani priva di senso. Per continuare a esistere, le
societ devono rendere ragionevole la morte e, a tale scopo, connetterla con i valori
e le rappresentazioni che danno un senso alla vita stessa.

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I riti di iniziazione sanciscono il passaggio degli individui da una condizione sociale


o spirituale a una condizione diversa dalla precedente. Nelle societ studiate dagli
antropologi viene dato spesso grande rilievo a riti di tal genere, poich essi sono la
dichiarazione pubblica, socializzata, dellassunzione di un nuovo status da parte di un
individuo e delle responsabilit che questo nuovo status comporta. I riti di iniziazione
hanno lo scopo fi situare ufficialmente lindividuo in posizioni adeguate alla sua
et sociale e quindi sancire i diritti che gli competono in epoche diverse della sua
vita. In molte societ le idee di ordine e stabilit sociale sono strettamente collegate al
principio di autorit, e questo a quello di anzianit, ovvero le due condizioni che
possono essere raggiunte progressivamente; tale processo in parecchi casi scandito
dai riti di iniziazione. Riti di iniziazione esistono anche in societ nelle quali,
riconosciuti pubblicamente come validi, si presentano in forma meno strutturata di
altri riti ufficialmente riconosciuti. Nelle moderne societ occidentali certi riti di
iniziazione possono consistere, ad esempio, nel compiere certe azioni pericolose o
violente mediante cui gli individui danno prova di coraggio e si fanno cos
accettare dal gruppo.

3. Religioni e identit nel mondo globalizzato


La secolarizzazione un fenomeno che coinciderebbe con la ritrazione progressiva
del sacro dalla vita sociale e dalla sensibilit degli individui. Forse ci che sta
avvenendo non tanto la scomparsa del sacro, ma una sua privatizzazione da un
lato e una sua essenzializzazione dallaltro. Per privatizzazione si deve intendere
una sempre pi diffusa religiosit fatta di sintesi personali di credenze, riti,
rappresentazioni proveniente da tradizioni diverse. Questa tendenza privata anche
perch corrisponde a un disancoramento da quelle che in passato erano riconosciute
le valide e indiscutibili fonti di autorit in materia di fede. Il processo di
essenzializzazione consiste in una riduzione della fede a un discorso di pura
contrapposizione politica, etnica e culturale. Queste religioni e questi culti sorti in
risposta alle mutazioni sociali e culturali generatesi nel corso del Novecento sono
estremamente compositi e variegati, pi o meno ambi e influenti sulla vita di
comunit pi o meno grandi. Per definire questi culti e queste religioni gli
antropologi hanno impiegato il termine di movimenti.
I culti di revitalizzazione sono, ad esempio, quelli in cui un gruppo o una comunit
dichiarano di puntare a un miglioramento delle proprie condizioni di vita, e nei quali
sia i riti che le rappresentazioni hanno come fine quello di rivitalizzare il senso di
identit del gruppo o della comunit medesima.
I culti millenaristici sono quelli che accentuano le rappresentazioni relative
allavvento di unepoca di pace e di felicit, avvento che pu essere favorito,
incoraggiato e preparato mediante appropriate attivit rituali e grazie a un particolare
atteggiamento interiore da parte dei partecipanti.
I culti nativistici sono quelli che fanno propria la protesta contro le condizioni di
svantaggio sofferte dalle popolazioni native che mirano a riaffermare e far rinascere
aspetti culturali come strumenti di rivendicazione della propria identit, in
opposizione alla cultura del gruppo dominante.

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I culti messianici, infine, sono quelli a sfondo carismatico, legati alla presenza di una
forte personalit (messia) e che sono sorti dallincontro fra culti locali e
cristianesimo.
Un classico esempio della compresenza di elementi nativistici, di rivitalizzazione e
messianici costituito dal culto del cargo, tipico dellarea melanesiana, il quale ruota
attorno alla credenza nellarrivo di grandi bastimenti (cargo) carichi dei beni
caratteristici della civilt occidentale. Il cargo sarebbe stato inviato dagli spiriti degli
antenati alle popolazioni di questarea per risollevarle dallo stato di decadenza
culturale e sociale in cui erano sprofondate in seguito alla colonizzazione.
Alla moltiplicazione e alla frantumazione della dimensione religiosa nel mondo
globalizzato, dove la religione sembra oggi tornare a essere il principale punto di
riferimento per migliaia di gruppi e di comunit alla ricerca di un senso da dare al
mondo e alla propria vita, si contrappone una rappresentazione della religione come
dato monolitico, assolutamente coerente, totalizzante e capace di definire intere
identit culturali. Le strategie planetarie emerse alla fine del XX secolo hanno trovato
estremamente comoda e semplificatrice lidea della religione come qualcosa che
esaurisce la molteplicit delle espressioni culturali di popoli con culture, tradizioni,
costumi, strutture sociali e sensibilit estetiche tra loro molto differenti.
Limmagine del mondo diviso in religioni anche una pericolosa mossa ideologica
e politica suscettibile di produrre forme di contrapposizione irriducibile e di scontro
laddove, invece, vi sono o possono esserci spazi di ascolto, comprensione reciproca e
dialogo tra culture.
Nel mondo attuale la religione tende a subire un processo di ci che abbiamo
chiamato essenzializzazione. Tale processo favorito dai media che tendono a
diffondere con grande facilit e velocemente immagini e rappresentazioni culturali, di
s e degli altri. Quando la religione diventa un modo per rappresentare gli altri e s
stessi, possibile che essa diventi motivo di confronto politico, soprattutto se la
differenza religiosa, equiparata alla differenza culturale, diventa strumento di
manipolazione ideologica da parte di qualcuno.

Parte ottava- Creativit culturale ed espressione estetica

1. La creativit culturale
Le culture producono, a partire da esperienze passate e presenti, nuovi significati
mediante accostamenti tra rappresentazioni e patiche precedentemente non correlate.
La creativit culturale strettamente legata a una caratteristica del linguaggio umano:
la sua produttivit infinita. La creativit culturale consiste nella possibilit che gli
esseri umani hanno di produrre sempre nuovi significati a partire da modelli culturali
a loro disposizione. intesa come capacit di produrre novit mediante la
combinazione e la trasformazione delle pratiche culturali esistenti, non soltanto
presente in tutte le societ, ma trova anche riscontro in campi molto diversi dalla
tecnologia, la scienza e larte.

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I Luo, agricoltori del Kenya, per esempio, conoscono da tempo la Coca-Cola ma la


consumano solo in occasione cerimonie di iniziazione maschile dallet pubere a
quella adulta.
Se la creativit consiste nellaccostamento inedito di pratiche e significati allo scopo
di produrre nuovi modi di vedere la realt, o di conferire un senso nuovo a
questultima, la creativit non ha nulla di spettacolare. Vi sono tuttavia forme di
attivit e circostanze in cui questi accostamenti di pratiche e significati inediti sono
pi evidenti che in altre. Una di queste circostanze costituita dalla festa. La festa
un tratto universalmente diffuso nelle societ umane, al pari del gioco e del rito. Le
feste mettono in moto comportamenti improntati alla dimensione collettiva e segna la
rottura con il corso ordinario della vita. Certe feste scandiscono, in societ
particolarmente complesse, il trascorrere del tempo: si pensi ai giochi Olimpici, ai riti
religiosi e a quelli di commemorazione. Feste, giochi e riti sono tuttavia, pur avendo
in comune le caratteristiche di cui abbiamo detto, settori distinti dellattivit umana.
Mentre il rito ha un centro e una periferia, la festa presenta la tendenza a moltiplicare
i centri. Mentre nel rito ci sono uno o pi officianti i cui gesti e le cui parole ne
scandiscono le fasi e ne guidano le modalit di esecuzione, nella festa si creano
invece gruppi e sottogruppi, che sviluppano la festa secondo dinamiche largamente
casuali. La festa si presta a essere un terreno culturalmente creativo. Innanzitutto
nella festa i partecipanti sperimentano quella che viene definita la dimensione
comunitaria, si sentono coinvolti in un processo collettivo dove le differenze
tradizionali tra individui si annullano o si riducono notevolmente, i comportamenti
possono deviare a seconda delle circostanze dalla norma, e gli individui provano una
sorta di libert dazione e d espressione. La creativit della festa consiste nella
possibilit che si compiano accostamenti simbolici inediti o comunque insoliti
mediante i quali sia possibile trasmettere concetti e stati danimo difficilmente
esprimibili altrimenti.

2. Lespressione estetica
Ci a cui diamo il nome di arte ci viene automatico collegarlo anche allidea di
creativit. Il concetto di arte rientra per noi in questa categoria ma rinvia a una tale
quantit di rappresentazioni riguardanti lartista, il suo prodotto, il valore economico
di ci che viene creato, la sua fruibilit, nonch la sua finalit, che si hanno forti
dubbi sulla possibilit di definire arte ci che, prodotto in altri contesti culturali pu
benissimo non essere considerato artistico altrove.
Le arti si ripartiscono in arti visive e non visive. Le arti visive comprendono quelle
platiche (scultura, intaglio, ceramica) e quelle grafiche (pittura e disegno). La danza,
il teatro, il cinema e la televisione sono anchesse forme di arte visiva. Invece la
poesia, loratoria, la musica e il canto appartengono alle arti non visive.
In tutte le culture vi sono modi diversi di accostare colori, forme, parole, suoni e
movimenti del corpo, i quali producono uno stato percettivo capace di suscitare
reazioni e stati danimo di un tipo diverso da quelli indotti dalle azioni e dalle
immagini della vita ordinaria. La percezione estetica non ha a che vedere soltanto con
lidea della bellezza e del suo contrario. Il senso estetico in parte un fatto soggettivo

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e, in parte, un fatto collettivo. I cambiamenti della moda, per esempio, sono la


dimostrazione del fatto che le percezioni estetiche non sono statiche, ma cambiano
come altri aspetti della cultura.
Lespressione estetica un dato universale in quanto molte societ praticano un
qualche oggetto o eseguono una qualche performance capaci di generare nei
destinatati delle reazioni di tipo estetico. La produzione estetica di una data cultura
collegata in qualche modo ai valori, alla visione del mondo e al modo di sentire che
sono tipici di una certa comunit. Dovremmo porci una serie di questioni al fine di
determinare quali possano essere i significati estetici che un oggetto riveste
allinterno della cultura in cui sono stati prodotti.
Larte pu essere pi o meno creativa, pu cio essere pi o meno efficace nel far
insorgere in noi uno stato percettivo di tipo estetico, ma in ogni caso ha
unimportanza fondamentale.
Lespressione estetica delle culture preistoriche non pu certamente essere ridotta alle
pitture parietali. Questa arte grafica venne infatti affiancata da unarte plastica che
si realizz in statuine, monili, strumenti intagliati, di pietra e di osso, i quali rivelano
una straordinaria abilit manuale e uno sviluppato senso del realismo.
Un esempio di selezione estetica costituito dalla cosiddetta arte africana la
quale si concentrata sulle arti visive e in particolare sulla scultura. La grande variet
di forme presenti nellespressione artistica africana dovuta a un altrettanto grande
variet di motivi culturali, sociali ed estetici, oltre che tecnici.
facile dimostrare che non esistono canoni estetici universali. Sarebbe pi esatto
affermare che negli esseri umani universale la capacit di esprimersi esteticamente,
ma che la forma assunta da tale espressione estetica nelle diverse culture dipende da
unampia variet di fattori: fa funzione del prodotto, i valori e le rappresentazioni a
cui esso rinvia, luso che ne fa, il destinatario, infine la motivazione e lispirazione
dellartista.

3. Larte tribale nel contesto occidentale


Nel corso del XIX secolo i musei antropologici ed etnologici vennero moltiplicandosi
in Europa come negli Stati Uniti. Lenorme quantit di oggetti provenienti dai mondi
primitivi e arcaici dei cinque continenti and accumulandosi per opera di
viaggiatori studiosi di folklore, commercianti, esploratori e etnologi interessati alla
cultura materiale dei popoli della Terra.
In questi musei dEuropa e dAmerica gli oggetti venivano catalogati ed esposti
ricalcando ampiamente le teorie antropologiche di allora. Essi venivano spesso
raggruppati in categorie omogenee e presentati in ordine di complessit crescente;
si cominci a raggruppare gli oggetti per aree culturali, al fine di presentare le
caratteristiche delle culture tipiche di determinate regioni del pianeta. A partire dagli
anni successivi alla Seconda guerra mondiale i musei etnografici hanno sviluppato e
affinato sempre pi i loro criteri espositivi. In certi musei si tende a privilegiare il
criterio documentaristico, in altri, a volte, quello estetico. Dal momento che viene
valorizzata la dimensione estetica dei pezzi esibiti, questi tendono ad essere
inglobati nella categoria occidentale di arte.

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A tale inglobamento hanno concorso due motivi. Il primo motivo dellinglobamento


della produzione estetica primitiva nelle categorie di arte rappresentato dal fatto
che, tra la fine dellOttocento e i primi decenni del Novecento, i pittori e gli scultori
europei appartenenti alle correnti di avanguardia cominciarono a prestare una
speciale attenzione agli oggetti provenienti dallAfrica, dallOceania e dalle
Americhe. Dapprima vi furono artisti che sentirono il bisogno della modernit stessa.
il modernismo, che si svilupp nei primi anni del Novecento, considerava pertanto le
opere primitive come il riflesso di intuizioni estetiche originarie, prive di
connessioni con la realt, opere senza tempo e dunque dei prototipi artistici allo
stato puro. Divenne normale parlare di primitivismo dellarte, includendo in questa
categoria tanto i prodotti dellarte tribale quanto quelli dei pittori e degli scultori dei
primi decenni del Novecento.
Laffinit che viene stabilita tra lopera tribale e quella moderna potrebbe essere
infatti il risultato del fatto che tanto la prima quanto la seconda si discostano dal
naturalismo che ha dominato la produzione artistica europea tra il Rinascimento e la
fine dellOttocento. I modelli estetici, come tutti i modelli culturali, non sono affatto
statici ma si riformulano nella tensione che si stabilisce tra modelli propri e modelli
altri. Il secondo motivo dellinglobamento degli oggetti esotici nel sistema estetico
occidentale fu il mercato dellarte. Tra la fine dellOttocento e i primi anni del secolo
scorso gli oggetti esotici cominciarono a fare il loro ingresso sul mercato perch
erano richiesti inizialmente dai musei etnografici. Parallelamente si svilupp un
mercato privato che and sempre pi affermandosi con mostre, collezionisti, galleristi
e riviste specializzate.
Nella determinazione di un certo oggetto come opera darte entrano, nella nostra
tradizione, coppie di nozioni come autentico/inautentico, capolavoro/artefatto,
originale/seriale ecc. che consentono di operare spostamenti da un ambito a un altro,
far diventare cio un qualunque prodotto dellarte turistica un oggetto apprezzabile
come espressione creativa di una cultura autentica e quindi definibile come opera
darte di un certo valore.

Parte nona- Risorse e potere

1. Potere delle risorse e risorse del potere


Se oggi si tende a pensare in maniera congiunta alle risorse e al potere, non sempre
stato cos: prima lantropologia politica studiava il potere mentre lantropologia
economica studiava le risorse.
Per risorsa si intende sia un bene materiale, concreto, tangibile, sia un bene volatile
come un sapere o una conoscenza tecnica, unideologia politica o una visione
religiosa del mondo.
Lacquisizione e la disponibilit di una risorsa non sono mai completamente
disgiunte da una relazione di potere, ossia dal fatto che tale acquisizione e tale
disponibilit influiscano sempre sulla possibilit che un individuo ha, grazie ad esse,
di imporsi o di prevalere su altri individui.
Nel mondo occidentale economia e politica risultano distinte grazie allesistenza del

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sistema di mercato da un lato e dalle istituzioni politiche dallaltro.


Per lungo tempo, questa idea di economia e politica come di due sfere distinte stata
proiettata anche sulle societ diverse da quella europea. Un primo risultato di questa
situazione fu che, agli occhi degli europei, la maggior parte dei popoli altri
sembravano privi sia di economia che di organizzazione politica, non potendo
rintracciare presso molti di essi n un mercato con i suoi supporti e le sue regole, n
istituzioni politiche riconoscibili come tali.
Con gli sviluppi delletnografia, divenne evidente che anche gli altri popoli avevano
dei modi di produrre delle risorse, di farle circolare e di fissare criteri di accesso ad
esse, cio di controllarne lutilizzazione da parte di determinati individui o gruppi
piuttosto che altri.
Furono soprattutto le ricerche sul campo di Malinowski nellarcipelago delle
Trobriand a costituire la base per gli studi antropologici sulle economie arcaiche.
Malinowski ebbe modo di studiare una particolare forma di scambio, chiamato kula.
Gli abitanti della Trobriand e degli arcipelaghi limitrofi intraprendevano
periodicamente traversate per incontrarsi con gruppi coi quali mantenevano da lungo
tempo una relazione di scambio. Circolavano, e circolano ancora oggi, due tipi di
oggetti: collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie bianche. Tra queste
isole, le conchiglie circolavano in senso orario e i braccialetti in senso inverso. Gli
oggetti appartenenti a una categoria potevano essere scambiati solo con oggetti
dellaltra categoria. Gli scambi rituali erano seguiti da scambi profani, durante i quali
i gruppi trattavano la cessione di oggetti di uso corrente: strumenti, armi, reti da
pesca, alimenti ecc. Lo scambio rituale aveva lo scopo di ribadire la relazione di
collaborazione e amicizia tra partner economici abituali, rinsaldando rapporti tra
gruppi e individui tra loro lontani. Non tutti per potevano entrare nel circuito kula:
la partecipazione allo scambio rituale era una prerogativa di pochi.
Nellarea delle Trobriand e degli arcipelaghi vicini, c un termine, keda (via,
sentiero), con il quale i locali si riferiscono al cammino percorso dai beni che entrano
nello scambio kula. Il termine keda ha per altri significati, poich viene impiegato in
riferimento al complesso delle relazioni che legano gli individui e i loro gruppi in
questa rete di relazioni prodotta dal movimento stesso degli oggetti.
Keda un termine che infatti rinvia alle relazioni che gli oggetti incorporano e alla
ricchezza, al potere e alla reputazione di coloro che li possiedono. I keda, tuttavia,
possono anche dissolversi, per i pi svariati motivi. Quando questi circuiti si
disgregano, alcuni partner possono entrare, con gli oggetti al momento in loro
possesso, in altri keda, mentre alcuni non riescono a ricostituire circuiti analoghi
rimanendone per sempre al di fuori. Cambiando circuito, beni con lunghe storie di
scambio alle spalle possono vedere azzerata la propria memoria e perdere valore.
Infatti, ci che pi conta nella costituzione del valore di questi oggetti la serie
cumulativa di transazioni che tali oggetti portano con s, segno della solidit e della
continuit delle relazioni sociali tra gli individui coinvolti.
Questo esempio permette di capire la stretta relazione che si instaura tra circolazione
di risorse materiali e simboliche e lacquisizione di prestigio e potere.
Individui e gruppi agiscono politicamente nella misura in cui possono gestire delle

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risorse che, se adeguatamente impiegate allo scopo, conferiranno ad essi il potere di


controllare altre e pi importanti risorse, di natura simbolica e materiale. Per
partecipare alla lotta per il potere bisogna comunque disporre di risorse di un tipo o
dellaltro.
Lo studio antropologico del potere ha posto lattenzione alle diverse modalit in cui,
presso differenti culture, si crea ci che stato chiamato arena politica, uno spazio
astratto occupato da tutti gli elementi che determinano il confronto politico
(organizzazioni, individui, valori, significati e risorse), i quali sono manovrati dagli
attori politici. Considerare la politica come unarena svincola la politica stessa
dallimmagine statica che aveva caratterizzato la riflessione passata dellantropologia
sul tema del potere, che oggi preferisce concentrarsi sugli aspetti dinamici della
contesa politica. Basandosi su queste considerazioni, lantropologia ha adottato
quella che stata chiamata prospettiva processuale, che coglie la politica nel suo
divenire. Questa prospettiva consente di cogliere meglio la natura composita del
fenomeno politico.

2. Forme di vita economica


Lantropologia economica studia in una prospettiva comparativa. Lanalisi
delleconomia comprende lo studio della produzione, della distribuzione e del
consumo delle risorse.
Per quanto riguarda la produzione, c stata un influenza forte della riflessione
marxista. Marx dice che un modo di produzione una determinata forma di
organizzazione della produzione, vale a dire un insieme di relazioni sociali che
organizzano il lavoro necessario ad estrarre energia dalla natura attraverso strumenti,
competenze e saperi. Marx aveva sottolineato inoltre, come i beni incorporino
relazioni sociali.
I modi di produzione includono: i mezzi di produzione (terra, macchine, capitali,
ecc); il sapere e la tecnologia di cui la societ dispone; le relazioni sociali implicate
nel processo di produzione.
Questa riflessione sui modi di produzione ha orientato anche gli studi antropologici
che hanno studiato la produzione in altri contesti culturali.
Gli studi che gli antropologi marxisti hanno realizzato soprattutto in Africa sub-
sahariana e in America latina tra gli anni 60 e 80 si sono concentrati su modi di
produzione legati alle comunit domestiche. Qui sono generalmente gli anziani ad
avere il controllo della terra e delle risorse, degli strumenti di lavoro e, soprattutto
delle persone.
Gli antropologi marxisti hanno inoltre studiato larticolazione dei modi di
produzione, ovvero il modo in cui il modo di produzione capitalista ha inglobato o si
sviluppato accanto ad altri modi di produzione.
Lantropologia economica si occupa anche di distribuzione, oltre che di produzione.
Forse, chi se n pi occupato Polanyi, che uno dei padri dellantropologia
economica sostanzialista. Fino ai suoi lavori, lantropologia economica era dominata
dalla corrente formalista. I formalisti ritenevano che leconomia fosse un
comportamento finalizzato alla massimizzazione dellutile; i sostanzialisti, al

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contrario, consideravano leconomia come rapporto degli esseri umani con la natura e
con i propri simili.
Diversamente dai marxisti, Polanyi privilegia la distribuzione e lo scambio rispetto
alla produzione. Secondo Polanyi le forme di distribuzione e scambio presenti nelle
diverse societ sono tre: reciprocit, redistribuzione e mercato.
Si parla di mercato quando i prezzi e lorganizzazione degli scambi sono regolati
dalla moneta. Il prezzo determinato dalla legge della domanda e dellofferta.
Il mercato caratteristico delle societ industriali.
Influenzato dallo studio di Malinowski, Boas e Mauss, Polanyi elabor unidea di
economia come rapporto concreto degli esseri umani con la natura da un lato e con i
propri simili dallaltro. Questa visione delleconomia metteva laccento sulla
dimensione sociale di questultima, per cui le risorse e i beni prodotti erano
considerati come aventi soprattutto destinazione sociale.
Combinando la teoria di Polanyi con quella di Marx, lanalisi antropologica ha potuto
accostarsi alle forme di vita economica secondo nuove prospettive. Molte societ
dellAfrica e dellAsia sono state infatti studiate da un punto di vista che evidenzia
alcuni aspetti centrali del processo produttivo inteso come fenomeno sociale.
In uno studio dedicato ai Gouro della Costa dAvorio, lantropologo francese Claude
Meillassoux si prefisse di studiare quale tipo di rapporti sociali determinasse
lorientamento economico allinterno di ci che chiam comunit domestiche, cio
gruppi di individui per lo pi consanguinei e alleati coresidenti, i quali contribuiscono
allo svolgimento delle attivit di sussistenza di interesse comune. Secondo
Meillassoux, la comunit domestica si fonda su un accesso paritario di tutti gli
individui al mezzo di produzione per eccellenza, la terra. Tuttavia allinterno di tale
comunit vige il principio dellanzianit sociale come fondamento dellautorit. Sono
infatti gli anziani, cio uomini sposati con una prole in grado di lavorare la terra, a
detenere il controllo delle risorse. Tali risorse non coincidono per tanto con la terra e
gli attrezzi, ma sono piuttosto le donne, laccesso alle quali regolato dagli anziani
delle varie comunit domestiche: le donne sono la risorsa fondamentale grazie alla
quale gli individui possono diventare a loro volta indipendenti. Concedendo ai
giovani delle mogli, essi consentono loro di dare inizio a un nuovo ciclo domestico,
che vedr i nuovi anziani, cio i giovani di una volta, controllare a turno la
produzione agricola e la riproduzione della comunit.
Secondo diversi autori, tra cui lo stesso Meillassoux, la comunit domestica stata
funzionalmente incorporata dalle forme economiche e sociali. In et coloniale e
post-coloniale, le comunit domestiche di molti paesi africani sono divenute le
rifornitrici di manodopera sia per le piantagioni che per le industrie, tanto in Africa
quanto in Europa. Ci significa che il modo di produzione dominante nelle societ
tradizionali africane entrato, a un certo momento, in un rapporto di articolazione e
di dipendenza da quello capitalista. In conseguenza di questo fatto per la comunit
domestica delle societ africane si indebolita.
Larticolazione dei modi di produzione comporta il progressivo coinvolgimento dei
sistemi locali in sistemi pi ampi e, molto spesso, una forma di dipendenza
strutturale dei primi dai secondi.

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Quando i sistemi locali entrano in un rapporto di articolazione coi sistemi dominati


dal mercato, le trasformazioni possono essere rapide e rilevanti. Tali rapidit e
rilevanza dipendono da quanto il sistema locale e in grado di difendersi dalla
pressione esterna, magari imponendo divieti e tab su certe pratiche percepite come
minacciose. Questi casi sono stati considerati esempi di una economia dellaffezione
tipica di comunit tradizionali come contrapposta a una economia del valore
promossa dagli stati attraverso progetti di sviluppo e iniziative miranti a favorire
linserimento di sistemi economici locali nella sfera del mercato.
difficile per una comunit sottrarsi completamente allimpatto di una logica
economica come quella dominata dal mercato. Tuttavia, in alcuni casi, le resistenze
alla penetrazione del mercato e lattaccamento alleconomia dellaffezione sembrano
avere maggiore successo.
Queste resistenze costituiscono la ragione principale del fallimento dei progetti di
sviluppo ideati da operatori europei o nordamericani che spesso conoscono poco o
nulla della realt sociale e culturale delle popolazioni coinvolte.
Nel pensiero occidentale dominato dallidea di razionalit logico-formale, anche
leconomia appare come un settore guidato dal calcolo e dal guadagno.
Pianificatori e consulenti ritengono che popoli che investono le loro risorse per scopi
puramente simbolici siano da considerarsi irrazionali. Alcuni antropologi ritengono,
invece, che tali comportamenti non possano essere giudicati irrazionali, perch
rispondono al soddisfacimento di un bisogno considerato primario.
Per pianificatori e consulenti la razionalit ci che orienta il comportamento verso
lottenimento di un utile materiale: guadagno, profitto, ecc. Questa posizione
smentita da chi pensa che si possa essere razionali anche perseguendo scopi diversi.

3. Forme di vita politica


Lattivit politica laspetto intenzionale del comportamento mediante il quale i
singoli o i gruppi manipolano, secondo finalit e interessi specifici, le regole e le
istituzioni vigenti nella loro societ.
Unorganizzazione politica potrebbe essere pertanto considerata come linsieme delle
regole, delle istituzioni e delle pratiche che contribuiscono a definire il quadro entro il
quale si svolge lattivit politica. Non sempre queste regole, istituzioni e pratiche
hanno a che vedere con le idee che noi associamo generalmente alla sfera politica.
Spostandoci verso contesti altri non detto che troviamo le stesse istituzioni.
Parlare di organizzazione politica significa evocare le dimensioni del potere e
dellautorit. Potere e autorit possono essere incarnati da figure sociali particolari
che rivestono, per eredit, elezione o consenso esplicito, determinate cariche:
presidente, re, primo ministro, sacerdote ecc. Vi sono per societ in cui le cariche
sono assenti, cos come assenti possono essere istituzioni o ruoli politici
istituzionalizzati. Ci non toglie che siano presenti norme capaci di assicurare la
coesione di un gruppo e il rispetto delle regole. Il rispetto dellautorit, lesercizio del
potere, la difesa degli interessi di un certo gruppo di individui o dellintero corpo
sociale, possono essere ottenuti per vie differenti.
Gli antropologi hanno considerato per molto tempo le organizzazioni politiche

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concrete come se fossero disposte su una linea continua dalle forme pi semplici a
quelle pi complesse.
Negli ultimi decenni prevalso, come in tutti i settori di studio dellantropologia, uno
scetticismo nei confronti di tali classificazioni. Le forme di organizzazione politica
tendono infatti a sfumare le une nelle altre.
Elman Service ha proposto una tipologia delle forme di organizzazione politica: le
bande, le trib, le chefferies, o domini, o potentati e gli Stati.
Le prime due forme sono acefale, mentre le ultime due sono centralizzate.
La banda stata ritenuta dagli antropologi la forma pi elementare di
organizzazione politica, caratteristica dei gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi.
le bande sono piccoli gruppi basati sui legami di parentela, che possono essere reali o
fittizi e sono creati e mantenuti attraverso matrimoni e scambi.
Le bande si caratterizzano per essere fluide: i loro componenti possono cambiare da
un anno allaltro in maniera piuttosto significativa.
Le bande di cacciatori e raccoglitori sono fortemente egualitarie. Esistono persone
pi influenti delle altre, ma non per nascita: tutte le differenze di status sono
acquisite. Si pu acquisire prestigio guadagnandosi la stima e il rispetto degli altri, in
conseguenza di qualit o atti culturalmente valorizzati.
I cacciatori e raccoglitori sono privi di un diritto formalizzato; i conflitti sono risolti
ricorrendo ai legami di parentela. Nelle societ di questo tipo, i contrasti sono, in
genere, di natura personale.
Le trib sono, generalmente, riscontrabili presso popolazioni agricole o pastorali
(forme non intensive di produzione e sono organizzate in villaggi e/o gruppi di
discendenza. La societ tribale priva di classi sociali e di un potere centrale con
capacit di decisione, di controllo e di coercizione nei confronti dei gruppi di
discendenza che la costituiscono.
Generalmente, nelle societ organizzate in trib, guerre di piccola scala tra villaggi
sono frequenti. La risoluzione delle dispute spetta a capi villaggi, big men (figura
dellarea melanesiana e polinesiana), leader dei gruppi di discendenza, consigli di
villaggio e/o di associazioni pan-tribali.
Esistono quindi delle figure di autorit, ma questi individui godono di unautorit
limitata: esercitano il loro ruolo attraverso la persuasione e lesempio, ma non
dispongono di mezzi di coercizione.
Come le bande, le trib sono egualitarie; spesso, tuttavia, la stratificazione di genere
forte. Lo status dipende dal genere, dallet, da caratteristiche e capacit personali.
Nella letteratura antropologica le trib si distinguono a seconda della presenza o
meno di alcune caratteristiche che per sono spesso compresenti. Queste
caratteristiche sono i lignaggi segmentari, certe forme di stratificazione rituale, i
consigli di villaggio e i sodalizi.
I lignaggi segmentari sono i gruppi di discendenza unilineari costitutivi di una trib.
Essi sono di fatto dei gruppi corporati ma prendono il nome di segmentari perch
sono suscettibili di frazionarsi o di aggregarsi in segmenti di minore o di maggiore
estensione. In societ di tal genere viene posta grande enfasi sulla parentela
consanguinea, un fattore che di per s evoca, anche se a livello di pura

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rappresentazione, le idee di solidariet e di comunanza di intenti, oltre che di origini.


Lideologia ugualitaria infatti molto potente allinterno di queste societ e tende a
sottolineare il carattere paritario di tutti i lignaggi segmentari.
Sebbene alcune caratteristiche di queste societ fossero state notate da alcuni studiosi
gi molto tempo prima, fu Evans Pritchard a metterle chiaramente in luce in un suo
studio sullorganizzazione dei Nuer.
Cos come i lignaggi tendono, in base a una dinamica di alleanze, a fondersi in
segmenti sempre pi ampi, il conflitto e lopposizione possono portare alla
progressiva segmentazione delle unit pi grandi in segmenti pi ridotti.
In molte societ tribali dellAfrica e del Medio Oriente esiste una distinzione
importante tra lignaggi, la quale si riflette nella funzione politico-religiosa svolta da
alcuni di essi. possibile ad esempio trovare, in queste societ, alcuni individui che,
pur non essendo specializzati nelle funzioni politiche, possono incarnare unautorit
largamente rispettata ed ascoltata per motivi extra-politici.
Dove le popolazioni tribali sono insediate in villaggi permanenti, ogni gruppo di
discendenza ha propri rappresentanti che si riuniscono periodicamente dando vita ai
consigli di villaggio, cio assemblee ristrette, fornite di potere decisionale e
consultivo. Il compito dei consigli di villaggio anche quello di amministrare le
relazioni con altri villaggi ed altre trib.
Nelle societ tribali membri di diversi gruppi di discendenza possono entrare a far
parte di: sodalizi, forme associative che hanno la funzione di organizzare una parte
della popolazione secondo progetti dazione specifici; classi det, gruppi nei quali
vengono ripartiti ruoli, diritti e doveri in base allet sociale degli individui;
societ segrete, che costituiscono ancora oggi centri di aggregazione e di potere e che
mantengono saldi i legami tra comunit della stessa cultura che sono state separate
dalla creazione degli Stati nazionali, i cui confini ricalcano quasi sempre quelle delle
ex-colonie.
I capi tribali si caratterizzano per la loro costante opera di ridistribuzione dei beni e
dei benefici e di supporto e di assistenza nei confronti del proprio seguito. Tipico ,
da questo punto di vista, il caso del Big Man, unespressione inglese con la quale
vengono tradotti alcuni termini del linguaggio politico delle societ della Papua
Nuova Guinea e della Melanesia.
Nelle societ prive di lignaggi segretari, quindi non classificabili tribali, i grandi
uomini sono figure un po anomale. Questo titolo e la sua fama sono il risultato
dellabilit e delliniziativa personale.
Il potentato costituirebbe una specie di condizione politica intermedia fra la trib
e lo stato.
I legami di parentela restano molto importanti ma iniziano ad emergere una struttura
politica permanente e alcune forme di distinzione nellaccesso alle risorse e al potere.
Nelle chefferies lo status si basa sullanzianit della discendenza.
La popolazione di un chefferie si considera discendente da un gruppo di antenati
comuni; tanto pi un dato individuo ed il suo lignaggio sono vicini ad uno di questi
antenati, tanto maggiore sar il suo prestigio.
Il capo colui che detiene il massimo prestigio e che pu dimostrare lanzianit della

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sua linea di discendenza. Vi sono differenze di status ma non classi sociali.


Lo stato, che pu essere stato dinastico o stato nazionale, la forma di
organizzazione politica oggi dominante. La forma statale non un prodotto esclusivo
delloccidente, anche se lo stato-nazione uninvenzione occidentale.
Gli stati hanno delle unit preposte allesercizio di specifiche funzioni:
- Controllo della popolazione: fissare frontiere, attribuire la cittadinanza, censimenti;
- Funzione giudiziaria: leggi, procedure legali, giudici;
- Funzione esecutiva: militari, forze di polizia;
- Funzione fiscale: tasse.
In alcune formazioni statali questi sottosistemi non sono distinti.
Carneiro (1970) ha definito lo stato unentit politica autonoma che raggruppa molte
comunit che vivono sul suo territorio, dotata di un governo centralizzato che ha il
potere di imporre tasse, radunare uomini per la guerra o per il lavoro, emanare e far
rispettare le leggi. Questa definizione si applica sia agli stati moderni, delle societ
industriali, sia agli stati pre-moderni.
Gli stati assegnano diversi diritti alle persone in relazione al loro status:
Cittadini vs non cittadini, lites vs persone comuni vs schiavi, militari vs civili.
Le societ organizzate su base statuale presentano:
a) un accesso alle risorse ancor pi differenziato che nelle forme di organizzazione
politica sin qui considerate;
b) una stratificazione sociale accentuata;
c) la sostituzione dei legami di parentela come criterio regolatore delle relazioni
sociali con rapporti di tipo impersonale.

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