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In Grecia la parola “filosofia” comparve relativamente tardi.

Secondo una tradizione molto nota, il primo a


usarla con un significato specifico fu Pitagora di Samo, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. e fondatore di una
comunità filosofica a Crotone (9 cap. 2, p. 37). Egli paragonava la vita alle grandi feste di Olimpia (antica
città del Peloponneso nord-occidentale), dove alcuni convenivano per affari, altri per partecipare alle gare
sportive, altri ancora per divertirsi e, infine, alcuni soltanto per vedere ciò che avveniva. A questi ultimi,
secondo Pitagora, sono paragonabili i “filosofi”, i quali si dedicano a una contemplazione disinteressata del
mondo e della vita, ben diversa dalle svariate attività in cui si affanna la maggior parte degli esseri umani.

In Grecia, però, la filosofia ebbe anche il valore di una saggezza che deve guidare la vita concreta. Proprio a
questo tipo di sapere pratico si erano ispirati i sette savi, i quali erano chiamati “sapienti” (in greco
sophistéis, “sofisti”) non tanto perché dediti a un'attività contemplativa (come i filosofi secondo Pitagora)
quanto, più genericamente, perché impegnati in una ricerca disinteressata, non rivolta a vantaggi personali.

Il già citato Erodoto parla di “filosofia” quando fa dire da re Creso a Solone: «Ho udito parlare dei viaggi che
filosofando hai intrapreso per vedere molti paesi» (Storie, II, 20); e così lo storico ateniese Tucidide (460-
395 a.C.), quando fa dire a Pericle di sé e degli ateniesi: «Noi amiamo il bello con semplicità e filosofiamo
senza timidezza» (Guerra del Peloponneso, II, 40). Questo “filosofare senza timidezza” esprime quella
libertà della ricerca razionale in cui la filosofia consiste.

Più tardi la parola “filosofia” ha assunto due significati principali. Il primo e più generale è quello (già
chiarito) di una ricerca autonoma e razionale, a prescindere dal campo specifico in cui si svolge: in questo
senso, tutte le scienze fanno parte della filosofia.

Il secondo, più specifico, è invece quello di una particolare ricerca che ha come oggetto di studio ciò che in
qualche modo è fondamentale, o basilare, in relazione alla realtà, alla conoscenza e al comportamento. In
questo secondo senso la ricerca filosofica antica si è

articolata in tre rami principali:

> LA METAFISICA, cioè la dottrina delle cause ultime o supreme delle cose;

> LA GNOSEOLOGIA e la logica, che studiano l'origine e la validità ultima delle nozioni e dei
ragionamenti;

> L'ETICA E LA FILOSOFIA POLITICA, che indagano i motivi e gli scopi ultimi dell'azione individuale e
sociale.

In sintesi, la filosofia presso i Greci assume il carattere di una ricerca radicale sui fondamenti dell'essere, del
conoscere e dell'agire ed è perciò considerata la “regina” del Sapere.

LE SCUOLE FILOSOFICHE GRECHE

Fin dall'inizio lo studio della filosofia in Grecia assunse la forma di una ricerca associata, dal momento che
questo tipo di sapere era trasmesso e sviluppato nelle scuole fondate dai principali pensatori.
Nel movimento filosofico dei Presocratici si distinguono varie scuole: scuola » di Mileto o ionica, pitagorica,
eleatica, atomistica. Ma questo termine non deve far pensare a organismi didattici, con distinzione tra un :
maestro che insegna e scolari che apprendono, con norme fisse che regolino i loro rapporti. Solo per i
Pitagorici sappiamo con certezza che esisteva una tale organizzazione anche esteriore dell’insegnamento:
essi formavano un'associazione religiosa, che tra i suoi compiti aveva anche la ricerca scientifico filosofica,
fatta in comune, con a capo il maestro, la cui pa rola era ascoltata riverentemente dai discepoli. Ma, a parte i
Pitagorici, per le altre «scuole» filosofiche di quest'epoca, si trattava di questo: attorno alla dottrina di una
grande personalità si viene a determinare un movimento di pensiero che trae da essa la sua ispirazione, ‘ad
opera di personalità minon che liberamente elaborano e sviluppano con le loro ricerche i motivi del maestro.
Era una libera solidarietà intellettuale, piuttosto che un’organizzazione costituita.
Le prime scuole filosofiche, tuttavia, non erano paragonabili ai centri di studio o alle università attuali.
Almeno fino ad Aristotele (IV secolo a.C.), una scuola non riuniva i suoi allievi soltanto per le esigenze di un
insegnamento regolare: gli scolari, piuttosto, erano detti “compagni” in quanto si radunavano a vivere una
"vita comune” e stabilivano tra loro, oltre che una solidarietà di pensiero, anche una comunanza di costumi e
abitudini, in uno scambio continuo di dubbi, difficoltà e spunti per la ricerca.

Fatta eccezione per la scuola pitagorica (alla quale abbiamo già accennato e di cui parleremo più
diffusamente nel prossimo capitolo), tutte le scuole fondate dalle grandi personalità della filosofia greca
furono centri di ricerca vivaci e fecondi, nei quali l'opera delle figure minori venne a sommarsi a quella dei
maestri, contribuendo così a costituire e ampliare il patrimonio dottrinale comune. . Questo carattere
comunitario della filosofia greca non è accidentale, La ricerca filosofica non chiudeva, secondo i Greci,
l'individuo in sé stesso, ma anzi esigeva una concordanza di sforzi e una comunicazione incessante tra coloro
che facevano del sapere lo scopo fondamentale della propria vita, determinando tra loro una solidarietà salda
ed effettiva.

7. | periodi della filosofia greca

Seppure con un certo margine di approssimazione, nella filosofia greca è possibile distinguere un certo
numero di periodi, ognuno determinato dal problema intorno al quale viene di volta in volta a gravitare la
ricerca: cosmologico, antropologico, ontologico, etico, religioso.

Il periodo cosmologico, che comprende le scuole presocratiche (a eccezione dei sofisti), è dominato dal
problema di rintracciare l'unità che garantisce l'ordine del mondo e la possibilità della conoscenza umana.
1) IL PERIODO ANTROPOLOGICO, che comprende i sofisti e Socrate, è dominato dal problema
dell’uomo.

2)IL PERIODO ONTOLOGICO, che comprende Platone e Aristotele, è dominato dal problema dell'essere
(o della realtà in generale) e del suo rapporto con l'uomo. Questo periodo, che è quello della piena maturità
del pensiero greco, ripropone nella loro sintesi i problemi dei due periodi precedenti.

3)IL PERIODO ETICO, che comprende l’epicureismo, lo stoicismo e lo scetticismo, è dominato dal
problema della condotta dell’uomo.

4)IL PERIODO RELIGIOSO, che comprende le scuole neoplatoniche e altre affini, è dominato dal problema
di trovare per l'uomo la strada del ricongiungimento con Dio, considerata come l’unica via di salvezza.

Questi periodi non rappresentano rigide partizioni cronologiche: servono soltanto a dare

un quadro complessivo e riassuntivo della nascita, dello sviluppo e infine della decadenza della ricerca
filosofica nella Grecia antica.

I PRIMI FILOSOFI

Nella storiogratia tradizionale i primi filosofi sono chiamati “presocratici”. Più che un significato
cronologico, questo termine possiede una valenza concettuale, poiché denota un gruppo eterogeneo di
pensatori, perlopiù anteriori a Socrate i quali — a differenza di quest’ultimo, che studierà soprattutto l'essere
umano - si occupano principalmente del problema della natura e della realtà.

Tuttavia, i primi a spostare il centro della riflessione filosofica dall'universo all'uomo saranno in realtà i
“sofisti” , alcuni dei quali sono attivi già prima di Socrate. Perciò coloro che per lunga consuetudine vengono
denominati “presocratici” risultano, di fatto, “presofisti”.
Attivi a partire dal VI secolo a.C., i presofisti non costituiscono un insieme compatto di filosofi, ma si
dividono in numerose scuole e tendenze:

1) I FISICI IONICI, appartenenti alla scuola di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene; > i pitagorici,
appartenenti alla scuola fondata da Pitagora a Crotone;
> GLI ERACLITEI, seguaci di Eraclito di Efeso;

> GLI ELEATI, cioè gli appartenenti alla scuola di Elea, seguaci di Parmenide;

> I FISICI PLURALISTI, o fisici posteriori: Empedocle, Anassagora e Democrito.

Dal punto di vista geografico, i presofisti operano in un primo tempo nelle colonie greche
della Ionia (fisici ionici ed eraclitei) oppure nella Magna Grecia (pitagorici ed eleati). Più
tardi, con Anassagora, la filosofia fa il suo ingresso in Atene, dove fioriranno le massime
personalità filosofiche della Grecia antica. Cronologicamente, gli ultimi presofisti (Anassa
gora e Democrito) risultano contemporanei dei sofisti e di Socrate (V secolo a.C.)

Come si è detto, la caratteristica saliente di questi pensatori — che lì distingue concettualmente,


più che cronologicamente, dai sofisti e da Socrate — è la tendenza a concentrarsi sul problema della realtà.
Ciò non esclude un certo interesse per le tematiche legate all'uomo e al suo mondo ma, se il carattere di una
filosofia è determinato dal problema fondamentale di cui essa si occupa, indubbiamente i temi dominanti
della filosofia presocratica sono quello cosmologico (relativo al cosmo o all'universo) e quello ontologico
(relativo all'essere o alla realtà in generale).

LA SCUOLA DI MILETO
Precisamente, la filosofia come la intendiamo oggi sorge a Mileto, attiva colonia commerciale sulle coste
dell'Asia minore nel VI sec. A.C.

I suoi centri più importanti sono Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, Samo e Chio.

I continui scambi commerciali e contatti con tradizioni e usi differenti sono causa di una grande apertura
culturale e, probabilmente, anche di un certo senso di disorientamento rispetto al mondo di provenienza ed
alla propria identità.

E’ derivato l’intento di trovare una visione unitaria della realtà, a partire da quella della natura, andando alla
ricerca di un principio in base al quale spiegare complessivamente l'origine del mondo e delle cose nonché il
loro divenire, ossia il continuo cambiamento e mutamento d’aspetto delle varie cose ed altresì il loro destino
una volta uscite dal mondo.

Per l’iniziale interesse nei confronti della natura, in greco “physis”, i primi filosofi sono stati definiti
“fisici”, ovvero “filosofi naturalisti”, tutti contraddistinti dall’intendimento di ricondurre il principio primo
della realtà, concepito come causa generale di tutte le cose particolari, ad un comune elemento naturale. Il
termine greco "physis" viene abitualmente tradotto con "natura", ma essa non va intesa soltanto come
complesso dei fenomeni che formano il mondo naturale bensì anche come fondamento ed essenza della
natura medesima, come sua intima organizzazione di fondo, come tutto ciò che ci circonda che esiste.

Principio primo in greco si dice "arché". Il termine arché possiede tre significati: materia da cui tutte le cose
si originano, forza che le ha generate e le anima, legge che spiega la loro nascita e morte.

I primi filosofi della scuola di Mileto studiano il

1.MONISMO ciò da cui tutte le cose derivano: l’origine e la causa di tutte le cose, L’UNICO PRINCIPIO;
l'unità da cui tutto viene e a cui tutto ritorna.
2. ILOZOISMO ciò che permane identico anche quando nelle cose si verificano modificazioni: è l'elemento
basilare che tutte le cose hanno in comune, la loro comune sostanza, il fondamento del tutto; La natura è
qualcosa di vivente , tutto nel mondo è animato.

3.PANTEISMO il principio eterno del mondo si identifica con la divinità .

La ricerca della spiegazione della realtà attraverso i concetti di physis e di arché è assolutamente innovativa
poiché basata su di un nuovo tipo di razionalità dimostrativa che abbandona la spiegazione mitica. Rispetto
alla figura arcaica del sapiente, il nuovo sapiente, cioè il filosofo, non si limita all’enunciazione di massime
morali di vita, ma coltiva anche capacità tecnicoscientifiche e abilità pratiche. Il grande merito della filosofia
milesiana (e della filosofia presocratica in generale) è quello di aver creato una nuova immagine di universo,
ordinato e razionale, dove gli accadimenti non dipendono più dall'intervento, spesso capriccioso, degli dei,
ma sono collegati fra loro secondo principi regolari e costanti che divengono oggetto di indagine.

I maggiori esponenti di questa scuola sono TALETE, ANASSIMENE ED ANASSIMANDRO

Talete.
Visse a Mileto tra il settimo e sesto secolo avanti Cristo. Fu il fondatore della scuola. Oltre che filosofo
fuscienziato e uomo politico; studiò le proprietà della calamita come fisico; calcolò l'altezza delle piramidi
misurandone l'ombra come matematico; predisse un'eclissi di sole; elaborò teoremi di geometria e la
progettazione di un canale.
Talete è il pensatore che, secondo la tradizione, ha dato inizio alla filosofia greca.
Non risulta che abbia scritto libri. Conosciamo il suo pensiero solo attraverso la
narrazione orale e quanto di ljui ci narrano Platone ed Aristotele.
È stato l'iniziatore della filosofia della physis poiché per primo affermò che esiste
un principio originario unico, causa di tutte le cose, ed individuò tale principio
nell'acqua, influenzato in tal senso dalla constatazione che "il nutrimento di tutte le
cose è umido".
Peraltro il valore di Talete, ossia la grande rivoluzione operata che portò alla
creazione della filosofia ed agli albori della civiltà occidentale, consiste, più che
nell'individuazione dell’acqua come principio primo, nell'aver definito per primo il
concetto stesso, filosofico-razionale, di principio originario, inteso non solo come
causa e termine di tutte le cose ma altresì come elemento unitario della totalità della
natura.
In questo senso, l'acqua di Talete non va interpretata come elemento sensibile, ma
come simbolo del principio primo, volto a rappresentare ciò che è comune in tutte le
più diverse cose.
INOLTRE, L’ACQUA È SOSTANZA NEL SENSO CHE SOSTIENE LA TERRA. STA SOTTO LA
TERRA.
Talete è un naturalista nel senso antico del termine e non un materialista nel senso
moderno. Tant’è che l'acqua come principio è stata concepita da Talete come
principio vitale di natura divina. "Dio, egli diceva, è infatti la cosa più antica
perché ingenerato, ossia perché principio". Emerge in tal modo una nuova
concezione di Dio, pensato come principio secondo criteri di ragione e non di
immaginazione. Quando Talete affermava, ulteriormente, che “tutto è pieno di dei”
(panteismo) voleva dire che ogni cosa è pervasa dal principio originario. E poiché il
principio originario è vita, Talete intende dire che tutto è vivo, tutto ha un'anima,
anche le cose inorganiche (panpsichismo, da psiche=anima). La concezione secondo
cui tutta la materia è animata, è vitale, è definita anche col termine greco di
“iloizismo”.
Sia Talete che gli altri milesi (i filosofi della scuola di Mileto), più che negare
l'esistenza degli dei sono interessati a definire ciò che con tale termine si vuol
indicare: gli dei non sono più le creature del mito, bensì le forze vitali nascoste
nei recessi delle cose e della natura, che in quanto tali possono essere razionalmente
concepite. Scompare l'aspetto aggressivo e pauroso anticamente attribuito dal mito
alla collera degli dei e prevale un atteggiamento di indagine di tipo scientifico.
Ebbe fama di sapiente continuamente assorto nella speculazione: l’immagine è testimoniata da un aneddoto
riferito da Platone, secondo cui Talete, osservando il cielo, cadde in un pozzo, suscitando il riso di una serva
che, passando di lì, aveva assistito alla scena. Un altro aneddoto riferito da Aristotele tende invece a mettere
in luce la sua abilità di uomo d'affari: prevedendo un abbondantissimo raccolto di olive, Talete prese in
affitto tutti i frantoi della zona, per poi subaffittarli a un prezzo molto più alto, e talvolta agli stessi
proprietari. Si tratta probabilmente di aneddoti spuri, non autentici, riferiti a Talete più come simbolo
dell’uomo saggio che come persona reale. Il secondo aneddoto, in particolare (come lo stesso Aristotele
osserva), mira a dimostrare che la scienza non è inutile, sebbene di regola gli scienziati non se ne servano
(come potrebbero) per arricchirsi.

Pare che Talete non abbia lasciato scritti filosofici; la conoscenza della sua dottrina fondatamentale si deve
ad Aristotele, il quale scrive:

Talete dice che il principio è l’acqua, perciò anche sosteneva che la Terra sta sopra l'acqua, “prendeva forse
argomento dal vedere che il nutrimento d'ogni cosa è umido e persino il caldo si genera e vive nell’umido;
ora ciò da cui tutto si genera è il principio di tutto. Perciò sì
appigliò a tale congettura, ed anche perché i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è nelle
cose umide il principio della loro natura.

(Aristotele, Metafisica, I, 3, 983b, 20)


È sempre Aristotele a testimoniare come la credenza secondo cui l’acqua è il principio della vita e del mondo
fosse antichissima: già nei poemi omerici, ad esempio, Oceano e Teti compaiono quali princìpi della
generazione. A ben guardare, quindi, la dottrina che Aristotele presenta come propria di Talete è una sola,
cioè l’idea che «la Terra sta sopra l’acqua»: in questo senso l'acqua è sostanza, ovvero “ciò che sta sotto” e
“sostiene”, secondo il significato letterale del termine. L'argomento della generazione dall'umido è invece
addotto soltanto come probabile ed è forse una congettura dello stesso Aristotele.

ANASSIMANDRO.
Discepolo e successore di Talete, visse a Mileto dal 610 al 545 a.C. Fu attivo nella
vita politica con incarichi anche di governo. Compose un trattato "Sulla natura",
scritto per la prima volta in prosa per la necessità di liberare il ragionamento dal vincolo della metrica e della
rima poetica. E’ la prima opera filosofica che possediamo.
Con Anassimandro la problematica del principio primo si approfondisce.
Egli fece questo progresso rispetto a Talete, se il principio del mondo tutto abbraccia e governa non può
essere delimitato nello spazio e nel tempo, né definito come questo o quell’elemento naturale, e dunque
neanche come acqua, esso è INFINITO, DA CUI TUTTE LE COSE NASCONO ED IN CUI TUTTE LE
COSE PERISCONO, ESSO E’ IMMORTALE E INDISTRUTTIBILE.
Egli ritiene l'acqua non un principio ma un qualcosa di già di derivato. Individua invece il
principio (arché) nell’ “àpeiron” (alla lettera="senza limiti"). Si tratta di un
principio più astratto. Non si riferisce ad un elemento naturale, ma designa ciò che è
inesauribile e quindi infinito ma anche indefinito. Per Anassimandro il principio, il
sostrato di tutte le cose, è dunque l'infinito indeterminato, ritenendo impossibile che
da un elemento naturale determinato traggano origine tutti gli altri fra di essi assai
diversi. Le determinazioni si producono in seguito, col derivare delle cose
determinate dal principio primo, infinito nello spazio, cioè quantitativamente, ed
indefinito qualitativamente, come un magma indistinto da cui trovano poi origine
tutte le cose determinate.
L’àpeiron è un principio divino perché indistruttibile ed eterno. In quanto infinito
ed illimitato, il principio non ammette né una fine e neppure un inizio. Gli antichi dei
invece erano immortali ma non eterni poiché nascevano.
Come Talete, anche Anassimandro è un "naturalista", nel senso che non concepisce il
principio divino come trascendente, cioè distinto e al di sopra del mondo, ma come
l'essenza del mondo immanente in esso.
Talete non si era posto la domanda circa il come e il perché dal principio derivino
tutte le cose. A tale domanda Anassimandro intende invece dare una risposta.
Anassimandro si pone dunque il problema del processo attraverso il quale le cose derivano dalla sostanza
primordiale, identificandolo nella separazione. Egli è convinto, infatti, che la sostanza infinita sia animata da
un eterno movimento, in virtù del quale i contrari (caldo e freddo, secco e umido ecc.) si separano in essa e
da essa, dando gradualmente origine a tutte le cose.

Per mezzo del processo di separazione dall'apeiron, sì generano infiniti mondi, che sì
succedono l’uno all’altro secondo un ciclo eterno. Per ogni mondo, così come per ogni
cosa che lo abita, è segnato da sempre il tempo della nascita, della durata e della fine,
ovvero del suo ritorno nella materia indistinta da cuì proviene. Questo significa che esiste una legge che
impone un limite alla vita del mondo e delle cose, e questo limite, per Anassimandro, è la punizione per
un'ingiustizia commessa. Afferma infatti Anassimandro:

Tutti gli esseri devono, secondo l'ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia.
(Anassimandro, frammento 1)

Ma qual è l’ingiustizia (adikia) che tutti gli esseri devono espiare? Probabilmente è legata alla loro stessa
costituzione, cioè alla loro nascita, che nessuno di essi può evitare, così come non può sottrarsi alla pena che
ne deriva. Abbiamo visto, infatti, che la nascita per Anassimandro è una separazione dalla sostanza infinita.
Evidentemente questa separazione costituisce una rottura dell'unità che è propria dell'infinito: è il subentrare
della diversità, e quindi del contrasto, là dove c'erano omogeneità e armonia. Con la separazione si determina
la condizione propria degli esseri finiti, che sono molteplici, diversi e contrastanti tra loro, e di conseguenza
inevitabilmente destinati a scontare con la morte la loro stessa nascita e a ritornare all'unità.
Spiegazione più chiara:
Il mondo è costituito da una serie di elementi contrari e che questi tendono a sopraffarsi l'un l'altro (caldo e
freddo, secco e umido, ecc.). Viene in
qualche modo anticipata una prima concezione dialettica (=contrapposizione di
elementi) della realtà.
In questa volontà di sopraffazione di un contrario nei confronti dell'altro
consisterebbe quell'ingiustizia per cui, secondo Anassimandro, tutte le cose sono
destinate alla dissoluzione, pagando con ciò la colpa della loro prepotenza. In tale
situazione il tempo è visto come giudice, poiché assegna un limite a ciascuno degli
elementi contrari, ponendo un termine al predominio dell'uno a favore dell'altro e
viceversa. L'intero mondo nasce dalla separazione degli elementi contrari, fra di
essi in lotta. In ciò è vista la prima ingiustizia, che dovrà essere espiata con la fine
del mondo stesso, destinato poi a rinascere di nuovo attraverso cicli infiniti. Sembra
innegabile in questa concezione un influsso delle dottrine orfiche per quanto riguarda
l'idea di una colpa originaria e dell'espiazione attraverso la metempsicosi. Scrive in
proposito Anassimandro: "donde le cose traggono la loro nascita, ivi si compie anche
la loro dissoluzione secondo necessità; infatti reciprocamente pagano il fio e la colpa
dell'ingiustizia, secondo l'ordine del tempo".
Così come infinito è il principio, altrettanto, per Anassimandro, sono infiniti i
mondi, nel senso che questo nostro mondo non è che uno degli innumerevoli mondi
che, ciclicamente, tutti nascono e muoiono in maniera analoga.

La legge di giustizia che Solone riteneva dominare il mondo umano, legge che punisce la prevaricazione e la
prepotenza, diventa in Anassimandro legge cosmica, che regola il ciclico nascere e morire delle cose e dei
mondi.

I mondi, la Terra e l'uomo


Le tesi di Anassimandro, rivoluzionarie rispetto al sapere del tempo, sono espressione di una personalità
filosofica eccezionale. Per rendercene meglio conto, consideriamo innanzitutto l’idea dell’infinità dei mondi,
a cui il filosofo perviene a partire dalla natura della sostanza primordiale. Si è visto che, per Anassimandro,
infiniti mondi si succedono secondo un ciclo eterno; ma i mondi sono infiniti anche contemporaneamente
nello spazio, o soltanto nel loro succedersi nel tempo?

In realtà è difficile negare che Anassimandro abbia ammesso l’infinità di mondi anche nello spazio, poiché,
se l'infinito (l'ipeiron) abbraccia tutti i mondi e se dall’infinito i mondi “si staccano”, esso deve essere
pensato “al di là” non di un solo mondo che ciclicamente

Li nasce e muore, ma di altri e altri ancora. Anassimandro concepisce in modo originale anche la forma della
Terra, descrivendola come un cilindro che si libra nel mezzo del mondo senza essere sostenuto da nulla, per

I ché, trovandosi a uguale distanza rispetto a ognuna delle parti del mondo, non è sollecita

to a muoversi da alcuna di esse. Quanto agli uomini, Anassimandro pensa che non siano esseri originari, nati
insieme con

la natura. Infatti non sanno nutrirsi da sé, e quindi non avrebbero potuto sopravvivere se fossero nati la prima
volta come nascono ora. Essi devono dunque aver tratto la loro origine da altri animali: nacquero dentro i
pesci e, dopo essere stati nutriti, una volta divenuti capaci di proteggersi da sé, furono gettati fuori,
abbandonarono l’acqua e divennero esseri

terrestri. Tutte queste sono teorie primitive, ma che manifestano l'esigenza di cercare una spiegazioné
puramente naturalistica del mondo, tant'è che nella tesi sull'origine degli uomini
alcuni interpreti hanno intravisto una suggestiva anticipazione dell'ipotesi evoluzioni. stica formulata dalla
scienza moderna.

Spiegazione più chiara

Il processo di generazione del cosmo e di tutti i mondi prende avvio, secondo


Anassimandro, dall’eterno movimento vorticoso e circolare che anima l’àpeiron,
per cui l'infinito non è statico ma dinamico. Tale movimento provoca dapprima il
distacco dall’apeiron dei contrari fondamentali: il caldo-freddo e il secco-umido.
Da essi derivano poi, per condensazione e per rarefazione, tutte le altre cose. Il
freddo, originariamente liquido, si raccoglie nelle cavità, costituendo i mari e l'acqua.
Il fuoco trasforma il freddo in aria. La sfera del fuoco, poi, si spezza in tre,
originando la sfera del Sole, della Luna e degli astri. Dai mari e dall'acqua, sotto
l'azione del Sole, nascono i primi animali, di struttura elementare, da cui via via si
sviluppano gli animali più complessi.
La Terra è immaginata di forma cilindrica, situata al centro dell'universo, in
equilibrio senza bisogno di sostegni materiali.
Queste idee possono a prima vista sembrare puerili. Ma sono potentemente
anticipatrici di teorie moderne: l'equilibrio delle forze a causa della gravitazione
universale, che da sola, senza appoggi, regge la Terra (e gli altri corpi celesti);
l'origine della vita proveniente da animali acquatici; una prima rudimentale
concezione dell'evoluzione delle specie viventi.

Anassimene
Visse anch'egli a Mileto, nel sesto secolo avanti Cristo, e fu discepolo di
Anassimandro.
Ci restano frammenti di una sua opera sulla natura.
Anassimene ritiene che il principio primo debba sì essere infinito ma non
indeterminato come per Anassimandro. Egli individua questo principio nell'aria,
tornando quindi ad identificarlo con un elemento naturale. L'aria è pensata come aria
infinita, sostanza aerea illimitata. Considera l'aria un principio che, rispetto
all’àpeiron di Anassimandro, permette di dedurre in modo più logico e razionale la
derivazione da essa di tutte le cose. Infatti, per la sua natura estremamente mobile,
l'aria si presta assai di più ad essere concepita come perenne movimento e come
causa dell’origine e trasformazione delle cose: le cose derivano dal processo continuo
di condensazione e rarefazione dell'aria. L’aria condensandosi si raffredda e diventa
acqua e poi terra; rarefacendosi e dilatandosi si riscalda e diventa fuoco.
Viene così semplificato il sistema un po' macchinoso di Anassimandro. L'origine
delle cose dall'aria è spiegato su base esclusivamente quantitativa, secondo il grado di
condensazione e di rarefazione, senza ricorrere anche a spiegazioni qualitative, quali
il distacco e la contrapposizione dei contrari, adottate da Anassimandro.
In tal senso, Anassimene anticipa la spiegazione meccanicistica-quantitativa della
natura, abbandonando le concezioni orfiche cui si è ispirato Anassimandro (la lotta
dei contrari, da cui deriva la colpa e l'espiazione che le cose subiscono in quanto
finite e quindi destinate a perire)
In sintesi tornò a porre il principio del mondo in un elemento determinato, che per lui è l'aria. Non è aria,
soffio, l'anima nostra? Aria e respiro è dunque ciò da cui nasce ogni vita, da cui derivano «tutte le cose che
furono, che sono e che saranno, e anche gli dèi e le cose divine,

E l'eterno movimento dell'aria infinita dà luogo, non, come per Anassimandro, a un processo di
separazione, ma ai due processi opposti di condensazione e di rarefazione: l'aria, rarefacendosi, diventa
fuoco (lampo, sole, ecc.), condensandosi diventa acqua e terra, È ciò, non soltanto in questo nostro mondo,
ma anche nel periodico generarsi e dissolversi di mondi infiniti.

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