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Letizia Magni

II anno – 2022/23
Professor Angelo Moccia – specializzato in antropologia medica e antropologia delle migrazioni
Esame orale – più le azioni saranno interattive migliore sarà la resa all’esame

Antropologia
delle relazioni
pubbliche

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Il neuroscienziato portoghese D’amasio ha condotto uno studio su dei bambini bilingue; i
bambini monolingue hanno solo una zona del cervello che è irrorata e che funziona mentre
per i bambini bilingue sono due. Esprimersi in più lingue vuol dire esprimersi in modi diversi.
Entrare in rapporto e in confronto e acquisire delle capacità che sono altre.

La lingua non è solamente il frutto di una convenzione, ma c’è ciò che serve per vedere
quella lingua nel mondo.

L’antropologia

Ha diverse sfaccettature e per definirla in breve “è una disciplina piuttosto indisciplinata”.

Marcel Mouse dei primi del 900 ha affermato che l’antropologia è la ricerca di quel che è
comune agli esseri umani, cioè la cultura. L’oggetto di studio privilegiato dell’antropologia
è la cultura. Studia l’essere umano dal punto di vista culturale, dei simboli, delle idee e del
comportamento.

Max Webber degli anni del fine 800 ha dichiarato che la cultura è la rete di simboli che
noi tessiamo per poi rimanere impigliati.

Quando si fa riferimento alla cultura non è la cultura aulica (la divina commedia, per
esempio) ma sono le relazioni tra gli uomini e fra gli uomini e l’ambiente in cui sono inseriti.

Fino a metà 800 c’era un’idea di cultura che era quella che proveniva dall’Illuminismo ma poi
dopo metà 800, nel 1871, Edward Burnett Taylor pubblica un libro, intitolato “Cultura
primitiva”, in cui dà una definizione di cultura dal punto di vista antropologico. In quei tempi
non esistevano le figure degli antropologi, anche se alcuni fanno risalire la nascita
dell’antropologia a Erodoto. Il primo progetto scientifico di carattere antropologico è stato
fatto a Parigi da parte della Società degli osservatori dell’uomo, progetto nato nel 1799 nel
quartiere di Saint Germain. È un insieme di studiosi cartografi, navigatori, medici, geografici
che si sono interessati ai documenti della rivoluzione francese e alla ricerca di un tratto
comune dell’umanità.

Nel 1805 la società degli osservatori dell’uomo viene fatta chiudere da Napoleone perché
disinteressato dei valori dell’Illuminismo, è interessato solamente a conquistare, convinto
che con la “cultura non si mangia”.

Solo nella metà dell’800 si sviluppa un interesse antropologico, tant’è vero che in Inghilterra,
con Taylor, nel 1871, viene data la prima definizione di cultura “la cultura è quell’insieme
complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il
costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto
membro di una società”.
Resta la definizione di cultura di tutti gli scienziati sociali. in Inghilterra avvia l’antropologia
dandole uno statuto scientifico - Henry Morgan, scrive un libro sui sistemi di parentela →
danno conto di come è costituita una società, come pensa e i suoi legami.

Poliginia = poligamia
Significa avere più consorti, nel mondo islamico se un uomo sposa quattro donne deve
garantire loro il sostegno economico.
Se una donna sposa più uomini, si chiama poliandria.
La poliandria c’è ancora, qualche società sotto il Tibet e il Nepal ma è quasi scomparsa. Si
sta ripresentando però.
Dietro alle relazioni di parentela si capisce come funziona una società.

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L’antropologo studia la storia del genere umano.

Nel 1970 due antropologi importanti pubblicano un libro con scritto che vi sono oltre 200
definizioni di cultura.

Taylor inizia dicendo che la cultura è “quell’insieme complesso” ossia c’è l’idea che la cultura
non sia qualcosa che appartiene a una società più civilizzata, progredita o una società che
sia più semplice di un’altra che tutte le società siano un insieme complesso. Ognuna
funziona in maniera diversa perché ha al suo interno cose diverse.

Esempio: negli anni 30 del 900 alcuni antropologi si sono stabiliti nel Sud Sudan per fare
delle ricerche, scoprendo che le tribù, seppur comportandosi in maniera strana, fossero
coerenti.

Quella che noi chiamiamo arte per altri può essere qualcosa di diverso. Così come anche la
conoscenza.

Il mondo in cui viviamo è complesso. Siamo nel ventunesimo secolo ma si ragiona ancora
come se fossimo ancora presenti nel post rivoluzione industriale (800).

“Capacità acquisita dall’uomo” → appropriazione culturale e che non sia innata, non sia
naturale

Nella nostra società, c’è una discussione aperta tra cultura e natura. Proviene da Aristotele,
da Cartesio – che ha voluto distinguere bene e male, bianco e nero, malato e sano,
costruendo una divisione.

Cos’è culturale?

La lingua, le tradizioni, la religione

Cos’è naturale?

Il bisogno – di piangere, di ridere

È naturale il bisogno di piangere ma è culturale il modo in cui si esprime.

Di naturale c’è ben poco, la maggior parte delle cose che acquisiamo sono culturali, in
quanto membri di una società. Noi siamo il frutto di abitudini realizzate nella subcultura
perché fra subculture ci sono delle relazioni di potere importanti.

Nel 1911 l’antropologo americano Franz Boas ha rivoluzionato l’antropologia, con il libro “La
mente dell’uomo primitivo” elaborando una nuova definizione di cultura: “la totalità delle
reazioni e delle attività intellettuali e fisiche, che caratterizzano il comportamento degli
individui che compongono un ambiente sociale considerati sia collettivamente, sia
singolarmente in relazione al loro ambiente naturale a altri gruppi ai membri dello stesso
gruppo, nonché a quello di ogni individuo rispetto a sé stesso. La cultura comprende anche i
prodotti di quest’attività e soprattutto i suoi elementi non sono indipendenti ma possiedono
una struttura”, critica Taylor sul fatto che nella sua definizione di cultura si esprime in termini
evoluzionisti, Boas afferma invece che non funziona così, perché le cose accadono? Non gli
interessa che una società si sia evoluta ma gli interessa il perché abbia avuto il bisogno di
cambiare. Nonostante le critiche che Boas afferma a Taylor riprende l’idea di totalità visto
che anche per lui la cultura è un insieme complesso di elementi.

Boas aggiunge che da una parte le reazioni e le attività comportamentali, e dall’altra i


prodotti di questa attività – definibili la cultura materiale – altro aspetto è che nella

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definizione di Taylor, quell’individuo inteso come elemento della società appare come
elemento passivo – acquisisce e quindi portatore di cultura, mentre per Boas è qualcuno che
compie attività e ha delle reazioni.

Esempio: nei dibattiti in Tv, pur disinformati, parlando di migranti si sente spesso parlare che
hanno una cultura non compatibile con la nostra, pensiero di chi pensa che la cultura sia
come uno zaino sulle spalle.

La cultura si agisce, non è qualcosa che si porta dietro.

Perché la cultura è importante?


1- L’essere umano si dice sia incompleto cioè rispetto a tutti gli altri animali che sono
sulla terra, l’essere umano ha bisogno di più tempo per acquisire tutti gli strumenti
per stare al mondo. Un cucciolo di cane in qualche giorno cammina, un bambino ci
mette circa 1 anno. Per gli esseri umani occorrono delle specificità culturali, ormai gli
studi di epigenetica è modificabile dalle prerogative culturali

2- L’essere umano ha un funzionamento difettoso, nel senso che i coccodrilli hanno le


squame per non disidratarsi, gli orsi hanno la pelliccia per proteggersi dal freddo, e
così via… al contrario, l’essere umano può vivere in tutte le zone del mondo.

Per cui non è esaustivo affermare che l’antropologia culturale studi l’uomo, conviene invece
dire che l’antropologia culturale si concentra sullo studio delle relazioni, che sono una
peculiarità della disciplina. Altra caratteristica dell’antropologia: una prolungata
frequentazione tra scienziato e oggetto di studio.
Le relazioni sono oggetto di studio dell’antropologia ma anche la sua caratteristica.

L’antropologo guarda polisticamente la società (la società nel suo insieme).

Franz Boas non ha formulato una critica alla definizione di Taylor. Ha proposto una
definizione di cultura abbastanza in linea a quella di Taylor.

Quella di Taylor è del 1971 in pieno Positivismo – l’antropologia diventa sapere accademico
e antropologi sono chiamati “antropologi da tavolino” (archer anthropology) – seduti nell’alta
borghesia. Taylor, un antropologo inglese, con una decisione presa a tavolino prendono
degli oggetti dei viaggiatori (soprattutto missionari). Una delle prime fonti di antropologia
furono i naviganti portoghesi. L’antropologia a tavolino si avvale dei racconti dei viaggiatori,
dei missionari… ecc. in un clima scientifico positivista – le scienze dure – pur avendo un
interesse verso l’altro, l’essere umano non era propriamente completo. Il punto di
osservazione degli antropologi che prendevano le mosse dalla definizione di Taylor,
avevano come punto di osservazione quello dell’etimologo con gli insetti → dall’alto, da fuori
ti guardo, ti osservo.

Il paradigma scientifico era l’Evoluzionismo, Darwin ha scritto un libro proprio


sull’evoluzione, e quindi cambiando il paradigma – gli insetti non sono come li vediamo ma
sono frutto dell’evoluzione.

L’antropologia nel suo complesso ha guardato all’evoluzionismo, ma non a quello di


Spencer, ma a quello di Darwin, cercando di capire se effettivamente la loro idea poteva
essere confermata. La loro idea poteva essere confermata, validata? Gli esseri umani di

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quelle terre lontane fossero nient’altro che i rappresentanti degli esseri umani che erano nel
tempo.

Esempio di paradigma evoluzionistico: Quella tribù dell’est asiatico, vivono così, vestono
così e senza macchine utensili perché loro sono ciò che eravamo noi nella preistoria. Noi
possiamo aiutarli a evolversi.

Paradigma scientifico: insieme di teorie. Nella storia dell’uomo si sia passati da un


paradigma all’altro ma non si ha una visione netta di questo passaggio. Noi ancora
ragioniamo secondo un paradigma evoluzionistico.

Come diceva Goethe – la tolleranza è un insulto, deve essere un tempo breve e lasciare
presto il passo alla conoscenza – la tolleranza è importante ma diventa anche un insulto
perché se io tollero un altro allora vuol dire che mi sento superiore – la tolleranza è sempre
unidirezionale.

Potere = qualcuno ha la possibilità di indirizzare il comportamento di un altro.


Ci sono degli ambiti in cui non si vuole che si entri, quindi ci si mette d’accordo senza
dirselo.
L’orizzonte culturale è fatto soprattutto da confini simbolici e non solo geografici.

Goethe – una delle caratteristiche della tolleranza è la revocabilità – io ti tollero in quanto


sono superiore e quando sono stufo (le circostanze urtano i miei interessi) io revoco la mia
tolleranza.

Esempio: in un palazzo da 5 piani, una famiglia cingalese si trasferisce. I cingalesi cucinano


molto speziato, le altre famiglie si lamentano dell’odore che proviene mentre un’altra famiglia
parla di profumo. A un certo punto si inizia a parlare di “puzzo” e vanno dall’amministrazione
denunciando un fatto “l’aria è irrespirabile” – l’amministratore è costretto a intervenire ma si
trova a confronto con un componente che dice che quello che si sente è un profumo, quindi
l’amministratore non interviene.

Conoscere significa entrare in contatto, entrare in relazione. Gli antropologi non agiscono
come psicologi, non giudicano cosa c’è nell’altro.
“entrare in relazione” = stare all’interno di un gruppo per chiedergli cosa pensa lui/lei/loro del
loro mondo
Anni fa si diceva “il filosofo si occupa di Dio, lo psicologo si occupa dell’io, l’antropologo si
occupa dello zio”.

Taylor parla di evoluzione.


Nei primi del 900, Boas è l’antropologo che rivoluziona la storia dell’antropologia, promotore
del particolarismo storico. In questo si differenzia il pensiero di Boas da quello di Taylor. Il
particolarismo storico si interessa alle ragioni storiche che ci hanno portati a un determinato
modo di pensare e di fare. Il fatto che ci sia una comunità nel centro dell’africa che fa delle
cose uguali a una al centro dell’Asia non significa che siano rappresentanti di un lontano
passato, ma avranno ragioni storico-sociali per le quali agiscono in un certo modo.

Sempre parlando di Goethe, cosa vuol dire conoscere “l’altro da noi”? Cogliere il punto di
vista dell’altro sul suo mondo – questo è uno dei punti di vista principali su cui si svolge la
pubblicità, il marketing – espressione che viene da

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Antropologo polacco naturalizzato inglese Bronislaw Malinoswky, nel 1914 è andato nelle
isole Tobriand sopra l’Australia, rimasto per diversi anni e poi tornato per scrivere
un’etnografia [restituire ciò che si è compiuto durante le ricerche] in due volumi, chiamata
“Gli aeronauti del Pacifico Occidentale” pubblicato nel 1922 – la Bibbia degli antropologi.
Perché Malinoswky ha introdotto un sistema di analisi e conoscenza che è rimasto fino ad
oggi “Osservazione partecipante”.

Piantare la tenda al centro del villaggio – nel 1914 andò in un’isola dell’Introbriand e si fece
costruire un’abitazione al centro del villaggio. Serviva a stare in mezzo e cogliere il punto di
vista del nativo sul proprio mondo e quindi doveva fare delle cose che noi oggi non siamo
più abituati a fare (poiché abbiamo due occhi dobbiamo guardare due volte, poiché abbiamo
due orecchie ad ascoltare due volte, poiché abbiamo 2 narici annusare due volte e poiché
abbiamo una sola bocca, parlare mezza volta).
Malinowsky introduce l’osservatore partecipante – un sistema in cui la scelta distintiva è
stata il viaggio, far parte di qualcosa per un certo periodo, quindi serviva viaggiare.
Si sono abbassati i prezzi verso posti lontani e altri ma anche viceversa. Ora non occorre
viaggiare per trovare il nativo. Occorre però rivoluzionare la metodologia di indagine
antropologica perché è stata fondamentale…

L’elemento di critica culturale è il fulcro in questa fase. Significa fare ricerca di qualcosa di
veramente diverso scoprendo, come dicevano gli antropologi, qualcosa di strano “hanno
usanze strane ma sono coerenti, tutto funziona meravigliosamente”. La critica culturale
consente all’essere umano e alla società di progredire.

La critica culturale è uno dei più grandi approcci dell’antropologia all’umanità, alle società
moderne. Questo pensiero parte dal fatto che la verità non esiste. Ci si deve accontentare di
un’interpretazione. Malinowsky diceva “cogliere il punto di vista del nativo sul suo mondo”
quindi abbiamo poi un’interpretazione di un’interpretazione – quando chiediamo qualcosa a
qualcuno lo induciamo a pensarci.

Come ha detto Levi Strauss (più grande antropologo della storia del 900) “l’antropologia è
andata a rovistare nella spazzatura della storia”, la storia è un insieme di eventi importanti.
La storia e tutte le scienze sono sempre state etnocentriche.

L’antropologia ha 2 punti di appoggio:

1- Relativismo culturale-metodologico – noi non siamo misurare gli altri sul nostro
braccio, cioè non possiamo valutare gli altri attraverso le nostre categorie concettuali
– mi rimane quindi la tolleranza ma a un certo punto al revoco (crociate del 500)
oppure si ascolta una sorta di “Bibbia” il libro del 1990 “Scontro tra civiltà”;
Relativismo culturale-metodologico non etico – esempio: società con ancora il
cannibalismo o infibulazione
2- Anti-etnocentrismo – l’antropologia ne ha fatto la sua bandiera. La storia è sempre
stata etnocentrica
Divisione tautologica – due società A e B – quando ragioniamo pensando che la
nostra società sia diversa dalle altre, pensiamo di fare una divisione equa ma in
realtà noi pensiamo di essere A e gli altri -A. A e B è una classificazione mentre A e -
A è una valutazione.
Esempio: questione razziale. Nell’età di Mussolini, c’era la gazzetta voluta da
quest’ultimo “La difesa della razza” che era uno dei primi organi di propaganda – la

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prima volta che comparve la scritta “relazioni pubbliche” è stato in America dal nipote
di zio Sigmund Freud. Questo giornale sfruttava delle frasi di grandi scrittori per
portare acqua al proprio mulino.

Relativismo culturale vuol dire relativizzare quindi trovare altri modi legittimi, ammesso che
ve ne siano, di fare le cose.

Bisogna notare lo slittamento semantico da razza a cultura. Si parlava di razza superiore


second degli aspetti biologici. La cultura è ridotta a qualcosa che ci si porta dietro (uno
zaino) anziché qualcosa che si agisce, qualcosa di più fluido.

Definizione di etnocentrismo di Graham Sunner – “è il termine tecnico che si designa una


concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa e tutti gli altri
sono classificati e valutati in rapporto a esso” – un atteggiamento valutativo di tipo
pregiudiziale, stabilisce sempre una valutazione qualitativa, non solo quantitativa, tra un noi
e un loro. È una valutazione di umanità (A è diverso da nonA)

[Una parola italiana che non esite all’estero è la parola “extracomunitario”.]

Nella storia i casi di etnocentrismo sono tantissimi – cristianità, l’Islam, la divisione dei sette
anelli, la terra di mezzo cinese.

Sunner ha parlato anche di come l’etnocentrismo si impiega all’interno della società stessa.
Gli eschimesi (letteralmente significa mangiatori di carne cruda) è il nome dato dagli Inuit
dalle popolazioni vicine (inuit = umano)

Rom è una translitterazione del sanscrito “Dom” che significa uomo libero e iboscimanim è
uomo della foresta.

Ognuno si è definito rispetto all’altro da sé come “umano”, tuttavia Sunner ha sottolineato il


“noi-centrismo”. L’essere umano è “noi-centrico” un’estensione dell’egocentrismo. Si
considera sé stessi come umani completi, e qualcun altro come umano ma non completo –
esempio: l’uomo nei confronti della donna in molte società oppure l’adulto nei confronti del
giovane. Da questo punto di vista, un antropologo inglese Edmund Leich, sostiene che il
sentimento di egocentrismo è inestirpabile. Non si tratta di pensare che qualcuno è
etnocentrico e qualcun altro no, non ha senso pensare di viaggiare o studiare per estirpare
questo pensiero perché è inestirpabile. Quello che si può fare è prendere consapevolezza di
questo sistema di difesa dell’io e del noi, è qualcosa che ci permette di vivere nel mondo ma
che portato ai suoi estremi nella relazione con l’altro può portare a conseguenze disastrose.

Due stampelle dell’antropologia


Senza queste due categorie concettuali e conoscitive l’antropologia non avrebbe senso →
l’ampi-etnocentrismo

Etnocentrismo

L’ampi-etnocentrismo – la vocazione anti-etnocentrista si riassume come la


consapevolezza nell’etnocentrismo presente in qualunque essere umano e in
qualunque impresa conoscitiva – tutto ciò che fa l’essere umano e una comunità c’è
l’etnocentrismo.

È un atteggiamento in primo luogo che viene dato per scontato – è ovvio, è naturale.
Quando diciamo “quello che faccio è ovvio”, “Dall’alba dei tempi”, “da che mondo è
mondo” – ci rimanda a qualcosa che è sempre esistito, a un modo di fare corretto in

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ragione del quale esistono altri modi di fare scorretti. In questi atteggiamenti vive,
naviga e ruota l’etnocentrismo.

L’antropologia ha una vocazione anti-etnocentrica – per dare concretezza, l’antropologia è


fortemente relativista – ma quale relativismo? Culturale o anche detto metodologico, non
il relativismo etico.

Cos’è il relativismo etico?

L’antropologia non chiederà mai di “tollerare” atteggiamenti quali il cannibalismo, l’omicidio o


le mutilazioni genitali femminili. Il relativismo etica considera uno sguardo a queste cose.

RELATIVISMO CULTURALE O METODOLOGICO - Ogni pensiero o comportamento di un


gruppo umano va valutato all’interno di quel gruppo umano e messo in confronto della
struttura di quel preciso gruppo umano, valutato secondo le categorie di quel gruppo umano
→ valutare secondo gli schemi concettuali e culturali di quel gruppo. E non valutato secondo
gli schemi concettuali e culturali di chi osserva.

Esempio: i Rom. Conducono una vita molto diversa dalla società italiana, perché? Hanno
abitudini e culture diverse, perché per loro è naturale vivere così – punto focus. Ma non è
così. Secondo le nostre categorie concettuali (dal nostro punto vista), riteniamo che hanno
appunto abitudini diverse, cultura diversa e per loro è naturale così. Non c’è niente di male
nel dire ciò. Se mettiamo questa loro “abitudine” in correlazione con altri aspetti della loro
quotidianità possiamo vedere una storicità nei loro comportamenti – storicità che riguarda la
loro cultura, le loro abitudini e si comincia a vedere un atteggiamento di rivalsa verso i gagé
(come i rom vedono chi non fa parte della loro comunità, noi altri). Visione olistica: mettere
in relazione un aspetto della cultura con un altro, guardare le cose nell’insieme.

Un grande antropologo degli anni 70, Geertz, riprende un concetto – se l’antropologo, un


ricercatore di una popolazione che è andato a studiare l’aspetto ad esempio rituale della
circoncisione, si limita a quello, non potrà far altro che vedere le cose distorte. Deve
prendere l’aspetto della circoncisione emetterlo in relazione con molti aspetti, l’economia, la
religione, la divisione del lavoro ecc.

Come si fa a non usare le proprie categorie concettuali che sono fortemente etnocentriche?

Bisogna mettere quell’aspetto della società in relazione con gli altri aspetti. Allora questo
consentirà di utilizzare le categorie concettuali di quella comunità che si sta prendendo in
esame.

Facendo ciò si può cominciare a notare un sentimento di rivalsa dei Rom nei confronti dei
gagé – risale da fatti storici da quando loro partirono dall’India, nel 1200, poi attraverso
l’Afganistan e dal Medioriente, l’Iran, i Balcani arrivando fino al 1400 e cominciarono le
leggende sui Rom – comincia a vedersi questa rivalità e la necessità di ottenere un
risarcimento dalla comunità gagé. Se invece si affronta quella caratteristica della comunità
Rom con un atteggiamento etnocentrista, consente di svolgere la critica culturale
dell’antropologia.

Critica culturale – ci si interroga sul fatto che la società dell’antropologo sia dato per scontato
“ma si è sempre fatto così” ma non è assolutamente scontato.

MARGARET MEAD
Nel 1930, un’antropologa molto importante che ha rivoluzionato l’antropologia, allieva di
Franz Boas, Margaret Mead, non ha mai fatto segreto della sua bisessualità, è andata nelle
isole Samoa per vedere se l’adolescenza dei ragazzi fosse per forza come in Occidente,
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questo momento di rivoluzione interiore – è così ovunque? Scoprì che nelle isole Samoa
l’adolescenza era il periodo più bello delle persone – i ragazzi facevano la circoncisione, le
ragazze avevano tutta la libertà del mondo, anche e soprattutto sessuale. Scrive un libro,
(“Coming of Age in Samoa”) che non venne accolto in America (società protestante e più
fintamente puritana al mondo). Ebbe una bambina e parlando con un pediatra americano
molto famoso si confrontò con lui sul modo in cui i bambini venivano allevati in America e
invece come venivano cresciuti nelle isole Samoa. Con questo pediatra rivoluzionò
completamente il modo di allevare i bambini. In un periodo in cui il latte in polvere faceva da
padrona così come l’allattamento artificiale, Mead portò il bambino a un allattamento
prolungato al seno della madre con tutto ciò che comporta nella crescita.

La ricerca antropologica occorre, attraverso l’anti etnocentrismo e il relativismo culturale, per


avere un risvolto alla critica culturale. L’antropologia ha ragione di esistere se contribuisce al
benessere della società. Deve essere non solo una disciplina “gentile” perché ha a che fare
con gli esseri umani ma anche “forte”.

Gramsci diceva che il nostro pensiero non è mai autonomo ma formato attraverso le notizie.

Gramsci diceva che gli intellettuali si dividono in due:

- Embedded – strutturati dentro il potere


- Liberi – molto rari.

Avere un pensiero libero è molto raro perché è sempre informato, tramite i social, le notizie,
le persone che frequentiamo.

Il fatto che si parli male dei Rom, si va a speculare sul loro comportamento. Da più di 20
anni abbiamo un flusso di notizie, dalla primavera a settembre, sui migranti, sugli sbarchi dei
profughi. Prima si vedeva da cosa erano occupate le testate dei giornali (la caduta del muro
di Berlino esempio), erano occupate tra maggio e giugno da titoli come “trovata donna di una
casa nell’intento di rapire un bambino”. C’è una ricerca portata avanti a Verona da Leonardo
Pesiere, massimo esperto di zingarismo, andando a vedere negli archivi dei tribunali,
scoprendo che dal 1861 che non esiste una sentenza per rapimento di minore ai danni di
Rom. Ogni estate e primavera veniva detto che i rom rapivano i bambini. Per la società dei
rom c’è un confine molto sottile tra ciò che è puro e impuro e chi lo valica viene allontanato
dalla società perciò i rom non rapiscono i bambini. Ci sono delle ragioni storiche per cui la
società continua a avere sentimenti di rivalsa nei confronti dei Rom ma non sono
giustificabili, almeno non del tutto.

Comunità attorno al 1800 – gli ꞌAreꞌare

Vicenda narrata nel libro di Daniele de Coppé,

nel 1992 si celebrarono i 500 anni della scoperta dell’America – atteggiamento fortemente
etnocentrico [in realtà si è celebrato l’inizio della grande impresa di conquista dell’America.
Nel 1492 una nave spagnola si imbatté su un isolotto e vennero accolti da selvaggi (gli arè
arè) che si presentarono seminudi con un bastone con incastonata una pietra dorata. In
Europa era il periodo del El Dorado (la ricerca dell’oro). Quando videro quei bastoni chiesero
se potessero averli e in cambio gli indigeni chiesero i cappelli – perché le navi degli spagnoli
davano l’idea di magnificenza e di superiorità agli esseri umani, quei cappelli ricordavano i
paramenti dei capi. Cominciò questo scambio che durò un po’. Poi gli arè arè scoprirono che

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nonostante indossassero i cappelli, tuttavia non gli conferivano loro il potere, mentre gli
spagnoli scoprirono che non era oro ma perite].
Ragionavano entrambi con schemi mentali propri (secondo categorie concettuali della
rispettiva società), questo li aveva orientati culturalmente a vedere e confermare delle verità
consolidate nella loro società. Non vedevano la realtà. Perché ciò che noi vediamo non è la
realtà ma la realtà è a seconda delle nostre categorie consolidate.

↑Esempio di come si proiettano sugli altri le proprie categorie interpretative↑ = errore


strutturale BIAS, non è un errore casuale ma è strutturale è proprio la struttura di noi per
come siamo fatti e nell’orizzonte culturale in cui nasciamo che ci riduce a usare delle
categorie interpretative che a loro volta ci conducono in errore.

Le situazioni sconosciute per essere affrontate richiedono di uscire per evitare di compiere
errori strutturali.

Proverbio africano – “l’occhio dello straniero vede solo ciò che già conosce”

Questa storia degli aré aré comincia a introdurci a dei modelli – la cultura non è altro che un
insieme di modelli che servono a orientare la nostra comprensione del mondo – insieme di
simboli e idee che servono a orientare il nostro pensiero e comportamento. Noi abbiamo
difficoltà a capire come siamo fatti e come ci comportiamo, il modo in cui siamo fatti è una
struttura di modelli.

Uno degli aspetti fondamentali della cultura oltre a essere condivisa, è che deve essere
tramandabile.

I modelli di e i modelli per

Modello anglosassone

La cultura va vista come un motore a scoppio che non sempre funziona bene ma serve un
pezzo usato e con questo gli si dà un paio di marmellate e la macchina riprende il via.

Clifford Geertz nel 1973 ha scritto un libro, conosciuto per la svolta ermeneutica
dell’antropologia, “interpretazione di culture” – i modelli di e modelli per – i modelli di sono
schemi concettuali che implicano una data visione del mondo e che chiamano in causa le
modalità di rappresentazione – i modelli per sono concetti operativi che indirizzano e
orientano l’agire dell’individuo e della collettività
Modelli per (fare le cose in un certo modo): A seconda del contesto culturale in cui siamo
inseriti, il modo in cui facciamo le cose li interiorizziamo.

Credenti di religioni semitiche – il cattolico per entrare in chiesa si toglie il cappello, l’ebreo si
mette la kippà, il musulmano compie l’abduzione (si lava i piedi prima di entrare nella
moschea). Usano 3 modelli per differenti.

I modelli di (come sono fatte le cose) che sono anche per – hanno rapporto di dipendenza
tra loro.
Una strategia di marketing, una strategia per spiegare il funzionamento delle emozioni, l’idea
di purezza dei Rom.

Se gli animali hanno il patrimonio genetico per sopravvivere, gli umani hanno il modello di e
il modello per.

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Nel trattato sulle religioni “i modelli di e per hanno sopperito all’estrema vaghezza di
caratteristiche genetiche dell’essere umano”.

Atto del mangiare serve per la nostra sopravvivenza ma ovunque sia nel mondo non esiste
una società dove questo atto non sia impregnato di un forte simbolismo (modelli di e per).
Pierre Mon dieu ha scritto la massima opera sociale del 900 che si intitola “la distinzione”.
Mangiare e alimentarsi ha a che fare col modo in cui si classifica la realtà.

La costruzione culturale del gusto ci fa apprezzare certi cibi.

L’essere umano all’interno delle società non si completa generalmente ma solo nelle varie
culture particolari e nelle sottoculture.
Esempio: Nicole Kiez – nell’antropologia moderna è fondamentale perché è l’antropologa
interpretativa – ipotizza nel suo resoconto nel suo lavoro all’isola di Giava, dice che i
giavanesi dicono “essere umano è essere giavanese” e nella loro lingua “undurung giava” =
non essere ancora giavanese” cioè i bambini, i sempliciotti, i pazzi, perché? Queste
categorie non vogliono introiettare le abitudini che avevano le persone adulte giavanesi. Per
loro sono “tun giava”.

Perciò, dall’esempio si può trarre la conclusione che questa completezza non si forma
genericamente ma si forma in maniera particolare all’interno delle società e all’interno dei
gruppi che fanno parte di una società.

A cosa serve la cultura e i modelli?


Servono a far fronte alla complessità e ad affrontare il mondo.

L’antropologia è lo studio di ciò che appare ovvio. E proprio per questo ci chiediamo:

Cos’è il mondo? L’uomo non fa parte del mondo, ma secondo l’idea occidentale è qualcosa
per cui l’uomo ha il diritto di proprietà. Qualcosa che è in prestito all’uomo ma la cui vera
proprietà è dei discendenti, delle generazioni future. L’uomo a differenza delle piante non c’è
sempre stato.
Il mondo è un sistema complesso e la cultura è il modo in cui gli esseri umani
approcciano e affrontano la complessità del mondo →complessità = intrico di relazioni in
campo sociale e naturale che si relazionano anche tra loro.

Questo intrico di relazioni e connessioni definite dalla complessità, ha una caratteristica


fondamentale, è oggetto di una teoria (teoria della complessità), l’imprevedibilità.

Sono complessi gli alberi, il cielo, il marketing, la società, anche dentro di noi c’è
complessità.
Il cervello è meno conosciuto rispetto al mondo.

Qual è il rapporto tra complessità e cultura?


La cultura è un sistema complesso?
C’è un senso in cui lo è e un altro in cui non lo è. La cultura esprime elementi di complessità
però è soprattutto il modo che usano gli esseri umani per decomplessificare il mondo. Tutte
le culture hanno organizzato dei sistemi che funzionano bene per decomplessificare il
mondo.
Ogni cultura serve a orientarsi nel mondo. La cultura è come Google Maps.

Differenza tra sistema complesso e complicato?


Un sistema complesso è un insieme di relazioni sociali e culturali che si intersecano tra loro
ma che hanno la caratteristica dell’imprevedibilità.

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Sistema complicato – la tecnica, la tecnologia - sistema che ha la prevedibilità come
caratteristica. Da questo punto di vista, la cultura è un sistema complicato che ci permette di
decomplessificare la realtà.
Lo smartphone e il computer sono sistemi complicati.
Il sistema educativo è un sistema complicato per raccontare la realtà.
La lingua che noi utilizziamo è un sistema complicato (ci distingue dagli animali).
Un sistema complicato è fatto per essere controllato.

Il nostro cervello è una cosa sconosciuta – sistema complesso. In questa complessità la


cultura ci viene in soccorso.
La cultura sfronda la complessità e ha funzione di stabilizzatore, le neuroscienze parlano di
stabilizzazione selettiva → quando un essere umano nasce e cresce in un ambiente, le
connessioni neuronali si sviluppano ma solo alcune perché dipende dalla cultura.
Due bambini gemelli omozigoti vengono divisi alla nascita, uno in Italia e uno a Tokyo. Dopo
25 anni, avremo un ragazzo in Italia che parla italiano, e il suo gemello omozigote che vive
in Giappone e parla giapponese. Cos’è successo? Tutti e due sono stati sottoposti a una
stabilizzazione selettiva. Entrambi avevano tutte le possibilità del mondo, ma la
stabilizzazione toglie delle cose man mano che cresciamo.

Cosa consente la stabilizzazione selettiva?

Dà gli strumenti per affrontare la complessità del mondo, questo sfrondamento è la


specializzazione dell’essere umano.
Per quanto funzioni questa opera di sfrondamento e per quanto la cultura tenti di ridurre la
complessità, non riuscirà mai completamente nel suo intento perché riaffiora in
continuazione sia all’esterno che all’interno della società.
La tensione continua dovuta dalla complessità permette alla società di non vivere all’interno
di una gabbia culturale che è illusoria perché si ripresenta in continuazione.

Chi presenta una società che artificiosamente è fatta dai bambini che devono andare al nido,
poi alla materna, poi a scuola poi si cerca un lavoro, oppure scegliere una facoltà che dia
sbocchi lavorativi, ecc ecc… questo modo di pensare esclude degli imprevisti → se si ha
un’automobile ma succede un tamponamento e è colpa mia quello è un imprevisto. Oppure
mi sono sposata e mia figlia mi dice che stasera porta a cena il fidanzato così lo presenta a
mia moglie e si presenta come africano quella è una complessità. Oppure il coming out di un
figlio verso i genitori è una complessità. Allora chi ha l’idea che il mondo debba essere fatto
in un certo modo originariamente, è qualcuno che vive nell’illusione che la complessità del
mondo non si raffacci mai. Non funziona in questa maniera.
Chi presenta il vivere in una società come strutturata in un certo modo come fosse una
catena di montaggio in una fabbrica, presenta una realtà illusoria perché una società è
continuamente in contatto con altre società e il vivere di una società è fatta di prestiti e di
rifiuti sociali, simbolici, culturali di altre società vicine o lontane.

Le caratteristiche della cultura


La cultura ha delle caratteristiche precise:

1- L’operatività – senza i modelli gli esseri umani non sarebbero in grado di accostarsi
al mondo (di sopravvivere) sia in senso pratico che in senso intellettuale e spirituale,

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senza i modelli spirituali gli esseri umani non sarebbero in grado di affrontare la
morte.
Qual è la differenza tra gli esseri umani e gli altri animali?
La coscienza della morte è la differenza fondamentale e la pensiamo secondo i
modelli.
Operatività nel senso che l’essere umano quando ha un bisogno non lo soddisfa
nell’immediato. Esempio: ora sono stanca ma non mi sdraio per terra e faccio un
pisolino. Tra l’essere stanco e rilassarmi a casa c’è la cultura → rispetto al bisogno
che ho, stabilisco il modo per soddisfare il bisogno.
Abbiamo assimilato questi modelli culturali nel tempo (esempio: rivolgersi con forme
di cortesia) e si dice che noi abbiamo appreso e dimenticato = quel particolare
processo che ci rende le cose ovvie e che non mettiamo più in discussione.

2- La selettività – un bambino che nasce ha possibilità illimitate, un animale ha invece


possibilità limitate. Le possibilità illimitate e passano attraverso il metodo di
tramandare di generazione in generazione e nel tramandarle vengono rielaborate,
alcune così come sono altre rimangono così come sono altre scompaiono.
Naturalmente, nella selettività non possiamo selezionare qualsiasi modo di fare e
dire ma sarà sempre in coerenza con il resto.

Fino al 1981 in Italia c’era il delitto d’onore, l’uomo che tradiva la donna era
giustificato la donna invece finiva in carcere. Poi le cose sono cambiate. Quel
comportamento non era più coerente con la società che si affacciava. La condizione
della donna è cambiata all’opposto. Cambiamento che si trova nella prima e seconda
guerra mondiale (fatti storici). Nella Grande Guerra quasi tutti gli uomini (dai 16 ai 45)
sono stati chiamati al fronte a difendere l’Italia e la donna era l’angelo del focolare
stava in casa e al massimo nell’aia e cresceva i figli. Se gli uomini erano al fronte
come faceva la società a evolversi? Le donne si sono rimboccate le maniche e sono
andate a lavorare. Gli uomini hanno consentito che ciò avvenisse. Il sistema fordista
ha visto le donne lavoratrici come forza inferiore agli uomini, come dei ragazzi molto
giovani già impiegati nelle fabbriche e imparando dai ragazzi giovani, per i datori
conveniva. La selettività ci porta alla terza caratteristica della cultura.

3- Assimilazione al rifiuto - assimilazione vincolata all’informatica. Inizialmente il


microchip (anni 80) venne rifiutato perché non si capiva come poterlo inserire ma poi
venne inserito e le modifiche sono sempre state citate. Erano coerenti ai modelli di e
per.
Esempio di rifiuto: Isola Hathaway – le popolazioni limitrofe hanno proposto di
coltivare il riso in quest’isola ma c’è un culto che richiede la sospensione lavorativa di
4 volte l’anno e questa sospensione si adegua perfettamente alla coltivazione di un
altro frutto. Perciò la richiesta della coltivazione del riso è stata rifiutata perché la
coltivazione del riso richiede una continuità durante l’anno e questo non avrebbe
potuto conciliarsi con i loro riti. Non potevano rinunciare ai loro riti perché c’è l’idea
che tutto ciò che c’è di buono (il raccolto) provenga dai sacrifici fatti durante i culti agli
avi. Ciò che non è in coerenza con i modelli per la società non diventa.

Le avventure di Robinson Crusoe e I viaggi di Gulliver (versione intera 400 pagg)


Quello di R. C. è il capostipite del romanzo moderno ed è stato scritto nel 1719 mentre I
viaggi di Gulliver nel 1726. Vedremo come sono un esempio anti-literam delle relazioni

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pubbliche e perché sono due libri scritti a distanza di 6-7 anni hanno forma letteraria
particolare. Uno è esempio di etnocentrismo e l’altro di relativismo.

Entrambi ambientati nella prima metà del 1600, uno inglese (Robinson Crusoe) e uno
irlandese (v.G.). l’Inghilterra era in piena espansione coloniale e stava conquistando il
mondo. Si accingeva a diventare quello che è diventata aa fine 800 – proprietaria del 75%
delle terre emerse del Globo (La compagnia delle Indie). Si era avviata la nuova borghesia –
borghesia mercantile. I giovani volevano imbarcarsi e cercare fortuna, l’avventura di R. C. è
quella di un 19enne con educazione religiosa e famiglia borghese, il padre ha un desiderio
che diventi avvocato ma compiuti 19 anni decide di salpare con una nave, ma naufraga e si
ritrova a sud dell’Africa. Riesce a salvarsi insieme a un marinaio marocchino e poi lo vende
al signore del posto con la promessa che lo libererà dopo 10 anni e riesce a tornare in
Inghilterra. Riparte di nuovo e naufraga una seconda volta. Si trova vicino al Brasile, riesce a
mettere su una piantagione e andare via da lì e naufraga ancora. Arriva su un’isola,
sperduta e si ritrova da solo. Prima che il mare si mangi i resti della nave, prende delle cose
per costruirsi degli attrezzi, tentando di ricostruire il mondo inglese. Comincia a costruire dei
mezzi e un calendario. A un certo punto ha un episodio di febbre e in seguito a una nottata
di incubi riceve la folgorazione. Decide può essere salvato dalla ragione. Si costruisce un
tavolo – la ragione è la madre della matematica e la geometria. Dalla ragione è possibile far
derivare tutte le discipline cognitive. Legge tutti i giorni la bibbia. Vede un’impronta più
grande della sua e trova un selvaggio – Venerdì – ma chi dà il nome sono i genitori. Appare
come un Inghilterra seconda genitrice delle persone che non hanno avuto la stessa fortuna
degli occidentali.
Insegna a Venerdì la lingua e la religione. Gli inglesi con la compagnia delle Indie e
nell’espansione coloniale con le varie popolazioni, si chiedevano se gli indigeni fossero
esseri umani oppure animali. Quando il comportamento etnocentrico arriva alla deriva, da
una categoria culturale, all’idea condivisa si passa all’azione, come nel caso del razzismo.
Robinson Crusoe insegna a Venerdì anche a mangiare (con le posate). Tutto deve essere
fatto con tutto ciò che la mia cultura di appartenenza mi ha insegnato.

Il romanzo omaggiava la nascente classe borghese mercantile del Regno Unito.

Questo racconto scritto in forma epistolare di Daniel Defoe è stato utilizzato come Manifesto
della campagna colonizzatrice dell’Occidente.
La divisione tra il relativismo culturale o metodologico e quello etico è il limite ai principi
fondamentali (come la vita). Non si può essere relativisti in senso etico.

I viaggi di Gulliver
Scritto da Swift nel 1726, ambientato sempre nella nascita della borghesia mercantile.
Gulliver è un signore della borghesia, medico che imbarca e fa il suo primo viaggio per
questioni economiche e imbarcarsi come chirurgo. La nave naufraga e si trova disteso con
piccoli omini lillipuziani, legato perché essendo gigante avevano paura che potesse
distruggerli. Viene portato dall’imperatore ma scappa perché gli viene chiesto di sconfiggere
la popolazione vicina e poi a farli prigionieri ma rifiuta. Torna in Inghilterra e salpa ancora su
un’isola con persone alte 2 metri. Viene utilizzato siccome piccolino, come animale da soma
finché un’aquilano prende e lo alza in volo, lo porta sul mare e lo lascia, passa una nave e si
salva. Gfa un terzo viaggio…
Incontra sempre persone molto diverse da lui con usi e costumi diversi ma la diversità è
rappresentata dalla fattezza fisica – aspetto dell’embodyment – ciò che noi facciamo da
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quando nasciamo, sentimenti, situazioni concrete, tutto è inscritto nel nostro corpo. Il nostro
corpo è il modo attraverso il quale sperimentiamo il mondo. Gulliver utilizza l’aspetto
esteriore per dar conto delle differenze – dice “è proprio vero ciò che dicono i filosofi che
grande e piccolo sono solo due punti di vista diversi. Non sono due misure assolute”.
Leggendo I viaggi di Gulliver si può notare come sia un libro fondamentalmente relativista.
Questi due romanzi sono stati utilizzati dalla società inglese per validare il loro modo di
procedere. Sempre la letteratura ha costituito, in alcune sue manifestazioni o alcuni generi
letterari, un megafono del potere. Il legame tra letteratura e potere è un legame fittissimo
che in senso più vasto è tra sapere e potere. Legame tra potere e sapere è stata
magistralmente indagata da Michelle Foucauld e consiste nel fatto che il potere crea il
sapere. E il sapere creato informa il potere.
M. F. ha studiato la storia della psichiatria – come è nata? Ha detto che dopo il 1200 i signori
al potere erano stufi di vedere prostitute, senzatetto ecc. allora bisognava pulire le strade e
rinchiuderli da qualche parte. Nel 1600 nasceva lo Stato-nazione con il potere centralizzato.
Tutti quelli che erano considerati devianti dal pensiero maggioritario, sono stati rinchiusi –
alcuni erano più mansueti e altri erano aggressivi. I medici hanno cominciato a distribuire e
incasellare a seconda delle similitudini che manifestavano. Questa necessità del potere
(forze che agiscono – attive) a mano a mano che gli osservatori parcellizzavano
comportamenti con manifestazioni simili, anche il sapere medico si parcellizzava e di
conseguenza si specializzava. Così nasce la psichiatria – con la nascita di luoghi per
studiare i pazienti – i manicomi, poi le carceri e poi gli ospizi.
Il sapere nasce da un’esigenza di capire delle cose per poterle governare.
Relazione che non informa solo il potere ma come dei punti di origine che stanno all’interno
di una società o di un gruppo. Il potere scaturisce dalle relazioni. Modo di funzionare che è lo
stesso modo del marketing, all’interno delle relazioni pubbliche.
La nostra società è fortemente medicalizzata.

Due atteggiamenti
- antietnocentrista
- relativista
- assimilazione al rifiuto
Le caratteristiche della cultura sono importanti per dar conto del fatto che non è un monolite
(zaino che portiamo sulle spalle) ma agiamo in continuazione e la cultura è quello strumento
che noi organizziamo all’interno del nostro orizzonte sociale per poter vivere al suo interno e
condividere con le altre persone.
Altra caratteristica che discende è che le culture sono dei sistemi aperti e chiusi allo stesso
tempo
→ non esistono culture totalmente chiuse o totalmente aperte. Aperte nel senso che
storicamente sono società che hanno accolto tante differenze. Per ragioni geografiche
hanno avuto possibilità di incontrare genti che provenivano da altrove, per ragioni storiche,
la città di Chioggia, territorio in cui venivano portati i prigionieri durante l’Impero ottomano.
Esistono perciò società che passano per dei processi selettivi che accettano o rifiutano gli
elementi che provengono dall’esterno, inb quanto sono funzionali o disfunzionali alla
dinamica sociuale come quelli generazionali.
Ludwig Wittgenstein, filosofo del 900, austriaco, ha fatto le elementari insieme ad Adolf
Hitler. Wittgenstein si è chiesto “un recinto con un buco, è come nessun recinto?” – no
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perché un buco predispone l’uscita e l’entrata, inoltre l’assenza di recinto indica anomia
(mancanza di riferimenti).
Wittgenstein alla sua domanda si è risposto – no, non è vero che un recinto con un buco è
come nessun recinto perché è dotato comunque di una sua normativa, ma grazie a quel
buco può declinare le dotazioni e gli incontri con creatività. La cultura è un sistema aperto e
chiuso in questo senso – hanno un recinto ma anche un buco – il recinto dà riferimenti e il
buco consente di declinare o accettare con creatività le dotazioni che provengono
dall’esterno.
Dinamicità – la cultura è dinamica. Si mantiene nel tempo ma non è mai statica, è sempre
sottoposta a dei cambiamenti, interni o esterni. La cultura è sempre un prodotto storico –
frutto dell’incontro tra influenze (cessioni, rifiuti e imposizioni), il colonialismo è stata
un’imposizione.
Le caratteristiche della società sono prodotte storicamente, anche dette positive, non sono
minimamente naturali.
George Balandier, antropologo francese di stampo marxista, idea di scambio continuo
attraverso questo scambio. Lui intendeva che le culture cambiano secondo delle logiche
proprie, in relazione a contatti con altre culture.
Oggi assistiamo a una necessità di difendere la cultura per come l’abbiamo trovata, come
statica. È tentare anche in maniera maldestra di mettere una tenda a quel buco del recinto di
Wittgenstein. Questo accade perché mai si è avuto e assistito un tale sviluppo tecnologico e
a uno spostamento delle popolazioni.
Nel 19esimo secolo, si riteneva che le culture fossero sottoposte a dei processi di tipo
cumulativo e migliorativo, erano visti all’interno di un paradigma evoluzionista e quest’idea
ha un’origine ben precisa.
Subì molte critiche però diede il segno del ragionamento di quel tempo perché
rivoluzionarono il pensiero – Henry Morgan era convinto che i popoli andassero dal
selvaggio, al barbaro al civilizzato. Darwin rafforza quest’idea che le persone possano
evolversi. Metodo di paragone tecnico, l’Europa lo sviluppo tecnologico con altre
popolazioni.

A cosa serve l’antropologia?

Il modo in cui l’antropologia analizza il suo oggetto di studio, non è mai in relazione a
sempre l’oggetto della discussione, ma ha sempre una visione fondamentalmente olistica.
L’antropologo quando cerca di analizzare un oggetto, analizza quella dimensione ma anche
la società e il suo funzionamento. L’antropologo osserva gli esseri umani e come
funzionano all’interno della società. Perché? Il modo in cui le cose funzionano nella
società, danno conto sia del come l’oggetto di studio utilizza le sue tecniche, sia del perché
le utilizza in quel modo. Allora studiare le relazioni pubbliche dal punto di vista antropologico,
non significa fare un’analisi delle tecniche in cui ci sono le relazioni pubbliche, ma significa
guardare come funziona la società per capire in che modo e perché le relazioni pubbliche
utilizzano quelle tecniche.

Significa guardare come funziona la società e in che modo le relazioni pubbliche usano un
modo o un altro. Chi ha inventato le relazioni pubbliche, il nipote di Freud, Edward Barneys,
nel 1922 ha messo una targhetta fuori dal suo studio con scritto “Public Relations” –
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momento in cui sono diventate qualcosa di fatto e finito. Barneys è partito dagli studi
compiuti dallo zio a Vienna – esistevano dei meccanismi umani, della mente,
dell’incontro, che determinavano l’agire umano. I meccanismi delle persone,
assommati, che determinavano l’agire sociale. Capire quei meccanismi rendeva
possibile rendere prevedibile l’agire sociale. Guardiamo in che modo e che tipo di prodotto
emerge nella società dall’utilizzo di quelle tecniche.
L’origine delle relazioni pubbliche sta nelle guerre, come è nata la possibilità per le donne
di fumare in pubblico? Nata da un’idea di Edward – il presidente di una grossa compagnia di
tabacco americana che era in crisi si era rivolto a Edward– se le donne potessero fumare in
pubblico avremmo più target a cui venderle… ma come fare? – la sigaretta è un simbolo
fallico, gli uomini hanno il fallo, hanno il potere →siccome la gran parte delle azioni personali
e sociali avviene attraverso azioni simboliche, la simbologia esprime un significato delle
cose. Precedentemente c’era il simbolismo. Se si concede alle donne questo simbolo fallico,
si concede loro più potere e pensarsi più potenti. Tuttavia non è una concezione di potere
ma di percepirsi più potenti.
Questo psicanalista chiede a Edward il perché non l’ha chiesto a suo zio, lui risponde che
vive a Vienna, Freud è il fondatore della psicoanalisi e fa parte di un’altra società – ogni
meccanismo va adattato a ciascuna realtà su cui agisce e si consuma – non tutte le
società hanno lo stesso pensiero. Nei giorni successivi, a New York, durante una parata,
Edward predispone un gruppo di donne, dando loro l’aspetto delle suffragette e durante la
parata al suo segnale avrebbero dovuto estrarre una sigaretta e accendersela. Parata che fu
ripresa dalle televisioni. Si è creata una forte reazione nelle donne.
Dare un messaggio che giustifichi le azioni compiute da un governo → Barneys esercitò
propaganda.
Esempio: nel 2022 quando si vuole ammantare una dichiarazione di governo ma anche di
un istituto internazionale, cosa si vuole rivestire di verità assoluta? “Esiste una ricerca
scientifica, uno studio che dice…”. Qualche volta questo studio c’è e a volte no. Le ricerche
scientifiche hanno sempre un sacco di nomi ma chi in realtà ha partecipato sono in 3 o 4, ma
vengono inseriti per favoritismi.

>>>Le R.P. (Relazioni Pubbliche) o P.R. (Public Relations) costituiscono una


forma o modalità di comunicazione adottata da imprese, enti, istituzioni per
conseguire e migliorare la loro notorietà, per valorizzare la loro specifica
mission, per integrarsi nel tessuto sociale, per acquisire consenso, stima,
simpatia presso il pubblico in generale o presso target particolari.

Modelli culturali
Hanno una caratteristica ermeneutica (o interpretativa) – non sono un qualcosa di
fisso nella realtà ma sono categorie concettuali attraverso cui noi possiamo
leggere la realtà
Fryberg e Marcus – due psicologi che hanno lavorato in tempi moderni sui modelli
culturali.

IL MODELLO SIMBOLICO
>>>sistema simbolico attraverso cui comprendiamo e organizziamo la realtà sociale.
Esso è costituito da idee e pratiche culturali socialmente costruite e condivise, che si
sono istituzionalizzate nella nostra vita quotidiana.

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Queste idee informano l’individuo su cosa sia giusto e sbagliato – su come dovrebbe
comportarsi. Attraverso una serie diretta di processi cognitivi – percettivi e
emozionali – servono a indirizzare l’esperienza individuale. Definiscono il senso che
ha l’agire sociale. Chi si occupa di R.P. in una piccola azienda, mette insieme una
serie di tecniche, esempio comunicazione verbale. In una grande azienda o alla
NATO o all’ONU, guarda al funzionamento di una società per svolgere
adeguatamente il suo lavoro. Siccome questo agire sociale, condiziona quei
processi basilari che formano l’individuo, i modelli culturali vengono percepiti come
naturali – l’unico modo per vedere le cose.
4 caratteristiche dei modelli culturali:
1. Comprensione dell’esperienza
Guardare l’esperienza. Per capire l’esperienza degli altri noi dobbiamo condividere la
nostra esperienza. Abbiamo condiviso i modelli dell’entourage e aderito a essi senza
volerlo, nel momento in cui quell’esperienza non era condivisa o ritenuta adeguata
dai genitori cercavano di correggerla - =guidare l’esperienza.
Condividiamo dei modelli (ma non vuol dire approvarli).
Esempio→ modello di fare la carbonara. Quando rifiutiamo un modello, “ma quello
non è…” priviamo quel qualcosa di identità. Screditiamo tramite la tecnica
dell’annullamento – la si apprende implicitamente all’interno del proprio nucleo
culturale.
Esempio: modello culturale della lamentela – ipercritica per gli italiani.

Nelle società complesse i modelli culturali sono il risultato delle sottoculture.


La società è il prodotto dei rapporti di forza di queste subculture. Esempio: il modo in
cui è formata la nostra società – il rapporto di forza che c’è tra gli uomini e le donne,
la classe operaia e i colletti bianchi, i pacifisti e i guerrafondai, gli anziani e i giovani,
gli eterosessuali e gli omosessuali: sono subculture.
Rapporti di forza che sono nuclei attivi perché non esistono punti passivi – è una
distorsione analitica continua.
Alla fine del 1800, Emile Durkheim inizio delle teorie delle teorie sulla devianza
Labeling Theory della scuola di Chicago: la devianza non sta in un atto deviante ma
è il risultato di come gli altri interpretano quel comportamento.
Osservava come è fatta la società. Durkheim osservava che non bisogna dire che un
atto urta alla coscienza perché criminale, ma è criminale purché urta la coscienza.
Allora, seguendo Durkheim, noi possiamo dire che un comportamento non lo
biasimiamo perché educato ma è educato perché lo biasimiamo → ciò che è
appropriato e ciò che non lo è viene deciso dalla coscienza comune, è
eminentemente culturale. Come nella disfunzione dimostrata all’inizio (Marcus), un
insieme di idee e pratiche costruite e condivise – uscire da queste pratiche comporta
sempre una condizione (condizione che può essere debole o forte a seconda degli
interessi in gioco.
È l’inizio della teoria sociologica.
Uscire da queste pratiche comporta sempre una collisione – debole o forte a
seconda degli interessi in gioco.

2. I modelli sono interni ed esterni alla mente (garantiscono il funzionamento


sociale)
Prevalenza dei modelli esterni = eccessivo conformismo – se sbagliamo gli altri ci
correggono.

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Prevalenza di modelli interni =costruiamo delle mappe mentali che ci guidano a una
interpretazione di un evento.
Tutti abbiamo dei modelli ovvero un carattere, delle caratteristiche, e questo fa si che
l’equilibrio tra i modelli interni / esterni sia molto diverso
Prevalenza eccessiva di modelli interni = situazione giudicata di devianza o pazzia

Quando le persone prevalgono i modelli esterni si ha una condizione di eccessivo


conformismo a cui si ha acquiescenza sociale. Invece quando prevalgono i modelli
interni, si ha una condizione di indipendenza, di leadership sociale.
Quando i modelli interni prevalgono in maniera eccessiva sui modelli esterni si avrà
una condizione di devianza o, come viene detto oggi, di pazzia.
Esempio: decidere di uscire nuda per il tempo molto afoso, questo non fa di me una
pazza, ma sono le altre persone, la società che mi biasima di essere pazza e che mi
affida questa etichetta. Il comportamento non è mai pazzo in sé, ma il sapere, le
convinzioni sociali ritengono che il comportamento non sia funzionale al
funzionamento della società.
Esempio: reati culturalmente orientati – Canada, Inghilterra, Italia. Il reato
culturalmente orientato può costituire un’attenuante o un aggravante. Gli emigrati
ungheresi a Boston tutti i sabati andavano a rubare la legna presso la ferrovia, le
autorità si sono appostate e hanno visto questi ragazzi. →reato culturalmente
orientato. Se un abitante di Boston lo avesse fatto, sarebbe stato registrato come
reato di furto, ma fatto da degli ungheresi ha una giustificazione storica, quando sono
stati conquistati e assoggettati dalla Prussia era cambaito il sistema economico dei
latifondi, i contadini erano solamente lavoratori della terra e non padroni, ma il sabato
pomeriggio era concesso loro di prendere la legna. Anche essendo in un altro paese,
perché emigrati, continuavano a praticare lo stesso comportamento. Un
comportamento deviante non è deviante per l’azione in sé ma è deviante in quanto
noi società lo biasimiamo. Un comportamento orientato culturalmente per noi può
risultare deviante, ma nella cultura di provenienza di chi lo commette può risultare
non deviante, addirittura incoraggiato dallo Stato e allora questo può costituire
un’attenuante.

3. Teoria della reazione sociale → Labeling Theory della scuola di Chicago


Questa teoria considera che la devianza non sta in un comportamento deviante, ma
è il risultato di come si applica. È l’inizio della teoria sociologica.

4. I modelli culturali sono trasparenti (non siamo consapevoli di possederli)


Vediamo il mondo attraverso questi modelli come se fossero trasparenti ma senza
vederli dentro davvero. Vedere il mondo attraverso questi modelli culturali, ce lo fa
vedere come se fosse naturale.
Esempio: quando nelle aziende si parla di problem solving, che è importante perché
permette di aprire la mente, aprirla dove? All’interno di una precisa cornice culturale.
- concezioni delle relazioni sociali → discussione di come deve essere una famiglia,
della questione di genere
- concezione della donna → il rapporto uomo-donna – si parla sempre di più della
questione legata al genere.
- idea di giustizia → riforma della giustizia a livello governativo – il tribunale di Milano
è molto attivo sia sui reati culturalmente orientati, che su un’istituzione giuridica,
molto avanzata in Canada, è un motore di accelerazione.
- rapporto corpo-mente - rapporto concorrente: il pensiero debole / pensiero forte –
da 25 anni sta discutendo il rapporto corpo-mente, il modo in cui pensiamo e
ragioniamo deriva da Cartesio
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Schema e prototipo
I due massimi studiosi di antropologia cognitiva sono Tyler e Roy D’andrade. Tyler ha detto
“le culture sono organizzazioni cognitive di fenomeni materiali”.
Tutti i popoli hanno una conoscenza, che è più o meno ricca, del mondo naturale e ognuno
di essi percepisce e classifica il mondo in maniera diversa (es. classificano i suoni, i
colori…).
Cosa fa l’etnoscienza?
>>>L’etnoscienza studia il modo in cui le diverse culture organizzano la conoscenza del
mondo naturale.
L’essere umano non è in grado di cogliere tutto ciò che è presene nel suo ambiente.

Cosa determina ciò che percepiamo e cosa determina ciò che noi non percepiamo?
Secondo la teoria della percezione e secondo la teoria della gestance (=ciò che compare
allo sguardo), la percezione è l’incontro tra stimoli esterni e aspettative, cioè i valori e gli
interessi dell’individuo → ciò vuol dire che noi diamo significati diversi a degli input che
provengono dall’esterno, quindi ognuno costruisce le proprie esperienze all’interno del
proprio orizzonte culturale e ciò che noi percepiamo non è di per sé la realtà, ma una sua
rappresentazione precisa.
Esistono di fatto un’etnomedicina, un’etnozoologia… diversi da medicina e zoologia comuni
→ la medicina occidentale è un’etnomedicina. Medicina che nasce all’interno di un certo
orizzonte culturale. Esempio: quando andiamo in un ristorante italiano, stiamo andando in un
ristorante etnico.
Queste conoscenze etniche non sono né causali né frammentarie, ma possiedono una loro
sistematicità, ovvero anche se sono diverse dalla scienza moderna e possono apparire più
imprecise rispetto ad essa. Esempio di d’Andrade – quello prototipo e schema: nel mondo
fenomenico ci sono delle regolarità, tipo il fatto che l’acqua scorra dall’alto verso il basso, ma
la maggior parte delle cose sono irregolari, o per lo meno la nostra mente percepisce una
grande variabilità e questo ci porta a forme stabili di categorizzazione, in maniera da rendere
queste cose instabili un po’ più regolari.

Esempio:
Nei processi di classificazione del mondo, la categorizzazione sembra prodursi sempre in
relazione ad un prototipo ↓
>>>Oggetto-rappresentazione capace di costituire il punto di riferimento attorno al quale
vengono costruite categorie o classi di oggetti (es. disegno albero, in base alla cultura di
appartenenza si disegna un albero piuttosto che un altro, un africano disegnerà un acero,
mentre noi occidentali un melo).
La categorizzazione sembra prodursi sempre in relazione a un prototipo.
Le classificazioni del mondo naturale non sono il semplice riflesso sulla nostra mente di una
realtà esterna che cogliamo in maniera oggettiva ma queste classificazioni rappresentano i
principi di organizzazione che stanno dalla parte del soggetto che classifica, ovvero sono il
modo in cui noi interpretiamo la realtà.
Un esempio sono i Waiwai dell’Amazzonia– tribù di orticoltori
Vivono molti tabù relativi al genere, solo agli uomini è consentito mangiare la carne e solo
loro possono usare le armi nonostante ciò le donne possono mangiare il fegato di alcuni
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animali e la forma di questi fegati ricorda la forma delle foglie delle piante (quelle golpe sono
prototipiche) e in base al loro modo tassonomico, i waiwai includono dei vegetali.

Immanuel Kant – critica della ragion pura


I prototipi sono un modo per provare ad organizzare la percezione del mondo circostante,
ovvero individuano particolari aspetti della realtà, ma non sono ciò che consente di mettere
concettualmente in forma la realtà. Ciò che lo consente è:
Lo schema
Guardando fuori io percepisco la realtà, cioè l’incontro tra ciò che vedo e ciò che mi aspetto
(= ciò che mi appartiene come membro di una determinata società).
Ciò che consente di percepire è il prototipo, cioè l’organizzazione di concetti; ciò che ci
consente di individuare e classificare sono gli schemi.
Il mio prototipo di cane è il mio (un meticcio), lo schema è un quadrupede con la testa e la
coda → lo schema del cane ci consente di pensare al concetto di cane.
La capacità di creare schemi appartiene al genere umano ed è culturalmente orientata.
ES. ‘Scrivere’ e ‘Kaku’ sono una la traduzione dell’altro, cioè sono due schemi, perché
ognuno dei due implica che ci sia un essere umano che guidi un oggetto di forma appuntita
capace di lasciare una traccia su una superficie. Entrambi non implicano a priori che noi
usiamo una penna, una matita, un gesso o un dito, non implicano che la superficie sia un
foglio di carta, la sabbia o una lavagna, e inoltre il prodotto può essere una singola lettera
come la Divina Commedia. Quindi ‘scrivere’ e ‘kaku' è uno schema vuoto, che consente di
avere un quadro entro cui mettere delle idee, di che cosa significhi scrivere, cioè un
prototipo di ciò che è per noi e per i giapponesi l’atto di scrivere; in tutte e due le situazioni
sono presenti una persona che scrive o che kaku, uno strumento per scrivere o per kaku e
un prodotto dell’azione.
Se però si chiede a un giapponese ‘che cosa hai scritto?’ la risposta che lui ci dà può essere
una parola, una frase, uno scarabocchio o un disegno; un italiano non potrà mai rispondere
‘ho scritto una casa’, ma dovrà fare ricorso al verbo ‘disegnare’ o ‘fare’ → noi italiani diciamo
tutte cose che possono essere lette. Su questo punto scrivere e kaku non riescono a
coincidere, perché italiano l’atto di scrivere è connesso strettamente al linguaggio. Questa
differenza risulta chiara quando pensiamo che scrivere e kaku sono schemi vuoti che
possono essere riempiti con prototipi (es. penna-foglio-parole scritte per ‘scrivere’ VS
pennellino-tela-ideogrammi da osservare su un muro per arredare casa).
D’andrade è l’autore di questo esempio, c eh ha anche detto che il prototipo corrisponde ad
un gruppo specifico di aspettative culturalmente determinate. La nostra esperienza è
organizzata dagli schemi, ma rappresentata da prototipi e sotto-prototipi. In sostanza
‘scrivere’ è e non è ‘kaku’: l’analisi di questo processo è un metodo per comprendere in che
cosa consistano le diversità culturali.

Documenti cultura e natura di Engel


Natura-Cultura – l’essere umano è naturale ma è soprattutto un essere culturale
Parte da questo parallelismo perché natura e cultura partono come concetti paralleli, poi si
intersecano e via dicendo… attraverso questi concetti ripercorre la storia dell’antropologia
senza farlo vedere. Lasciando riferimenti di studiosi, diventano una traiettoria per capire di
cosa si sta parlando e come è stato affrontato il concetto di cultura rispetto all’antropologia

21
(vale anche per il concetto di natura). Lascia una vera e propria traccia per risalire al
concetto di cultura nel modo in cui viene affrontato.
Poi c’è un saggio in ambito turistico – parla della presunta autenticità ricercata dai turisti e il
prodotto dell’industria più ricca al mondo
Istruzioni per la lettura dei saggi:
 Tipologia di saggio (teorico/ etnografico) – in genere fare questa distinzione è
generalmente impossibile
 Oggetto del saggio – di che cosa parla il saggio?
 Metodologia impiegata – esempio: focus group – gruppo omogeneo
 Lettura di riferimento
 Quale/i tesi intende dimostrare l’autore o gli autori
 Quali sono i temi utilizzati
Abbiamo visto di cosa si occupa l’antropologo per affrontare… e capire il modo in cui
l’antropologia si approccia alle questioni che riguardano il mondo
Taylor e Boas ha un elemento in comune, richiede il superamento della nozione di cultura →
categoria analitica di pensiero basata sul dualismo cartesiano = opposizioni – bianco e nero,
tutto o niente – base del pensiero comune occidentale. Mentre il pensiero orientale è basato
su una concezione olistica - vocazione dell’antropologia.
La definizione di Taylor è quella di riferimento per gli scienziati sociali – ha rivisto molte
rielaborazioni. Se nasce in un clima positivista e evoluzionista, oggi che siamo lontani da
quel pensiero, la definizione di cultura è presa in maniera diversa. L’aspetto culturale e
aspetto naturale dell’esistenza non siano opposti ma convergenti, 2 elementi che si
intersecano.
Max Webber ha detto che “la cultura è una serie di significati che noi tessiamo per
rimanerne impigliati” – è vero che abbiamo dei modelli di ma non sono universali e non sono
fissi nel tempo. Cambiano a mano a mano che i modelli per si arricchiscono di altri modelli
per – è il funzionamento della cultura.
Etnocentrismo – caratteristica quotata dell’uomo. Sunner ha fatto riferimento anche a un
altro modo di dire etnocentrismo – confronto tra esseri umani della stessa etnia il
“noicentrismo” prolungamento dell’etnocentrismo.
L’antropologia è la disciplina in assoluto più vicina all’etnocentrismo e al relativismo ma
nonostante questo è un attore vagliatore di questo mondo
Relativismo metodologico “non c’è niente di più stupido che pensare a questa cosa in termini
di

Teorie implicite/ esplicite


Premessa implicita – regola di comportamento che è implicita e si accetta come ovvia, cioè
naturale (e quindi non ragionate), tanto più come ovvio tanto quanto è accettata dal gruppo
di appartenenza, in particolare dalla subcultura.
La riconoscibilità di una parola e l’accettazione di un’espressione culturale sono totalmente
diverse. L’importante è che le espressioni culturali siano riconoscibili.
Esempio: gruppo di giovani che condivide più cose rispetto a un anziano e un giovane.
Per il suo carattere di datità non è più oggetto di riflessione – diventa un modo
inconsapevole di strutturare l’esperienza.

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Le premesse implicite strutturano la nostra esperienza inconsapevolmente – hanno un
carattere di datità tanto più che non sono oggetto di riflessione.
Come si individuano le premesse implicite? – domandandosi come ho strutturato il campo in
maniera inconsapevole perché questi criteri di correzione mi siano apparsi scontati e
addirittura logici. Noi ci diciamo “beh è ovvio…” perché ci tranquillizza di fronte alle
imprevedibilità. La maggior parte del nostro agire non è “naturale” ma inconsapevole.
È storicamente costruito all’interno di un preciso orizzonte culturale e sociale.
I bambini non imparano le regole della lingua eppure sanno parlarla. Anche per noi adulti
spesso delle cose che sembrano tra loro ovvie hanno in realtà premesse implicite diverse.
Il ragionamento è soprattutto una questione di emozioni e non cognitivo. Quando ragioniamo
con noi stessi condividiamo in realtà un’emozione sempre con noi stessi.

Processi logico-emozionali
Noi strutturiamo il nostro agire, il quotidiano, in maniera logica. La logica ha poco a che fare
con la consapevolezza e non è fatta tutta di logica. Anche tra i parlanti di una lingua, anche
chi non conosce le regole la parla. La strutturazione dell’esperienza non dipende
esclusivamente dalla logica, cioè da un punto di vista cognitivo. Nella nostra società italiana,
fino agli anni 50-60 a conoscere le regole, poiché c’era una scolarizzazione molto bassa,
c’era un’ampia analfabetizzazione e la maggior parte delle persone non conosceva la
grammatica eppure parlava e ci si capiva. Le premesse implicite servono a organizzare la
nostra vita e per questo motivo non sono facili da individuare – sono la risposta a “come
strutturo i ragionamenti affinché questi mi appaiono come criteri logici e suscettibili di
correzione?”
Tornando al gioco dei 9 punti e 4 linee – segniamo C1 come cambiamento 1 tentativi non
riusciti e C2 i tentativi riusciti – il C2 non opera allo stesso livello del c1 perché? Sono uscito
dalle premesse implicite (anche detta comfort zone nella realtà), uscire dalla premessa
implicita è ciò che determina poi tutti gli altri cambiamenti a seguire. Quando troviamo la
soluzione ai 9 punti, non la troviamo cambiando il percorso, è un cambiamento di premessa
implicita. Per riuscire bisogna cambiare le premesse.
La globalizzazione anziché rendere più facili gli incontri tra persone, ha fortemente
accentuato i problemi tra le persone perché c’è uno scontro sempre più frequente di
premesse implicite.
Le premesse implicite ci servono per stare in società. Non sono mai facili da individuare.
Altro esempio: aziende di marketing – si fanno delle riunioni e il brainstorming che consente
di trovare delle soluzioni, tuttavia non cambia le premesse ma riesce a trovarle sempre
all’interno delle stesse premesse.
C1 – cambiamento entro la cornice percettivo-valutativa – avere punti di vista diversi entro
un più vasto orizzonte di come sono fatte le cose, questo è il brainstorming → nei sistemi più
complessi non riesce a funzionare perché non esce dai limiti. Per poter cambiare questi limiti
(questa cornice) bisogna cambiare la premessa.
C2 – cambiamento delle premesse implicite e delle cornici – le ultime scoperte degli ultimi
100 anni ma anche la scoperta di Copernico. Anche a livello individuale, se dobbiamo
trovare una soluzione e non occorre mettere in discussione le premesse esplicite, va bene
anche il cambiamento 1 (C1).
Ma nelle soluzioni dove si prova ancora e non si riesce a trovare una soluzione adeguata,
allora bisogna mettere in discussione le premesse implicite – e poi forse bisogna passare al
C2.

23
Un sistema complesso ha come caratteristica principale e fondamentale l’imprevedibilità.
Mentre con i sistemi complicati possiamo far fronte all’imprevedibilità perché sono per lo più
prevedibili. Noi non sappiamo quali sono le premesse implicite, solamente quando troviamo
delle soluzioni.
Gestalt → ogni processo conoscitivo non è un semplice vedere, guardare, ma è una
strutturazione di campo = decidiamo cosa viene messo a fuoco e cosa rimane sullo sfondo.
La strutturazione ci dà sicurezza e è quella nella quale noi viviamo e metterla in discussione
è molto difficile – fare questo tipo di azione è naturale. Annientiamo la gestalt quando
portiamo ciò che rimane sullo sfondo in primo piano. La gestalt si difende, emozionalmente
noi siamo fatti in quel modo. Passare da una gestalt all’altra richiede allenamento.
- Dinamiche della conoscenza →impariamo a conoscere all’interno del nostro
orizzonte culturale
- Dinamiche dell’appartenenza →siamo portati a pensare cose “riconoscibili” nella
nostra cultura, sono relative a una caratteristica della cultura che rimanda alla
possibilità condivisa e accettata nella subcultura di pensare alle cose come normale;
un salto di cornice è considerarla come deviante
- Dinamiche dell’identità → l’identità si esprime anche con il modo di pensare (schema
e prototipo)
Strutturazione di campo – definire una serie di possibilità all’interno del quale muoversi. Dà
sicurezza, è quella all’interno della quale noi viviamo.
*La componente emozionale guida la componente cognitiva.
Il pensiero occidentale ha un’origine ben precisa (1600 – Cartesio) si basa sul cogito ergo
sum = (penso quindi esisto) – il dualismo cartesiano – pensiero razionale/irrazionale con la
divisione mente/corpo.
Antonio D’amasio ha scritto un libro divulgativo – l’errore di Cartesio – non è corretto “penso
quindi esisto” ma sento quindi esisto – è errato pensare che le emozioni disturbino il
pensiero ma le emozioni sono fortemente implicate nei processi cognitivi*. Sono fatto di
emozioni quindi esisto, le emozioni influiscono sul nostro ragionamento.
Risolvere a suon di compromessi
- In situazioni semplici può andare bene concentrarsi su ciò che divide e trovare un
compromesso (lasciamo fuori il punto centrale o periferico?)
- In situazioni complesse, in on si trova cui non si trova soluzione bisogna concentrarsi
su ciò che è comune (sbattere la testa contro la cornice)
La soluzione di un problema dipende sempre dalla sua impostazione.
La gestalt indica la dinamica tra parte coscia e la parte inconscia come necessaria e
addirittura indispensabile per il funzionamento della nevrosi e della psicosi.
Gregory Bateson (1904-1980)
- Linguaggio delle emozioni → linguaggio della razionalità
- Ha stabilito un principio di fondo La buona conoscenza è terapeutica
Occorre un cambiamento di paradigma – anziché concentrarci su disturbi della personalità in
termini medici, diceva che bisogna pensare in termini di comportamenti adeguati allo scopo
– sempre nell’esempio del gioco dei nove punti, il comportamento adeguato è uscire dai
punti. Concentrarsi sui processi costruttivi dell’apprendimento.
Filosofo logico → si fa una domanda e si dà una risposta
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Negli anni 70, quando i portoricani migrarono in California, non avevano soldi, lavoro e
documenti. Cominciarono ad accusare dei malori al cuore e visitati dal personale del Medical
Care, risultò che avessero la pressione alta, a rischio infarto. Lo stress cittadino e
l’alimentazione diversa li avevano messi a rischio infarto. I medici hanno somministrato dei
farmaci per controllare la pressione e si sono resi conto del grande problema della assenza
della “compliance” (aderenza alle cure – risposta del paziente in termini di esito ma anche in
termini di ascolto del medico e rispetto delle medicine assunte), hanno riscontrato due cose.
1- Problema di costi sanitari molto alti
2- Scarsi esiti positivi.
Hanno scoperto che i medici e i pazienti per la maggior parte portoricani affermavano la
stessa cosa con significati diversi. In Portorico il cuore è la sede dei sentimenti (quando i
sentimenti vanno male allora il cuore muore). Quando i medici californiani hanno prescritto i
farmaci ai pazienti portoricani, hanno iniziato la cura ma poi senza consultare i medici hanno
smesso perché avevano ristabilito un equilibrio negli affetti. Per loro era sufficiente per stare
bene.
Bisogna fare salti di cornice.
Se si ritiene un’azione sbagliata ciò implica che si debba agire sulla base di una norma che
è giusta. Usare il concetto di comportamento adeguato a raggiungere uno scopo
Cosa vuol dire fare un’azione giusta?
Se giudichiamo un’azione sbagliata vuol dire che ci basiamo su una norma che è giusta. Ciò
che è norma e ciò che è giusto sono due concetti totalmente diversi. Posso fare una cosa
giusta anche se non è normata e posso decidere di istituire una norma anche se non mi
sembra giusta.
Sottolineare il dovere sminuisce la caratteristica principale dell’essere umano: adulto e
autonomo, che si assume la responsabilità delle scelte.
INVECE
Ciò che si sceglie volontariamente diventa il proprio compito, allora si trasforma il senso del
dovere in senso del potere e del volere.
Quando andiamo oltre questo spazio andiamo oltre la gestalt.
I 9 punti sono o non sono un quadrato?
“si, sono un quadrato” = il senso è fuori (l’osservatore ne deve solo prendere atto,
l’osservatore guarda e dice è un quadrato oppure non è un quadrato)
“possono essere visti come un quadrato” (il senso è attribuito dall’osservatore)
Diventare osservatori di mondi possibili
Fare i salti di cornici significa guardare alle cose fenomenologicamente → =abbandonare,
limitare per lo meno, la particella è del verbo essere. Esempio: non “questa è una finestra”
ma “questa potrebbe essere una finestra”.
Noi usiamo il “potrebbe” come difesa nei confronti di qualcosa che ci mette ansia.
Dovremmo invece usarlo come risorsa, a quel punto non abbiamo ansia nel dire “potrebbe
essere” perché non indica una mia insicurezza. Ci si accorge del fatto che nel non sapere
una cosa non abbiamo colpa.
Il non sapere non sta nel ricordare tutti ma nel sapere dove andare a cercare le cose.

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Perché tutti quanti gli abbiamo dato il senso del quadrato? E non di un’altra cosa?
Ciò che noi vediamo non è informato da qualche procedimento logico che sta nella nostra
testa, ma è informato dal fatto che nessuno vive isolato.
Crescere in una specifica cultura ci sottopone allo “sfrondamento” dele possibilità (di
pensiero, di comportamento, della tipologia di espressione, ecc)
Sfrondamento significa che facciamo nostre complesse gerarchie di premesse implicite
perché viviamo in una società – ereditiamo una complessa gerarchia premesse
implicite che si intrecciano tra loro.
Negli ultimi 80-100 anni il mondo ha raggiunto una complessità enorme – siamo nell’era
dell’antropocene → l’era delle ere, in cui tutto è stato messo sottomano dall’uomo. Le
relazioni sono aumentate di complessità. Le fragilità dell’essere umano emergono sempre
più, anche velocemente, è più frequente che si scontrino anziché che si incontrino. Allora
occorre diventare esperti di operare intra le cornici anziché entro.

30/01/23
[I documenti caricati trattano delle relazioni interpersonali e l’uomo come si rapporta
alle situazioni, ma anche al genere (istituzione, qualcosa di deciso, stabilito ma non
perché è così ontologicamente = in natura ma perché si è convenuto di intenderlo
così]
È naturale che questa cosa sia così – ciò che è ovvio o naturale è ciò che fa pensare
che funzionino implicitamente.
Concetto dell’intersezionalità – la possibilità di mostrare e non perdere neanche un
pezzettino della sua formazione come essere umano, gli inglesi la chiamano
ebodyment, trattata soprattutto da Thomas Sordas (concetto spiegato molto bene
nel libro “sister outsider”, signora afroamericana lesbica attivista malata di cancro
ormai deceduta meglio versione inglese)
I primi movimenti femministi americani (donne bianche e donne nere), dei primi del 900, a un
certo punto si arenarono perché c’era nel momento che si schiariva la de-schiavizzazione si
iniziava a parlare del voto ai neri – in questo movimento di femministe si spaccò perchè le
femministe bianche votarono contro perché attribuivano ai neri un atteggiamento violento e
rozzo.
Hanno applicato un ragionamento essenzializzante e hanno deciso che i neri non dovessero
votare.
Si è visto con chiarezza con le ultime elezioni in Italia – con la vittoria del partito della Meloni
– il PD ha risposto “si hanno vinto le lezioni democratiche, ma loro antropologicamente non
sono buoni per governare” →pensiero essenzializzante. È una derivante democratica e
antiumana – perché produce l’incapacità di solo alcuni ceti sociali di andare contro
all’essenzializzazione e per farlo ci vuole potere.
Noi abbiamo introiettato una convinzione – “beh, non c’è un altro modo” – espressa con
ovvio e naturale.
Per mostrare come non cadere in questo tranello natura-cultura che (non devono essere
viste come cose dicotomiche, perché questa divisione, che continua nella nostra società, a
lungo natura e cultura sono stati visti come opposti (=dicotomici) ma invece sono fortemente

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intrecciati, la farcitura della natura è culturale e così viceversa per la cultura. Gli esseri
umani sono eminentemente culturali., ma non esclusivamente.
Tutti i processi sociali, politici, economici si iscrivono sul corpo. Tutto ciò che facciamo ha un
significato e tutto quello che facciamo si intravede sul corpo. Il modo in cui noi esprimiamo il
corpo è eminentemente culturale. Gli studi di etnogenetica ci dimostrano che il DNA si
modifica lievemente per questioni ambientali e sociali. la parte culturale è sicuramente una
parte predominante dell’essere umano che dialoga con la parte naturale dell’essere umano
(il suo corpo, il suo ambiente e resto del mondo).
Per entrare più dentro a questo punto abbiamo indicato gli elementi della cultura, che
sembra qualcosa che è ovunque ma non è da nessuna parte.
Il sapere vuol dire il tipo di narrazione.

GIOCO DELLA DOPPIA VISIONE


Due assicuratori si trovano nella hall di un hotel. Un assicuratore italiano e un assicuratore
inglese. Due persone abituate a fare dei congressi internazionali. “I’m going to a comitee”
l’inglese aggrotta le sopracciglia allunga il collo e fa una gestualità come a non capire, allora
l’italiano scandisce meglio la frase, per l’inglese peggio di prima e aggrotta ancora di più le
sopracciglia, “what?” e l’italiano ripete alzando la voce, l’inglese non capisce, ma l’italiano
allora spazientito dice sbuffando “never mind”.
Cosa è successo in questa conversazione, potremmo dire mancata?
Questo tipo di conversazione avviene più spesso di quanto si immagini.
Sul piano emotivo, l’assicuratore italiano non viene compreso dall’assicuratore inglese,
allora tenta di scandire meglio ma a ogni tentativo aumenta la frustrazione e il disagio
dell’assicuratore italiano. Sul piano fattuale è successo questo:
una mappa bisociativa – servono a leggere il piano fattuale – suggerisce che l’italiano nel
tentativo di essere più chiaro ha agito secondo una premessa implicita, nell’italiano si
sottolineano le vociali, invece la lingua inglese ha delle premesse impliciti differenti – l’enfasi
deve essere posta sulle consonanti. Quindi l’assicuratore italiano, cercando di essere più
chiaro ponendo l’accento sulle vocali, ha finito per essere sempre meno chiaro e peggiorare
le cose.
Introducendo un altro strumento importante, dicendo che nel caso di questo dialogo
mancante, da correggere non erano le vocali ma il sistema di autocorrezione.

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Ma l’italiano non lo ha fatto perché non ne era consapevole
Due matrici cognitive diverse e incompatibili
L’italiano si è fatto prendere dall’ansia di tenere il controllo cercando di riaffermare la propria
competenza. Una prima cosa che ci dice è che quando ci troviamo in una situazione dove
viene a mancare la terra sotto i pieni, anziché puntare i piedi dovremmo librarci nell’aria,
diventare più leggeri.

La seconda cosa è che l’italiano era teso ad individuare le cause del suo disagio,
chiedendosi perché l’altro non si sforzasse di capirlo, dove stesse sbagliano, nonostante
sapesse l’inglese. Con il suo modo di fare ha espresso questi sentimenti, e queste domande
in un primo momento vanno bene ma se poi si riprova in continuazione senza riuscire
bisogna porsi il dubbio di trovarsi in una situazione dove le matrici socio-cognitive sono
dissonanti.
Cercare una colpa può andare bene se si è all’interno di una cornice in cui è richiesto un C1,
è sufficiente cercare dei comportamenti alternativi, come il sottolineare le vocali, ma non era
una situazione da c1 ma da c2.
esempio: amico giapponese con diagnosi sbagliata per le cornici diverse.

Come si fa in questi casi? Si fa come il giudice saggio, hanno ragione tutti e poi “Non è
possibile che abbiano ragione entrambi”
In occidente siamo convinti di questa cosa, invece non è esattamente così.
Nell’esempio dell’italiano e dell’inglese la logica è stata la stessa. L’italiano ha ragione
perché nella sua lingua si evidenziano le vocali, e l’inglese anche perché nella sua si
valorizzano le consonanti, al tempo stesso non ha ragione nessuno perché non si stanno
capendo.
Questo “al tempo stesso” è la differenza tra la saggezza del giudice e l’ingenuità
epistemologica dei due litiganti, cioè l’ingenuità di analisi, di conoscenza, di capire cosa sta
avvenendo, che si è di fronte a due matrici valutative differenti, due diverse cornici.
Il senso comune in qualche modo è la gestalt, e il senso comune ci dice che se noi
assumiamo che tutti abbiano ragione, il meccanismo si inceppa, quindi non è possibile
andare avanti. Questo va bene nelle situazioni semplici, ma in quelle complesse non è vero
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che se tutti hanno ragione il meccanismo si inceppa, anzi si inceppa quando si pensa che
bisogna trovare chi ha ragione e chi ha torto.
Per esempio, la gestione creativa dei conflitti va da una maestra di asilo che cerca di fare
dialogare dei bambini, al mediatore tra USA e Russia. Per esempio quando Johan Galtung
(?), svedese, il primo ad aprire un’università nelle Hawaii sui diritti umani, è stato chiamato
per mediare un conflitto con i Túpac Amaru (sovrano inca) nella quale ha usato la gestione
creativa dei conflitti, che quando è fatta bene, significa risalire dai comportamenti alle cornici.
Questo processo è definito da Gregory Butterson “il deutero apprendimento” = imparare
ad apprendere. Per destreggiarsi tra cornici bisogna imparare ad apprendere.
In questo caso, l’italiano come fa a imparare a apprendere? Deve chiedersi: cosa mi appare
fastidioso, marginale, ridicolo nel parlare inglese? Nel modo di pronunciare le consonanti.
Chi è rigido non riesce a saltare le cornici. Vuol dire usare un’arma di ricerca
dell’antropologia cioè lo spaesamento – usare lo spaesamento come risorsa anziché come
handicap. Se l’antropologo non vivesse spaesato non potrebbe entrare in contatto con altri
modi, con altri pensieri e sistemi. È una metodologia di vita più che di carattere, e come tutti i
metodi, si apprendono.
L’atteggiamento che ci predispone e consente di uscire dalla propria cornice si chiama
exotopia – nella quale la differenza non è un ostacolo ma diventa una risorsa, e una
condizione necessaria. È l’accettazione della diversità dell’altro – accetti l’altro in quanto
diverso da te e lo conosci. Senza conoscenza c’è tolleranza. La tolleranza, ha una
caratteristica principale: la revocabilità. La tolleranza parte dall’idea che se io ti tollero 1-
sono superiore a te e 2- quando mi stufa il fatto di tollerarti ti revoco la tollerabilità. Questo è
il percorso delle guerre. Invece, nell’empatia rimane valido il contesto, per capire il problema
dell’altro ci mettiamo nei suoi panni. Ma all’ultimo finiamo per mettere lui nei nostri panni
senza rendercene conto. Al contrario, nell’exotopia ci rendiamo conto che i suoi panni non
vanno bene perché siamo diversi – ciò agevola la comprensione, aiuta a capire le differenze
di matrici, di cornici.
Quella dell’altro è una prospettiva autonoma, non riducibile alla nostra.
Lo sforzo iniziale è l’empatia che deve diventare exotopia.
Goethe diceva “la tolleranza è un insulto, perché deve essere breve e lasciare il passo alla
conoscenza”.
L’empatia deve lasciare spazio all’exotopia. E per farlo bisogna esporsi.
Quindi che cosa è accettabile?
Noi abbiamo un mito di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato e per questo mettiamo dei
paletti – la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo.
Dobbiamo accettare tutti i comportamenti?
La risposta no è una risposta abbastanza buona, ma non buonissima, non è la risposta che
ci permette di esaurire il problema. Questo tipo di risposta è quella di chi pensa entro la
cornice, adatto ai sistemi semplici, ma che noi non ne abbiamo praticamente più. Che tipo di
equazione c’è nel sistema semplice? Riconoscere = condividere. Ma riconoscere non vuol
dire condividere né tantomeno accettare. In un mondo pluriculturale quello che troviamo
esecrabile ha sempre una storia costruita entro un orizzonte culturale.
Ci serve l’exotopia, avere l’atteggiamento del giudice saggio, riconoscere che tutti hanno
ragione perché il punto di vista è naturato in un preciso orizzonte culturale e non rispetto
all’oggetto del contendere.
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L’atto culturalmente orientato viene preso come attenuante ma allo stesso modo viene usato
dalle corti come aggravante. L’oggetto del contendere è relativo alle ragioni che possono
portare a un’attenuazione della pena o a un’aggravante della stessa.

Camera
Ago
Fine
Studio
Al fresco
Confetti
Bimbo
Date
Cosa hanno in comune?
Parole italiane ma anche inglesi. Esempio linguistico di shock culturale – di come si
possano fare brutte figure.
Lo shock culturale rappresenta il salto di gestalt perché è un cambio di matrice, i falsi amici
linguistici pure. La lingua come espressione della cultura, di quell’orizzonte culturale di vita e
morte.
Sensible = ragionevole
Fanno riferimento a cosmogonie diverse tra loro. Sono orizzonti di pensiero diversi. Da
questo derivano tutte le matrici percettive-valutative.

Gli indiani hopi hanno due modi per indicare gli oggetti che volano:
1- Gli serve a indicare gli animali che volano
2- A indicare gli aerei (tutto ciò che non è animale)
Sarebbe facile pensare ad una povertà cognitiva, ma a loro interessa distinguere, loro
coltivano per vivere, e questo porta a voler distinguere solo animali e oggetti volanti.
Distinguere ciò che può o non può distruggere le loro coltivazioni.
Per gli hinuit, gli eschimesi, hanno diversi modi per parlare della neve, noi invece abbiamo
nevischio o forse qualcosa in più. Quindi loro potrebbero considerare la nostra come povertà
cognitiva, ma in realtà classifichiamo le cose della vita in base a cosa ci serve, non
dobbiamo portare slitte, costruire sulla neve, ecc. e quindi non ci servono tutti questi termini.
Invece agli eschimesi servono tutte queste distinzioni, perciò hanno termini specifici.
Cosa vuol dire aver bisogno di termini diversi per distinguere?
A seconda delle necessità, per poterci capire abbiamo formato una precisa gestalt e non
un’altra.
Per capire una società ci si deve basare sulla coerenza interna.

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