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I sofisti (7)

1) I caratteri generali
Nel linguaggio comune l’aggettivo “sofistico” vuol dire falso, artificioso, truccato. Molto
anticamente il termine “sophistés” era sinonimo di saggio, ma nel V secolo a.C. venivano
chiamati <<”sofisti” quegli intellettuali che della sapienza facevano una professione,
insegnandola dietro compenso>>1. Platone ed Aristotele giudicavano molto negativamente i
sofisti definendoli come falsi sapienti. Data l’influenza dei due, questo marchio rimarrà a
lungo. Solo dal Novecento si tende a rivalutarli.
Tutti i filosofi che abbiamo incontrato finora fanno parte del periodo “cosmologico”. Con i
sofisti abbiamo <<una vera e propria “rivoluzione filosofica”, spostando l’asse della
speculazione dalla natura all’uomo. Invece di ricercare il “principio” del cosmo, essi si
concentrarono sulla politica, sulle leggi, sulla religione, sulla lingua, sull’educazione ecc.,
divenendo in tal modo filosofi dell’uomo e della città>>2. Ecco perché i sofisti e Socrate
fanno parte del periodo “antropologico”. Ma perché c’è questo cambiamento? Possiamo
individuare due cause: da una parte l’indagine della natura aveva battuto un po’ tutte le strade e
l’eccessiva varietà dei pareri aveva scoraggiato i sofisti; dall’altra possiamo individuare nel
nuovo clima politico e sociale una spinta ad interrogarsi su nuovi problemi. Atene nel V secolo
a. C. usciva vittoriosa dalla guerra contro i persiani; l’aristocrazia era in crisi e la borghesia
cittadina era in forte ascesa. Soprattutto, si afferma la democrazia. Come afferma Ludovico
Geymonat <<vivere attivamente in democrazia significa partecipare ad assemblee, prendervi la
parola, far valere con efficace discorso la propria opinione frammezzo alle altre opinioni; e
perciò saper pesare le varie accezioni e sfumature dei vocaboli, avere nell’orecchio le più felici
espressioni dei poeti, riuscire a disporre i periodi in un ordine che incateni l’attenzione,
accenda le fantasie e susciti i consensi; significa insomma, possedere quel complesso di
cognizioni grammaticali, lessicali, sintattiche, stilistiche, letterarie che costituisce l’arte
dell’eloquenza. I sofisti furono appunto maestri di eloquenza, maestri di un’abilità (virtù)
indispensabile al ceto dirigente, o che apriva le vie al successo nella vita politica>>3. Ora
vediamo le caratteristiche principali dei sofisti
* Come probabilmente saprete l’Illuminismo è un movimento culturale che si sviluppò
nell’Europa del Settecento. In un testo fondamentale dal titolo Risposta alla domanda: Che
cos’è l’illuminismo? pubblicato nel 1784, Kant usa l’espressione “sapere aude” cioè ogni
persona deve avere il coraggio di usare la propria ragione. La ragione e la critica non si
sarebbero dovuti fermare di fronte a nessun tipo di autorità e tradizione. La sofistica è stata
definita una sorta di “illuminismo greco” perché segue proprio questi principi. <<In questo
senso, come è stato rilevato, la funzione della sofistica è simile a quella di movimenti che si
incontrano in tutte le maggiori civiltà (da quella indiana a quella cinese) e consiste nella
liberazione critica dal passato in nome della ragione>>4.
* I sofisti cercarono di rendere accessibile a molti giovani il risultato dell’indagine razionale.
Quindi si interrogano sul senso e sul come divulgare la cultura. Da questo punto di vista essi
furono i primi ad elaborare <<il concetto occidentale di “cultura” (paidéia), intesa non
come un insieme di conoscenze specialistiche, ma come la formazione globale di un
individuo nell’ambito di un popolo o di un contesto sociale>>5. Secondo i sofisti <<la

1 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, (con la
collaborazione di Giancarlo Burghi), Pearson, Milano-Torino, 2013, p. 83.
2 Ibidem.
3 Geymonat L., Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. I L’antichità – Il medioevo, Garzanti, Milano, 1975 (II ed., I
ed. 1970), p. 89.
4 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit., p.
85.
5 Ibidem (la sottolineatura e parte del grassetto sono miei).
1
“virtù (l’areté) non dipende dalla nobiltà del sangue e dalla nascita, ma si fonda sul sapere. E
così si comprende come per i sofisti l’indagine del vero fosse necessariamente legata alla
diffusione del medesimo. L’idea occidentale di “educazione” basata sulla “diffusione del
sapere” deve molto ad essi>>6. Rispetto alla diffusione della cultura, mi sembra utile citare
una riflessione di Geymonat, uno dei più grandi filosofi italiani <<a volte si può ritenere che
questo sia un problema secondario, inferiore, rispetto a quello della ricerca originale. La storia
del pensiero umano ci dimostrerà invece che non è così: le epoche più ricche di energie
intellettuali (come per esempio il XVIII secolo) sono sempre state epoche in cui si è
riconosciuta tutta l’importanza della divulgazione, e in cui gli uomini più preparati hanno
dedicato ad essa una notevole parte della loro preziosa attività. Non ci si può illudere, infatti, di
incrementare seriamente la ricerca, senza allargare il campo di reclutamento dei ricercatori: e,
per fare ciò, bisogna cominciare ad attrarre all’interesse culturale il maggior numero di persone
attive della società. Anche sotto questo punto di vista il lavoro compiuto dai sofisti va
considerato come uno dei più benemeriti per lo sviluppo della civiltà greca>>7.
* I sofisti viaggiavano molto, spesso per l’esigenza pratica di trovare nuovi allievi dai quali
essere pagati. In questo modo <<la rottura del ristretto cerchio della polis e la coscienza di
opposti costumi, usi e leggi dovevano costituire la premessa del relativismo, ingenerando
la convinzione che ciò che era ritenuto eternamente valido fosse invece privo di valore in
altri ambienti e circostanze>>8. Insomma con il loro cosmopolitismo i sofisti contribuirono
<<a un “allargamento” della mentalità greca e antica in genere, per lo più particolaristica e
nazionalistica. Parallelamente, i sofisti hanno chiara coscienza della molteplicità dei costumi
umani e rinunciano alla dogmatica assolutizzazione dei modi di vita vigenti nella loro città>>9.
I sofisti non possono essere considerati un gruppo di pensatori omogeneo poiché <<presentano
dottrine distinte e talora opposte>>10. Come prima cosa è bene distinguere tra due
generazioni: quella dei “maestri” e cioè Protagora e Gorgia (che sono i più importanti e
vedremo insieme) ma anche Prodico, Ippia, Antifonte ed altri e la seconda generazione che
segna la <<crisi della sofistica e la sua degenerazione nella pura “eristica” […], ossia
nell’arte di prevalere nella discussione sugli avversari, e nel virtuosismo verbale fine a se
stesso>>11 dove ormai il legame tra il linguaggio e la realtà che descrive è stato
definitivamente spezzato.

2) Protagora
E’ il primo ed anche il più importante esponente della sofistica. Nacque ad Abdera intorno
al 490 a. C.
La sua tesi fondamentale (che esprime anche lo spirito generale della sofistica) è racchiusa in
una frase “l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose
che non sono in quanto non sono”. Letteralmente vuol dire che è l’uomo a giudicare su ciò
che è reale e ciò che non lo è; a stabilire il modo di essere ed il significato della realtà. Sul
senso filosofico, invece, ci sono più interpretazioni a seconda di ciò che si intende per “uomo”
e “cose”.

6 Reale G. e Antiseri D., Il pensiero occidentale, vol I Antichità e Medioevo, La Scuola, Brescia, 2013 (nuova ed. riveduta
e ampliata), p. 65.
7 Geymonat L., Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. I L’antichità – Il medioevo, cit., p. 89
8 Reale G. e Antiseri D., Il pensiero occidentale, vol I Antichità e Medioevo, cit., p. 64 (la sottolineatura ed il neretto sono
miei)..
9 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit., p.
85.
10 Ibidem.
11 Ibidem (parte del neretto è mio).
2
* “Uomo” come singolo individuo e “cose” come oggetti percepite dai sensi. In questo caso
ogni individuo percepisce gli oggetti diversamente dagli altri individui.
* “Uomo” nel senso di comunità alla quale appartiene e “cose” nel senso soprattutto di valori e
ideali condivisi dalla comunità. In questo caso Protagora sta dicendo che l’uomo valuta le cose
secondo la mentalità del gruppo sociale al quale appartiene.
* “Uomo” come natura umana generale e “cose” nel senso di realtà in generale. In questo caso
il significato della frase sarebbe che gli uomini giudicano la realtà secondo dei parametri che
sono tipici della specie umana (homo sapiens).
Nella lettura di Nicola Abbagnano (senza dubbio uno dei più autorevoli storici della
filosofia) Protagora si riferisce all’”uomo” in tutte e tre le dimensioni: individuale,
sociale, di specie, quindi l’uomo giudica le cose in base a parametri che sono individuali,
sociali e biologici. Discorso analogo per le “cose” che sono sia oggetti, sia valori, sia
l’intera realtà.
Possiamo considerare la posizione di Protagora come una forma di “umanismo”,
“fenomenismo” e “relativismo”. Ora definiamo i tre termini nel loro significato filosofico.
* Umanismo: <<ogni sistema di pensiero che veda nell’uomo – anziché in entità esistenti al
di fuori o al di sopra di lui – la “misura” delle cose, cioè il criterio o il metro di giudizio di
tutto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà>>12.
* Fenomenismo: il termine è stato coniato in età moderna e indica <<le teorie secondo cui
l’uomo non ha mai a che fare con la realtà così com’è in se stessa, ma soltanto con la
realtà quale gli appare. Secondo questa prospettiva, non potendosi conoscere le cose come
sono in se stesse, ma soltanto come si manifestano a noi, il mondo riveste i caratteri di un
semplice fenomeno, ossia di una realtà che è tale solo in rapporto a colui che l’apprende e al
modo in cui questi l’apprende>>13.
* Relativismo: <<teorie secondo cui non esistono verità teoretiche (relativismo conoscitivo),
né principi morali (relativismo morale) che siano assoluti, cioè “sciolti” […] dalla
soggettiva angolatura di pensiero di ogni singolo individuo, poiché ogni credenza è “relativa”
[…] a un determinato punto di vista sul mondo>>14. In questo modo si elimina il
concetto di “verità unica”, di un unico sistema di valori valido ovunque ed in ogni
periodo. I sofisti a questo proposito amavano insistere sulla diversità dei valori, ideali e leggi
che sono alla base della convivenza tra uomini. A questo proposito è interessante accennare ad
un dibattito molto attuale sul <<“relativismo culturale” , cioè del riconoscimento della
disparità dei valori che presiedono alle diverse civiltà umane>>15. A questo proposito ci si
riferisce soprattutto al pensiero dell’antropologo Herskovits (1895-1963) secondo cui <<ogni
società è unica e diversa da tutte le altre e i costumi, che variano da regione a regione, hanno
sempre una giustificazione nel loro specifico contesto. Sulla base di queste tesi, Herskovits
presentò all’ONU, nel 1947, una <<raccomandazione>> sul rispetto delle diverse culture dei
vari popoli e dei valori professati dai singoli individui, intesi tutti come espressioni culturali da
rispettare nelle forme loro proprie>>16.
<<Il relativismo gnoseologico di Protagora non si traduce però in un relativismo
pratico>>17. Cerchiamo di capire bene. A livello conoscitivo non è possibile opinare il falso
perché è l’uomo a percepire e conoscere, ma abbiamo visto che uomo è tale sia in quanto

12 Ivi, p. 87 (il neretto è mio).


13 Ibidem (il neretto e la sottolineatura sono miei).
14 Ibidem (il neretto è mio).
15 Ivi, p. 88.
16 Herskovits, Melville Jean, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993 (I ed. 1981), p. 496.
17 Protagora, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993 (I ed. 1981), pp. 905-906, p. 905 (il neretto è
mio).
3
singolo, sia in quanto appartenente alla comunità dove vive ed infine in quanto specie
(l’umanità nel suo complesso). Tutto questo non lo porta, però, a pensare che ci sia una
equivalenza tra ogni possibile scelta. Certo, non esistono verità “forti”, ma nonostante questo
<<l’unico criterio al quale l’uomo può attenersi è il principio “debole” dell’utilità privata e
pubblica delle credenze. In quanto principio di scelta, l’utile –inteso come il bene del singolo
e della comunità – diviene così lo strumento di verifica e di legittimazione delle teorie stesse.
In tal modo, alla concezione oggettivistica e assolutistica della verità (secondo cui il vero è
qualcosa di già dato e scoperto una volta per sempre, che si impone a tutti allo stesso
modo), Protagora sostituisce una concezione umanistico-storicistica (secondo cui la verità
è l’umanamente verificato come giovevole, ossia ciò che si è dimostrato storicamente e
socialmente utile all’individuo, alla comunità e alla specie>>18. Quindi il sofista per
Protagora deve propagandare l’utile. Il suo strumento è la parola. Il rischio che correva il
sofista (ed in genere il rischio di ogni intellettuale) è quello di diventare uno strumento al
servizio del potere. Se a stabilire l’utile erano in genere i gruppi più forti, c’era il rischio di
diventare il megafono sofisticato degli aristocratici. In realtà, però, la <<filosofia protagorea
in se stessa, […] concepiva piuttosto l’utile e le leggi in prospettiva del benessere comune
della pólis>>19. Non a caso fu amico di Pericle, considerato uno dei più grandi protagonisti
della democrazia greca.

3) Gorgia
Nacque intorno al 485 a.C. e pare sia morto centenario. Fu allievo di Empedocle. Nella sua
opera Sul non essere o sulla natura, si trovano le sue tesi fondamentali:
* Nulla esiste.
* Se anche qualcosa esiste, non è conoscibile dall’uomo.
* Se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri.
Partiamo dalla prima affermazione. Ciò che non è, semplicemente non è, <<mentre ciò che è,
per essere, dovrebbe possedere determinati attributi, essere generato o ingenerato, uno o
molteplice e così via, mentre Gorgia dimostra che nessuna di queste proprietà può essergli
concessa. Per esempio, se ciò che è fosse ingenerato, dovrebbe risultare privo di principio e
quindi infinito; ma ciò che è infinito non può essere contenuto da alcunché, sicché
necessariamente non è. D’altra parte, se ciò che è fosse generato, dovrebbe esserlo o a partire
dal non essere, il che è impossibile poiché il non essere non è, oppure a partire dall’essere, ma
anche questo appare contraddittorio in quanto, se qualcosa è, esso doveva essere già prima e
non può dunque essere stato generato. Ora, ciò a cui non è lecito attribuire nessuna proprietà,
neanche può esistere>>20. Cerchiamo di semplificare il tutto con uno schema.
“Ciò che non è” conferma che “niente esiste”

“Ciò che è” deve possedere degli attributi (una specificazione, delle caratteristiche…)
Ad esempio

“Ciò che è” è ingenerato  non ha principio  è infinito  non può essere


contenuto  non è

18 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit.,
pp. 88-89 (una parte del neretto è mia).
19 Ivi, p. 89.
20 Fronterotta F., I sofisti e Socrate, in Cambiano G., Fonnesu L., Mori M. (a cura di), Storia della filosofia occidentale,
vol. 1 Dalla Grecia antica ad Agostino, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 79-100, p 86.
4
“Ciò che è” è generato, in questo caso…

“Ciò che è” è generato dal non essere, ma questo è impossibile perché il non essere
non è (per i greci dal nulla non può crearsi nulla)

“Ciò che è” è generato dall’essere, ma se qualcosa è, doveva esserlo già prima e


quindi non può essere stato generato

CONCLUSIONE: dell’essere non si può dire né che sia generato né che non sia
generato  non può avere attributi  ciò che non ha attributi non è.

Con la seconda affermazione “se anche qualcosa esiste, non è conoscibile dall’uomo” intende
dire che <<ciò che noi conosciamo non sono propriamente le cose che sono, ma dei
contenuti di pensiero>>21. Il punto è che <<il pensiero non rispecchia necessariamente la
realtà>>22. In parole povere Gorgia introduce una separazione tra la nostra mente e le cose
che percepiamo. Rileggiamo questo in rapporto a Parmenide: per Gorgia <<posto che l’essere
esista, esso “non potrebbe essere conoscibile”. Per provare questo asserto, Gorgia cercava di
inficiare il principio parmenideo secondo il quale il legame fra essere e pensare è
strutturalmente inscindibile: il pensiero è sempre e solo pensiero dell’essere e il non essere è
impensabile. Gorgia rovescia ambedue questi capisaldi dimostrando che ci sono dei pensati (ad
esempio, cocchi che corrono sul mare) che non esistono e che ci sono non-esistenti (Scilla, la
Chimera) che sono pensati. Fra essere e pensiero c’è, dunque, divorzio e rottura>>23.
Infine con la terza tesi “se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri” afferma che <<il
linguaggio è altra cosa dalla realtà e non possiede un’adeguata capacità rivelativa nei
confronti di essa>>24, infatti <<ciò che si trasmette attraverso il discorso sono soltanto dei
nomi e non, appunto, le cose che sono, che dai loro nomi differiscono radicalmente>>25.
A questo punto <<si comprende come, da simili conclusioni, derivi la conseguenza di una
rigorosa autonomia del linguaggio, che, privo di relazioni con le cose che sono e con la
realtà intera, si costituisce quale sfera autarchica, del tutto indipendente dall’ambito
della conoscenza ed estranea a qualunque implicazione che chiami in causa il vero o il
falso>>26. Sicuramente vi ricordate che in Protagora c’era ancora un criterio per discernere il
vero dal falso e per orientare il proprio comportamento ed era “l’utile”. Se vogliamo usare un
linguaggio parmenideo, potremmo dire che <<distrutta la possibilità di raggiungere una
“verità” assoluta (l’alétheia), a Gorgia non parrebbe rimanere che la via dell’”opinione”
(doxa). Invece viene negata anche questa, perché è considerata “la più infida delle cose”.
Egli cerca di battere una terza via, quella della ragione che si limita a illuminare fatti,
situazioni della vita e degli uomini e delle città e questa “non è la scienza che permette

21 Ibidem (il neretto è mio).


22 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit., p.
91.
23 Reale G. e Antiseri D., Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol I Filosofia antico-pagana, La Scuola, Brescia,
2012, p. 91.
24 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit., p.
91. (la sottolineatura e parte del neretto sono miei).
25 Fronterotta F., I sofisti e Socrate, in Cambiano G., Fonnesu L., Mori M. (a cura di), Storia della filosofia occidentale,
vol. 1 Dalla Grecia antica ad Agostino, cit., pp. 86-87 (il neretto è mio).
26 Ivi, p. 87 (il neretto è mio).
5
definizioni o regole assolute, né l’opinione vagante individualistica. E’ […] un’analisi della
situazione, una descrizione di ciò che si deve e non si deve fare […]. Gorgia è, allora, uno dei
primi rappresentanti di un’etica della situazione. I doveri variano secondo il momento,
l’età, la caratteristica sociale>>27.
Se riferiamo le tesi di Gorgia all’essere di Parmenide o alla divinità: con la prima tesi c’è una
negazione dell’essere e nel caso di Dio una professione di ateismo.
La seconda e terza tesi invece affermano uno scetticismo o agnosticismo metafisico e
teologico. Che vuol dire? Con il termine “scetticismo” intendiamo la messa in dubbio o la
negazione della possibilità per noi umani di accedere al “vero”. Chi si pone in una
posizione di scetticismo ontologico o metafisico ritiene che c’è sempre un divario tra
pensiero ed essere. Il termine agnosticismo, invece, <<si riferisce, in generale, alla
posizione di colui che afferma di non avere strumenti mentali sufficienti per pronunciarsi
intorno a un argomento qualsiasi>>28. In questo senso l’agnosticismo teologico o religioso
(accezione più comunemente usata del termine) rappresenta la posizione di chi ritiene che
l’uomo non abbia la capacità per affermare con certezza né l’esistenza né l’inesistenza di Dio.
In realtà anche la prima tesi si colloca nell’ambito dello scetticismo o agnosticismo perché ci
pone di fronte all’impotenza <<umana a parlare dell’essere e delle strutture ultime del
reale […]. Con Gorgia troviamo dunque la prima, esasperata messa in discussione della
metafisica da parte del pensiero occidentale, e l’anticipazione di schemi di pensiero che
andranno dagli empiristi a Kant e a gran parte del pensiero contemporaneo>>.29 Se però
normalmente lo scetticismo dei moderni coesiste con la fiducia della conoscenza entro i limiti
del campo di ciò che possiamo percepire, in Gorgia lo scetticismo investe ogni ambito
conoscitivo.
Infine, l’ultimo aspetto che mi sembra interessante del filosofo è la sua visione dell’esistenza
come <<qualcosa di fondamentalmente irrazionale e misterioso>>30, il che mi sembra
coerente con tutto il suo pensiero.

BIBLIOGRAFIA
Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, (con la
collaborazione di Giancarlo Burghi), Pearson, Milano-Torino, 2013.
Fronterotta F., I sofisti e Socrate, in Cambiano G., Fonnesu L., Mori M. (a cura di), Storia della filosofia occidentale, vol. 1
Dalla Grecia antica ad Agostino, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 79-100.
Geymonat L., Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. I L’antichità – Il medioevo, Garzanti, Milano, 1975 (II ed., I
ed. 1970).
Herskovits, Melville Jean, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993 (I ed. 1981), p. 496.
Protagora, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993 (I ed. 1981), pp. 905-906.
Reale G. e Antiseri D., Il pensiero occidentale, vol I Antichità e Medioevo, La Scuola, Brescia, 2013 (nuova ed. riveduta e
ampliata).
Reale G. e Antiseri D., Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol I Filosofia antico-pagana, La Scuola, Brescia, 2012.

27 Reale G. e Antiseri D., Il pensiero occidentale, vol I Antichità e Medioevo, cit., pp. 68-69 (il neretto è mio).
28 Abbagnano N., Fornero G., L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, vol. 1 Dalle origini alla scolastica, cit., p.
91 (il neretto è mio).
29 Ivi, p. 92.
30 Ibidem.
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