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CONFINI DISCIPLINARI
L’antropologia culturale può essere definita come il “sapere della differenza”. Il termine
sapere sta ad indicare che l’antropologia è nata in Occidente e si è sviluppata secondo le
modalità classiche della tradizione scientifica e accademica occidentale.
L’antropologia ha un carattere profondamente storico, difatti Kilani la definisce come una
modalità particolare della relazione storica che l’Occidente ha instaurato con gli altri.
Il termine “differenza” sta a delimitare l’ambito disciplinare dell’antropologia, ovvero fatti, usi
e costumi che appaiono strani, assurdi e incomprensibili ai nostri occhi, perché diversi da
quelli che ci appaiono familiari.
Le culture sono immerse nella storia e non sono ferme, si trasformano secondo modalità
complesse. Ovunque gli individui avvertono il momento di rottura e allontanamento dalla
norma e dalla tradizione. Non sempre, però, l’antropologia è in grado di avvertire tali
cambiamenti.
A partire dai primi decenni del Novecento, l’oggetto dell’antropologia divenne la singola
cultura nella sua individualità osservabile.
Per Boas è necessario studiare le culture nel loro contesto storico; per Malinowski una
cultura è un complesso di elementi legati tra loro da relazioni funzionali.
Radcliffe-Brown si convinse che l’oggetto dell’antropologo doveva essere la società,
concretamente osservabile e non la cultura, un’astrazione derivata da quella.
Per molto tempo, l’oggetto dell’antropologia rimase la società e le culture arcaiche.
L’idea di culture al plurale, come un tutt’uno integrato, nasce dal pensiero per cui per
studiare le culture è necessario adottare una prospettiva “interna” ad esse almeno nella
prima fase di ricerca, poiché esse sono reti di significati costruite dai loro membri attraverso
l’esperienza, l’interazione netro cornici storiche, economiche, ambientali ecc
Non si può trascurare che società e culture sono prodotti storici, dunque cambiano nel
tempo. Il mutamento culturale è un processo complesso e articolato, difficile da
comprendere in base all’idea di cultura come struttura integrata, chiusa e localizzata,
parallela al concetto di società.
Intorno alla metà del Novecento, dopo la seconda guerra mondiale, gli antropologi iniziarono
a studiare il conflitto. E’ in questo periodo che presero le distanze da quella concezione di
cultura, per avvalorare l’idea che le società e le culture cambiano e per porre al centro
dell’attenzione le trasformazioni, gli sconvolgimenti provocati dal colonialismo, imperialismo
e le successive fasi di riorganizzazione.
Ciò portò ad affermare che il mutamento non distruzione o degenerazione, bensì conflitto e
mutamento sono due costanti della vita umana.
Dall’altro lato, il presupposto della condivisione nasce dalla nozione di “coscienza collettiva”
di Emile Durkheim che ha portato a vedere le culture e le società come entità preesistenti
alle azioni degli individui.
Questa premessa ha influenzato a lungo le teorie antropologiche e tende a omogeneizzare i
materiali ricavati sia nel pensiero antropologico sia nella scrittura etnografica.
All’inizio del Novecento l’attività etnografica condotta da antropologi del Regno Unito
conobbe un grande sviluppo. Tra questi, il più celebre fu Malinowski a cui viene attribuito il
ruolo di artefice della rivoluzione etnografica.
Già prima di Malinowski il lavoro sul campo costituiva un settore di ricerca consolidato. Egli
non fu il primo antropologo a teorizzare la ricerca sul campo, altri prima produssero
l’etnografia attraverso il soggiorno prolungato.
Tra questi, Jean-Baptiste Lamarck e studiosi come Volney e De Gérando della Société des
Observateurs de l’Homme e negli Stati Uniti, Henry Rove Schoolcraft e il lavoro sul campo di
Frank Hamilton Cushing.
Gli studiosi della Société des Observateurs de l’Homme avevano come obiettivo studiare
scientificamente l’uomo, applicando il metodo dell’osservazione ampiamente sperimentato
nelle scienze della natura.
Nell’ambito della società vennero messi a punto dei testi contenenti istruzioni di lavoro che
anticipano il metodo della più rigorosa ricerca etnografica moderna. Tali testi, i memoires,
simboleggiano l’interesse per l’osservazione.
Volney pose così il problema dello studio delle culture diverse, toccando come temi la
partecipazione in prima persona alle situazioni studiate, la conoscenza della lingua nativa e
il superamento degli influssi della propria cultura.
L’osservazione rigorosa dei fenomeni, fondata sul metodo delle scienze naturali, servì a
Volney per stendere la sua relazione del viaggio in Medio oriente e successivamente per
produrre un manuale a uso viaggiatori, in cui vennero elaborate alcune domande a cui i
viaggiatori dovevano rispondere.
Nel 1800 venne pubblicato il testo di De Gérando intitolato Considerazioni sui metodi da
seguire nell’osservazione dei popoli selvaggi. Tale testo fu scritto per gli “observateur” per un
viaggio di esplorazione in Australia e in Tasmania e contiene alcuni problemi connessi alla
ricerca etnologica. Include considerazioni sulle difficoltà nel raccogliere informazioni e
istruzioni sulel categorie di dati da registrare non solo in forma di domanda.
In esso De Gérando critica le osservazioni etnografiche dei precedenti esploratori,
sostenendo la necessità di imparare la lingua nativa.
La metodologia dell’osservazione era considerata da De Gérando seondo un approccio
empirico e induttivo e sottolineava l’importanza di studiare i popoli primitivi nel contesto dei
loro sistemi sociali.
Negli Stati Uniti l’antropologia si sviluppò con l’interesse per le culture indigene. Henry Rowe
Schoolcraft può essere considerato tra i primi etnografi professionali.
Portò a termine un grande programma etnografico basato sulla raccolta di dati sulle tribù
nordamericane.
Schoolcraft si concentrò principalmente sull’aspetto linguistico, raccogliendo liste di termini
indigeni e di testi mitici e poetici.
Il centro organizzativo dei primi programmi fu il Bureau of American Ethnology, istituito nel
1879 dal governo, con lo scopo di raccogliere e pubblicare informazioni sugli indiani.
Per vent’anni fu sotto il controllo di John Wesley Powell che si dedicò all’esplorazione delle
regioni occidentali e allo studio delle lingue e delle culture native.
Il Bureau promosse programmi di ricerca con particolare enfasi su questionari e guide.
Tuttavia, il Bureau impiegò anche persone che direttamente svolgevano ricerche sul campo.
In quest’ambito, importante fu la figura di Frank Hamilton Cushing che lavorò fra gli zuni.
Egli aveva pochi modelli per il suo lavoro sul campo ma molta creatività e ambizioni. Le sue
doti gli permisero di essere accolto all’interno della società degli zuni diventando membro di
una cerchia iniziatica di sacerdoti. Le difficoltà e l’iniziazione al sacerdozio di Chusing sono
diventate parte fondamentale dell’antropologia americana e sostengono la considerazione
che egli fu il portavoce del metodo dell’osservazione partecipante in Nord America.
Lo stile di Cushing è differente rispetto a quello utilizzato dai suoi colleghi. Lo standard
antropologico di quel tempo era la trascrizione delle interviste di informatori chiave, mentre
Cushing iniziò subito a osservare e a superare la diffidenza degli zuni e le ostilità
nell’apprendere la lingua.
Si interessò all’analisi etimologica come chiave per studiare le strutture mentali e le
connessioni culturali, raccogliendo le storie locali e la mitologia.
Tutti i risultati raccolti dalla United States Bureau of Ethnology spinsero la British Association
ad istituire una committee per promuovere la ricerca sugli indiani canadesi. La committee
preparò un Circular of Inquiry, di cui Taylor fu il principale ideatore, per ricercare e pubblicare
i resoconti sulle caratteristiche fisiche, le lingue, le condizioni economiche e sociali delle tribù
nord occidentali.
I ricercatori erano invitati a non fare domande ma ad osservare i riti religiosi e a ricercare il
significato e la raccolta di testi dei miti, spiegati poi dall’antropologo.
La commitee di quell’epoca fu una delle tante istituite e la sua importanza deriva dalla
selezione degli uomini per il lavoro sul campo.
All’inizio del XIX secolo, grazie ai lavori di Haddon e Rivers, il metodo della conoscenza
diretta aveva sostituito l’antropologo armchair.
Nonostante gli apprezzabili risultati, le esperienze della scuola di Cambridge non furono
decisive nello sviluppo del metodo antropologico.
Lo stesso Rivers si allontanò dal lavoro intensivo sul campo dedicandosi al metodo
genealogico.
Successivamente, Rivers trascorse diversi mesi nelle isole Salomone occidentali dove
raccolse dati tramite delle interviste a informatori e si interessò alla ricostruzione della storia
globale delle migrazioni e dei processi di prestito culturale.
L’origine della moderna tradizione di ricerca etnografica viene fatta risalire al lavoro di
Malinowski nelle isole Trobriand fra il 1916 e il 1918.
La prospettiva boasiana, dominante negli Stati Uniti, non segnò una rivoluzione etnografica
paragonabile a quella di Malinowski. Difatti, egli trascorse lunghi soggiorni sul campo,
mentre Boas non praticò ricerche continuative.
Boas criticò molto la scarsa qualità dei dati raccolti dagli antropologi armchair o prodotti dal
metodo della survey. Tuttavia, il suo lavoro sul campo si basò su un gran numero di brevi
visite.
Boas studiò le culture native empiricamente attraverso la collezione di artefatti e la
registrazione di testi nelle lingue native. Egli si serviva di interlocutori istruiti a leggere e
scrivere le informazioni nella lingua nativa.
A differenza degli altri antropologi, il lavoro sul campo di Malinowski era stato preceduto da
una specifica formazione professionale in antropologia.
Grazie a Seligman, nel 1914 Malinowski è stato assunto come segretario della sezione
antropologica della British Association, dove esprime ben presto la sua insoddisfazione che
lo porterà ad elaborare il suo successivo stile etnografico.
Durante il suo primo soggiorno a Mailu, i suoi diari rivelano che non visse nel villaggio locale
e rimase sul campo solo per brevi periodi, durante i quali utilizzò le categorie delle Notes
and Queries e la sua aspirazione era quella di sviluppare il metodo genealogico di Rivers.
Solamente nelle Trobriand, Malinowski iniziò a mettere in pratica ciò che aveva pensato
dopo l’esperienza a Mailu e sviluppò il metodo che divenne il segno distintivo
dell’antropologia.
Il lavoro sul campo di Malinowski nelle isole Trobriand rappresenta per la tradizione
antropologica una sorta di esperienza modello. In base ad essa, Malinowski è diventato il
prototipo dell’antropologia, incarnando l'ideale professionale basata sulla conoscenza diretta
dell’oggetto di studio e sulla caratteristica di ricercatore sul campo e di teorico.
Su queste basi Malinowski è diventato il portavoce della rivoluzione metodologica e la sua
ricerca nelle isole Trobriand è considerata un contributo che rivoluzionò gli scopi
dell’antropologia.
3.2
Il simbolo è il nucleo dell’idea guida dell’antropologia di Gertz. Egli pone al centro del suo
lavoro il tentativo di creare una scienza dell’azione simbolica, la quale si impegna allo studio
dei simboli nei termini nei quali gli individui e gruppi vivono, di come vengono comunicati e
riprodotti. Egli elabora una fenomenologia scientifica della cultura, che si fonda sull’analisi
dei modi in cui la struttura di significato è recepita dagli attori sociali. Alla base dell’analisi c’è
il concetto di comportamento significativo, orientato in senso soggettivamente inteso. La
ricaduta metodologica riconduce il comportamento alla gente e lo considera significativo
riferendolo agli scopi e valori sui quali questo fonda le sue azioni. L’analisi dei sistemi
simbolici è dunque orientata rispetto agli attori. L’interpretazione di Gertz va
dall’oggettivazione di forze della vita alle connessioni psichiche, con il presupposto che
l’accesso all’altro possa avvenire solo attraverso i suoi significati e la sua analisi etnografica
si fonda sulle premesse dell’attore e sulla loro relazione all’azione e ai significati contestuali.
Il problema centrale dell’analisi di Gertz è la comprensione del modo in cui i nativi pensano,
con l’obiettivo di analizzare i significati soggettivi che costituiscono le azioni degli individui
nel mondo sociale. Per Gertz l’azione ha un significato simbolico, è un simbolo significativo
grazie all’attività dell’uomo, poiché il significato non è intrinseco agli oggetti ma è imposto su
di essi e la spiegazione va ricercata in quello che l’impone, ossia gli uomini che vivono in
società. il concetto di interpretazione è un procedimento complesso attraverso il quale
l’uomo interpreta il significato delle sue azioni e di quelle di coloro che interagiscono con lui.
Serve ad analizzare il punto di vista dell’attore collocando l’azione in relazione alla
configurazione di ideali attitudini e valori. Il senso soggettivo e simbolico è l’interpretazione e
la comprensione della rete simbolica che fornisce senso all’esperienza umana. Questo
aspetto viene definito descrizione densa ed invita alla ricostruzione dei livelli di significato
non espliciti nelle prospettive degli attori. Rappresenta la ricerca dei sistemi astratti o
versioni del mondo o contesto, come lo definisce Saussure, al cui interno ascrivere
densamente eventi sociali. L’analisi è orientata verso gli attori considerando il loro punto di
vista. È soltanto in funzione di una convenzione simbolica che possiamo interpretare il
significato di un’azione. lo stesso gesto di alzare il braccio può essere inteso come forma di
saluto o espressione di un voto. La prospettiva è linguistica e comunicativa. Il linguaggio è
soltanto un medium per l’espressione del senso soggettivo che può esprimersi solo in
simboli. Secondo Ricoeur nell’analisi linguistica si coglie il segno in cui l’uomo dice il suo
fare. Il punto di vista del nativo è l’equivalente linguistico di ciò che è vissuto e si deposita
nel linguaggio sotto la forma di dichiarazione di intenzione. Gli atti culturali in quanto
apprendimento e utilizzazione di forme simboliche, sono avvenimenti sociali pubblici e
osservabili. Secondo Gertz il significato coincide con l’uso. Egli ha così elaborato una
scienza empirica delle idee, considerando il pensiero umano intersoggettivo sociale e
pubblico, un traffico di simboli significanti. L’analisi del significato soggettivo coinvolge
l’enunciato pubblico dell’azione. Comprendere non significa rifarsi all’intenzione dell’autore
attraverso rapporti empatici. Non è possibile che il soggetto annulli il proprio essere per
cogliere l’oggettività attraverso magie etnografiche. La completa immedesimazione è
dunque impossibile perché anche gli antropologi, in quanto umani, sono fondati sulla loro
cultura e sul loro sapere.
3.3
La revisione di Gertz delle discipline sociali si fonda sulla riscoperta della dimensione
ermeneutica, in quanto teoria del segno con enfasi sulla comprensione, interpretazione e
carattere costruttivo della conoscenza. La stessa attività conoscitiva non è una semplice
riproduzione di dati ma un’attività formatrice che dà significato e valore ai fenomeni. I testi
antropologici sono fabbricati, finzioni. Gertz esclude la possibilità di un’analisi oggettiva dei
fenomeni sociali indipendente dalle prospettive teoriche. La scienza viene ricondotta
all’uomo e alla sua capacità di dare senso al mondo: è fenomenotecnica, come la definisce
Bachelard. Gertz rimanda i suoi modelli di riferimento alla scienza contemporanea che
restituisce immagini complesse e disordinate di un mondo di oggetti non assoluti. Anche gli
oggetti delle scienze dure, come della fisica subatomica, non possono essere pensati da un
punto di vista individualizzante. Per Gerz se non c’è differenza tra etnografia, intesa come
descrizione rappresentativa, e antropologia, intesa come elaborazione teorica. Già il
commento descrittivo e l’osservazione sono momenti carichi di teoria. Ogni percezione
consapevole è un atto di riconoscimento, in cui viene accoppiato un oggetto sullo sfondo di
un simbolo appropriato. Gli oggetti non sono neutrali, ma costrutti artificiali. Secondo Gertz
soggetto e oggetto sono legati dall’evento storico della pre comprensione. C’è una
complicità ontologica fra essi fondata sulla tradizione e sul linguaggio. Il circolo ermeneutico
implica una relazione circolare fra teoria e referenti, un legame di coappartenenza tra i punti
di vista di antropologo e nativo. Le loro interpretazioni si fondono e si richiamano. Le une
non possono essere comprese senza le altre. La metafora della cultura come testo, porta ad
interessarsi a come le interpretazioni vengono costruite da parte dell’antropologo. Il lavoro
dell’etnografo consiste nel trovare risorse nel suo linguaggio senza imporre pregiudizi.
Comprendere ed interpretare sono movimenti che si basano su un costante rinnovarsi del
progetto: l’interpretazione implica la revisione continua dell’ipotesi preliminari. Il circolo
ermeneutico costituisce un meccanismo che costringe l’antropologo a prendere in esame e
a risolvere i problemi che sorgono nel quadro dell’interazione e del dialogo con i propri
interlocutori. Il dialogo si fonda sull’esplicitazione delle proprie deformazioni e fallimenti, che
sono modalità euristica della ricerca e fondamento della riflessività.
Elaborazione teorica è un processo dinamico e aperto. Le interpretazioni antropologiche
sono diverse dai resoconti di nativi. La forza dell’interpretazione risiede nello scarto che
consente all’analista di costruire il senso. Lo scopo dell’antropologia interpretativa è quello di
raggiungere una comprensione diversa rispetto all’immediato intendimento dell’attore. Il
punto di vista del nativo è sempre mediato. Ciò che dicono non sono verità culturali, ma
risposte circostanziati alla presenza e alle domande dell’etnografo. Gli interlocutori stessi
non sono neutrali ma interpreti originali della propria cultura con una limitata conoscenza
determinata da diversi fattori. L’immersione nel mondo degli interlocutori e scientifica nella
misura in cui riesci a tradurre il linguaggio privato nel linguaggio pubblico e i concetti vicini
all’esperienza nei concetti distanti. L’antropologo non deve limitarsi al punto di vista del
nativo e non deve imporre il suo. l’antropologo secondo Gertz lavora con interpretazioni e
interpretazioni di interpretazioni. I risultati sono stratificazione di quello che l’etnografo ha
registrato e di quello che è stato in grado di comprendere, oltre a quello che gli è stato detto
dai suoi interlocutori. La negoziazione e dialogicità sono articolate e complesse accadendo
a diversi livelli e tra diverse fonti di informazione.
3.4
La restituzione testuale di un’esperienza sul campo si basa su significati che vengono ma
mano scoperti e creati attraverso complesse negoziazioni. La soggettività dell’antropologo è
parte integrante del rapporto con l’altro e dell’esperienza umana che cerca di comprendere.
L’accesso all’altro è sempre mediato dalla propria appartenenza una comunità linguistica e
storica. L’etnografo pone se stesso come oggetto di analisi e l’osservazione di sé si affianca
all’osservazione dell’oggetto in un’esperienza che si avvicina all’autoanalisi dello
psicanalista. Vediamo gli altri attraverso noi stessi e noi stessi attraverso gli altri, secondo
due caratteristiche intrinseche al discorso antropologico: bifocalità e riflessività. Il campo di
ricerca non può essere pensato come contenitore generico, esso è il luogo simbolico di
costruzione di senso, saturo di documenti, che determina le caratteristiche di un’esperienza
relazionale. L’antropologo è l’informatore sul campo partecipano ad una working fiction in cui
condividono un mondo di significati che potrebbe crollare in ogni momento. L’analista è
posizionato in questa arena in cui le prospettive e le identità che si configurano nel reciproco
riconoscimento determinano la qualità dei discorsi. Svincolando la scienza dal dominio della
verità questa è caratterizzata dei propri meccanismi di reclutamento ed è ricondotta al
mondo della vita, un’arena dominata da lotte fra gruppi e impegni di gruppo. Questo principio
può essere letto nei termini del materialismo storico Marxiano per dimostrare come le
scienze della classe dominante sono in ogni epoca le scienze dominanti.
L’idea che la descrizione culturale è conoscenza modellata costringe ad assumere la
responsabilità di ciò che si dice o scrive.
3.5
Il ricercatore ha un ruolo fondamentale. L’etnografo non può rinunciare alla propria autorità,
che autorizza i suoi discorsi che si manifestano nella scrittura. Un ruolo fondamentale ha la
funzione dell’autore. L’etnografo può rinunciare alla propria auto realità, ma per quanto
cerchi di rimpiazzare il monologo con il dialogo, il suo discorso rimane sempre asimmetrico,
infatti la relazione etnografo nativo è gerarchica. Il lavoro di campo è un’interlocuzione fra
prime e seconde persone, ma gli antropologi scrivono per terze persone. La scrittura è luogo
di tensione tra il testo etnografico e l’enciclopedia antropologica. La scrittura è parte della
prassi antropologica, e coincide con il potere di sottoporre la parola dell’altro a una serie di
elaborazioni inerenti al progetto dell’antropologia. L’etnografo nell’ annotare il discorso
sociale lo trasforma in un resoconto che si può consultare. I resoconti culturali hanno natura
artificiale, si tratta di una messa in intrigo. La scrittura non è mimesis ma poiesis. Ciò
concentra l’attenzione sulla natura storica dell’etnografia e sull’invenzione e non la
rappresentazione delle culture. La trasformazione della vita culturale in un testo è raggiunta
attraverso l’imposizione di schemi e limitazioni. Gli approcci interpretativi e geologici hanno
cercato di sottolineare la natura collaborativa della situazione etnografica, interessati alla
relazione fra le costruzioni dell’antropologo e quelle dei suoi interlocutori. Rifiutandosi di
usare forme impersonali cercano di rendere conto della sua soggettività attraverso la
specificazione del discorso, l’uso della prima persona e l’inserzione nel testo di memorie
personali. Sostituiscono ad un modello mono logico e mono fonico un testo polifonico in cui
l’autorità etnografica si fonda sulla negoziazione sul campo fra antropologo e informatore.
3.6
Numerosi autori hanno criticato l’approccio di Gertz in quanto fa emergere i significati ma
non i soggetti a: l’antropologo non viene considerato come attore sociale ed ha un ruolo
attivo solo nel momento della scrittura. Gli interlocutori poi sono assenti ho aggettivati in
modo generico e le loro costruzioni e spiegazioni sono ritenute spontanee, elaborate in
isolamento. L’interdipendenza fra antropologo e nativo è sostituita dall’interdipendenza fra
antropologo e un contesto autonomo. La scrittura etnografica di Gertz resta prigioniera del
dualismo fra soggetto e oggetto, non riuscendo a far emergere la relazione tra antropologo e
interlocutore. Gertz dal suo canto, contesta l’iper siti nazionalismo di Dwyer. Le numerose
citazioni e narrazioni sono separati dai resoconti aggettivanti e falliscono nel mettere in
relazione la soggettività il oggettività: l’esperienza personale e l’autorità scientifica. Dwyer
decurta l’antropologo e ne limita il ruolo a quello di intervistatore e redattore delle note a pié
di pagina. I testi si concentrano sul dire Lasciando parlare i nativi in un dialogo mono logico.
Gertz rifiuta questo Ventriloquio etnografico che assume l’esperienza dell’etnografo come
principale argomento di attenzione analitica. Tali approcci mettono al centro dell’attività
etnografica la sensibilità dell’antropologo piuttosto che le sue competenze. Gertz analizza
quella che Barthes chiama malattia del diario; egli sostiene che non si riesce ad emanciparsi
da una confessione che inghiottisse un informatore che entra da solo nella rappresentazione
per gli effetti che produce sull’etnografo. Il lavoro di crapAnzano è definito da Gertz come
psicanalitico, in quanto produce un’analisi oggettiva della vita marocchina da un punto di
vista neutrale e distante in cui anche il traduttore viene rimosso dalla restituzione testuale.
Diverse prospettive hanno ritenuto che i modelli del test del dialogo sono alla base di punti di
vista astratti. Il modello del testo produce una descrizione del discorso sociale come uno
statico e limitato insieme di significanti, il modello del dialogo invece, finisce con essere il
logo centrico e ignorare il contesto pragmatico dell’incontro con l’altro. Entrambi non tengono
conto dell’opacità che si presenta nel rapporto e considerano l’oggetto come una scena in
uno spazio figurativo piatto, trascurando i livelli e le temporalità del lavoro antropologico,
sovrastimano inoltre, la possibilità dell’interpretare e comprendere scientificamente ciò di cui
l’antropologo ha fatto esperienza.
3.7
I cambiamenti nello statuto scientifico del sapere hanno messo in crisi gli assunti
fondamentali su cui la pratica etnografica si è retta. L’autorità dell’antropologo non è più
legittimata dalla sua appartenenza una potenza coloniale. È venuta meno la separazione
spaziale e morale fra ricercatore e interlocutore: gli antropologi non lavorano più in contesti
isolati in cui erano padroni intellettuali di tutto ciò che avevano intorno. Le loro ricerche si
fondano sulle modalità con cui l’antropologo negozia la propria autorità sul campo, esse si
realizzano sotto lo sguardo di studiosi e specialisti di diverse discipline e di interlocutori
autorevoli. Diverse prospettive hanno sviluppato gli stimoli teorici mitologici di gertz aprendo
nuove strategie di ricerca.
Hanno inaugurato quella che è stata definita etnografia post-moderna, ossia un insieme
diversificato di posizioni che superano le prerogative delle concezioni moderne della scienza
aggiungendo influenze molto diverse, dalla linguistica alla filosofia. L’etnografia
post-moderna concepisce il ruolo della riflessività come strumento per realizzare le
potenzialità sperimentali della produzione etnografica e per analizzare le dimensioni etiche,
politiche e metodologiche. Questa colloca la scienza nei processi storici, linguistici e politici
che determinano le condizioni di produzione del sapere. Una serie di autori influenzati dal
testo writing culture del 1997, hanno dato un forte contributo alla riflessione su
l’inseparabilità di dimensione poetica e politica. Con loro la pratica etnografica ha preso
forma di un’analisi politica e intellettuale delle convenzioni retoriche e del modo in cui la
penetrazione dei processi modelli le prospettive locali. L’abbandono delle modalità di
pensiero essenzializzanti a portato a ripensare le modalità rappresentative, modificando
alcuni elementi del discorso antropologico.le dicotomie del discorso modernista come
modernità-tradizione sono state frantumate in articolazioni complesse. Si creano nuove
configurazioni, gli scienziati sociali articolano immagini di ecumeni globali e di panorami
etnici mettendo, in discussione il rapporto tra distanza e differenza. Vari prospettive
collocano il globale nelle sue articolazioni reali, locali e particolari, sottraendolo
all’universalità astratta. Le culture tradizionali vengono considerate nel loro coinvolgimento
trasformativo con la modernità, che viene frammentata nelle rielaborazioni micro moderne in
proliferazione. La realtà contemporanea viene pensata in termini complessi non omologanti.
Rifiutano i tentativi di promuovere un’ideologia felice della globalizzazione come qualcosa di
inevitabile e ne mostrano la complessità nelle pratiche e nemico processi quotidiani. Le
articolazioni sostituiscono all’idea di processi che dovrebbero rimpiazzare il tradizionale,
l’idea di una modernità multipla, intesa come insieme di realtà negoziali prodotte della
coappartenenza della modernità e della tradizione. Da queste prospettive gli attori post
moderni mostrano come le soggettività locali articolino appartenenze multi situate e
identificazioni multiple, sovrapponendo differenziazioni spaziali, culturali, economiche e
politiche. La critica post-moderna della disciplina ha assunto come problema principale
l’articolazione dei cambiamenti nel mondo contemporaneo con i concetti, le teorie e i metodi
della ricerca sul campo e di scrittura. Essa affronta il superamento degli insiemi culturali. Il
campo viene delocalizzato e diventa un modo di studiare che interessa l’interconnessione di
luoghi molteplici. Concependo l’oggetto post moderno come mobile e molteplice mente
situato, l’etnografia post-moderna si concentra sugli assemblaggi e le combinazioni di
elementi con diverse traiettorie temporali e differenti contesti di origine. E superando
l’identificazione del lavoro etnografico con il viaggio e la residenza, elabora etnografia
multilocale multi situate concepite per rappresentare la molteplicità. A diverse prospettive
fondono la centralità dell’elemento riflessivo del lavoro sul campo sul piano pragmatico ed
esperienziale, piuttosto che sul rapporto cognitivo il logo centrico. La caratteristica principale
dell’antropologia contemporanea non è lo studio di uno specifico tipo di società. Essa rifiuta
di definire il proprio oggetto di studio marcando in modo negativo tutto ciò che non è
moderno e oltrepassa la trasformazione della modernità in oggetto di scienza, studiandone
le forme di razionalità e le strategie di occultamento della propria culturalitá. L’antropologia
contemporanea elabora un approccio trasversale, alternativo alla limitazione dello studio alle
società complesse o alle antropologie native o indigene. In generale trascende l’idea che
l’etnografia sia il lavoro gli esterni che studiano interni. Gli antropologi esibiscono la
complessità e la dinamicità della loro esperienza nelle pratiche innovative e configurano il
superamento della sovranità delle tradizioni nazionali, insieme alla globalizzazione
economica e ai processi di accumulazione e mobilità del capitale lungo linee transnazionali.
Inoltre, delineano un antropologia transnazionale, cosmopolita, che superi la riduzione
geopolitica dell’antropologia e le tradizioni locali e nazionali, con il fine di muovere la
disciplina verso la costituzione di una comunità internazionale.
Parte III
1. L’antropologia nel mondo attuale
Culture ibride e pensiero meticcio, sono due espressioni che rimandano rispettivamente
all’oggetto e alla natura dell’antropologia. Le culture ibride indicano la sintesi di culture, in
seguito a situazioni d’incontro tra esse. Tali incontri sono oggi sempre più frequenti. Le
culture sono sempre state ibride, non bisogna dunque pensare che possano esserci culture
pure. Ciò che caratterizza il mondo nasce sempre dall’incontro di situazioni diverse tra loro,
e il modo in cui le culture si combinano dipende dai rapporti di forza. Dal momento che le
culture non sono mai state pure, l’ibridismo culturale è l’oggetto dell’antropologia.
Gli scienziati sociali si interrogano sulle dinamiche dei fenomeni di ibridazione e sulle
implicazioni di queste sui modi di vivere, rapporti politici, economici e per l’immaginario
dell’umanità contemporanea. L’antropologia culturale, occupandosi del sapere meticcio che
è la dimensione culturale della vita umana, è un sapere meticcio. Ciò perché nasce
dall’incontro fra tradizione culturale di chi la pratica e tradizione culturale dell’oggetto di
quella pratica. Le espressioni come “ibridazione di culture” sono secondo alcuni ridondanti,
ma in realtà necessarie come espressioni operative, per descrivere una situazione di fusione
tra istanze culturali già ibride, meticce. Il complesso di fenomeni di ibridazione che da
sempre hanno luogo nel mondo contemporaneo è detto “ traffico culturale”. Lo scopo
dell’analisi che vuole cogliere i fenomeni di ibridazione è di comprendere il senso che tali
processi rivestono per coloro che li vivono in prima persona e nel contesto in cui si
producono.
1.2
Omogeneizzazione o che altro?
Tutti sappiamo che il contesto culturale in cui viviamo recepisce stimoli che vengono da altri
ambienti. Non sappiamo nulla di come identità e culture di popoli lontani scompaiono,
resistono o si riformulano sotto l’influenza della globalizzazione.
Il traffico culturale non prevede soltanto una serie di acquisti e prestiti, ma una continua
riformulazione o riposizionamento significante, in base al contesto in cui vengono ceduti o
acquistati.
La percezione dei flussi di traffico vede una situazione paradossale; da un lato c’è la
sensazione che i contatti abbiano esiti disastrosi dovuti alla omogeneizzazione che si ha
attraverso contatti e scambi. Dall’altro lato c’è la sensazione che queste culture ed etnie
siano isolate, prigioniere delle proprie logiche e storia. Bisogna impostare l'analisi in modo
da cogliere il senso che convergenze e divergenze culturali assumono nelle diverse
situazioni. E’ certo che le culture vanno studiate nel contesto e nei termini loro proprie, ma
queste non sono isolate, da sempre infatti cambiano, e questi cambiamenti non sono dovuti
solo a processi interni. I cambiamenti derivano dall’interazione tra dinamiche interne ed
esterne. In seguito a tale osservazione dal Novecento in poi, la società e le culture umane
iniziarono a perdere quella rigidità che molte scienze le avevano attribuito.
2. Nell’ecumene globale
2.1 Nuove nozioni per nuove realtà
Le culture e le società umane non hanno mai avuto confini netti, perché i fenomeni di
contatto sono sempre stati presenti. L’intensificazione di tali fenomeni ha portato alla
globalizzazione. che non è un fatto della nostra epoca ma è stato già sperimentato da popoli
come i nativi americani, con l’arrivo degli europei. Per Amselle, la globalizzazione è un vicolo
cieco per l’antropologia, che si trova a sintonizzarsi con gli economisti e sociologi che
scoprono solo ora che le culture sono sempre state interconnesse. Il termine globalizzazione
perde dal punto di vista culturale ogni perspicuità epocale, che deriva dal fatto che ad essere
cambiato oggi è il mondo intero. Il cambiamento del mondo ci porta a dover adattare le
nostre categorie al mondo, e dunque elaborare nuovi concetti o adattare quelli tradizionali.
Dobbiamo affrontare l’analisi vedendo la cultura non come contenitore ma come un “
ambiente comunicativo”. Una nozione che ci rende possibile parlare di questo traffico
culturale e globale è“ ecumene globale”. Ecumene è una regione di interazione e scambio
culturale. Il mondo è oggi un luogo in cui le culture dialogano, si scontrano e si influenzano.
Bisogna condurre analisi particolari su casi particolari, e per tale motivo l’antropologia si
fonda sull’etnografia: l’analisi dei fenomeni culturali osservati,analizzati e descritti nel loro
contesto.
2.5 Delocalizzazione
Gli scienziati sociali tendono a parlare di culture transnazionali, ossia strutture di significato
che viaggiano su reti di comunicazione sociale non situate in un singolo territorio. Ciò
concilia il concetto di cultura ( complesso strutturato di significati) con la nozione di rete. La
rete è un insieme di relazioni sociali fluido e non riconducibile a un modello rigido e univoco.
E’ un insieme di relazioni aperto, estendibile o riducibile, che travalica gli ambiti di
appartenenza istituzionali. Le reti non sono basate su un territorio, ma possono avere vari
nodi, e le culture che veicolano sono culture delocalizzate. Un esempio è costituito dalle
comunità su internet. Esso è ancora poco diffuso sul pianeta e non se ne può fare un uso
democratico, dunque alcuni individui sono più formati di altri. Internet costituisce un requisito
per l'emersione di un'élite informatica transnazionale. Il mondo appare percorso da flussi
transnazionali e lontano dalle iniziative culturali delle nazioni singole. Il traffico culturale
vede dunque flussi a livello transnazionale. I significati e le forme espressive sfuggono ai
rapporti tra singoli stati-nazione.Le culture transnazionali implicano una devalorizzazione del
luogo come fattore coestensivo della dimensione culturale e dell’identità. La dimensione
transnazionale fa dell’ecumene, un ecumene globale. Globale proprio per questa
delocalizzazione culturale.
3 Nuovi Paesaggi
3.2 Panorami
Come si possono rappresentare questi scenari che caratterizzano il mondo, se questo non è
più fatto da scomparti o da un centro e una periferia?
Appadurai propone la nozione di panorama etnico, o etno-rama, per rappresentare i nuovi
scenari che emergono in un contesto segnato dal movimento e dal contatto tra individui e
sistemi di significato. Il panorama etnico è fatto da tutte quelle persone che caratterizzano il
mondo in cui viviamo: turisti, stranieri,emigrati…
Altri panorami affiancano quello etnico: tecnologico, finanziario, mediatico e ideologico.
- tecnologico: scambi generati dalla circolazione di apparati tecnologici;
- finanziario: scenari prodotti dal flusso monetario attraverso le banche mondiali;
- mediatico: insieme di informazioni e parole create dallo scambio mediatico tra
televisione, radio ecc…
- ideologico: nascono dalla diffusione di idee di origine occidentale di tipo universalità
come la libertà ecc
Le dinamiche di tali panorami convergono le une con le altre. La forza di un nuovo modo di
comunicare si appoggia all’esistenza di reti mediatiche, un esempio si ha con la cosiddetta
primavera araba nel 2010. Iniziò in Tunisia e si diffuse rapidamente in altri paesi attraverso
la comunicazione immediata tramite internet. Lo vediamo anche con il caso Wikileaks negli
stati uniti.
Le configurazioni identitarie individuali e collettive mutano più rapidamente perché non più
ancorate ad un unico territorio.
3.3 Deterritorializzazione
Il panorama etnico si collega alla deterritorializzazione, ossia la condizione di individui
derivante dal loro spostamento fisico e dal loro radicamento in molteplici altrove rispetto al
luogo d'origine. La differenza tra questa e la delocalizzazione è che la deterritorializzazione
è base materiale della delocalizzazione. La deterritorializzazione sottolinea una non più
coincidenza di luogo, cultura ed identità. E’ una delle forze più potenti del mondo
contemporaneo, coincide con lo spostamento di individui che porta al sentimento di
appartenenza o esclusione nei confronti sia della nuova dimora che di quella originaria.
Agisce anche a livello pratico, come ad esempio con la diffusione del cinema a uso di
emigrati e non. Ciò può portare a processi di trasfigurazione, come quello secondo cui si
credeva che l'Italia fosse il paese di Bengodi o arrivare a conflitti interni ed esterni
rivalutando la propria tradizione ed identità. Applicata al denaro la deterritorializzazione può
farci comprendere la natura di alcuni conflitti. Gli abitanti di Bombay sono preoccupati
dall’acquisto di palazzi da parte di ricchi arabi che fanno lievitare i costi della vita in questa
città. Con la det. l’immaginario degli individui e gruppi non fa più riferimento ad un unico
luogo come ancoraggio della propria patria ed identità. Spostandosi si fanno nuovi incontri
che possono essere drammatici o produttivi. Appadurai chiama disgiunzione e differenza
nell’economia culturale globale ciò che accompagna il panorama etnico.
Si intende l’impossibilità di stabilire una relazione univoca tra quanto accade all’economia
mondiale e sul piano del significato. La dimensione della deterritorializzazione delle culture è
ormai sfondo di ogni discorso antropologico e tutti i fenomeni elencati sono esempi di traffico
delle culture legati a fenomeni di deterritorializzazione.
In molte aree del pianeta sono le realtà culturali e sociali informali a mediare con le forze
della globalizzazione, e non le istituzioni politiche. Ciò accade ad esempio in aree del
pianeta in cui le società si riuniscono dopo aver subito un processo di de-culturazione. Ciò
accade nell’Africa subsahariana dove ci sono territori chiamati “ terre dei naufraghi”.
Si tratta di coloro i quali sono esclusi dalla macchina transnazionale e i benefici ricavati dalla
modernità sono per loro inesistenti. Queste comunità sono composte da marginali radicali.
Latouche parla di queste realtà in termini di società vernacolare, la quale starebbe
rinascendo dalle macerie delle comunità antiche, sulle fondamenta di solidarietà sociali
finalizzate al mantenimento della nostalgia compensatrice e alla vita in tutte le sue
dimensioni.
Tale società vernacolare si basa su tre livelli:
- livello immaginario: livello dei culti sincretici, movimenti profetici. E’ complesso poiché
implica un discorso religioso, politico e identitario. Lanternari analizza i culti nella
prospettiva del riscatto nei confronti dell’occidente. Già nel 1920 i culti erano
indirizzati a spiegare i destini delle comunità schiacciate dalla globalizzazione.
Queste comunità hanno sperimentato prima degli occidentali il restringimento dello
spazio, l’individualizzazione dei destini e l’accelerazione della storia. Ciò è stato
prodotto da un eccesso di immagini, un eccesso di riferimenti individuali e un
eccesso di eventi. Questi sono per Augé i tratti tipici della surmodernità e della
mondializzazione.
- livello societario
- livello tecnico economico: produce soluzioni lontane dalla sfera di circolazione di
bene disponibili. E’ il riciclaggio dei rifiuti della modernità, con produzione di strumenti
necessari. Un caso è la comunità di fabbri Kaedi, dove l’autosufficienza si basa su
una rete di cooperazione tra strutture familiari. Queste reti sopperiscono alla
mancanza dei servizi.
7.1
Abbiamo visto come il profetismo è la reinterpretazione del ruolo e dell’identità degli
individui, sotto l’influenza della globalizzazione. Nelle società sottoposte a forme di dominio
da altri paesi, tale dominio è stato elaborato in modi differenti.
Un caso interessante è l’adozione della circoncisione da parte dei ngaing della Nuova Papua
Guinea. Tra la fine dell’Ottocento le pratiche coloniali hanno invaso gli spazi del potere
locale, provocando una messa in discussione delle forme politiche locali. Con la
circoncisione e la reintegrazione dei riti di iniziazione, i ngaing hanno tentato di riprendere il
controllo in questo campo.
La pratica fu introdotta dall’esterno e i ngaing ne spiegano l’adozione dicendo che anche i
bianchi la praticano per motivi igienici. La sua introduzione si collega ad una concezione
locale, secondo cui questa servi a liberarsi del sangue materno impuro. Dopo di essa il
giovane diventerà uomo. Il sangue però non è tutto impuro, infatti quello puro viene raccolto
e sarà consegnato all’iniziato.
Per capire il fenomeno sincretico bisogna esaminare le pratiche connesse con i rituali, come
la pulitura degli attrezzi in determinate zone del fiume, la composizione di nuovi brani con
strumenti ricavati da zucche. Prima della cerimonia c’è la fase del ritiro e della confessione
in un luogo isolato. L’iniziato dovrà confessare i rapporti sessuali avuti, visti come un
momento il cui la donna ruba la forza ai maschi.
Dopo alcune settimane gli vengono mostrati gli oggetti sacri: i rombi, tavolette di legno che
vengono ruotate e producono un suono cupo, che è la voce degli antenati attraverso cui si
controllano le forze umane e naturali.
Secondo la popolazione questo rito è compatibile a quello della religione cristiana portato dai
colonizzatori. IL battesimo è associato alla presentazione degli oggetti sacri, il Battista
sarebbe il fratello di Maria, ed è lui ad iniziare Gesù. Le analogie proseguono, perché il
sangue della circoncisione sarebbe quello della crocifissione di Gesù poiché sanno che
Gesù era circonciso. Giuda per loro non è il traditore, ma un altro fratello di Maria che affida
Gesù a Ponzio Pilato, responsabile dell’esecuzione del rito. La crocifissione viene
identificata con la circoncisione. I tre giorni di sepoltura sono la reclusione e la resurrezione
è la presentazione al pubblico che segue il rito.
Il discorso serve ad identificare i papua diversamente da come avevano fatto i colonizzatori,
ossia come popolo da obbligare al lavoro. Riappropriandosi dei propri riti, resistettero e
ripresero il controllo dei loro spazi e corpi. L’associazione dei riti con la vita di Gesù, si
inseriscono in un discorso di redenzione dal peccato come riscatto culturale.
Tuttavia la dominazione ha prodotto l’assimilazione di alcune concezioni, come quella della
pelle bianca alla purezza e del nero, ossia i papua stessi, allo sporco. Lo osserviamo ad
esempio nella fattura dei rombi: questi sono ricavati da una palma sacra che tiene insieme il
mondo, più precisamente dal suo interno che è di colore bianco e rappresenta i bianchi che
hanno la capacità di moltiplicare i beni materiali. Il bianco viene visto come centro del mondo
e il nero come qualcosa di essenziale ma periferico. La bianchezza, come per la palma, è il
contenuto interno della nerezza ed è manipolabile. Nel caso degli nganing siamo di fronte a
un reticolo di significati composti da elementi di cultura locale e influenza globale.