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Il termine antropologia (letteralmente “discorso intorno al genere umano”) si
accompagna spesso a diversi altri aggettivi. Preso di per sé, il termine “antropologia”
definisce un vasto insieme di indirizzi e di tradizioni di studio che ha assunto caratteri
peculiari nei diversi paesi dove questo “discorso intorno al genere umano” ha
acquistato un maggiore spessore teorico.
La principale distinzione in uso è tra “antropologia fisica” (o “biologica”, ovvero lo
studio dell'umanità dal punto di vista biologico), e “antropologia culturale” (ovvero lo
studio dell'umanità dal punto di vista culturale). Esistono poi altri termini come
etnologia, antropologia sociale, etnografia, demologia.
Nella tradizione statunitense l'antropologia è divisa in quattro campi di studio, i
cosiddetti four fields, ciascuno dei quali corrisponde a un ambito dell'esperienza
umana distinto dagli altri, ma a essi connesso:
I. antropologia fisica, o antropologia biologica: lo studio della specie umana dal
punto di vista biologico che analizza la sua evoluzione nel tempo e le sue
varianti contemporanee;
II. archeologia: lo studio delle culture umane del passato condotto attraverso
l'analisi dei loro resti materiali;
III. antropologia linguistica: lo studio della comunicazione umana che analizza le
sue origini, la sua storia e le sue varianti e trasformazioni contemporanee;
IV. antropologia culturale: lo studio delle popolazioni e delle culture
contemporanee che affronta anche i temi delle differenze e del cambiamento
culturali.
Nella tradizione inglese si è sviluppata maggiormente l'antropologia sociale, un
indirizzo di studio nato intorno agli anni '20 in Gran Bretagna il quale, diversamente
dall'indirizzo americano che poneva l'enfasi sul concetto di cultura, ha sviluppato un
approccio incentrato sulla dimensione sociale e sul funzionamento dei sistemi e delle
strutture sociali in prospettiva comparata rivolta alle società cosiddette “semplici”.
Il termine etnologia (letteralmente “discorso intorno ai popoli”) è stato a volte usato
come sinonimo di antropologia culturale, ma ha più spesso acquisito significati diversi;
nell'Europa continentale ha definito lo studio delle culture extraeuropee, cosiddette
“tradizionali”, laddove “antropologia” definiva l'antropologia fisica, mentre negli Stati
Uniti ha indicato lo studio delle culture native americane secondo una prospettiva
storica.
Il termine demologia (o “storia delle tradizioni popolari”) ha indicato lo studio delle
culture popolari europee come distinte dalla cultura borghese o aristocratica. A
partire dagli anni '80 nell'ordinamento didattico italiano è entrata in uso l'espressione
discipline demoetnoantropologiche che riunisce nell'acronimo DEA.
L'antropologia culturale è una disciplina scientifica nata in Occidente che ha per
oggetto lo studio delle popolazioni contemporanee e delle loro culture, laddove per
cultura si intende in termini generali l'insieme dei comportamenti e delle credenze
appresi e condivise dalle persone. L'antropologia culturale analizza differenze e
somiglianze tra culture e il modo in cui esse cambiano nel corso del tempo. Gli
antropologi culturali studiano le culture umane di tutto il mondo e analizzano le
somiglianze e le differenze esistenti tra loro; per fare ciò sul piano metodologico essi
apprendono informazioni sulla cultura trascorrendo lunghi periodi insieme alle
persone che studiano.
Lo scopo dell'antropologia culturale non è tuttavia solo una conoscenza finalizzata alla
salvaguardia della diversità culturale e dei mondi locali, ma a questo obiettivo è
strettamente connesso anche un percorso inverso che porta la disciplina a farsi
specchio della società occidentale e sua critica osservatrice. Guardando l'“altro”
l'antropologia culturale ci porta a vedere meglio noi stessi e a rendere “familiare ciò
che è estraneo ed estraneo ciò che è familiare”, avvicinandoci ad una comprensione e
a un'interpretazione il più possibile contestualizzata e approfondita di fatti, pratiche e
idee che appaiono bizzarri, strani o incomprensibili.
Le origini dell'antropologia culturale risalgono a scrittori come Erodoto (V secolo a.C.),
Marco Polo (secoli XIII e XIV d.C). Le radici concettuali più recenti della disciplina si
fanno risalire a scrittori vissuti al tempo dell'Illuminismo francese, come il filosofo
Montesquieu, attivo nella prima metà del XVIII secolo. Nella seconda metà del XIX
secolo la scoperta dei principi dell'evoluzione biologica da parte di Charles Darwin e di
altri studiosi ha fornito le basi per la prima spiegazione scientifica delle origini della
specie umana.
I principali protagonisti della fondazione dell'antropologia culturale, nel tardo
Settecento e all'inizio del XIX secolo, sono Sir Edward Taylor e Sir James Frazer (in
Inghilterra) e Lewis Henry Morgan (negli Stati Uniti). Ispirati dalla teoria
dell'evoluzione biologica, questi studiosi elaborarono un modello di evoluzione
culturale secondo cui tutte le culture umane evolvono, nel tempo, da forme inferiori a
forme superiori. Questa concezione collocava i popoli non occidentali in uno stadio
“primitivo” e le culture euro-nordamericane in quello della “civilizzazione”.
Bronislaw Malinowski (1884-1942), di origini polacche, è uno degli studiosi che
maggiormente hanno determinato lo sviluppo dell'antropologia culturale moderna.
Nel corso della prima metà del XX secolo, Malinowski, dopo aver a lungo soggiornato
tra gli indigeni delle Isole Trobriand nell'Arcipelago malesiano e introdotto la pratica
della ricerca sul campo con l'osservazione partecipante, definì l'approccio teorico del
funzionalismo, che assimila le culture agli organismi biologici, le singole parti dei quali
collaborano al funzionamento e alla conservazione dell'insieme: la religione e
l'organizzazione della vita familiare, per esempio, contribuiscono al funzionamento
della cultura nel suo insieme. Il funzionalismo è connesso al concetto di olismo, ossia
la convinzione circa la connessione esistente tra il tutto e le sue parti, che conduce
alla necessità di studiare ogni singolo aspetto della cultura che si voglia comprendere.
Il funzionalismo contribuì a mettere definitivamente in crisi i paradigmi evoluzionistici
etnocentrici, i quali si basavano su una concezione “unilineare” dell'evoluzione umana
e non si interrogavano sulle modalità di funzionamento e di organizzazione delle
singole società.
Franz Boas (1858-1952) è considerato il fondatore dell'antropologia culturale
nordamericana. Nato in Germania si è trasferito negli Stati Uniti nel 1887. Dagli Inuit
aveva imparato che culture diverse possono percepire in modo differente anche
semplici elementi naturali come l'“acqua”. Durante la sua permanenza nell'Isola di
Baffin, Boas realizzò che tutte le culture hanno una distinta individualità e una propria
validità. Dobbiamo a lui l'introduzione di un concetto ampiamente noto: quello del
relativismo culturale, ossia la convinzione della necessità di comprendere le singole
culture a partire dai valori e dalle idee che sono loro propri e della inopportunità di
giudicarle in base a standard vigenti in contesti culturali diversi. Con la sua pratica di
ricerca prima tra gli Eschimesi e poi tra i nativi americani della costa del Nord Ovest,
Boas introdusse un approccio basato sul particolarismo storico, ovvero sullo studio
particolare delle singole culture, piuttosto che sugli approcci generalizzanti e
storicamente non fondati dei predecessori evoluzionisti.
L'interesse di Boas per le relazioni tra individuo e cultura è stato alla base di un
successivo indirizzo dell'antropologia americana, sviluppato dai suoi allievi (Benedict
e Kardiner), noto come scuola di cultura e personalità che, partendo da un approccio
integrato della cultura teorizzava l'esistenza di un ethos intorno al quale gli individui
svilupperebbero strutture psicologiche comuni. Margaret Mead è la più famosa allieva
di Boas e ha contribuito ad ampliare le nostre conoscenze sulle culture del Pacifico
meridionale.
In quegli stessi anni, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, l'antropologia
britannica con Alfred Redcliffe-Brown si orientò verso una prospettiva
struttural-funzionalista, che diede vita all'antropologia sociale, intesa come scienza
naturale della società, un indirizzo che privilegiava lo studio delle strutture sociali e la
ricerca delle leggi di funzionamento delle società cosiddette primitive, soprattutto a
partire dai sistemi di parentela e dagli aspetti normativi.
Gli allievi di Radcliffe-Brown, ovvero Edward Evans Pritchard e Mayer Fortes misero
in discussione l'idea che l'antropologia fosse una scienza naturale della società alla
ricerca di leggi, pervenendo, il primo, a una concezione dell'antropologia più vicina
alle scienze storiche. Mayer Fortes, invece, introdusse una concezione che metteva in
crisi l'idea della società come organismo in equilibrio, introducendo la dimensione del
mutamento e del conflitto, temi privilegiati nella scuola di Manchester fondata da
Gluckman.
Nello stesso periodo, l'antropologo francese Claude Levi-Strauss (1908-2009) ha
elaborato una prospettiva teorica piuttosto diversa, fortemente influenzata da una
visione filosofica, conosciuta con il nome di strutturalismo francese. Levi-Strauss
riteneva che il miglior modo per comprendere una cultura fosse quello di raccogliere
aspetti relativi ai sistemi di parentela, ai miti, alle narrazioni ad essa associati e a ogni
altro aspetto della vita sociale e culturale, e analizzare i loro temi soggiacenti. Lo
strutturalismo di Levi-Strauss si basava su un concetto di struttura profondamente
diverso rispetto al pensiero di Redcliffe-Brown, per il quale la struttura era l'insieme
delle relazioni sociali esistenti tra istituzioni, individui e gruppi. Al contrario, per
Levi-Strauss la struttura è un inconscio soggiacente le relazioni sociali e le pratiche
sociali e si esprime nella reciprocità e nello scambio, in quel sistema di opposizioni e
di simmetrie che nelle società cosiddette primitive sono espresse dalle regole di
parentela e di esogamia, dai miti e dalle classificazioni. Lo strutturalismo francese ha
ispirato lo sviluppo dell'antropologia simbolica, ossia lo studio della cultura intesa
come sistema di significati: una prospettiva prevalente, in particolare, negli Stati Uniti
alla fine del XX secolo.
Negli anni '60 in antropologia ha preso piede la teoria marxista, che ha posto l'accento
sulle possibilità di accesso degli individui ai mezzi di sussistenza. Questa prospettiva è
alle radici di una nuova scuola teorica statunitense, quella del materialismo culturale.
Il materialismo culturale è un approccio allo studio della cultura che pone l'accento
sugli aspetti materiali dell'esistenza degli esseri umani, in particolare l'ambiente
naturale in cui viviamo e i nostri mezzi di sussistenza.
Sempre negli anni '60 è emersa la prospettiva teorica dell'antropologia interpretativa,
o interpretativismo, che ha avuto in Clifford Geertz il suo maggiore esponente.
Questa prospettiva ha le sue radici nell'antropologia simbolica statunitense, in quella
strutturalista francese e nella filosofia ermeneutica. Secondo questo approccio, per
comprendere una cultura è necessario concentrarsi su ciò che le persone pensano,
sulle loro idee e i simboli, e i significati che per loro sono importanti. La cultura,
infatti, secondo Geertz è un sistema aperto di simboli e significati, una rete di
significati che l'antropologo deve decodificare, interpretare; un significato, tuttavia,
che non è soggettivo e individuale, ma pubblico e intersoggettivo.
L'approccio interpretativo sarà portato a conseguenze estreme dall'antropologia
postmoderna a partire dalla pubblicazione negli anni '80 del 900 di un noto volume dal
titolo “Writing culture” edito da James Clifford e George Marcus che accentua la
natura ermeneutica e dialogica dell'incontro tra osservatore e osservato, enfatizzando
gli aspetti riflessivi dell'etnografia e mettendo definitivamente in crisi i paradigmi
positivisti di una conoscenza scientifica oggettiva e naturale. Piuttosto che conoscere
l'altro, l'antropologia postmoderna ritiene possibile solo costruire rappresentazioni
dell'altro a partire da strategie retorico-testuali e dalla soggettività dell'antropologo.
A partire dagli anni '90 hanno preso piede altre due prospettive teoriche, entrambe
influenzate dal postmodernismo, ossia da una postura intellettuale che tende a
mettere in dubbio l'equivalenza tra modernità e progresso e che sottopone a critica
elementi caratterizzanti della modernità quali il metodo scientifico, l'urbanizzazione,
l'innovazione, la trasformazione tecnologica e la comunicazione di massa. Ci riferiamo,
da un lato, allo strutturalismo: una prospettiva secondo la quale potenti strutture
plasmano le culture, influenzando il modo di pensare e di agire delle persone, anche
qualora quest'ultime non se ne accorgano. Dall'altro, ci riferiamo alla prospettiva che
enfatizza il ruolo dell'agency (“agentività”) umana e il potere che gli individui hanno di
creare e trasformare la cultura opponendosi alle strutture esistenti.
Negli anni '50 del 900, in un tentativo di raccogliere tutte le definizioni di cultura, ne
furono individuate ben 164. La prima definizione è stata proposta nel 1871
dall'antropologo britannico Sir Edward Tylor: “la cultura, o civiltà, intesa nel suo senso
etnografico più ampio, è quell'insieme complesso che include la conoscenza, le
credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall'uomo come membro di una società”. Mentre in precedenza prevaleva
una concezione “colta” ed etnocentrica di cultura, intesa cioè come quel patrimonio di
conoscenze che l'individuo accumula nel corso della sua vita legate all'istruzione, con
la “cultura” in senso antropologico ogni società umana diventa produttrice e
portatrice di cultura.
Nell'antropologia statunitense lo studio della cultura è stato centrale nella riflessione
teorica. Secondo Alfred Kroeber, allievo di Boas, la cultura è un “livello superorganico”
non riconducibile alla sfera della natura e non dipendente da essa, un complesso
organizzato del quale individuare leggi di funzionamento. Da qui l'antropologa
Benedict arrivò a sviluppare l'idea che ogni società possedesse propri insiemi di
“configurazioni” o “modelli culturali” (pattern) interiorizzati dall'individuo e irriducibili.
Il materialista culturale Marvin Harris afferma: “una cultura è il modo o stile di vita
nel suo insieme che un gruppo di persone ha acquisito socialmente. Consiste nei modi
schematici e ridondanti di pensare, sentire e agire caratteristici dei membri di una
data società o di uno specifico gruppo sociale”. Invece, Clifford Geertz, per gli
interpretativi, ritiene che la cultura consista in un insieme di simboli, motivazioni,
stati d'animo e pensieri e non vi include i comportamenti.
Il termine cultura, a partire da almeno mezzo secolo, è stato spesso impiegato al
plurale per intendere non una facoltà umana, quanto specifici modi di vita appresi,
riconducibili a determinati gruppi umani. Declinato al plurale il termine indica le
micro-culture, o culture locali, cioè quell'insieme di specifici schemi di
comportamento e di pensiero appresi e condivisi che si riscontrano presso una
determinata area e un particolare gruppo umano. Le micro-culture sono basate
sull'etnia, il genere, l'età o sulla condivisione di altre caratteristiche.
La relazione tra cultura e natura è di grande interesse per gli antropologi culturali.
Per comprendere come le culture si distinguono dalla natura e contribuiscono a
modellarla è utile prendere in esame il modo in cui le esigenze primarie e naturali
della vita si declinano nei diversi contesti culturali.
La cultura condiziona le nostre scelte alimentari, i tempi e i modi del nostro
nutrimento e attribuisce significati al cibo e all'alimentazione. La cultura stabilisce
anche quali cibi siano accettabili e quali no. La percezione del gusto varia in modo
significativo. I ricercatori occidentali hanno individuato quattro categorie del gusto
presumibilmente universali: dolce, acido, amaro e salato. La ricerca transculturale,
tuttavia, ha dimostrato che queste categorie non sono universali.
Anche le differenze culture associate al bere sono molteplici. Ogni cultura stabilisce
che cosa sia corretto bere, quando bere e con chi e attribuisce significati alle bevande
e alle occasioni in cui bere. Spesso, le diverse culture codificano il significato di
particolari bevande e le maniere corrette di berle e servirle. Bere in compagnia crea e
rinsalda relazioni.
Il simbolo è un oggetto, una parola o un'azione dal significato culturalmente
codificato che rappresenta qualcosa con il quale non ha una relazione necessaria o
naturale. I simboli sono arbitrari (non hanno una relazione necessaria con ciò che
simbolizzano), molteplici e su di essi non si possono fare previsioni: poiché i simboli
sono arbitrari, è impossibile prevedere il modo in cui una determinata cultura si
riferirà simbolicamente a qualcosa.
Poiché è basata su simboli arbitrari, la cultura deve essere nuovamente appresa in
ogni contesto. L'apprendimento di una cultura ha inizio al momento della nascita, se
non prima. Una parte consistente dell'apprendimento culturale avviene in modo
inconsapevole nel corso della vita, attraverso l'osservazione. L'apprendimento
scolastico, invece, è un modo formale di acquisire cultura.
Le culture interagiscono e si trasformano vicendevolmente attraverso le occasioni di
contatto fornite da reti commerciali, progetti internazionali di sviluppo,
telecomunicazioni, educazione, migrazione e turismo. La globalizzazione, il processo
d'intensa interconnessione e scambio di merci, informazioni e persone a livello
globale, è un potente motore delle trasformazioni culturali contemporanee che ha
ricevuto un forte impulso dalle recenti innovazioni tecnologiche, in particolare dal
boom delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Quattro teorie dell'interazione culturale danno conto di alcune delle possibili
varianti.
1. La tesi dello scontro di civiltà sostiene che l'espansione globale del capitalismo e
degli stili di vita euro-americani ha generato delusione, alienazione e
risentimento presso gli altri sistemi culturali.
2. Secondo la teoria della McDonaldizzazione, sotto la potente spinta di una
cultura corporativa che vede gli Stati Uniti occupare una posizione preminente,
il mondo sta diventando culturalmente omogeneo. Al centro di questa nuova
cultura globale, questa prospettiva mette la “cultura del fast food”, con i suoi
principi della produzione di massa, la velocità, la standardizzazione e i servizi
impersonali.
3. L'ibridazione, detta anche sincretismo e creolizzazione, si ha quando gli aspetti
di due o più culture si combinano tra loro per formare qualcosa di nuovo: un
ibrido.
4. Una quarta teoria è quella della localizzazione, vale a dire la trasformazione
della cultura globale in qualcosa di nuovo per opera di micro-culture.
Quando si prendono in esame le micro-culture è importante considerare il divario
esistente tra differenza e gerarchia. Persone e gruppi possono essere considerati
diversi tra loro in base a una determinata caratteristica, ma non è necessario che da
queste premesse derivi anche una disuguaglianza tra di loro.
La classe è una categoria basata sulla posizione economica che si occupa nella società,
misurata solitamente in termini di entrate o di ricchezza ed esibita attraverso uno
stile di vita. Le società divise in classi sono composte di classi superiori, medie e
inferiori. Esistono delle classi distinte, per esempio quella dei lavoratori e quella dei
proprietari terrieri.
Con il termine “razza” ci si riferisce a un gruppo di persone che presumibilmente
condivide determinate caratteristiche biologiche.
Con il termine etnia ci si riferisce al senso d'identità di un gruppo, basato sulla
condivisione di un retaggio, di una lingua, di una religione o di altri elementi culturali.
Se paragonato al termine razza, quello di etnia potrà apparirci più neutro.
I popoli indigeni, stando alle linee guida stilate dalle Nazioni Unite, sono gruppi di
individui che hanno legami di lunga durata con le proprie terre d'origine: legami
anteriori al sorgere di altre società, come quelle coloniali, che oggi governano gli
stessi territori. In genere, sono numericamente minoritari e spesso hanno perso i
diritti di proprietà su quelli che originariamente erano i loro territori. Le Nazioni Unite
distinguono i popoli indigeni dalle minoranze etniche, per esempio i Roma, i Tamil
dello Sri Lanka e gli Afro-americani.
Il termine genere indica i comportamenti e i modi di pensare, generati e appresi
culturalmente, che sono attribuiti a maschi, femmine e, in qualche caso, a un genere
misto, o “terzo” genere. Il genere è distinto dal sesso, che, per essere definito, si basa
su indicatori biologici, come i genitali o gli ormoni, che caratterizzano il sesso
maschile e quello femminile.
Le istituzioni sono organizzazioni stabili create per scopi particolari e dotate di
specifiche micro-culture. Gli antropologi che studiano le istituzioni educative ci
hanno mostrato che spesso le scuole riflettono e rinforzano gli stereotipi, i rapporti di
potere e le disuguaglianze vigenti nel più ampio contesto sociale cui appartengono.
Il determinismo biologico cerca di spiegare il comportamento e il modo di pensare
delle persone a partire da fattori biologici come i geni e gli ormoni. I deterministi
biologici si sforzano di individuare i geni o gli ormoni che contribuiscono a generare
comportamenti come omicidio, alcolismo o turbe adolescenziali. I deterministi
biologici, per esempio, hanno fornito una spiegazione al fatto che gli esseri umani di
sesso maschile sembrano essere dotati di un senso dello spazio “migliore” rispetto a
quelli di sesso femminile.
Nell'ottica del costruzionismo culturale, invece, i comportamenti e le idee degli esseri
umani sono meglio spiegabili come prodotti dell'apprendimento modellato dalla
cultura. I costruzionisti culturali, per esempio, porterebbero evidenze a sostegno della
tesi che le “migliori” competenze spaziali rilevate nei maschi della nostra specie sono
loro tramandate dalla cultura durante l'apprendimento e non dai geni.
L'antropologia interpretativa, o interpretativismo, studia la cultura attraverso l'analisi
di ciò che pensano gli individui che ne fanno parte, a partire dal modo in cui danno
senso alla propria vita e i simboli che per loro sono importanti. Per esempio, per
comprendere le abitudini alimentari degli Hindu, gli antropologi che adottano un
approccio interpretativo chiedono loro perché non mangiano carne di manzo.
I materialisti culturali, invece, studiano la cultura a partire innanzitutto dagli aspetti
materiali dell'esistenza: l'ambiente naturale e i modi in cui gli esseri umani abitano
determinati ecosistemi traendo da questi ciò che è necessario per la loro sussistenza. I
materialisti culturali ritengono che siano questi fatti basilari della vita a modellare le
culture, anche se chi ne è partecipe può non esserne consapevole. Per spiegare la
cultura, usano un modello interpretativo composto di tre livelli. Il livello inferiore è
quello dell'infrastruttura, un termine che si riferisce ai fattori materiali di base, quali le
risorse naturali, l'economia e la popolazione. Secondo questo modello, l'infrastruttura
tende ad influenzare gli altri due ambiti della cultura: la struttura (l'organizzazione
sociale, la parentela e l'organizzazione politica) e la sovrastruttura (le idee, i valori e le
credenze). La spiegazione che un materialista culturale dà al tabù posto sull'uccisione
delle vacche e sul consumo di carne di manzo tiene conto del fatto che il bestiame in
India ha un ruolo più importante da vivo che non da morto e trasformato in bistecche.
I materialisti culturali tengono in considerazione le credenze Hindu circa la sacralità
del bestiame bovino, ma le mettono in relazione con il suo valore materiale:
interpretano queste credenze come un sistema di protezione simbolica atto a tutelare
animali estremamente utili da vivi.
Il pensiero filosofico occidentale pone molta enfasi sul ruolo dell'agency individuale,
vale a dire la capacità dei singoli di compiere scelte ed esercitare il proprio libero
arbitrio. Gli “strutturisti”, tuttavia, ritengono che il libero arbitrio sia un'illusione,
poiché le scelte degli individui sono preordinate dall'azione di forze dalla portata più
ampia, come l'economia, le organizzazioni sociali e politiche e i sistemi ideologici.
Coloro che privilegiano l'agency individuale concentrano le proprie ricerche sulle
strategie adottate dai singoli individui per esercitarla, persino in situazioni di povertà
estrema, al fine di migliorare, per quanto possibile, la loro condizione.
Gli strutturisti, al contrario, rilevano che i poveri sono costretti da forze più vaste e
potenti di loro e che l'economia politica e altre forze rendono poco probabile
l'esercizio dell'agency da parte di chi occupa una posizione subalterna.
2 - La ricerca antropologica
Oggi, la maggior parte degli antropologi culturali raccoglie i propri dati attraverso la
ricerca sul campo: ovvero si reca sul campo al fine di studiare la cultura attraverso
l'osservazione diretta.
L'espressione antropologia da tavolino si riferisce al fatto che i primi antropologi
culturali portavano avanti i propri studi a tavolino, seduti nel proprio studio ad
analizzare le informazioni su culture distanti che pervenivano loro dai resoconti di
viaggiatori, missionari ed esploratori.
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo alcuni antropologi stipendiati dai
governi coloniali posero le prime basi di un metodo basato invece sull'esperienza
diretta: raggiunsero i territori africani e asiatici che i propri paesi d'origine avevano
colonizzato e si avvicinarono, senza però vivere insieme a loro, alle popolazioni che
stavano studiando. Questo approccio è detto antropologia da veranda. All'inizio del XX
secolo un altro importante momento di svolta costituì le fondamenta del
metodo-chiave della ricerca antropologico-culturale: la ricerca sul campo combinata
con l'osservazione partecipante.
L'osservazione partecipante è un metodo per la ricerca finalizzata alla comprensione
della cultura, che richiede non solo la raccolta di dati, ma anche di vivere per un
periodo di tempo prolungato nell'ambito culturale che vogliamo analizzare. Il “padre”
dell'osservazione partecipante è Bronislaw Malinowski.
Con il metodo dell'osservazione partecipante sono state prodotte nella prima metà del
Novecento alcune tra le etnografie più note nella storia dell'antropologia, soprattutto
nell'antropologia britannica, dal lavoro di Malinowski nelle Isole Trobriand alle
etnografie dell'antropologo britannico Evans Pritchard sugli Azande e sui Nuer nel
continente africano.
Il positivismo è una corrente filosofica del XIX secolo che ha costituito la base del
metodo tradizionale delle scienze fisiche. Secondo il positivismo una conoscenza
“scientifica”, unica, vera e oggettiva è possibile, a patto che si seguano un approccio e
una metodologia che indaghino cause ed effetti dei fenomeni che si intendono
studiare, i quali restano validi indipendentemente dalle inclinazioni soggettive, dai
valori, dalla morale e dalle contingenze politiche.
Per lungo tempo l'obiettivo del positivismo è stato quindi quello di produrre una
conoscenza oggettiva dei fenomeni e anche l'antropologia ha operato con queste basi
epistemologiche. I resoconti degli antropologi positivisti, tuttavia, hanno per lungo
tempo celato la componente umana che è alla base della conoscenza antropologica,
sia dell'antropologo stesso sia di coloro che venivano studiati. Negli anni '70 gli assunti
del metodo positivista, nelle scienze in generale, hanno iniziato a subire forti critiche
e molti dubbi si sono sviluppati anche in merito all'oggettività della conoscenza
antropologica. Iniziò dunque a farsi strada la consapevolezza che la conoscenza
antropologica fosse il risultato di una relazione dialogica tra soggetti piuttosto che il
risultato dell'osservazione di fatti oggettivi e che quindi fosse passibile di variabili e
differenze.
Tre sono le dimensioni che iniziarono a emergere come fondamentali nella
produzione della conoscenza antropologica: la dimensione soggettiva, ovvero il
retroterra culturale e soggettivo sia dell'antropologo sia delle persone studiate; la
dimensione etica che è alla base della relazione tra l'antropologo e coloro che osserva
e la dimensione politica e le relazioni di potere che caratterizzano spesso la reazione
sul campo tra l'antropologo e i soggetti che studia.
È necessario quindi considerare i soggetti che si studiano non come materie inerti da
osservare oggettivamente, ma come esseri umani, dalla relazione con i quali può
scaturire un coinvolgimento che può produrre un cambiamento nella soggettività.
Questa nuova consapevolezza della ricerca sul campo in antropologia ha preso il
nome di svolta riflessiva. La riflessività considera la ricerca sul campo come il
prodotto di un dialogo tra un ricercatore e uno o più informatori.
Oggi poche culture vivono in condizioni apparentemente isolate. Per poter studiare la
cultura di popolazioni che occupano territori più ampi, le connessioni tra le
dimensioni locali e quelle globali e il cambiamento culturale, gli antropologi culturali
hanno approntato nuove metodologie di ricerca. Un'innovazione metodologica
prodotta alla fine del XX secolo ed utile per affrontare tali questioni è, secondo la
definizione di Marcus, la ricerca multisituata, vale a dire la ricerca sul campo che
viene condotta presso più territori. Lanita Jacobs-Huey, per esempio, ha svolto una
ricerca multilocale sul campo per studiare la lingua e le culture associate
all'acconciatura presso le donne afro-americane.
Prima di recarsi sul campo, i ricercatori devono scegliere un argomento di ricerca e
prepararsi per il lavoro vero e proprio. La scelta dell'argomento è il primo,
fondamentale passo di un progetto di ricerca. Il tema deve essere significativo ed
effettivamente realizzabile. Spesso gli antropologi culturali individuano l'argomento
da trattare attraverso lo spoglio della letteratura. Con questa espressione formale
s'intende la lettura delle pubblicazioni già esistenti su un dato argomento e la
disamina dei loro punti di forza e delle loro mancanze. I progetti di ricerca sono
spesso ispirati da tendenze ed eventi significativi. L'epidemia del virus dell'HIV/AIDS e
la sua veloce diffusione continuano a originare molte ricerche. Alcuni antropologi
culturali si dedicano allo studio di un particolare oggetto o bene di scambio nel suo
contesto culturale. A partire da un oggetto si possono analizzare le relazioni sociali
che ne caratterizzano la produzione, l'uso, la commercializzazione e il ruolo che
riveste nella costruzione e nel mantenimento del senso d'identità di una data
popolazione.
Un'altra innovazione metodologica è nata invece per rispondere all'esigenza della
ricerca applicata di produrre conoscenze che possano essere utili a governi,
organizzazioni non governative o aziende. Piuttosto che sull'esperienza di un anno o
più di permanenza sul campo, le ricerche degli antropologi applicati si basano sulle
conoscenze di esperti e sul lavoro di gruppo e fanno uso di metodi “scorciatoia”, detti
anche metodi di ricerca rapida, per ottenere informazioni in poco tempo. Un'altra
possibilità per un progetto di ricerca è quella del restudy, ossia una ricerca sul campo
condotta presso una comunità già oggetto di studio in passato.
Una volta identificato l'argomento di ricerca è importante ottenere il finanziamento
necessario a realizzarla. Nei paesi anglosassoni gli antropologi accademici possono
avanzare richieste di finanziamento a una varietà di enti, governativi e non. Connesso
al problema del finanziamento è il seguente interrogativo: è opportuno per un
antropologo trovare un impiego remunerato nel luogo in cui si sta svolgendo una
ricerca? L'impiego fornirebbe il supporto finanziario necessario alla ricerca, ma la
situazione avrebbe dei risvolti problematici. Tuttavia, avere un incarico di lavoro può
rendere più facile guadagnarsi le fiducia e il rispetto degli “oggetti” del proprio studio.
Uno studente britannico ha lavorato come barista in una città turistica dell'Irlanda.
Questo suo incarico gli ha garantito una posizione centrale nel paese e la sua
popolazione ha imparato a rispettare la sua operosità, permettendogli di conoscere la
cultura locale, almeno quella percepibile dal punto di vista di un barista.
Se il nostro progetto richiede una trasferta internazionale, può succedere che il
governo ospite ci richieda di produrre un visto e una domanda di autorizzazione a
condurre la ricerca. Molti paesi richiedono che i ricercatori rispettino linee guida
ufficiali per la protezione dei soggetti umani. Negli Stati Uniti le università e le altre
istituzioni che supportano o conducono attività di ricerca che coinvolgono esseri
umani devono istituire dei comitati etici che tengano la ricerca sotto costante
osservazione per garantire che il suo svolgimento sia conforme ai principi etici.
Solitamente, l'IRB (linee guida) richiede che tutti i partecipanti alla ricerca dichiarino,
per iscritto, il proprio consenso informato. Il consenso informato è un elemento del
codice deontologico della ricerca che prevede che il ricercatore informi i partecipanti
sugli obiettivi, l'ambito e i possibili effetti del proprio studio e ottenga il loro consenso
a farne parte.
Il sito di una ricerca è il luogo in cui questa viene condotta. Spesso i ricercatori hanno
un'idea indicativa dell'area in cui svolgerla. Tuttavia, spesso è impossibile sapere sin
dall'inizio esattamente dove il progetto verrà realizzato. La scelta di un sito per la
ricerca dipende da molti fattori. Se il progetto riguarda le differenze di classe in
ambito lavorativo può essere necessario recarsi in un paese o in un villaggio di
dimensioni rilevanti. Se è relativo ai comportamenti connessi alla salute, una clinica è
tra le scelte appropriate.
La relazione etnografica è un rapporto di fiducia che si stabilisce tra il ricercatore e la
popolazione oggetto dello studio. Nelle prime fasi della ricerca l'obiettivo principale
del ricercatore è quello di costruire una relazione etnografica con i leader più
importanti o con coloro che prendono decisioni per la comunità e che possano
fungere da custodi. Costruire una relazione etnografica significa ottenere la fiducia
della popolazione che s'intende studiare e il successo di questa impresa dipende dal
modo in cui il ricercatore si presenta.
Fare regali alle persone coinvolte nel nostro progetto di ricerca può essere utile al suo
svolgimento, ma deve trattarsi di oggetti appropriati dal punto di vista etico e
culturale. È importante imparare a conoscere le regole locali che attengono allo
scambio.
La classe sociale, la razza o l'etnia, il genere e l'età del ricercatore influenzano il modo
in cui questi verrà accolto dalla popolazione locale. Nella maggior parte dei casi
l'antropologo è più facoltoso e gode di maggiori poteri rispetto a coloro che studia.
Tale disparità è palese a quest'ultimi: molti sanno che l'antropologo deve aver speso
centinaia di migliaia di dollari per raggiungere il loro paese e riconoscono il valore
dell'attrezzatura e di altri oggetti che egli porta con sé. Molti anni fa Laura Nader ha
invitato gli antropologi a studiare anche i gruppi di potere, le classi dominanti: le élite
imprenditoriali, i leader politici, i funzionari del governo.
Per la maggior parte della sua storia, l'antropologia culturale è stata dominata da
ricercatori “bianchi” euro-americani impegnati soprattutto a studiare culture “altre”.
Gli effetti di questa “bianchezza” della pelle, in termini di attribuzioni di ruolo, variano:
ad alcuni antropologi è attribuita un'identità divina o quella dello spirito di un
antenato, altri subiscono il disprezzo che spetta ai rappresentanti di un passato
coloniale o di un presente neo-coloniale.
Le ricercatrici giovani e nubili hanno più probabilità di incontrare difficoltà sul campo
rispetto a donne più mature o a giovani scapoli, poiché presso la maggior parte delle
culture è insolito, per una donna giovane e non sposata, spostarsi, lavorare e vivere da
sola. Può accadere che delle regole di segregazione di genere impediscano a una
giovane donna nubile di spostarsi liberamente senza essere accompagnata da un
uomo, di partecipare ad alcuni eventi o recarsi in determinati luoghi. La segregazione
di genere può impedire anche ai ricercatori di accedere a pieno a determinati ambiti.
Di solito gli antropologi e le antropologhe sono adulti e questo li facilita a stabilire
buone relazioni etnografiche con individui della loro età piuttosto che con i bambini o
con gli anziani.
Lo shock culturale è la sensazione di disagio, solitudine e ansietà che si prova quando
ci si sposta da un contesto culturale a un altro. Più le due culture differiscono tra loro,
più forte è possibile che sia lo shock che deriva da questo spaesamento. Nonostante
cerchino di prepararsi al meglio al lavoro sul campo, tale sindrome colpisce molti
antropologi culturali. Lo shock culturale può essere causato, tra le altre cose, da
un'alimentazione differente, da barriere linguistiche e dalla solitudine. Un elemento
psicologico frequente associato allo shock culturale è la sensazione di essere poco
competente come “attore culturale”. In patria l'antropologo è molto competente e
compie senza quasi rendersene conto le proprie attività giornaliere. Presso un'altra
cultura, invece, anche il più semplice dei compiti diventa difficile e ciò nuoce alla sua
fiducia nelle proprie capacità. Al rientro a casa si può avere uno shock culturale di
ritorno.
L'approccio deduttivo corrisponde a una forma d'indagine che muove da un quesito di
ricerca, o ipotesi, e procede raccogliendo informazioni rilevanti attraverso
l'osservazione, le interviste e altre tecniche di ricerca. L'approccio induttivo, invece,
non prevede l'esistenza di un'ipotesi di partenza e favorisce l'acquisizione di dati
attraverso l'osservazione informale non strutturata, la conversazione e altre
metodologie. I metodi deduttivi favoriscono la raccolta di dati quantitativo, per
esempio quelli relativi alla quantità di terra disponibile a una data popolazione. La
metodologia induttiva in antropologia culturale, per contro, è più adatta alla raccolta
di dati qualitativi, non numerici: trascrizioni di racconti mitici e conversazioni, riprese
audiovisive e così via.
L'attributo di etico è associato a dati raccolti a partire da quesiti e categorie
appartenenti al ricercatore e servono a verificare una sua ipotesi. Al contrario, quello
di emico contraddistingue i dati finalizzati a restituire ciò che le persone osservate
dicono a proposito della loro cultura e il modo in cui le concepiscono, nonché le
categorie del loro pensiero. I materialisti culturali privilegiano la raccolta di dati etici,
mentre gli antropologi interpretativi preferiscono quella di dati emici.
L'osservazione partecipante implica due processi: da un lato, la condivisione della vita
quotidiana delle popolazioni che s'intendono studiare, dall'altro, la loro attenta
osservazione. Per il ricercatore partecipare significa adottare lo stile di vita delle
persone oggetto del suo studio, vivere in abitazioni simili alle loro, adottarne le
abitudini alimentari, vestirsi come loro, imparare la lingua e partecipare alle loro
attività quotidiane e alle occasioni che considerano speciali. Più tempo passa con loro,
più è probabile che questi in sua presenza tengano dei comportamenti “normali”. In
tal modo, il ricercatore può sperare di contrastare il cosiddetto effetto Hawthorne:
l'adozione, da parte della popolazione studiata, di comportamenti che si conformano a
quelle che presume siano le aspettative dell'antropologo.
Partecipare e osservare sono importanti, ma lo è anche dialogare con la gente e porre
domande del tipo: “che cosa sta succedendo?”, “che cosa significa?”. Parlare con la
gente e fare domande sono comportamenti dell'osservazione partecipante tanto
importanti che il metodo dovrebbe in effetti essere chiamato osservazione e
conversazione partecipante. Il metodo dell'intervista permette di acquisire
documentazione orale, attraverso domande o nel corso di una conversazione guidata.
L'intervista è più orientata a fini specifici rispetto a una conversazione casuale. Può
coinvolgere solo due persone o interessarne diverse, nelle cosiddette interviste di
gruppo, o focus groups.
L'intervista aperta è il modello meno strutturato: prevede di lasciare all'intervistato la
scelta delle direzioni verso cui portare la conversazione, degli argomenti da trattare e
del tempo da dedicare a ciascuno di essi. L'intervistatore, in questo caso, non
interrompe l'intervistato, né fa in modo di spostare la conversazione su temi
particolari. Il questionario è uno strumento di ricerca strutturato; contiene una serie
predefinita di domande che l'antropologo può porre di persona, ma anche per posta o
per mail. Gli antropologi culturali che utilizzano i questionari tendono a preferire la
modalità faccia a faccia. Come le interviste, le domande che compongono i questionari
possono essere più o meno strutturate o non strutturate. Al momento della
preparazione di un questionario, il ricercatore dovrebbe avere già una buona
conoscenza della popolazione che sta studiando, così da poter formulare domande
che abbiano un senso nello specifico contesto culturale.
La storia di vita è un'approfondita descrizione qualitativa della vita di un individuo che
la narra al ricercatore. L'indagine sull'uso del tempo è un metodo quantitativo che
permette di raccogliere informazioni relative al tempo che le persone dedicano
quotidianamente a determinate attività. Questo metodo si basa su unità di tempo
standard e classifica o codifica le attività che si svolgono in determinate fasce
temporali.
Le note di campo (fieldnotes) comprendono registri giornalieri, diari personali,
descrizioni di eventi e appunti sulle stesse annotazioni. I registratori audio sono di
grande aiuto durante il lavoro sul campo. Il loro uso, però, può creare problemi: una
macchina in grado di catturare le voci può insospettire i partecipanti. Nell'analisi dei
dati come nella loro raccolta questi vengono distinti in due principali tipologie: quella
qualitativa (descrizione in forma di prosa) e quella quantitativa (rappresentazioni
numeriche).
L'etnografia è il principale metodo adottato dagli antropologi per trasmettere le
conoscenze che hanno acquisito sulla cultura: una dettagliata descrizione di una
cultura basata sulle osservazioni e le analisi del ricercatore. I primi etnografi erano
inclini a trattare una particolare comunità locale o un villaggio come entità a sé stanti
e delimitabili, un approccio che ha dato luogo a un vero e proprio genere di scrittura
detta monografia etnografica, ovvero un resoconto approfondito e accurato di una
singola comunità e delle sue forme di vita sociale e culturale, prodotto a seguito di un
lungo periodo di ricerca e osservazione condotto presso quel gruppo. Se le precedenti
etnografie erano finalizzate al salvataggio delle culture esotiche dalla loro scomparsa,
o a una comprensione di tipo sistemico, dagli anni '80 in poi le etnografie iniziano a
mettere al centro della scrittura la relazione soggettiva tra osservatore e osservato, a
riflettere sulle condizioni della comprensione antropologica.
L'antropologia è stata tra le prime discipline ad adottare un codice deontologico. Una
rinnovata attenzione è rivolta alla dimensione etica della ricerca e lo stesso accade al
tema della sicurezza.
Una tendenza metodologica recente dell'antropologia culturale ha l'obiettivo esplicito
di coinvolgere la popolazione studiata in ricerche che prevedano la sua collaborazione
in tutte le fasi, dalla raccolta dei dati all'analisi, alla presentazione dei risultati.
Durante una ricerca collaborativa, l'antropologo lavora insieme ai membri della
popolazione studiata considerandoli componenti di uno stesso gruppo di ricerca,
piuttosto che come suoi oggetti. Questa metodologia sollecita nuove riflessioni sul
modo in cui gli antropologi si riferiscono alle popolazioni che studiano, in particolare
sul loro durevole e diffuso attributo di informatori. Gli antropologi culturali
privilegiano l'espressione partecipante alla ricerca.
3 - I sistemi economici
Il sistema economico è composto da tre diversi elementi: il sistema di sussistenza,
ovvero la produzione o l'acquisizione di risorse o denaro, il consumo, ossia il loro uso
e lo scambio, cioè la circolazione dei beni o denaro tra individui o istituzioni. I sistemi
acquisitivi o di caccia e raccolta sono basati sull'acquisizione di risorse naturali per
mezzo di attività di raccolta, di pesca o di caccia. È il più antico modo conosciuto di
procurarsi il necessario per vivere e lo condividiamo con gli altri primati. Oggi, nel
mondo, sono solo circa 250,000 le persone che ricavano le risorse per il proprio
sostentamento principalmente da attività di acquisizione. La maggior parte dei
cacciatori-raccoglitori contemporanei vive in quelle che vengono considerate aree
marginali, in cui i paesi più ricchi anelano alle risorse naturali disponibili nei territori
in cui vivono e ciò li spinge a trasformare aree prima deputate alla caccia, pesca e
raccolta in siti di estrazione mineraria, piantagioni o destinazioni turistiche,
costringendo i cacciatori-raccoglitori ad allontanarsi dalle loro terre d'origine. Quella
dei cacciatori-raccoglitori è una strategia estensiva: un sistema di sussistenza che
richiede la disponibilità di vasti territori e una libertà di movimento senza limitazioni.
Gli antropologi culturali ne identificano due varietà principali: la caccia e raccolta nei
climi temperati e la caccia e raccolta circumpolare. Tra le popolazioni di
cacciatori-raccoglitori, la divisione del lavoro è basata sul genere e sull'età. I
cacciatori-raccoglitori non applicano il concetto di proprietà privata inteso come
possesso di qualcosa che può essere venduto a qualcun altro. In queste società è più
diffuso quello dei diritti d'uso, che consentono a un individuo o a un gruppo di
riservarsi la priorità di accesso, riconosciuta da tutti, a particolari risorse, per esempio
le aree di raccolta, quelle di caccia e di pesca e gli specchi d'acqua. Se non subiscono
influenze esterne e possono contare su un terreno esteso, i sistemi basati
sull'acquisizione sono sostenibili, vale a dire che le risorse fondamentali vi si
rigenerano nel tempo, in equilibrio con la domanda da parte della popolazione. Gli
antropologi hanno definito questo stile di vita modesto dei cacciatori-raccoglitori,
società originaria del benessere, perchè i bisogni vi vengono soddisfatti con un
impegno lavorativo minimo. L'orticoltura è un sistema di sussistenza basato sulla
coltivazione di piante domestiche attraverso l'uso di attrezzatura manuale ed è anche
chiamata coltivazione itinerante.
Il genere e l'età sono fattori chiavi nell'organizzazione della suddivisione del lavoro: i
ruoli degli uomini e quelli delle donne sono spesso distinti in modo netto. La proprietà
privata, intesa come qualcosa che un individuo abbia il diritto di possedere e vendere,
non è una caratteristica delle società orticole. La pastorizia è un sistema di
sussistenza basato sull'allevamento di bestiame e sull'uso dei loro prodotti; come il
sistema di caccia-raccolta e l'orticoltura, la pastorizia è una strategia estensiva. La
principale forma di proprietà per i pastori è senza dubbio quella del bestiame. Sono
anche importanti quella dell'abitazione e del corredo domestico. A seconda del
gruppo, la proprietà degli animali si eredita per linea di discendenza maschile e in
alcuni casi, femminile. L'agricoltura è un sistema di sussistenza che prevede la
coltivazione di raccolti su appezzamenti di terreno permanenti e la pratica
dell'aratura, dell'irrigazione e della fertilizzazione. L'agricoltura è considerata una
strategia intensiva: ciò rende necessario l'uso di tecniche che consentono di utilizzare
ripetutamente lo stesso terreno senza comprometterne la fertilità. L'agricoltura a
conduzione familiare è una forma di produzione agricola di misura ridotta, sufficiente
al sostentamento di una famiglia e a dotarla di alimenti da poter vendere. L'unità di
base per la produzione è la famiglia e il genere e l'età sono criteri importanti
dell'organizzazione del lavoro.
L'agricoltura industriale capitalistica è un sistema di produzione agricola basato
sull'impiego di ingenti capitali e, piuttosto che sulla forza lavoro degli animali ed esseri
umani, sull'uso di macchinari e fertilizzanti chimici. Essa è caratterizzata da una
domanda di manodopera per lo più stagionale e, di conseguenza, genera fluttuazioni
nell'impiego dei lavoratori nei diversi periodi dell'anno. Il sistema caratterizzato da
industrializzazione e informatizzazione procura le risorse necessarie alla sussistenza
ricorrendo all'impiego di massa di forza lavoro in operazioni d'affari e commerciali e
attraverso creazione, manipolazione, gestione e trasferimento di informazioni per
mezzo di media elettronici. Nel capitalismo industriale la maggior parte dei beni non è
prodotto per soddisfare i bisogni primari, ma per venire incontro alla domanda di beni
non essenziali.
Il termine consumo ha due significati: in primo luogo corrisponde all'“input”, da parte
di una persona, di cibo o al suo modo di fare uso di altri beni; il secondo significato è
invece quello di un “output”: l'investimento o l'uso di risorse per ottenere determinati
beni. Così, per esempio, mangiare un panino è una forma di input, mentre spendere
soldi in un negozio per comprarlo è una forma di output, ma in entrambi i casi si tratta
di attività di consumo. Le diverse tipologie di consumo si possono organizzare a
partire da due modelli principali di consumo, tra loro contrastanti. Questi modelli
alternativi si distinguono sulla base delle diverse relazioni tra domanda (quello di cui la
gente ha bisogno o che desidera) e offerta (le risorse disponibili per soddisfare la
domanda).
Minimalismo: è un modello di consumo caratterizzato da una domanda limitata e ben
definita da parte dei consumatori e da un adeguato e sostenibile sistema per
soddisfarla. Consumismo: è un modello di consumo nel quale la domanda è alta e
potenzialmente infinita e i mezzi per soddisfarla non sono mai sufficienti. Nelle
società poco estese i beni di consumo sono prodotti dagli stessi consumatori che
intrattengono relazioni personali e dirette: si tratta di un modello di consumo
personalizzato in quanto tutti sanno da dove provengono le risorse di cui fanno uso e
chi le ha generate. Questo modello contrasta con quello del consumo prevalente nel
mondo globalizzato che è definito consumo spersonalizzato che allontana i
consumatori dai lavoratori che producono i beni.
Lo scambio è il trasferimento di qualcosa tra un minimo di due persone, gruppi o
istituzioni. Gli antropologi culturali hanno dedicato molte ricerche alle pratiche
donative e alle altre forme di scambio. Come per i diversi modelli di consumo
possiamo identificare due principali sistemi di scambio. Scambio equilibrato: indica un
sistema per il trasferimento di beni il cui obiettivo è un loro bilanciamento, immediato
o successivo. Scambio squilibrato: un sistema per il trasferimento di beni ove una delle
parti coinvolte ha l'obiettivo di ricavarne un profitto. La tipologia dello scambio
equilibrato comprende due sotto tipi, distinti sulla base delle relazioni sociali esistenti
tra le due parti coinvolte e dal grado in cui è atteso un “ritorno”. La reciprocità
generalizzata è una transazione che implica un livello minimo di attenzione riservata a
possibili guadagni materiali o di attesa di una ricompensa. Questi scambi spesso
riguardano beni e servizi di uso comune. La reciprocità attesa invece è lo scambio di
beni o servizi che si ritiene abbiano pressappoco lo stesso valore tra persone dotate di
un simile status sociale (esempio kula). La redistribuzione è una forma di scambio che
prevede che una persona che abbia ricevuto beni o denaro da molti membri di un dato
gruppo li ripaghi in seguito pubblicamente. Lo scambio di mercato, una forma
prevalente di scambio squilibrato, consiste nell'acquisto o nella vendita di beni in
condizioni di competitività, ove il valore è determinato dalle forze della domanda e
dell'offerta e chi effettua una vendita lo fa per ricavarne profitti.
Katherine Milton, un'antropologa fisica, ha studiato gli effetti che il contatto con
l'Occidente ha avuto sulle abitudini di consumo e sulla salute dei
cacciatori-raccoglitori indigeni dell'Amazzonia brasiliana. In Amazzonia l'attrazione
esercitata dai prodotti occidentali affonda le radici nei primi decenni del XX secolo
quando il governo brasiliano ha cercato di pacificare i gruppi Amazzonici sistemando
pentole, machete, asce e coltelli d'acciaio lungo i sentieri. Questo sistema si è
dimostrato così efficace che viene adottato per contattare i gruppi più isolati.
L'adozione di alimenti di provenienza occidentale ha avuto effetti negativi sul regime
alimentare e sulla salute delle popolazioni indigene dell'Amazzonia che hanno
cominciato a consumare sale e zucchero.
Nati negli anni '80, diversi movimenti per il consumo alimentare alternativo si sono
diffusi in Europa e in Nord America. I movimenti alimentari alternativi si propongono
di ristabilire un legame diretto tra i produttori, i commercianti e i consumatori degli
alimenti promuovendo il consumo di quelli prodotti localmente e in quantità limitate.
Questi movimenti sono in netta contrapposizione con il sistema alimentare
agro-industriale, che: costringe al fallimento i piccoli produttori che promuovono la
biodiversità; spinge la dieta verso il fast food, il cibo a basso prezzo e da asporto; uno
dei primi movimenti fu quello italiano Slow food che esalta le tradizioni agricole locali.
4 - La riproduzione e lo sviluppo degli esseri umani
Una dinamica riproduttiva è la modalità prevalente, in una data cultura, di provvedere
al ricambio della popolazione per l'effetto combinato della fertilità e della mortalità.
Importanti informazioni riguardanti la produzione nelle società di
cacciatori-raccoglitori ci pervengono da uno studio sul campo condotto negli anni '70
presso gli Ju-hoansi. Lo studio mostra come in questa popolazione, l'intervallo
genesico (il tempo che intercorre tra una nascita e l'altra) duri spesso diversi anni per
l'allattamento al seno e lo scarso indice di grasso corporeo nelle donne. Il
pronatalismo (un'attitudine o un orientamento politico che incoraggia la
procreazione) è prevalente spesso le famiglie dedite all'agricoltura in tutto il mondo.
Questa propensione è generata dalla necessità di disporre di una consistente forza
lavoro per coltivare la terra, allevare gli animali, preparare gli alimenti e gestirne la
commercializzazione. I cambiamenti demografici che si verificano durante il periodo
di transizione che precede la dinamica riproduttiva che caratterizza i contesti
industrializzati rappresentano la cosiddetta transizione demografica: il processo per
cui il modello caratteristico delle economie agricole viene rimpiazzato da quello
associato ai contesti industriali. Il modello di transizione demografica prevede due
fasi: nel corso della prima, il tasso di mortalità diminuisce e il tasso di crescita
aumenta. La seconda fase inizia con la diminuzione del tasso di fertilità. La dinamica
della riproduzione nelle società industrializzate presenta i seguenti tre aspetti:
riproduzione stratificata: le classi medie e alte tendono ad avere pochi figli con alte
percentuali di sopravvivenza, mentre tra i poveri sono elevati tanto i tassi di fertilità
quanto quelli di mortalità. Invecchiamento della popolazione: situazione demografica
in cui la proporzione di anziani sul totale della popolazione aumenta in maggior
misura rispetto alla popolazione giovane. Largo impiego della tecnologia scientifica
per tutto ciò che concerne la gravidanza: il concepimento, la contraccezione e
l'aborto.
Le ricerche svolte presso culture diverse indicano che il desiderio di avere figli è
influenzato dai seguenti fattori: 1. il valore dei figli in termini di forza lavoro; 2. il valore
dei figli come sostegno ai genitori in vecchiaia; 3. i tassi di mortalità infantile; 4. i costi
dei figli in termini economici.
La personalità è il modo prevedibile e distintivo di comportarsi, pensare e sentire un
individuo. Gli antropologi culturali ritengono che la personalità si formi in larga
misura attraverso l'inculturazione detta anche socializzazione, ossia l'apprendimento
della cultura attraverso processi formali e informali. La ricerca nota come “studio
delle sei culture” è un classico progetto di ricerca transculturale finalizzato a fornire
dati comparativi sul modo in cui le attività e i compiti affidati ai fanciulli modellino la
loro personalità. I ricercatori hanno applicato metodologie simili a sei diversi contesti,
concentrandosi sui bambini tra i 3 e gli 11 anni e annotandone i comportamenti, tra cui
le azioni di assistenza e sostegno rivolte ad altri bambini, le azioni aggressive nei
confronti degli stessi e lo svolgimento di incarichi quali prendersi cura dei piccoli,
preparare il cibo e svolgere delle commissioni. La personalità premurosa responsabile
è caratterizzata da azioni di cura e condivisione con gli altri bambini; quella
dipendente dominante è meno caratterizzata da comportamenti premurosi e lo è più
da azioni finalizzate ad affermare una supremazia sugli altri bambini e dalle richieste
di ricevere attenzioni da parte degli adulti.
5 - Malattia, malessere e cura
L'etnomedicina, ossia lo studio dei sistemi sanitari in uso presso le diverse culture, è
stata un ambito di ricerca importante. Ogni sistema sanitario è composto di più
aspetti: l'identificazione e la classificazione dei problemi di salute, le misure di
prevenzione, le diagnosi, le terapie e gli addetti a somministrarle. In primo luogo, la
ricerca etnomedica cerca di comprendere come le diverse popolazioni etichettano,
categorizzano e classificano i problemi di salute. A seconda della specifica cultura, gli
elementi su cui si basa per identificarli e classificarli possono essere i seguenti: la
causa, il vettore o mezzo di trasmissione, la parte del corpo interessata, i sintomi e
una combinazione di questi fattori. La sindrome culturale è un problema di salute che
presenta una serie di sintomi associati a una determinata cultura. Spesso le cause
sono fattori sociali.
Tutte le culture del mondo si sforzano di dare una spiegazione ai problemi di salute
che le colpiscono e di individuarne le cause, ovvero l'eziologia. Il termine
etnoeziologia si riferisce alle spiegazioni causali attribuite ai problemi di salute e alla
sofferenza presso le diverse culture. Gli antropologi medici usano spesso l'espressione
sofferenza strutturale, o sofferenza sociale, per indicare i problemi di salute scatenati
dalla povertà, la guerra, la carestia e la migrazione forzata. Questi fattori strutturali
incidono sulla salute in diversi modi, con effetti che vanno dall'ansia alla depressione
fino alla morte.
L'approccio ecologico/epidemologico si concentra sul modo in cui determinati
aspetti dell'ambiente naturale interagiscono con la cultura dando origine a problemi di
salute e favorendone la diffusione nella popolazione. L'antropologia medica critica
analizza il modo in cui fattori strutturali quali l'economia politica globale, i media
transazionali e la disuguaglianza sociale, incidono sui sistemi terapeutici in uso, sui
diversi tipi di malattie, sulle condizioni di salute delle persone e sulla loro possibilità di
accedere alle cure.
Le malattie del progresso si caratterizzano come problemi di salute causati o aggravati
dai processi di sviluppo economico, come ad esempio l'obesità.
L'antropologia medica applicata è l'impiego di conoscenze antropologiche per
contribuire al raggiungimento degli obiettivi degli operatori sanitari. Molti studi di
antropologia medica applicata sono dedicati al tema della comunicazione in ambito
sanitario.
6 - La parentela e la vita familiare
Dalla classificazione della parentela all'analisi delle sue funzioni gli antropologi hanno
fatto molta strada: oggi, si concentrano su tre fattori chiave che definiscono le
relazioni di parentela: discendenza, condivisione e matrimonio. La discendenza
configura le relazioni di parentela a partire da quella genitore-figlio/a. È basata sul
fatto che tutti nasciamo da qualcun altro. Alcune culture adottano un sistema di
discendenza bilineare, per cui un bambino appartiene al gruppo di discendenza di
entrambi i genitori. Altre hanno un sistema di discendenza unilineare, che traccia la
sua discendenza a partire da uno solo dei due genitori. La discendenza unilineare può
assumere due principali forme: la discendenza patrilineare e matrilineare.
Le regole dell'endogamia, ossia il matrimonio tra individui che appartengono allo
stesso gruppo, impongono che la sposa provenga da una determinata categoria
sociale, al contrario l'esogamia è il matrimonio tra individui che provengono da gruppi
diversi. Il termine iperginia o l'elevarsi con il matrimonio indica un matrimonio in cui
lo status della sposa è inferiore a quello dello sposo. All'estremo opposto c'è l'ipoginia,
cioè l'abbassarsi con il matrimonio che si realizza quando il marito occupa una
posizione sociale inferiore rispetto a quello della moglie.
7 - Gruppi e stratificazioni sociali
Il gruppo sociale è un insieme di persone distinto dal gruppo domestico: ne esistono
due principali tipologie: il gruppo primario, composto di persone che interagiscono
tra loro e si conoscono di persona e il gruppo secondario, i cui membri s'identificano
l'uno con l'altro sulla base di qualcosa che hanno in comune, ma possono non
incontrarsi mai di persona né avere mai interazioni dirette.
La stratificazione sociale consiste nelle relazioni gerarchiche esistenti tra gruppi
distinti, organizzati in diversi livelli o strati. Nei sistemi di stratificazione sociale le
categorie di classe, “razza”, genere, età e appartenenza indigena determinano
l'appartenenza di un individuo a una determinata posizione che può essere ascritta,
basata cioè su qualità già date al momento della nascita, oppure acquisita, ossia
raggiunta grazie a qualità che derivano dall'esperienza. L'appartenenza etnica dà
luogo alla formazione di gruppi sulla base della condivisione di un senso d'identità che
può avere motivazioni storiche, geografiche, linguistiche, religiose, o risultare da una
combinazione di simili elementi comuni.
La società civile è l'ambito sociale identificato dai diversi gruppi di interesse che
operano in modo organizzato, al di fuori delle strutture governative, nei settori
economico, politico e in altri ambiti.
8 - Sistemi politici e giuridici
Si usa il termine politica per intendere l'uso organizzato del potere pubblico, non le
più private micro-politiche dei gruppi familiari e dei vicinati. Il potere è l'abilità di
ottenere dei risultati attraverso l'uso, potenziale o effettivo, della forza. L'autorità
differisce dal potere per due aspetti: il potere è sostenuto dall'uso potenziale della
forza e può essere esercitato anche da un individuo privo di autorità. L'autorevolezza
è la capacità di ottenere risultati esercitando pressioni sociali o morali.
L'antropologia politica considera organizzazioni politiche quei gruppi interni a una
data cultura che sono responsabili dei processi decisionali e della leadership nella
sfera pubblica, del mantenimento dell'ordine e della coesione sociale, della tutela dei
diritti collettivi e di garantire la sicurezza in caso di aggressioni esterne. La banda,
organizzazione caratteristica della società di cacciatori-raccoglitori, è contraddistinta
da un sistema di affiliazione flessibile e dall'assenza di un ruolo di leadership formale. I
sistemi sociali basati sull'acquisizione di risorse esistenti sono stati predominanti nella
storia umana e la banda è la forma più antica di organizzazione politica conosciuta. La
tribù è un tipo di organizzazione politica più formalizzato della banda. Essa è
un'organizzazione politica che comprende diverse bande o lignaggi, ciascuno dei quali
parla la stessa lingua, condivide uno stile di vita e occupa un dato territorio. I gruppi
tribali possono essere collegati tra loro attraverso la struttura del clan, ovvero un
gruppo di discendenza i cui membri riconoscono un comune antenato/a non
rintracciabile sul piano genealogico, quindi spesso individuato in un personaggio
mitico. Il chiefdom è una forma di organizzazione politica che comprende più tribù e
villaggi uniti da un'alleanza permanente e soggetti a un unico capo, cui è affidato il
potere. Uno degli elementi essenziali dei chiefdom è la presenza di sistemi di
stratificazione sociale ed economica fondati sulla genealogia. Lo stato è un'entità
politica centralizzata che riunisce numero comunità; è dotata di una struttura
burocratica e di leader che dispongono di potere coercitivo. Lo stato è la forma di
organizzazione politica di tutte le società contemporanee. Per controllo sociale
l'antropologia intende il processo attraverso il quale si mantiene una convivenza
ordinata in seno ai gruppi. I sistemi di controllo sociale includono quelli informali,
basati sull'adozione di comportamenti corretti, educazione e condizionamenti positivi
da parte dei compagni. Gli antropologi culturali riconoscono due principali strumenti
di controllo sociale: le norme e le leggi. La norma è uno standard condiviso di
comportamento, solitamente non scritto, che si apprende inconsapevolmente
attraverso la socializzazione. La legge è una regola vincolante, prodotta dalla
consuetudine o attraverso un provvedimento formale, che definisce comportamenti
corretti e punizioni che derivano dalla loro inosservanza.
Tre sono i fattori importanti per il controllo sociale nei sistemi statali: la
specializzazione dei ruoli nel campo del controllo sociale; i processi e i tribunali
formali; le forme di punizione imposte dal potere, quali la carcerazione e la pena di
morte. L'attività di polizia è una forma di controllo sociale che prevede attività di
sorveglianza e minaccia di punizioni finalizzate al mantenimento dell'ordine sociale.
L'antropologia giuridica critica è un approccio allo studio transculturale dei sistemi
legali che analizza il modo in cui la legge e le procedure legali contribuiscano a
mantenere la supremazia dei gruppi dominanti attraverso pratiche discriminatorie
piuttosto che a proteggere i membri dei gruppi più deboli. I conflitti settari sono
basati sulla percezione di differenze tra correnti e sette della stessa religione e
riguardano spesso i diritti e le risorse. Secondo una delle definizioni in uso, la guerra è
un conflitto aperto e dichiarato tra due entità politiche. La migliore definizione di
guerra è quella di conflitto organizzato che prevede l'aggressione di un gruppo contro
un altro e l'impiego di violenza letale. Un'altra forma di conflitto si è andata
sviluppando nel mondo almeno a partire dal XV secolo, quando le potenze europee
hanno dato inizio a imprese di colonizzazione dei paesi tropicali. Sebbene siano
chiamate guerre al terrorismo si possono considerare guerre neo-coloniali. Un altro
tipo di conflitto vede un attore privato, per esempio un'azienda multinazionale,
entrare in conflitto con un gruppo o più gruppi locali che vi si oppongono. Il concetto
di responsabilità sociale d'impresa (RSI) si riferisce a una concezione etica
dell'impresa per cui la ricerca del profitto non debba provocare danni alle società
umane e all'ambiente naturale. L'obiettivo è perseguire i profitti con modalità che
garantiscano anche la salvaguardia degli esseri umani e del pianeta.
Secondo una delle definizioni in uso, la nazione è un insieme di persone che parla la
stessa lingua, condivide storia e cultura, insiste sullo stesso territorio e partecipa alla
medesima organizzazione politica. Un'espressione correlata a quella di nazione è
stato-nazione che indica uno stato che include una sola nazione; altri ritengono che
identifichi uno stato che comprende più nazioni.
La democratizzazione è il processo di trasformazione di un regime autoritario in un
regime democratico.
9 - La comunicazione
La comunicazione consiste nell'emissione e ricezione di messaggi dotati di significato.
Il linguaggio umano è caratterizzato dalla produttività, ossia può genere un numero
infinito di espressioni comprensibili a partire da un insieme finito di regole. Il
linguaggio umano permette poi il distanziamento, ovvero la capacità di riferirsi a
eventi e questioni che appartengono a momenti distanti nel tempo. L'etnosemantica è
lo studio del significato dei vocaboli, delle locuzioni e delle frasi così come essi
vengono usati in determinati ambiti culturali e si è potuto rilevare che le lingue
classificano il mondo categorizzando anche fenomeni apparentemente naturali.
L'antropologia dei media è lo studio transculturale della comunicazione attraverso
sistemi elettronici quali radio, televisione, cinema, musica, Internet ed è un
importante ambito di studio emergente, che connette l'antropologia linguistica
all'antropologia culturale e analizza i processi mediatici, i contenuti dei messaggi
trasmessi attraverso i media... L'antropologia critica dei media si sforza di
comprendere quanto l'accesso ai media renda gli individui più liberi o quanto,
piuttosto, eserciti un controllo su di loro e a quali interessi i media si prestino. Gli
antropologi critici dei media studiano le dinamiche di potere in molti ambiti, tra cui il
giornalismo, la pubblicità...
Nel XX secolo lo studio delle relazioni esistenti tra linguaggio e cultura è stato
fortemente influenzato da due prospettive teoriche. Il primo modello teorico è stato
concepito da due padri fondatori dell'antropologia linguistica, Sapir e Whorf che,
verso la metà del secolo scorso, hanno proposto la cosiddetta ipotesi Sapir-Whorf:
una teoria molto influente secondo la quale la lingua che usiamo influenza fortemente
il modo in cui pensiamo. In questo quadro, la lingua rappresenta un mondo cognitivo e
le persone che parlano lingue diverse vivono in mondi cognitivi differenti. Questa
affermazione ha costituito il fondamento del determinismo linguistico o relativismo
linguistico, una teoria secondo cui la lingua determina il nostro sviluppo cognitivo, la
nostra consapevolezza del mondo e il nostro comportamento. Un secondo approccio
alla comprensione delle relazioni esistenti tra linguaggio e cultura è quello della
sociolinguistica, che sottolinea l'influenza del contesto culturale e sociale sulla
struttura della lingua che gli individui adottano per comunicare e i suoi significati. Di
conseguenza, i sociolinguisti sono costruzionisti culturali.
Con discorso s'intende un uso culturalmente definito del linguaggio verbale che
comprende diverse varietà di espressioni orali, partecipazione e significato. L'analisi
critica del discorso è un approccio dell'antropologia linguistica che esamina i modi in
cui il potere e la disuguaglianza sociale si riflettono nel linguaggio verbale e si
riproducono attraverso di esso. L'analisi critica del discorso mette in luce i legami
esistenti tra linguaggio e disuguaglianza sociale, potere e stigmatizzazione.
La linguistica storica è lo studio della trasformazione linguistica nel corso della storia
e si basa su diverse metodologie specializzate, utile a studiare le variazioni nel tempo
e nello spazio di aspetti del linguaggio quali la fonetica, la sintassi e il significato.
L'ampia diffusione del bilinguismo, ossia la capacità di utilizzare una lingua diversa da
quella nativa, è uno degli effetti più evidenti del colonialismo. Le lingue pidgin
fondono elementi provenienti da almeno due diverse lingue madri e si sviluppano
quando due diverse culture che usano lingue differenti entrano in contatto e hanno
necessità di comunicare; spesso il pidgin si trasforma in creolo: una lingua che
discende da un pidgin e che con il tempo acquisisce parlanti nativi, presenta un
vocabolario più ricco di quello delle lingue pigdin e una grammatica più elaborata.
10 - La religione
Dalle origini dell'antropologia a oggi gli studiosi hanno proposto varie definizione della
religione. Una definizione più ampia vuole che la religione sia un insieme di credenze
e comportamenti associato a entità e forze sovrannaturali. Questa definizione evita
accuratamente di collegare l'idea di religione alla fede in una divinità suprema, poiché
alcune religioni non contemplano il concetto di divinità suprema e altre postulano
l'esistenza di più divinità. La religione di un gruppo umano è correlata alla sua visione
del mondo ma non coincide con essa. La visione del mondo è un concetto più ampio,
che non implica necessariamente riferimenti alla dimensione del sovrannaturale.
Sir Edward Tylor ha scritto che la magia, la religione e la scienza sono tra loro affini,
poiché si tratta di modi diversi di leggere il mondo fisico e gli eventi che vi hanno
luogo. Tylor riteneva che la scienza fosse, dei 3, il modo più evoluto di decifrare il
mondo, il più razionale.
Tylor e altri antropologi delle origini promossero una teoria evoluzionista secondo la
quale la magia sarebbe precedente alla nascita della religione. Essi ritenevano che la
prima fosse meno spirituale rispetto alla seconda e, di conseguenza, più “primitiva”.
Sarebbero sorpresi, oggi, gli evoluzionisti, dalla diffusa presenza nel mondo
contemporaneo di “religioni” magiche. Molti si rivolgono alle pratiche magiche nei
momenti caratterizzati da incertezza. La magia, per esempio, è molto presente negli
sport.
Le religioni comprendono credenze e comportamenti. Di norma, gli studiosi delle
religioni esaminano in primo luogo i sistemi delle credenze, poiché ritengono che
siano questi a ispirare i modelli del comportamento religioso. Le credenze religiose
sono condivise da un gruppo e si trasmettono di generazione in generazione. Gli
anziani insegnano la religione ai bambini attraverso canzoni e racconti, gli artisti ne
illustrano la narrativa sulle pareti e sulle rocce e gli scultori danno forma a elementi
dei sistemi di credenze religiose usando la pietra e il legno.
Le credenze religiosi vengono espresse e trasmesse alle future generazione
principalmente attraverso due vettori: il mito, cioè narrazioni che coinvolgono forze o
entità sovrannaturali; la dottrina, cioè l'enunciazione esplicita del credo religioso.
Gli antropologi si chiedono perché esistano i miti. Malinowski assimilava il mito a una
sorta di carta costituzionale delle società umane, in quanto è espressione delle loro
convinzioni più profonde e il veicolo per la trasmissione di un codice morale.
La dottrina definisce esplicitamente il mondo sovrannaturale e quello terreno,
descrive le origini di quest'ultimo e le responsabilità degli esseri umani nei confronti
dei propri simili e delle entità sovrannaturali. La dottrina è scritta e formale.
Gli esseri sovrannaturali variano da forze impersonali a entità le cui sembianze sono
simili a quelle degli esseri umani. Possono essere creatori supremi o onnipotenti
oppure spiriti minori e fastidiosi che, tramite la possessione sono capaci di alloggiare
negli esseri umani. Il termine animismo si riferisce al sistema di credenze in cui il
sovrannaturale è concepito come una forza non personificata.
Probabilmente, tutte le religioni esprimono credenze concernenti l'esistenza di aree
sacre, ma alcune attribuiscono a queste convinzioni un'importanza maggiore rispetto
alle altre. I luoghi sacri, che possono consistere, per esempio, in formazioni rocciose o
nelle rapide di un fiume, possono essere identificati in modo permanente, ma non
sempre ciò accade.
Il rituale è un comportamento strutturato e ripetitivo orientato prevalentemente alla
sfera del sovrannaturale, ma esiste anche un ambito profano nel quale si manifesta il
comportamento rituale. I rituali sacri sono la messa in atto delle credenze espresse
dal mito e dalla dottrina. I rituali sacri si distinguono da quelli profani che non hanno
connessioni con il sovrannaturale strettamente pertinente alla sfera religiosa. Alcuni
eventi rituali presentano una combinazione di elementi sacri e profani.
I riti di passaggio, o rituali del ciclo di vita, segnano il mutamento di status di un
individuo o di un gruppo, che passa da uno stadio della vita ad un altro.
Il pellegrinaggio è un viaggio di andata e ritorno verso uno o più luoghi sacri che ha
scopi rituali o di devozione religiosa. Spesso, l'esperienza del pellegrinaggio è
impegnativa: a una sofferenza maggiore corrisponde un maggiore merito guadagnato
dal pellegrinaggio. Rispetto alle visite settimanali a una chiesa o alla sinagoga, questo
distoglie maggiormente una persona dalla sua vita quotidiana, è più impegnativo e per
questo potenzialmente più utile a generare trasformazioni.
I rituali di inversione capovolgono l'organizzazione ordinaria dei ruoli e delle relazioni
sociali. Secondo un approccio funzionalista, questi riti consentono alle pressioni
sociali di avere uno sfogo e sono anche un'occasione per sottolineare l'adeguatezza
delle pratiche e dei ruoli che vigono quotidianamente nel tempo ordinario, al rispetto
delle quali gli individui dovranno tornare al termine del rito.
Il carnevale è un rito di inversione che ha le sue radici nell'area settentrionale del
Mediterraneo e la sua celebrazione è largamente diffusa in tutta l'Europa meridionale
e nell'emisfero occidentale.
Il carnevale consente agli individui, per un breve periodo, di assumere ruoli che
normalmente sono loro negati, ma esso contiene anche significati simbolici che
esprimono i valori della vita e della morte e quindi della rinascita, in un collegamento
evidente con il ciclo della natura. È anche un momento durante il quale tutti si
divertono. Perciò i rituali di inversione possono essere considerati strumenti al
servizio della conservazione dell'ordine sociale.
Molti rituali prevedono un sacrificio, ossia l'offerta di qualcosa alle entità
sovrannaturali. Il sacrificio ha una lunga storia in tutto il mondo ed è probabilmente
una delle forme rituali più antiche. Può comportare l'uccisione e l'offerta di animali,
quella di esseri umani o anche altri prodotti.
Non tutti i riti richiedono la presenza di uno specialista religioso, cioè di qualcuno che
abbia compiuto un percorso di formazione ampio e codificato. Tutti, però, necessitano
dell'esistenza di un certo livello di competenza da parte di chi li compie sul modo
corretto di celebrarli. Anche il culto domestico degli antenati richiede delle
conoscenze, acquisite attraverso percorsi di apprendimento informali. Molti riti, però,
non possono svolgersi in assenza di uno specialista ben addestrato.
Lo sciamano è uno specialista religioso che ha un rapporto diretto con le entità
sovrannaturali, dalle quali è spesso chiamato. I termini sacerdote e sacerdotessa
indicano specialisti religiosi a tempo pieno, la posizione dei quali è soprattutto dovuta
alle capacità che hanno acquisito nel corso di un percorso formativo. I veggenti sono
specialisti capaci di venire a conoscenza delle volontà e dei desideri delle entità
sovrannaturali. I profeti sono specialisti che trasmettono rivelazioni divine,
generalmente ricevute in sogno o attraverso visioni. Le streghe fanno uso di poteri
psichici e producono effetti sulle persone attraverso le emozioni e il pensiero.
L'espressione religione globale è stata coniata nel XIX secolo per indicare le religioni
basate su fonti scritte, dotate di numerosi adepti presso diversi paesi e interessate alla
redenzione. Quando una religione globale si stabilisce in una nuova area culturale,
entra in relazione con le tradizioni religiose locali.
Circa il 15% della popolazione mondiale sono Hindu e circa il 97% di loro vive in India.
L'Induismo si basa su un ricco politeismo e, allo stesso tempo su una tradizione
filosofica che riconduce la molteplicità delle divinità all'unità. Uno dei concetti
fondamentali dell'Induismo è quello del karma o destino, che è determinato sin dalla
nascita, sulla base della sua vita precedente e del modo in cui l'ha condotta.
Il Buddhismo ha un padre fondatore: Siddharta Gautama che è venerato come il
Buddha o il “Risvegliato”: le origini di questa religione sono collocate nell'India
settentrionale. Il Buddhismo è caratterizzato da una varietà tale di dottrine e di
pratiche che è difficile individuarne un singolo elemento essenziale a tutte. Esso è
nato come forma di protesta contro l'Induismo e in particolare contro le
disuguaglianze tra caste, ma conserva il concetto di karma.
Il primo sistema religioso ebraico è stato elaborato intorno al 500 a.C a seguito dello
distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Babilonesi. I primi testi scritti
che compongono il Pentateuco hanno reso paradigmatico il tema dell'esilio e del
ritorno. Il Pentateuco è anche chiamato Torah o i 5 libri di Mosè. I fedeli credono che
la Torah sia la rivelazione della verità di Dio tramite Israele, un termine che indica il
popolo eletto. La Torah illustra i rapporti tra il mondo sovrannaturale e quello umano
e indica alle persone come conformarsi alla sua visione del mondo con azioni
appropriate.
Il Cristianesimo ha molti legami con l'ebraismo, dal quale esso deriva. Uno dei legami
più stretti è costituito dall'insegnamento biblico dell'avvento di un salvatore o messia.
Il Cristianesimo è nato nel medioevo orientale nel secondo quarto del I secolo.
L'islamismo si fonda sugli insegnamenti del profeta Maometto ed è la più giovane delle
religioni globali. Il termine arabo islam significa sottomissione al volere dell'unico Dio,
Allah, per il tramite del quale si potrà ottenere la pace. Le due principali scuole di
pensiero sono quella Sunnita e quella Sciita.
Il Ras tafari o rastafarianesimo è una religione afro-caraibica che ha avuto origine in
Giamaica ed è una religione di protesta che condivide solo pochi elementi con le
religioni africane. La sua storia è legata a quella di diversi predicatori che, all'inizio del
XX secolo, sostenevano il principe tafari, l'allora imperatore dell'Etiopia fosse il Leone
di Giuda, colui che avrebbe guidato i neri verso la terra promessa africana.
I movimenti di rivitalizzazione sono movimenti religiosi che intendono portare
cambiamenti positivi rifondando una religione minacciata da forze esterne o
adottando nuove pratiche e credenze. I culti del cargo sono movimenti di
rivitalizzazione nati in Malesia come reazione all'influenza dell'Occidente.
11 - La cultura espressiva
Secondo una delle definizioni antropologiche, l'arte è un'applicazione
d'immaginazione, abilità e stile alla materia al movimento e al suono, che trascende la
mera praticità. Una distinzione da tempo vigente nella concezione occidentale è
quella tra belle arti e arte popolare; questa distinzione è basata su una prospettiva,
tutta occidentale, che fa coincidere le belle arti con le opere rare e preziose di artisti
che si sono formati nell'alveo della tradizione classifica occidentale.
L'etnoestetica riguarda le estetiche culturalmente orientate. Gli standard per la
valutazione della produzione di sculture lignee vigenti in Africa occidentale
dimostrano quanto sia importante tenere in considerazione le variazioni culturali dei
criteri di definizione dell'arte. Franz Boas è stato il primo antropologo a portare
l'accento sull'importanza di studiare l'artista nel suo contesto sociale.
L'antropologia dell'arte si affida a un'ampia gamma di metodologie per la raccolta e
l'analisi dei dati. Il metodo di base è quello dell'osservazione partecipante, cui si
affiancano l'acquisizione e l'analisi di documenti in forma orale o scritta, per cui
spesso lo studio dell'arte trae vantaggio dalla collaborazione tra antropologi culturali e
antropologi linguistici. Per Jhon Chernoff imparare a suonare il tamburo africano è
stato importante per stabilire una relazione etnografica durante la sua ricerca sul
campo in Ghana e anche essenziale per comprendere l'importanza che la musica ha
nella società ghanese. Chernoff sostiene che solo rinunciando a un approccio
scientifico il ricercatore potrà comprendere la creatività e le relazioni di quest'ultima
con il contesto sociale in cui si esercita.
Le arti performative comprendono la musica, la danza, il teatro, la retorica e la
narrazione. Un importante indirizzo di studio, in questo ambito, ha assunto una
denominazione specifica: l'etnomusicologia, vale a dire lo studio della musica delle
diverse culture. Gli etnomusicologi si occupano della struttura della musica in sé alla
posizione sociale degli artisti, alle relazioni tra la musica e altri ambiti della cultura,
sino alle dinamiche di cambiamento delle tradizioni musicali.
Il teatro è un tipo di performance che si serve del movimento e della parola per
intrattenere un pubblico ed è associato alla danza, alla musica, alle sfilate, alla
competizione ludica e sportiva e alle arti verbali.
Un effetto positivo del turismo globale è il crescente sostegno locale e internazionale,
portato alla salvaguardia del patrimonio culturale materiale, che include siti,
monumenti ed edifici, ma anche oggetti mobili, considerati di eccezionale valore
globale per motivi storici, artistici e scientifici. Nel 2003 l'UNESCO ha dato luogo a
una nuova strategia politica finalizzata alla salvaguardia del patrimonio culturale
immateriale, o patrimonio vivente, che si manifesta nelle tradizioni orali, nelle lingue,
nelle arti performative. Questa linea politica è basata sulla consapevolezza di come la
cultura immateriale fornisca agli individui un senso d'identità e continuità, favorisca il
rispetto della diversità culturale e della creatività umana, sia compatibile con la
promozione dei diritti umani e sostenga lo sviluppo sostenibile.
12 - Popoli in movimento
La migrazione è il trasferimento di un individuo o di una popolazione da una località
ad un'altra. Le sue cause attengono ad aspetti basilari della vita umana e la migrazione
ha spesso effetti profondi, sia positivi sia negativi, sullo status economico e sociale
degli individui, sulla loro salute, lingua, identità religiosa ed educazione. Per quanto
riguarda l'antropologia culturale, la ricerca sulla migrazione è caratterizzata da tre
tendenze: 1 a svolgere ricerca sul campo presso località per comprendere il più
possibile il contesto d'origine e quello di destinazione. 2 la tendenza a combinare di
prospettive macro e micro: data l'esigenza di dare conto di forze economiche,
politiche e sociali che agiscono in ambiti nazionali e globali, lo studio della migrazione
mette in crisi il tradizionale approccio alla ricerca che la vuole focalizzata su un
singolo villaggio o quartiere. 3 la tendenza all'applicazione dei risultati della ricerca: gli
antropologi che lavorano su questo tema hanno molte opportunità di contribuire, con
il loro apporto di conoscenza, a dare risposte a persone costrette a migrare a causa di
guerre, catastrofi naturali o progetti di sviluppo che hanno comportato, per esempio,
la costruzione di dighe. Presentiamo le caratteristiche fondamentali di tre tipologie
della migrazione, definite in base a criteri relativi agli spazi in cui hanno luogo i
trasferimenti: migrazione interna, cioè i trasferimenti entro i confini di un paese;
migrazione internazionale, cioè i trasferimenti oltre i confini nazionali; migrazione
transazionale, cioè i ripetuti spostamenti tra due o più paesi, nel corso dei quali il
migrante assume un'identità culturale nuova, che trascende la singola unità
geopolitica.
Secondo la teoria push-pull sulla migrazione della forza lavoro le zone rurali non sono
in grado di sostenere l'incremento della popolazione e le crescenti aspettative di
quest'ultima per quanto attiene alla qualità della vita (il fattore push, ossia la spinta).
Per contro, le città (il fattore pull, ossia l'attrazione) attraggono gli individui
specialmente giovani, per la loro offerta di occupazione e lo stile di vita che
rappresentano. La migrazione circolare è uno schema regolare di trasferimento della
popolazione tra due o più località e può verificarsi all'interno di un paese o
interessarne più di uno. La migrazione forzata causata da progetti di sviluppo è
chiamata migrazione da sviluppo. Presso alcuni paesi le persone costrette a trasferirsi
a causa di progetti di sviluppo ricevono un indennizzo per la perdita della loro casa o
della loro terra. I migranti istituzionali sono individui che si trasferiscono,
volontariamente o meno, presso un istituzione sociale. Appartengono a questa
categoria i monaci e le suore, le persone anziane, i prigionieri, gli studenti che si
trasferiscono nelle residenze universitarie e nei collegi e il personale delle forze
armate.
Negli Stati Uniti l'espressione nuovo immigrato si riferisce a una persona che si è
spostata tra paesi diversi dopo il 1960. la migrazione internazionale del XXI secolo è
caratterizzata dalle seguenti tre tendenze: globalizzazione: un maggior numero di
paesi è interessato dalla migrazione internazionale e, di conseguenza, la diversità
culturale è in aumento sia nei paesi di origine, sia in quelli di destinazione.
Accelerazione: il numero dei migranti è aumentato in tutto il mondo.
Femminilizzazione: il numero delle donne migranti è in crescita da e verso tutte le
regioni del mondo e nell'ambito di tutte le categorie della migrazione.
13 - Cultura e sviluppo
L'antropologia dello sviluppo analizza le dinamiche dell'interazione tra cultura e
sviluppo al fine di migliorare le condizioni di vita delle diverse popolazioni e ridurre la
povertà. Uno dei principali obiettivi dei progetti di sviluppo è prevenire o ridurre la
povertà. Definire la povertà è molto difficile, ma una definizione di lavoro la descrive
come uno stato di privazione delle risorse tangibili e intangibili che contribuiscono
alla sussistenza e a garantire buone condizioni di vita.
Due dinamiche sono alla base di tutti i cambiamenti culturali: la prima è quella
dell'invenzione, la scoperta di qualcosa di nuovo; la seconda è quella della diffusione,
ossia la propagazione della cultura attraverso il contatto. I processi di acculturazione
rendono le culture minoritarie più simili a quelle dominanti. In casi estremi, una
cultura può venire assimilata, o deculturata, perdendo i caratteri specifici della
propria identità. La modernizzazione è una forma di cambiamento caratterizzata da
una crescita economica prodotta dall'industrializzazione e dall'espansione del
mercato, il consolidamento politico dello stato, l'innovazione tecnologica, la
scolarizzazione e le opportunità di mobilità sociali. Lo sviluppo come cambiamento
indotto, derivante dall'applicazione della teoria della modernizzazione nei cosiddetti
paesi in via di sviluppo, è emerso dopo la Seconda guerra mondiale. Secondo la teoria
dello sviluppo finalizzato alla crescita, gli investimenti finalizzati alla crescita
economica conducono al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni
grazie all'effetto a cascata: il graduale aumento della ricchezza dei meno abbienti
come conseguenza del benessere di chi ha maggiori risorse economiche. Favorire la
crescita economica dei paesi in via di sviluppo comporta le due seguenti strategie:
l'incremento della produttività economica e degli scambi commerciali tramite la
modernizzazione dell'agricoltura e del settore manifatturiero e l'accesso ai mercati
globali; la riduzione delle spese del governo per servizi pubblici come la scuola e la
sanità, al fine di diminuire il debito e destinare maggiori risorse a favorire l'aumento
della produttività. Questa strategia, definita di riassetto strutturale, è stata favorita
dalla Banca mondiale sin dagli anni '80. Lo sviluppo distributivo si distingue dallo
sviluppo finalizzato alla crescita per l'enfasi che pone sull'importanza di un'equa
distribuzione sociale dei suoi benefici, specialmente in termini di aumento del reddito,
istruzione e salute. Secondo tale modello, l'effetto a cascata è inefficace, poiché non
arriva a interessare la popolazione indigente. Piuttosto i dati mostrano che le strategie
finalizzate alla crescita applicate senza riguardo per la distribuzione sociale dei
benefici aggravano la disuguaglianza sociale per cui i ricchi diventano più ricchi e i
poveri diventano più poveri. Un ulteriore alternativa al modello basato sulla crescita
economica è quella dello sviluppo umano: una strategia che si concentra sugli
investimenti destinati a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni. Secondo
questo modello, gli investimenti volti a migliorare le condizioni di vita delle
popolazioni producono sviluppo economico, mentre non sempre è vero il contrario.
L'espressione sviluppo sostenibile identifica le strategie finalizzate ad apportare
miglioramenti che non implichino il consumo di risorse non rinnovabili e siano
finanziariamente sostenibili nel tempo. I sostenitori di questo modello ritengono che
la crescita economica dei paesi ricchi sia stata molto onerosa per l'ambiente naturale
e per le persone la cui vita dipende dai delicati ecosistemi, che il suo prezzo sia già
troppo alto per essere sostenuto e che, a maggior ragione, non sarà sostenibile in
futuro, dal momento che un numero sempre crescente di paesi adotta economie
basate sull'industrializzazione.
Esistono due principali tipologie di istituzioni per lo sviluppo che operano su larga
scala: le istituzioni multilaterali, che associano numerosi paesi donatori e le istituzioni
bilaterali, costituite solo da due paesi (il donatore e il beneficiario).
Molti paesi hanno dato luogo alla sperimentazione di approcci dal basso allo sviluppo,
vale a dire che hanno sostenuto progetti su piccola scala avviati per iniziativa locale.
Questo tipo di approcci, alternativi a quello dello sviluppo calato dall'alto (top-down)
che caratterizza l'azione delle agenzie che operano su larga scala hanno maggiori
probabilità di risultare culturalmente compatibili, di godere del sostegno e della
partecipazione delle comunità locali e di avere successo. L'espressione capitale sociale
si riferisce alle risorse intangibili che sono insite nei rapporti sociali, nella fiducia
reciproca e nella cooperazione. L'analisi di molti progetti di sviluppo implementati
negli ultimi decenni mostra quanto sia importante che essi siano culturalmente
compatibili, ossia che nella loro elaborazione si sia tenuto conto della cultura locale.
I primi decenni dell'antropologia dello sviluppo sono stati dominati da quella che
chiamiamo antropologia tradizionale dello sviluppo. In essa gli antropologi portano il
proprio contributo all'elaborazione di politiche e programmi di sviluppo più efficaci.
Questo approccio allo sviluppo si può sintetizzare con la formula aggiungi un
antropologo e mescola. La crescente consapevolezza dei danni provocati da molti
progetti di sviluppo che si ritenevano capaci di portare benefici ha portato alla nascita
di quella che chiamiamo antropologia critica dello sviluppo, ossia un approccio allo
studio della cooperazione internazionale per lo sviluppo in cui l'antropologo adotta
una postura critica e si interroga sulle motivazioni e sui benefici di specifici
programmi e politiche per lo sviluppo.