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Riassunto Storia del pensiero antropologico

Antropologia culturale (Università degli Studi di Genova)

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Storia del pensiero antropologico

Capitolo primo
Concezioni dell'antropologia
• 1. Antropologia ed etnologia:
Il termine «antropologia» deriva dal greco (anthropos, «uomo», e logos, «discorso» o «scienza»).
La parola tedesca «Ethnologie» descriveva non solo gli attributi culturali di differenti gruppi etnici ma anche lo studio delle
differenze culturali. Questo termine è ancora utilizzato, anche se è sempre più frequentemente sostituito dal suo sinonimo
«antropologia sociale» - Stati Uniti.
Ulteriore distinzione tra Volkskunde e Volkerkunde, la prima in riferimento allo studio del folclore e dei costumi, la
seconda è più propriamente la scienza sociale, conosciuta in tedesco anche come Ethnologie, di tipo comparativo e di
più ampio respiro.
Antropologia ed etnologia non sono quindi un solo campo di studio. Oggigiorno è meglio considerarle come centri
d'interesse per la discussione di questioni differenti, il cui oggetto però è definito in riferimento all'opposizione tra ciò che
è culturalmente generale (antropologia) e ciò che è culturalmente specifico (etnologia).
• 2. L'approccio delle «quattro aree».
In America settentrionale la parola antropologia include 4 sotto discipline:
1. antropologia biologica (studio della biologia umana);
2. archeologia (sottodisciplina che comprende le relazioni tra reperti archeologici ed habitat + ricerca di informazioni sulla
struttura della società preistorica e anche ricerca di relazione tra i gruppi e ricostruzione della vita sociale);
3. antropologia linguistica (studio del linguaggio con attenzione alle sue diversità, legata alla prospettiva relativista è nata
all’inizio del 900 con Franz Boas);
4. antropologia culturale (sottodisciplina più grande e include lo studio della diversità culturale, della struttura sociale, la
ricerca di universali culturali, l’interpretazione del simbolismo e problemi a questi collegati).
• 3. Teoria ed etnografia
Etnografia è letteralmente l'attività di scrivere sulle popolazioni, la teoria è il modo in cui conferiamo senso al nostro modo
di pensare antropologico. Teoria ed etnografia si fondono inevitabilmente. E' utile pensare che nella teoria ci siano questi
4 elementi fondamentali:
1) le domande;
2) gli assunti (includono concezioni inerenti a ciò che è comune agli uomini, la diversità culturale ai valori condivisi in tutte
le culture o alle differenze nei valori);
3) i metodi (includono la comparazione);
4) i dati.
Altri 2 aspetti peculiari della ricerca antropologica:
1. osservare la società nel suo complesso (per vedere l’adattamento verso gli altri);
2. esaminare ogni società in relazione ad altre (per trovare somiglianze e differenze).
Correlato ad esaminare ogni società abbiamo bisogno di un quadro di riferimento più ampio di un singolo villaggio e può
comprendere:
1. comparazione tra casi isolati;
2. comparazione all’interno di una regione;
3. comparazione universale.
• 4. Paradigmi antropologici
4.1 La nozione di «paradigma»
La prospettiva teorica (cosmologia o paradigma) definisce le questioni più importanti che coinvolgono un teorico.
Thomas Khun, filosofo, ‘La struttura delle rivoluzioni scientifiche’: I paradigmi sono grandi teorie che contengono al loro
interno teorie più piccole. Quando queste ultime non riescono più a dare un senso al mondo, avviene una crisi, che ha
come risultato o il rigetto del paradigma o la sua incorporazione, in quanto caso speciale, in un altro più nuovo e più
ampio (es: differenza tra la fisica newtoniana e quella einsteiniana).
Prospettive teoriche (evoluzionismo e diffusionismo) in competizione all'interno di ogni quadro di riferimento => forniscono
spiegazioni diverse della stessa cosa, eppure in realtà sono parte della stessa teoria generale ‘Teoria del mutamento
sociale’.
4.2 Gerarchie di livelli teorici: Prospettive diacroniche, sincroniche e interattive
-Prospettive diacroniche (indica la relazione che c’è nel tempo tra le cose):
Evoluzionismo
Diffusionismo
Marxismo (per certi aspetti)
Approcci delle aree culturali (per certi aspetti)
- Prospettive sincroniche (indica la relazione tra le cose nello stesso momento):
Relativismo (compreso «cultura e personalità»)
Strutturalismo
Funzionalismo (per certi aspetti)
Interpretativismo (per certi aspetti)
Struttural-funzionalismo
Approcci cognitivisti
Approcci delle aree culturali (per certi aspetti)
-Prospettive interattive (ha aspetti sia diacronici sia sincronici, i fautori di questo approccio sono coloro che studiano i
processi sociali di tipo ciclico o le relazioni di causa-effetto tra cultura e ambiente):
Transazionalismo
Approccio processuale
Femminismo
Poststrutturalismo

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Postmodernismo
Funzionalismo (per certi aspetti)
Interpretativismo (per certi aspetti)
Marxismo (per certi aspetti)
4.3 Società e cultura
Altro modo per classificare i paradigmi è a seconda del loro interesse principale:
-per la società (in quanto unità sociale): Evoluzionismo, Funzionalismo, Struttural-funzionalismo, Transazionalismo,
Approccio processuale, Marxismo, Poststrutturalismo (per certi aspetti), Strutturalismo (per certi aspetti), Approcci delle
aree culturali (per certi aspetti), Femminismo (per certi aspetti).
-per la cultura (in quanto sistema condiviso di idee, competenze o oggetti): Diffusionismo, Relativismo, Approcci
cognitivisti, Interpretativismo, Postmodernismo, Approcci delle aree culturali (per certi aspetti), Strutturalismo (per certi
aspetti), Poststrutturalismo (per certi aspetti), Femminismo (per certi aspetti).
Le prime questioni di cui l'antropologia si occupò avevano a che fare con la natura della società: come fosse accaduto
che gli esseri umani si unissero l'un l'altro, e come e perché le società mutassero col tempo. Quando l'interesse per la
diacronia fu superato, ci si occupò di come la società è organizzata o funziona. I funzionalisti, gli struttural-funzionalisti e
gli strutturalisti dibattevano tra loro se si dovessero enfatizzare le relazioni tra individui, le relazioni tra le istituzioni sociali,
o le relazioni tra le categorie sociali nelle quali gli individui sono inseriti. Nondimeno erano ampiamente d'accordo sul fatto
che l'interesse fondamentale fosse per il sociale piuttosto che per il culturale. Lo stesso si può dire dei transazionalisti, dei
processualisti e dei marxisti. Il diffusionismo portava in sé il seme del determinismo culturale, spinto all'estremo col
relativismo di Franz Boas.
• 5. Concezioni della storia dell'antropologia:
a) Sequenza di eventi o di nuove idee
b) Successione di periodi temporali
c) Sistemi di idee
d) Insieme di tradizioni nazionali parallele
e) Processo di «agenda-hopping»
La forma che assume la teoria antropologica dipende in realtà da come si guarda alla storia della disciplina.
L'antropologia si sta evolvendo per stadi, vale a dire attraverso una sequenza di eventi o di nuove idee? O forse consiste
in una successione di periodi di tempo più ampi, siano essi stadi di sviluppo o paradigmi kuhniani? Attraversa
trasformazioni strutturali? Si sviluppa attraverso correnti d'influenza, divergenti e convergenti, tra tradizioni nazionali
distinte? O si può considerare la storia della disciplina essenzialmente come un'agenda-hopping?
Ciascuna di queste 5 possibilità è un punto di vista legittimo sulla storia dell’antropologia.
La sua preferenza sono le ultime due dove la prima rappresenta l’antropologia nei suoi aspetti conservatori, la seconda in
quelli più anarchici.

Capitolo secondo
Precursori della tradizione antropologica
Dal punto di vista della «Storia delle idee» antropologiche gli scritti degli antichi filosofi e viaggiatori greci, storici arabi,
viaggiatori europei, medievali e rinascimentali, sono tutti precursori plausibili.
La sua scelta cade sul concetto di «contratto sociale» e sulla percezione della natura umana, della società e diversità
culturale che emersero da tale concetto. Un altro punto d’inizio potrebbe essere ‘l’idea di grande catena dell’essere’ che
definiva la posizione della specie umana come intermedia tra Dio e gli animali (precedente della teoria dell’evoluzione).
• 1. Diritto naturale e contratto sociale
Durante il tardo Rinascimento e l'Illuminismo forte interesse riguardo alla condizione naturale dell'uomo. Tuttavia
credenza nell'esistenza di creature al confine tra l'uomo e la bestia.
Affinché l'antropologia nascesse, era necessario che si superasse questo genere di fantasie tipiche di resoconti di
viaggio.
1.1 Il diciassettesimo secolo:
Ugo Grozio, ‘De jure belli ac pacis' (1625): Riteneva che le nazioni del mondo fossero parte di una società transnazionale
soggetta alla ‘legge di natura’. La basa della società era nella natura socievole dell’uomo. Egli sosteneva che le stesse
leggi naturali che reggono il comportamento degli individui all'interno delle loro rispettive società reggono anche le
relazioni tra società in pace e in guerra.
Samuel Puffendorf, (socialitas=socialità) lavorava in Germania e Svezia: Egli credeva che società e natura umana
fossero in un certo senso indivisibili, poiché gli esseri umani sono per natura esseri socievoli.
Thomas Hobbes in Inghilterra nel frattempo rifletteva sull'inclinazione naturale nell'uomo, non tanto a formare società,
quanto a perseguire il proprio interesse; individui razionali riconoscevano la necessità di doversi sottomettere ad
un'autorità per ottenere pace e sicurezza. Le società quindi si formavano con il consenso e l'accordo comune (il
«contratto sociale»)
John Locke, in Inghilterra: il consenso al contratto sociale non implicava totale sottomissione, ma era necessario per
risolvere le dispute.
1.2 L’Ottocento

J. J. Rousseau: Nel suo saggio, ‘Il contratto sociale’, attacca Grozio negando che il potere sia istituito a beneficio di chi è
governato.
Per Rousseau il governo e contratto sociale sono cose diverse. Il governo derivò dal desiderio che i ricchi avevano di
proteggere le proprietà che avevano acquisito. Il contratto sociale, al contrario, si basa sul consenso democratico.
La teoria del contratto sociale presumeva una divisione logica tra «stato di natura» e «stato della società» e i suoi
sostenitori descrissero quasi sempre la sua nascita come originata da un gruppo di persone allo stato di natura che si
riuniscono e si accordano per formare una società.
Oggi moltissimi antropologi accetterebbero l'idea che non è possibile separare il «naturale» dal «culturale», perchè
entrambi sono intrinseci all'idea stessa di umanità.
• 2. Definizione di umanità nell'Europa del diciottesimo secolo

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Un certo numero di importanti questioni antropologiche fu posto per la prima volta in forma moderna durante l'Illuminismo:
cosa definisce in astratto la specie umana, cosa la distingue dagli animali, e qual è la condizione naturale degli esseri
umani? Su tali questioni l'attenzione si concentrò su 3 forme di vita:
-i «ragazzi selvaggi» e le «ragazze selvagge», trovati soli nei boschi e a cui si insegnavano le «maniere civili»;
-gli «Orang Outang» (primati), interessante il dibattito tra Lord Monboddo e Lord Kames. Kames diceva che le differenze
tra culture erano così grandi che si potevano considerare le popolazioni come specie distinte; Monboddo estese il
concetto di umanità fino ad includere coloro che non parlavano (compreso Orang Outang);
-i «Selvaggi» (abitanti indigeni di altri continenti).
Rousseau: inizia il ‘Saggio sull'origine della disuguaglianza’ con due tipi di diseguaglianza:
-Diseguaglianza naturale ( differenza tra persone di forza e intelligenza);
-Diseguaglianza artificiale (disparità all’interno della società).
Secondo lui i vizi umani sorsero solo dopo che gli uomini avevano iniziato a formare società e a sviluppare le
diseguaglianze artificiali che la società implica.
Adam Smith tentò di affrontare due dei propali problemi di Rousseau: origine del linguaggio e sviluppo dell’importanza
della proprietà privata.
• 3.Il pensiero Sociologico e antropologico
3.1 Tradizione sociologica.
Distinta dall'interesse romantico per i ragazzi selvaggi era la tradizione sociologica:
Mentre Lévi-Strauss sostenne una volta che Rousseau era il fondatore delle scienze sociali, Radcliffe-Brown concesse
quest'onore a Montesquieu; e lo stile delle successive tradizioni strutturalista e struttural-funzionalista devono molto,
rispettivamente, al razionalismo di Rousseau e all'empirismo di Montesquieau.
All'alba del diciannovesimo secolo il conte Saint-Simon e successivamente il suo allievo Auguste Comte, proposero
concezioni che combinavano l'interesse di Montesquieu per una scienza della società col desiderio di incorporarla in un
quadro di riferimento che comprendesse anche la fisica, la chimica e la biologia: vediamo emergere la disciplina che
Comte chiamò sociologia. Il campo della sociologia che Comte proponeva comprendeva le idee di Montesquieu, Saint-
Simon e di altri autori francesi, e anche gran parte di quello che sarebbe stato più tardi riconosciuto come un pensiero
antropologico evoluzionista sulla società.
Tutte le scienze sociali, compresa la sociologia, devono le loro origini almeno in parte a quella che nell'Ottocento era nota
come filosofia morale. La biologia moderna prese avvio dall'interesse ottocentesco per la storia naturale. La sociologia in
un certo senso, nacque da un deliberato battesimo da parte di Comte, che la considerava simile alla biologia. Eppure,
mentre è chiaro lo sviluppo della sociologia dalle idee precomtiane, passando per Comte e i suoi successori, non lo è
quello dell'antropologia o dell’etnologia.
Le idee antropologiche furono precedenti sia alla formazione della disciplina sia al suo nome.
3.2 Poligenesi e monogenesi
Si sostiene spesso che i primi anni del diciannovesimo secolo sono un'epoca poco interessante per gli storici
dell’antropologia. L'antropologia così come noi la conosciamo dipende dall'accettazione dell'idea di monogenesi:
controversia tra i monogenisti e i loro oppositori.
Le teorie dell'evoluzione culturale: Monogenesi= una sola origine; Poligenesi = più di un'origine.
Gli evoluzionisti del diciannovesimo secolo, europei e americani bianchi, credevano che tutte le società si fossero evolute
passando per gli stessi stadi: lo studio delle razze «inferiori» avrebbe potuto dire qualcosa sulle prime fasi delle loro
società.
Il campo monogenista era concentrato in due organizzazioni: APS, un'organizzazione per i diritti umani, e la ESL che
nacque dal suo ramo scientifico. Molti dei leader di entrambe erano quaccheri. In quel tempo solo i membri della Chiesa
d'Inghilterra potevano frequentare le università inglesi, così i quaccheri che volevano frequentare le università erano
costretti a uscire dall'Inghilterra. Le loro idee antropologiche derivavano in ultima istanza da Montesquieu. Essi portarono
la sua piccola fiamma monogenista attraverso i giorni bui del dominio poligenista.
Il primo leader dei poligenisti fu Robert Knox. Tra coloro che avanzarono l'ipotesi monogenista vi era in primo luogo J. C.
Prichard: egli riteneva che le razze «inferiori» fossero in grado di migliorarsi.
E' ironico constatare come coloro che prestavano fede alla poligenesi nutrissero un interesse per le differenze tra i gruppi
umani. Mentre i poligenisti chiamavano se stessi «antropologi», la maggior parte dei monogenisti preferiva definirsi col
termine di «etnologi».
Le loro battaglie servirono a formare la disciplina, e significherebbe negare questo fatto fondamentale se ignorassimo e
ricordassimo solo i nostri vittoriosi antenati intellettuali, i monogenisti.
La disciplina comprende sia lo studio di ciò che nella natura umana è comune a tutte le «razze», sia quello delle
differenze culturali tra i popoli.

Capitolo terzo
Il mutamento di prospettive sull'evoluzione
Ci sono 4 grandi filoni di pensiero in antropologia:
-evoluzionismo unilineare
-evoluzionismo universale
-evoluzionismo multilineare
-neodarwinismo
I primi 3 sono approcci gradualisti, denominazione viene da J. Steward, un esponente dell'evoluzionismo lineare.
Il Neodarwinismo si presenta sotto vesti differenti, dalla sociobiologia degli anni Settanta fino ad approcci più recenti che
trattano l'origine della cultura simbolica.
• 1. Biologia e antropologia
Importanti differenze tra la grande catena dell'essere ('700) e la teoria dell'evoluzione (fine '800):

a) il concetto di «evoluzione» possiede un aspetto temporale oltre che spaziale: le cose cambiano o evolvono nel tempo;
b) la concezione classica della grande catena dell’essere si basava sull’idea della fissità delle specie, la teoria
dell’evoluzione, nella sua forma biologica, deriva dalla concezione della mutabilità delle specie: forme inferiori si evolvono
in forme superiori.

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Il confine tra la grande catena dell’essere e l’evoluzionismo non è affatto preciso, ed esistevano opinioni diverse sui
meccanismi del mutamento biologico. Linneo (antievoluzionista).
J.-B. de Lamarck (1809) in ‘Philosophie Zoologique’: suggeriva che ogni linea di discendenza si evolve producendo forme
di vita sempre più sofisticate, ma che le forme più antiche continuano a riprodursi per generazione spontanea. Riteneva
che gli organi migliorano o decadono a seconda se siano o meno usati secondo il loro potenziale. Sosteneva pure che gli
individui acquisivano caratteristiche che potevano essere trasmesse ai loro discendenti (una ragazza che impara a
dipingere in giovane età, può trasmettere questo talento ai figli). L. aveva un'idea di evoluzione, ma ne aveva frainteso il
meccanismo.
Charles Darwin (1859) rifiutò la concezione lamarckiana. Sosteneva invece che l'evoluzione procedeva solo attraverso la
trasmissione dei tratti genetici: meccanismo di evoluzione come «selezione sessuale».
Si può comunque sostenere che la teoria di Lamarck sia sensata. Benché i tratti acquisiti non possano essere trasmessi
nell'utero, nondimeno tratti culturali di nuova invenzione possono essere trasmessi da un individuo all'altro. I nuovi tratti
culturali hanno la capacità di trasformare le relazioni sociali esistenti. Le società divengono più complesse nel corso di
questo processo.
• 2. L'evoluzionismo unilineare: Fine '800.
Concezione secondo la quale esiste una linea di evoluzione dominante: tutte le società passano attraverso gli stessi
stadi. L'evoluzionismo unilineare si basava sull'assunto che le cose accadono e cambiano nello stesso modo in tutte le
parti del mondo.
2.1 Maine, Lubbock e Morgan
-Maine (giurista scozzese con una conoscenza specialistica del diritto romano): Si oppose alla teoria del contratto sociale
sostenendo che la società ha origine nella famiglia e in gruppi di parentela costruiti sulla famiglia: teoria della parentela.
-Lubbock: istituì le «bank holidays».
-Morgan: condusse ricerca sul campo; studiò il sistema di parentela degli irochesi e le loro istituzioni politiche tradizionali;
sviluppò un modello comparativo per comprendere i sistemi di parentela di tutto il mondo. Le sue idee chiave in
antropologia furono riprese da Marx e soprattutto da Engels: proprietà privata come forza motrice dell'evoluzione.
2.2 Matrilinearità e patrilinearità
Nell'Ottocento la maggior parte degli studiosi riteneva che la matrilinearità precedesse la patrilinearità.
-Lubbock: riteneva che la matrilinearità, quando il matrimonio non si era sviluppato era un tempo più comune; con il pieno
sviluppo del matrimonio la proprietà sarebbe stata trasmessa da un uomo a i suoi figli piuttosto che ai figli delle sue
sorelle.
-McLennan sosteneva la matrilinearità per ragioni di lotta per il cibo: portasse all’infanticidio femminile e la carenza di
donne che ne risultò portò alla poliandria. I membri di queste società non potendo determinare il padre giunsero alla
discendenza matrilineare.
-Morgan, a sostegno della matrilinearità, basò la sua tesi sulla terminologia della parentela. Sosteneva che gli abitanti del
Nord America provenissero dall’Asia, la loro comune classificazione del padre e del fratello del padre con un solo termine
di relazione, e quella dei cugini paralleli come fratelli e sorelle, implicava per Morgan un sistema di matrimonio di fratelli
con la stessa donna.
-Bachofen, ‘Il matriarcato’ (1861): Confondeva la matrilinearità (discendenza per linea materna) con il matriarcato
(governo delle madri). La sua teoria anticipò anche alcune più recenti prospettive rivoluzionarie, e in effetti femministe,
sulla «società primitiva».
E' importante ricordare che tutte queste riflessioni erano svolte all'interno del quadro di riferimento dell'evoluzione
unilineare. C'era scarso interesse per la diversità culturale in sé. Per gli evoluzionisti unilineari la diversità culturale era
importante solo come indicatore di differenti stadi di un più grande schema evolutivo. Forse è significativo anche il fatto
che la maggior parte dei protagonisti principali erano avvocati. L'antropologia come la conosciamo oggi ebbe dunque
inizio con il diritto (diritto naturale, contratto sociale, dispute su famiglia e parentela..).
• 3. Le teorie sul «totemismo» (dal 1875)
Negli ultimi venticinque anni del diciannovesimo secolo, benché l'interesse per la parentela rimanesse forte, altri aspetti
della cultura diventarono centri d'interesse. Tra questi c'era la religione, e in particolar modo il totemismo (la
rappresentazione simbolica del sociale per mezzo del naturale). Elementi di totemismo si trovano soprattutto nel pensiero
degli aborigeni australiani.
La parola «totem» è tratta dalla lingua ojibwa. Nel pensiero ojibwa il totem è rappresentato da una specie di animale, e
simboleggia il clan patrilineare; vige una regola secondo cui una donna non può sposare qualcuno che abbia il suo
stesso totem. Concezioni simili si trovano anche in altre culture, ma ci sono delle differenze: ci sono totem individuali, del
clan, della fratria (gruppo clan), della metà, di sezione o sottosezione, territoriali.
Per quanto ampi fossero i disaccordi, quasi tutti i teorici del tempo videro una relazione tra totemismo ed esogamia, e la
maggior parte ritenne che il totemismo si fosse evoluto per primo.
Il primo esempio di «cultura primordiale» si era dunque spostato dai romani di Maine agli aborigeni.
Tra le teorie del totemismo è interessante quella di Sigmund Freud: considerò sia il mito greco di Edipo sia il «complesso
di Edipo» come «memorie» di questi eventi lontani.
• 4. Tylor e Frazer sulla religione «primitiva»
-Tylor: esplorò l'evoluzione della cultura attraverso la dottrina delle «sopravvivenze»: la cultura contemporanea trae
elementi che hanno perso la loro funzione, ma la cui esistenza è testimonianza della loro importanza nel passato. questa
teoria consisteva in uno schema di evoluzione dell'«animismo», una dottrina secondo la quale le anime esistono
indipendentemente dal mondo materiale. Egli segnalò che in ogni società umana esiste la credenza in un'essenza
spirituale che sopravvive alla morte. Egli credeva che il feticismo e il totemismo si fossero sviluppati dall'animismo.
-Frazer (studioso di letteratura classica): Nel suo ‘Il ramo d’oro' tenta di spiegare l'assassinio degli antichi re-sacerdoti
italici, ciascuno ucciso dal suo successore, fondendo mito e storia, etnografia e ragione, costruendo una fantasiosa e
poetica rassegna della psiche umana e dell'ordine sociale.
• 5. L'evoluzionismo universale: Inizi 1900
Nacque da un’attenuazione dei dogmi dell'evoluzionismo unilineare.

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L’esistenza di precise fasi unilineari non poteva più essere sostenuta, furono invece postulate delle grandi fasi
«universali», come la classica distinzione tra «stato selvaggio», «barbarie» e «civiltà». La nuova generazione di
evoluzionisti reagì alla tendenza funzionalista, e specialmente relativista, della maggior parte degli antropologi del tempo.
I principali fautori dell'evoluzionismo universale furono:
-V. Gordon Childe (archeologo australiano): preistoria e storia dovessero essere la stessa disciplina, ma con metodologie
diverse. Scritti: ‘L'uomo crea se stesso’, ‘Il progresso nel mondo antico’. Il primo tracciava evoluzione dalla caccia e
raccolta, alla nascita dell'agricoltura, alla formazione degli stati, alla rivoluzione urbana, alla rivoluzione della conoscenza
umana. Nel secondo si suggeriva che l’Europa si stesse dirigendo verso una nuova età buia.
Le sue teorie furono ampiamente accettate in archeologia, dove l'evoluzionismo universale è una teoria più naturale
dell'umanità di quanto non sia nell'antropologia culturale.
-Leslie A. White (antropologo culturale statunitense): evoluzionista isolato in un mare di relativismo.
Noto per le sue opere teoriche: ‘La scienza della cultura’, ‘The evolution of culture’.
Nel primo propose una concezione della cultura come un sistema integrato, dinamico e simbolico la cui parte più
importante è la tecnologia. La scienza che proponeva, la ‘culturologia’ avrebbe studiato quel fenomeno.
Il secondo rivolse l’attenzione al percorso dell’evoluzione dalla ‘ rivoluzione dei primati’ alla caduta di Roma.
‘L’energia’ è il meccanismo chiave dell’evoluzione culturale. Nella fase antica l’energia esisteva solo nella forma del corpo
umano; in seguito gli uomini sfruttarono fonti come fuoco, acqua, vento. Il progresso nella costruzione di utensili,
addomesticamento di animali e intensificazione dell’agricoltura aumentarono l’efficienza e diedero impulso all’evoluzione
culturale. La versione dell'evoluzionismo di White continuò anche dopo la sua morte grazie al lavoro dei suoi allievi.
Tuttavia con la nascita dell'ecologia culturale la loro concezione diventò più particolaristica e il loro approccio
decisamente più multilineare.
• 6. L'evoluzionismo multilineare e l'ecologia culturale
-Julian H. Steward: Postula l'esistenza di linee diverse di evoluzione culturale e tecnologica a seconda di quale fosse la
regione del mondo.
Scritti: ‘Teoria del mutamento culturale’ (saggio sui cacciatori-raccoglitori).
-George Peter Murdock: sviluppò un approcciò abbastanza diverso, ma ugualmente multilineare ed ecologico, stabilì con
precisione delle correlazioni statistiche tra modelli di residenza postmatrimoniale e tentò di spiegare le ragioni che
stavano a monte, per metterle in relazione statistica con altri modelli, come i mezzi di sussistenza e le terminologie di
parentela. Quando cambiano i modi di discendenza, allo stesso modo dovrebbero cambiare le terminologie di parentela
così si può postulare una relazione causale, ed evolutiva, tra questi elementi della cultura.
• 7. Il neodarwinismo
Comprende due principali scuole di pensiero molto diverse tra loro:
-la sociobiologia (che si pone in continuità con la biologia);
-il pensiero «rivoluzionista» (opposto a un pensiero strettamente evoluzionista, che riprende l'ottocentesca ricerca delle
origini e ritorna perfino all'interesse, tipico dell'Ottocento, per il totemismo e la promisquità primitiva).
7.1 La sociobiologia
-E. O. Wilson: cultura e società umana come semplici appendici della natura animale.
-Robin Fox: aspetti dei sistemi di parentela si trovano anche tra i primati non umani. Questo ragionamento però
contraddice la teoria più diffusa dell'antropologia strutturalista, che segue Lévi-Strauss nell'affermare che il tabù
dell'incesto segna il confine tra gli animali e gli uomini.
-Marvin Harris: attaccò la sociobiologia come riduzionismo biologico.
-Marshall Salins: <Nel vuoto lasciato dalla biologia, trova posto tutta l'antropologia>.
Tuttavia la sociobiologia non ebbe mai successo nel superare l'antropologia: c'erano troppe cose che lasciava inspiegate.
7.2 Tendenze attuali
In Gran Bretagna si stanno stabilendo nuovi legami tra l'antropologia sociale e la linguistica, l'archeologia e la biologia
umana, visto che tutte queste discipline hanno a che fare con la medesima questione.
Esponenti: T. Ingold e Knight. Ingold e altri antropologi ecologici in Giappone e USA stanno cercando di stabilire il confine
tra animali e uomo, Knight sta studiando quello tra umanità presimbolica e il genere umano come lo intendiamo noi:
primo confine basato su fattori come le relazioni sociali, il secondo sugli aspetti affettivi.

Capitolo quarto
Il diffusionismo e le teorie delle aree culturali.
Un presupposto implicito del diffusionismo estremo è che l'umanità non è creativa: le cose si inventano una volta sola, e
poi vengono trasmesse da un popolo all'altro. (Al contrario, l'evoluzionismo classico assume che il genere umano è
creativo; ogni popolazione ha la propensione ad inventare le stesse cose di un'altra, benché esse lo facciano a differenti
velocità).
Teoria delle «aree culturali», aspetto importante della tradizione etnografica di Franz Boas.
• 1. Gli antecedenti del diffusionismo: la filologia, Müller e Bastian
Il diffusionismo ebbe origine all'interno della tradizione filologica ottocentesca, che ipotizzò connessioni storiche tra tutte
le lingue della famiglia linguistica indoeuropea.
1.1 La tradizione filologica: un diffusionismo prima dei diffusionisti?
William Jones scoprì le somiglianze tra il sanscrito, il greco e il latino.
Wilhelm Von Umboldt concentrò il suo interesse sul basco, una lingua europea, ma non indoeuropea. Stretta relazione tra
linguaggio e cultura. Jacob Grim stabilì i mutamenti di suono che distinguono germanico da altre lingue indoeuropee,
Efranz Bopp intraprese lo studio comparato della grammatica indoeuropea. Sono tutte questioni che successivamente
entrarono nell'antropologia col nome di diffusionismo. 

Müller: (legame con l'evoluzionismo britannico) si dedicò al sanscrito, aiutò a diffondere sia l'idea, essenzialmente
evoluzionista, di unità psichica sia quella diffusionista che, oltre alle lingue, anche le religioni dell'antica Grecia e di Roma
erano connesse a quelle indiane.
A. Bastian: diede al mondo un'opposizione teorica che era ben in anticipo sui tempi cioè la distinzione tra «idee
elementari», che consistono in quelli che sarebbero stati poi chiamati «universali culturali» e che nel complesso
costituiscono l'unità psichica del genere umano, e «pensieri del popolo» (o «idee folk») che per contrasto rappresentano

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gli aspetti della cultura che variano da luogo a luogo. Egli attribuì tali differenze all'ambiente fisico e agli eventi casuali
della storia.
La definitiva attenzione per i pensieri del popolo tracciò il sentiero per il diffusionismo.
• 2. Il diffusionismo vero e proprio divenne rilevante alla fine dell'Ottocento.
2.1 Il diffusionismo austro tedesco
F. Ratzel: fu il primo grande diffusionista. Si oppose all'assunto, di Bastian, dell'unità psichica e dove possibile cercò
testimonianze del contatto culturale come causa delle somiglianze tra culture. Sosteneva che i singoli oggetti della cultura
tendessero a diffondersi, mentre gli interi «complessi culturali» si trasmettevano con la migrazione.
La cultura si sviluppava principalmente attraverso migrazioni massicce e la conquista di popolazioni più deboli da parte di
popolazioni più forti, e culturalmente più avanzate. Ratzel mantenne un forte elemento evoluzionista nella sua posizione
teorica.
Evoluzionismo e diffusionismo finirono per essere riconosciute come due prospettive logicamente opposte ma nondimeno
complementari, che dipendevano l'una dall'altra per una piena spiegazione della storia della cultura umana. Ratzel fu
probabilmente il primo a dividere il mondo in quelle che oggi chiamiamo «aree culturali».
Frobenius: ampliò grandemente il suo metodo e la sua teoria. Idea di «cerchi culturali», cioè grandi aree culturali che in
certi casi si diffondono per tutto il mondo e soppiantano quelle che sono esistite prima (per esempio la cultura dell'arco e
della freccia su quella della lancia). Nelle sue ultime opere rivolse la sua attenzione nel paideuma, termine greco che
significa «educazione», l'«anima» di una cultura. Egli aiutò a sviluppare la nozione di «visione del mondo» che avrebbe
dominato l'antropologia americana nella sua fase relativista. Postulò due visioni del mondo: quella «etiopica» e quella
«amitica» opposte l'una all'altra.
Graebner: pose l'accento su forma e quantità come criteri distinti per valutare la possibilità che due culture qualsiasi
fossero storicamente collegate. I suoi tentativi di porre su una base scientifica la ricerca di cerchi culturali geografici
(come quello «tasmaniano», quelli del «boomerang australiano», dell'«arco melanesiano», e il «patrilineare polinesiano»)
e di strati culturali sovrapposti rappresentarono un momento alto nel pensiero diffusionista.
Schmidt: sacerdote cattolico con un interesse particolare per le religioni africane, distinse quattro cerchi culturali di base:
1) cerchio primitivo di cacciatori e raccoglitori;
2) primario degli orticoltori;
3)secondario, un misto tra i due precedenti;
4) terziario, che consisteva in una complessa mistura di tratti di differenti culture appartenenti al cerchio secondario.
Egli ipotizzò che la religione fosse iniziata con un monoteismo primitivo, derivato dalla conoscenza che l'umanità dei
tempi antichi aveva del suo vero Dio => ogni successivo cerchio aveva sviluppato una migliore tecnologia e una miglior
organizzazione sociale, allontanandosi così dalla primitiva religione monoteistica.
• 3. Il diffusionismo britannico
Mentre il diffusionismo regnava in Germania e Austria, in altre parti si introdusse nel pensiero antropologico
principalmente come una limitazione della semplicità dell'evoluzionismo lineare.
Presto la coesistenza di evoluzionismo e diffusionismo sarebbe stata messa in discussione in Gran Bretagna forse
incitata dal crescente pessimismo dopo la morte della regina Vittoria nel 1901 e dalle manovre politiche degli stati
europei, che presagivano la prima guerra mondiale. Il nuovo simbolo di quanto aveva ottenuto l'umanità era l'antico
Egitto, e la degenerazione, più che l'evoluzione, tracciò la traiettoria dei diffusionisti britannici dalla società egizia a quella
vittoriana.
Sir Grafton Elliot Smith e il suo allievo Perry escogitarono la teoria che tutte le grandi cose erano giunte all’ Egitto dei
faraoni e che ogni cultura non era altro che pallida e vestigia di quel luogo un tempo grandioso.
Perry in ‘the children of the sun’ sostiene che l’Egitto fu la fonte dell’agricoltura, dell’addomesticamento degli animali, del
calendario, dell’industria della ceramica, degli insediamenti permanenti e delle città.
La loro posizione estremista è nota come ‘diffusionismo eliocentrico’ (con riferimento al culto del sole degli egizi).
Ma i progressi scentifici dell'arceologia negli anni Quaranta provarono al di là di ogni dubbio che l'Egitto del 4000 a.C. non
sarebbe potuto essere la culla della civiltà umana, e diedero il colpo di grazia al diffusionismo britannico. Intanto anche
l'antropologia americana si era sviluppata, ma avendo come base il diffusionismo austrotedesco piuttosto che quello
britannico.

3.1 Il diffusionismo oggi?
Ampio dibattuto: tra chi privilegia il modello ‘via dall’Africa’ o ‘della sostitiuzione’ e i favorevoli del ‘ modello della continuità
regionale’ dell’espansione umana.
Problema: se le somiglianze tra culture derivino più dalla trasmissione di geni o culture tra popolazioni stanziali oppure
più dalla migrazione di popoli da un luogo all'altro.
Tuttavia il diffusionismo sopravvive, se non altro per idee come quella di «area culturale» e la ‘teoria del sistema-mondo’
o della globalizzazione è altro indicatore che il diffusissimo vive=> forti analogie.
• 4. Approcci delle aree culturali e regionali
Due tipi di approccio delle aree culturali:
1) quello dell'antropologia americana, sviluppatosi dall'approccio austrotedesco;
2) quello della «comparazione regionale», che si caratterizza per la ricerca di cause e regolarità.
4.1 L’approccio delle aree culturali nell'antropologia americana
L'antropologia americana iniziò con la migrazione di Franz Boas, tedesco, e si consolidò per tutto il continente
nordamericano attraverso il lavoro di altri di madrelingua tedesca o comunque di gente che aveva studiato in Germania o
in Austria.
Tra questi, Boas, Lowie, Sapir, e specialmente Kroeber contribuirono a sviluppare la nozione di area culturale.
Da Boas in poi, gli antropologi americani dell'inizio del ventesimo secolo tesero a enfatizzare il particolare rispetto al
generale. In particolare il rifiuto da parte di Boas dell'evoluzionismo, la sua minimizzazione della diffusione, e soprattutto
la sua insistenza sulla raccolta meticolosa di dati etnografici, contribuirono al cambiamento dell'agenda antropologica.
Eppure, alcuni esponenti della sua scuola tornarono alla storia e alla congettura, e con un certo successo.

L’esempio più conosciuto di ‘complesso culturale’ o ‘complesso di tratti’ è di Herskovits: il «complesso del bestiame
dell'Africa orientale» (dove c'è bestiame, ci sono anche il nomadismo, la discendenza patrilineare, classi di età, ricchezza
della sposa...).

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-C. Wissler: il suo maggior contributo fu l'ipotesi delle aree cronologiche, cioè che i tratti culturali tendevano a diffondersi
dal centro alla periferia di ogni area culturale.
Questa ipotesi riunì assieme diffusione ed evoluzione nel quadro di riferimento degli studi sulle aree culturali: l'evoluzione
avveniva al centro di una data area culturale, e la diffusione avveniva dal centro alla periferia.
Questa interazione tra evoluzione e diffusione divenne ancora più evidente quando l'antropologia americana abbandonò il
relativismo estremo di Boas.
-Steward: era l'artefice dell'evoluzionismo multilineare, ma le sue teorie avevano anche un fondamento diffusionista.
Fondamentale è distinguere tra nucleo culturale (determinato tra ambiente e evoluzione) e la ‘cultura totale’ che contiene
elementi della cultura suscettibili di diffusione.
Steward e i suoi seguaci dimostrarono questo principio generale e verificarono i limiti del determinismo ambientale con
studi comparativi. Tutto ciò fu d'aiuto a completare la mappa etnografica e ad accrescere l'interesse per la comparazione
interculturale in quanto obiettivo della ricerca antropologica.
4.2 Comparazione regionale, tradizioni nazionali e tradizioni regionali
3 tipi di comparazione:
-illustrativa: comporta la scelta di esempi allo scopo di fare il punto sulla differenza o sulla similarità culturale.
-globale: comporta il confronto di un campione di società per trovare relazioni statistiche tra caratteristiche culturali, o,
nell'antropologia ecologica, tra caratteri ambientali e culturali.
-controllata: scopo intermedio. Comporta la restrizione del campo delle variabili, limitando le comparazioni all'interno di
una regione. La comparazione regionale è stata prevalente nel lavoro di diversi antropologi appartenenti a diverse scuole
(Frobenius, diffusionista; Steward, evoluzionista; Radcliffe-Brown e Fred Eggan, funzionalisti).
Gli studi olandesi diedero origine a una forma strutturalista di comparazione regionale sono conosciute come campi di
studio etnologico, ciascuno definito da un insieme di caratteristiche (nocciolo strutturale). Nelle Indie orientali olandesi un
nocciolo strutturale comprendeva, per esempio, un sistema di matrimonio in cui il lignaggio della moglie è di status
maggiore di quello del marito.
Tra i maggiori esponenti di questa teoria: Josselin de Jong; 40 anni dopo: l'antropologo sudafricano Adam Kuper, con
l'Africa come area d’interesse. Sia per l'abbondanza di dati etnografici recenti sia per la comodità di fare confronti tra
società strettamente connesse, è possibile che la tendenza verso gli studi regionali continui. Ulteriore tendenza: le
«tradizioni regionali» in etnografia.
Quindi sia le caratteristiche culturali delle regioni stesse sia gli interessi di quegli antropologi che vi hanno lavorato
aiutano a fissare l'agenda dei nuovi studiosi che si preparano a svolgere ricerca sul terreno.

Capitolo quinto
Funzionalismo e struttural-funzionalismo
-Funzionalismo è la prospettiva che ha a che fare con le azioni degli individui, i limiti imposti agli individui dalle istituzioni
sociali e le relazioni tra i bisogni individuali e la soddisfazione di tali bisogni attraverso quadri sociali e culturali.
-Struttural-funzionalismo si preoccupa meno delle azioni e dei bisogni individuali e + della posizione degli individui
nell’ordine sociale, o della costruzione dell’ordine sociale stesso (Radcliffe-Brown e dei suoi seguaci e in Gran Bretagna
Evans-Pritchard, Isaac Schapera, Meyer Fortes e Jack Goody).
Il termine ‘strutturalismo britannico’ fu usato negli anni 50 per distinguere la scuola di Radcliffe-Brown da quella di Lèvi-
Strauss e dello ‘strutturalismo francese’.
Quando negli anni 60 una nuova generazione di antropologi britannici si mosse verso Levi-Strauss essi assunsero la
denominazione di ‘ strutturalisti brittannici’. Sia Radcliffe-Brown e Lèvi-Strauss traevano ispirazione dalla sociologia di
Emile Durkheim.
• 1.I precursori evoluzionisti e l'analogia organica.
Radcliffe-Brown colloca il primo punto d’origine dell’antropologia intorno al 1870 (apice del pensiero evoluzionista) e il
secondo al tempo de ‘lo spirito delle leggi’ di Montesquieu 1748.
Gli evoluzionisti (Spencer) consideravano la trasformazione dei tipi di società argomento centrale di ricerca.
Pensava che le società passassero attraverso stadi analoghi a infanzia, pubertà, adolescenza, età adulta, mezza età
e vecchiaia. Egli come Durkheim pensava che esse fossero costituite da parti, ognuna con la sua funzione.
Ritenevano che l’eterogeneità di tali parti aumentasse con l’evoluzione.
Questa prima prospettiva funzionalità cambio all’inizio del XX sec, in parte grazie a Durkheim e alle sue opere che
seguivano un approccio più sincronico, ma in un modo più deciso grazie a Radcliffe-Brown.
Le società hanno strutture simili a quelle degli organismi. I sistemi sociali come la parentela, la religione, la politica e
l'economia, presi tutti insieme costituiscono la società, proprio come i diversi sistemi biologici formano, tutti insieme,
l'organismo.
Una semplice rappresentazione di questa analogia è essenzialmente radcliffebrowniana:
-Sistema di un organismo -> sistema riproduttivo -sistema cardiocircolatorio -sistema digestivo
-Sistema nervoso
-Sistema di una società -> parentela-religione-economia-politica
• 2. La sociologia di Durkheim
La fonte più importante per le idee struttural-funzionaliste è forse la sociologia di Durkheim.
Dopo una mediocre carriera da studente e un periodo in cui insegnò filosofia, Durkheim ottenne un incarico universitario
(il primo in Francia in scienze sociali).
Nel 1898 lei e il suo gruppo di studiosi fondarono ‘Année Sociologique’ rivista interdisciplinare che acquisì presto notevole
influenza.Diversi membri diedero contributo alle idee antropologiche, specialmente nell’ambito dell’antropologia della
religione.
In ‘Il suicidio’ 1897 riporta da fonti di archivio che il tasso di suicidio è statisticamente diverso tra cattolici e protestanti, tra
abitanti di campagna e città, sposati e scapoli, giovani e anziani.
Anche i fatti più individuali hanno una base sociale.
In ‘Le forme elementari della vita religiosa’ affronta il tema della religione nelle società «primitive». Nonostante si esprima
ancora con un vocabolario evoluzionista, verso la fine del libro le spiegazioni di D. assumono un sapore maggiormente

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funzionalista man mano che passa dalla credenza al rituale. Nel rituale, sostiene, la gente venera la società stessa, dato
che l'ordine cosmologico è costruito sull'ordine sociale.
D. scrisse ‘Su alcune forme primitive di classificazione’ col nipote e allievo Marcel Mauss, prendono in esame la
questione di come la mente umana classifica, affermando che esiste una stretta relazione tra società e classificazione
della natura. Inoltre ravvisano una continuità tra pensiero primitivo e pensiero scientifico.
La teorie che propongono possiede elementi non solo di struttura-funzionalismo ma anche di evoluzionismo e
strutturalismo(teorie che si basano sul riconoscimento dell’unità psichica dell’uomo).
Le opere di Mauss si rivelarono molto influenti in diverse aree dell'antropologia. Probabilmente, la più importante, e
certamente la più funzionalista, fu il suo «saggio sul dono» 1923 egli sostiene che benchè i doni siano in teoria spontanei,
sono causati nondimeno da un'aspettativa da parte di chi li riceve (è sempre presente un elemento di restituzione) il dono
quindi, non è libero, ma incorporato in un sistema di diritti e obblighi che in ogni società formano la parte della struttura
sociale, e in qualcuna un sistema di ‘servizi totali’.
• 3. Il funzionalismo di Malinowski
Malinowski: la sua posizione nell'antropologia britannica è analoga a quella di Boas in quella americana. Come Boas, si
oppose all'evoluzionismo da tavolino e inventò una tradizione di ricerca sul campo basata sull'uso della lingua dei nativi
nell'«osservazione partecipante».
Nato a Cracovia nel 1884, figlio di un professore di filologia slava, si laureò nel 1908 in matematica, fisica e filosofia con i
voti più alti di tutto l'impero austroungarico. Studiò antropologia alla London School of Economics e poi partì per
l'Australia. Dopo la guerra tornò alla London School of Economics, dove insegnò dal 1922 al 1938. Fu in questo periodo
che la sua influenza raggiunse l'apice.
3.1 Funzionalismo e ricerca sul campo
‘Antropologia malinowskiana’ = metodo di ricerca sul campo -> il calcolo induttivo
-teoria della cultura e degli universali culturali -> teoria scientifica della cultura
Il funzionalismo dello stile di ricerca sul campo di Malinowski non era diverso da quello di Radcliffe-Brown, ma M. era un
ricercatore migliore. Egli incoraggiò lunghi periodi di ricerca sul campo a stretto contatto con gli informatori.
La sua opera più famosa è ‘Argonauti nel Pacifico ‘occidentale (1922), ma straordinario fu anche il suo lavoro sulle
relazioni tra genitore e figlio, che metteva alla prova i punti centrali della psicologia freudiana.
Secondo Malinowski i trobriandesi ignoravano la paternità biologica; il ruolo paterno, quindi, sarebbe stato abbastanza
diverso rispetto a quello esistente nelle società patrilineari. Parecchi anni dopo Radcliffe-Brown e Lévi-Strauss avrebbero
discusso questo sistema classico di relazioni intrattenute da un fanciullo con padre e zio materno.
Ciò che rende il contributo di Malinowski al problema dell'«avuncolato» particolarmente interessante è il fatto che il suo
ragionamento deriva da una profonda comprensione etnografica e questo lo pose in una situazione di vantaggio, almeno
nei confronti di Freud.
In termini più generali Aberri 1957 descrive 3 livelli di astrazione nella teoria malinowskiana delle funzioni.
Nel primo ‘funzione’ denota gli effetti di una istituzione su altre, cioè la relazione tra istituzioni sociali. Il secondo comporta
la comprensione di una istituzione nei termini definiti dai membri di una comunità. Terzo definisce il modi in cui
l’istituzione promuove la coesione sociale.
Malinowski sostiene che una consuetudine è «organicamente connessa» al resto della cultura e che è necessario che il
ricercatore cerchi i «fatti visibili» che governano l'interconnessione tra le diverse sfaccettature dell'organizzazione sociale
=> queste vengono scoperte secondo il «Calcolo induttivo».
3.2 Una teoria scientifica della cultura?
Alla fine della sua vita Malinowski si accinse a riassumere la sua prospettiva, in effetti in un modo assai singolare, spesso
criticato perché troppo evidente o al contrario impenetrabile.Questa rappresenta la seconda delle prospettive per cui è
conosciuto.
Affermò che alla base del suo approccio stavano un insieme di 7 bisogni biologici e le risposte culturali ad esse
connesse.
Dopo aver definito che cos'è la cultura, Malinowski propone:
-Una teoria delle «sequenze vitali» che sono gli elementi fondamentali, di tipo biologico, incorporati in tutte le culture. Tali
sequenze sono 11, ognuna costituita da una ‘pulsione’, un ‘atto fisiologico’ ad esso associato, e un ‘soddisfacimento’ che
è il risultato di tale atto.
-Paradigma in 7 parti: relazione tra sette «bisogni fondamentali» e le «risposte culturali» ad essi corrispondenti.
-Paradigma in 4 parti: quattro «imperativi strumentali» piuttosto complessi e «risposte culturali» ad essi corrispondenti.
-Infine affronta gli «imperativi integrativi» e «la sequenza vitale strutturalmente compiuta»
Nonostante il fallimento di questo tentativo, Malinowski viene ricordato come il fondatore della più grande tradizione di
ricerca sul campo in antropologia, e i suoi metodi sono considerati l'essenza dell'antropologia britannica insieme alla
teoria di Radcliffe-Brown, almeno quanto lo spirito di Boas rimase in quella americana. Malinowski e Boas morirono
entrambi nel 1942, durante la guerra.
• 4- Lo struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown
Alfred Reginald Brown nacque a Birmingham nel 1881, veniva chiamato come Brown l’anarchico a causa dei suoi
orientamenti politici. Conosceva lo scrittore anarchico Kropotkin, la cui visione della società come un sistema
autoregolantesi basato sull’aiuto reciproco e sull’assenza dello stato, anticipò l’interesse di Brown per le funzioni delle
istituzioni sociali.
4.1 Una scienza naturale della società?
Radcliffe-Brown: si pronunciò a favore di una prospettiva comparativa. In quanto induttivista riteneva che un giorno
l'antropologia avrebbe scoperto per mezzo della comparazione «le leggi naturali della società». In quanto empirista
sosteneva che gli antropologi avrebbero dovuto studiare solo ciò che trovavano sul campo. Egli voleva i fatti e il modo più
semplice di connetterli era attraverso lo studio della società come un'unità composta da parti vive e in interazione tra loro.
Tra le opere ricordiamo ‘Natural Science of Society’ ove egli propone l'idea di un'unica e unificata scienza sociale.
Critica l'antropologia di matrice boasiana in quanto ponendo l'accento sulla «cultura» si perdeva di vista la «società». La
concezione che Radcliffe-Brown aveva della cultura era essenzialmente un sinonimo di inculturazione o più precisamente
di socializzazione: un modo di imparare a vivere in società; Radcliffe-Brown non poteva comprendere il desiderio di Boas
di esaltare le differenze tra le popolazioni.

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Tesi: una scienza naturale e teorica della società umana è possibile, ma ce ne può essere solo una di questo genere, che
non esiste ancora se non a uno stadio molto elementare => una soluzione a tutti i problemi che questa scienza presenta
deve dipendere dalla comparazione sistematica di un numero sufficiente di società di tipo sufficientemente diverso =>o
sviluppo di tale scienza dipendeva, allora, dal graduale miglioramento del metodo comparativo come strumento di analisi.
L’enfasi posta sulla comparazione in quanto procedura oggettiva fu importante. Lodò i suoi predecessori evoluzionisti per
gli aspetto oggettivi delle comparazioni e rifiutò l’oggettività relativista dei suoi contemporanei USA.
4.2 Funzione, struttura e forma strutturale
Redcliffe-Brown (1922) nello studio sugli abitanti delle Isole Andamane pone l’enfasi sulla funzione sociale dei rituali e
loro valore per la società piuttosto che quello per ogni singolo individuo/membro (implicazioni sia sincroniche che
diacroniche dell'analogia organica ereditata da Durkheim e Spencer).
Attacca l’affermazione di un critico secondo cui c’è un conflitto di interessi di tipo ‘storico’ e interessi di tipo ‘funzionale’.
C'è un'opposizione tra storico e sociologico, ma essi non sono in conflitto, rappresentano solo due modi diversi di studio.
Egli pone l'accento sugli aspetti sincronici (sociologici), cioè sul modo in cui determinate istituzioni «funzionano»
all'interno di un sistema sociale, piuttosto che il modo in cui cambiano nel tempo.
La struttura sociale ha a che fare con delle osservazioni, mentre la forma strutturale ha a che fare con la generalizzazione
(es. delle conchiglie).
Critiche a Radcliffe-Brown:
1) crea confusione usando le espressioni «forma strutturale» per indicare ciò che gli altri avevano di solito chiamato
«struttura sociale» e «struttura sociale» per intendere quello che gli altri chiamavano semplicemente «i dati».
2) più grave invece è che R.B. sembrava affrontasse le cose procedendo a rovescio. Si può giungere a leggi universali e
generali solo partendo da premesse logiche, come hanno ripetutamente dimostrato studi strutturalisti come quello di Lévi-
Strauss.
Meriti: aveva ragione riguardo agli aspetti di base dell'antropologia. Tutta la ricerca antropologica ha a che fare con le
relazioni tra cose. Le diverse interpretazioni (evoluzionisti, strutturalisti, interpretativisti.) si distinguono le une dalle altre
solo nel modo in cui si cercano le connessioni, nel tipo di connessioni e nelle analogie che usano allo scopo di spiegarle.
Esempi tratti dall'opera di Radcliffe-Brown: la terminologia di parentela e il totemismo.
4.3 Struttura semantica o struttura sociale?
Ci sono 3 punti di vista sui termini di parentela:Le formulazioni attribuite a Krober, Rivers e Radcliffe-Brown.
-Kroeber: le terminologie di parentela riflettono non la società ma quella che egli chiamava la «psicologia», che si
occupava in modo specifico delle proprietà formali del pensiero umano, ed egli anticipò Lévi-Strauss nel considerarle
soprattutto come opposizioni binarie.
Suggerì che queste proprietà formali o ‘principi di classificazione’ potessero avere implicazioni sociali, ma negò che ci
fosse una connessione tra la terminologia stessa e le implicazioni sociali dei principi ‘psicologigi’ soggiacenti.
Le proprietà formali che definì erano:
• Generazione,lineare o collaterale;
• Età relativa all’interno di una generazione;
• Sesso del parente;
• Sesso del parlante;
• Sesso della persona tramite la quale è tracciata la relazione;
• Parente di sangue o parente grazie al matrimonio;
• Condizione di vita della persona attraverso la quale è tracciata la relazione (viva o morta, sposata o non sposata).
-Rivers: La terminologia di parentela deriva direttamente dai fatti sociali e sosteneva che essendo conservativa tendeva a
riflettere fatti sociali antichi e spesso estinti (diversamente da ciò che sosteneva Kroeber). Poteva essere utilizzata come
una ‘archeologia linguistica’ per comprendere i mutamenti storici nelle organizzazioni sociali.
Rivers rappresentava l'ultimo degli evoluzionisti classici benchè egli avesse già annunciato la sua conversione al
diffusionismo.
Radcliffe-Brown rifiutò la pretesa di Kroeber, ma rifiutò anche quella di Rivers (di cui fu allievo), che rappresentava solo
antichi fatti sociali. Per lui la sua importanza consisteva nella relazione con fatti sociali esistenti: la terminologia, ha una
connessione con la società contemporanea. La sua enfasi sulla classificazione contemporanea a scapito della
speculazione storica è rimasta nell'antropologia fino ad oggi.
4.4 Due teorie del totemismo
Il primo contributo di Radcliffe-Brown sulla materia è intitolato ‘La teoria sociologica del totemismo’ (1929), dove cerca di
spiegare in che modo gli aborigeni australiani classifichino il mondo, in particolare in che modo classifichino le persone in
quanto membri di gruppi sociali. Concorda con Durkheim che i totem svolgono la funzione di esprimere la solidarietà di
clan, ma è in disaccordo con lui riguardo alla relazione tra specie e rituale.
Infatti secondo Radcliffe-Brown una specie è scelta per rappresentare un gruppo perché è già importante nel rituale e il
totemismo è uno speciale sviluppo del simbolismo della natura.
Totemismo australiano caratterizzato dalla relazione tra 4 cose:
• gruppo locale patrilineare (orda);
• totem (animali, piante, sole);
• luoghi sacri all’interno del territorio;
• esseri mitici che avevano reso sacri quei luoghi.
Egli ne identifica le relazioni, senza però collocarle in un suo quadro di riferimento.
Nel suo secondo saggio sul totemismo, ‘The comparative Method in Social Anthropology’ (1951); in questa teoria non si
occupa solo del moto in cui gli aborigeni classificano gli uomini in quanto membri di gruppi sociali ma anche di come
classificano gli animali in quanto membri di una specie e della relazione tra questi sistemi di classificazione.
Radcliffe-Brown anticipa Lévi-Strauss nella comparazione di società diverse tra loro e nell'enunciazione di una «legge
generale» basata sulla nozione di opposizione strutturale. Questo schema si addentra nella struttura ‘cosmologica’.
Entrambi finiscono col chiedersi: Perchè questa particolare specie? Quale relazione simbolica tra le specie? che
relazione di parentela? Perchè sia in Australia sia in Nord-America? E' forse perché c'è qualcosa di simile tra gli indigeni
che abitano questi contino esiste un principio generale, o modello, che è impresso nella mente umana? E' forse un
esempio conscio di un universale che si colloca a livello inconscio? Se questo è quello che pensava Radcliffe-Brown nel

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1951, allora era andato ben oltre il suo paradigma ‘struttural-funzionalista’ ed era nel campo dello strutturalismo
‘lévistraussiano’.
• 5. L'influenza di Malinowski e di Radcliffe-Brown
Sia Malinowski sia Radcliffe-Brown richiedevano ai loro allievi di essere leali. Insieme persuasero praticamente ogni
antropologo del Commonwealth che i vecchi interessi dell’antropologia, riguardanti l’evoluzione e la diffusione, non erano
più aree adatte alla ricerca. La maggior parte degli antropologi in Gran Bretagna, e molti in America, seguirono la linea di
Radcliffe-Brown.
La loro concezione dell'antropologia era che essa dovesse completare i dettagli dell'etnografia; fare generalizzazioni
riguardo a particolari società e compararle ad altre società, scoprendo il modo in cui il sistema sociale funziona, senza
fare congetture sul passato, eliminando l'enfasi sull'azione individuale e soprattutto, mettendo insieme i pezzi per vedere
come gli elementi della struttura sociale funzionassero gli uni in relazione agli altri.
La maggior influenza di Malinowski fu in Gran Bretagna, specialmente nel consolidamento della tradizione dell’
‘osservazione partecipante’.
L'influenza di Radcliffe-Brown era maggiore in Sud Africa e in Australia (diversi antropologi «britannici» erano in realtà
sudafricani per nascita ed educazione) ma raggiunse anche l'India. L'antropologia «inglese» sudafricana, grazie a Isaac
Schapera e Monica Wilson (allievi di Malinowski) e altri, si sviluppò fino a diventare una importante forza intellettuale.
R.-B. ebbe influenza più come insegnante che come scrittore.
Il contributo effettivo maggiormente associato allo struttural-funzionalismo è la ‘teoria della discendenza’.
Evans-Pritchard e altri seguaci di Radcliffe-Brown sostennero che i gruppi di discendenza patrilineare o matrilineare
localizzata formano la base di molte società, in particolar modo in Africa. Tuttavia quest'idea fu contestata, sia per mezzo
del confronto con un'idea opposta, la ‘teoria dell’alleanza' di Lévi-Strauss, sia per mezzo di verifiche empiriche.
R.-B. si oppose con gran forza all'essere inserito tra i ‘funzionalisti’ insieme a Malinowski, alla cui teoria dei bisogni
biologici e delle risposte culturali si oppose esplicitamente. Tuttavia, in qualche caso, si diede l'etichetta di ‘funzionalista’
anche alla sua opera.
Per un certo tempo questa ‘antropologia funzionalista’ divenne una «scuola» nonostante i suoi orpelli scientifici e le
relazioni ambivalenti tra i suoi fondatori -> anche se nessuno oggi si dichiara funzionalista, qualcosa di funzionalista resta
per quanto riguarda la ricerca sul campo e la comparazione antropologica, nonostante le sfide aperte dagli approcci più
recenti.

Capitolo sesto
Le prospettive centrate sull'azione e gli approcci processuali e marxisti
Dagli anni Cinquanta in poi si tentò di allontanare l'antropologia dai paradigmi formali e centrati sulla società,
specialmente lo struttural-funzionalismo, verso altri più individuali e centrati sull'azione (transazionalismo, scuola di
Manchester, derivazioni processuali dello strutturalismo compreso E. Leach).
Le idee più antiche sui processi sociali e culturali comprendono le teorie sociologiche di Simmel e Weber, alcune acute
osservazioni di Kroeber sui ‘modelli e processi culturali’ e l'influente studio di A. Van Gennep sui ‘riti di passaggio’ (anche
questo venne ripreso da Leach e Turner).
Le relazioni tra strutture, processi ed eventi storici vengono dibattute tra Sahlins e Obeyesekere sulla morte del capitano
Cook.
R. Lee e E. Wilmsen discutono sull'economia politica del Kalahari.
Nel frattempo una rivoluzione marxista era riuscita a distogliere molti studiosi da interessi funzionalisti e strutturalisti
portandoli al marxismo.
Lo status del marxismo in antropologia è tuttavia ambiguo: esso comprende aspetti di molte altre posizioni teoriche:
l'evoluzione della storia, il diffusionismo, il funzionalismo, in parte il relativismo ma possiede anche elementi strutturalisti
in aree tradizionali come gli studi sulla parentela. Le femministe marxiste si sono distinte nell'equiparare coscienza di
classe e coscienza di genere, e il marxismo ha un legame con il poststrutturalismo per via del suo interesse con le
relazioni di potere.
Sembra a questo punto opportuno collocare il marxismo tra gli approcci processuali, poiché questa è l'associazione più
stretta sia dal punto di vista del periodo storico (anni Settanta) che da quello del campo del dibattito.
Negli ultimi dieci anni il marxismo sta attraversando una fase di declino come paradigma dominante dell’antropologia.
• 1. Approcci centrati sull'azione e prospettive processuali
1.1 Le radici sociologiche
Tra i sociologi che hanno influenzato le idee antropologiche ci sono Weber e Simmel.
-Georg Simmel: era un filosofo tedesco e autore di trattati sulla defferenziazione sociale,sulla filosofia della storia, del
denaro, della moda, letteratura, musica e in generale di trattati di estetica. Di approccio formalista e fortemente teorico,
ma dava grande importanza all'individuo. Introdusse l'idea di ‘effetto reciproco’ (che anticipava la teoria di Mauss sul
‘dono’). L’idea è che il sociale esiste quando due o più persone interagiscono tra loro, e quando il comportamento di uno
è visto come risposta al comportamento dell'altro (relazioni diadiche).
-Max Weber: era un economista tedesco fondatore di una delle tre grandi tradizioni sociologiche (gli altri furono Marx e
Durkheim). La sua fama è dovuta a ‘l’etica protestante e lo spirito del capitalismo’ (1905).
Derivò alcune sue concezioni da Simmel, e tra i due era il più formalista.
Sviluppò la nozione antiempirista di ‘idealtipo’ (gli idealtipi sono necessari a comprendere i singoli eventi in un sistema
sociale). L'azione sociale dovrebbe essere l'interesse centrale della sociologia.
Pose enfasi sulla nozione di ‘spirito’ dentro la società (Geist).
Sostiene che il calvinismo e il capitalismo moderno hanno lo stesso ‘spirito’ e quindi i paesi calvinisti contribuiscono allo
sviluppo di economie di tipo capitalista. Contribuì ai primi dibattiti sulla ‘natura della comprensione’ e nei suoi scritti prese
in considerazione i valori, l’oggettività e le relazioni casuali. Le sue idee furono riprese dagli antropologi compresi quelli
della scuola di Manchester negli anni Cinquanta, dai transazionalisti e dagli interpretativisti e ancora oggi influenzano
l'antropologia.
1.2 Le radici antropologiche
All'interno della tradizione boasiana il mutamento sociale e culturale fu oggetto di osservazioni:
Per Kroeber la stabilità della moda dipende dalla stabilità sociopolitica.

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Il tradizionalismo ha le sue radici nel funzionalismo di Malinowski:


Il suo successore Firth pone l'accento sull'importanza dell’’ organizzazione sociale’ (ruoli) piuttosto che su quella della
‘struttura sociale’ (posizione occupata dalle persone).
Lewis è in disaccordo con Redfield circa le regole normative che governano il comportamento sociale.

Il mutamento sociale finì per essere considerato la norma e le dinamiche sociali un oggetto di studio dotato di dignità
propria ed apparvero di conseguenza nuove prospettive che si concentravano direttamente sul mutamento.
Ma dagli anni Cinquanta gli antropologi iniziarono ad esaminare le lacune presenti nei paradigmi che avevano ereditato, e
ad adattarli perchè non fossero in disaccordo con le loro scoperte etnografiche: dalla scuola di Manchester ai dibattiti tra
Leach e Friedman o tra Sahlins e Obeysekere.
1.3 Il transazionalismo
-Friedrik Barth: norvegese formatosi a Cambridge. Ha adottato un approccio che mette al primo posto l'azione sociale, la
negoziazione dell'identità e la produzione di valori sociali attraverso la reciprocità e il decision-making.
La posizione dei leader dipende dal mantenimento della fedeltà dei seguaci ottenuta attraverso un gioco continuo che
oscilla tra conflitto e coalizione. Sviluppa queste idee in ‘Models of social Organization’ (1966). Ha dimostrato di essere
un pensatore coerente e i modelli barthiani si sono rivelati validi specialmente nello studio dell'etnicità e del nazionalismo.
-Ladislav Holy: africanista anglocecoslovacco. Era interessato alla relazione tra modelli folk, regole normative, e la
creazione delle rappresentazioni. Altri transnazionalisti importanti furono Strathern, Boissevain, Bailey e Kapferer:
Ognuno di essi ha introdotto nel paradigma la sua personale inclinazione teorica. Il transnazionalismo quindi non è mai
diventato una «scuola di pensiero», ma rimane un potente strumento analitico che è possibile utilizzare in combinazione
con altri.
• 2. La scuola di Manchester
Era composta da un gruppo unito di studiosi che si erano formati soprattutto a Oxford, e poi trapiantati a Manchester e in
Rhodesia del Nord.
-Max Gluckman: forte interesse per il mutamento sociale e per la relazione tra la vita «tribale» e quella «urbana».
Intraprese lo studio dell'azione sociale, delle differenze tra regole e comportamento, delle contraddizioni nelle norme
sociali, dell'anatomia del conflitto, e dei mezzi per ridurre i conflitti. Esaminò le relazioni tra stabilità e cambiamento, il
modo in cui si mantiene l'ordine in società senza Stato, e il ruolo del conflitto nella creazione dell’ordine.
Su questo problema si espresse in modi diversi in diverse pubblicazioni, ma in ‘Costom and Conflict’ dice che tagliare i
legami di fedeltà rafforza l'ordine sociale e la coesione sociale è un risultato dello stesso conflitto.
-Victor Turner: Conosciuto per le sue ricerche sul simbolismo e sul rituale degli ndembu, popolazione dell'odierno Zambia.
Il suo ‘Schism and Continuità in an Africans Society’ (1957) è definito un lavoro di importanza centrale per comprendere
le principali correnti di pensiero, gli orientamenti e gli interessi empirici della scuola di Manchester.
Il libro è costruito intorno all’idea di «dramma sociale», una concezione derivata dagli studi di Van Gennap sui riti di
passaggio.
Nel processo rituale, i partecipanti attraversano una fase liminale (confine) caratterizzata da quella che Turner chiamò
‘communitas', cioè un campo «non strutturato» della «struttura sociale» dove la posizione normale degli individui è
capovolta o i simboli che la esprimono sono invertiti.
Gluckman e Turner erano uniti da un interesse per l'Africa centrale, ma mentre Gluckman era rivolto al funzionalismo del
passato, Turner si rivolse agli interessi strutturalisti per le relazioni sistematiche tra gli aspetti simbolici della cultura.
Nella scuola era presente anche il marxismo (Gluckman e altri avevano dichiarate simpatie comuniste).
• 3. Gli approcci marxisti
Negli anni 60 emerge la scuola marxista che ebbe influenza specialmente in Francia e Gran Bretagna, Sud Africa, India,
Canada, Scandinavia e America Latina. Per ovvie ragioni politiche l’impatto fu minore negli USA.
3.1 I concetti chiave dell'antropologia marxista
Il concetto più importante dell'antropologia marxista è quello di «modo di produzione» basato sulle idee espresse da Carl
Marx nel primo volume del ‘Capitale’ (1867).
Barry Hindess e Paul Hirst definiscono un modo di produzione come una «combinazione articolata di relazioni e forze di
produzione» strutturata dal predominio delle relazioni di produzione.
Il «pluslavoro», secondo il loro punto di vista, si trova in tutte le società, ma differenti società «se ne appropriano» in modi
diversi.
Le «relazioni e forze di produzione non possono essere definite indipendentemente dal modo di produzione in cui sono
combinate».
Su un altro fronte, Marx operò una distinzione tra base o struttura e la sovrastruttura.
‘Base’ consiste negli elementi di una formazione sociale che sono strettamente connessi alla produzione.
La ‘sovrastruttura’ consiste in cose più lontane dalla produzione, come il rituale e le credenze religiose.
Può certamente esistere una connessione tra produzione e religione, ma non è così diretta come quella che per esempio
esiste tra produzione e politica.
La concezione marxista di sovrastruttura somigliava a quella di Steward di «cultura totale». Un'ulteriore distinzione
comune nell'antropologia marxista è quella tra «centro» e «periferia».
La periferia è uno dei luoghi coinvolti da decisioni prese al centro (es: produzione dei contadini per la distribuzione e il
commercio con il centro). Il ‘ centro’ è il luogo in cui si esercita il potere.
Negli anni Settanta e Ottanta crebbe l'interesse per la riproduzione della società attraverso processi che coinvolgevano la
tecnologia e il lavoro e per l'articolazione di differenti modi di produzione.
3.2 Lo strutturalismo marxista di Godelier
Mentre gli antropologi politici non marxisti hanno spesso sostenuto l'esistenza di una linea evolutiva, i marxisti hanno
sempre enfatizzato l'importanza delle relazioni economiche nella determinazione delle strutture politiche. I marxisti
strutturali consideravano fondamentale la sovrastruttura.
-M. Godelier: Fu il membro più importante di questa scuola. Il suo approccio derivava, oltre che dal marxismo, dallo
strutturalismo, benchè il suo principale interesse negli anni Settanta fosse la descrizione e l'analisi dei modi di
produzione.
Lo strutturalismo marxista di Godelier si basava anche sull'ecologia culturale (in comune con essa aveva la ricerca della
comprensione delle relazioni tra ambiente, tecnologia e società). L'approccio di Godelier aveva anche molto in comune

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con il funzionalismo (entrambi consideravano le qualità sincroniche e funzionali del rituale, dell'organizzazione del
lignaggio). Persino gli antropologi economici furono influenzati da questa tendenza.
-M. Sahlins: ‘L’economi dell’età della pietra’ (1972).
Ripudiò successivamente la tradizione dello strutturalismo marxista perché dava troppo poca enfasi alla cultura e di
conseguenza possedeva poca capacità analitica se voleva spiegare il funzionamento delle società precapitalistiche.
-M. Harris: Il suo «materialismo culturale», etichettato poi come «materialismo volgare», cercava di ridurre la cultura a
forze puramente materiali.
Harris sosteneva che persino i tabu religiosi, come quello che vietava di cibarsi delle vacche in India, avevano un
fondamento materiale quindi i limiti ecologici prevalgono su tutti gli altri, e la cultura è essenzialmente un prodotto di forze
materiali.
3.3 Il marxismo «del lavoro e della terra» di Meillassoux
C. Meillassoux: era critico nei confronti dello strutturalismo di Lévi-Strauss. Distingue tra società in cui la terra è oggetto
del lavoro e società in cui è strumento di lavoro.
Per lui è più importante il controllo sui mezzi di riproduzione (cioè sulle donne), che non il controllo sui mezzi di
riproduzione per sé.
Critiche: egli sembra confondere la nozione di riproduzione biologica con quella di riproduzione sociale; inoltre
ironicamente sembra considerare le donne soprattutto come riproduttrici di forza lavoro piuttosto che come lavoratrici o
produttrici. Il suo marxismo contiene forti elementi funzionalisti e si basa ampiamente sulla tecnologia in quanto modo di
produzione determinante. Sostiene che il capitalismo non distrugge i modi di produzione precapitalisti, ma li mantiene
piuttosto in «articolazione» con il modo di produzione capitalistico.
3.4 L’economia politica e la teoria della globalizzazione
Una terza scuola di pensiero, tuttora influente è quella dell’economia politica derivata in parte dall’approccio ‘sistema-
mondo’ di Wallerstein e dalle concezioni sul ‘sottosviluppo’ di Frank.
A differenza delle altre scuole marxiste, quella dell'economia politica mette l'accento sulla storia. Si oppone anche alla
concezione di «articolazione» di Meillassoux.
-I. Wallerstein: concezione di un «sistema mondo» che lega le economie delle società più piccole alle potenti economie
capitalistiche dell'Occidente e dell'Estremo Oriente.
Le relazioni diseguali dato che le une traggono benefici a spese delle altre.
Relazione tra «globale» e «locale» è diventata un interesse diffuso anche all'interno dell’antropologia.
Il problema è che il punto di vista dell'economia è lontano dalle persone che dovrebbero esserne l'oggetto. Non c'è
dubbio che il sistema mondo capitalistico abbia avuto un impatto globale negli ultimi secoli e che tale impatto sta
aumentando.
In termini marxisti, o evoluzionisti, il sistema capitalista rappresenta uno stadio evolutivo nel quale un tipo di società
domina le altre.
Dibattito: sarebbe più utile prendere in considerazione anche l'impatto dei legami commerciali preistorici?
• 4. Tre dibattiti etnografici
Tre sono i dibattiti principali sviluppati nell’ambito dell’antropologia processuale e marxista.
4.1 Friedman contro Leach: l'economia politica dei kachin
-Edmund Leach: era un intellettuale eccentrico.
Dopo aver studiato ingegneria, fu allievo di R. Firth e svolse ricerca sul campo in Sri Lanka, in Birmania e in altri paesi.
E’ ritenuto uno dei primi che riuscì a ribellarsi al funzionalismo ed a introdurre lo ‘ strutturalismo francese
nell’antropologia. Tuttavia, come Turner, egli si espresse in favore di un approccio misto che riuniva processo e struttura
in quanto costituenti della vita sociale.
In ‘sistemi politici birmani’ pose l'attenzione sulle diverse sistemazioni strutturali nei sistemi di parentela e politici di due
gruppi di clan strettamente connessi (quello gumlao: sistema egalitario, cioè il matrimonio avviene secondo un criterio
circolare; quello gumsa: ipogamico, in cui cioè le donne si sposano verso il basso della scala sociale; e un terzo sistema
influiva, quello degli shan: ipergamico, cioè le donne si sposano verso l'alto).
Ciò che gli interessava non era il comportamento medio kachin, ma il rapporto tra il comportamento kachin reale e ideale.
Tuttavia il suo intento non fu ben compreso.
-Jonathan Friedman: nel suo modello, della più semplice nozione marxista di base e sovrastruttura, si ha un più
complesso modello a quattro elementi: l'ecosistema, che limita le forze produttive, che limitano le forze di produzione, che
a loro volta dominano sia sull'ecosistema che sulla sovrastruttura.
Relazioni tra economia, parentela e religione sostenendo che il surplus produttivo porta a più festeggiamenti e più mogli
che comportano acquisizione di prestigio e nascita di figli e il capo del lignaggio conduce a maggiori prestazioni e dunque
a maggior surplus.
L'egalitario sistema gumlao si evolve in un tipo gumsa attraverso una combinazione sequenziale di fattori ambientali,
economici, parentali e religiosi. Tuttavia Leach era scettico sulla lettura marxista che Friedman aveva fatto del suo lavoro.
4.2 Wilmsen contro Lee: storia ed etnografia del Kalahari
-Edwin Wilmsen: archeologo e antropologo influenzato dal marxismo.
-Richard Lee (antropologo ecologico e marxista) e altri avevano descritto le relazioni tra i boscimani e gli allevatori di
bestiame di lingua bantu, ma avevano ridotto la loro importanza inserendole in un contesto di mutamento sociale.
Il vero problema era quando finisce la «vita tradizionale» e inizia il «mutamento sociale»?
-Lee dà per scontata la caccia e raccolta come modo di vita di base e adattivo, un assunto che suona come un anatema
nei confronti dei revisionisti più estremi. Dà anche per scontato il fatto che le società boscimane siano rilevanti unità di
analisi.
-Wilmsen sostiene che l'economia politica del Kalahari è la migliore unità di analisi. L'apparente isolamento dei boscimani
osservati da Lee e da altri, sostiene, è un prodotto del dominio dei bianchi sull'Africa meridionale.
I tradizionalisti come Lee pongono l'accento sulla continuità e l'integrità culturale dei boscimani, eredi di un antica
conoscenza ambientale indigena, di tecniche di caccia, pratiche di parentela, credenze religiose, etc.
I revisionisti come Wilmsen riducono l'importanza di questi aspetti in favore di una maggiore preoccupazione per
l'integrazione delle strutture politiche ed economiche dell'Africa meridionale considerate nel loro complesso.
Entrambe le parti rivendicano una discendenza intellettuale da Marx.

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4.3 Obeysekere contro Sahlins: la morte del capitano Cook


Il terzo dibattito riguarda un problema storico: perché il 14 febbraio 1779 i guerrieri hawaiani uccisero il capitano Cook al
suo ritorno in quelle isole?
-Sahlins assume un punto di vista essenzialmente strutturalista e sostiene che il capitano Cook fu vittima di un equivoco
sulla sua identità e di un sacrificio rituale.
Cook arrivò per la prima volta al culmine delle celebrazioni annuali in onore del Dio della fertilità ‘Lono’.
Secondo Sahlins gli hawaiani lo scambiarono per Lono e gli tributarono grandi onori.
Poco dopo partì per la spedizione ma una tempesta lo obbligò a tornare indietro e il suo ritorno avvenne in quello che era
per quel Dio il momento dell’anno sbagliato. Era in vigore un tabù, con il cambiamento del ciclo rituale, e il re si era
trasferito nell’interno.
La ricerca del re portò ad alcune scaramucce tra i marinai e gli abitanti e questo costituiva un’inversione del rituale e Lono
doveva morire.
-Obeysekere, antropologo della religione originario dello Sri Lanka rifiuta il ragionamento di Sahlins in quanto è un mito
imperialista occidentale. Egli sostiene che gli hawaiani trattarono Cook come un capo, non come un Dio. Cook era un
«civilizzatore» che si trasformò in un «selvaggio» quando la sua spedizione fallì. Come Sahlins, Obeysekere è
interessato alle relazioni tra cultura e processi storici, ma il centro d'attenzione è completamente differente.
Obeysekere si concentra sulla cultura Occidentale e sul processo di colonizzazione e esplorazione mentre l’attenzione di
Sahlins è rivolta alla cultura e al processo rituale degli hawaiani.
La posta in palio in questa discussione non è semplicemente il fatto storico, nè il modo in cui interpretare le
testimonianze.
Il punto difficile di tutto il discorso è doppio: ha a che fare in primoluogo con l'opposizione tra «noi» e «loro», che O. sta
cercando di spezzare, e in secondo luogo con la questione di chi possa parlare a nome di chi. E' O. una «voce indigena»
legittima? In effetti questo è il dibattito antropologico di sempre: Può l'antropologia fornire una comprensione oggettiva
delle altre culture e della loro azione sociale, o è forse destinata per sempre a un'implicita soggettività che dovrebbe
essere resa esplicita?

Capitolo settimo
Dal relativismo alla scienza cognitiva
Melford Spiro [1992] uno dei numerosi critici del relativismo culturale contemporaneo, ne definisce tre tipi:
1)Il relativismo descrittivo: “La cultura regola il modo in cui gli uomini percepiscono il mondo” -un corollario di
quest'affermazione è che la variabilità culturale produrrà una differente comprensione culturale e psicologica a seconda
della popolazione.
2)Il relativismo normativo: si spinge un passo oltre. Non esistono criteri universali di giudizio tra le culture.
-Il relativismo cognitivo riguarda le proposizioni descrittive: in termini di verità e falsità, tutte le asserzioni sul mondo sono
culturalmente contingenti, e di conseguenza, asserzioni non culturalmente contingenti sono semplicemente impossibili.
-Il relativismo morale ha a che fare con le proposizioni valutative, esso assume che i giudizi etici ed estetici devono
essere formulati nei termini di valori culturali specifici piuttosto che universali.

3)Il relativismo epistemologico: assume come suo punto d'avvio la più forte versione possibile del relativismo descrittivo.
Esso combina una posizione estrema di determinismo culturale con la concezione che la diversità culturale sia
praticamente illimitata. (è importante distinguere tra determinismo culturale generico e particolare). I relativisti
epistemologici sostengono che la natura e la mente umana sono culturalmente variabili e quindi sia le generalizzazioni
sulla cultura sia le teorie generali della cultura sono ingannevoli.
-Franz Boas fu il primo grande relativista descrittivo in antropologia;
-Lee Whorf, suo seguace, abbracciò un relativismo cognitivo;
-Clifford Geertz, un relativismo epistemologico: antropologia contemporanea.
• 1. Franz Boas e la nascita del relativismo culturale
Il relatismo culturale classico fu il paradigma dominante nella prima metà del xx secolo.
I suoi addestri posero l’accento sulla ricchezza di culture che a quel tempo erano ritenute primitive e in molti utilizzarono
l’ideologia relativista per prendere posizione contro il razzismo e il fanatismo nazionalista.
Altri svilupparono le loro idee studiando le relazioni tra linguaggio e cultura, mentre altri affrontando aspetti psicologici
della cultura.
Nato in Westfalia nel 1858. Conseguì il dottorato di ricerca a Kiel nel 1881 e si dice che la sua ricerca di dottorato, che
verteva sul colore dell'acqua, lo portò direttamente ad interessarsi alla soggettività della percezione. Giunse pertanto a
comprendere l'importanza della cultura come forza determinante della percezione, e di conseguenza rifiutò l'implicito
determinismo ambientale di partenza.
Insegnò alla Columbia University di New York e il suo dipartimento divenne il centro della ricerca antropologica negli Stati
Uniti. Si oppose all'evoluzionismo in base all'assunto che il compito dell'antropologo dovrebbe consistere nell'acquisire
un'esperienza di prima mano sulle altre culture e non nello speculare sul passato.
Si oppose anche all'idea della superiorità razziale e culturale, di matrice evoluzionista.
In ‘The Mind of Primitive Man’ (1911) sostiene che la «razza bianca» non è intellettualmente superiore, ma solo più
avvantaggiata rispetto alle altre «razze». Rifiuta completamente ogni fondamento della cultura su base biologica.
Secondo il suo punto di vista il linguaggio è indipendente dalla razza e la cultura è ancora più indipendente.
I popoli diversi sono primitivi o avanzati a seconda di quello che si prende in considerazione => è inutile inserire un'intera
cultura nelle categorie di «primitivo» o «civilizzato».
Egli scrisse molto e in un inglese molto chiaro. Scrisse pochi libri, preferendo i brevi articoli (più di 600).
Morì di collasso il 21 dicembre 1942, durante un pranzo ufficiale tenuto in suo onore, mentre pronunciava le sue ultime
parole: «ho una nuova teoria della razza». Morì tra le braccia della persona seduta accanto a lui, il grande strutturalista
francese Claude Lévi-Strauss.
• 2. Cultura e personalità
Quello per la cultura è stato l'interesse astratto a cui l'antropologia americana è stata fedele da Boas a Geertz.
Kroeber e Kluckhohn citano + di 100 definizioni di cultura, dividendone quelle antropologiche in 6 gruppi:
1. descrittive (basate sul contenuto);

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2. storiche (pongono l’enfasi sulla tradizione);


3. normative (enfatizzano le regole);
4. psicologiche (riguardano l’apprendimento o la risoluzione di problemi);
5. strutturali (hanno a che fare con i modelli);
6. genetiche (cultura come prodotto dell’essere umano o ciò che manca agli animali).
Ma la definizione più conosciuta è quella descrittiva di Tylor: la cultura è «il complesso unitario che include la
conoscenza, la credenza, l'arte, la morale, le leggi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro
della società».
-Ruth Benedict: Fu la prospettiva più importante che emerse nell'ambito antropologico. Nel suo ‘Modelli di cultura’ (1934)
è evidente l'influenza di Boas, ma diede maggior enfasi agli aspetti psicologici.
Sosteneva che, proprio come la poesia avrebbe dovuto essere analizzata nel suo contesto culturale, anche gli aspetti
della cultura si sarebbero dovuti considerare alla luce della cultura nella sua interezza. Nel suo saggio compara 3 popoli:
gli zũni del New Mexico (studiati anche da Ruth Bunzel, Frank Cushing e da altri); i kwakiutl dell'Isola di Vancouver
(studiati da Boas); i dobu della Melanesia.
Giunse alla conclusione che ciò che è un comportamento normale in una cultura non lo è in un'altra. Persino gli stati
psicologici sono culturalmente determinanti. Eppure la sua premessa, che la cultura determina sia ciò che è ritenuto il
comportamento corretto sia ciò che è considerato un normale stato psicologico, rimane una delle più forti asserzioni del
relativismo in antropologia.
-M. Mead: una quasi coetanea di Benedict che studiava negli anni Venti alla Columbia University, e che pubbicò i suoi
primi lavori sul tema addirittura prima di lei.
Clyde Kluckhohn altra figura ben conosciuta, applicò le idee di Benedict sugli aspetti psicologici della cultura nelle sue
etnografie sui navajo. Negli ultimi vent'anni la loro opera è stata messa sotto tiro, specialmente quella di Mead sulla
presunta libertà sessuale delle adolescenti di Samoa. Mead aveva rilevato che a Samoa il sesso prematrimoniale senza
legame affettivo era considerato normale, che l'adolescenza non era segnata da stress emotivo, e che la ribellione
adolescenziale non esisteva, e che quindi essa non è il risultato necessario dei fatti biologici della pubertà. Benchè i suoi
scritti fossero meno espliciti di quelli di Benedict riguardo alla «personalità», nondimeno Mead divenne la rappresentante
più famosa della scuola di «cultura e personalità». La sua opera segnò il punto d'origine dell'antropologia psicologica così
come la conosciamo oggi.
• 3. Pensiero primitivo?
Le persone che vivono in culture diverse pensano in modo diverso? E se così, alcuni modi di pensare sono più primitivi di
altri? Può il pensiero primitivo essere equiparato al «pensiero razionale», o è diverso?
La nozione di pensiero primitivo nasce alla fine del XIX secolo.
3.1 L’antirelativismo di Lévy-Bruhl:
-Levy-Bruhl: filosofo delle scienze sociali, francese.
Rifiuta la nozione di unità psichica e sostenne che il pensiero primitivo era qualitativamente diverso dal pensiero logico.
(pensiero primitivo=prelogico). La sua natura prelogica è definita dalla presunta assenza di una separazione tra causa e
effetto.
Benché Levy-Bruhl fosse un esponente della scuola dell’ Annèe sociologique’ e per certi versi funzionalista, le sue
concezioni erano evoluzioniste e anti-relativiste.
Scrisse sei libri sul pensiero primitivo.
In ‘Les fonctions mentales dans les societès inferieurs’ divise il pensiero umano in due sole categorie: «mentalità
primitiva» e quella di «mentalità superiore».
Il «primitivo» pensa a sufficienza in modo logico nelle situazioni quotidiane, ma non è in grado di pensare logicamente in
astratto. Secondo lui il «pensiero primitivo» è diverso dal pensiero logico anche perché è il prodotto di un pensiero
collettivo, non individuale.
Allo stesso modo di Durkheim e Mauss, L.-B. si oppose all'idea che si potesse ridurre l'azione collettiva alle azioni di un
certo numero di individui, o tutta una cultura alle idee di ciascun individuo che ne fosse membro.

Negli ultimi anni della sua vita subì un'importante trasformazione; egli non abbandonò la concezione della mentalità
primitiva, ma cambiò la sua definizione in modo significativo: Non è la logica a essere diversa, ma la conoscenza: le
culture non differiscono per genere, ma solo per grado.
3.2 Il relativismo linguistico di Whorf
Benjamin Lee Whorf: un ingegnere chimico e antropologo linguistico dilettante appartenente alla tradizione boasiana.
Prima di Boas si pensava che le lingue fossero tutte molto simili.
I boasiani dimostrarono che questo non è vero. Le lingue inuit e amerinde sono molto più complesse del greco o del
latino. Whorf ipotizzò che le persone che parlano tali lingue hanno modi diversi di guardare il mondo rispetto a quelle che
parlano lingue più semplici come l'inglese.
L'«ipotesi Sapir-Whorf» suggerisce che non ci sono due sole forme di pensiero, la «nostra» e la «loro», ma una
molteplicità di forme, ciascuna associata alla lingua di chi pensa in tale forma; anche se fu incline a parlare di due esempi
principali che possono essere considerati fenomeni tipici di modelli più ampi: i pensieri come sono espressi nella lingua
inglese (più astratti) e quelli espressi nelle lingue degli indiani americani (più concreti).
Somiglianze e differenze tra Lévy-Bruhl e Whorf: entrambi compresero l'effettiva complessità della grammatica delle
lingue dei cosiddetti popoli «primitivi». Il punto in cui sono significativamente diverse è la loro interpretazione di tale
fenomeno. Per Lévy-Bruhl il modo di pensare «primitivo» è assenza di pensiero astratto, mentre per Whorf proprio l'alto
grado di sottigliezza linguistica che le caratterizza, implica abilità nel mettere insieme i morfemi e dunque presenza di
pensiero astratto.
Inoltre, secondo Lévy-Bruhl il linguaggio riflette il pensiero, mentre secondo Whorf i pensieri riflettono le categorie
linguistiche preesistenti. Gli uomini pensano solo attraverso queste categorie e mai indipendentemente da esse.
Whorf però si spinse ancora più in là: sosteneva che la grammatica hopi è più adatta a esprimere idee scientifiche
dell'inglese-> l'inglese suppone due forme cosmiche (spazio e tempo); diversamente la metafisica hopi suppone due
forme cosmiche abbastanza differenti: oggettiva e soggettiva. La prima comprende l'universo fisico e anche il passto e il
presente, mentre la seconda comprende ciò che esiste nella mente, inclusa la Mente dell'Universo stessa, e anche quello
che in inglese caratterizzerebbe il tempo futuro di un verbo.

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• 4. Le critiche a Whorf
Il whorfismo è la risposta? E' facile confutare la sua semplicistica nozione che il linguaggio determini il pensiero: popoli
con una cultura simile parlano a volte lingue molto diverse (es. basco, francese e spagnolo)
-> le idee di W. Pongono un'enfasi eccessiva sulla differenza linguistica -> al contrario, dagli anni Sessanta i linguisti
hanno avuto la tendenza ad enfatizzare gli aspetti universali del linguaggio. ->inoltre, che prove abbiamo che il linguaggio
determini la reltà? Le prove di W. sono interamente deduttive.
4.1 Il dibattito sulla razionalità
Dalla fine degli anni 60 rinascita dell’interesse per il pensiero primitivo o più precisamente per la razionalità tra i popoli
primitivi.
-Sperber: classifica le tradizioni relativiste come o «intellettualiste» o «simboliste».
Gli intellettualisti sostengono che le credenze apparentemente irrazionali non sono dopotutto così irrazionali; piuttosto
sono semplicemente errate. I simbolisti invece sostengono che i miti, i rituali, e così via sono irrazionali solo a un livello
letterale in quanto metafore dei valori morali, o di qualunque altra cosa, essi possono essere perfettamente razionali.
-Gellner: fiero antirelativista. Sostiene che il relativismo e l'esistenza di universali umani non sono incompatibili.
Egli definisce il relativismo come «una dottrina nella teoria della conoscenza che afferma che non esiste una sola verità»
e prende come bersaglio le affermazioni sia del relativismo cognitivo sia quello morale.
Ciò che hanno fatto S. e G è stato dimostrare l'irrilevanza del relativismo. Il fatto che altre culture vedano il mondo in
modo diverso dal proprio, non è, in se stesso, sufficiente per considerare tutte le culture estranee alla propria,
«irrazionali» o esprimenti valide «verità» alternative.
• 5. Verso la scienza cognitiva
Quando l’interesse per gli aspetti linguistici della cultura riemerse negli anni 50, l’enfasi teorica era mutata dal livello
descrittivo (Boas e Sapir) a quello strutturale.
5.1 La semantica strutturale
Prendiamo due esempi tratti del linguista danese Louis Hjemslev: I colori scuri e I gruppi di alberi. I termini per i colori
scuri in gallese sono diversi da quelli in inglese, poiché il gallese ha meno termini.
In modo simile, quando paragoniamo le parole che indicano “albero”,”Bosco'' E "Foresta" in danese, in tedesco e in
francese, vediamo l'assenza di una corrispondenza, anche tra il tedesco e il francese, che hanno lo stesso numero di
termini. Nessun linguaggio classifica ogni cosa. I linguaggi costruiscono il senso costruendo delle strutture, e le culture
fanno la stessa cosa.
5.2 L’antropologia cognitiva
Nel 1954 il linguista americano Kenneth L. Pike pubblica la prima parte di un saggio ‘Language in relation to a unified
theory of the structure of human behavior’. Egli assunse l'idea che ci fosse una relazione tra i suoni (il livello fonetico) e le
unità di suono dotate di significato (il livello fonemico) e postulò una relazione più generale tra ogni genere di unità (livello
etico) e ogni genere di unità dotata di significato (livello emico).
L'etico è il livello degli universali, l'emico è il livello dei contrasti significativi dentro una lingua o una cultura particolari.
Si possono spiegare le distinzioni emiche nei termini di vari quadri o griglie (es: in medicina le malattie, in musica la scala
cromatica, l'albero genealogico). Alcuni relativisti radicali hanno messo in dubbio l'universalità di tali griglie.
In seguito al lavoro di Pike, che ha aperto una strada, gli antropologi hanno tentato di formalizzare la relazione tra le
categorie di emico e di etico. Sono state sviluppate e dibattute complesse metodologie e in parecchi rivolsero la loro
attenzione alla parentela.
Le strutture emiche sono probabilmente più visibili nelle terminologie di relazione che in ogni altro dominio culturale.
5.3 L’etnoscienza
Esistono due filoni abbastanza differenti del pensiero relativista in antropologia. Per comodità essi possono essere
etichettati come la prospettiva modernista e quella postmodernista.
La prima discende dal vecchio interesse per le proprietà formali del pensiero e segue una metodologia formalista
(cercando la forma o il modello nei modi di pensare).
La prospettiva postmodernista rifiuta la metodologia formalista in favore di una interpretativa che si concentra
sull’interazione degli individui e la negoziazione di categorie culturali.
Il filone modernista vivo al giorno d'oggi è l'apice della tradizione whorfiana. I fautori dell’antropologia cognitiva fecero
proprio l’interesse di Whorf per la relazione tra scienza occidentale contemporanea e le visioni del mondo indigeno che
essi studiavano. Chiamarono il loro campo «etnoscienza».
Al giorno d’oggi, ‘etnoscienza’ tende a designare più una specializzazione che una prospettiva teorica (specializzazione in
etnobotanica, etnomedicina, etnozoologia).
-Charles Frake: è il principale proponente dell'etnoscienza. Tiene conto dell'azione sociale oltre ce delle categorie
statiche del discorso etnoscientifico. Entrano in gioco strategie e decision-making.
Ai suoi albori l'etnoscienza era strettamente legata alla linguistica, ma recentemente si è gradualmente spostata verso la
psicologia cognitiva e oggi minaccia di legarsi a interessi non troppo lontani da quelli della scuola di «cultura e
personalità» a cui per lungo tempo è stata associata. Un'approccio che riconosce la validità della scienza ma non di
meno riconosce anche l'esistenza di determinanti sociali e culturali è la prospettiva prevalente nell'antropologia medica:
scopo di illustrare la costruzione culturale, oltre che biologica, dello stress, del dolore, dei disturbi mentali e
dell'epidemiologia -> la diagnosi può dunque variare in base alla cultura prevalente => la cultura è dappertutto – persino
nei «rituali» che i chirurghi eseguono in sala operatoria!

Capitolo ottavo
Lo strutturalismo: dalla linguistica all'antropologia
Il termine «strutturalismo» si riferisce a quelle prospettive teoriche che mettono in primo piano la forma rispetto alla
sostanza. Per uno strutturalista, si giunge al significato sapendo come le cose stanno insieme, e non comprendendo le
cose separatamente.
Ci sono alcune somiglianze tra lo strutturalismo e lo struttural-funzionalismo: entrambi si interessano alle relazioni tra
cose.
Ci sono tuttavia delle differenze importanti:

-Lo struttural-funzionalismo trova l'ordine all'interno delle relazioni sociali.

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-Gli strutturalisti invece sono in genere interessati alle strutture di pensiero tanto quanto lo sono alle strutture sociali.
-Lo struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown Si basava principalmente sul ragionamento induttivo (si parte dai dati).
Si parte dai dati e si vede quali generalizzazioni si possono fare su di essi.
-Gli strutturalisti spesso utilizzano un metodo che è in primo luogo deduttivo (basato su certe premesse). Essi
preferiscono prima stabilire le possibilità logiche, e poi vedere come la «realtà» vi si adatta.
per un vero strutturalista non c'è altra realtà eccetto le relazioni tra cose.
-Lévi-Strauss si è interessato sia alla logica interna di una cultura sia alla relazione che tale logica intrattiene con strutture
che stanno al di là della cultura.
Anche se Lévi-Strauss è il più famoso e il più tipico tra i pensatori strutturalisti, il pensiero strutturalista ha un campo
d'applicazione più esteso: se lo strutturalismo francese di Lévi-Strauss è caratterizzato da un interesse per la struttura di
tutte le possibili strutture, lo strutturalismo olandese si concentra principalmente sull'analisi strutturale regionale, quello
britannico pone maggiormente l'attenzione a società particolari.
• 1. Saussure e la linguistica strutturale
Ferdinand de Saussure: linguista svizzero, è probabilmente lo strutturalista più importante.
La teoria per cui è conosciuto non è tuttavia quella sulla quale egli scrisse.
1.1 Saussure e il suo «Corso»
Nato a Ginevra nel 1857. Studiò in questa città e a Lipsia e insegno filologia a Parigi.
In vita egli fu conosciuto per i suoi studi comparativi e storici sui sistemi vocalici indoeuropei. Alcuni suoi lavori sembrano
preannunciare lo strutturalismo. Come il suo contemporaneo Durkheim, anch'egli si collocava simultaneamente nel
campo diacronico e in quello sincronico – in effetti inventò questa distinzione.
Nelle sue lezioni anticipò Boas, Malinowski e Radcliffe-Brown nel porre l'accento sugli elementi sincronici e relazionali
dell'oggetto studiato.
In ‘Corso di linguistica generale’ 1916 si segna la prima messa in rilievo dell'analisi strutturale e sincronica nello studio del
linguaggio. Esso rappresenta anche la fondazione della semiologia o semiotica (lo studio del significato veicolato dai
«segni») e l'alba dello strutturalismo.
Sausure nel ‘Corso’ si occupò esplicitamente del linguaggio naturale. Infatti parla in modo sprezzante dell'uso della
linguistica per ricostruire, per esempio, la storia razziale e il corredo psicologico dei gruppi etnici.
1.2 Quattro distinzioni chiave
Introdusse un certo numero di distinzioni oggi di uso comune sia in linguistica sia nelle scienze sociali:
1) diacronico e sincronico, ‘Langue e parole’ La distinzione tra studio diacronico (la lingua muta nel tempo) e studio
sincronico (la lingua in un particolare momento) della lingua fu il punto in cui egli ruppe in modo più significativo con i suoi
contemporanei. La distinzione tra sincronico e diacronico, per i veri saussuriani, è assoluta.
2) langue («lingua» nel senso della struttura linguistica) e parole («lingua» nel senso delle espressioni).

3) sintagmatico (cioè quelle presenti all'interno di una frase) e associativo (paradigmatico),
4) significante (la parola o simbolo che stanno per qualche cosa) e significato (il concetto per cui stanno la parola o il
simbolo).
Insieme, significante e significato, costituiscono ciò che Saussure chiamò il ‘segno’, la cui caratteristica più importante è
quella dell’’arbitrarietà' ovvero non esiste nessuna relazione naturale tra le proprietà fonologiche di una parola e il suo
significato. La composizione fonetica della parola, in ogni caso, dipende da quale lingua io scelga di parlare. In modo
simile, gli elementi simbolici della cultura traggono il loro significato in conformità con quella data cultura e al contesto.
1.3 Dopo Saussure
Dopo Saussure altri linguisti svilupparono ulteriori idee seguendo le linee da lui suggerite (il centro di questa attività era
Praga). Tra gli altri esponenti della ‘Scuola di Praga’ il principe russo Nikolai Trubetzkoy.
Questi linguisti funzionalisti svilupparono complesse teorie delle relazioni tra le strutture fonologiche. Importante è la
nozione di ‘tratti distintivi’ che sono analoghe a quelli che gli antropologi chiamano opposizioni strutturali o binarie. Per
semplificare i punti fondamentali di queste teorie, si può definire la differenza tra due suoni in una particolare lingua in
base alla presenza o all'assenza di certi tratti (es: p-b, t-d, k-g).
Ciò che in ogni coppia distingue il primo elemento dal secondo è l'assenza di sonorità e la posizione nella bocca.

Il riconoscimento della natura binaria della distinzione sorda-sonora, più il riconoscimento del fatto che tale distinzione è
inserita in un sistema più ampio, è tutto ciò di cui si occupa lo strutturalismo.
I lavori di Lévi-Strauss sulla parentela, il simbolismo, la mitologia, e così via, si basano tutti su principi simili. Alcuni dei
primi capitoli di ‘Anthropologia strutturale’ portano il segno di una forte influenza della scuola di Praga.
• 2. Lévi-Strauss e l'antropologia strutturale
Lévi-Strauss: figlio di un artista, è nato nel 1908. Diventò un apprezzato musicista dilettante, ma la sua formazione
accademica fu in diritto e in filosofia, e personalmente riconosce tra le sue influenze la geologia, la psicologia freudiana e
la teoria marxista.
Nel 1934 egli lasciò la Francia e si trasferì in Brasile per insegnare sociologia e finì con lo svolgre una ricerca etnografica
sul campo tra i bororo. Il contrasto tra il famoso paragrafo finale di ‘Primitive society’ (Lowie 1947) e l’antropologia di Lévi-
Strauss è interessante.
Lowie conclude il suo libro con una descrizione della civiltà come ‘quel miscuglio disordinato di frammenti e pezzi’ e spera
in un giorno in cui ‘il prodotto amorfo’ o la ‘confusione caotica’ saranno inquadrate in uno ‘schema razionale’.
Per Lévi-Strauss l'essenza della cultura è la struttura: le culture particolari esistono come parte di un sistema che
comprende tutti i sistemi culturali possibili.
E' bene ricordare che una parte consistente del suo pensiero discende direttamente dalla tradizione di Durkheim e Mauss
(specialmente da quest'ultimo, il cui ‘Saggio sul dono’ influenzò le sue idee sulla parentela come scambio matrimoniale).
Levi-Strauss era aperto anche a concezioni antropologiche provenienti da altri paesi, specialmente a quella americana di
Boas (che morì tra le sue braccia).
La sua tesi ‘Le strutture elementari della parentela’ fu pubblicata in francese nel 1949 e rappresenta l'antropologia
strutturalista nella sua versione più estrema. A questa seguirono, ‘Tristi tropici’, ‘Il totemismo oggi’, ‘Il pensiero selvaggio’
e infine quattro volumi ‘Mythologiques’ il cui succo è contenuto in ‘Mito e significato’.
2.1 Lo strutturalismo: modelli e idee

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Nel suo senso più ampio lo strutturalismo ha a che fare con gli schemi: i che modo delle cose che a prima vista sembrano
non avere alcun legame siano in realtà parte di un sistema composto da parti interconnesse. Nella teoria strutturalista il
tutto è visto come maggiore della somma delle sue parti (classificate ricorrendo all'idea di tratti distintivi o opposizioni
binarie). La presenza o assenza di un particolare tratto, nella cultura come nel linguaggio, può spiegare molte cose.
Lo strutturalismo, nel suo più «puro» senso lévistraussiano condivide questa concezione con la linguistica strutturale e
anche con l’antropologia cognitiva che si sviluppò in nord america durante gli anni ’50 e ’60 a partire dalla tradizione
boasiana. Il tratto caratteristico del contributo di Lévi-Strauss è stato la ricerca della struttura di tutte le strutture possibili.
In antropologia lo strutturalismo non si interessa solo alla struttura sociale o alla forma strutturale nel senso che questi
termini hanno in Radcliffe-Brown, ma anche alla struttura della idee.
Levi-Strauss in questa sostiene che le strutture sono costruite su una base razionale piuttosto che su una empirica.
E’ quindi interessato alle strutture ideali della società in due sensi:
1. Nel senso di ciò che è nella sua mente;
2. Nel senso di ciò che è nella mente delle persone con cui l’etnografo lavora.
Nella sua concezione è importante che l'antropologo abbia una visione della società in grado di ammettere al suo interno
ogni possibilità logica.
Egli illustra il suo contributo ricorrendo a 3 esempi classici:
1) Le strutture elementari della parentela
2) Il triangolo culinario
3) Il mito di Edipo
2.2 Le strutture elementari della parentela
Nelle sue prime opere Lévi-Strauss era interessato a come le regole del matrimonio incidono sulla struttura sociale e la
creano. La sua teoria dell'alleanza (in opposizione alla teoria della discendenza): Cercò di spiegare i gruppi di
discendenza non come la base della società ma come elementi di relazione di scambio matrimoniale che esistevano tra i
gruppi. Secondo Lévi-Strauss il tabu dell'incesto è l'essenza della cultura, e ha praticamente equiparato questo tabu alle
regole che governano il matrimonio. Ha definito le relazioni fra tutti i sistemi di parentela, in parte esplorando la natura dei
strutture «elementari» (cioè quelle che hanno regole di matrimonio positive) e in parte ricorrendo al modo in cui i dettagli
etnografici di strutture «complesse» (che hanno regole di matrimonio negative) possono essere viste come un riflesso di
principi «elementari» della parentela.

Era interessato al ‘sistema dei sistemi’ che comporta tutte le possibilità logiche, e con la relazione formale intrattenuta da
un sistema con un altro. Non era interessato alle operazioni che avvengono in sistemi di parentela concrete, perché
nessuna società raggiunge mai il livello di perfezione descritto nel suo schema.
Lo strutturalismo di Lévi-Strauss s'interessa alla cultura in quanto astrazione, non all'effettivo comportamento delle
persone, ma al modello ideale a cui esso si avvicina.
Essenza della sua teoria: nella sua classificazione dei sistemi di parentela le relazioni tra discendenza e residenza e i cicli
di scambio sono piuttosto diversi: le strutture elementari includono dei sistemi di scambio diretto ritardato, in cui un
gruppo può «prendere» mogli dallo stesso gruppo a cui le «dà».
Il tipo più semplice è quello che comporta il matrimonio tra l'uomo e la figlia del fratello di sua madre (MBD) o la figlia
della sorella di suo padre (FZD).
Ma, come ha ricordato un critico, strutture del genere rimangono rare dal punto di vista etnografico, se non inesistenti.

Le strutture complesse comprendono quei sistemi che sono tipici dell'Europa, del Giappone, della maggior parte
dell'Africa, dove non si trovano simili modelli «elementari», ma ognuno sposa chiunque, sia o no un parente stretto
(secondo regole di matrimonio negative).
Il lavoro Lévi-Strauss sulla parentela ha avuto un profonde effetto sull’antropologia UK.
Anche se pochi, in Gran Bretagna o in Nordamerica, accettarono l'enfasi posta sulle strutture universali della parentela
presenti nella mente umana, il fondamento empirico della sua teoria fu ampiamente dibattuto.
Come le relazioni tra consonanti possono essere definite in base alla loro forza e intensità, relazioni simili tra gli stati delle
sostanze alimentari e tra i modi di cottura possono essere definite in base al grado di trasformazione e di intervento nella
cultura:
2.3 Il triangolo culinario
Il triangolo culinario basato sul triangolo consonantico e sul triangolo vocalico di Jakobson è il secondo esempio che
indica meglio il viaggio di Lévi-Strauss nell’universalità della mente umana.
Nella ‘forma primaria’ i due assi, non elaborato/elaborato e natura/cultura, distinguono il cibo crudo da quello cotto e da
quello putrido.
Nella ‘forma sviluppata’ gli stessi assi distinguono il cibo arrosto da quello affumicato e da quello bollito.
Per quanto riguarda i mezzi impiegati: l'arrostimento e l'affumicatura sono processi «naturali», mentre la bollitura è
«culturale». Per quanto riguarda i fini: l'arrostimento e la bollitura sono naturali, mentre l'affumicatura è culturale.
Bollitura (conserva i succhi) e l'arrostimento (distrugge un po' della carne -> associato ad un'alto status sociale) sono in
contrasto. Leach ha analizzato nello stesso modo aspetti del costume e del simbolismo dei colori, ma con una differenza
trai due ragionamenti: quello di Lévi-Strauss si propone di avere un'applicazione universale, mentre quello di Leach è sia
comparativo sia culturalmente specifico. In Occidente le spose usano indossare abito bianco, mentre le vedove l'abito
nero. Le regole culturali sono differenti, benché in ciascun caso il colore simboleggi un'attività (diverso è il caso dei preti
=> bianco non significa necessariamente vita e nero morte).
Indossare abiti neri o bianchi non è solo un fattore che dipende dalla cultura; è anche dipendente da attività significative
che sono molto specifiche dal punto di vista culturale. E' in questo preciso punto ce lo strutturalismo britannico, ce
enfatizza e diversità culturali oltre che tratti transculturalmente comuni delle strutture sociali e simboliche, si separa dallo
strutturalismo lévistraussiano e dalla sua enfasi sugli universali culturali incorporati nell'unità psichica del genere umano.
2.4 Il mito di Edipo
Analisi che Lévi-Strauss fa del mito di Edipo: i protagonisti sono tutti imparentati.
Cadmo è figlio del re dei Fenici. Sua sorella, Europa era stata rapita da Zeus, il re degli dei, così Cadmo è mandato a
cercarla. L’oracolo di Delfi, gli dice di fermarsi e di seguire un toro, e di fondare una città nel punto in cui questo si ferma.
Egli fa così. Dove il toro si ferma, fonda la città di Tebe. Cadmo uccide un drago, semina i suoi denti e dalla terra nascono
gli Sparti. Cinque Sparti aiutano Cadmo a costruire Tebe e poi si uccidono a vicenda. Cadmo, sposa una dea e ha 5 figli,

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tra i quali Polidoro che diventa re di Tebe. Pomidoro ha un figlio, Labdaco, che gli succede sul trono. Lui ha un figlio di
nome Laio e questi sposa Giocasta. Un oracolo gli dice che un suo figlio lo avrebbe ucciso, così quando nasce Edipo,
Laio lo fa esporre silla cima di un monte legato per i piedi. Per caso un astore trova Edipo e lo prende con se; Edipo è
adottato da Polibo, re di Corinto. In seguito l’oracolo dice a Edipo che avrebbe ucciso suo padre e questi fa voto di non
tornare più a Corinto e va invece a Tebe. Sulla strada per Tebe incontra Laio, ha con lui un litigio e lo uccide. In seguito
incontro la sfinge che ha l’abituine di chiedere il suo enigma (l’uomo). Così Edipo uccide la sfinge e la ricompensa che
riceve è la mano della regina vedova di Tebe, che in realtà è sua madre Giocasta. Comprendendo anch’essa che ha
commesso incesto si uccide poi edipo si acceca per diventare il vecchio dell’enigma,lascia la città e finisce con l’essere
inghiottito dalla terra e Tebe è governata dal nuovo re Creante, suo zio. I due avevano avuto 4 figli, Polinice, Eteocle,
Antigone e Ismene. Antigone e Ismene conducono Edipo fuori dalla città e al loro ritorno scoprono che i fratelli stanno
litigando. Eteocle sta difendedo la sua corona e polliniche sta attaccando la città. Entrambi muoiono.
Lévi-Strauss tenta di spiegare la complessità del mito di Edipo con un semplice diagramma.
Essenza della sua teoria: i miti sono costituiti da elementi noti come ‘mitemi’ (per analogia con i fonemi), che creatori di
miti combinano e ricombinano per creare significato, spesso inconsciamente. I miti non raccontano semplicemente delle
storie; essi esprimono delle verità simboliche. A volte proprie di specifiche culture o aree culturali, a volte universali. In
ogni racconto essi possono essere letti diacronicamente o sincronicamente. L'analisi dei miti ha il potenziale per fornire
elementi che permettono di comprendere altri aspetti della cultura ed è stata utilizzata anche nell'analisi dei sogni e delle
sequenze che li compongono.
3. Lo strutturalismo e le tradizioni nazionali dell'antropologia
E' facile considerare Lévi-Strauss lo strutturalista per antonomasia e i suoi interessi universalistici il miglior esempio di
teoria strutturalista. Molti però non hanno accettato l'enfasi che egli pone sull'unità psichica, e privilegiano dei centri di
attenzione regionali o specifici della cultura.
Lo strutturalismo olandese è emerso dagli studi sul linguaggio, la cultura e la società effettuati all’inizio del 900 da
accademici olandesi o funzionari. Questo strutturalismo enfatizza delle strutture tipiche di singole aree culturali o regioni.
Gli strutturalisti olandesi utilizzarono il metodo di Lévi-Strauss e replicarono i suoi studi sulla mitologia e sul simbolismo,
generalmente all'interno di un quadro regionale.
Mentre l'approccio di Lévi-Strauss si basa su un ragionamento che procede dal generale allo specifico, gli strutturalisti
britannici hanno avuto la tendenza a lavorare nella direzione opposta (in disaccordo con la sua metodologia).
La tradizione britannica e quella olandese sono rimaste gli esempi principali dello strutturalismo, rispettivamente, della
sua versione regionale e di quella che mette l'accento sulla cultura. Anche E. Leach e M. Shalins hanno applicato
un'approccio strutturalista allo studio delle trasformazioni sociali, dando vita a teorie della trasformazione sociale derivate
dal processualismo e dall'antropologia marxista del periodo compreso tra gli anni '50 e '80.
-Louis Dumont: Nel frattempo in Francia, un'allievo di Mauss e collega di Evans-Pritchard sviluppò una comprensione
della gerarchia sociale in India.
Negli stati Uniti gli studi di etnoscienza e di antropologia cognitiva si svilupparono grazie all'interesse per gli universali
umani, i modelli linguistici e le strutture semantiche specifiche a ogni cultura, e quest'interesse aveva dei parallelismi con
lo «strutturalismo» vero e proprio. Lo stesso Lévi-Strauss ha spesso elogiato gli americani collocati fuori dalla tradizione
strutturalista per il loro contributo alle sue teorie. Lévi-Strauss e Dumont sono stati delle figure chiave, ma lo sono stati
anche i teorici marxisti come M. Godelier e C. Meillassoux.

Capitolo nono
Poststrutturalisti, femministe e (altri) battitori liberi
Hanno in comune il desiderio di muoversi dalle idee più formali del funzionalismo e dello strutturalismo in direzione di una
comprensione più libera, e tuttavia più complessa, delle relazioni tra cultura e azione sociale.
Il poststrutturalismo da un lato è una critica del pensiero strutturalista svolta in termini strutturalisti.
Poststrutturalisti, che hanno svolto la loro azione al di fuori dell'antropologia sociale (in filosofia, critica letteraria, storia e
sociologia) hanno presentato alcune critiche a Lévi-Strauss e ad altri autori dichiaratamente strutturalisti.
Allo stesso tempo i poststrutturalisti hanno indicato la strada per la spiegazione dell'azione, per l'indagine accurata del
potere, e per la decostruzione di colui che scrive in quanto creatore di discorsi.
Il poststrutturalismo sfiora gli interessi tipici dei transazionalisti, dei marxisti, delle femministe e dei postmodernisti. 

Il femminismo ha le sue radici principali nelle questioni reali, opposte a quelle teoriche, dei ruoli sessuali e del simbolismo
del genere. Negli ultimi venti anni esso ha acquisito lo status di paradigma teorico non solo nell'area degli studi di genere,
ma anche in tutta l'antropologia.
Si è mosso da un interesse che metteva al centro le donne e la subordinazione delle donne per sé a un commento più
generale sulle relazioni di potere, le associazioni simboliche e le altre sfaccettature della società, oltre che a un discorso
su questioni come la riflessività, il genere dell'etnografo, e quindi la posizione dell'etnografo nella ricerca sul campo.
Anch'esso ha stretti legami con molte cose presenti nell'agenda postmoderna, benché non tutte le femministe affermino
di essere postmoderniste né tutte le postmoderniste siano femministe.
Spesso è troppo facile pensare che l'antropologia si possa definire in termini di idee generali, paradigmi in competizione e
scuole di pensiero. Mentre questi aspetti rappresentano una parte considerevole della «teoria antropologica» come è
comunemente intesa, esiste nondimeno uno spazio per i battitori liberi. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda le
frange del pensiero strutturalista, in cui i pensatori hanno cercato di integrare le idee sulla struttura con quelle sull'azione
sociale (V. Turner, E. Leach come eclettici battitori liberi, ma anche R. Needham, D. Schneider ed E. Gellner).Meritano
maggior attenzione però: Gregory Bateson e Mary Douglas.
1. Il poststrutturalismo e l'antropologia
E' come lo strutturalismo, una prospettiva soprattutto francese.
Il tratto più saliente delle poste strutturalismo è la riluttanza ad accettare la distinzione tra soggetto e oggetto implicita nel
pensiero strutturalista.
Jacques Derrida: i suoi scritti comprendono alcune critiche dirette al pensiero di Saussure e Lévi-Strauss.
Altri autori «poststrutturalisti» in modo più impreciso sono: il marxista L. Althusser, lo psicanalista Jacques Lacan, e il
sociologo e antropologo Pierre Bourdieu. Da ultimo, c'è il filosofo e storico Michel Foucault che, con Bourdieu, ha avuto
una profonda influenza sull'antropologia sociale nel corso degli ultimi venti anni.

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1.1 Derrida, Althusser e Lacan


-Derrida: ruppe con lo strutturalismo nel tentativo di esporre quello che riteneva l'errore di ogni analisi che accettasse la
totalità del testo come unità di analisi. Ogni testo, sostiene, comporta delle contraddizioni. Ogni testo, sostiene, comporta
delle contraddizioni.
La nozione saussuriana di «differenza» (tratti distintivi e opposizioni binarie) si trasforma in un concetto complesso il cui
significato è sia «differente» sia «differito». Il doppio significato del verbo francese différer («essere diverso», e «differire
a un momento successivo») cattura per Derrida le contraddizioni incluse in ogni analisi sincronica e nella priorità
assegnata da Saussure al linguaggio parlato rispetto alla scrittura.
Derrida rompe con il pensiero occidentale moderno in generale e con la sua ricerca di una comprensione universale.
Il metodo di Derrida di decostruire i testi ha anche influenzato i tentativi femministi di comprendere le differenze culturali
nella percezione del maschio e della femmina.
-Lacan: influenza più diretta sul femminismo e sull'antropologia femminista come reazione alle sue posizioni maschiliste.
Pone l'accento sull'importanza del linguaggio nel definire l'identità sessuale attraverso immagini complementari di
maschio e femmina e di madre e figlio.
Da due nazioni:
1. ‘la donna non esiste’
2. ‘la donna non è completa’ perché non ha il pene.
-Althusser: specialmente in ‘Leggere il Capitale’, si pronuncia a favore di una distinzione tra una lettura «di superficie» di
Marx e una lettura «sintomatica», che costituisce una comprensione più profonda e vera delle intenzioni di Marx, al fine di
capire meglio la natura dei mezzi di produzione.

1.2 La teoria della pratica di Bourdieu
Pierre Bourdieu: è stato professore di Sociologia al Collège de France. All'inizio della sua carriera insegnò in Algeria
(luogo di nascita di Derrida e di Althusser). Per lungo tempo ha conservato due diversi interessi di ricerca: l'educazione e
la classe sociale nella società francese, e la parentela e l'organizzazione della famiglia nella società qabila, con una vena
critica nei confronti degli abusi di potere delle autorità statali.
E’ conosciuto negli ambienti antropologici per il suo interesse teorico nella «pratica» (es: analisi del matrimonio tra cugini
paralleli patrilineari, dei rituali e dei cicli stagionali).
La comprensione oggettiva non coglie l'essenza della pratica, che è la comprensione di un attore.

Gli strutturalisti da Saussure a Lévi-Strauss rimangono al livello del modello, mentre B.ourdieu richiede che ci si impegni
nello studio della «performance».
Chiami come sistema-evento, regola-improvvisazione, sincronico-diacronico sono rigettate a favore di un nuovo ordine
sociale basato su ciò che egli chiama habitus (dal latino: «habitat» o «stato abituale»).
Bourdieu sta dibattendo contro una nozione statica di struttura.
L'habitus è a metà tra l'oggettivo e il soggettivo, il collettivo e l'individuale. E' culturalmente definito, ma il suo luogo è la
mente dell'individuo. E' un tipo di struttura dell'azione sociale compiuta da esecutori culturalmente competenti. E' analogo
alla concezione di N. Chomsky di «competenza» linguistica.
L'habitus è costituito da «disposizioni» che i membri di una cultura sanno intuitivamente utilizzare. Gli individui compiono
delle scelte su quali disposizioni seguire e quando, a seconda della comprensione che hanno di esse all'interno
dell'habitus e della loro posizione nel sistema degli eventi.
Bourdieu definisce l’habitus come:
1. il principio generativo, durevolmente insediato, delle improvvisazioni regolate’ o come
2. ‘un sistema di disposizioni strutturate e strutturanti.. sempre ordinate verso funzioni pratiche.
Gli individui, però, non hanno tutti un accesso uguale ai processi di assunzione delle decisioni.
Questo è il punto in cui entra in gioco il potere. La teoria del potere di Bourdieu, implicita nella sua teoria della pratica,
dice che quelle persone che possono imporre agli altri la loro «tassonomia pratica» del mondo, acquisiscono potere (es:
con l'insegnamento ai più giovani, la dominazione culturale, o attraverso la «violenza simbolica»).
Bourdieu è stato tuttavia criticato per non essersi spinto abbastanza avanti nel riconoscimento della coscienza
individuale. A dispetto di queste critiche è diventato uno degli autori più citati e ammirati nell'antropologia.
Al giorno d'oggi tutti i ricercatori sul campo hanno il desiderio di abbinare la loro base metodologica di matrice boasiana o
malinowskiana, con la ricerca dell'habitus, che potrebbe essere in grado di spiegare le azione compiute dai loro
informatori.
Per certi versi Bourdieu è riuscito dove i marxisti hanno fallito. Ha fatto muovere tutti gli studi antropologici nella direzione
di un interesse per la pratica, conservando al tempo stesso un implicito riconoscimento della diversità culturale come fatto
essenziale della condizione umana.
1.3 La teoria di Foucault: conoscenza e potere
Michel Foucault: professore di Storia dei sistemi di pensiero al Collège de France, pose l'enfasi sull'assenza di ordine
nella storia e si espresse per una maggiore significatività della parole (come intesa da Saussure) rispetto alla langue.
Ovvero le strutture non sono preesistenti, e il discorso dovrebbe essere prevalente rispetto alla grammatica culturale.
L'ordine è creato dallo storico o dallo scienziato sociale che scrive di un evento, non da un attore che agisce in un
determinato tempo e luogo.
Nel decennio successivo giunse a concentrarsi sulle legame tra potere e conoscenza: il potere non è qualcosa che si
possiede, ma è piuttosto è la capacità di manipolare un sistema. Il concetto di «discorso» nell'uso che ne fa F. ha a che
fare con il modo in cui le persone parlano o scrivono riguardo a qualcosa, con il corpo di conoscenze e il loro uso, come
avviene nelle strutture di potere.
Come per Bourdieu, anche l'impatto di Foucault ha mutato direzione dell'antropologia sia nella ricerca sul campo sia
nell'analisi teorica. Le sue idee sono utilizzabili sia nella teoria femminista sia negli studi che si occupano del dominio
coloniale e postcoloniale.
2. Il femminismo nell'antropologia
La critica femminista si occupa sia dell'idea di genere in particolari società(dimensione concreta) sia del genere in quanto
principio strutturante delle società umane(Dimensione teorica).
2.1 Dagli studi sul genere all'antropologia femminista

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Come antropologhe le donne sono state presenti sul campo sin dalla prima parte del Novecento, rimanendo però spesso
in silenzio.
L'antropologia femminista crebbe a partire dall'«antropologia delle donne», e la differenza fondamentale tra le due
consiste nel fatto che è la concezione delle relazioni di genere, e non solo ciò che le donne fanno, ad essere centrale
nell'impresa femminista.
Henrietta Moore: segnala che, sebbene la causa scatenante di un approccio femminista in antropologia possa essere
stata il mancato riconoscimento delle donne come oggetto di indagine etnografica, la vera questione ha a che fare con la
rappresentazione delle donne. Sostiene che «l'antropologia femminista formula le sue domande teoriche nei termini di
come l'economia, la parentela e il rituale sono esperite e strutturate attraverso il genere, piuttosto che domandarsi come il
genere sia esperito o strutturato attraverso la cultura».
Edwin Ardener sostiene che le donne per lungo tempo sono state rappresentate come «ridotte al silenzio». Egli sostenne
che i gruppi dominanti della società mantengono il controllo dell'espressione => i «gruppi senza voce», come li chiamava
lui, restavano relativamente in ilenzio. Tra questi, le donne sono il gruppo più importante, numericamente e per altri
motivi. Anche dove le donne sono dotate di una propria voce, la loro possibilità di espressione è inibita dal fatto che esse
non parlano la stessa «lingua» che parla il gruppo dominante: uomini e donne hanno visioni del mondo diverse.
Insieme di problemi che nascono dal privilegiare le donne come etnografe delle donne, identificati da H. Moore:
ghettizzazione, assunzione del fatto che esiste una "donna universale" e l'etnocentrismo o il razzismo.
-Ghettizzazione: Deriva dall'idea che l'antropologia delle donne sia quasi una sottodisciplina.
Assunto della "donna universale”: Connesso all'assunto, sbagliato, che le donne siano dappertutto molto simili. La
categoria di donna ha bisogno di essere indagata con più attenzione di quanto non avvenga. L'antropologia femminile
dovrebbe basarsi sull'etnografia e non su assunti insulsi e tuttavia audaci.
-Etnocentrismo: Connesso alla concezione femminista di esperienza: Proprio come «l'economia, la parentela e il rituale
sono esperiti [..] attraverso il genere», così lo sono l'etnicità e la razza. Una donna nera che vive a Londra, per es., non è
solo una donna, una nera, e una londinese. La sua identità è costituita da una complessa e simultanea
contestualizzazione di tutti questi aspetti, e di altri, come sostiene la concezione antropologica di Radcliffe-Brown:
l'essere umano come persona è un complesso di rapporti sociali.
Gli antropologi che hanno scritto sul genere si sono accostati alla materia con due punti di vista (che non si escludono a
vicenda):
2.2 Il genere come costruzione simbolica
Gli antropologi che hanno scritto sul genere si sono accostati alla materia con due punti di vista: il genere come
costruzione simbolica, E il genere come sistema complesso di relazioni sociali.
Il primo punto di vista È associato a Ardener in ‘Belief and the problem of women’ e a Sherry Ortner nel suo saggio ‘Is
female to male as nature is to culture?’.
La Ortner sostiene che dappertutto le donne sono associate alla natura questo è dovuto al fatto biologico che sono le
donne a far nascere i figli, e non gli uomini.
Inoltre Ortner sostiene che il ruolo riproduttivo delle donne tende a confinarle nella sfera domestica.
Le donne quindi (e per certi versi anche i bambini) rappresentano la natura (e la sfera privata) mentre gli uomini
rappresentano la cultura (e la sfera pubblica). Ortner prende le distanze dalla sua analisi, che è piuttosto frutto di una
credenza universale fondata sull'opposizione strutturale tra natura e cultura.
Alcune obiezioni vengono da Jane Collier e Michelle Rosaldo: esse segnalano l'esistenza di casi etnografici che non
possono rientrare in questo modello, ‘le società semplici’, (società di cacciatori e raccoglitori dell'Africa meridionale,
dell'Australia e delle Filippine) non associano la nascita di un figlio o la maternità alla natura e nemmeno associano le
donne semplicemente alla riproduzione e alle sue conseguenze, queste società sono essenzialmente egalitarie e le
donne condividono con gli uomini l'educazione dei figli
2.3 Il genere come sistema complesso di relazioni sociali
La prospettiva di Collier e Rosaldo è caratteristica dell'idea di genere come sistema complesso di relazioni sociali. Questo
tipo di prospettiva tende a sottolineare il sociale rispetto al culturale, e spesso è alla ricerca della linea di confine che
divide le società egalitarie da quelle a dominio maschile.

Rosaldo sostiene è l'associazione con la sfera domestica o con la natura, a rendere subordinate le donne. Le femministe
di orientamento marxista hanno propagandato questa tesi con moltissima forza. 

Eleanor Leacock si è spinta oltre, sostenendo che in precedenza gli studiosi avevano ignorato la storia, specialmente il
fatto che il colonialismo e il capitalismo avevano distorto le relazioni tra uomini e donne. La distinzione pubblico-privato
era assente tra i cacciatori e raccoglitori nei tempi precedenti al contatto culturale, e che la subordinazione delle donne
giunse solo con lo sviluppo della proprietà privata.
Ci sono stati molti tentativi di spiegare il dominio maschile generalizzato, e alcuni studiosi hanno combinato l'idea che il
genere sia una costruzione simbolica con quella del genere come inserito nelle relazioni sociali.
Le grandi domande sulle origini così come quelle sull'origine della gerarchia di genere, si legano con l'interesse
dell'antropologia femminista per l'esposizione delle relazioni di potere in tutte le loro forme, alla cui base in molti casi si
presume che ci sia la differenziazione di genere.

Su un altro fronte, ci sono molti aspetti nell'antropologia più o meno di matrice femminista che mettono in discussione
l'immagine del dominio maschile così come ritratto nelle etnografie tradizionali, e nuovi metodi di descrizione etnografica
hanno avuto come risultato immagini abbastanza differenti della vita sociale, per esempio qulle presenti negli scritti di Lila
Abu-Lughod sulle donne beduine -> l'autrice suggerisce che gli antropologi dovrebbero scrivere «contro la cultura» per
combattere le gerarchie che il concetto implica.
2.4 L’incorporazione

Un nuovo tema, derivato sia dalla teoria femminista sia dagli interessi di Foucault, è quello che considera il corpo come
fonte di identità che logicamente confonde la separazione di sesso e genere. La distinzione sesso-genere in realtà
riproduce alcune distinzioni su cui essa ha la funzione di indagare.
Andrew Strathern e Pamela Steward paragonano l'incorporazione alla comunicazione come modelli per la comprensione
del rituale: «nel suo senso più ampio, utilizziamo il termine “incorporazione” per riferirci alla fissazione di certi valori e
disposizioni sociali nel corpo e per mezzo del corpo».

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Donna Haraway: utilizza il concetto di incorporazione per indagare aspetti non solo del potere e del genere, ma anche
della specie.
3. Due eclettici battitori liberi
Gregory Bateson e Mary Douglas
3.1 Struttura e confltto: Bateson e il carattere nazionale
Gregory Bateson fu molto influente poiché tutti, da Radcliffe-Brown fino ai postmodernisti, ammiravano la sua abilità nel
capire quelle che per altri erano semplicemente le stravaganze della cultura. Suo padre fu uno dei fondatori della
genetica moderna. Studiò zoologia e antropologia a Cambridge, e in seguito si recò a svolgere una ricerca sul campo in
Nuova Guinea, dove incontrò Margaret Mead, con la quale si sposò, insieme effettuarono delle ricerche a Bali.
Era fortemente impegnato con il movimento ecologista, e a favore di approcci estremamente progressisti per quanto
riguardava l'educazione a tutti i livelli.
A partire dal suo studio etnografico sul naven, una cerimonia degli iatmul, Bateson sviluppò
un'attitudine a comprendere gli aspetti bizzarri della cultura per mezzo dell'analisi delle forme, e considerando queste
ultime in relazione all'azione.
Saggi: ‘Morale e carattere nazionale’ è basato sulla comparazione di aspetti della cultura tedesca, russa, inglese e
americana durante la seconda guerra mondiale.
Il problema fondamentale è: se si mette un maschio americano in una stanza con un maschio inglese, l'americano
sosterrà da solo quasi tutta la conversazione e parlando soprattutto di se stesso (passando per spaccone), mentre
l'inglese se parlerà, lo farà con modestia (passando per arrogante). Conclusione: Sia l'inglese che l'americano si stanno
comportando nel modo che ritengono più appropriato, tuttavia l'inglese considererà l'americano uno spaccone, e
l'americano considererà l'inglese arrogante.
Perchè ciò accade? La risposta di Bateson si basa su due opposizioni:
1. autorità-sottomissione ->associata allo stato genitore e figlio
2. esibizionismo-ammirazione -> varia nella misura in cui essa è rilevata come autorità o sottomissione.
Spiegazione: L'americano tratta l'inglese come un genitore, e questo in entrambe le culture è un modo per essere
educati. Per l'inglese però l'esibizionismo è un segno di autorità e crede erroneamente che l'americano stia cercando di
essere autoritario.
Implicita in tutto questo è la distinzione tra due concetti che Bateson chiamò con i termini greci ‘eidos’ ed ‘ethos’.
La cultura è costituita da entrambi: l'eidos è ciò che generalmente chiamiamo «forma» o «struttura». Le coppie di
opposizioni descritte nel suo studio sul carattere nazionale (ammirazione-esibizionismo; autorità-sottomissione) sono
parte dell'eidos della cultura inglese e americana. L'ethos si riferisce ai costumi, alle tradizioni, e anche ai sentimenti, alle
emozioni collettive di una cultura, allo spirito di quelle culture o eventi. L'ethos sembra dipendere dalla relazione tra
l'eidos di una cultura e quello di un'altra.
I metodi utilizzati da Bateson sembrano particolarmente adatti all'analisi del conflitto, reale o potenziale, ed egli sviluppò
un approccio in grado di comprendere il conflitto di genere tra gli iatmul e la corsa agli armamenti nucleari tra Est e Ovest.
Il punto importante di questo genere di analisi È tuttavia il fatto che il conflitto È compreso meglio in termini di strutture e
processi di interazione piuttosto che facendo ricorso esclusivamente ai dettagli etnografici.
3.2 Struttura e azione. Mary Douglas: griglia e gruppo
Mary Douglas: Approccio essenzialmente strutturalista, anche se è sviluppato all'interno di un quadro di riferimento
essenzialmente dinamico. Ha compiuto studi di filosofia, politica ed economia a Oxford, dove in seguito studiò
antropologia sotto la guida di Evans-Pritchard. Ha condotto ricerche sul campo in Congo, ha insegnato per molti anni
all'University College di Londra. E' diventata direttrice della Russell Sage Foundation di New York e ha continuato ad
insegnare fino alla pensione. I suoi primi lavori sono abbastanza semplici con un interesse particolare per l'economia e la
religione. Studiò i concetti di purezza e contaminazione tra i lele, gli antichi ebrei in Gran Bretagna.
In ‘Purezza e pericolo’, e in ‘Simboli naturali’ sviluppò un quadro di riferimento da lei chiamato ‘analisi griglia-gruppo’: è un
metodo per descrivere e classificare culture e società, Singoli aspetti di culture e società, situazioni sociali individuali,
azioni individuali O persino preferenze individuali.
Douglas e i suoi seguaci si sono interessati non tanto alle misurazioni quantitative, quanto all'opposizione strutturale, cioè
alla presenza o assenza di limitazioni derivate da una condizione di griglia forte, o di gruppo forte.
La dimensione di griglia è una misura dell'isolamento O della coercizione imposta non dalla coesione di gruppo, ma
dall'isolamento dell’individuo.
Essere in una posizione di griglia debole vuol dire avere la libertà di agire o l'opportunità di interagire con altri su un piano
paritario, al contrario essere su una posizione di griglia forte significa essere isolati o limitati dal sistema sociale nei
processi di assunzione delle decisioni.
La dimensione di gruppo è una misura della coesione di gruppo, sia che le persone al suo interno facciano ogni cosa
insieme (gruppo forte) sia che agiscano individualmente (gruppo debole) => ci sono solo 4 combinazioni logiche che
Douglas identifica convenzionalmente in quadranti (con le lettere dalla A alla D). Il suo libro ‘Orientamenti culturali’ (1978)
rimane la migliore introduzione alla sua teoria.
Il suo metodo può essere utilizzato per lo studio di qualunque fenomeno, dalla stregoneria alle preferenze alimentari.
Mary Douglas e i suoi allievi hanno effettuato comparazioni su un certo numero di situazioni. Il suo metodo funziona nel
modo migliore quando si paragonano cose simili. Tuttavia le sue prime ipotesi sulla comparazione di intere società non
hanno dato i frutti sperati. Rimane da vedere se ci può essere un nuovo centro d'interesse all'interno di questo
paradigma.

Capitolo decimo
Approcci interpretativi e postmodernisti
Dopo la morte di Radcliffe-Brown, nel 1955, l'antropologia britannica prese quattro strade differenti.
-alcuni proseguirono lungo la direzione di ricerca di Radcliffe-Brown
-altri, come Firth, giunsero a mettere l'accento sull'azione individuale piuttosto che sulla struttura sociale, un approccio in
parte derivato dalla versione del funzionalismo basato sulla ricerca sul campo, tipica dei primi lavori di Malinowski.
Questa linea di pensiero si sviluppò in teorie come l'approccio processuale e il transazionalismo.

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-altri fecero ricorso ad almeno alcune idee strutturaliste di Lèvi-Strauss, adattandole a nuovi interessi nel processo
sociale.
-infine un buon numero finì col seguire Evans-Pritchard nel suo rifiuto della concezione che l'antropologia fosse una
scienza, in favore di un approccio interpretativo che collocava saldamente l'antropologia nell'ambito delle scienze umane.
Negli Stati Uniti, Clifford Geertz iniziò a proporre la sua versione dell'interpretativismo. Nelle sue mani (e in quelle di
Evans-Pritchard) l'antropologia cambiò analogia linguistica. Le culture erano linguaggi da tradurre in termini comprensibili
ai membri di altre culture.
Filosofi e critici letterari svilupparono nuovi, postmodernisti modi di guardare il mondo. In larga misura questo fatto derivò
dall'opinione che il mondo stesso aveva subito una rivoluzione silenziosa, in cui non c'era posto per nessun tipo di teoria
generale, con l'eccezione del postmodernismo stesso!
L'interpretativismo già presente svolse una funzione fondamentale. Nello stesso periodo l'antropologia femminista si
sviluppò e mise ulteriormente in discussione i modelli androcentrici, riflessività divenne un sinonimo di metodo
etnografico, la scrittura e la lettura acquisirono valenza teorica nella nuova antropologia, consapevole della letteratura.
Ciò che questi filoni hanno in comune una concezione dell'antropologia come rifiuto del metodo scientifico, il
riconoscimento dell'importanza della scrittura, e il tentativo di acquisire conoscenza per mezzo della comprensione
umana piuttosto che con metodi formali di ricerca e analisi.

1. L'approccio intrepretativo di Evans-Pritchard
Evans-Pritchard: fu allievo di Seligman e di Malinowski. Apre la strada all'interpretativismo.
I suoi resoconti della stregoneria tra gli azande e sulla politica e la parentela tra i nuer ebbero la funzione di essere un
perfetto esempio dell'antropologia britannica di quel tempo e di ispirare le generazioni successive dal punto di vista
teorico.
‘Stregonerie, oracoli e magia’ è un'etnografia dei processi di pensiero degli azande (ossessionati dalla stregoneria).
‘Nuer Religion' riguarda la definizione di kwoth, inteso come «soffio», che nella sua accezione metaforica può riferirsi a
spiriti di vario tipo, compresa l'entità nuer che Evans-Pritchard traduce con «Dio».
La monografia di Evans-Pritchard, insieme a quella di Godfrey Lienhardt sulla religione dei dinka, fu l'opera che fondò lo
studio antropologico della credenza. E si concentrarono l'attenzione anche sulla traduzione, sia reale sia metaforica.
Evans-Pritchard praticò la sua teoria all'interno del quadro teorico di Radcliffe-Brown, tuttavia diversamente da lui si
pronunciò per considerare l'antropologia una materia umanistica e non una scienza e sviluppò l'idea che l'antropologia
fosse una «traduzione di culture».
Si pensa che gli antropologi si avvicinino il più possibile alla mentalità collettiva della popolazione studiata, per poi
«tradurre» le idee estranee che vi trovano in idee equivalenti all'interno della loro cultura.
Egli rifiutò l'idea lévistraussiana di una ‘grammatica’ della cultura preferendo un'idea di ‘significato’ nel più sottile e
quotidiano discorso della cultura -> difficoltà di traduzione -> l'antropologia è sempre prigioniera del dilemma del
traduttore.
In ‘Introduzione all'antropologia sociale’ 1951 offre una concezione dell'oggetto dell'antropologia come la totalità dei
sistemi morali e simbolici, che non sono retti da leggi naturali, benché coinvolgano strutture sociali e modelli culturali.
Posizione ambigua: era uno struttural-funzionalista sotto il quale si celava un epistemologo? Mary Douglas suggerisce
che egli fu sempre un pensatore interpretativo. Le sue opere indicano sempre un desiderio di innovazione, soprattutto per
quanto riguarda il suo interesse per i sistemi di credenze. Quali che siano le posizioni precedenti a Nuer Religion, la
pubblicazione di questo libro segna un distacco dallo struttural-funzionalismo verso un nuovo tipo di ragionamento sulla
natura della credenza religiosa (certe analogie con Durkheim).
La sua posizione contro il funzionalismo: nella conferenza ‘Social Anthropology: past & present’ sostiene che il fallimento
dell'antropologia sociale dall'Illuminismo in poi è consistito nel modellarla sulle scienze naturali, e suggerisce che è
meglio considerarla una scienza storica o, più in generale, come un settore delle scienze umane.

A Oxford fu titolare della cattedra di Antropologia Sociale. Il suo spirito aleggia ancora lì: è il suo busto, e non quello di R.-
B. O Tylor, che abbellisce la biblioteca dell'Istituto di Antropologia Sociale e Culturale, ed è la sua opera quella che la
tradizione di Oxford ha continuato.
2. L'interpretativismo di Geertz
Clifford Geertz: Se l'antropologia di Evans-Pritchard era una reazione contro il progetto struttural-funzionalista, quella di
Geertz rappresenta un passo avanti nella comprensione dei piccoli particolari della cultura come fini a loro stessi.
Geertz si è formato ad Harvard, ha insegnato a Berkeley e a Chicago. Ha svolto ricerche sul campo a Giava, Bali e in
Marocco. In ‘Agricultural Involution' (1963) si situa nel vasto quadro di riferimento dell'antropologia ecologica di Steward,
mentre altre sue opere sul mutamento sociale si collocano nell'ambito della storia sociale.
In ‘Islam’ (1968), sposta l'attenzione sulla comparazione, nel tentativo di comprendere l'Islam.
A differenza di Evans-Pritchard non rifiuta il «metodo comparativo» come impossibile!

Il nucleo della sua antropologia interpretativista, è il saggio ‘Interpretazione di culture’, concluso e pubblicato l'anno della
morte di Evans-Pritchard, nel 1973, per lui l'antropologia consiste nell'esaminare gli strati incorporati in una particolare
cultura e nello svelarli attraverso livelli di descrizione.
I critici hanno sottolineato l'ambiguità della definizione che dà di ‘thick description’ (descrizione dettagliata e stratificata),
così come la superficialità di alcune sue etnografie. Eppure, la sfida che lancia è, rispetto a Evans-Pritchard, più
dettagliata e ricca di metafore.
Opta per un'immagine della società ‘come un testo’, si pronuncia anche per una concezione dell'antropologia come
comprensione del ‘locale’ in stretto rapporto con il ‘globale’, e per la cultura come sistema simbolico, all'interno del quale
ha luogo l'azione sociale e si produce il potere politico.
Le sue raccolte di saggi sono probabilmente lette tanto fuori dalla disciplina che dagli antropologi. In alcune delle sue
opere più recenti si è avventurato ulteriormente lungo il sentiero dell'interpretativismo attraverso la reinterpretazione
dell'etnografia di altri. In Opere e scritti egli esamina gli scritti di Evans-Pritchard, Malinowski, L.-S. e Benedict. Geertz
sostiene che l'antropologia è semplicemente un modo di «scrivere». Al di là del fatto se la sua enfasi sulla scrittura sia
eccessiva o meno, ha attirato ulteriormente l'attenzione sull'antropologia come impresa creativa.
Geertz resta uno degli esponenti più influenti dell'antropologia, sia dentro sia fuori la disciplina. Il suo interpretativismo ha
indubbiamente tracciato il sentiero su cui muove l'antropologia postmoderna.

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Prima di addentrarci nelle sfumature del postmodernismo, è bene prendere in considerazione ulteriori fondamenti teorici,
con attenzione a nuovi concetti e interessi che vanno oltre quelli di Geertz.
• 3. Mutamenti concettuali
Il postmodernismo in antropologia ha prodotto nuovi concetti E nuove aree di ricerca avessi associati, Tra i più importanti
vi sono la riflessività e l'orientalismo.
3.1 Riflessività e riflessivismo
Tutti gli antropologi effettuano comparazioni di questo o quel genere, tra società lontane, simili alla loro, etc. Un caso di
riflessività spinta all'estremo è la comparazione esplicita che l'antropologo fa della propria cultura, prendendo il proprio
‘self’ come mezzo che impone la propria presenza alla cultura che si da l'impressione di descrivere; la cultura che si
descrive può diventare un semplice sfondo per l'antropologo, che esplora la propria identità culturale e sociale.
La riflessività ha costituito una grande parte del nascente progetto postmodernista a partire dagli anni 70.
La prima pubblicazione esplicita in questo senso è il saggio di Judith Okely, ‘The Self and Scientism'. Le radici in cui
affonda la riflessività sono più profonde: il diario di campo di Malinowski è l'esempio più conosciuto, lui intendeva solo
registrare le sue riflessioni private, ma finì con l'essere pubblicato 25 anni dopo la sua morte.
Levi-Strauss incluse molte note autobiografiche in Tristi tropici (1955), benché anche lui le separasse dalle sue riflessioni
etnografiche e teoriche. Ciò che rende fondamentalmente diverso l'operato di molti autori postmoderni è l'affermazione
che la riflessività stessa è etnografia, o almeno una parte centrale di essa.
La riflessività ha forti legami con l'antropologia femminista (H. Moore). Intorno alla metà degli anni 80 non era insolito che
l'antropologa si ponesse come il principale soggetto del discorso antropologico, nel momento in cui la riflessività
incontrava consenso all'interno dei circoli postmodernisti e specialmente femministi, per trovare infine consensi
nell'antropologia nel suo complesso.
Un'ulteriore tendenza si riscontra negli studi dove la ricercatrice, partendo dalle proprie esperienze, si fa portavoce di una
più ampia comunità di oppressi, o cerca di dare «voce» agli oppressi attraverso se stessa (Spivak e Abu-Lughod). L'idea
di fondo è che c'è qualcosa in comune tra i gruppi «subalterni» o subordinati, sia la subalternità sulla base del genere,
della classe, dell'appartenenza etnica, o della storia dell'ingiustizia coloniale.(Sherry Ortner e la thinness geertziana).
Altre tendenze, negli ultimi dieci anni si sono mosse verso la moderazione, si facendo sì che la riflessività personale si
unisse alla riflessione sulla teoria, sia mettendo in primo piano le esperienze riflessive dei tradizionali oggetti
dell'etnografia (K.Hastrup e Pat Caplan).
Un'ltrotipo di riflessività è quella che prende in esame non un Sé individuale, bensì uno collettivo (es: lo studio di Alcida
Ramos sull'etnografia degli yanomami in Brasile -> l'immaginario che si è costruito attorno a loro è potente).
• 4. Orientalismo, occidentalismo, globalizzazione
Un elemento importante dell'antropologia postmodernista è l'interesse per il potere, derivato, tra gli altri, da Foucault. Il
concetto fu utilizzato per la prima volta da Edward Said, un critico letterario palestinese da lungo tempo residente negli
Stati Uniti: attacca l'occidente per aver creato una concezione dell'est, L'oriente, allo scopo di dominarlo, attraverso il
commercio, il colonialismo, E altre forme di oppressione. L'Occidente, sostiene Said, ha bisogno dell'Oriente anche per
definire se stesso (in riferimento alla trama di relazioni ineguali tra l'Occidente e il Terzo Mondo). Rececentemente gli
antropologi hanno rovesciato l'argomentazione di Said, in particolare James Carrier in ‘Occidentalism’: è probabile che i
popoli orientali abbiano una visione distorta e generalizzata dell'Occidente allo stesso modo in cui gli occidentali ce
l'hanno dell’Oriente.
Carrier suggerisce ci siano tre tendenze prevalenti per quanto riguarda l'occidentalismo: una tendenza verso
l’autoriflessione, un crescente interesse per l'invenzione della tradizione, una sempre maggiore attenzione per l'etnografia
dell'Occidente stesso.
Le relazioni tra Occidente e oriente, siano esse immaginarie o reali, sono oggi collegate al processo di globalizzazione.
Norman Long parla di ‘globalizzazione’, ‘localizzazione’, e ‘rilocalizzazione’.
La globalizzazione coinvolge processi di movimento della popolazione, di competenze, capitale E rappresentazioni
simboliche. La localizzazione coinvolge l'interazione tra forme locali di conoscenza e pressioni esterne, la rilocalizzazione
coinvolge la rivendicazione, la riscoperta o l'invenzione della conoscenza localmente situata.
La vera condizione postmoderna, si riflette nell'interessante studio che Marc Augé dedica ai non luoghi globalizzati come i
campi profughi, gli hotel delle grandi catene internazionali, le autostrade, le sale d'attesa degli aeroporti.
La globalizzazione è un tema popolare e attuale. Il lato ironico è che dal punto di vista teorico essa può essere facilmente
vista come vicinissima alla prospettiva teorica meno popolare, il diffusionismo.

4.1 Il postmodernismo e l'antropologia postmoderna
Il postmodernismo rappresenta una critica rivolta a ogni genere di comprensione «moderna». I postmodernisti rifiutano
sia la teoria generale in antropologia, sia la concezione che la descrizione etnografica possa essere completa. Si
oppongono alla presunzione di autorità etnologica da parte dell'antropologo. La riflessività e l’incorporazione diventano
attuali. Il postmodernismo è anche uno sviluppo logico sia del relativismo sia dell'interpretativismo, a tal punto che è
difficile distinguere queste prospettive se non a un livello superficiale.
• 5. Il ritorno al relativismo
Per Sjaak van der Geest: il relativismo non è l'assenza di un dogma, ma un dogma esso stesso.
L'antropologia, negli ultimi dieci anni, è passata da una concezione blandamente relativista secondo la quale ogni cultura
ha il proprio sistema di valori o la propria struttura semantica a un punto di vista, ben più forte, che ricordi quelli di
Benedict e Whorf. Solo che ora questo punto di vista è espresso nel gergo del postmodernismo.
Lyotard, professore di filosofia dice: semplificando al massimo, possiamo considerare postmoderna l'incredulità nei
confronti delle metanarrazioni’.
Il postmodernismo in antropologia deriva da questa concezione, E comporta le rifiuto sia della verità teorica generale sia
della totalità della realtà etnografica. In altre parole, per un antropologo postmodernista non si può fare un'affermazione
vera e assoluta riguardo a una cultura. La teoria generale quindi è condannata a un triste destino – eccetto, sembra, la
metanarrazione del postmodernismo stesso!
5.1 Scrivere le culture
Il principale testo dell'antropologia postmodernista è ‘Scrivere le culture’ [Clifford e Marcus, 1986], tratto da un convegno
su ‘La costruzione dei testi etnografici’.

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Il tema unificante è la presa in considerazione dei metodi letterari nel discorso antropologico, anche se gli autori hanno
punti di vista differenti.
James Clifford, nell'introduzione, attacca l'idea che l'etnografia sia una rappresentazione della totalità della cultura E pone
l'accento sull'incompletezza dell'espressione geografica.
Mary Louise Pratt sostiene la necessità di una fusione tra oggetto e comprensione soggettiva E giovedì esame, Da parte
degli etnografi, della loro impresa alla luce della storia e del genere letterario che è l’etnografia.
Vincent Crapanzano prende in esame I problemi di traduzione presenti in tre testi diversi (del 700, dell’800 E uno di
Geertz). Renato Rosaldo considera il modo in cui è espressa l'autorità in due testi, tra cui ‘I Nuer’.
Secondo i postmodernisti, i punti di vista sono arbitrari.
• 6. I problemi del postmodernismo
L'impresa interpretativista e quella postmodernista:
-Per i postmodernisti moderati (compresi gli interpretativisti che si rifanno a Geertz), la società è come un testo che
l'etnografo ‘legge’ proprio come i lettori leggerebbero un suo testo.
-Altri postmodernisti sembrano considerare la cultura come ‘frammenti e pezzi’, dove ogni frammento e ogni pezzo
agiscono su ogni altro. Per alcuni, la cultura è una serie di giochi di parole o di ‘figure retoriche’. L'etnografia è quasi la
stessa cosa, e la teoria antropologica è qualcosa di più. Secondo molti appartenenti a queste scuole, non ci dovrebbero
essere teorie analogiche generali, salvo che per la cultura, che è, in un certo senso, ‘come un testo’.
Tutto è relativo, in etnografia non c'è verità. Sembra esserci una battaglia sotterranea tra interpretativisti e postmodernisti.
Una parte considera l'etnografia come fine a se stessa, o piuttosto come il tentativo di arrivare a una comprensione che
tuttavia non raggiunge quasi mai il livello che in precedenza si sosteneva raggiungesse.
L'altra parte considera l'etnografia come uno strumento per raggiungere un fine, uno strumento per costruire una
comprensione più ampia della natura umana. Per questi antropologi, interpretativisti per indole e influenzati dagli aspetti
più positivi della critica postmodernista, c'è speranza. Quella che praticano è una disciplina che svolge una ricerca
nomotetica.
• 7. Approcci misti: verso un compromesso?
Robert Layton caratterizza l'antropologia contemporanea come polarizzata tra l'ecologia sociale e il postmodernismo
(troppo estrema, anche se in essa c'è qualcosa di vero). In numero sempre maggiore, gli antropologi sono felici di
mescolare gli approcci e di trarre elementi da tradizioni teoriche diverse. Questo sta accadendo almeno dagli anni
Cinquanta, sviluppo di 3 filoni di pensiero:
-Strutturale;
-Interattivo;
-Interpretativo.
C'è nondimeno un grande potenziale per aspirare a un tipo di comprensione che tragga elementi da due di questi filoni o
anche da tutti e tre. Recentemente alcuni autori hanno fuso interessi di tipo interattivo e altri di tipo interpretativo ; alcuni
altri hanno messo insieme struttura e intrepretazione. Risposta: il futuro dell'antropologia può consistere nella fusione di
vari approcci. Ai sociologi, ed ad alcuni antropologi, piace pensare in termini di tre grandi teorici sociali – Marx, Durkheim
e Weber . Essi sono come i colori primari. Si possono mescolare, o piuttosto mescolare i filoni differenti del loro pensiero,
per giungere a quasi ogni posizione teorica.
Carla Pasquinelli: antropologa italiana ha identificato 3 fasi del pensiero antropologico:
-fase materiale (interessata ai costumi e che copre il periodo che va da Tylor a Boas);
-fase astratta (interessata ai modelli, per esempio Kroeber e Kluckhohn);
-fase simbolica (interessata al significato e della quale un esempio è Geertz).
Ma può esistere un'antropologia senza oggetto? Se non studiassimo la cultura e la società, cosa sarebbero l'antropologia
culturale e sociale? Questo è il dilemma in cui il postmodernismo ci ha lasciato. L'antropologia culturale resta un campo in
cui esistono punti di vista differenti.
La generazione attuale può scegliere di svolgere un lavoro innovativo oppure di accettare completamente la condizione
postmoderna. La fusione delle vecchie idee, di ogni genere, sembra essere la scommessa più sicura.

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Conclusioni:

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