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Parte I, Genesi e natura dell'antropologia culturale

1. Origini e significato dell'antropologia

1.1 Antropologia significa Studio del genere umano.

Studia l'uomo dal punto di vista culturale. Nasce nell'Umanesimo e nel secolo successivo a causa della
scoperta del Nuovo Mondo e dei suoi abitanti.
La scoperta del 1492 scosse gli Europei che si trovarono ad avere rapporti con popolazioni "diverse",
sorsero gravi problemi religiosi. L'Europa iniziò a porsi domande "Sono esseri umani come noi? Dobbiamo
convertirli alla "vera fede"?. Con l'espansione coloniale e i traffici commerciali i contatti si intensificarono,
crebbe l'interesse confronti della diversità.

Cosa fanno gli antropologi?

Studiano i popoli contemporanei ma lontani nello spazio, fino a pochi anni fa studiavano i selvaggi,
popolazioni sperdute su isole del Pacifico, o all'interno di deserti come quello Australiano.
Sorgeva un problema, ovvero che questi guardavo la popolazione "selvaggia" con indosso un filtro, ovvero
la loro cultura. Ma nei primi anni del XX secolo fu inaugurata la ricerca sul campo.

2. Oggetti e metodi dell’antropologia culturale

2.1 È possibile definire la cultura?

È più facile raccontare una storia vera… quella degli Aré Aré..
La cultura è “un complesso d’idee, simboli, comportamenti, acquisiti selezionati e largamente condivisi
da un certo numero di individui”. All’antropologia interessano le differenze che ci sono tra le idee ed i
comportamenti presso le varie comunità umane. Le CULTURE sono modi diversi di affrontare il mondo,
riuscendo però a spiegarlo in tutta la sua interezza.

2.2 Le origini del concetto antropologico di cultura

La prima definizione risale all’antropologo inglese Edward B. Tylor


“La cultura è quell’insieme che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e
qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società”.

2.3 La cultura e la sua natura

Noi dipendiamo dalla cultura e non dai geni!


Un essere umano non contiene le informazioni necessarie per fargli adottare automaticamente
comportamenti indispensabili per sopravvivere! Gli animali hanno nel loro DNA le info.
L’uomo nasce “nudo”, incompleto. Basti pensare ch’è l’animale più bisognoso di cure ed affetti da parte
dei propri simili. Noi siamo determinati, dobbiamo accettare i codici di comportamento sia pratico che
mentale che siano condivisibili dagli altri.
Gli esseri umani sono in grado di adattarsi ma non abbandonano mai la propria cultura.
La cultura come complesso di modelli

In Europa la gente apprezza la carne bovina e suina, non quella di cane. I cinesi tutte e tre. Tali modelli
sono dovuti all’educazione che gli è stata data.

La cultura è operativa

Poiché mette l’essere umano nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi, adattandosi sia
all’ambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.

Selettività della cultura

Un modello può cambiare, la cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti. Ciò significa che le
generazioni successive ereditano i modelli delle generazioni precedenti e ne acquisiscono di nuovi o in
base alla propria esperienza di un mondo in mutamento, come lo sfruttamento della tecnologia o di
tecniche produttive vantaggiose. Esistono culture più aperte di altre, cioè pronte ad assorbire modelli ed
elementi provenienti da altre culture. Alcuni modelli (economici, religiosi, sociali) sono stati imposti con
la violenza e sono stati un danno. Le culture cambiano nel tempo, sono prodotti storici, il risultato di
incontri, prestiti e selezioni.

La cultura è differenziata e stratificata

In una comunità esistono tanti modi diversi di percepire il mondo, di esprimersi. Tali differenze di non
dipendono dalle circostanze: lavorativa, ludica. Esse hanno spesso a che vedere con il potere, la ricchezza,
la posizione sociale, l’istruzione, convinzioni religiose e politiche. Es. cultura colta e cultura popolare.
L’intellettuale Antonio Gramsci coniò le espressioni “cultura egemonica” e “cultura subalterna”, dove la
prima stava a indicare la cultura dei ceti dominanti, e la seconda quella dei ceti subordinati.

Comunicazione e creatività

L’universalità semantica è riassumibile nel dato che tutte le lingue sono in grado di produrre informazioni
relative a eventi, qualità di cose, luoghi vicini e lontani, reali e immaginari. La produttività infinita del
linguaggio umano. Siamo in grado di anticipare spesso quale sarà, date certe premesse, la continuazione di
un messaggio, ma questo perché il nostro linguaggio possiede la caratteristica di poter collocare i messaggi
nel tempo e nello spazio, esiste un altro tipo di creatività culturale la creazione di nuovi significati che
modificano il nostro modo di intendere le cose come la ceramica, la scrittura.
Il successo della creatività sta nel dire parole, immaginare situazioni o inventare cose che si allontanano
da ciò che una cultura già conosce, ma che non diventino per questo irriconoscibili o inutilizzabili.
Es. I macchinari volanti di Leo Da Vinci.

La cultura è olistica

(olos intero) cioè complessa e integrata, formata da elementi che stanno in un rapporto di
interdipendenza reciproca.
2.4 La ricerca antropologica

Gli antropologi studiano di solito determinati aspetti di una cultura, ma non possono concentrarsi solo
sull’aspetto da loro prescelto come se tutti gli altri non li interessassero perché la cultura è come una
fitta ragnatela.

L’etnografia e la raccolta dei “dati”

L’etnografia segna l’incontro con realtà culturali diverse da quelle dell’antropologo. Il compito è
raccogliere dati utili. Gran parte dei dati acquisiti hanno una provenienza diversa, frutto dell’osservazione
e dell’ascolto. Vivendo in mezzo alle persone, mangiando il loro cibo, dormendo nelle loro case,
l’antropologo è in grado di catturare gesti, sguardi, emozioni che altrimenti non verrebbero mai
esplicitati. Si usano interviste, registrazioni video e foto.

L’osservazione partecipante

Comincia a vedere il mondo dal loro punto di vista, comincia a entrare nei loro panni. Conosciamo una
cultura solo quando usiamo i suoi modelli: per mangiare, ridere, pregare. L’antropologo deve fare avanti
e indietro perché permette di considerare con distacco ciò che si impara della cultura che si sta
studiando. Il compito dell’antropologia è quello allora di gettare un ponte tra le culture.

3. Le caratteristiche fondamentali del ragionamento antropologico

3.2 La problematica del contesto

Il Contesto è fondamentale, ma non è stato sempre così. Inizialmente si tendeva a mettere a confronto
due fenomeni provenienti da luoghi e popoli lontani, senza chiedersi quale senso essi avessero nel
contesto d’origine.

3.3 Lo sguardo universalista e antietnocentrico

L’antropologia è universalista perché considera tutte le culture degne di attenzione e si oppone


all’etnocentrismo.

3.4 Lo stile comparativo

Due stili comparativi. Il primo esercita su società e culture che sono interrelate o geograficamente vicine.
Il vantaggio di questo metodo è la precisione descrittiva, mentre il suo limite è che non consente grandi
generalizzazioni. Il secondo prende in considerazione società prive di legami storici e cerca l’accostamento
di fenomeni simili per forma e struttura . I limiti sono la mancanza di precisione analitica.

3.5 L’ispirazione dialogica e il compito della traduzione

L’etnografia per apprendere deve praticare la cultura dell’ascolto. Ciò non è mai semplice, si cerca un
punto di riferimento e la ricerca di questo si scontra con le diversità linguistiche, fare antropologia significa
dunque dedicarsi ad un lavoro di traduzione di tipo concettuale.
3.6 L’inclinazione critica e l’approccio relativista

Il relativismo culturale ritiene che comportamenti e valori debbano esseri considerati all’interno del
contesto cui prendono forma. Ciò ha spinto molti antropologi a spiegare in maniera scientifica pratiche
che noi consideriamo condannabili: cannibalismo, mutilazione ecc... Il relativismo culturale mira a
comprendere, dove comprendere non significa giustificare, ma collocare il senso delle cose al posto
giusto, nel loro contesto.

3.8 Il versante applicativo

Fu concepita dai governi europei come strumento per conoscere i popoli delle colonie e quindi meglio
controllarli. Prima metà del 900 furono condotte sotto i governi, molte ricerche sui popoli dell’Africa, Asia,
America meridionale e dell’Oceania. Verso la metà del 900 l’antropologia ha vissuto una lunga stagione di
dibattiti interni a causa della situazione coloniale; ovviamente la materia non può dire di non aver colpe a
riguardo.

3.9 La condizione riflessiva e il decentramento dello sguardo

L’incontro con l’alterità produce un tentativo di comprensione che induce a riflettere anche su se stessi.
Kluckhohn parlò dell’antropologia di come uno specchio in cui gli esseri umani potevano riflettersi.
Questo perché la riflessività permette di cogliere meglio il punto di vista degli altri.

Parte II, Unicità e varietà del genere umano

1. “Razze”, geni, lingue e culture

1.1 Apparentemente diversi ma del tutto simili

Dal punto di vista fisico gli esseri umani si differenziano per la statura, il colore della pelle e degli occhi, a
livello linguistico la varietà si esprime in cinquemila lingue oggi parlate nel mondo. Sul piano culturale
esiste una grande varietà di comportamenti e idee. Ci sono però elementi di unità.
La razza è una costruzione culturale. Ciò è evidente negli USA. Qui i gruppi razziali sono riconosciuti
ufficialmente: bianchi, neri, indiani ecc… In questo paese un individuo non è classificato sulla base del suo
aspetto, ma in relazione ai suoi ascendenti, genitori, nonni. In Brasile vale il contrario.

1.2 Popolazioni genetiche e famiglie linguistiche

L’idea di famiglia linguistica risale a William Jones, notò somiglianze tra il sanscrito, lingua sacra degli indù,
il latino, il greco, il celtico e il gotico. Questo gruppo di lingue non parlate ma sfruttate su testi divenne
nota come la famiglia indoeuropea. Col progredire degli studi si videro somiglianze e affinità tra altri
gruppi di lingue giungendo all’idea che tutte le lingue fossero riconducibili a un’origine comune.
Alfredo Trombetti riteneva che il genere umano fosse comparso tutto in una zona della terra e che questi
avessero sviluppato la prima forma di linguaggio. Le sue teorie non ricevettero molta attenzione ma oggi
sono state rivalutate. La presenza di una lingua in una certa parte del pianeta può essere il frutto di
almeno quattro processi:

a) occupazione iniziale di una regione disabitata;


b) la divergenza;
c) la convergenza;
d) la sostituzione di una lingua che, per qualche ragione, è rimpiazzata in tempi più o meno brevi da
una lingua proveniente dall’estero.

Esempi. a) è colonizzazione della Polinesia da parte di popolazioni provenienti dal Sud-est asiatico I a.C.
b) migrazioni, i conflitti.
c) tratta i prestiti linguistici (alcool, mafia, ok).
d) è quella in cui un gruppo conquistatore impone la propria lingua.

1.3 Geni, lingue e culture

L’adozione dell’agricoltura si tradusse in un incremento della popolazione, la lingua degli agricoltori andò
diversificandosi in base alla zona. Le lingua nate da questo incontro sarebbero venute a formare quella che
viene chiamata una famiglia linguistica, in questo caso indoeuropea. Geni e lingue cambiano ma ad una
velocità minore rispetto a quella con cui mutano comportamenti, usanze e modelli culturali.

1.4 Le aree culturali e la globalizzazione

Un’area culturale è una regione geografica al cui interno troviamo una serie di elementi sociali, culturali,
linguistici ecc… relativamente simili. La suddivisione del mondo per aree culturali risale all’epoca delle
scoperte etnografiche. Oggi parlare di aree culturali è poco realistico.

2. Forme storiche di adattamento - Le società “acquisitivie”-

2.1 Homo sapiens sapiens, il colonizzatore

Nel corso degli ultimi anni l’uomo “anatomicamente moderno” è andato diversificandosi dal punto di vista
delle forme di adattamento all’ambiente. Gli umani hanno dovuto elaborare strategie di adattamento
diversificate, hanno costruito utensili differenti, questa versatilità è un processo lento e lungo quanto la
storia dell’uomo, che ha al centro il lavoro. Homo sapiens sapiens ha fondato il proprio adattamento su
un’unica opzione: la caccia-raccolta e la pesca. Le società così sono definite acquisitive, prelievo di risorse
spontanee dall’ambiente. Circa 10.000 anni fa la rivoluzione agricola ha portato importanti modificazioni,
incremento demografico straordinario. Con la riv. Industriale l’umanità ha conosciuto un’accelerazione
impensabile.

2.2 I cacciatori-raccoglitori: passato e presente

La caccia forniva la maggior parte del cibo, e dagli animali essi traevano gran parte del materiale per le
fabbricazioni di vestiti, utensili, armi. Anche dal punto di vista dell’organizzazione sociale vi sono
differenze, erano stanziali e formavano gruppi, oggi sono mobili e formano piccoli gruppi.
2.3 Caratteristiche delle società acquisitive
Traevano le risorse economiche direttamente dall’ambiente, muovendosi sul territorio.

Non implica alcuna forma di intervento sulla natura, i rapporti tra i sessi sono più paritari, la divisione del
lavoro è quasi inesistente e le donne non vengono confinate alla sfera domestica. Tutti si recano al servizio
del gruppo..

3. Forme storiche di adattamento – Coltivatori e pastori -

3.1 Orticoltori e contadini

Le società acquisitive hanno domesticato piante ed animali selezionando specie con caratteristiche più
vantaggiose sul piano alimentare. Orticoltura e agricoltura si fondano sullo sfruttamento di piante
addomesticate e richiedono lavoro, dunque sono diverse dalle società acquisitive. L’orticultura implica
l’impianto nel terreno di talee proveniente da alberi adulti, velocizzando i tempi. (banani)
L’agricoltura, coltivazione di legumi (fagioli, piselli, ceci) di cereali (grano, orzo, riso, mais) e di alberi da
frutto (ulivo, vite), bisogna arare e seminare, cure continue quali irrigazione e potatura.
Questo tipo di società è chiamata società contadina. L’inurbamento è stato causa di molti problemi, tra
cui la mancanza di lavoratori agricoli e quindi la diminuzione dei prodotti e la nascita di molti disoccupati
in città.

3.2 Popoli pastori e comunità “peripatetiche”

La pastorizia segna il passaggio da un’economia di caccia-raccolta a un’economia di produzione.


Pastorizia e coltivazione sembrano essersi sviluppate contemporaneamente. La pastorizia si distingue
dall’allevamento, quest’ultimo può riguardare animali di vario tipo ma stanziali (suini, ovini, bovini) e
allevati con foraggi provenienti dalle coltivazioni, nella pastorizia gli animali sono nutriti con il pascolo
naturale. La pastorizia nacque in Medio Oriente all’epoca della rivoluzione agricola. La pastorizia nomade
è una forma di adattamento iperspecializzata. Ma come spesso succede alle minoranze diverse e quindi
indesiderate, questi episodi generano razzismo, non bisogna dimenticare che gli Zingari furono perseguitati
dai nazisti che ne deportarono ed eliminarono a migliaia nei campi di sterminio.

Parte III
Comunicazione e conoscenza

1. Oralità e scrittura

1.1 Comunicazione orale e comunicazione scritta Griot

Non esiste società che ignori l’esistenza della scrittura, ma la comunicazione ordinaria si svolge per forma
orale, e per questo non ci rendiamo conto di quanto la com. orale sia influenzata da quella scritta.
Le culture come la nostra dove la scrittura è diffusa sono dette a ‘oralità ristretta’, fino a non troppo
tempo fa esistevano le culture a ‘oralità primaria’.
La scrittura fece la sua comparsa nel III millennio a.C. in Mesopotamia. Dove la scrittura oggi non è
radicata si chiamano ‘culture a oralità diffusa’. Walter Ong ha detto che non si può definire letteratura
orale la poesia, i canti e le leggende. Un esempio importante sono i Griot, musici o cantastorie dell’Africa
subsahariana, essi possono anche vivere alla corte di qualche personaggio importante. Il repertorio,
celebra re, eroi e le imprese. Per ricordare essi sfruttano dei modelli fissi. Oggi gli occidentali vivono il
caso del ‘regresso all’oralità’, ovvero a causa della televisione, di Internet degli SMS stanno perdendo la
ricchezza lessicale.

1.2 Parola, corpo e percezione del mondo

In assenza di scrittura le parole non hanno un’esistenza visiva: sono eventi che accadono in un tempo,
ovvero quando vengono pronunciate e poi svaniscono. Per le culture orali, si accendono di significati
durante un racconto perché accompagnate da gesti. Michel Jousse definisce queste culture
‘verbomotorie’.

1.3 Scrittura, oralità, memoria

Verba volant, scripta manent.


Dove la scrittura non è presente per ricordare si sfruttano modelli, formati da temi, proverbi e ripetizioni.
Tutte le culture tendono a operare selezioni sulla propria memoria.

1.4 Oralità ed esperienza

La scrittura agì come un domesticamento del pensiero, consentendo di riflettere su parole e frasi che
venivano fissate. La scrittura consente l’acquisizione di un pensiero più ampio, perché essa permette di
entrare in contatto con altri mondi e altri punti di vista.

1.5 Scrittura e identità nel mondo globale

L’impatto che la diffusione della scolarizzazione e della scrittura ha avuto sulle culture è stato enorme.
Ad esempio lo N’Ko si è sviluppato in Mali nella seconda metà del Novecento ed ha l’idea di restituire
l’Africa agli africani, rivendicando una propria identità storica e culturale in contrapposizione agli europei
ed agli arabi. La guida del movimento, Suleiman Kanté, si è fatto promotore di un’iniziativa politica, che ha
per oggetto la scrittura. Allo scopo di distinguersi dagli arabi, gli aderenti al movimento hanno
abbandonato l’alfabeto arabo e hanno adottato quello inventato da Kanté.

1.6 I media, la cultura e la nuova immaginazione globale

I media hanno esercitato grande influenza sull’umanità. I media producono cultura, nel senso che
suggeriscono comportamenti, gusti, valori, idee politiche, religiose e estetiche. La diffusione della
televisione da un lato e l’aumento delle mobilità dall’altro, spiegano le massi di migranti che si spostano
perché spinti da una nuova forma di immaginazione, di costumi più liberi, di opportunità di lavoro.

2. Percezione e cognizione

2.1 Pensiero ‘concreto’ e pensiero ‘astratto’

I primi europei che si accostarono ai popoli primitivi furono colpiti dal fatto che essi non avevano un
sistema di calcolo. Alcune comunità avevano una sola parola per definire tutte le piante, e che ciò che era
a loro ignoto non destava il minimo interesse. Gli Inuit, ad esempio avevano una tecnologia molto scarsa,
però avevano molti modi differenti per esprimere la neve.

2.2 La percezione del mondo fisico e gli stili cognitivi

I processi cognitivi sono capacità universalmente presenti, esse sono:


- astrazione (capacità di fissarsi su un aspetto di un complesso di elementi)
- categorizzazione (capacità di raggruppare gli elementi in gruppi o classi);
- induzione (dallo specifico al generale);
- deduzione (da gen. a spec.).
Due antropologi americani hanno constato delle differenze linguistiche tra bambini bianchi e neri,
americani. I bianchi erano spigliati e loquaci, i neri invece timidi e poco propensi a parlare. I bianchi
sfruttarono il test per mettere in mostra la propria abilità, i neri pensavano fosse un metodo di
discriminazione. Ciò è dovuto a stili cognitivi differenti. Lo stile cognitivo può essere:
- globale (parte dalla totalità del fenomeno considerato per giungere alla particolarità)
- articolato (parte dai singoli elementi per risalire alla totalità)

2.3 L'etnoscienza

Tutti i popoli possiedono una conoscenza del mondo naturale. L'etnoscienza è lo studio di come culture
differenti organizzano le loro conoscenze del mondo naturale. Solo pochi in realtà hanno una conoscenza
dettagliata, infatti l'immagine di albero è quello che ci hanno insegnato a causa della scolarizzazione.
Dunque ogni società forma delle immagini standardizzate nelle mente, definiti prototipi. Ciò avviene in
base alla sua utilità.

2.4 Dai prototipi agli schemi

I prototipi sono un modo di organizzare la percezione del mondo circostante, la possibilità di individuare e
ordinare la realtà è data dagli schemi. Gli schemi sono ciò che organizza la nostra esperienza.

2.5 La terminologia del colore. Universalismo percettivo e determinazione socio-culturale.

Due antropologi americani confrontarono le terminologie dei colori di 26 lingue, il numero dei termini
variava da un minimo di due a un massimo di 11. In italiano, rosso è un termine di base, il colore scarlatto
e ruggine richiedono che si faccia sempre riferimento al rosso (termine di base). I colori, così come tutti
modi di esprimere il mondo vanno inseriti in un contesto. Bisogna ricordare anche che i colori hanno
aspetto sia percettivo che simbolico.

3. Tempo e spazio

3.1 Due categorie del pensiero umano

Gli esseri umani vivono nel mondo fisico. La trasformazione delle cose e di se è sperimentata dagli umani
sotto forma di ciò che noi chiamiamo tempo, e in riferimento al posizionamento del corpo o di cose, gli
umani percepiscono lo spazio. Non possiamo pensare nulla che sia fuori dal tempo e dallo spazio,
ovviamente questa rappresentazione variano da cultura a cultura.
3.2 Idee del tempo

Le idee variano, infatti Nilsson disse che nelle società primitive il tempo è concepito in maniera
puntiforme. Ovviamente qui il tempo non è un rigido sistema che scandisce la vita, l'idea che il tempo sia
un'entità uniforme, misurabile e frazionabile è del tutto culturale. Il senso di un tempo non quantizzato ma
carico di significati e momenti importanti (vendemmia/mietitura) è caratteristico di ogni società. Il tempo
non quantificabile è detto tempo "qualitativo", esso è presente anche nella nostra cultura quando, ad
esempio ricordiamo di quando "andavo all'asilo".

3.3 Rappresentazione dello spazio

Essere nello spazio significa entrare in rapporto con un mondo noto o sconosciuto, tranquillità nel primo
caso e preoccupazione nel secondo. La disposizione delle cose o degli esseri umani nello spazio fisico può
avere una gamma assai ampia di significati, si pensi al gineceo, la parte della casa che nella Grecia antica
era riservata alle donne.

3.4 Correlazione tra spazio e tempo

Hallpike ebbe l'idea di dividere il tempo in 'operatorio' e concezione 'preoperatoria del processo
temporale'. Hallpike sfrutta Piaget, che dice che l'operatorio mette in relazione spazio e tempo
considerandoli variabili dipendenti. Tale capacità di coordinazione è assente nell'altro. Mancanza di
simultaneità. Pensando però ai cavalli dei Rindi in Indonesia ciò non accade, anzi essi sono capaci di
coordinare durata, successione e simultaneità, smentendo Hallpike.

Parte quarta, Sistemi di pensiero


1. Sistemi chiusi e sistemi aperti

1.1 La ricerca della coerenza e lo studio delle cosmologie

Il pensiero umano tende sempre alla coerenza. I sistemi di pensiero comprendono ambiti di riflessione
diversi, quali rapp. di spazio e tempo, le credenze religiose, pratiche magiche ecc…

1.2 Differenze e somiglianze

L’antropologo Horton mise a confronto i sistemi di pensiero tradizionali africani, con il pensiero scientifico
europeo. Egli riteneva che avessero qualcosa in comune, egli confrontò aspetti scientifici con quelli
religiosi. Entrambi i sistemi cercano di spiegare il mondo, dove spiegare significa:
- Oltrepassare il senso comune (fermo alle apparenze);
- Ricercare l’unità dei principi e delle cause;
- Semplificare al di là della complessità dei fenomeni;
- Superare l’apparente disordine per trovare l’ordine;
- Cogliere la dimensione della regolarità al di là dell’anomalia e della casualità dei fenomeni.
I sistemi africano affrontano ciò attraverso la religione e le divinità.
1.3 L’uso delle analogie esplicative: malattia e relazioni sociali

Quando gli indovini cercano le cause di una malattia o di una morte improvvisa e l’attribuiscono all’azione
di qualche divinità essi cercano di capire quali forze lo abbiano spinto a comportarsi così. Nei sistemi di
pensiero come quelli africani le analogie sono personalizzate, le spiegazioni vengono date in termini di
relazioni sociali, come fossero il segno di un qualcosa.

1.4 Chiusura e apertura dei sistemi di pensiero (da prendere con le pinze)

Secondo Levi Bruhl i primitivi non erano in grado di distinguere tra se e il proprio totem (animale simbolo
del gruppo) e tra quest’ultimo e gli animali della stessa specie. Bruhl successivamente, grazie a Luria, capì
che ciò non era possibile e che era solo un pensiero degli Occidentali.
Horton trattò i sistemi aperti e chiusi. Nei sistemi aperti c’è un rapporto speciale con le persone e gli
oggetti e le azioni. Nelle culture a oralità diffusa le parole acquistano un potere importante, come se dire
fosse un fare. Mentre il sistema chiuso è quello scientifico.

2. Pensiero metaforico e pensiero magico

2.1 Le credenze apparentemente irrazionali e il pensiero metaforico

Alcuni popoli sostengono che gli alberi sono un luogo in cui abitano gli spiriti, altri affermano di incontrare
i defunti in sogno e altri usano la magia per la buona riuscita di una spedizione militare. Keesing si è chiesto,
soltanto noi parliamo metaforicamente? Nel 1984 etnografo tedesco Karl von de Steinen pubblicò uno
studio sui Bororo del Mato Grosso, Brasile “noi uomini bororo siamo arara rossi”. L’arara rosso è una
varietà di pappagallo amazzonico. Dunque i Bororo compivano un’assimilazione tra i pappagalli, loro e gli
antenati. I Bororo tendono ad assimilare il maschio al pappagallo arara secondo 3 punti:

- Iridiscenza delle piume degli arara è una manifestazione dello spirito, l’aroe;
- La società ha un sistema di discendenza matrilineare, i villaggi sono divisi in due metà. Un uomo deve
stabilirsi nella metà del villaggio dove vive la moglie (uxorilocale) e deve pensare al mantenimento della
propria madre, delle sorelle e dei figli di queste (matrilineare).
- Per i Bororo gli unici animali da compagnia sono i pappagalli.

I pappagalli sono accuditi e posseduti solo dalla donne. Essi diventano animali simbolo: simbiosi uomo-
animale. La frase “noi uomini bororo siamo arara rossi” diviene ironia della condizione maschile.

2.2 La magia e le sue interpretazioni

La magia è un insieme di gesti, atti e formule verbali mediante cui si vuole influire sugli eventi.
Frazer riteneva che esistessero due tipologie di magia:
- imitativa, idea che imitando la natura essa poteva essere influenzata
- contagiosa, due cose per il fatto di essere state a contatto conserverebbero il fatto di poter agire l’una
sull’altra. Sempre Frazer riteneva che magia, religione e scienza fossero tra loro legate dall’eterno tentativo
dell’uomo di spiegare l’origine dei fenomeni e le relazioni tra di essi. L’uomo avrebbe usato la magia e
quando si sarebbe accorto che questa non funzionava avrebbe pregato esseri spiritualmente superiori per
ottenere da loro ciò che egli non era riuscito. A questa fase sarebbe poi subentrata la scienza, la logica
razionale. Anche Malinowski studiò la magia nelle Trobriand. Egli pensò di dover distinguere la magia sia
dalla religione che dalla scienza. La religione, sostiene Malinowski, non è chiamata a spiegare l’origine
dei fenomeni, ma a fornire certezza di fronte al bene, il male, il dolore, la morte ecc… La magia era un
mezzo per mettere tranquillità quando c’era ansia. Ricerca di rassicurazioni di fronte all’incertezza.

2.3 Magia e presenza

De Martino pensa che l’universo magico può essere compreso solo in relazione all’angoscia della perdita
della presenza, ciò è differente da Malinowski. La presenza a cui De Martino fa riferimento è una
condizione che afferma la presenza umana nel mondo. L’esigenza di affermare la presenza era viva nel
mondo subalterno, il mondo povero e illetterato del Mezzogiorno che, non avendo preso ancora coscienza
della propria identità storica e di classe, era legato a forme primitive di affermazione della propria presenza
al mondo. La dimensione magica come caratteristica degli esclusi e dei subalterni messa in evidenza deve
essere tenuta in conto come chiave di lettura di alcuni aspetti della stessa modernità.

3. Il pensiero mitico

3.1 Il pensiero mitico


I temi dei miti hanno da sempre affascinato molto gli studiosi, inoltre c’è da dire che mentre il rito è
sempre identico, il mito può variare da regione a regione.

3.2 Caratteristiche e protagonisti del racconto mitico

I miti spiegano l’origine del mondo e l’aspetto che quest’ultimo possiede. CARATTERISTICHE? Il mito
ignora lo spazio e il tempo, le azioni degli eroi non tengono conto del tempo nel senso di giorni, mesi ecc,
tutto avviene in tempi brevissimi. I personaggi agiscono o abitano in luoghi impossibili da frequentare per
gli esseri viventi: cielo, nuvole, stelle, luna ecc. Il mito produce un’antropomorfizzazione della natura,
attribuisce agli animali caratteristiche umane come il linguaggio, sentimenti, emozioni ecc… inoltre a volte
gli umani hanno caratt. animalesche come il volo. Dunque il mondo era un pianeta equilibrato, la rottura
di questo equilibrio avrebbe creato il mondo attuale. Il frutto di questo gesto è paragonabile all’azione di
questo eroe, semi divino, semi animale, chiamato Trickster. Uno famoso è quello degli indiani Winebago
del Nord America, si tratta di esseri strani, che incorpora comportamenti opposti e contraddittori, egli è
furbo e bugiardo, copula con entrambi i sessi, va contro gli dei dai quali è punito. Questo essere dunque
crea il mondo fatto dalle contraddizioni quali bene e male caldo e freddo ecc… Egli è ambiguo perché
dona agli uomini le tecniche e la conoscenza ma per qualche errore dona loro anche la malattia e la morte.

3.3 Le funzioni del mito

Le funzioni sono:
- speculativa
- pedagogica
- sociologica
- classificatoria

Malinowski pensava che il mito fosse un’autorizzazione a compiere certi riti, il mito sarebbe dove trovare
una morale, qualcosa che fissa un codice di comportamento.
Brown scese alla conclusione che il mondo della vita animale è rappresentato nei miti in termini di relazioni
sociali simili a quelle degli umani, e che gli animali simbolo esprimono l’applicazione di un determinato
principio strutturale. Tale principio consiste nella combinazione di contrario e opponente. La prima
caratterizza come contrarie due specie, falco e cornacchia, secondo alcune caratteristiche. L’idea di
opponente mette in risalto la loro relazione completare che appare così solo se messa in relazione sociale.

3.4 Il pensiero che pensa se stesso?

Una diversa interpretazione del mito è stata elaborata da Levi Strauss, secondo lui il mito è un’entità
scomponibile in un unità minime (i mitemi), le quali rivestono un senso solo se poste accanto ad altre
dello stesso tipo. Il medesimo mitema (ragazzo che si innamora di una stella, la donna che contamina un
orto col sangue mestruale, il serpente che morde il piede di un uomo) prende sembianze diverse in culture
diverse, ma ricorre in racconti mitici differenti, assumendo ogni volta un significato differente. Il mito è in
grado di pensare ciò che non può esistere realmente ma che può esistere nell’immaginazione. Il mito
deve conciliare gli aspetti contraddittori dell’esistenza: spirito e corpo, bene e male, vita e morte.
Tutto ciò si presenta sotto forma di personaggi, azioni e contesti.

Parte quinta, Il se e l’altro

1. Identità, corpi e persone

1.1 I confini del se e la rappresentazione dell’altro: identità/alterità

L’idea di far parte di un se collettivo, di un Noi, una tribù, una nazione si realizza attraverso
comportamenti e rappresentazioni che creano confini nei confronti degli altri. IDENTITA’: Idea di
appartenere a un se collettivo e quella di essere ciò che siamo come individui. Quando la nostra integrità e
sicurezza viene meno si sviluppano problemi per quanto riguarda i confini, i quali vengono ad aumentare.
Gli Occidentali sono molto interessati alla loro identità.

1.2 Corpi

Gli esseri umani hanno esperienza del mondo attraverso il corpo: sentono, comunicano, percepiscono ecc.
Il corpo è il mediatore tra noi e il mondo, si tratta di una conoscenza incorporata. Proviamo a immaginare
quante volte reagiamo istintivamente agli stimoli esterni. Questa conoscenza incorporata dal mondo dalla
sta alla base di ciò che lo stesso Bourdieu ha chiamato Habitus, è importante sottolineare che questo stare
varia in base alla cultura.

1.3 Corpi sani e corpi malati

Taussig studiò che le mogli e le figlie dei Brasiliani fatti sparire da militari e polizia dessero luogo a crisi
nervose e attacchi di paura. Strettamente connesse al corpo sono salute e malattia. Tutte le culture hanno
una concezione complessa del disagio fisico e mentale. Ihamba è un rito praticato dagli Ndembu dello
Zambia, essi pensano che le malattie risalgano agli antenati che affliggono per vendicarsi, il rito consiste
in una terapia gruppo durante la quale i parenti del paziente devono esplicitare i loro contrasti reciproci o il
proprio risentimento nei riguardi del paziente. Manifestazioni del disagio psicologico possono essere
curate, in molte società, mediante sedute pubbliche di musicoterapia. Nell’aria del Salento esisteva la
Taranta, si tratta di una forma di nevrosi scatenata da un disadattamento psico-sociale che si manifesta
con convulsioni e spasmi che veniva curata facendo ascoltare la musica. Nella medicina Occidentale ha
preso piede l’idea di prevenzione che si ispira a un’idea di cura che tiene conto del contesto ambientale
entro cui le patologie hanno più probabilità di manifestarsi.

1.4 Persone e soggetti

La bioetica è lo studio di atteggiamenti e idee della persona, della sua dignità e libertà, del suo diritto alla
vita ecc… Culture diverse hanno bioetiche differenti. I Samo, ad esempio, ritengono che l’essere umano
sia costituito da nove componenti essi sono: corpo, sangue, ombra, sudore, soffio, vita, pensiero, il
doppio (mere, ovvero una specie di anima), destino (lepere).

2. Sesso, genere, emozioni

2.1 Il femminile e il maschile

La differenza f/m è presente in tutte le culture. Gli Inuit danno un’identità sessuale differente di quella
anatomica. Ciò vuol dire che un maschio con l’anima-nome femminile sarà cresciuto sino alla pubertà
come una femmina e poi sarà costretto a diventare maschio. Egli però conserverà sempre la sua anima-
nome femminile.

2.2 Sesso e genere

Sesso: anatomico.
Genere: identità sessuale socialmente costruita.
Ragazzi e ragazze ricevono un’educazione di genere differente, ovviamente i tratti della mascolinità e della
femminilità non sono intesi in ogni cultura allo stesso modo

2.3 Sesso, genere e relazioni sociali

Partorire, allattare, accudire i figli sono atti (quindi non naturali). L’infanticidio è un’altra pratica che ha
ben poco di naturale, gli Yanomami amazzonici scelgono in caso di parti ravvicinati una stessa donna, di
eliminare il secondogenito, ma questa eliminazione riguarda quasi sempre le femmine per motivi che sono
culturali e non naturali. Esistono inoltre dei veri e propri spazi di genere, accessibili sono a uno dei due,
oppure spazi comunitari ma divisi come l’istruzione in Pakistan. Molte sono le barriere costruite per le
donne, ad esempio le gonne multi strato, il velo ecc… Questo per proteggerle dagli sguardi estranei alla
famiglia.

2.4 Emozioni

I sentimenti sono i concetti che una cultura possiede di uno stato d’animo, essere innamorati. Gli stati
d’animo non vengono espressi nella stessa maniera, l’odio, la paura, la felicità e la tristezza sono concepiti
ed espressi da soggetti culturali, cioè in base ai modelli culturali. Ad esempio i cinesi sono abituati a
nascondere le loro emozioni. Inoltre gli stati d’animo come ansia, gioia, stupore sono connessi a
espressioni corporee le quali mutano da cultura a cultura.
3. Casta, classe, etnia

3.1 Caste

Il termine casta viene usato in riferimento a gruppi sociali ritenuti superiori o inferiori ad altri. In
Antropologia il termine casta è meglio definito, casta significa casata/stirpe, i Portoghesi quando
arrivarono in India lo applicarono alla popolazione per distinguerle in base ai due principi: varna e jat.
Varna, ovvero colore, 4 cat. sociali indù: sacerdoti, guerrieri, commercianti e contadini. I Varna si
suddividono in Jat, ovvero discendenze, ognuno corrispondente, almeno in via teorica a un’occupazione:
vasai, fabbri, barbieri ecc… Le caste sono disposte gerarchicamente, distinguendo gli esseri umani in base
alla loro occupazione, quindi sulla base di un elemento culturale le differenze tra gruppi occupazionali
vengono assimilate a delle differenze naturali fondate sulla nascita.

3.2 Classi

Karl Marx chiamò lotta di classe, ossia lo scontro tra gruppi sociali con interessi economici e politici diversi
e conflittuali, infatti la società moderna sarebbe nata dallo scontro tra borghesia (commerci e industria) e
aristocrazia (proprietari terrieri) e dal trionfo della prima sulla seconda.

3.3 Etnie ed etnicità

I significati del termine etnia

Barth ha contrastato l’equivalenza cultura = lingua = territorio.


L’etnicità, ossia il sentimento di appartenenza ad un gruppo tralascia di considerare il fatto che gruppi
simili non esistono in assoluto, infatti tutti i gruppi umani, le culture, le lingue sono il frutto di un processo
di interazione con altri.

Parte sesta, forme della parentela

1. La parentela come relazione e come rappresentazione

1.1 Idee di parentela

Le relazioni di parentela sono relazioni biologiche le quali incidono con gran forza sulla vita delle persone.
La parentela lega individui o sulla base della consanguineità o per via matrimoniale.

1.2 Diagrammi di parentela

DONNA UOMO SESSO IMPRECISATO

DECEDUTO
= MATRIMONIO

MATRIMONI

= DIVORZIO

RELAZIONE SESSUALE

DISCENDENZA

Per Ego si intendono i parenti consanguinei e vengono segnati in nero, mentre in bianco i parenti
acquisiti.

Sigle

Inoltre si utilizzano delle sigle per meglio comprendere, ad esempio:


M = Mother / F = Father / B = Brother / Z = Sister / W = Wife / H = Husband / D = Daughter / S = Son / C =
Children. Inoltre le sigle possono essere accoppiate, ad esempio FB = Fratello del padre, quindi zio.

1.3 Discendenza e consanguineità

Tipi di discendenza

a. Patrilineare, stabilita attraverso legami tra individui di sesso maschile


b. Matrilineare, fondata sui legami tra individui di sesso femminile
c. Cognatica, legami tra ambo i sessi

A e B vengono definite unilineari.


Nella società europea odierna non abbiamo gruppi di discendenza, si preferisce parlare di società
bilaterali.

Lignaggi e clan

Lignaggio è costituito da tutti coloro che possono tracciare una comune discendenza da un determinato
individuo. Clan sono chiamati i gruppi di discendenza i cui membri non possono ricostruire la successione
ma hanno un sentimento di appartenenza comune.
1.5 Residenza e vicinato

Nei gruppi di discendenza che risiedono nello stesso territorio, la prossimità diventa un fattore di ulteriore
coesione. In ogni società la nuova coppia deve seguire alcune regole:
a. Patrilocale, coppia va a vivere con o vicino parenti del marito;
b. Matrilocale, coppia va a vivere con o vicino parenti della moglie;
c. Ambilocale, coppia può scegliere se vivere con uno o l’altro;
d. Neolocale, coppia sceglie luogo diverso da entrambi;
e. Natolocale, marito e moglie continuano a vivere coi propri parenti;
f. Avuncolocale, coppia va vicino residenza del fratello della madre dello sposo.

1.6 Matrimonio e alleanza

a. Monogamico, due individui;


b. Poliginico, tra uomo e più donne;
c. Poliandrico, una donna e più uomini.

Il matrimonio è una forma socialmente riconosciuta attraverso la quale un individuo entra in alleanza con
altri individui.

Matrimonio famiglia e gruppo domestico

Atto formale che legalizza un rapporto sessuale da cui possono nascere dei figli, i quali potranno essere
ritenuti legittimi.

1.7 Esogamia ed endogamia

Esogamia indica l’unione matrimoniale di un individuo all’esterno del gruppo, endogamia indica l’unione
di un individuo all’interno del gruppo.

La proibizione dell’incesto

Divieto all’unione matrimoniale tra determinati individui, come genitori, fratelli e sorelle, figli e figlie.

Cugini incrociati e cugini paralleli

Incrociati: figli e figlie di fratelli germani di sesso differente.


Paralleli: figli e figlie di fratelli germani dello stesso sesso.

2. Le terminologie di parentela

2.2 I tre assunti di Morgan (8 principi di Kroeber)

Morgan scoprì che gli indiani dei Grandi Laghi chiamavano i fratelli del padre, padre e la sorella della
madre, madre.
1. A ogni termine con cui un individuo designa un suo parente ne corrisponde sempre un altro usato da
quest’ultimo per designare il primo.
2. I sistemi terminologici di parentela rientrano in poche categorie fondamentali
3. Sistemi molto diversi possono trovarsi in regioni geograficamente vicine.

Principi di Kroeber

1. Generazione, tutti i sistemi distinguono tra Ego e suo padre/madre.


2. Sesso, distinguono il sesso del parente.
3. Distinzione tra consanguinei e affini, ovvero acquisiti.
4. Distinzione tra consanguinei diretti e collaterali.
5. Biforcazione, parenti paterni e materni vengano indicati con termini diversi.
6. Età relativa, distinzione tra individui maggiori o minori.
7. Sesso del parente attraverso il quale passa la relazione con l’individuo.
8. Condizione: defunto o vivente.

2.3 I sei sistemi terminologici di parentela

Hawaiano, eschimese, omaha, crow, irochese e sudanese. I sistemi prendono i nomi delle popolazioni
dove il sistema stesso è stato studiato per la prima volta.

I sei tipi sono raggruppati in tre categorie:


a. Non lineari o bilaterali;
b. Lineari;
c. Descrittivi.

A. Hawaiano e Eschimese.
L’ego non fa distinzioni tra parenti dal lato materno e paterno. Il sistema Hawaiano fa uso dei principi della
generazione e del sesso 1 e 2 di Kroeber. Differenza tra Hawaiano ed Eschimese è che Eschimesi oltre a 1 e
2 adottano anche il 4 di Kroeber.

B. Irochese, Crow, Omaha


Ego distingue i cugini incrociati da quelli paralleli, questi sistemi adottano il principio della biforcazione,
principio 5.

C. Sudanesi, Medio Oriente, Africa Settentrionale.


Uso di un termine differente per ogni parente di Ego appartenente alla propria generazione, a quella dei
genitori e a quella dei propri figli. Si tratta di sistemi a massima distinzione terminologica.
Principi 1,2,3,4,5 e 7.

Parte settima, religioni e esperienze rituali

1. Concetti e culti

1.1 Cos’è la religione?


Secondo noi Occidentali è dogmi e riti coordinati da specialisti in luoghi particolari, essa riguarda le
preoccupazioni di una società di cui si fa garante una forza superiore all’umano. La religione ha il compito
di proteggere le certezze umane, riparando l’uomo dalle insicurezze e ansie. I simboli, luogo, reliquia,
veicolano i concetti, i quali costituiscono i significati dei simboli. I riti sono azioni che mettono in scena i
concetti.

1.2 Tipi di culto

Individuali
Preghiere, invocazioni. Il Cristiano che si rivolge a un santo per ricevere una grazia.

Sciamanici
Essi hanno visioni del mondo soprannaturale e mettono in contatto. Lo sciamano ricopre questo ruolo solo
occasionalmente, nella routine è una persona normale. Essi entrano, a causa di alcune sostanze, in stato di
trance durante il quale stabiliscono il contatto con i poteri sovrannaturali.

Comunitari
Gruppi organizzati sulla base dell’età, sesso, funzione, che si riuniscono temporaneamente per lo scopo
senza alcun aspetto di permanenza delle funzioni. Praticati con scopi terapeutici, es. Totemismo.

Ecclesiastici
Prevedono l’esistenza di gruppi di individui specializzati nel culto, le chiese cristiane possiedono queste
caratteristiche. Testi quasi sempre presenti, i quali vengono tramandati.

2.Simboli e riti

2.1 I simboli sacri e la loro efficacia

I simboli sacri sono cose separate da quelle profane e non accessibili se non si è consacrati. I simboli sacri
producono nell’animo un’idea rappacificante di ordine.

2.2 I riti della religione

Rito inteso come complesso di azioni, parole, gesti la cui sequenza è prestabilita da una formula fissa, i riti
sono officiati da personaggi speciali come un sacerdote nel caso di una processione.

2.3 La varietà dei riti

Di passaggio
Sanzionano pubblicamente il passaggio di un individuo o di un gruppo da una concezione sociale o
spirituali a un’altra: battesimi, matrimoni, funerali, incisioni ecc… In questi riti esistono tre passaggi
fondamentali:
- separazione, distacco dal precedente
- margine
- aggregazione, entrata nel nuovo
3. Religioni e identità nel mondo globalizzato

3.2 Religioni e globalizzazione

Culto di El Tio, chiave demoniaca collegata al lavoro dei minatori i quali gli vendicavano animali per far si
che riuscissero a trovare lo stagno, essi in realtà si definiscono Cristiani. Mami Wata è una dea bella e
seducente, è divinità dell’acqua, essa viene rappresentata come una sirena ed i suoi iniziati sostengono di
aver rapporti sessuali con lei durante il sonno.

Parte ottava, creatività culturale ed espressione estetica

1. Creatività culturale

1.1 Creatività come aspetto costitutivo della cultura

Creatività culturale consiste nella possibilità di produrre nuovi significati a partire dai modelli culturali a
loro disposizione.

1.2 La festa come dimensione creativa

Le feste mettono in moto comportamenti improntati alla dimensione collettiva, essa segna una rottura con
il corso ordinario della vita, inoltre sono marcatori temporali di una certa importanza. Nella festa si prova
una sorta di libertà d’espressione e di azione, ad esempio il carnevale, la quale rappresenta la rottura
delle norme sociali.

2. L’espressione estetica

2.1 Arte ed espressione estetica

Colleghiamo all’arte la creatività. Le arti si dividono in visive e non.


Le prime comprendono le arti plastiche come scultura, intaglio, ceramica, quelle grafiche come pittura e
disegno, danza, teatro e cinema. Invece la poesia, l’oratoria, la musica e il canto appartengono alla
categoria non visive. Diviene fondamentale l’espressione estetica che è del tutto personale e culturale.
I cambiamenti nel campo dell’estetica vengono definiti moda, infatti le percezioni estetiche non sono
statiche.

2.2 Arti, pratiche sociali e significati culturali

L’espressione estetica è ovviamente culturale.


Ad esempio nelle culture preistoriche non si può parlare solo di arti parietali, essi costruivano anche delle
statuine, strumenti in pietra ed osso. Un esempio particolare di selezione estetica è l’arte africana
concentrata sulle arti visive, in particolare sulla scultura. I kalabari nigeriani vedono le sculture come
dimore degli spiriti. Non esistono canoni estetici universali.

3. L’arte tribale nel contesto occidentale


3.1 Musei e arti primitive

L’Occidente ha da sempre mostrato grande interesse nei confronti delle arti africane, basti pensare ai
tantissimi musei che esistono in Europa e negli USA a riguardo.

Arte moderna e pozzi selvaggi


Fra l’Ottocento e il Novecento pittori d’avanguardia iniziarono a prestare attenzione agli oggetti
provenienti dall’Africa, Oceania, America. Si svilupparono correnti che sfruttavano quest’arte per uscire
fuori dagli schemi europei che definivano convenzionali e quindi per trasgredire le regole. Le maschere e
le sculture africane furono sfruttate da personaggi come Picasso. Fu inglobata anche l’arte tribale, la quale
iniziò ad avere un certo mercato. Gli oggetti esotici hanno dunque riscontrato grande interesse nelle
popolazioni occidentali.

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