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Antropologia culturale

11 settembre 2023 (I) 1

Per iniziare bisogna definire il concetto, definito per la prima volta da Kenneth Pike, linguista antropologo americano
che ha lavorato negli anni 50, 60, 70 del 900, egli è partito facendo degli studi di linguistica che ha in seguito ampliato:
ha iniziato a studiare il rapporto tra il fonetico (ambito di studio della possibilità di fonazione dell’essere umano: ambito
che studia tutti i suoni che un essere umano può produrre con apparato di fonazione, l’essere umano può emettere una
gamma di suoni, una parte viene messa insieme e costituisce i fonemi di ogni lingua) e il fonemico (ambito della
linguistica che studia i vari gruppi di suoni nelle varie lingue, i fonemi specifici delle varie lingue che vengono utilizzati
per parlare). Partendo da questo Pike ha allargato la sua riflessione, togliendo il FON, comincia a lavorare sull’emico e
l’etico: elimina il FON, (etico // morale), dà un significato diverso a emico ed etico 2

Dobbiamo riflettere su un qualcosa che si chiama posizionamento epistemologico dell’enunciato. Noi parliamo di
molti enunciati, però bisogna fare ordine:

 gli enunciati etici sono enunciati che o presentano livello di oggettività (ferita, dato oggettivo, concreto e
materiale) o di generalità, trasversali rispetto alle culture (“non esiste una società senza una credenza o una
lingua”, frase etica).
 Se voglio invece cercare di formulare enunciati specifici all’interno di un determinato sistema culturale,
nell’orizzonte di quest’ultimo, allora quegli enunciati sono emici (stigmate), come i fonemi: i fonemi
dell’olandese sono solo dell’olandese.

Non ha importanza per Pike quindi la credenza o meno a un dato fenomeno, bisogna chiedersi da che punto di vista
viene vista una cosa: se dico che Natuzza Evolo ha le stigmate mi metto in un sistema religioso, di credenze, gli
enunciati emici si riferiscono a costellazioni simboliche del gruppo dei parlanti, della comunità. Come la differenza
della cosa in sé e della percezione della cosa, la percezione della cosa ha a che fare con enunciati emici, non importa la
veridicità o meno della cosa in sé ma la ripercussione che ha sugli altri. È una cosa tipica che ha a che fare con un
sistema di credenza specifico oppure attraversa le culture e ha valore trasversale, “universale”? Bisogna capire da quale
pov pronunciamo enunciati, se stiamo lavorando dal pov emico (interno a un sistema simbolico che è sociale/politico
ecc) oppure enunciati etici che hanno un carattere trasversale e che da un certo pov sono oggettivi.

Nell’antropologia i concetti estremamente importanti sono i concetti-ghianda:

1. possono essere anche semplici ma hanno una loro forza, come una quercia
2. durano nel tempo
3. sono molto ramificati: stanno alla base delle altre ramificazioni, hanno prodotto altri concetti

Il primo concetto - ghianda: IL CONCETTO DI CULTURA

Primo sia perché è il più importante di tutti sia perché è il primo cronologicamente, primo a essere stato formulato con
le caratteristiche sopra scritte.

Antropologia deriva da anthropos, logos, uomo, umanità genere umano, studio, ragionamento. L’antropologia è dunque
uno studio del genere umano, una serie di studi sul genere umano. Anche la psicologia è studio del genere umani dal
pov del funzionamento della mente, della psiche. La demografia, la sociologia…

Se anche antropologia è uno studio sul genere umano, da quale pov specifico l’antropologia studia il genere umano? La
risposa è nell’aggettivo culturale: antropologia è un discorso, studio, analisi sul genere umano dal punto di vita della
cultura.

2
Esempio = Natuzza Evolo  mistica cristiana che per alcuni periodi della sua vita soffriva di dolori molto forti alle mani che si
fasciava. Se noi affermiamo un enunciato come “Natuzza Evolo togliendosi le fasce ha delle profonde ferite, molto sanguinose,
causate da un oggetto appuntito”, stiamo affermando qualcosa di diverso rispetto all’enunciato “Natuzza Evolo, togliendosi le fasce
dalle mani, ha le stigmate”: dire che ha le stigmate non vuol dire soltanto che ha ferita da punta ma anche che ha i segni della
passione di cristo, dei chiodi della croce di cristo. Se diciamo che ha le stigmate non diciamo che ha dei segni SIMILI a quelli di
Cristo ma che ha ESATTAMENTE i segni di Cristo. Due enunciati differenti. Dire che ha le STIGMATE vuol dire fare un enunciato
EMICO, mentre affermare che ha delle ferite dovute da un oggetto appuntito ecc è un enunciato ETICO.
Edward Burnett Tylor (tailor) ha formulato il concetto antropologico di cultura, lo studio del genere umano dal pov
della cultura. Ma cosa si intende esattamente con il termine cultura?

Tylor è nato da famiglia borghese inglese (Londra, 2 ottobre 1832 – Wellington 2 gennaio 1917), da giovane non superò
l’esame di religione per entrare a Oxford, veniva da famiglia quacchera (visione estremamente autoritaria del dio
cristiano, la parola doveva far tremare). Nel 1896 entra all’università, dopo aver sostenuto nuovamente il test, e diventa
professore ordinario. Nel 1896 è il primo a tenere una cattedra di antropologia culturale a Oxford. Tylor è il primo
antropologo dal pov cronologico, da lui si costruisce l’antropologia culturale: dà un significato diverso, per primo, alla
parola cultura. Prima di lui la parola cultura era già stata usata con un altro senso, concetto classico/comune di cultura,
diverso dal senso antropologico (come poi analizzerà e utilizza Tylor) ma in un altro senso: Cicerone diceva “la filosofia
è la cultura dell’animo”, prima della riflessione antropologica la parola cultura viene usata nel senso di COLTURA
(intesa come una metafora agricola: se studi filo, greco, latino, la retorica ti costruisci, raffini, coltivi il tuo animo e
acquisisci cultura). Questa concezione classica di cultura

1. considera la cultura come patrimonio di una singola persona, è un singolo che coltiva il proprio animo, è
individuale
2. è una concezione che introduce una differenza, differenza tra colti e incolti, chi ha avuto la possibilità di
coltivare la cultura e chi no. Concezione che aveva, soprattutto all’epoca di Tylor, un carattere elitaristico, i
colti, alta borghesia che aveva i mezzi economici, le possibilità, riusciva in quest’opera di dirozzamento,
diventava in qualche modo più superiore rispetto a persone comuni.
3. Intesa come coltura

Tylor analizza questo concetto in maniera totalmente diversa: formula la definizione della parola nel 1871 nel suo testo
“primitive culture”:

“La cultura o civiltà nel più ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto
membro di una società”

Questa è una definizione che ha prodotto grandissime critiche, è stato violentemente attaccato, rispetto al clima
culturale dell’epoca contiene almeno tre grandi rivoluzioni:

I. “la cultura o civiltà, nel più ampio senso etnografico”

dignifica che la cultura non solo non è una caratteristica riferibile a singoli individui, ma è presente in ogni essere
umano, in ogni luogo nel tempo e in ogni angolo del mondo. Il primo ampliamento rispetto alla concezione classica è
questo = amplia a tutti gli esseri umani il concetto di cultura, ogni essere umano ha cultura in qualunque luogo nel
tempo e in qualunque ambito geografico. Per lui ogni essere umano, è dotato di cultura anche a prescindere dalla
scrittura, ulteriore cosa che ha provocato a lui grandi critiche, quindi anche le società ad oralità primaria hanno cultura.

II. “è quell’insieme complesso che include la conoscenza, la credenza, l’arte, la morale, il diritto,
il costume”

Seconda rivoluzione, secondo ampliamento (il primo è temporale e geografico), questo è contenutistico: nel suo
concetto di cultura troviamo tantissimi elementi, al punto che non riesce ad elencarli tutti, tutti questi elementi, dal suo
pov, sono culturali, hanno a che fare con il concetto di cultura che sta definendo. IL COSTUME, afferisce alla
CORPOREITÀ: per la prima volta Tylor immette nel grande campo della cultura, in senso antropologico, la parola
costume (molto criticato), lui intendeva: come uno cammina, dorme, stringe la mano; tutto ciò all’epoca veniva visto
come cose banali. La cultura nel senso classico dei pensatori contemporanei a Tylor serviva per elevarsi dai propri
costumi, per dirozzarsi. Tutti gli elementi sopra citati sono un sistema complesso, la cultura è piu ampia sul pov dei
contenuti perché contiene tutti questi tratti che non sono buttati li a caso ma sono collegati tra loro in un certo modo, lo
esprime con il termine “complesso”, sono un “sistema” di elementi: una serie di affermazioni organizzate e collegate, se
ne tolgo una le altre cambiano, una serie di idee e dogmi, enunciati che sono interconnessi tra loro 3. Intende che questi
tratti sono coordinati tra loro in modo specifico.

III. “qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”

La terza grande rivoluzione concettuale è qui perché elimina idea che la cultura dal pov antropologico sia il prodotto di
uno sforzo individuale, Tylor postula questo elemento dicendo che la cultura viene acquisita dagli esseri umani per il

3
non si può credere al cristianesimo ma non nell’immacolata concezione di Maria
solo fatto di nascere in un contesto sociale, quello che chiamiamo SOCIALIZZAZIONE, socializzare vuol dire avere un
nucleo di relazioni sin da quando si è piccolissimi che gradualmente ci formano come individuo, la cultura viene
acquisita con interazioni. Tylor qui ipotizza la presenza di DISPOSITIVI DI SOCIALIZZAZIONE (espressione che
lui non utilizza), all’epoca di Tylor non se ne parlava, li ipotizza, non li studia, sono una serie di modalità, di forme,
attraverso cui l’interazione sociale trasferisce la cultura. Questo vuol, dire che la cultura non si trasmette per
biologia e quindi c’è sconfessione profonda all’idea delle razze perché nei sistemi ideologici di tipo razzista determinati
tratti simbolici vengono trasferiti per un dato genetico. Dice che la cultura è sganciata dalla genetica.

12 settembre 2023 (II)

Con la concezione di cultura di Tylor si iniziano a porre tutta una serie di problemi, che rappresentano la ramificazioni
del concetto – ghianda: quattro problemi antropologici del concetto di cultura 4. Per definire ciascuno di questi
grandi problemi usiamo quattro parole, semplificazione

1. Differenza: problema che deriva dalla prima frase di Tylor, cioè che la cultura sia in ogni individuo in ogni
angolo del mondo e del tempo, questo genera la “questione del caleidoscopio”. Se affermo che ogni individuo
è dotato di cultura allora affermi che ci sono moltissime culture, il punto è, le culture umane sono tantissime o
infinite? Come lavoriamo su questo problema? Perché non c’è UN SOLO modo di fare le cose/di credere? Da
dove deriva questa molteplicità nelle varie società e culture? Francis Affergan, antropologo francese, afferma
che, posto il fatto che esista questo caleidoscopio/molteplicità culturale, dobbiamo usare la parola alterità5 o
differenza? Lui dice che usando la parola alterità è come se partissimo dal presupposto che ogni cultura è come
una monade, singola e a sé stante, isolata ma se pensiamo a molteplicità culturale in termini di differenza e non
di alterità affermiamo che le culture non sono infinite, che esse si iscrivono in una logica comune profonda,
non siamo di fronte a forme che nascono a caso ma a forme anche diverse ma che ipotizzo debbano poggiare
su una logica comune perché siamo tuti essere umani. Tenta di provare a costruire un ragionamento partendo
dal fatto che la molteplicità ci pone di fronte a un modo di vedere la realtà vedendo la differenza ma vedendone
anche gli elementi comuni.
Vediamo quindi che le culture umane sono incommensurabili ma non incomunicabili e incomprensibili,
facendo cioè riferimento a questa logica comune, piattaforma comune, in cui troviamo radici che ci
assomigliano, dovremmo essere in grado di interpretare i vari mondi con termini diversi. Bisogna partire dal
presupposto che ci sono degli elementi in tutte le culture, anche molto diverse da noi, che ci appartengono,
elementi comuni.
Se vedo però qualcosa di culturalmente diverso da me ho la percezione del fatto che è diverso da me: questo
avviene perché noi abbiamo i dispositivi simbolici di interpretazione della differenza: gli antropologi hanno
riscontrato che, non solo la cultura occidentale si pone il problema della diversità delle culture, ma che tutte le
culture dell’uomo hanno il problema di questa diversità, i dispositivi simbolici di interpretazione della
differenza hanno a che fare con uno schema, ogni società/cultura ha elaborato uno schema concettuale:

A B C
Un sé, un NOI, ogni comunità ha Chi sono gli ALTRI da noi, chi Unisce il noi e il non noi,
generato un noi, un senso sono coloro che noi riteniamo un’umanità come genere.
generale di sé essere diversi da noi, questo nasce
dal fatto che abbiamo un noi

I dispositivi simbolici di interpretazione della differenza sono costellazioni simboliche che mettono in
relazione questi tre poli tra loro continuamente. Questo schema di interpretazione della differenza si chiama
antropologia implicita: si tratta di una denominazione data dagli antropologi al fatto che ogni cultura in ogni
contesto in ogni angolo di mondo si è chiesta e si chiede cos’è l’uomo, perché bisogna morire, che significa
vivere? Non si tratta di domande generate solo dalla riflessione filosofica occidentale, tutte le culture, in
maniera differente, hanno cercato di generare una antropologia.
4
Intendiamo il concetto di problema in maniera amplia, non viene risolto in maniera definitiva, lo intendiamo come una questione
che si apre, suscita dibattiti, molti si interrogano su questi problemi e offrono soluzioni che generano altri dibattiti, questioni che
anche oggi occupano il dibattito degli archeologici. Aree generali di discussione che nascono dalla definizione di cultura di Tylor.
5
alterità s. f. [dal lat. tardo alterĭtas -atis, der. di alter «altro»]. – Nel linguaggio filos., il carattere di ciò che è o si presenta come
«altro», cioè come diverso, come non identico; anche in espressioni della sociologia: a. culturale, diversità di tradizioni rispetto a
quelle dominanti o autoctone.
Ogni cultura si muove su una logica comune (le domande, le credenze che si generano ecc), le culture sono
comunicabili nella loro differenza, cerchiamo somiglianze ma non possiamo farlo a priori ma su dati scientifici

2. Sistema: dalla definizione di Tylor, che ha allargato contenutisticamente la definizione di cultura, bisogna
capire come questi tratti sono legati tra loro, sono un sistema, un “insieme complesso”: lingua, credenze,
politica, economia, parentela sono comuni a tutte le società dell’uomo, sono dunque trasversali.
Bisogna partire dal presupposto che questi tratti sono collegati in una logica di covariazione, sono ingranati
(nel senso che se cambia la politica si mette in atto un sistema di cambiamento che tocca anche l’economia, il
cambiamento di un termine determina anche il cambiamento degli altri) 6, c’è un modo in cui tutte queste
credenze stanno insieme e non sappiamo a priori come questi tratti siano collegati, dobbiamo cioè studiare le
culture come insieme di tratti che sono tra loro collegati in modo complesso, partendo da questo presupposto
significa utilizzare un approccio olistico: l’antropologia adotta un approccio olistico: quando studi una cultura
non puoi studiare solo un tratto che la caratteristica, come per es. l’economia, devi studiarla in tutte le sue
componenti, anche quelle più intrinseche e complesse

3. Mutamento: gli antropologi, poco dopo Tylor, già dai primi anni del 900 hanno dovuto accettare il fatto che
tutto cambia, questa questione pone l’attenzione sul fatto che le culture non sono prodotti ma processi, sono un
continuo scorrere, non le si può fermare o concepire come statiche, sono dinamiche. G. Balandier è stato uno
dei primi a porre l’attenzione sulla dimensione processuale delle culture e ha identificato una dinamica: ogni
cultura ha una dinamica che si presenta in due forme diverse:
I. dynamique du dedans = interna, qualcosa che cade in disuso
II. dynamique du dehors = mutamento esterno, prodotto da qualcosa che viene da fuori, da altre
culture, incontri e scontri con culture diverse. Quando culture si scontrano e incontrano, cambiano. È
una dinamica culturale che ha a che fare con forme di contatto tra culture: es. colonizzazione, non c’è
totale simmetria tra incontri tra culture, c’è sempre una cultura dominante e una subalterna, c’è
sempre una dimensione di potere, elementi che passano da una cultura che si impone su un’altra.
In questo senso diciamo che accanto all’approccio olistico viene usato anche un approccio dinamista: quando
studi una forma d’arte nativa non puoi studiarla solo con ottica sincronica (qui e ora), ma anche adottando
un’ottica diacronica (renderti conto che quel costume è come lo vedi solo perché tu lo fermi e blocchi per
esemplificarlo, devi avere la consapevolezza della sua mutabilità, renderti conto che è un processo, adottando
quindi un approccio storico). Analizziamo i fenomeni anche dal pov storico

4. Punto di vista: problema più complesso e profondo e aperto: noi abbiamo un osservatore (antropologo), colui
che si pone di fronte a un fenomeno culturale che cerca di studiare (osservatore  osservati, diversità
culturale), la modalità con cui gli antropologi fanno ricerca prevede un osservatore che si mette di fronte e
inizia a studiare gli osservati, esistono però delle categorie conoscitive (lingua, pregiudizi, emozioni, teorie, pre
cognizioni) con cui io mi accosto agli osservati, questi elementi sono me, sono categorie che non posso
sganciare da me, non mi posso dis-individuare, è un packing, filtro perennemente presente con cui vedo il
mondo, soggettività storico culturale dell’osservatore ed è esso stesso un prodotto culturale, la soggettività
storico culturale dell’osservatore è anche essa un mutamento, in che misura influenza le mie affermazioni?
Non si può adottare un atteggiamento semplicistico e naturalistico, c’è questa parte di me ingombrante, si sono
in questo senso sviluppate due scuole di pensiero:
I. Azzeramento della soggettività= studiosi in particolarmente inglesi, in genere negli anni tra 20 e 40
del 900 hanno pensato che esiste la soggettività ma io, come antropologo, ho la capacità di azzerare
quasi la mia soggettività, erano convinti che con un determinato allenamento, prima di iniziare a
studiare quel dato costume, tu avevi la possibilità di ridurre al minimo l’impatto della tua soggettività
II. Rinuncia all’antropologia= studiosi che si sono convinti che il peso e l’influenza della soggettività
fosse talmente forte e invadente da non esserci altra possibilità se non rinunciare a fare antropologia.
Questi studiosi hanno detto che antropologia culturale non ha valore scientifico, ciascuno non può
conoscere nient’altro che se stesso perché ciò che tu dici degli altri è filtrato dalle tue categorie, pensi
di star parlando di un’altra civiltà ma queste cose sono talmente filtrate dal tuo pov che in realtà parli
di te

Si è creato un bivio, dicotomia, nel corso dei decenni è emerso lo studio di un antropologo, Clifford Geertz,
che rivoluziona la disciplina all’inizio degli anni 70, imprime una svolta radicale, propone una prospettiva che
lo fa uscire dal bivio: io non posso azzerarmi ma ciò non significa che debba rinunciare a fare antropologia in
6
mutando un tratto della cultura si mettono in atto tutto un insieme di cambiamenti, su altri tratti che non c’entrano con la cultura
senso scientifico, ha delineato quindi una terza prospettiva tra queste due, prospettiva fondamentale:
l’antropologia interpretativa.

Il pov contiene un altro problema: cioè se tu sei osservatore degli osservati, questa diversità culturale che stai
studiando emerge anche in un’altra dinamica, cioè che anche gli osservati, come te, ti osservano  le persone
non si fanno studiare in modo passivo, si domandano, hanno timidezza, vieni percepito a un livello
asimmetrico rispetto a loro, mentre tu fai antropologia su qualcuno, quel qualcuno fa antropologia su di te,
applicano l’antropologia implicita su di te. Dice John Stocking che gli antropologi sono “observers observed”,
osservatori osservati. Anche il fatto che le persone che studiamo ci studiano influenza il nostro studio. Il
problema del pov è anche il problema del pov degli altri sull’antropologo e l’antropologia.

13 settembre 2023 (III)

La figura dell’antropologo: Ciclo di sviluppo della conoscenza antropologica.


Con ciclo di sviluppo della conoscenza antropologica si intende attraverso quali tappe una persona costruisce il proprio
studio antropologico, le tappe sono le seguenti:

1. La formazione: è il primo momento in cui la persona che comincia a intraprendere gli studi di antropologia
comincia a studiare, si forma tramite corsi di laurea/dottorati di ricerca. In questa fase si costruisce una
“cassetta degli attrezzi”: si comincia a studiare l’economia, la politica, la lingua del posto che interessa studiare
(approccio olistico), mi costruisco un ordine del pensiero, mi formo e studio.
2. Il campo: consiste nel fatto che a un certo punto, dopo la formazione, arriva un momento in cui si va sul
campo, tu singolo, e cominci a vivere nel luogo del tuo interesse. L’antropologia è una disciplina che
costitutivamente prevede che l’antropologo si immerga direttamente nel fenomeno sociale che sta studiando. È
una disciplina che pretende di costruire conoscenza sulla base dell’ esperienza, non è sufficiente la sola
conoscenza bibliografica; gli antropologi hanno sempre di più affermato questa idea: qualsiasi articolazione di
pensiero e affermazione di tipo teorico deve essere confutata con l’esperienza, il campo è il contesto concreto
dove si manifesta il fenomeno sociale, artistico e religioso (ecc) che vogliamo studiare.
Il primo autore che in maniera forte ha affermato questa cosa, rivoluzionario e innovativo, è Bronislaw
Malinowski, antropologo importante polacco che per la prima volta fa questa fase di campo: per la prima volta
dopo aver passato molto tempo alla London School of Economics, è andato alle isole Trobriand, quando è
tornato, nel 1922, ha pubblicato un libro “Argonauti del pacifico occidentale”, lui inventa espressioni come
“andare sul campo”, “osservazione partecipante”7, ha inventato anche l’espressione “tenda e lingua” (devi
cercare di parlare con loro e vivere con loro), si tratta di un incontro etnografico: il fare campo e
l’osservazione partecipante si possono tradurre con espressione “fare etnografia” cioè la ricerca sul campo che
non è tutta la ricerca che fa l’antropologo su quel fenomeno sociale (tutta la ricerca può essere fatta anche di
studio bibliografico), ma la parte di ricerca sul campo prevede la presenza fisica, etnografia ( fare ricerca
etnografica = fare ricerca sul campo, fare esperienza concreta). L’antropologia si fonda sull’etnografia, sul
campo l’antropologo fa tante cose, applica diverse tecniche (sul libro), una delle prime cose è la scrittura,
“impara” a scrivere: scrittura di primo tipo/di tipo A diario di campo, scrittura veloce, asciutta, diretta,
legata a una cronologia, genera testualità della propria esperienza.
Andare sul campo vuol dire passare da un fenomeno studiato nei libri allo stesso fenomeno ma nella realtà , è
un passaggio difficile, spesso la realtà è diversa, ti stupisce, spesso si prova uno shock culturale, in genere dato
dal fatto che tu studi cose che ti danno degli interrogativi, siccome studi cose anche lontane da te, sono cose
che ti provocano e ti possono disorientare, si vive un displacement, spaesamento fisico e culturale.

7
io devo osservare, “essere distaccato”, come un osservatore di scienza positivistica ma devo essere anche partecipante, quindi essere
coinvolto; si tratta di un grosso problema, è ciò che fa saltare questa idea nel senso di scienza positivistica perché non ci sono
OGGETTI di studio ma SOGGETTI di studio, si lavora con gli esseri umani, all’epoca si pretendeva una cosa diversa e lui lo altera.
Questo spaesamento, che è caratteristica fondamentale della ricerca sul campo, ha un effetto: cioè smonta
l’ordine di pensiero che ti eri costruito nella fase di formazione8
 Non c’è antropologia senza campo e il campo genera sempre spaesamento nei confronti della fase di
formazione.
Ci sono situazioni in cui il displacement non si supera, ma nella maggior parte dei casi il superamento avviene
e allora sei riposizionato = vedi le cose in maniera diversa, raggiungi un equilibrio su basi diverse rispetto a
quelle con cui sei partito. La fase di campo deve durare in generale non meno di tre mesi, tempo minimo; il
tempo massimo non lo si può dare in senso fiscale9-10. Ci dev’essere un momento in cui l’etnografia finisce.
3. L’accademia: l’antropologo torna a casa e comincia a organizzare il materiale preso sul campo. Meyer Fortes
definisce questa frase con l’espressione “combattevo con il mio materiale”: è difficile mettere insieme tutti
questi materiali. Lo scopo è preparare la “monografia etnografica”11: è un libro molto lungo nel quale si tratta,
in quanto antropologi, del fenomeno sociale che si è studiato. La monografia etnografica mette l’antropologo in
contatto con la scrittura di tipo B, è una scrittura accademica, viene in genere valutata e, se si supera l’esame, si
diventa antropologo.
Tutti i testi che poi l’antropologo scrive devono rispondere ai criteri accademici, è difficile fare passare
un’esperienza nella scrittura accademica. In genere quando le monografie etnografiche vengono convalidate
dal dibattito scientifico diventano tesi su cui studiano i giovani.12
4. La circolazione: gli antropologi hanno detto che oltre agli scritti accademici le cose che uno studia possano
avere anche una circolazione ultra accademica e quindi avere una ricaduta anche sul contesto che viene
studiato. È una fase che prevede un terzo tipo di scrittura, scrittura di tipo C/del terzo tipo, devi cercare di
tradurre le cose che hai studiato per renderle circolabili il più possibile, questo modo di fare antropologia si
chiama ANTROPOLOGIA APPLICATA, è un’antropologia diversa rispetto a quella pura (che si ferma al
punto 3), ma è comunque antropologia, si cerca di rendere l’antropologia anche un modo di fare.
Spesso l’antropologo applicato fa VIS, valutazione di impatto sociale: impatto sociale rispetto a quell’elemento
che si vuole realizzare e la VIA, valutazione di impatto ambientale

19 settembre 2023 (IV)

Il secondo concetto-ghianda: L’INCOMPLETEZZA BIOLOGICA DELL’ESSERE UMANO


Si tratta di un concetto strettamente collegato al primo: dall’ultima frase del concetto di cultura di Tylor partono delle
ramificazioni fondamentali che porteranno, dopo tanti decenni, alla formulazione del secondo concetto-ghianda, “ il
costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”, uomo assume
cultura in quanto nasce e cresce in una società, ipotizza implicitamente la presenza dei dispositivi di
socializzazione/inculturazione: intendiamo cioè dispositivi attraverso i quali ogni essere umano acquisisce cultura.
Questo è fondamentale perché affermiamo che esistono processi sociali, non biologici, di acquisizione della cultura: in
questo senso si stacca il concetto di cultura da quello di razza, dalla biologia, si afferma una visione forte contro
l’ideologia razzista, da questi elementi di sviluppa un grande dibattito.

L’ACQUISIZIONE DELLA CULTURA, lo sviluppo, di un singolo individuo si chiama ONTOGENESI, sviluppo


progressivo (vale per tutti gli organismi viventi), ci dice che ogni soggetto acquista cultura in quanto membro di una
realtà sociale, se volessimo studiare lo sviluppo di un’intera specie, parliamo di FILOGENESI; da dove deriva a livello
di specie il fatto che poi ogni singolo individuo della nostra specie acquisisce cultura tramite una realtà sociale? Siamo
davanti alla domanda Come si acquisisce la cultura dal pov dell’ontogenesi, ma la domanda che ne segue è come si è
acquisita cultura dal pov della filogenesi? Le due cose sono collegate perché è tramite l’evoluzione di una specie,
l’acquisizione di cultura dell’intera specie/gruppo sociale, si arriva all’acquisizione di cultura nell’ontogenesi e quindi
da parte del singolo individuo.

8
È molto importante perché noi vediamo le cose per contrasto, quando vedo una cosa diversa da come l’avevo studiata, entro in
attrito con ciò e posso costruire una mia visione.
9
Non ci puoi stare troppo però: anche se parti dal presupposto che quello che vuoi studiare deve basarsi anche sulla tua immersione
nel contesto, questo coinvolgimento non può essere completo. Se ci stai troppo avviene fenomeno di incorporazione: tu non vedi più
nulla, c’è identificazione totale
10
Leggere “Borges, l’etnografo”
11
Si dice monografia perché tratto solo di questa cosa specifica, etnografica perché le cose che scrivo si basano in buona parte sul
lavoro di campo
12
Non si tratta di un circolo vizioso? Se ogni antropologo fa uno studio che comunque è filtrato dal suo pov allora ogni nuovo
antropologo non studia una cultura tramite il filtro di un altro antropologo?
Questo discorso dopo Tylor è diventato sempre più fondamentale, per arrivare al concetto ghianda bisogna passare
tramite la paletnologia: noi apparteniamo al gruppo dei mammiferi e non rettili, ma abbiamo le manine entrambi quindi
c’è una radice comune, noi uomini apparteniamo all’ordine dei primati, abbiamo due occhi sullo stesso piano, frontali, e
questo ci permette di avere una visione profonda, vediamo la profondità. Linguaggio, saper costruire utensili,
capacità simbolica  capacità di creare cultura. Essere umano nella filogenesi è riuscito a sviluppare un
LINGUAGGIO ARTICOLATO, non un linguaggio punto 13 14, quando parliamo di linguaggio umano dobbiamo parlare
di linguaggio articolato perché anche altri esseri viventi hanno un linguaggio.

Se partendo da queste specificazione (capacità simbolica, di costruire utensili e linguaggio complesso) affermiamo che
uomo può creare cultura, come questo è avvenuto nella filogenesi? Quindi dal pov dell’evoluzione umana?

Alfred Kroeber, anni 30 del 900, ha elaborato una teoria che prende il nome di teoria del punto critico, alla questione
“come è emersa il fenomeno culturale che Tylor ha descritto in quel modo nei milioni di anni della genesi umana?” lui
risponde con questa teoria, lui dice che l’uomo si è evoluto innanzitutto sul piano biologico fino ad arrivare a quello che
lui chiama il punto critico: man mano che l’ominide gradualmente si evolve sul pov biologico, il cervello aumenta le
sue dimensioni finché arriva a una tale complessità che emerge all’improvviso come rottura della classe dei primati e
tutta insieme la cultura, afferma che c’è un punto dello sviluppo biologico umano in cui emerge la cultura (come acqua
che scaldata poi bolle), abbiamo un processo progressivo e biologico di formazione e sviluppo del cervello, quando
arriva a una grandezza circa come la nostra sarebbe emersa la cultura.

Vediamo che ci sono due strati: un livello “hardware”, il corpo, e poi emerge uno strato superiore rispetto a quello
biologico “software”, questo si chiama modello stratigrafico dell’essere umano e serve a pensare come l’uomo è fatto
nella teoria del punto critico: filogenesi degli omini del livello biologico – punto critico, il cervello circa alle dimensioni
attuali – emerge la cultura che muove questo hardware dotando l’uomo di cultura.

Gli studi nel tempo hanno affermato che la teoria del punto critico è sbagliata, no punto critico: le prime critiche
sono arrivati dopo la scoperta di due archeologici, i coniugi Leakey, scoprono in una zona dell’Africa orientale i resti di
un ominide bipede, che hanno definito ziniantropo, che è stato datato a piu di un milione di anni da oggi, con una
dimensione del cervello esigua, contemporaneamente hanno scoperto nello stesso strato di profondità tutta una serie di
strumenti di lavorazione per interagire nell’ambiente molto sofisticati  hanno trovato testimonianze di un’attività
culturale in corrispondenza anche di una realtà diversa dal punto critico, la cultura era già presente, era presente anche
durante l’evoluzione biologica, non è emersa tutta in una volta alla fine.

Da questo si sviluppa un enorme dibattito che alla fine converge in questa acquisizione, cioè che la cultura nel corso dei
milioni di anni di filogenesi umana emerge tramite tre grandi rivoluzioni:

1. La prima che ha consentito di iniziare uno sviluppo sia culturale che organico, è la conquista della posizione
eretta ha comportato il fatto che gli arti anteriori sono diventati superiori e questo ha immediatamente
provocato una seconda conseguenza: solo due arti per muoversi, movimento su due vincoli, questo ha portato
alla liberazione degli arti superiori, questo ha favorito
2. Il trasferimento della funzione prensile dalla bocca alle mani, l’essere umano utilizzava la bocca con
funzione prensile, con due arti disponibili questa funzione è stata trasmessa alle mani, questo ha fatto scaturire
il fatto che
3. La bocca libera dalla dimensione prensile ha sviluppato gli organi di fonazione e dunque dal linguaggio

Tutte queste sono teorie paletnografiche, hanno portato a scalzare la teoria del punto critico a favore della teoria che è
quella fino ad oggi confermata, la teoria interattiva, elaborata da Geertz e Andreè Leroi-Gourhan: la teoria
interattiva dice che non è possibile dividere in nessun modo il livello simbolico e quello biologico , solo a livello
accademico si può fare una distinzione, ma l’uomo è impastato di elementi biologici e simbolici , questa dicotomia non
esiste e questo lo afferma la paletnologia, noi siamo un organismo complesso nel quale l’elemento biologico e quello
simbolico sono “embedded”, incorporato, diciamo che questa domanda è priva di senso perché basata su un livello di
anthropos stratigrafico, si tratta di un livello interattivo perché c’è interazione, noi siamo una miscela di questi elementi,

13
Carl Von Frisch ha affermato che le api si muovono facendo circonferenze che variano, loro comunicano tramite queste
circonferenze e l’ape comunica con l’altra per quanto dovrà volare e in che direzione dovrà volare per raggiungere il cibo.
14
Sir Wiliam Morton Wheeler, grande esperto di formiche: formiche sono un animale sociale estremamente complesso, Edward
Wilson, allievo di Wheeler torna a evidenziare il fatto che le formiche possiedono un linguaggio e una capacità di tipo simbolico:
parlano con gli odori, ogni formica ha la capacità di emettere odori diversi che vengono intercettati dalle altre e questo fa sì che si
organizzino in un sistema chiave serratura: a secondo dell’odore scatta un ricettore, questo ha portato ad affermare il fatto che le
formiche hanno mente collettiva: pensano in maniera delocalizzata, gruppo, pensano in modo comune.
affermiamo dunque che non solo l’essere umano produce cultura ma che l’essere umano è anche prodotto da
cultura, plasmato da elemento culturale, il processo di evoluzione culturale e biologica sono inscindibili.

Evoluzione degli ominidi:

 noi partiamo convenzionalmente da due forme, australopithecus afarensis e australopithecus africanus,


avevano già elementi culturali, l’organizzazione della caccia in gruppo
 l’evoluzione procede, abbiamo australopithecus boisei (buasei) che però si è istinto
 due milioni e mezzo circa di anni fa emerge gradualmente homo abilis, comincia ad avere capacità manuale
molto forte, quindi a usare il fatto di avere le unghie piatte quindi a costruire utensili, abbiamo molti utensili
sofisticati
 circa un milione e mezzo di anni da oggi abbiamo homo erectus, ha una serie di caratteristiche culturali
importanti, scopre il fuoco, quindi scopre uno strumento molto particolare per difendersi dalle bestie feroci,
quindi acquisisce un elemento di protezione, si rende conto che il fuoco gli permette di vedere meglio di notte,
fonte di luce, poi scoprono di poterlo usare per cucinare  graduale crescita dell’abilità di comunicazione,
miglioramento apparato fonetico, inizia a emergere il gusto, gradazioni di sensibilità che vengono comunicate
(mi piace al sangue o cotta)
 circa 300 mil anni fa, homo sapiens: andiamo avanti nel processo interattivo e abbiamo tanti resti archeologici
che dimostrano l’evoluzione di sapiens: fa proprie tutte quelle precedenti ma aggiunge una cosa importante
cioè che si sono trovati dei primi vestiti rudimentali e gradualmente si è cominciato a vedere che il coprirsi con
pelli si presentava con delle varianti: alcune pelli tagliate in forma quadrata, altre tonda  è un elemento di
tipo simbolico.
Hanno soprattutto scoperto una cosa fondamentale: la sepoltura dei morti, elemento profondo sul piano
antropologico: i morti non sono buttati li ma sono sepolti, si sviluppa una forma di conservazione dei resti, che
lasciano intendere un elemento culturale fortissimo, è prova evidente che c’era una forma di pietas, qualcosa
che dava sensazione dell’esigenza di non lasciarli andare, cura. È stato messo in evidenza anche che la
presenza di una forma di sepoltura dei morti deve essere messa in relazione con qualche forma embrionale di
credenza, siamo di fronte a un ulteriore sviluppo di capacità simbolica
 ci siamo noi, homo sapiens sapiens, la complessità attuale si manifesta da circa 35 mila anni da oggi

Arriviamo anche alla conseguenza sul piano teorico delle cose precedenti: noi arriviamo a rispondere alla domanda
sull’evoluzione della cultura dal pov filogenetico con la teoria interattiva in cui cultura e biologia vanno di pari passo,
si chiama anche natura sociale del pensiero e delle emozioni. L’evoluzione degli ominidi sostanzialmente ha prodotto
un particolare tipo di animale, noi, che ha istinti di base (generalizati, vaghi) che però non sono specializzati, sono
generali: come frutto dei milioni di anni di evoluzioni abbiamo la necessità di coprirci da freddo, istinto di avere una
protezione ma non sappiamo come (aracnide costruisce la sua protezione partendo da input biologico), noi siamo degli
animali incompleti: la differenza veramente profonda tra noi e tutti gli animali non umani è che noi siamo incompleti,
questo percorso di evoluzione biologica ha costruito un animale che ha come sua caratteristica profonda
l’incompletezza che consiste nel fatto che siccome c’è una gradualità nell’emergere degli sviluppi biologici e culturali,
l’essere umano non ha sviluppato una risposta specializzata agli istinti di base; se non viene educato
adeguatamente in una comunità non sa esattamente cosa fare, noi non abbiamo un programma codificato per esempio
per costruire una tana. !!

Questo è il secondo concetto-ghianda: il concetto di INCOMPLETEZZA BIOLOGICA dell’essere umano ed è


esattamente il concetto di incompletezza che lega il processo di filogenesi a quello di ontogenesi: l’emergere della
cultura nella prospettiva di un milione di anni ti porta ad affermare che l’essere umano ha un’incompletezza e per
questo, nell’ontogenesi, ogni essere umano ha bisogno di un contesto sociale dal quale poter apprendere come
rispondere ai bisogni di base, e a quelli che ne succedono.

Questa incompletezza è l’elemento vantaggiante e negativo, diventa per l’uomo il piu grande vantaggio: il fatto di
essere incompleti rende elastici, in base a dove nasci puoi essere educato in maniere estremamente diverse, puoi
adattarti.

L’essere umano è dotato di istinti generali ma non di istinti specifici, è in grado di sentire fame e avere istinto di
procurarsi cibo ma non sa dove, gli deve essere insegnato->la cultura che emerge. L’uomo è plasmabile, elastico, deve
essere costruito dopo la nascita perché non nasce già costruito, il più versatile di tutti gli altri animali. !!

Geertz sintetizza questo concetto fondamentale:


«La cultura, invece di essere aggiunta per cosi dire a un animale ormai completo (PUNTO DI ROTTURA) o
virtualmente completo fu un ingrediente, e il più importante, nella produzione di questo animale.

Noi siamo animali incompleti e non finiti che si completano e si perfezionano attraverso la cultura - e non attraverso la
cultura in generale, ma attraverso forme di cultura estremamente particolari.

Dobuani e Giavanesi, Hopi e Italiani, (...)»

Geertz scrive questo testo negli anni 70. Siamo non finiti, non finito meglio di infinito, siamo “possibili”

Dice che noi nasciamo con la possibilità di vivere mille vite diverse, ma alla fine ci determiniamo e ne viviamo una
sola; ma grazie a questa incompletezza possiamo vivere mille vite diverse, E. Dickinson dice che l’uomo abita
l’incompletezza

Questa incompletezza è un dato oggettivo

L’enfant sauvage di Francois Truffaut  film, ragazzo ha incompletezza profonda, un medico francese lo vede, Itard, lo
porta a casa e ha l’ambizione di completare quello che fa un contesto sociale, non ci riesce perché la complessità del
completamento culturale prevede una complessità e una molteplicità sociale che un uomo singolo non può fare 
guardala anche dal libro

20 settembre 2023 (V)

Hampshire, ragazza isolata senza contatti, spesso malata o convalescente,


introversa, timida e maldestra che in questa condizione di isolamento e
ritrosia e di sensazione di disagio ed isolamento, Emily Dickinson,
inventa la poesia americana contemporanea, definì le sue poesie “queste
lettere al mondo che lui mai scrisse a me” il mondo non si è mai
preoccupato di me ma questo è il mio modo di approcciarmi al mondo.
Poesie icastiche in cui conta più il togliere che il mettere 15. Si tratta di una persona isolata, timida, con un disagio fisico
importante che ha una forza vitale e percettiva di fare esperienza della vita inaspettata e questo viene dalla poesia di
questi versi.16

La caratteristica dell’essere umano è essere incompleto ma non rimane tale, l’uomo per esserci ha bisogno di un
completamento, che è culturale in senso antropologico, è un dato di specie, non è un’affermazione teorica o filosofica, è
un dato oggettivo. Non finisce mai questo completamento, via via si attenua perché tu ti determini sempre di più.

La questione antropologica profonda è che nell’ultima frase del concetto antropologico di Tylor c’è l’ineluttabile
presenza di processi di socializzazione tramite i quali avviene il completamento del singolo. Esempi concreti di
dispositivi di socializzazione (ciò che viene teorizzato da Tylor come metodo per avere cultura a livello antropologico
e che è ciò che ci permette di non rimanere incompleti) che plasmano e costruiscono l’essere umano che è sia un
prodotto storico sia un prodotto costruito nel qui ed ora.

Due casi di processi di socializzazione in una realtà molto diversa dalla nostra, quindi affrontiamo questo problema dal
pov etnografico17:

1. Andiamo in Africa centrale, in Congo, comunità di radice Bantu, fermiamoci su una comunità la cui
popolazione si chiama Banande, lingua kinande, cultura nande, zona sconvolta da guerre estremamente
sanguinose per molto tempo, contesti molto complessi 18-19. Nella società Nande siamo in un contesto di
coltivatori bantu, sono stati studiati da due autori che sono Roy Richard Grinker e F. Remotti.
L’antropologia implicita nande si fonda sul concetto di abakondi cioè tagliatori di foresta: è estremamente
importante per i banande creare zone pulite, chiamate abakondi, creano uno spazio perfetto dove poi
costruiscono i loro villaggi, per loro è estremamente importante questa operazione perché dicono che un bravo
nande è un bravo tagliatore, è colui che riesce a costruire la propria casa arginando il caos della foresta, sono
coltivatori di banane, hanno legame molto stretto con il bananeto. La loro forma di umanità consiste nel
tagliare il mondo, nell’ordinarlo, devono tenere sotto controllo la foresta sennò se li porterebbe via. Il verbo
eri-iconda significa tagliare in senso fisico.
I processi di socializzazione che gli antropologi hanno studiato particolarmente sono i riti20 di iniziazione, in
particolare il rito olusumba che è accompagnato da un canto che i banande rivolgono in generale alla foresta e
a delle “divinità” della foresta, è un canto preghiera che viene elevato all’inizio di questo rituale: canto
preghiera che comincia con una domanda estremamente radicale, una domanda filosofica “un uomo che
cos’è?”, è un interrogativo, vuol dire che le comunità extra europee si pongono interrogativi filosofici  si
inizia un rituale per insegnare delle cose a un ragazzino ma cosa dobbiamo insegnargli? Cosa vogliamo che
diventi? Abbiamo di nuovo un elemento importante e consistente: questa comunità ha perfettamente chiara
l’idea che esseri umani (uomini) si diventa, io ti devo insegnare ma ti sto insegnando le cose corrette? Vi è una
consapevolezza da un lato di questa esigenza di completamento, e cos’è un essere umano? Come lo stiamo
cercando di educare?  Comunità con antropologia intrinseca flessibile e non dogmatica, interrogativa e
scettica anche.
I rituali di iniziazione di tipo femminile sono stati studiati abbastanza tardi, arrivano studi importanti
all’inizio degli anni 80 di David Gilmore e M.Strathern, che hanno messo in evidenza la grande ricchezza
del pensiero nativo riguardo al mondo del femminile. In kinande donna si dice omukali, donna in modo
generico, ce ne sono altre per indicare altre cose specifiche come ragazza, adolescente, donna sposata; esiste un
termine che è omukenzi per indicare una donna che scopre di essere incinta per la prima volta, donna incinta si
dice in un altro modo, questa parola indica esattamente una condizione esistenziale, affettiva, esperienziale,
corporea che coinvolge tutta te stessa, cioè renderti conto che sei incinta per la prima volta, definisce quindi
una condizione puntuale e una condizione irripetibile (solo una volta sei incinta per la prima volta), ed è qui
che si incentra la riflessione antropologica nande sul femminile, è un rituale di iniziazione che coinvolge le

15
Raccolte “silenzi” e “sillabe di seta”
16
Lettera a Higginson. Sentiamo il senso dell’incompletezza, il senso vissuto e percepito, non teorizzato ma come esperienza vissuta
di un’incompletezza, del fatto che io non posso autodefinirmi senza altri, ho bisogno di un contesto e di persone che mi aiutano, non
si puo vivere indeterminati ma non ci si può determinare da soli, “io vorrei crescere ma non so come”.
17
Andiamo in una parte del mondo, sul campo, con una lingua, comunità, usi e tradizioni e vediamo di studiare quella esperienza
concreta e specifica.
18
Jourdan, “generazione kalashnikov”
19
Mery Kaldor, “le nuove guerre”
20
Esistono diversi tipi di rito, la categoria più importante è quella dei riti di iniziazione: sono dispositivi di socializzazione per gli
antropologi
ragazze che si chiama erihinga (parola che deriva dal verbo eri-kenza che significa tagliare, come eri-iconda,
ma il primo significa tagliare in senso affettivo, sentimentale, il tema del tagliare, la riflessione sul taglio è una
riflessione molto profonda di questa comunità), c’è questa consapevolezza del taglio perché l’antropologia
implicita, la riflessione nativa nande si concentra sull’idea che il rendersi conto di essere incinta per la prima
volta sostanzialmente produce un taglio esistenziale, una separazione tra un prima e un poi, un prima che mi
accorgessi di questo e poi questo, omukenzi dura per tutto il tempo in cui tu ti riorganizzi con questo tuo nuovo
modo di vedere la tua interiorità e fisicità. Questo ha anche un riscontro, un taglio, col contesto sociale: con la
graduale divisione di genere, i bambini maschi e femmine giocano in maniera indifferenziata, quando diventi
omukenzi non puoi più fare determinate cose ed entri in un gruppo sociale che è omusankado, socialità con
donne piu grandi, iniziano a essere date delle informazioni, come si coltivano i banani per le attività femminili
e come portare avanti la gravidanza  tramandato sapere prettamente femminile, ammissione a mondo
femminile di donne piu grandi, è un altro tipo di taglio. In questa socialità femminile piu adulta in cui le
ragazzine sono ammesse si scherza sugli uomini, mentre prima la figura era compatta, mamma e papà figura
univoca, ora viene esposta anche a forme ironiche. La riflessione nande è molto profonda su questo, è un
rituale lungo che non si materializza in un atto specifico ma fa parte di un percorso fino ad arrivare a un taglio
anche maggiore cioè lasciare la tua casa e andare a vivere in quella del padre di tuo figlio.
Cosa rappresenta questo taglio? La consapevolezza, cioè uno stato che determina tagli, cambiamenti, nel
momento in cui tu diventi consapevole di una certa cosa questo ti cambia e ti determina, non puoi stare a metà,
o prendi una strada o l’altra, per sceglierne una l’altra la devi tagliare/escludere. Diventare consapevole,
prendere coscienza della realtà (momenti tristi, felici, di paura…) significa diventare adulti: produrre una
persona adulta a livello di esperienza di sé è farla rendere conto del fatto che la consapevolezza ti cambia,
sempre la consapevolezza ti pone di fronte a un bivio e tu devi scegliere
 Due dispositivi di socializzazione, riti di iniziazione, uno per le femmine e uno per i maschi, con il quale si
cerca di trasferire la consapevolezza che la presa di coscienza della realtà e di quello che ti capita ti cambia e
accettare questa cosa vuol dire diventare grandi.

2. Mary Douglas21, “Lele del Kasai”, Africa centrale, ha analizzato il fatto che l’antropologia implicita Lele si
caratterizza con forme accuratissime di classificazione, classificano tutte le tipologie di animale, di terreno, di
piante, all’interno di queste classificazioni che tutte insieme si chiamano in antropologia cosmologie, ogni
popolazione studiata dall’antropologia ha una cosmologia.
Mary Douglas ha studiato molto bene questa loro cosmologia nativa, finché non si è trovata davanti a un
pangolino: lei nota che questo animale provoca enormi problemi ai Lele perché ha le squame, loro quindi
tenderebbero a classificarlo come animale terrestre ma contemporaneamente sale sugli alberi e sale molto in
alto22. Ha le squame ma non ha le uova, no rettile, fa parti singoli. Secondo l’estetica Lele il pangolino è brutto,
gli animali brutti sono animali che spaventano perché, per la loro antropologia implicita, hanno caratteristiche
di aggressività proprio in quanto brutti, ma il pangolino ha paura di tutto. Il pangolino dunque è un animale
difficile nella cosmologia Lele, non perché non esistono forme di classificazione in cui poterlo mettere ma
perché ne esistono troppi, lui potrebbe stare bene in piu categorie  fenomeno che si chiama anomalia
cognitiva23, diventa un animale difficile da pensare e per questo i Lele lo tabuizzano, tabù = da non
avvicinarsi con leggerezza, meglio se non ti avvicini affatto, è una cosa molto pericolosa.
Mary Douglas si rende conto nella sua etnografia di una cosa sorprendente: i Lele hanno un loro rito di
iniziazione, che è un dispositivo di socializzazione, ed è il piu delicato di tutti perché è il rituale che riproduce
la società, è quello tramite il quale io riproduco i valori (vedi caso nande). Al centro del rituale di iniziazione
Lele c’è il pangolino, lei rimane colpita da questo, si chiede perché una cosa che si ritiene pericolosa, che è un
tabù, a un certo punto sia messa in un posto della vita così importante, sembra che la si divinizzi.
Arriva quindi alla conclusione, confermata, del fatto che ponendo al centro del rituale di iniziazione Lele il
pangolino, e quindi affrontandolo solo in quell’occasione sacra, controllata, non casuale, i Lele trasferiscono ai
giovani uno dei valori piu importanti: gli insegnano la cosa piu importante che abbiano e cioè le
classificazioni, questo è il patrimonio culturale che ti consegniamo ma le nostre categorizzazioni sono
imperfette: la presenza del pangolino sta ad indicare che tu ti troverai senz’altro nella vita di fronte a un
evento, a un dolore, a una domanda a cui noi non sapremo darti risposta, cioè potrai affrontare un momento di
disagio e disorientamento di fronte al quale noi non sapremo immediatamente offrirti una soluzione. Le
classificazioni guidano la nostra vita ma non sono perfette perché esiste sempre almeno un elemento che esce,
21
1966, “purezza e pericolo” – 1963, “Lele del kasai”. Africanista
22
nella classificazione Lele esistono animali terrestri che si arrampicano sugli alberi ma fino ad una certa, poi sono animali volanti
23
Classificare è anche pensare: tutte le forme classificatorie sono forme di pensiero ma non tutte le forme di pensiero sono
classificatorie. La classificazione permette la pensabilità, non entra in una sola classificazione, lui ne contraddice di più
che non si lascia pensare nella maniera in cui siamo abituati, quindi diventare grandi, completarsi, è
esattamente assumere questa consapevolezza, cioè sapere che ci sono risposte per mille cose ma almeno una
domanda per la quale non ci sarà una risposta immediata, cioè la riflessione sulla precarietà delle categorie ti
rende adulto ed è più importante dell’idea stessa di categoria. Es dolore di fronte a una perdita.

25 settembre 2023 (VI)

Primo concetto ghianda, cultura – secondo concetto ghianda, incompletezza  nesso tra le due: DISPOSITIVI DI
SOCIALIZZAZIONE

Nella teoria interattiva è fondamentale il modello di anthropos che prendiamo in esame. Modello interattivo in cui
l’interazione è tra esseri umani, tra il singolo e il proprio ambiente, ma dal pov profondo tutti questi tipi di interazione
poggiano sull’interazione di base che è quella tra antropologia e cultura  non è vero che la cultura appare
all’improvviso dopo l’evoluzione fisica, la teoria interattiva dice che l’elemento fisico e l’elemento culturale non sono
distinguibili in maniera netta, corpo ed emozioni insieme, viene chiamato il self, cioè un amalgama, corpo costituito da
elementi corporei e della mente. La teoria interattiva, e quindi il concetto di incompletezza, spingono a problematizzare
il corpo, l’antropologia culturale ha cominciato a riflettere in maniera nuova e diversa sulla corporeità.

Parliamo di materialità e spiritualità perché siamo figli della nostra cultura, Kant, Cartesio, cogito ergo sum. A Bali c’è
una parola che è keneh, sostantivo, mekeneh è il verbo (concetto studiato da Unni Wikan, vikan), dopo molto tempo di
etnografia a Bali dice che è intraducibile, per farlo dovrebbe mettere insieme feeling and thinking, è un insieme di
sentimento e pensiero; l’unico modo per tradurre mekeneh è feeling-thinking, sentire-pensare, perché nell’antropologia
implicita balinese non si possono dividere le due cose. Il modo con cui noi concettualizziamo il corpo non è uguale al
modo in cui in altri contesti si concettualizza la corporeità, l’antropologia culturale ha iniziato a sviluppare delle teorie
per superare questo aspetto dicotomico tra mente-corpo, materiale-immateriale, è un aspetto scientificamente
sbagliato e tentare di superare questa dicotomia ci permette di avvicinarci di più a modi diversi dal nostro di concepire
la corporeità.

Jean Paul Sartre ha affermato una cosa estremamente importante sul piano antropologico, in “l’esistenzialismo è un
umanismo”, 1946: «L’uomo si presenta come una scelta da fare. […] L’uomo si fa; non è qualcosa di
bell’e fatto in partenza; […] Ma per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la
ricavi tramite l’altro. L’altro è indispensabile alla mia esistenza, come alla conoscenza che io ho di
me […]. L’uomo è innanzitutto quello che avrà progettato di essere. Egli non esiste che nella misura
in cui si realizza […]. L’uomo senza appoggio né aiuto, è condannato in ogni momento a inventare
l’uomo».
Tu non sei finito all’atto della tua nascita ma attraverso elementi di socializzazione ti puoi gradualmente
completare in migliaia di modi diversi. Per arrivare a qualunque tipo di verità su me stesso non posso far altro che
ricavarla dal rapporto con l’altro, non è solo condizione gnoseologica ma anche ontologica: è una condizione che
determina la mia esistenza. Max Weber ---
Incompletezza biologica

Nascere:

1. Processo biologico  organismi biologici


2. Processo sociale (con caratteristiche rituali)  esseri umani
 Nascere è processo biologico e sociale, anche il morire

Essere umano = essere un organismo biologico ma soprattutto un costrutto sociale

 L’essere umano è un prodotto storico, questo completamento avviene con forme locali di cultura (Geertz), il
completamento graduale che non è mai finito (ha intensità maggiore nelle prime fase di vita),

A tutto ciò un gruppo di studiosi, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, ha dato alla natura plastica, flessibile
dell’essere umano come caratteristica che lo rende diverso dagli altri animali non umani, il nome di antropopòiesi
(=costruzione dell’uomo), si chiama anche paradigma del costruzionismo sociale: la vediamo tramite riti di
iniziazione, processi inculturativi e dispositivi di socializzazione, sono modi con cui si esplica l’antropopoiesi,
attraverso queste modalità questo processo di antropopoiesi si costruiscono le sfere:

1. Intellettuale, le nostre idee/pensieri,


2. Emotiva, Ernesto De Martino diceva “non si piange secondo natura, si piange secondo cultura”, i codici del
pianto non sono naturali, è naturale la possibilità del pianto24
3. Morale/etica: altri contesti culturali hanno regole etiche differenti, cambiano anche storicamente le categorie
di bene e male
4. Estetica: non è meno importante delle precedenti, i modi con cui, nelle varie comunità, si plasma il corpo dal
pov estetico, sono elementi profondamente culturali
 L’antropopoiesi costruisce queste sfere che di fatto sono dinamiche, mutano, anche dove ci sembrano naturali,
sono un prodotto di una costruzione storica diversa. Queste sfere insieme formano le ANTROPOLOGIE
IMPLICITE che vengono naturalizzate: le cose che facciamo quotidianamente non ci sembrano prodotto di
inculturazione ma naturali

L’antropologia a questo punto si pone un problema importante: quelle che chiamiamo antropologie implicite e il
rapporto con la corporeità:

24
Laura Faranda: “le lacrime degli eroi”
«Diventare umani è diventare individui, e noi lo diventiamo sotto la guida di modelli culturali, sistemi di significato
creati storicamente, nei cui termini noi diamo forma, ordine, scopo e direzione alla nostra vita. E i modelli culturali
coinvolti non sono generali ma specifici (...)

Essere umani non significa essere un qualsiasi uomo: vuol dire essere un particolare tipo di uomo, e naturalmente gli
uomini sono diversi»

Terzo concetto ghianda: LE TECNICHE DEL CORPO


Marcel Mauss, antropologo, etnologo, sociologo francese che ha lavorato nei primi anni del 900, ha insegnato alla
Sorbona: nel 1923 scrive “saggio sul dono”, pubblicato poi in forma di libro nel 1924, un testo di economia in cui
confronta il sistema economico occidentale e quello di altre realtà, come ad esempio complesse forme economiche che
si fondano sul donare, dono che va ricambiato per la natura stessa del dono. Mauss è il primo studioso nella storia
dell’antropologia che comincia a riflettere sul corpo dal pov che abbiamo illustrato fino ad ora 25.

Teneva un corso alla Sorbona di etnologia descrittiva, durante le lezioni si presentava un quadro piu completo possibile
della popolazione scelta nell’anno corrente, per dare piu info possibili si usava la suddivisione in tratti, che veniva da
Tylor, dunque economia, politica, lingua, sistemi di credenza, religione; Mauss dice, in un saggio chiamato “saggio
sulle tecniche del corpo”, 1936, che l’ultimo capitolo del manuale si dedicava ad atteggiamenti comuni che erano
talmente eterogenei e minimali che solitamente era un capitolo che veniva messo da parte, un anno lui decide di
cominciare il corso dall’ultimo capitolo: ho affrontato lo studio della popolazione X a partire da elementi banali,
comuni, eterogenei perché studiando, riflettendo, pensando gli è venuto sempre di piu il sospetto che questi elementi
fossero molto meno banali rispetto a come erano considerati precedentemente. Lui parte da elementi molto semplici in
cui si manifesta il culturale, c’è una parola nella definizione di cultura di Tylor, il COSTUME.

Mauss parte dall’idea che elementi culturali banali e comuni, in questo capitolo di minutaglie varie ed eventuali, sono
aspetti piu importanti di una cultura  asserzione dirompente.

Mauss da un nome, proseguendo nella sua riflessione, a questa serie di atteggiamenti, usa una categoria unificante, le dà
il nome di TECNICA DEL CORPO: terzo concetto ghianda: “con l’espressione tecniche del corpo intendo i modi in
cui gli uomini, nelle diverse società, si servono, unificandosi alla tradizione, del loro corpo”

La corporeità è il primo e più naturale strumento dell’uomo, lui lo afferma dal pov antropologico, è come se il corpo
fosse una spugna: assorbe elementi di carattere culturale e li restituisce in modi o tecniche della corporeità che non sono
solo prodotto della tua caratteristica psichica, ma è presente anche un elemento di carattere sociale e culturale.

Tecnica del corpo: cucinare è una tecnica del corpo, la tua sensorialità è alla base del cucinare  saperi della mano,
saperi corporei, non protocollabili, non possono essere tradotti in una lista di istruzioni, esiste una capacità di assorbire
questi saperi per imitazione, saperi imitativi e mimetici.

La corporeità è una risorsa di conoscenza:

I. esistono forme di conoscenza logico astratte, chiamate rappresentazionali, sono forme di conoscenza che
coinvolgono la logica e il cervello
II. ne esistono altre invece che sono forme di comprensione corporee, chiamate empatiche. Così come
esistono diverse forme di comprensione esistono diverse forma di conoscenza.

Mauss si concentra sugli elementi quotidiani di altre società e della nostra e dice che questi non sono elementi banali ma
sono i piu profondi, perché ci mettono di fronte alla profonda capacità del nostro corpo di assorbire contesti, istruzioni,
modalità del fare. Le tecniche del corpo aprono un dibattito infinito:

1. Mauss rovescia il modo con cui si intendeva la parola tecnica, usata solo nel senso di cultura materiale (una
tecnica agricola), lui riporta la parola tecnica nell’analisi antropologica e le dà un significato amplissimo,
anche dove c’è un nulla di materiale c’è tecnica
2. Mauss cambia radicalmente il modo con cui si intendeva il corpo: esso era oggetto di studio esclusivamente
delle scienze mediche e biologiche, non si immaginava potesse essere oggetto di studio della sociologia e

25
Il suo pov viene accolto inizialmente in modo freddo, poi verrà abbracciato fino ai giorni oggi. Uno dei pochi studiosi che elabora
idea importante più di un secolo fa che è valida ancora ai giorni d’oggi
dell’antropologia, per la prima volta fa entrare il corpo come oggetto di studio delle scienze umane, in
particolar modo antropologia e sociologia. !!

26 settembre 2023 (VII)

Antropologia interpretativa
Mauss non va sul campo, il primo antropologo che va sul campo e conia quest’espressione è Malinowski.

Mauss da dei contributi importanti, uno di questi si trova in un testo del 1936 “tecniche del corpo”, fu rivoluzionario
perché lui critica la possibilità di studiare le culture esclusivamente a partire da grandi tratti (economia, politica,
parentela, religione) che all’epoca erano codificati dalla tradizione antropologica e da Tylor. Critica che quelle
ripartizioni fossero le uniche possibili per studiare una cultura, Mauss per la prima volta concentra le sue attenzioni su
elementi di carattere culturale che non rientrano in nessuna di queste categorizzazioni, lui vuole iniziare a studiare una
determinata cultura proprio da questi elementi perché concepisce che questi elementi molto semplici ed apparentemente
quotidiani sono in realtà elementi culturali che, contemporaneamente, avevano in qualche modo delle caratteristiche di
carattere economico, relgiooso ecc.

Afferma che in tutte le culture ci sono elementi che in qualche misura contemporaneamente possono essere sia di
carattere religioso, sia rituale, sia economico, elementi che si sommano insieme, che sono sovrapponibili, Mauss da a
questi elementi culturali il nome di fatti sociali totali (elementi per cui la classificazione che veniva fatta per tutti gli
altri elementi delle culture non è valida). Alcuni elementi culturali del costume, inoltre, secondo lui, sono in realtà dei
fatti sociali totali: certe modalità semplici, come nuotare, sono elementi che presentano grande difficoltà. Questi
elementi molto semplici, che per Mauss sono fatti sociali totali, hanno sempre a che fare con il corpo: siamo in un
contesto in cui il corpo è un elemento prettamente biologico, dice che questi atteggiamenti del corpo non possono essere
solo caratteristiche dell’individuo singolo, riferibili solo alla sua unicità, alcuni di questi elementi di carattere
individuale e psicologico sono sempre influenzati da elementi fuori di te, collettivi e sociali, dice che gran parte di
questi fenomeni culturali cosi semplici dipendono molto di piu dall’intera influenza dell’ambiente in cui cresciamo che
da caratteri individuali. A oggi sappiamo che Mauss ha avuto un’intuizione giusta.

Lui afferma che dev’esserci un nesso tra corpo e mente, dev’esserci una caratteristica profonda della nostra corporeità,
frutto dell’evoluzione, che permette un tipo di apprendimento molto particolare che non è mnemonico e razionale ma è
apprendimento per impregnazione, come se il corpo assorbisse, anche indipendentemente dalla consapevolezza del
singolo, alcuni elementi culturali. Oggi questa caratteristica molto importante e il fatto che il corpo si impregni di questa
cultura viene chiamato embodiment

Mauss dice che tutti questi aspetti della corporeità, che derivano dal fatto che il corpo assorbe elementi culturali, politici
che riguardano l’estetica, consente di definire questa possibilità del corpo nei termini di una tecnica: a questi fatti Mauss
dà il nome di tecniche del corpo che sono frutto di embodiment, abbiamo quindi una tipologia di conoscenza che è
molto diversificata e complessa, conosciamo in modo astratto ma ci sono anche altre forme di comprensione che sono
corporee ed esperienziali. Le tecniche del corpo sono cicli di azioni apparentemente molto semplici e banali che l’attore
sociale mette in moto quasi d’istinto, naturalmente, perché sono state naturalizzate, derivano da una plasmazione
sociale, mettono in evidenza la capacità del corpo di assumere conoscenze per impregnazione, sapere imitativo o
mimetico.

Con Malinowski, con la pubblicazione di “Argonautici del pacifico occidentale” 1922, prima monografia etnografica,
lui analizza lo scambio kula: scambio simbolico di doni effettuato nelle isole Trobriand (nell'Oceano Pacifico) tra le
popolazioni che vi sono stazionate e si fonda su un rapporto di fiducia, attraverso questo scambio Malinowski fa vedere
che queste isole non sono isolate, si rende conto subito che la situazione è diversa rispetto a come comunemente
intendiamo un’isola, mentre questo arcipelago è un organismo completo, le cui componenti si tengono insieme in
maniera strettissima tramite il mare, che non separa queste isole, ma al contrario le tiene insieme.

L’antropologia si fonda sull’etnografia, passare tanto tempo immersi nel fenomeno sociale che vogliamo studiare, ma
questo significa che l’etnografia deve darti un certo tipo di comprensione che deriva dalle tecniche del corpo (attività
mentale, razionale, ma anche corporea)

Mauss introduce anche un secondo concetto, che sta insieme al concetto di tecnica del corpo, e cioè il concetto di
habituscaratteristica del corpo di assumere un certo abito, cioè la caratteristica che il corpo ha di essere plasmato
secondo una forma. La differenza tra tecnica del corpo – parliamo di azioni specifiche, cicli di azioni – e habitus è che
l’habitus è l’imprinting sociale che hai acquisito che ti porta a fare quel ciclo di azioni tecnicamente efficaci, le
culture sono abiti, in un certo senso, cioè cambiano.

Molti anni dopo, Thomas Csordas si occupa del tema dell’embodiment dicendo che si parte dal postulato
metodologico che il corpo non è un oggetto e che dev’essere studiato in relazione alla cultura ma dev’essere considerato
come il soggetto della cultura, o come, existential ground of culture.

Andrew Strathern e Pamela Steward, 1988, hanno definito (modo piu comune) il concetto di embodiment come:
“nel suo senso più ampio, consideriamo il termine “incorporazione” per riferirci alla fissazione di certi valori e
disposizioni sociali del corpo e per mezzo del corpo”.

Idea che diventi carne e fiato, Malinowski dice che non tutte le cose che le persone fanno culturalmente hanno questa
pregnanza ma la maggior parte sono incorporate, diventano carne e fiato. Nancy Sheper Hughes ha studiato donne che
tagliavano canne da zucchero che manifestavano degli attacchi di nervi e ha iniziato a studiare questi scatti nervosi
affermando che erano l’esternarsi di forti malesseri; ha messo ciò in relazione con le condizioni di lavoro
disumanizzanti ed alienanti, l’incorporazione anche di queste relazioni di potere, laddove la parola non è sufficiente
perché non hai una voce sociale, allora il corpo prende la parola sotto forma di sintomi e qui nasce un dibattito enorme
perché per la prima volta lei e altri studiosi dicono che tra le tecniche del corpo, come cucinare, come fare lezione,
l’etnografia, ecc, ci sono anche alcune malattie: dice che ci sono malattie che non semplicemente capitano ma che gli
esseri umani fanno, mettono in atto, vivono come forma estrema di resistenza 26. Qui nasce l’antropologia medica per
richiamare il fatto che su questa base l’antropologia culturale contemporanea riformula il concetto di malattia: per poter
comprendere alcuni tipi di malattia come tecniche del corpo nel senso di Mauss, la riformula usando tre termini inglesi:
è come un prisma che presenta varie facce, non possono essere separate nella realtà

1. una prima faccia si chiama disease, malattia dal pov organico, c’è qualcosa di oggettivo nel tuo organismo che
si può vedere con esami strumentali che non funziona come dovrebbe
2. la seconda faccia si chiama illness, la malattia secondo la percezione soggettiva della persona, è il suo stare
male, il suo raccontare a parole come si sente male, è il pov emico, il punto di vista del soggetto. Spesso il
livello illness si unisce a quello disease, ma in molti casi i due si separano: la persona racconta un disagio che
non ha nessun riferimento con la componente organica. In questi casi il disagio può anche essere aumentato dal
fatto che non si agganci con l’elemento disease
3. la terza faccia è sickness, il modo in cui quel tipo di malattia viene concepito socialmente, cioè l’idea che
ognuno di noi ha di come è vissuta socialmente nel tuo sistema culturale, quel tipo di malattia, ne è l’aspetto
sociale, culturale e politico. Questo influisce molto su come la persona X si sente. Il livello sickness può
aumentare il livello illness e generare il livello disease.

A partire da Mauss comincia una riflessione importante sul fatto che ci sono elementi culturali che non possono
prescindere dall’essere incorporati, dall’essere manifestazioni corporee. I corpi non sono intercambiabili, da un pov
fisico sono tutti uguali ma in quanto tali esistono solo nella loro unicità, allo stesso tempo anche le malattie sono
culturalmente collegate e legate.

Tra gli elementi più importanti incorporati ci sono le categorie estetiche, la sfera estetica, la sensazione; gli antropologi
non parlano di arte, estetica è esperienza del sentire, ha a che fare con la nostra sensazione, sono tra gli elementi
culturali più embodied (la gioia di vivere, Matisse, 1903), “l’intervista perduta”, in questa lunga intervista Matisse
inconsapevolmente sintetizza in una frase qual è l’approccio antropologico alle arti.

LEZIONE 9-2/10/23

Dal concetto di incompletezza emerge l’idea che il corpo è plastico>tecniche del corpo (la corporeità è plasmata), da
qui la costruzione dell’habitus.

4 concetto ghianda>descrizione densa: signficato intersoggettivo, cioè che nasce da una relazione tra soggetti

Monaci Miira, Giappone, praticano un particolare tipo di ascesi mistica miira. Mummie di monaci chiusi in teche in
templi in zone rurali del giappone di fronte ai quali i fedeli miira pregavano. Anni 60: gli studiosi giapponesi fanno una
TAC a uno di questi corpi mummificati e si scopre che questi corpi hanno tutti gli organi interni, che quindi non sono

26
Differenza tra somatizzazione e incorporazione: la riflessione antropologica usando la parola incorporazione tende a superare
l’idea della parola somatizzazione che indica il fatto che ci sia un soma, un corpo, da una parte, e dall’altra parte un altro elemento
che è quello della psiche, delle sofferenze, dell’essere schiacciato. Il termine incorporazione elimina questa dicotomia e mette tutto
insieme.
stati asportati prima della mummificazione, come ad esempio si faceva in Egitto.>>diverso tipo di mummificazione
miira. Per poter produrre una mummia in questo modo i ricercatori sono giunti a concludere che la persona stessa abbia
messo in atto la mummificazione su di sé.

>pratica ascetica religiosa suddivisa in tre fasi, ciascuna di 1000 giorni. Fase 1: Monaco si allontana e diventa eremita,
comincia a mangiare e bere meno per ridurre tessuto adiposo, fa ginnastica cos’ che il dimagrimento acceleri. 2 fase:
iniziale astensione dai cereali fino a astensione assoluta dal cibo, beve solo resina, da un tipo particolare di albero, che
ha un potere disinfettante perché si attacca alle pareti degli organi interni creando una barriera contro organismi aerobi.
Fase 3: confratelli lo portano in una buca e gli lasciano solo una cannuccia per respirare e un campanellino che lui fa
suonare ogni giorno, quando il campanellino non si sentirà più suonare allora verrà tolta la cannuccia e si faranno
passare tre anni prima di aprire il sacello. Ci si può trovare davanti 2 tipi di situazioni:

-ossa rotte, in un ultimo tentativo di fuga del monaco.

oppure

-monaco perfettamente mummificato fermo nella posizione del loto in uno stato detto nyujo. Il monaco è diventato un
oggetto, si è sottoposto ad una forma di suicidio che prevede la completa negazione della propria corporeità. Ma i
monaci miira non la pensano così, lo considerano un corpo perfetto, entrato in uno stato che va al di là della vita e della
morte, uno stato terzo. Esperienza culturale in cui la parola vita ha un significato diverso.

>salto categoriale (dalle nostre categorie culturali alle categorie native) bisogna lavorare sulle categorie proprie (sullo
scomodo diaframma che è la mia persona) per riuscire a compiere il salto, che vuol dire interpretare. La comprensione,
che include tradurre, descrivere, comparare, non è solo un atto mentale che segue attività logico-astratte ma è una
tecnica del corpo che segue un’attività mimetica, immersiva (olfatto, gusto, udito...)

LINGUAGGIO>Dispositivo bio-sociale che mediante l’uso di simboli fonetici arbitrari consente di codificare ed
esprimere la propria esperienza di sé e del mondo.

Le regole grammaticali non sono mai risorsa del significato, lo è solo la vita in un determinato luogo, il contesto di vita.

Noam Chomsky: concetto di competenza linguistica, cioè la capacità di esprimere giudizi di grammaticalità
dell’enunciato. Fondamentale per saper parlare

Dell Hymes: concetto di competenza comunicativa, cioè la capacità di esprimere frasi appropriate al contesto. I
bambini, per quanto scarsa sia la loro competenza linguistica, sanno comunicare e farsi capire.

La creazione di significato quindi richiede sempre l’immersione nel contesto.

Wittgenstein: “il significato è un tessuto”. Per cogliere il significato nativo si intrecciano fibre diverse (linguistiche,
corporee, cuturali…), potenzialmente infinite, che non sono legate da vincoli logici ma da vincoli di coesistenza
contestuale, per raggiungere un tessuto solido, ben intrecciato e leggibile. “Comprendere una parola è assorbire
l’esperienza vissuta del suo significato”.

Edward Sapir, Benjamin Whorf

Due studiosi che in varie parti del mondo hanno analizzato diverse situazioni comunicative e soprattutto sono stati
colpiti dal potere che ha la lingua di plasmare la visione del mondo, cioè il mondo viene percepito in maniera differente.
La proprietà della lingua di plasmare il mondo è il principio di relativismo linguistico di Sapir e Whorf>si
presenta in due aspetti, detti ipotesi.

-Ipotesi forte: la lingua genera il mondo, lo costruisce in senso fattuale. Esempio: le lingue che presentano genere
grammaticale generano mondi in cui c’è un genere sociale fortemente demarcato. Critica>Il relativismo linguistico nella
sua ipotesi forte crea un mondo fatto di monadi, incomunicabilità

-Ipotesi debole: fulfulde lingua dei fulde, non ha nessun genere grammaticale e non ci sono nemmeno i pronomi
personali (c’è solo quello di terza persona). Nonostante questo c’è una fortissima demarcazione di genere sociale.
L’ipotesi forte viene abbandonata però per l’ipotesi debole Una comunità che ha una lingua con forte demarcazione di
genere grammaticale percepisce in maniera più netta la demarcazione di genere sociale. Demarcazione linguistica
rinforza quella sociale, cioè rinforza il processo di naturalizzazione (non è un prodotto della storia locale, ma è un fatto
naturale)

Lakoff e Johnson

Teoria della metafora=dispositivo linguistico che viola le norme linguistiche della denotazione collegando fra loro
termini tratti da campi semantici irrelati.

-metafora descrittiva: immagine figurata associata a comportamento/persona... molto efficace

-metafora cognitiva. es. “Il Signore è il mio pastore” primo campo semantico>dominio sorgente-secondo campo
semantico>dominio bersaglio. Metafora compie una mappatura del dominio bersaglio a partire dai termini del dominio
sorgente. A partire dal dominio sorgente (pastorizia) la metafora mappa il dominio bersaglio (la divinità). Nella
comunità pastorale nessun denotativo è adeguato per esprimere le caratteristiche della divinità, quindi si ricorre a
elementi culturali dell’attività quotidiana, che è quanto c’è di più profondo all’interno della comunità: in questo caso
l’essere pastore. La metafora cognitiva consente quindi la conoscenza di una certa realtà. La pastorizia è un fatto sociale
totale

Le metafore cognitive sono comprensibili solo attraverso un’immersione esperienziale (devo entrare nel mondo
pastorale di una certa comunità), utilizzano elementi di contesto irrelati rispetto al bersaglio.

Le metafore cognitive si possono rovesciare, creando l’implicazione metaforica>Io sono una pecora.

Bororo, popolazione brasiliana nel mato grosso.

Karl von den Steinen nel 1894 annota per la prima volta il fatto che questa popolazione ripeta spesso la frase: “Noi
siamo arara rossi!”

Lucien Lévy-Bruhl “Le funzioni mentali delle società inferiori”, in cui è formulata la generalizzazione secondo cui
società non occidentali sono immature nei loro processi ragionativi poiché confondono la categoria dell’animalità con
quella dell’umanità, sono popoli pre-logici

Christopher Crocker “Mio fratello il pappagallo” articolo del 1975. Dopo aver passato molti mesi nel mato grosso
all’interno di alcuni villaggi bororo, intuisce che la frase “Noi siamo arara rossi” è una metafora e cerca di capire il
campo semantico che la genera.

-Non si può trascurare il sistema di credenze, che per i bororo è incentrato sullo spirito vitale impersonato della
rigogliosità della foresta amazzonica (vitalità della foresta=elemento spirituale impersonato), che è manifestato dalle
piume colorate del pappagallo arara.

-Una terza fibra che emerge è il modo in cui sono fatte le famiglie, che sono matrilineari. In tutti i matrilignaggi
conosciuti all’epoca il marito abita con la sorella, tranne che fra i bororo dove il marito/papà biologico vive con moglie
e figli ma non rappresenta l’autorità bensì questa appartiene al fratello della donna, questo tipo di residenza si chiama
uxorilocale.

-quarta fibra: tutte le case possiedono una gabbietta con arara, con cui la famiglia ha quindi un rapporto quotidiano

> “Noi siamo arara rossi!” è una battuta. Noi è riferito ai soli uomini, che si paragonano agli arara perché stanno in casa
ma non comandano perché lo fa il cognato e al contempo sono molto amati dalla famiglia.

Popolazione Zafimaniry, zona centro settentrionale del Madagascar, mille metri di altezza nella foresta di montagna

Praticano agricoltura itinerante. Marcel Bloch: antropologo francese esperto di studi del Madagascar. Fa campo, quindi
sta con loro per molto tempo e si accorge che gli Zafimaniry spesso vivono momenti di ammirazione del paesaggio e
Bloch era invitato a unirsi a loro. Annota così l’uso della parola malalaka=chiarità, associata all’orizzonte. Malalaka è la
condizione per cui si vede molto lontano perché il cielo è terso e quindi la percezione di spazio è ampia tanto da poter
indicare tutte le vette montuose in lontananza.
-Malalaka> percezione sensoriale di un particolare ambiente in un particolare momento, è positiva, vi è quindi un
posizionamento di carattere estetico.

-Quando un uomo è un galantuomo in malagascio si dice “è chiaro” onorabilità, rispettibilità (valore sociale, concetto
astratto dell’onore) etimologicamente legato alla parola malalaka

-guarirsi dopo una malattia si dice “chiarirsi” cioè riacquisire nuovamente malalaka dentro di sé (concetto di guarigione
che è ampio e profondo in quanto implica corpo, mente, pensiero ecc.)

>>Malalaka quindi è un condensato d’esperienza, un intreccio di fibre

>concetti culturalmente importanti possono essere espressi con il linguaggio della concretezza sensoriale, ma anche i
sensi sono un prodotto storico culturale in quanto saldati a categorie estetiche.

A questo punto si riprende Matisse>Antropologia dell’arte

>quello dell’antropologo non è un approccio intraestetico (cioè non si limita ad analizzare elementi formali) ma cerca di
cogliere elementi ulteriori, cioè cerca di cogliere il sentimento della vita che i fenomeni artistici esprimono.

- “L’arte come sistema culturale” di Geertz.

Primo esempio: linea nell’arte yoruba. La nettezza, il rigore della linea, presente sui vestiti, tappeti, trucchi sul viso che
si chiamano scarificazioni cioè cicatrici fatte perché non possano più essere cancellate, sono fenditure. Qual è il
sentimento della vita dietro il simbolo della linea? Gli yoruba associano la linea alla civilizzazione/umanizzazione “Il
mio paese è civilizzato” = “La nostra terra ha linee sul volto”. “Yoruba artistic criticism” di Thompson. La linea ha una
grande potenza espressiva perché la linea significa strada, cioè il modo in cui i villaggi possono comunicare tra loro.
Linea=strada=possibilità di comunicare.

 Espressione estetica> elemento trasversale, universale perché presente in tutte le società. Rappresenta i modi di
mettere insieme suoni, colori, materiali
 Percezione estetica>sentimento della vita, vissuti emozionali del fruitore. Essa stessa è frutto di elementi
individuali e anche sociali (=socializzazione a cui l’individuo singolo è esposto). Non è universale ma è un
dato eminentemente culturale, emico

->non universalità delle categorie estetiche, che sono un prodotto storico

Secondo esempio: scultura kalabari della Nigeria

Queste sculture sono il nome di uno spirito, cioè il nome che si immanentizza nell’oggetto>il nome che si fa forma.
Allora ogni scultura chiama a sé lo spirito di cui è nome cosicchè lo spirito possa insediarsi dentro l’oggetto e lo
riconosca come suo nome. La scultura allora si anima. Può capitare che la scultura non sia in grado di richiamare lo
spirito di cui è nome. Nella lingua kalabari non si può esprimere il concetto di una scultura bella o brutta ma una
scultura buona o cattiva (giudizio di carattere etico e non estetico)>è buona quando riesce a richiamare lo spirito giusto,
è cattiva quando non ne è in grado.

--ambito dell’artistico e del religioso (sistema di credenze) non sono separabili in maniera netta>anche i fenomeni
artistici sono fatti sociali totali

Pitt-Rivers Museum- Oxford. Parallelamente alla nascita dell’antropologia come disciplina (Tylor) l’Impero britannico
è il più importante impero coloniale del mondo (sotto il regno della regina Vittoria). L’Occidente viene in contatto con
GLI ALTRI. Nascono istituzioni per raccogliere oggetti di altre culture, depredazione, nascita dell’impostazione
evoluzionista all’interno dell’antropologia: all’apice c’è l’Occidente con il regno della regina Vittoria. Nascono i musei
etnografici>Il museo è un dispositivo narrativo, racconta una storia e sceglie la luce, l’esposizione, l’ordine, il
percorso…manipola

Oggi l’antropologia si chiede: E’ possibile restituire? E’ possibile che un museo non cada nella decontestualizzazione
e/o nella cornice della decolonizzazione? globalizzazione, oggetti che circolano…

Londra a fine ottocento era una città rabbuiata, molto inquinata, piena di fabbriche, alienata.
Melville (“Taipi”), Stevenson, Conrad ecc. che si innamorano del nativo su base destorificata, cioè la vita nativa viene
percepita come vita felice e armonica>idealizzata, viene vista come una via di fuga. PRIMITIVISMO o ARTE
PRIMITIVA: all’interno di un’unica forma di classificazione (=arte primitiva) convergono due fenomeni diversi<opere
prodotte da autori occidentali affascinati dalle espressioni estetiche dei nativi (es. Gaugin) e opere prodotte dai nativi
stessi (es. sculture kalabari)>

! Si viene a creare l’illusione ottica che l’arte nativa corriponda all’arte primitiva !

Quindi con arte primitiva noi possiamo intendere solo l’arte di occidentali che si ispirano all’arte nativa ma loro non
colgono assolutamente il senso della vita dei nativi di cui rappresentno nelle loro tele gli abiti o i volti. In antropologia
si parla di ARTE NATIVA in riferimento alle opere prodotte da popolazioni non occidentali (es. arte yoruba o arte
kalabari ecc.)

SISTEMI DI CREDENZE

Credere=profonda esperienza di sé. L’atteggiamento del credere orienta profondamente tutti gli aspetti dell’attore
sociale. “Primitive culture” di Tylor è quasi tutto dedicato alle credenze native (atteggiamento paternalistico di Tylor
nei confronti delle credenze false delle altre popolazioni, considerate ancora poco mature)

Esempio: domanda sul senso del male: perché ci è capitata questa disgrazia?

Secondo la concezione di fine ottocento, cioè l’APPROCCIO OGGETTIVISTA CLASSICO:

ALTRI: pre-moderni, primitivi. Orientano il proprio vissuto dell realtà attraverso il CREDERE. Credenze tutte più o
meno false, magia, irrazionalità. Per rispondere alla domanda si pone come causa l’ira degli spiriti.

NOI: occidentali, moderni, civilizzati. Approccio alla realtà attraverso il CONOSCERE. Conoscenze vere o verificabili,
che derivano dal metodo scientifico, scienza, razionalità. Per rispondere alla domanda si fa un’analisi scientifica delle
cause materiali.

L’approccio oggettivista classico riguardo ai sistemi di credenze si basa su un postulato a priori: le credenze si valutano
in senso oggettivista, e quindi ritenute intrinsicamente false a causa della loro distanza dai prinicipi scientifici della
conoscenza moderna. Gli antropologi oggettivisti danno per scontato che i premoderni si sbaglino perché non sono
ancora civilizzati, sono immaturi ma studiano questo con un atteggiamento molto paternalista, non razzista.

[Saman >sciamano (persona in grado di alterare il proprio stato di coscienza, trip fuori dal corpo). Questo termine
proviene dalla cultura tungusa, in particolare da zona dell’attuale Siberia.]

Questo approccio viene rivoluzionato da APPROCCIO INTERPRETATIVO ai sistemi di credenza. Evans-


Pritchard (1902-1973), lui è un allievo di Malinowski cosicchè può compiere studi etnografici sul campo, come la
ricerca di quasi 4 anni che fece nel Sudan nord-orientale. >Stregoneria, oracoli e magia fra gli Azande,
1937>monografia etnografica che cambia la prospettiva di analisi di credenze.

[P. Winch “Understanding a primitive society”, 1964 saggio scritto a partire dal libro di Evans-Pritchard]

Sistema di credenze zande si fonda sulla stregnoneria, che da un punto di vista emico, quindi all’interno dell’orizzonte
linguistico e culturale della popolazione, si rende con la parola mangu. Mangu può essere usato per un male fisico, ma
anche un male inteso come concetto astratto di male cosmico ecc. oppure appunto male nel senso di
stregoneria=mangu=capacità che una persona ha di influire, in particolare in modo negativo, con mezzi mistici
(invisibili) sulla vita degli altri. Gli Azande allora compiono spesso rituali di consultazione oracolare per verificare che
una situazione negativa vissuta sia effettivamente conseguenza di stregoneria. Ne è un es. l’oracolo del benge (benghe)
o oracolo del veleno, linfa ricavata da una pianta della zona: si va in un luogo appartato e la persona espone il suo
problema all’operatore rituale fino ad arrivare ad un punto in cui la persona pone una domanda finale a cui si può
rispondere solo sì o no. La risposta è associata allo stato fisico del pollo/pulcino>viene posto su una foglia del veleno
benghe e lo si fa inghiottire al pulcino, poi questo viene scosso e messo a terra. Se il pollo vive, allora la risposta è sì. Il
rituale prevede poi una verifica della risposta alla domanda precedente, si pone così un’altra domanda: è vera la risposta
alla consultazione appena fatta? si invertono i sì e no relativi allo stato fisico del pollo. In seguito molte domande
emergono, ognuna di queste avrà una domanda per verificare la veridicità della risposta.
Evans-Pritchard allora pensa di trovarsi di fronte al paradigma dell’irrazionalità e comincia a evidenziare delle
contraddizioni nel rituale. Gli azande gli rispondono che, se ci sono contraddizoni, è perchè l’operatore rituale è
impuro, perché non ha seguito diverse regole di comportamento. E’ una risposta che non può soddisfare il criterio di
razionalità perché questa spiegazione è interna al sistema di credenze zande, i quali credono anche che il mangu sia una
sostanza organica presente dentro la persona che è ereditaria secondo una struttura di parentela patrilineare. La sua
presenza nel corpo può essere verificata tramite un esame post mortem. Un’altra contraddizione a riguardo trovata da
Evans-Pritchard: esame post-mortem positivo al mangu vuol dire che ce l’hanno tutti perchè sono tutti imparentati alla
lontana.

Evans-Pritchard rimane con loro e si rende conto che gli azande sono in realtà perfettamente in grado di cogliere le
cause materiali degli avvenimenti che li colpiscono. Es. crolla un granaio e uccide un uomo. Di fronte a questo evento
gli azande comprendono che il granaio è caduto perché lo hanno mangiato le termiti. >>allora E-P. si rende conto che i
nativi non ignorano i nessi empirici causali e il pensiero zande si basa su due teorie della causalitàMetafora della
seconda lancia (la prima spiega il come si verificano le cose e la seconda spiega il perché)

-prima lancia (come)> causativo in senso deterministico, che prevede però una regressione all’infinito

-seconda lancia (perché)> perché esistenziale, aggiunto dagli azande al perché oggettivo. Per gli azande è importante
capire il motivo per cui sotto il granaio c’era mio fratello e non il tuo (mangu). Il piano è quello esistenziale e si muove
su livello individuale, emotivo. Il come non li aiuta a gestire il dolore. Anche rispondere: è successo per pura casualità,
è il corso della natura, è sullo stesso piano. Risposta affettiva, emotiva, umana.

“Anche qualora tutte le domande scientifiche avessero trovato risposta, i nostri problemi vitali non sarebbero stati
neppur toccati” Wittgenstein

Emerge così il rapporto fra deterministico e stocastico/probabilistico.

Affrontare i sistemi di credenze dal punto di vista delle risposte che danno sul secondo piano di causalità (seconda
lancia) significa applicare un approccio interpretativo. Questa consapevolezza e-p. l’ha trovata in una popolazione
isolata, povera, marginata. A partire da lui non si può più utilizzare il termine di primitivo perché “è stato il mangu” è
uguale a dire “è stato il caso” o “sono sempre i migliori che se ne vanno” ecc.

PARENTELA

Natalia Ginzburg che scrisse “Le piccole virtù” di cui uno dei racconti è I rapporti umani

Antropologia della parentela, la quale poggia sempre sull’affettività, emotività, corporeità perché gli attori sociali sono
persone vive e non possono essere descritte da teorie. “Infelice è il nudo (=povero) ma più triste ancora è la persona
sola” proverbio calabrese. L’antropologia della parentela esiste da tempo e un autore importante che se ne occupò fu
Claude Lévi-Strauss, che lavorò fra i Bororo nel mato grosso ecc.

-ambito delle terminologie di parentela>sistemi di relazioni fra parole (diverse denominazioni dei parenti). Contributo
di Morgan, antropologo/giurista/avvocato americano che fu tra i primi a difendere le comunità native dal governo
americano che voleva piazzare le ferrovie nelle loro terre, veniva chiamato mediatore. Era un evoluzionista (non
razzista ma paternalista e etnocentrico). Morgan mise per la prima volta in evidenza che se sono prese in esame tutte le
terminologie di parentela emergono 2 gruppi (modi in cui si organizzano i termini):

1-sistemi classificatori>il parente consanguineo ascendente (cioè colui da cui io derivo) in linea diretta (mio padre) o
collaterale (fratello di mio padre) ha lo stesso nome=anche per zio si usa la parola padre. Pochi termini che valgono per
persone diverse.

2-sistemi descrittivi>definiscono con singole parole ogni tipologia di parente.

Morgan allora dice: i primitivi adottano sistemi classificatori mentre i moderni civilizzati adottano sistemi descrittivi.
(Pensiero evoluzionistico). A causa di ciò Morgan fu molto criticato

-ambito delle strutture di parentela>sistemi di relazioni fra persone. 2 approcci diversi:

1-Approccio della discendenza, si può raffigurare con una linea verticale. Si chiede chi è figlio di chi, chi è madre di
chi ecc., cioè l’idea che si entri nella microstoria biografica delle persone. Così emergono dei gruppi di discendenza che
possono essere:
 Gruppi di discendenza unilineari detti lignaggi>patrilignaggi (discendenza tracciata per il tramite del padre) o
matrilignaggi (discendenza tracciata per il tramite della madre).
 I lignaggi sono strettamente coesi, possiedono un vincolo molto forte>è l’intero patrilignaggio/matrilignaggio
che possiede quel pezzo di terra ecc. Sono detti gruppi corporati, cioè funzionano come un corpo unico.
Un esempio di matrilignaggio sono i Bororo, che in particolare sono uxorilocali (il marito non abita con la
famiglia della sorella ma sta nella stessa casa della moglie e dei figli)>mamma=polo dell’affettività, padre
(zio)=polo dell’autorità, padre biologico=secondo polo affettivo.

Il clan: la linea di discendenza parte dalle singole persone e poi si sfuma e diventa mitica

 Gruppi di discendenza bilaterali detti cognatici>la discendenza è tracciata contemporaneamente per il tramite
della madre e del padre. Ogni singolo individuo si ritiene discendente da una rete di parenti legati sia da madre
che da padre, sono gruppi molto fluidi ed elastici (non corporati).

2-Approccio dell’alleanza, si può raffigurare con una linea orizzontale. Si chiede chi può sposare chi, cioè si interroga
sulle relazioni fra persone non consaguinee ma affini, matrimonio come scambio. (Lévi-Strauss sottolineò l’idea che le
istituzioni matrimoniali si possono intendere come forme di alleanze fra gruppi).

Sistemi:

 Elementari
 Complessi (ci si può sposare con chi si vuole)

L’antropologia ha dato un grosso contributo: ha inventato una forma di rappresentazione grafica basata su simboli
grazie a cui si possono rappresentare tutte le strutture di parenteladiagrammi di parentela.

In molte società la parentela è una modalità molto potente di gestire le relazioni sociali. Quando io penso a “Ilva, mia
nonna” nella mia mente si figurano valori (es. rispetto), sentimenti, aspettative di comportamento da ambo le parti ecc.
Evans-Pritchard diede un grande contributo studiando la società NUER (popolo del sud Sudan, zona ovest Etiopia),
riguardo i quali scrisse la monografia “I Nuer, un’anarchia ordinata”. I Nuer, al tempo di E.P venivano considerati il
paradigma della primitività, perché è una società acefala cioè senza nessuna struttura di potere o comando>senza nessun
tipo di struttura politica. Eppure i Nuer sono organizzati, hanno una struttura di discendenza patrilineare particolare che
si chiama struttura LIGNATICO-SEGMENTARIA, cioè suddivisa in lignaggio massimo, maggiore e minore. funziona
come una fisarmonica, in segmentazioni e fusioni.

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