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Istituzioni di storia della filosofia antica, a.a.

2022-2023
(prof. B. Centrone)1

Quella che viene presentata in queste pagine è una breve panoramica complessiva sulla storia della
filosofia antica, con l’unico scopo di trasmettere alcune conoscenze di base che rischiano di sfuggire a
uno studio solitario del manuale. Si tratta di aver chiaro, innanzitutto, quali sono le fonti per la nostra
conoscenza della filosofia antica, e di cercare di capire perché si sono conservati i testi solo di alcuni
autori, mentre altri sono andati perduti. Inoltre, di chiarire in che senso ed entro quali limiti si può parlare
di scuole filosofiche dell’antichità e di cercare di ricostruire brevemente le circostanze che hanno portato
a far sì che un odierno manuale di storia della filosofia antica abbia la forma che ha; l’origine delle
periodizzazioni e delle categorie storiografiche di più largo impiego, spesso caratterizzate dall’impiego di
prefisso come pre- medio- neo- (es. presocratici, medio-e neo-platonismo/stoicismo etc.).
Con la filosofia antica inizia anche la filosofia tout court. La manualistica parte da Talete e la scuola di
Mileto (nato 620 a.C. circa) e si conclude con la chiusura delle scuole filosofiche di Atene a opera di
Giustiniano (529 d.C.). Perché è Talete a essere considerato il primo filosofo? Questo è generalmente
noto: perché il creatore della storia della filosofia antica è Aristotele, che ha proiettato la sua concezione
della filosofia come ricerca delle cause sui pensatori del passato (cf. Prima lezione di filosofia antica)
Ci sono ragioni filosofiche dietro la scelta di Aristotele, che non è un dossografo “professionale”, ma un
filosofo che sente e teorizza la necessità di confrontarsi con i pensatori precedenti. Si può dire che la
dossografia antica ha le sue radici nel metodo dialettico di Aristotele. Con il suo allievo Teofrasto, invece,
la dossografia diventa un genere letterario. Da Teofrasto si diparte una tradizione che è stata decisiva
nell’antichità. Della dossografia antica rimane solo una minima parte, raccolta nei Doxographi graeci di
Hermann Diels (1879) . In questa raccolta si possono elencare tre generi principali:

1. i placita (gr. tà arèskonta) lett. ciò che piace (cf. l’espressione "mi piace pensare che.."), organizzati in
base a un principio sistematico: si tratta di raccolte di opinioni su questioni specifiche. Tra gli autori e gli
scritti più significativi: Aezio, autore di una raccolta di placita, tradotta in arabo nel sec. X, e in parte
ricostruita da H. Diels, soprattutto sulla base dei Placita philosophorum dello pseudo-Plutarco e delle Ecloghe
(raccolte antologiche) di Giovanni Stobeo (v d.C.). Aezio si sarebbe servito di un precedente compendio
redatto da un allievo dello stoico Posidonio nella prima metà del sec. I a. C., chiamato da Diels Vetusta
placita, che a sua volta risalirebbe, in ultima analisi, all’opera dossografica di Teofrasto. E inoltre l’ Historia
philosopha dello pseudo Galeno (III o V d.C.)

2. perì hairèseon, sulle scuole; una raccolta di opinioni di una scuola e del caposcuola (Ario Didimo e
Diogene Laerzio);

3. le diadochài (successioni). L’idea di fondo è l’ordinamento della filosofia nel suo sviluppo in base a un
sistema di successioni tra maestri e discepoli (vedi Prima lezione). Esempi ne sono i frammenti dalle opere
sull’Academia e la Stoa dell’epicureo Filodemo nei papiri di Ercolano e le successioni nelle Vite dei filosofi
di Diogene Laerzio.

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Integrazione a Prima lezione di filosofia antica, Laterza, Roma-Bari 2015
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Le Scuole

Come si accennava, uno dei criteri unificanti usati dalla dossografia è quello di “scuola”; la dossografia
ha avuto un'influenza determinante sulla schematizzazione della filosofia antica basata sulla nozione di
scuola e successioni di scolarchi. Partiamo da brevi indicazioni sulla nozione di 'scuola'; i termini che la
designano, sono hàiresis, scelta, condotta di vita, poi scuola (da cui anche il termine 'eresia'). agoghè,
(condurre, educazione), i latini secta e schola. Il termine deriva dal greco scholè, che indica il tempo libero;
nella scuola si praticano quelle occupazioni che può svolgere solo chi ha tempo libero, libero, s'intende,
dalle occupazioni necessarie e dagli impegni materiali. Per Aristotele il fine dell' ascholìa è la scholé, termini
cui corrispondono i latini negotium e otium. Nel mondo greco, come si può constatare, la condizione in
cui si trova chi lavora è indicata dal termine negativo, mentre nel mondo moderno si assiste a una
inversione antropologica significativa; l'ozio è negativo, il tempo libero è quello in cui si svolgono le
occupazioni meno importanti.

Bisogna distinguere e tenere presenti i vari sensi in cui si può parlare di scuole; solo in alcuni casi si tratta
di scuole istituzionalizzate, in altri si deve piuttosto parlare di indirizzi di pensiero; in molti casi è dubbio
se sia esistita una scuola vera e propria. Per ogni presunta scuola va dunque fatto un discorso
differenziato. La tendenza a individuare scuole, già nella storiografia antica (si pensi al già citato Diogene
Laerzio, o al neoplatonico Giamblico (III d.C.), autore di una Vita pitagorica in cui descrive la comunità
pitagorica come una scuola rigidamente istituzionalizzata) deriva molto spesso da una proiezione nel
passato di modelli sviluppatisi posteriormente, talvolta con intenti ideologici, o dalla necessità di
semplificazioni e schematizzazioni dossografiche. Si parla comunemente di scuole (ionica, pitagorica,
eleatica) anche a proposito dei cosiddetti presocratici, ma solo con l'Accademia di Platone e poi con il
Liceo di Aristotele si ha la creazione di una scuola filosofica stricto sensu: una istituzione con finalità
educative retta all'inizio dal fondatore, poi da uno scolarca da lui nominato o eletto dagli altri membri
della scuola, con un patrimonio in beni, edifici, libri, operante in uno spazio pubblico (come l'Accademia
platonica e il Liceo di Aristotele) o privato (come il Giardino di Epicuro) in cui venivano impartiti
insegnamenti su varie discipline.

Nel caso delle presunte scuole presocratiche, è pressoché certo che la cosiddetta Scuola di Mileto (Talete
Anassimene Anassimandro) non sia esistita come scuola istituzionalizzata. Le cose stanno un po’
diversamente per la "scuola" pitagorica. E’ esistita sicuramente un'associazione pitagorica che ha avuto
anche un'influenza politica nell'Italia meridionale dell'epoca, ma la natura di questa associazione è molto
incerta, come mostra l'elevato numero di denominazioni solitamente usate per designarla: scuola, setta,
confraternita, eterìa. E' dubbio se questa comunità si configurasse come una scuola, in cui veniva
impartito un insegnamento di tipo scientifico, o se si trattasse piuttosto di una confraternita a sfondo
religioso, o di un ‘partito’ politico (eterìa). L'idea di una scuola filosofica era strettamente legata a quella
dell'esistenza di una filosofia pitagorica, che si riassume nella formula "il numero è principio delle cose",
o "tutto è numero". E' però emerso sempre più chiaramente, nelle ricerche più recenti, che questa
schematizzazione si deve ancora una volta ad Aristotele e che all’epoca essere pitagorico significava prima
di tutto professare un modo di vita, un bios, fondato su certe regole, certamente non vincolato alla
professione di un unico credo filosofico. La maggior parte dei pitagorici non erano sicuramente "filosofi",
anche se alcuni di loro (Filolao, Archita) hanno fornito significativi apporti in vari campi del pensiero.
Altro caso significativo è quello della la scuola di Elea. Una lunga tradizione ha collocato Senofane tra i
filosofi presocratici, facendone il fondatore dell'eleatismo e il maestro di Parmenide, cui lo collega in
particolare una dottrina monistica dagli incerti contorni. Quando Platone e Aristotele gli attribuiscono

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una dottrina monistica, attestando una connessione con l'eleatismo, si basano forse su una tradizione
ancora anteriore.

c’è poi dalle nostre parti la stirpe eleatica, che ha preso le mosse da Senofane e anche da
prima, a sostenere che ciò che è chiamato «tutte le cose» è in realtà uno e a spiegarlo
attraverso i suoi miti (Platone, Sofista 242d)

Questa connessione è poi divenuta un luogo comune dossografico e storiografico, messo però
ripetutamente in dubbio da gran parte della critica: il monismo di Senofane doveva consistere
nell'attribuire il carattere di unicità al mondo, considerato divino, o addirittura identico con dio, senza
però che l'Uno venisse formalmente ipostatizzato come principio sostanziale. Questo monismo fu messo
in relazione con quello di Parmenide-Zenone-Melisso, e questa filiazione comportò che su Senofane
furono proiettati molti tratti caratteristici dell'Essere di Parmenide (o in alcuni casi di Melisso). Testimoni
più tardi attribuiscono all'uno senofaneo altre caratteristiche, quali la sfericità, l'omogeneità e la finitezza.
Nella manualistica è di conseguenza divenuto usuale accomunare Senofane agli eleati, salvo eventuali
distinzioni.
L'Accademia platonica è invece sin dalle sue origini una scuola istituzionalizzata; questa è inoltre la scuola
che ha avuto la maggiore durata e continuità. L'Accademia era ad Atene un giardino sulle rive del fiume
Cefiso, dove si trovava la tomba dell'eroe Academo. Qui Platone fondò la sua scuola intorno a 384 a.C.,
al ritorno dal primo viaggio in Sicilia. L'Accademia conosce, almeno apparentemente, una svolta in senso
scettico (media Accademia, con Arcesilao (316-241) e Carneade (214-129). Intorno al 120, con Antioco
d'Ascalona (quinta accademia), si verifica un ritorno al dogmatismo (il precetto di Antioco era veteres sequi,
seguire gli antichi); nell' 86 a.C. l’Accademia viene distrutta da Silla, e una nuova Accademia viene istituita
fuori da Atene. Poi le notizie divengono frammentarie; in età imperiale si hanno testimonianze su
platonici sparsi e si parla, per il periodo tra Antioco e il neoplatonismo, di “medioplatonismo”, una
categoria storiografica che non ha mancato di suscitare discussioni (cfr. infra). Di una scuola organizzata
non si può comunque parlare; una vera e propria scuola rinasce solo con il neoplatonismo. E anche sulle
scuole neoplatoniche si è molto discusso; alcuni ne hanno individuate tre (Zeller), altri sei (Praechter):
quella di Alessandria (Ammonio Sacca), quella di Roma (Plotino), quella siriaca (Giamblico), quella di
Pergamo (Edesio, Giuliano), quella di Atene (Plutarco), quella di Alessandria (Ipazia, Sinesio,
commentatori).
Con maggiore fondatezza si parla di scuole ellenistiche, anche se le cosiddette scuole ellenistiche non
finiscono con la fine dell'ellenismo (v. infra). Delle tre grandi scuole ellenistiche, si possono considerare
scuole in senso proprio solo l'epicurea e la stoica, quest'ultima denominata a partire dal luogo in cui
sorgeva, la stoa pecile (dal greco poikìle, variopinto), un portico dipinto nell' agorà; gli stoici non potevano
acquistare un edificio e tenevano le loro lezioni all'aperto. Ma anche la scuola epicurea, denominata a
partire dal suo fondatore, è spesso chiamata “il giardino” (kèpos), perché di un giardino era provvista la
sede in cui sorgeva.
Un discorso diverso va fatto per lo scetticismo, che deve considerarsi un indirizzo, un movimento di
pensiero piuttosto che una scuola. Le origini dello scetticismo si fanno generalmente risalire a Pirrone
(365-275), anche se la questione è molto dubbia; è inotre dubbio che egli abbia fondato una vera e propria
scuola; il suo discepolo Timone di Fliunte (325), secondo Diogene Laerzio, non ebbe discepoli. Ad
assumere un indirizzo scettico è poi l'Accademia platonica con Arcesilao (341-270) e, in seguito,
Carneade; non si deve dunque pensare a una continuità diretta Pirrone-Arcesilao-Carneade. Lo
scetticismo sembra rifiorire con nel I a.c. con Enesidemo, che propone un ritorno al pirronismo
(Enesidemo è celebre per i suoi tropi: modi o ragioni strutturali per cui si deve giungere alla sospensione
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del giudizio, epoché). In età imperiale lo scetticismo mostra una certa vitalità, anche se rimane in una
posizione marginale. Anche Diogene Laerzio ci fornisce informazioni tutto sommato scarse sulla scuola;
non si deve comunque pensare a un blocco monolitico.
Nel caso dell’epicureismo, si può dire che la scuola epicurea sussiste dopo Epicuro con una certa
continuità. Diogene Laerzio (X 9) parla di una “ininterrotta continuità della scuola che, mentre quasi tutte
si sono spente, sempre dura” e della "innumerevole schiera dei discepoli che si trasmettono l'uno all'altro
lo scolarcato"; dal II a.C. l'Epicureismo si trasferisce anche in ambiente latino, in particolare in Campania
(Filodemo, 110-28); il poeta latino Lucrezio è il caso più noto, e anche Giulio Cesare aveva simpatie per
l'Epicureismo, a differenza di Cicerone e altri membri dell'aristocrazia, che prediligevano piuttosto lo
stoicismo. Un momento di crisi si ha probabilmente nel I a.C., quando sembra che il kepos sia stato
chiuso (prima del 51 a.C: Cic. ad fam. XIII 1: Cicerone testimonia che era stata venduta come terreno
edificabile la casa di Epicuro); dopo il 51 non si hanno notizie di scolarchi; ma Seneca (ep. 79,15) e Plinio
il vecchio (NH XXXV, II, 4 sg.) nel I d.C: parlano dell'Epicureismo come di una setta ancora ben viva.
Il kepos viene distrutto nel 267 d.C. dall'invasione degli Eruli; nel IV d.C. l'imperatore Flavio Claudio
Giuliano, detto l'apostata (332-363, Epist. 89, 301c-d) testimonia che i libri di Epicuro erano stati distrutti
e che la maggior parte di essi era sparita dalla circolazione.

Categorie storiografiche e periodizzazioni


Filosofie ellenistiche

L'ellenismo è il periodo storico che convenzionalmente va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.),
alla quale segue lo smembramento del suo impero in grandi regni (Tolomei in Egitto, Seleucidi in Siria,
Antigonidi in Macedonia), alla battaglia di Azio (31a.C.), inizio ufficiale dell'impero romano e fine dei
regni, con l'occupazione di Augusto dell'Egitto dei Lagidi nel 30 a.C. Il nome ha a che fare con l’ampia
diffusione della cultura greca, principalmente nell’area del Mediterraneo, dopo le conquiste di Alessandro.
Va precisato che la categoria di “ellenistico” riferita alla filosofia ha un significato specifico, non legato
solo alla cronologia. L’ Accademia e il Peripato hanno una loro tradizione continua, ma non rispondono
in pieno alle caratteristiche che definiscono una filosofia ellenistica. Esistono sia platonici che aristotelici
in età ellenistica, ma le loro filosofie non vengono definite ellenistiche. Analogamente, vi sono filosofi
considerati ellenistici benché non rientrino nel periodo in questione, come Sesto Empirico (III d.C.,
bandiera del pirronismo) e stoici di età imperiale quali Seneca, Epitteto, Marco Aurelio. D'altro canto la
definizione in termini di filosofie "post-aristoteliche" è fuorviante e minimamente valida solo in termini
strettamente cronologici, perché induce la falsa impressione che in età ellenistica Aristotele venisse
riconosciuto come il filosofo per eccellenza, il pensatore più autorevole con cui confrontarsi. In realtà
l’autentico revival di Aristotele si verifica solo nel I a.C., dopo la riscoperta degli scritti cosiddetti
“esoterici”.
Quali termini cronologici della filosofia ellenistica si possono preferibilmente stabilire il 306 (fondazione
del Giardino di Epicuro) e l'88 a.C., con i rivolgimenti ad Atene e il sacco della città a opera di Silla (86),
quando l’Accademia platonica viene chiusa. A partire da questo momento Atene perderà la sua posizione
centrale nella filosofia e si verificherà una diaspora dei filosofi nelle città dell’impero.
Riguardo alla filosofia è importante innanzitutto notare un dato geografico. La crescente importanza di
Alessandria d'Egitto come centro culturale fa sì che la ricerca scientifica (che sempre più si emancipa
rispetto alla filosofia), storica e letteraria si concentri in questa sede (Biblioteca d’Alessandria, filologia
alessandrina). Atene rimane invece il centro principale della filosofia e qui rimangono concentrate le
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scuole filosofiche. Dall'Asia minore convergono su Atene i seguaci delle scuole; la connessione, luogo
comune della storiografia, con il collasso della polis greca e il ripiegamento dell'individuo su se stesso in
una dimensione non politica non è un fattore di spiegazione totalmente convincente o comunque
esaustivo.
Così David Sedley, uno dei maggiori studiosi delle filosofie ellenistiche, individua le caratteristiche di una
filosofia dottrinale ellenistica: si trattava di un sistema completo che offriva 1. una comprensione delle
origini, delle componenti e dell'organizzazione del mondo e del posto dell'uomo in esso; 2 una
metodologia dell'indagine, che includeva in particolare la definizione di uno o più "criteri di verità"; 3.
una spiegazione di ciò in cui consiste il fine (tèlos), la felicità (eudaimonìa). Le tre aree corrispondono a
quella che doveva divenire la tripartizione standard della filosofia in 1) fisica 2) logica 3) etica, forse in
parte già fissata nell’Accademia platonica con Senocrate.
C'è da dire in proposito che il secondo punto sembra essere quello più caratterizzante; la ricerca di un
criterio della verità e della conoscenza, ancora non tematizzato fino in fondo in Platone e Aristotele,
diviene fondamentale, venendo poi inglobato come topos nelle esposizioni dossografiche. Anche il terzo
punto diventa un topos dossografico, così come la tripartizione.
A parte le tre famose epistole di Epicuro, nessun trattato filosofico ellenistico ci è pervenuto nella sua
interezza. Questo può far perdere di vista alcuni dati fondamentali, ad esempio il fatto che in età ellenistica
la filosofia dominante fosse lo stoicismo. L’impressione che si tratti di una filosofia tra le altre,
inevitabilmente suggerita dalla manualistica, deriva dalla perdita delle opere degli stoici. Crisippo, terzo
scolarca della Stoa, fu un pensatore di statura elevatissima, e potremmo rendercene conto se ci fossero
rimaste le sue opere logiche.
Un dato essenziale da tenere presente è che i pensatori del periodo ellenistico fanno filosofia in proprio,
sono filosofi originali (anche se nell’Epicureismo predomina una sorta di dogmatismo nel porre al centro
il “verbo” di Epicuro). In età imperiale la filosofia diventa principalmente attività esegetica e di commento
dei grandi filosofi del passato, Platone e Aristotele in primis.
Ma che ne è di Aristotele e della sua scuola in età ellenistica?
La successione ricostruibile degli scolarchi del Peripato dopo Aristotele è: Teofrasto, Stratone, Licone,
Aristone di Ceo. Poi è incerta. Andronico di Rodi è il decimo/undicesimo scolarca. Sotto Licone, scolarca
per 44 anni (!), comincia un declino in senso antifilosofico; il „sonno mortale della filosofia aristotelica“
(Totenschlaf der aristotelischen Philosophie, per dirla con Wilamowitz). Al tempo di Aristone, intorno
al 200, si verifica una devastazione a opera di Filippo V macedone
Le opere dei Peripatetici sono andate perdute, a eccezione di qualche scritto di Teofrasto e Aristosseno.
Il nome perìpatos (in origine “passeggiata”) usato per designare la scuola è probabilmente successivo a
Teofrasto, così come l’aggettivo peripathetikòs per indicare gli appartenente alla scuola. Altra
denominazione della scuola è “Liceo”, un santuario dedicato ad Apollo Liceo, attestato dal 421 (cf. la Pace
del commediografo Aristofane), dove fu eretto un ginnasio.
L’Aristotele più noto in età ellenistica non è quello dei trattati che sono pervenuti a noi, gli esoterici o
acroamatici. Ma nel I a.C. si verifica un evento fondamentale per la storia della filosofia antica: la
riscoperta degli esoterici di Aristotele. Strabone (I a.C.) e Plutarco (50-125) sono tra i testimoni principali
di questa riscoperta. Il relativo racconto non è del tutto affidabile, e nei suoi confronti si deve nutrire un
fondato scetticismo. Ma un dato è certo: da questo momento l’Aristotele consegnato alla posterità è
quello dei trattati esoterici, gli stessi sui quali oggigiorno basiamo la nostra conoscenza del filosofo. Per il
Peripato di età ellenistica è molto difficile assodare un uso diretto dei trattati, anche se sicuramente essi
non furono del tutto ignoti. E’ ovvio aspettarsi che nella biblioteca di Alessandria si trovassero opere di

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Aristotele, così come a Rodi, centro dell’aristotelismo (da Rodi provengono peripatetici quali Eudemo
Ieronimo Prassifane Andronico).
Ecco in sintesi il racconto di Strabone/Plutarco: dopo la morte di Aristotele la sua biblioteca va a
Teofrasto; questi alla sua morte la lascia a Neleo di Scepsi (nella Troade in Asia minore, attuale Turchia),
il quale torna nella sua città; forse vende una parte dei libri alla biblioteca di Alessandria, ma tiene tutti
manoscritti aristotelici o gran parte di essi. I libri passano ai suoi eredi, che per sottrarli alle autorità di
Pergamo, li nascondono in una fossa, poi li vendono a un bibliofilo, Apellicone di Teo (I a..C.), il quale
li riporta ad Atene, ne fa nuove copie e cura una sorta di prima edizione, probabilmente maldestra. Nell’86
a.C. Silla conquista Atene e si impadronisce dei libri, portandoli a Roma. Qui il grammatico Tirannione
di Amiso (fatto prigioniero da Lucullo, poi divenuto un uomo in vista a Roma) ricevuta in custodia la
biblioteca di Lucullo, forse concepisce il progetto di pubblicare le opere, ma stimola il suo scolaro
Andronico di Rodi ad attuare il progetto. Andronico appronta finalmente un’edizione delle opere di
Aristotele. Il corpus che viene così costituito è molto vicino all’Aristotele che leggiamo oggi.

I dettagli del racconto sono stati variamente messi in dubbio. Certo è che l’edizione di Andronico offrì
una nuova immagine di Aristotele e ridette impulso alla filosofia aristotelica, sino ad allora caduta in
declino; per la prima volta questa edizione permise una visione complessiva della filosofia di A. e fornì
una base testuale sicura. Essa, perdipiù, origina l’idea che Aristotele sia un pensatore sistematico, cosa
considerata abbastanza ovvia nell’antichità (ad esempio da un neoplatonico come Simplicio (VI d.C.).
Come per Platone, si trattava di ridurre a sistema la filosofia del caposcuola (esigenza forse mutuata dal
confronto con lo stoicismo)
Comincia da questo momento una intensa attività di commento che si protrarrà per secoli (i commenti
antichi alle opere di A. ammontano a 23 volumi (Commentaria in Aristotelem Graeca, editi dalla regia
accademia di Berlino tra il 1882 e il 1909) e sono una fonte preziosa anche per la nostra conoscenza dei
Presocratici (si pensi ad autori quali Temistio, Filopono, Simplicio)
E’ interessante notare che un ruolo centrale è occupato dallo scritto aristotelico sulle Categorie (è il trattato
iniziale anche nell’edizione canonica delle opere di Aristotele a opera di Immanuel Bekker,1831-1836, alla
quale risale anche l’attuale paginazione), che ebbe per gli antichi ruolo propedeutico alla conoscenza della
filosofia aristotelica; ricordiamo i commenti di Dexippo Ammonio Simplicio Filopono, ma anche altri
andati perduti). L’idea diffusa era che l’apprendimento della filosofia dovesse cominciare da questo
trattato, breve e agile da padroneggiare, ma che trattava temi fondamentali, quali quelli della sostanza,
della predicazione, della divisione per generi e specie, della relazione. Ciò dette origine a un ampio
dibattito sulla natura e il ruolo delle categorie. La conoscenza degli altri trattati rimase inzialmente
piuttosto limitata; i platonici preplotiniani non hanno una conoscenza estesa di Aristotele. Una vera e
propria attività di commento e assimilazione del corpus si ha solo a partire dal II d.C. In generale si tratta
di una Incorporazione di tesi aristoteliche all’interno del platonismo, sino all’ assimilazione completa di
Aristotele da parte dei neoplatonici, nei quali prevale una posizione concordista, tesa a conciliare senza
residui Platone e Aristotele.

Filosofia imperiale e tardoantica

Si parla di filosofia imperiale perché la sua estensione coincide grosso modo con l'epoca dell'impero
romano, ma lo spartiacque rispetto alla filosofia ellenistica non è il 31 a.C. (battaglia di Azio, con cui si fa
convenzionalmente cominciare l'impero romano), ma una data di una cinquantina di anni anteriore, gli
anni 80. Sino ad allora le grandi scuole ellenistiche hanno ancora sede ad Atene. Dopo il citato sacco di
Atene da parte di Silla si ha la chiusura dell'Accademia platonica. Da allora ha luogo una diaspora dei
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filosofi da Atene nelle città dell'impero, Alessandria e Roma in primo luogo. La filosofia viene ora
praticata da piccoli gruppi di professionisti sparsi in varie località del mondo greco-romano. Atene non
tornerà più ad essere la capitale della filosofia, neppure quando Marco Aurelio nel 176 d.C. istituirà
cattedre di platonismo, aristotelismo, stoicismo ed epicureismo.
A due eventi quasi concomitanti di questo periodo, decisivi per gli sviluppi della filosofia antica, va dato
particolare risalto: oltre alla menzionata riscoperta degli scritti aristotelici, che cominciano ad essere
oggetto di studio e di commento e diventano una solida base della filosofia, l’altro fatto di primaria
importanza è, nell'ambito del platonismo, il ritorno al dogmatismo che si ha con Antioco d'Ascalona
(cosiddetta quinta accademia) dopo la parentesi scettica dell'Accademia.La filosofia che predomina in
maniera indiscussa a partire dall’età imperiale è il platonismo. Ma il ritorno a Platone può assumere forme
diverse a seconda dell’immagine di Platone che veniva privilegiata: scettico o dogmatico?
Nell’orientamento dogmatico il dialogo posto al centro dell’attenzione è il Timeo. L’idea di fondo è che
la filosofia platonica sia un sistema dottrinale in grado di rendere conto dell’intera realtà.
Il segno più rilevante di questa nuova situazione è un nuovo modo di concepire il fare filosofia, che ora
viene a consistere principalmente nell'esegesi dei grandi filosofi e si concreta nella composizione di
commenti ai testi filosofici classici. Convinzione diffusa è che la filosofia abbia già raggiunto il suo
culmine e che ora si tratti di cercare, mediante uno studio approfondito, la corretta interpretazione degli
antichi. La verità è già stata rivelata e si tratta semplicemente di riportarla in luce (questo vale per Platone
e Aristotele, ma anche per i seguaci di Pitagora e di Pirrone). Un riflesso di questa situazione si ha nel
fatto che la dossografia considera soprattutto il periodo che arriva appunto all' 80 a.C., come accade
esemplarmente nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, autore che appartiene al III d.C. Roma acquista
una posizione preminente anche nella filosofia, fatto questo determinante per la formazione del lessico
filosofico ad opera di Cicerone, poi di Seneca, ma anche di altre figure delle quali rimangono solo poche
tracce.
La filosofia adotta preferibilmente alcune forme letterarie specifiche, note anche prima, ma ora parafrasi,
manuali/compendi e commentari alle opere. Non che forme del genere non esistessero anche prima, ma
ora divengono prevalenti. In età imperiale fare filosofia significa dunque spiegare e interpretare le dottrine
dei maestri fondatori; l’esegesi dei grandi filosofi impone la pratica del commentario. È il momento in
cui, potremmo dire, la filologia diventa una componente fondamentale della filosofia. Seneca deplora il
fatto che i maestri insegnino a “disputare”, non a “vivere”, e che i discepoli frequentino i maestri non per
coltivare l’animum, ma l’ ingenium. (cf. Epist. 108,23: quae philosophia fuit, facta philologia est. La filosofia è
divenuta filologia.

Nell'ellenismo i filosofi epicurei, stoici, 'scettici', fanno filosofia in prima persona. Figure come Zenone,
Crisippo, Epicuro, comunque si giudichino le loro filosofie, fanno filosofia 'in proprio', confrontandosi
e polemizzando reciprocamente, ma propongono una propria filosofia. Le polemiche tra Stoici e
Accademici sono un dato di fatto Ora invece fare filosofia significa soprattutto assumere i classici come
termine di riferimento e commentarli. Anche il più grande filosofo di età imperiale, Plotino, che è
altamente originale, concepisce la propria filosofia come un commento a Platone nel solco di una perfetta
ortodossia. Naturalmente questo discorso non vale per tutte le correnti di pensiero. Gli stoici non si
adattarono mai a questo modo di fare filosofia; per loro la filosofia rimase una pratica di vita (pensiamo
a Epitteto, Marco Aurelio). In generale, comunque, le dottrine delle filosofie ellenistiche vengono eclissate
dal risorgere del platonismo dogmatico. Da Plotino in poi i dibattiti delle scuole ellenistiche perdono di
attualità, benché la discussione di dottrine stoiche continui ad avere un posto nei neoplatonici.
Indizio di questa situazione è l’impiego comune nella storiografia (moderna, non antica) di categorie
storiografiche coniate mediante prefissi come medio- e neo-: Medioplatonismo, Neoplatonismo e in
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subordine Neopitagorismo. Quella di Medioplatonismo, ad esempio è una categoria invalsa, ma molto
problematica e continuamente rimessa in discussione. Il termine fu coniato dal filologo tedesco Karl
Praechter (1920), e ovviamente ha senso solo in relazione al successivo Neoplatonismo. L'etichetta vuole
indicare che il platonismo di questa fase non ha ancora realizzato quella sistematizzazione definitiva del
platonismo che giungerà a compimento con Plotino e i suoi continuatori. Non c'è unità dottrinale né
istituzionale; si incontrano in questo periodo (I a.C.-II d.C.) differenti autori, a vario titolo definibili
platonici, ma difficilmente riconducibili a un minimo denominatore comune. Anche dal punto di vista
cronologico il termine iniziale è controverso (Antioco, platonismo 'stoicizzante' o Eudoro, platonismo
'pitagorizzante'). Senza entrare troppo nei dettagli, nel medioplatonismo vengono fatti rientrare autori
come Filone alessandrino, Plutarco, Albino, l'autore del Didaskalikòs (Alcinoo?), Apuleio, Numenio.
Alcuni sono antiaristotelici, altri propendono per la conciliazione tra i due grandi. Per questo alcuni hanno
proposto di abbandonare direttamente l’etichetta di “medio platonismo”.
Anche quello di Neoplatonismo è un conio moderno che risale al XVIII secolo, impiegato da storici della
filosofia intorno a Jacob Brucker, con sfumature inizialmente negative per caratterizzare l'ultima filosofia
greca in contrapposizione all'autentica filosofia di Platone. L’espressione è accuratamente evitata nella
recente Cambridge history of Philosophy in Late Antiquity, perché i platonici di questo periodo non
concepivano se stessi come neo-, ma semplicemente come platonici. Questi rilievi servono a stimolare
una certa distanza e consapevolezza critica riguardo alle semplificazioni storiografiche, ma non implicano
un loro abbandono.
Un altro passaggio cruciale si ha tra il II e il III d.C. Convenzionalmente si può fare iniziare qui la filosofia
cosiddetta "tardo antica". All'inizio del III secolo svaniscono i finanziamenti per le cattedre e solo i
platonici sopravvivono. Il platonismo rimane l'unico protagonista e incorpora Aristotele. Da Porfirio in
poi i platonici prevedono lo studio dettagliato dei commentatori aristotelici (es. di Alessandro d'Afrodisia,
II-III d.C.). Le filosofie ellenistiche lasciano definitivamente la scena.
Si tratta di un periodo sottovalutato, ma cruciale per la trasmissione di dottrine alla posterità e per la
formazione definitiva del lessico filosofico. Ricapitoliamo quali opere della filosofia antica ci sono
pervenute: quasi nulla di presocratici e sofisti, se non per tradizione indiretta, tutto Platone e quasi tutto
Aristotele, quasi nulla dei filosofi ellenistici, poi una mole enorme di opere composte tra il 200 e il 550.
Questo perché “si conservarono le opere lette e studiate nelle scuole filosofiche neoplatoniche
dell'antichità, cioè Platone e Aristotele che erano maestri riconosciuti dagli ultimi filosofi pagani e il cui
studio era prescritto dal loro curriculum scolastico. Quello che non si studiava nelle scuole alla fine
dell’antichità (ad esempio le opere dei filosofi ellenistici) andò in massima parte perduto.” (R.
Chiaradonna, Filosofia tardoantica, p. 12). Per questo motivo possediamo migliaia di pagine di autori minori.
Aristotele si è conservato grazie a una posizione 'concordista' che si impose a partire da Porfirio e
continuò nei vari commentatori neoplatonici. L’idea, già ricordata, era che Aristotele potesse essere
conciliato con Platone (per Plotino la situazione è diversa e più controversa; egli è comunque molto più
critico nei confronti di Aristotele).
Non solo i testi, ma lo stesso contenuto è stato determinato in modo decisivo dal pensiero tardo antico.
Platone e Aristotele furono letti con le lenti degli ultimi pensatori antichi. La codificazione tardo antica
costituì il retroterra su cui le tradizioni di pensiero successive latina greco bizantina araba ed ebraica (e
poi medievale) costituirono le nuove elaborazioni dottrinali
Si può fare, sempre con Chiaradonna, un esempio altamente significativo. L’Isagòge di Porfirio (233-309)
che rientra in quella tradizione centrata sulle Categoria di cui si parlava, fu tradotta da Boezio e per questo
tramite influì sul dibattito medievale sugli universali. Si tratta di uno snodo fondamentale per
comprendere, ad esempio, la dottrina trinitaria dei Padri della Chiesa.

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Tutto ciò ha avuto ripercussioni importanti anche sulla terminologia filosofica: la nostra terminologia
risale in massima parte a Platone e Aristotele con la mediazione dei latini Cicerone Seneca, di altri minori
(Plauto filosofo, e poi di autori come Mario Vittorino 281-IV d.C: e Boezio 480-525. Mentre della ricca
terminologia filosofica degli stoici, che furono decisivi innovatori nel linguaggio filosofico e autori di
molti conii, molto poco è passato nella nostra tradizione filosofica.

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