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11.8. Principio e movimento nella pacem in terris 217

distinguere tra false teorie filosofiche sulla natura, l'origine, la fine del mondo
e dell'uomo, e correnti di natura economica e sociale, culturale o politica,
anche se tali correnti hanno origine e slancio in tali teorie filosofiche. Perché
una dottrina, quando è stata elaborata e definita, non cambia più. Al contrario,
le correnti a cui si fa riferimento, quando si sviluppano in mezzo a condizioni
mutevoli, sono necessariamente soggette a continui mutamenti (n. 159).

La tesi del Papa si presenta come una deduzione dalla massima insegnata
sempre dalla Chiesa, secondo la quale occorre distinguere tra l'errore e chi
sbaglia, tra l'aspetto puramente logico dell'assenso e l'apparenza che esso ha
come atto di la persona.
Il difetto contingente di una disposizione mentale non toglie alla persona
il suo destino verso la verità e la dignità assiologica che ne deriva. Questa
dignità deriva dall'origine e dalla finalità ultraterrene dell'uomo, che nessun
fatto intramondano può cancellare e che è piuttosto indistruttibile: anche nei
dannati tale dignità sussiste.
Ma da questa massima che distingue l'errore da chi sbaglia, l'enciclica
giunge alla distinzione tra la dottrina ei movimenti che ad essa si ispirano;
descrive le dottrine come immutabili e chiuse in se stesse, mentre i movimenti
all'interno del fluire della storia sarebbero in continua fieri, e perennemente
aperti alle novità che le trasformano fino a farne i loro opposti.

Ma la legittima distinzione tra il movimento (massa di uomini con cordanti)


e l'idea che lo ispira non può essere estinta fino ad attribuire fissità alla
dottrina e flessibilità al movimento. Poiché il movimento iniziale originato
dalla dottrina non può che essere concepito come una massa di persone
concordi su di esso, non si può pensare che resti fisso senza l'esistenza di
persone con quelle idee coincidenti, né che la massa (ripiegandosi secondo
lo storico evoluzione) è lasciato senza alcun riferimento alla dottrina.
La massa si muove perché la ripensa, e la dottrina partecipa al flusso
storico in quanto si occupa delle opinioni degli uomini in movimento. La storia
della filosofia, non è forse la storia dei sistemi nel loro sviluppo e divenire?
Come si può dire che i sistemi sono fissi e si muovono solo gli uomini che li
pensano?
Sembra quindi che l'enciclica trascuri il legame dialettico sempre
pressante tra ciò che le masse pensano (sicuramente in modo meno
differenziato rispetto ai teorici) e ciò che le masse fanno senza connessione
con l'ideologia, che avrebbe solo la funzione di avviare il movimento .
La precedenza del pensiero sulla prassi è qui trascurata e dà l'impressione
che le ideologie siano figlie del movimento, piuttosto che i suoi progenitori.
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218 11. Movimenti religiosi e sociali

Certo, le ideologie risentono delle oscillazioni degli uomini che attraversano la


storia, ma la questione che rimane è se i movimenti in mutamento continuino o meno
ad ispirarsi al principio da cui sono nati.

Dopo aver separato la dottrina e il movimento per consentire ai cattolici di aderire


a quest'ultimo e mantenere delle riserve rispetto al primo, l'enciclica indica anche un
altro criterio per consentire ai cattolici di cooperare con forze politiche avverse: Del
resto, chi può negare che tali correnti, nella misura in cui si conformano ai dettami
della retta ragione e riflettono fedelmente le giuste aspirazioni dell'uomo, possono
avere elementi moralmente positivi degni di approvazione? (#159).

La tesi del Papa risponde all'antico e comune sentimento della Chiesa, già
espresso da san Paolo: Omnia autem probate (...), quod bonum est tenete (1 Ts 5, 21).
8
. Ma soprattutto, secondo le parole dell'Apostolo, non si
tratta di sperimentare (cioè di partecipare al movimento nella prassi), ma di esaminare
per discernere e aderire nella prassi a ciò che si può trovare vero positivo in movimento

Eppure il consenso e la cooperazione, che sono possibili quando gli uomini


indirizzano la volontà verso fini inferiori e contingenti, diventano impossibili quando
la indirizzano verso fini ultimi reciprocamente incompatibili.

Ora, per il cattolicesimo, tutta la vita politica è subordinata a un fine ultimo


ultraterreno, mentre per il comunismo è ordinata al mondo e ripudia ogni fine al di
fuori di esso.
Non solo ne fa a meno, come fa il liberalismo, ma lo ripudia. Nella condanna del
comunismo non vengono condannati i fini subordinati che esso persegue, ma
quell'obiettivo ultimo di assoluta sistematizzazione terrena del mondo a cui i fini
subordinati sono diretti, e incompatibili con il fine della religione. In realtà, quando
due agenti che hanno fini ultimi antitetici partecipano alla stessa opera, non c'è
cooperazione se non in senso materiale, perché le azioni sono qualificate dal fine e
qui i fini sono antitetici. L'effetto complessivo della cooperazione concorderà con la
fine di quella dei cooperatori che ha saputo prevalere. È utile osservare che quegli
9
elementi positivi che si riconoscono nel movimento sono considerati nell'enciclica
come appartenenti all'ideologia comunista, quando invece sono

8Esaminare tutto e conservare il bene


9La collaborazione tra forze antitetiche rispetto al fine ultimo fu enunciata da RON
CALLI, in qualità di Patriarca di Venezia, in un messaggio al Congresso del Partito
Socialista Italiano del 1957, parlando di comune elevazione verso gli ideali di verità,
bontà, giustizia e pace. Cfr. GREGORIO PENCO, Storia della Chiesa in Italia, Milano
1978, vol. 11, pag. 568.
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11.9. Sull'esistenza di un socialismo cristiano. Toniolo. Curci 219

principalmente i valori della religione (compresi quelli della giustizia naturale)


e acquistano il loro significato e la loro forza interna solo se riferiti al complesso
delle idee religiose.
Pertanto, non è sufficiente riconoscerli, ma è necessario riconoscerli come
parti di una verità completa e rivendicarli per religione, al fine di ripristinare la
loro totale integrità. Ma questa azione di rivendicazione (che strappa al
movimento, come non suo, ciò che in esso sembra giusto e ragionevole, e lo
restituisce alla religione) è assente nella Pacem in terris.
Piuttosto, l'enciclica enuncia il riconoscimento di valori che sono in
contrasto nel movimento comunista e nel cristianesimo, e quindi rimandano a
un valore precedente e comune che darebbe valore a entrambi.

Non è specificato nell'enciclica che cosa sia, quale sarebbe il vero e


autentico valore principale, né potrebbe essere specificato senza degradare il
valore della religione (che è il primum) come mezzo per quel primo valore
comune.
La coerenza astratta di idee logicamente legate che si sviluppano dall'una
all'altra senza possibilità di sosta è molto più forte della coerenza tattica che
gli uomini si sforzano di raggiungere tra idee che si sovrappongono, si
respingono. Così, dall'opzione dei cristiani per il marxismo, che contiene nelle
sue viscere la lotta di classe culminata nella rivoluzione, doveva scaturire una
teologia della liberazione.
Il fenomeno citato nell'epigrafe precedente, che il fine che prevale assorbe
il fine dell'altro cooperatore incompatibile con il primo, si è verificato proprio
nel passaggio dall'opzione comunista alla teologia della liberazione.

11.9. Sull'esistenza di un socialismo cristiano


tiano. Toniolo. Curci
Esiste un concetto legittimo di socialismo cristiano. Giuseppe Toniolo, in
Indirizzi e concetto sociale (disegnando non più una nuova forma di
cristianesimo, ma un nuovo ciclo di civiltà cristiana), propugnava nell'ordine
religioso un rinnovamento dell'unità e della soprannaturalità contro l'eresia e il
razionalismo; e ad esso strettamente connesso, un rinnovamento dell'ordine
sociale con la ricomposizione organica delle classi e l'integrazione del
proletariato nella società. Con l'idea dell'autentico mecenatismo e dell'autentica
fratellanza, il cattolicesimo deve sostituire completamente il socialismo marxista.
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220 11. Movimenti religiosi e sociali

Ancora più dettagliato è il pensiero del celebre padre Curci nell'opera


intitolata Dire un socialismo cristiano (1895), informato dall'idea
dell'atteggiamento sociale del cristianesimo fino ad allora solo implicito. Curci
rivendica le idee cristiane di ricchezza, che suppone una quantità condivisa di
beni, e di comunità sociale, che cerca di rendere simili tutti i membri del corpo
sociale, non in modo aritmetico ma in modo proporzionale. La sostanza della
questione può essere espressa nel verso oraziano: Cur indiget indignus quisquam te divite?
10
(Sab. II, II, 103) . Aqu´ÿ se mantiente el concepto de justicia, pero contra
este indignus los ricos hacen valer la calumnia profetizada por Amos 4, l: fat
11
cows that make calumnia need you. Y Curci capta agudamente la delicatezza
especial´ÿsima de la riforma sociale contemplada en sentido cat´olico.
La riforma deve eliminare l'ingiustizia consumata contro una parte del corpo
sociale senza fomentare l'odio contro le altre parti. Se questo odio viene
alimentato e la giustizia cessa di essere frutto dell'amore sociale, diventando
invece una semplice contro-ingiustizia, ogni azione sociale viene corrotta.

Come si vede, sia questo socialismo cristiano di Curci che quello di Toniolo
rifiutano il principio marxista della lotta di classe e cercano una riforma sociale
che non sia il risultato di una lotta violenta; e neppure primariamente opera
delle leggi civili, ma frutto dello sviluppo morale del cristianesimo.
Due articoli essenziali del sistema cattolico devono essere mantenuti saldi.
Primo: la fine del genere umano è soprannaturale; in questo mondo si serve il
valore assoluto, nell'altro se ne gode. Secondo: l'opera dell'uomo non può
prevaricare contro la giustizia, davanti alla quale nessun fatto e nessuna utilità
possono prevalere.

11.10. La dottrina di padre Montuclard e la


desostanza della Chiesa
Questi due articoli sono soppiantati nella prassi e nella teoria dei movimenti
cristiani che optano per il marxismo. Per la sua assoluta superiorità (Dies
seitigkeit), il movimento è costretto a situare lo scopo religioso ultraterreno al
di sotto della liberazione economica e dell'eudemonismo mondano. Il processo
si svolge in tre fasi. In primo luogo, la fine della giustizia mondana è equiparata
alla fine ultraterrena dell'uomo, lasciando i due motivi alla pari. Poi scompaiono,
sollevando l'estremità terrena e il parcheggio

10Perché ci sono quelli che giacciono nell'indigenza senza loro colpa, mentre tu sei ricco?
11Ascoltate queste parole, vacche di Bashan, che abitate sul monte Samaria; cosa opprimi
gli indifesi e calpesta i poveri e di' ai tuoi padroni: portate e berremo
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11.10. La dottrina di padre Montuclard e la desostanza della Chiesa 221

il soprannaturale. Infine si fa prevalere la visione mondana, abbandonando


lo specifico del cristianesimo, confutato come falsa opinione o relegato
nell'orbita di opinioni soggettive e irrilevanti.
A questo scopo è importante per il suo significato prodromico, 12 il libro
intitolato Les ´ev´enements et la foi 1940-1952, espressione del movimento
Jeunesse de l´Eglise del domenicano Montuclard, proibito dal Sant'Uffizio con
decreto del 16 marzo 1953. Contro il libro avevano già diffidato il
I vescovi francesi erano cattolici, anche se il decreto romano di condanna
del comunismo del 1949 era rimasto lettera morta 13 . Successivamente è apparso in
nell'OR del 19 febbraio 1954, denuncia dei movimenti cattolici di opzione
marxista. La dottrina delineata nel libro attacca la dottrina
della Chiesa su più punti, a cui si aggiunge la denigrazione della Chiesa
storia sotto la maschera di uno zelo amaro e aspro.
´ Il primo attacco alla verità cattolica è nel modo di concepire la fede.
Questo è considerato come un sentimento di comunione con Dio: come a
esperienza del divino, separata da ogni giustificazione razionale e da tutto
espressione in vere formule teoriche.
La seconda è una risonanza delle eresie medievali di pura spiritualità.
La pag. Montuclard ritiene che lo spirituale e il temporale siano
eterogeneo, e che lo spirituale non ha alcuna influenza sulle realtà temporali.
Ma qui si applica la dottrina dei due ordini indipendenti
modo che distrugge l'essenza stessa della Chiesa.
In realtà, delle due liberazioni, la relativa liberazione temporanea (come
si è realizzata con l'abolizione della schiavitù e si sta realizzando con la
soppressione della guerra) e liberazione spirituale, la prima è completamente
riferito al comunismo, e il secondo non può che seguire il primo:
D'ora innanzi gli uomini chiederanno alla scienza, all'azione delle masse,
alla tecnica, e all'organizzazione sociale, realizzazione su scala molto più ampia.
più grande di quella liberazione umana di cui la Chiesa si era preoccupata nel
passato solo per addizione (p. 56). La missione della Chiesa nella vita presente

12 Questo paragrafo sulla dottrina di p. MONTUCLARD ci esonera dal fare un'analisi


ampio documento promulgato nel 1984 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede
su alcuni punti della cosiddetta teologia della liberazione. I principi di una tale teologia
sono identici a quelli di p. Montuclard, che il Sant'Uffizio aveva condannato già da molti anni
Prima. L'intuizione dell'antico Sant'Uffizio derivava da Prometeo, non da Epimeteo: chi
ha il significato dei principi ha ugualmente il significato degli sviluppi futuri di
una dottrina.
13L'ami du clerg´e, una rivista ampiamente diffusa tra il clero di Francia, rispondendo a coloro che
ha chiesto loro perché il decreto non è stato applicato in Francia, ha citato le prescrizioni di
i vescovi, che esprimono una formale volontà di applicare e vedere applicata ovunque
il decreto romano; ma non poteva negare il fatto generale e cercava di ridurlo ad alcuni
negligenza (op. cit., 1953, p. 267).
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222 11. Movimenti religiosi e sociali

svanisce: gli uomini non saranno più interessati alla Chiesa se non dal momento
in cui avranno conquistato l'umano. Pertanto, il cristianesimo è storicamente
svuotato di possibilità, poiché ciò che può in virtù della fede non ha radice in
sé, e tutte le sue possibilità dipendono dalla precedente opera di liberazione
del potere umano, che appartiene solo al comunismo.
Il cristianesimo, primum e incondizionato, diventa qualcosa di secondario
e condizionato. Non solo le si impedisce di contribuire indirettamente alla
liberazione umana, ma è considerata l'effetto della liberazione umana
precedentemente operata dal comunismo. La liberazione spirituale (il regno di
Dio) attende di ricevere il proprio essere da un cambiamento temporaneo, o
almeno totalmente umano.
Inutile sottolineare come qui sia in gioco l'errore primario del comunismo:
esso destina alcuni uomini alla liberazione (quelli che vivranno anche quando
verrà la temporanea liberazione) sacrificando le generazioni presenti a quelle
future; come se non tutti gli uomini, ma solo alcuni, fossero destinati alla loro
fine.
In secondo luogo, la vita futura ultraterrena, irraggiungibile prima che il
paradiso fosse stabilito sulla terra, lascia la Chiesa inanimata e inerte nel
presente della storia. Di più: se la Chiesa, in forza della sua essenza
soprannaturale e ucronica, esercitasse nel nostro tempo il suo ufficio di
predicazione della verità, di appello all'aldilà e di costruzione dell'uomo nuovo,
il destino dell'uomo sarebbe ostacolato.
Poiché la perfezione umana è la condizione della liberazione spirituale,
subordinare o semplicemente coordinare il temporale allo spirituale è qualcosa
di rovinoso per il genere umano. La pag. Montuclard lo professa senza
ambiguità: No, i lavoratori cristiani non ignorano il cristianesimo. Quante volte
non hanno ascoltato il messaggio cristiano! Ma quel messaggio sembrava loro
una bufala. E ora, che si parli loro dell'inferno, della rassegnazione, della
Chiesa, o di Dio, sanno che in realtà tutto questo serve solo a strappare loro
dalle mani gli strumenti della propria liberazione. Qui viene adottato il pensiero
dei giacobini, secondo i quali la religione può apparire allo spirito spassionato
come un'impostura il cui scopo è disarmare la giustizia. C'è anche la ragione,
incompatibile con il cattolicesimo, per cui il regno previsto dal Vangelo è
l'insediamento dell'uomo nella pienezza naturale dell'uomo, e non l'insediamento
di una nuova creatura.
E l'inferenza pratica di una tale assiologia è l'assoluta inefficacia del
cristianesimo nel mondo attuale e il suo obbligo di ritirarsi, di contrarsi, di
tacere davanti all'attesa della liberazione temporanea: l'unica fra tutte da cui
possa nascere la liberazione spirituale; ma perché, se l'uomo avrebbe poi
raggiunto la sua perfezione umana? Le parole di Jeunesse de l'Eglise sono
commoventi: Cosa vuoi che facciamo allora? non c'è per noi
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11.11. Passaggio dall'opzione marxista alla teologia della liberazione 223

più che un possibile e vero atteggiamento: tacere, tacere a lungo, tacere per
anni e anni, e partecipare a tutta la vita, a tutte le lotte, a tutta la cultura latente
di questo popolo lavoratore che, senza volerlo, abbiamo così spesso confuso
(pp. 59-60).

11.11. Passaggio dall'opzione marxista alla


teologia della liberazione
Passo dall'opzione marxista alla teologia della liberazione. Lui
Nunzio Zacchi. Il documento dei diciassette vescovi
Questo svuotamento o inedimento del cristianesimo professato da
Montuclard lo lega chiaramente agli ideologi del marxismo. Distaccati dalla
necessità di parlare con parsimonia, come spesso fanno i politici, ed essendo
più forti nella facoltà logica, professano come assioma l'inconciliabilità del
marxismo e del cristianesimo. Nella grande Storia della filosofia, da cui uscì 14
, il sesto volume nel 1967 in traduzione tedesca, l'uomo è definito come
Naturwesen (pura naturalezza), lo sviluppo del pensiero è contemplato come
evoluzione verso l'ateismo, l'islamismo e l'umanesimo radicale, e la corrente
l'approccio dialettico al cattolicesimo si spiega come effetto dell'inclinazione
della fede, che cede alla scienza e alla mentalità moderna. Il dialogo è un
momento puramente tattico che non può prevedere concessioni dottrinali. Ma
di fronte alla fermezza logica dei comunisti, sono molti nella cosiddetta Gauche
du Christ che ammettono il carattere positivo della lotta di classe e la sua
compatibilità con la religione, o addirittura riconoscono nel comunismo una
natura interna intrinsecamente cristiana. Non mi soffermo sulle dichiarazioni
del nunzio monsignor Zacchi, che dopo aver visitato Cuba ha affermato che il
regime comunista di Fidel Castro non è ideologicamente cristiano, ma lo è
eticamente; Come se si potesse prendere per cristiano, a tutti gli effetti, un
sistema in cui l'idea di Dio è un'illusione fatale per il genere umano! Come se il
cristianesimo non fosse un'idea, e da un'idea non cristiana potesse germogliare
un'etica cristiana! Di maggiore attualità è il documento firmato da diciassette
vescovi di tutto il mondo e pubblicato il 31 agosto 1967 da T'emoignage
chr'etien. Il documento fa il salto dal riconoscimento positivo del comunismo
alla teologia della liberazione.

Secondo il vescovo Helder Camara (primo firmatario e curatore del


documento) la Chiesa non condanna, ma anzi accetta e addirittura promuove le rivoluzioni

14Storia della filosofia, edita dall'Accademia delle Scienze


URSS, Berlino 1967.
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224 11. Movimenti religiosi e sociali

che servono la giustizia. Certamente questa proposizione appartiene al sistema


cattolico, ed è stata portata alla sua perfezione teorica dai teologi spagnoli del
XVI secolo, ribelli al dispotismo reale; ma nella formulazione di Camara diventa
un errore, perché attribuisce alla classe che si ribella il giudizio sulla giustizia
della causa, mentre la dottrina corretta richiede il consenso almeno implicito
del corpo sociale.
Vanno inoltre sperimentati i mezzi nonviolenti, il compromesso, il consenso
e la cooperazione, raccomandati a questo scopo dalla sociologia cattolica. Il
documento, però, fa della rivoluzione un mezzo legittimo e idoneo di per sé
alla riforma sociale. Infine, ponendo sotto lo stesso termine due concetti
disparati, afferma che il Vangelo è un principio consustanziale alla rivoluzione
marxista per la ragione che il Vangelo è sempre stato, visibilmente o
invisibilmente, nella Chiesa o fuori della Chiesa, il più potente fermento di
profonde mutazioni dell'Umanità da venti secoli.
Veramente cr´eve les yeux, questo passaggio illegittimo dalla trasformazione
morale operata dal cristianesimo all'agitazione rivoluzionaria, come pure
l'infondatezza della causalità universale attribuita al cristianesimo in tutte le
rivoluzioni del genere umano. Vi entrerebbe non solo la Rivoluzione francese
(nella quale, con una diagnosi superficiale o quantomeno discutibile, il vescovo
Camara vede un'impronta cristiana), ma anche la rivoluzione religiosa dell'Islam
15
e la Rivoluzione russa, manifestamente atea. La mancanza di un criterio solido
fa vedere tutto in tutto e fa perdere la distinzione tra alcuni fatti e altri.
Il documento poi attacca la complicità della Chiesa con denaro e ricchezze
ingiuste, condanna gli interessi sul prestito, chiede che la giustizia sociale non
sia concessa ai poveri, ma strappata dai poveri stessi ai poveri ricchi, e
sostituisce apertamente la guerra sociale per una trasformazione armoniosa.

Poiché non vede realizzati i valori cristiani nel cristianesimo, ma nel


comunismo, il documento conclude: La Chiesa non può che rallegrarsi nel
vedere apparire nell'Umanità un sistema sociale meno distante dalla morale
evangelica. Lungi dal sfigurare la socializzazione, sappiamo aderirvi con gioia
come forma di vita sociale più adatta al nostro tempo e più conforme al Vangelo.

Il documento dei Diciassette è nettamente antitetico alla posizione che Pio


XII delineava nel Natale del 1957 dichiarando impossibile non solo la
convergenza, ma anche il dialogo con il comunismo; e questo perché non ci
può essere ragionamento se non c'è linguaggio comune, poiché in questo
caso l'antitesi si riferisce a valori assoluti.

15Basti ricordare la famosa lettera di LENIN a Maximo Gorky, in cui c'è la religione
chiamato un'indicibile infamia e la più disgustosa delle malattie.
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11.12. Sentenza sul documento dei diciassette vescovi 225

Il Papa ha poi condannato l'atteggiamento che ormai i Diciassette hanno


fatto proprio: «Con profondo dolore dobbiamo lamentare l'appoggio dato da
alcuni cattolici, ecclesiastici e laici, alla tattica della confusione. Come non si
vede ancora che questo è lo scopo di tutta quella insincera agitazione nascosta
sotto i nomi di ÿÿColloquiaÿÿ e ÿÿEncountersÿÿ? Qual è lo scopo, dal nostro
punto di vista, di ragionare senza avere un linguaggio comune, e come è
possibile ritrovarsi se le strade divergono, se una delle parti rifiuta e ignora i
valori assoluti comuni? (RI, 1957, p. 17).

11.12. Sentenza sul documento dei dieci


sette vescovi
La conclusione del documento esclude equivoci, ma il suo punto di partenza
è falso. Sia come sistema di pensiero sia come messa in pratica di quel
pensiero, sia perché l'hanno ammesso i suoi ideologi sia perché l'hanno
dichiarato tutti i Pontefici, il comunismo non è un sistema sociale che i vescovi
possano applaudire a una delle possibili forme, ma un sistema assiologico
completo che è intrinsecamente ripugnante al sistema cattolico. La riduzione
del comunismo a semplice sistema sociale (come in quelli del Paraguay) ne
16
passaggio dall'opzione toglie il pungiglione, ma ne snatura l'essenza. Il
marxista alla teologia della liberazione è reso possibile perché ai diciassette
vescovi manca l'essenza del comunismo e l'essenza stessa del cristianesimo.
E se esternamente il plauso alla lotta di classe mal si sposa con le condanne
del Magistero (e questa discrepanza pone anche un problema di coerenza per
la gerarchia), internamente il documento si discosta dal pensiero cattolico. . A
causa di una teodicea difettosa, tace il principio escatologico della religione,
per cui la terra è fatta per il cielo e la nozione integrale del destino umano può
essere compresa solo dalla prospettiva ultraterrena. Inoltre, a causa di un'errata
visione storica, il documento tace il principio dell'ingiustizia sociale, che la
religione individua nel disordine morale e quindi è distribuita tra tutte le parti
del corpo sociale, non potendo attribuire a quella sola parte che gode della
felicità mondana .

Insomma, il documento manca di pacato giudizio, poiché i vescovi si


schierano solo da una parte, ad eccezione dell'intero movimento operaio
cattolico rifiutato dai ricchi; e, inoltre, manca la superiore tranquillità dello
spirito religioso, che, illuminando la storia, scopre in essa una direzione che

16(N. del T.) In spagnolo nell'originale.


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226 11. Movimenti religiosi e sociali

va oltre la storia. Nel documento non si trovano né l'Alfa né l'Omega che


governano la teologia della storia. In realtà qui non c'è una teologia della storia,
ma una filosofia della Diesseitigkeit che conosce solo la liberazione dalla
miseria mondana e solo l'attesa dell'autonoma perfezione dell'uomo.

11.13. Maggiori informazioni sulle opzioni cristiane.


Mons. fragoso
La preterizione dell'opera sociale del cattolicesimo e della sua dottrina
sociale (separando il documento dei diciassette vescovi dall'insegnamento
della Chiesa) colpisce anche in altri documenti episcopali in cui la liberazione
prodotta dal cristianesimo risulta essere cronologicamente o assiologicamente
posteriore a la lotta per la giustizia nel mondo. È evidente che un tale rinvio
non solo depone e degrada il cristianesimo, ma lo distrugge, poiché la religione
è intrinsecamente un primum e da quel primato non può discendere senza
perire. Mons. Antonio Fragoso, Vescovo di Crate'us (Brasile), insegna
apertamente che la fine soprannaturale della Chiesa deve essere rimandata alla
lotta per la giustizia mondana. In un'intervista concessa all'ICI, n. 311 (1968),
pag. 4 e segg., il vescovo nega il saltus tra vita mondana e vita eterna, tra natura
e soprannaturale; Il disegno di Dio è (dice) che questo mondo sia giusto,
fraterno e felice; il Regno di Dio si realizza nella vita presente in modo tale che
dopo la Parusia il mondo continuerà senza catastrofe nel Regno eterno,
essendosi già realizzati in quel momento i nuovi cieli e la nuova terra. Le
17
dottrine del chiliasmo, sia quelle antiche che quelle minori (l'ultima grande
sistematizzazione è del Campanella), si fondavano su una legittima pretesa
teologica: il cristianesimo è un sistema completo, e Cristo, Ragione eterna
incarnata, deve produrre anche la perfezione temporale dell'uomo e non solo
spirituale e soprannaturale, che lo lascerebbe in minoranza rispetto alle cose
del mondo. Il millenarismo era chiaro sulla distinzione tra cielo e terra, tra storia
ed eternità; e non riteneva che la perfezione mondana, la civiltà, fosse l'inizio
del Regno Qui, tuttavia, la nuova terra e i nuovi cieli non trascendono, ma
18
.
piuttosto continuano la Creazione; e così la perfezione del mondo diventa sua

17 È superfluo osservare che questa parusia destinata a compiersi in un mondo già maturo
nella perfezione si contrappone ad litteram alla parusia descritta nella Scrittura, nella quale
concorreranno errori, fughe, odi e disastri.
18Ver ROMANO AMERIO, Il sistema teologico di Tommaso Campanella, Mil´an-N´apoles
1972, cap. VII, pp. 272 e ss.
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11.13. Maggiori informazioni sulle opzioni cristiane. Vescovo Fragoso 227

finalità, la subordinazione di tutto a Dio scompare, e la Chiesa si confonde


con l'organizzazione del genere umano.
Eclissato l'ordine trascendente, i fini terreni possono essere perseguiti
con il carattere assoluto proprio dei fini ultimi, e la sottomissione alla legge,
insieme ai doveri dell'obbedienza e della fortezza paziente, si estingue per il
diritto alla felicità in questo mondo. La violenza diventa il più alto dovere
cristiano, immediatamente connesso con la sua responsabilità: alla coscienza
adulta viene riconosciuta la responsabilità e il diritto di scegliere la violenza.
Tutti i problemi che in una corretta concezione appartengono alla politica
diventano problemi religiosi, e la Chiesa deve farsi carico del problema della
fame, della siccità, dell'igiene, della regolazione demografica e dello sviluppo,
come oggi si dice sinteticamente.
Secondo Mons. Camara (conferenza tenuta a Parigi il 25 aprile 1968, ICI, n.
312), per aver fallito in questa funzione di sviluppo umano, le accuse di Marx ´
contro la Chiesa non sono senza ragione, perché essa offre ai poveri della
terra un cristianesimo passivo, alienato e alienante, veramente oppio dei
popoli. Di conseguenza, il dovere della religione diventa la costruzione della
civitas hominis e il rapporto tra civiltà e religione viene adulterato, rendendo
le due una cosa sola.
Interessante a questo scopo è l'affermazione con cui Mons. Fragoso
applica i suoi principi ecclesiologici a un caso particolare, articolando
diversamente le missioni di un vescovo cattolico.
In un'intervista pubblicata da Francois de Combret nel libro Las tres caras
del Brasil (Plaza y Jan´es, 2a ed., Barcellona 1974, cap. VI), e dopo aver
stabilito che il Vangelo va vissuto prima di essere catturato, discute la propria
azione pastorale con i contadini della sua provincia e fa la seguente
affermazione: Se i contadini lavorano insieme, si uniscono e si aiutano a
vicenda. Se acquisiscono il senso della solidarietà, si renderanno conto che
ciò che credono essere una fatalità non è altro che un'ingiustizia o un difetto
di organizzazione. Vivendo il Vangelo, perderanno la loro religiosità passiva.
Dopo, solo dopo, ti parlerò di Dio (p. 167).
Sembra che il Vescovo di Crateus non conoscesse la dottrina del male e
attribuisse siccità, alluvioni, terremoti e gelate all'ingiustizia dei ricchi ea un
difetto di organizzazione. Orbene, la mancanza di organizzazione (cioè il
difetto della tecnica) non costituisce un'ingiustizia, ma una deficienza inerente
alla finitezza.
Né il Vescovo di Crate'us dà alcuna indicazione di spirito riflessivo quando
suppone che si possa vivere il Vangelo prima di conoscere Dio. E avendo obiettato al
suo interlocutore se in questa trasformazione di mentalità il suo popolo non corre il
rischio di perdere la fiducia, risponde in questi termini: È un rischio, e ne sono
consapevole. Ma il mio lavoro può portare a tre tipi di risultati.
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228 11. Movimenti religiosi e sociali

Due: il primo, non modificare affatto la situazione attuale, e allora riterrei che
avrei completamente fallito nella mia missione; il secondo, educare i contadini
trasformando la loro fede, e questo è il successo, e il terzo, educare i contadini,
ma far loro perdere la fede, il che sarebbe solo un semi-successo (p 168).

11.14. Esame della dottrina di mons. Frago


COSÌ

Qui si manifesta chiaramente il passaggio dall'opzione marxista alla


negazione della religione. In primo luogo, Mons. Fragoso confonde i due ordini,
assegnando alla Chiesa la promozione di un certo ordine sociale, ma non come
missione indiretta e consecutiva, bensì come missione diretta e primaria.
Misura il successo del proprio ministero di vescovo e sacerdote in termini di tale trionfo.
In secondo luogo, considera un successo, anche se parziale, far perdere la
fede al suo popolo, se questa perdita è compensata dalla consapevolezza: cioè
dalla conversione dei popoli all'ideale della civitas hominis.
´
Questo è quindi un valore positivo anche al di fuori e contro la religione.
In terzo luogo, come si può avere una coscienza autentica, se non si ha almeno
una conoscenza confusa di Dio? Invano Mons si riserva
Fragoso la predicazione di Dio ai suoi popoli dopo la costituzione della civitas
hominis. Insomma, nessuna delle operazioni assegnategli dalla Chiesa si
riconosce nelle operazioni riservate al vescovo dal vescovo Fragoso: insegnare
le verità della fede, santificare con i sacramenti, governare e pascere (Lumen
gentium 24-25). Al contrario, l'ordine terreno diventa oggetto proprio e primario
della responsabilità pastorale; e se il popolo perde la fede, attraverso la quale
entra nella via della salvezza (Inf 11, 30), per mons. Fragoso la missione del
vescovo non fallisce del tutto, ma solo in parte, purché realizzi la missione
civilizzatrice.
Possiamo concludere aggiungendo che, sebbene i diciassette vescovi
siano solo una frazione dell'Episcopato, la singolarità della dottrina contenuta
nel documento nell'esercizio della loro funzione ministeriale, il fatto che non
furono nominatim respinti dalla Santa Sede, e infine l'ampiezza di consensi che
suscitò, conferiscono al documento un carattere importante come indice della
debolezza dottrinale dell'episcopato cattolico e del ritiro dell'autorità. Vedere
§§6.8 e 6.9.
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11.15. Sostiene la dottrina dei diciassette vescovi 229

11.15. Sostiene la dottrina dei diciassette


vescovi
Se abbiamo aderito anche in questo capitolo al criterio metodico di appoggiare la
nostra analisi solo sugli atti della gerarchia, non tralasceremo
sottolineare che questa concezione del tutto marxista dello scopo del mondo
o comunque totalmente terrena, è condivisa da non pochi vescovi,
19
che hanno aderito al documento anche se non lo hanno firmato. Lo stesso è
professato da importanti movimenti del clero e dei laici. Gli esempi sono: Terzo
mondo in Brasile; quello di Padre Camilo Torres, ridotto allo stato secolare e
che è morto come parte di gruppi di guerriglia colombiani, quando stava per finire un
soldato ferito; quello di padre Laín, anche in
Colombia; e quella di padre Joseph Comblin in Cile, per il quale la religione è
arte totalmente ed essenzialmente politica, anzi arte bellica: occorrerebbe suscitare
autentiche vocazioni politiche per suscitare gruppi decisi a tentare
la presa del potere. È necessario studiare la scienza del potere e l'arte del suo
20
conquista
Che il cristianesimo porti necessariamente al marxismo lo è anche
la tesi dell'associazione universitaria Pax romana, che nel suo bollettino di maggio
dal 1967, pag. 26, dichiarava: Nonostante le dichiarazioni pontificie, per
trent'anni cristianesimo e socialismo sono pienamente compatibili. in questi
parole, non meno notevole è l'insolente impugnazione dell'autorità che
l'errore dottrinale 21 .

19Insegna il vescovo di Cuernavaca, in polemica con l'arcivescovo di Città del Messico


che nella varietà dialettica del pensiero marxista si può benissimo essere fedeli a
Gesù Cristo e marxisti, e che la critica marxista della religione ha contribuito a liberare il
Cristianesimo di ideologia borghese (ICI, n. 577, p. 54, 15 agosto 1982).
20Nota al documento base preparatorio della II Conferenza del CELAM,
Recife 1965.
21E nonostante le condanne di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, la teologia della liberazione
continua ad essere predicato sui pulpiti e nei mass media.
Così, ad esempio, nella rubrica domenicale La fede oggi, di cui è responsabile la Conferenza
episcopale italiana e il cui consulente teologico è Claudio Sorgi, del 29 agosto,
1982 un prete sudamericano sosteneva che il Vangelo non condanna la violenza e quello
l'interpretazione rivoluzionaria del Vangelo è l'unica vera interpretazione.
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230 11. Movimenti religiosi e sociali


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Cap'itulo 12
La scuola

12.1. La scuola nella Chiesa postconciliare


Se dall'opzione per il comunismo o per la rivoluzione si passa al
catechesi, la ragione che accomuna i due argomenti è la stessa che governa l'insieme
Analisi di questo libro: l'accomodamento della Chiesa allo spirito moderno. IL
L'azione educativa della Chiesa si esercita in un triplice modo. Primo, quindi
diretta: come catechesi nell'orbita della Chiesa indipendentemente
della società civile, in virtù di un diritto divino. In secondo luogo, indirettamente:
nell'ambito della società civile attraverso accordi stipulati con il
Stato, essendo l'opera educativa, sotto certi aspetti, materia mista. Terzo zero,
indirettamente: con la creazione di scuole cattoliche in cui il
L'intero insegnamento è informato dalla religione.
In tutti questi modi l'opera educativa della Chiesa è stata molto ampia,
anche se non sempre è stato fruttuoso. L'educazione è un'operazione delicata
sulla libertà umana, ei suoi effetti non sono determinati, come quelli
delle forze fisiche. Mentre all'interno della scuola cattolica si registrano
splendidi successi, si ottengono anche risultati paradossalmente negativi. NO
si può dimenticare che l'intera generazione giacobina è uscita dalle scuole
cattoliche. Fino alla seconda guerra mondiale, alcuni paesi come la Germania l'avevano fatto
scuole pubbliche differenziate per denominazioni; altri, come il Canton Ticino
(Svizzera), ebbero scuole pubbliche di ispirazione agnostica: accolsero le
la religione nella ratio studiorum come educazione costitutiva e obbligatoria, ma
hanno concesso la loro dispensa in dono al principio costituzionale della libertà
di coscienza; Infine, altri, come la Spagna, hanno integrato l'insegnamento
religioso nella pedagogia come parte eminente della coscienza nazionale e il
tradizione
´ culturale del paese.
Quest'ultimo le rendeva un obbligo imperdonabile , considerazione del peccato

231
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232 12. La scuola

alle intime convinzioni degli studenti. Era un residuo dei sistemi politici adottati
dalle monarchie assolute, che, oltre ai doveri civili, incorporavano i doveri
religiosi negli obblighi degli studenti.
Spesso questi sistemi toglievano alla linea del dovere quell'elemento di libertà
che porta con sé il valore morale della condotta. Nella dichiarazione
Gravissimum educationis, il Vaticano II distingue e ammette due tipi di scuole.

Le prime sono le scuole pubbliche istituite e rette dallo Stato: la loro finalità
generica è lo sviluppo intellettuale, la trasmissione dei beni culturali e la
preparazione professionale (n. 5). Il suo principio unificatore (imposto, come si
afferma al n. 6, dal pluralismo vigente in molte nazioni) consiste nel fare a meno
della religione.
Non si nota in questo passo della Dichiarazione che il principio unificatore
dell'educazione deve essere di ordine superiore al rispetto del pluralismo, e per
tale disattenzione il n. 6 contrasta con la definizione del secondo tipo di scuola,
appunto quella cattolica. Il fine della scuola cattolica comprende i fini assegnati
alla scuola pubblica, ma va oltre e vola più in alto di essi, perché aiuta gli
adolescenti affinché nello sviluppo della propria persona crescano al tempo
stesso secondo la nuova creatura che essi sono state fatte dal battesimo, e
ordina ultimamente tutta la cultura umana secondo il messaggio della salvezza,
perché la conoscenza che gli studenti saranno illuminati dalla fede la
acquisiscano dal mondo, dalla vita e dall'uomo (n. 8).

Di conseguenza, si ammette un valore positivo nell'educazione che fa a


meno dei valori religiosi dell'uomo; ma si rivendica anche il diritto della Chiesa
di sviluppare l'opera educativa con proprie scuole. Tuttavia, secondo il Concilio,
il diritto della Chiesa nella società civile si fonda su un principio della società
civile, quello della libertà, che eguaglia tutte le dottrine.

12.2. Bisogno relativo della scuola cattolica

L'esigenza della scuola cattolica è evidenziata da Paolo VI nel discorso del


30 dicembre 1969, ma come un'esigenza condizionale che non scaturisce dalla
natura assiologica propria della Chiesa. Dice il Papa: La scuola cattolica è
necessaria per chi vuole una formazione coerente e completa; è necessaria
come esperienza complementare nel contesto della società moderna; è
necessario dove mancano altre scuole; è necessario anche per l'uso interno
della Chiesa, perché la Chiesa non sia pregiudicata nello sforzo e nella capacità
di esercitare i suoi fondamentali
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12.3. Il documento del 16 ottobre 1982 233

ministero, quello dell'insegnamento.


Come si evince dai termini utilizzati, la scuola cattolica è a
forma supererogatoria di educazione: risponde all'esigenza del perfettibile e
del perfetto, ma non propriamente a quella dei comuni cristiani, che possono
formarsi senza di essa. Alla scuola cattolica il Papa assegna
di per sé solo un ufficio di integrazione e complementarità rispetto alla scuola
statale, che si suppone ideale per dare alla persona un
completo sviluppo mentale e morale 1 .
Ora, se dal contesto si deve intendere che la società moderna a cui si
riferisce il Pontefice è la struttura pluralistica, allora
(come abbiamo detto sopra) la scuola cattolica avrebbe come giustificazione la sua
proprio pluralismo di riconoscimento e sussisterebbe solo per consentire
pluralismo.

12.3. Il documento del 16 ottobre 1982


2

Questo documento, destinato a determinare la missione dei laici cattolici


che insegnano nella scuola statale, porta l'impronta della nuova pedagogia:
ammette l'educazione come autoeducazione (n. 21), loda la
progresso delle istituzioni nel mondo contemporaneo (n. 3 e 4), riconosce
nella scuola una struttura essenzialmente dialettica (nn. 49 e 50), e non fa
riferimento all'autorità del maestro. Ma il progetto generale del documento
soffre di una difficoltà maggiore. Nel n. 47 prevede che nella scuola pubblica
ogni educatore insegna il suo insegnamento, espone i suoi criteri e presenta come
positivi certi valori secondo la loro concezione dell'uomo o di
la sua ideologia. L'affermazione non risponde al reale stato della scuola
pubblica. In molti paesi l'insegnante è obbligato a professare e trasmettere a
ideologia particolare con l'esclusione di qualsiasi altra e spesso impegnativa
dottrina espressamente cristiana. In molti altri paesi è prescritto
l'educatore della scuola pubblica a fare a meno delle proprie convinzioni
religiose e filosofiche nel suo lavoro, e rispettare quelle degli studenti. all'azione
formazione dell'insegnante, si aggiunge come limite l'obbligo di rispettare le
convinzioni dello studente. La forza morale della scuola (impossibile non farlo

1Il 10 aprile 1968, alla televisione della Svizzera italiana, il card.


BENNO GUT se la Chiesa debba ancora mantenere le scuole cattoliche. La risposta era quella
quello dipende dalle circostanze, e quello dove c'è una buona scuola pubblica non fa
manca quello cattolico. Il cardinale aggiunse che tuttavia il Papa desiderava comunque il
esistenza delle scuole cattoliche.
2Per ragioni tipografiche abbiamo abbreviato il titolo di questa sezione, che è completo: Il
Documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica del 16 ottobre 1982
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234 12. La scuola

avere) si può dedurre solo dall'insieme delle massime che informano la società
civile, che si riassumono nei valori dell'etica naturale: fare il bene, rispettare il
prossimo, reprimere l'egoismo, coltivare la benevolenza universale, essere
sinceri, cooperare per il bene comune , o venerare e onorare la patria. Tuttavia,
questa condotta era possibile solo quando gli Stati non avessero abiurato le
basi della giustizia naturale su cui gli uomini concordavano (§§20.6-22.1), né
avessero adottato il principio dell'indipendenza della persona, derivato dal
principio del pirronismo e autonomia senza ortonomia (§§15.2-15.3).

Fino a tempi recenti, la scuola pubblica costringeva gli insegnanti a


lasciare andare le loro opinioni personali sulla soglia, ea plasmare il loro lavoro
educativo sul sensus communis della moralità naturale. 3 .
Questa concezione è parziale, ma cattolica: la scuola eleva gli animi al di
sopra delle passioni (che dividono e lacerano) e li immerge in una luce in cui
insegnanti e studenti scoprono al di sopra del loro dialogo il Logos, più
importante del dialogo; e in quel sentimento percepiscono la loro vera
fratellanza e la profonda unità della loro natura.
Il documento del card. Baum abbandona questa pedagogia, che si fonda
sulla dottrina che distingue l'ordine naturale da quello soprannaturale: passa
dalla libertà dell'insegnamento, cioè dalla pluralità delle scuole omogenee nel
proprio ambito, alla libertà degli insegnanti all'interno portata di ciascuna scuola.
Lo dice espressamente: la scuola consiste in un rapporto tra le persone,
l'insegnante e lo studente.
Al contrario, la Chiesa ha detto che si trattava di un rapporto di entrambi
con il mondo dei valori. Non è il maestro che il discepolo deve conoscere, ma
sia il mondo dei valori, sia verso di lui dirigono congiuntamente i loro occhi.
Ma proprio come nella liturgia riformata il volto dell'uomo si rivolge al volto
dell'uomo, così è nella pedagogia riformata. Non entro più nell'osservare che il
pluralismo, inteso come diversità di insegnamenti all'interno della stessa
scuola pubblica, offende la libertà. Sarebbe necessario che le famiglie che
scelgono una scuola pubblica possano scegliere gli insegnanti. La scuola
diventa così luogo del dubbio, della contraddizione, dell'annullamento
dottrinale: scompare l'essenza stessa dell'educazione, che è l'unità del sapere.

3 Tra il 1898 e il 1930 i docenti del Liceo cantonale di Lugano erano esuli
politici, italiani galantemente militanti, segnati da veementi passioni ideali e anche
da sofferenze ingiuste: fuggivano dall'ira altrui e dalla propria. Tuttavia quegli
uomini, quando poi entrarono in classe, seppero adagiarsi sulla riva di quel mare
in tempesta da cui provenivano tutte le loro alte e furiose passioni. Nessuno dei
discepoli si sentì mai oltraggiato, ma nemmeno alluso con un'ombra di disprezzo
per le loro opinioni religiose e civili.
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12.4. Rifiuto cattolico della scuola cattolica. L'arcivescovo Leclerq 235

Basterà concludere che se la scuola è un'istituzione in cui ogni insegnante


ha il diritto di lasciare il segno della sua personale ideologia, la scuola lascia
di essere una comunità di spiriti fratelli nella forma superiore della verità.
Infine, non si può trascurare che in questo modo anche gli insegnanti
I cattolici della scuola pubblica si troveranno in conflitto con la natura di detta
istituzione, la quale, in quanto pubblica (cioè per tutti) esige
rinunciare alle specificità della religione.

12.4. Rifiuto cattolico della scuola cattolica.


Mons. Leclerq
Se per alcuni la ragione dell'esistenza della scuola cattolica all'interno della
società moderna sembra incerta, per altri è del tutto inesistente. Sosterremo
questa affermazione sia con fatti che con dottrine.
Nel Württemberg, la Democrazia Cristiana se ne andò nel 1967
1a difesa delle scuole cattoliche, e l'adesione ai socialisti introdotto
le cosiddette scuole simultanee, a base cristiana ma non più confessionali.
Una circostanza significativa di questo fatto è che nell'atto stesso con
che il Nunzio Monsignor Bafile protestò al governo per la violazione del
Concordato del 1933, dichiarò: La Chiesa è molto interessata anche
la creazione di un sistema scolastico progressivo (RI, 1967, p. 395).
In Baviera un referendum popolare ha modificato la costituzione dello Stato,
con l'approvazione del 75% dei voti, per introdurre la scuola cristiana al posto
di quella cattolica. In Italia, dovendo distribuire nel 1967 duecento
miliardi per gli edifici universitari, la proposta del
liberali di estendere il beneficio alle libere Università (compresa la Cattolica di
Milano) perché i deputati democristiani si sono astenuti, obbedendo
accordi con altri soggetti.
Mentre in tali abbandoni scolastici cattolici si percepisce l'influenza
dello slancio ecumenico, in altri l'influsso riconoscibile è tuttavia quello di
l'opzione marxista. Nella Repubblica Socialista Africana del Mali, le scuole
I cattolici aderiscono al programma educativo statale e quindi insegnano
Lezioni di marxismo. A Ceylon i cattolici decisero di rimettere il più grande
parte delle scuole cattoliche allo Stato, governate da marxisti, così che
giovani a integrarsi più facilmente nella vita nazionale, la Chiesa eviterà
formare un ghetto, e la scuola diventerebbe un luogo di dialogo e non una fonte
delle tensioni (ICI, n. 279, pp. 25-26, 1 gennaio 1967).
Nei paesi comunisti, la condotta dell'episcopato nei confronti della scuola
statale corrisponde a quella che mantiene nei confronti del comunismo stesso. Ma
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236 12. La scuola

non meno rilevanti dei fatti sono gli apprezzamenti teorici sull'attuale inutilità e
insensatezza della scuola cattolica. Mons. Leclercq, emerito di teologia morale
presso l'Università cattolica di Leuven, riconosce nelle università cattoliche
una generalizzata incompatibilità con la civiltà contemporanea, segnata dal
pluralismo e nemica di tutti i ghetti. Questa incompatibilità lo priva di qualsiasi
ragion d'essere. Ma l'argomentazione di mons.
Leclerq non è conclusivo e si smentisce per assurdo. Proprio in un mondo
pluralistico la presenza di un'università cattolica è normale: non si può volere
il pluralismo, cioè la pluralità delle dottrine, e rifiutarlo affermando che nessuna
dottrina può entrare come elemento della pluralità.

Il secondo argomento che toglie ogni ragion d'essere all'università cattolica


nel mondo contemporaneo è che essa si troverebbe costretta ad isolarsi,
avendo come obiettivo la sicurezza degli spiriti e, di conseguenza, la
preservazione della mente dal confronto con l'opposizione promossa dalla
civiltà moderna contro il cattolicesimo: il metodo della conservazione, o come
si dice con intento beffardo, del ÿ ÿrimboccato in vitaÿÿ, non poteva produrre
menti aperte e solide convinzioni. Questo argomento non ha posto nella
filosofia cattolica. Fatti alla mano, si può rispondere che la scuola cattolica ha
formato uomini di quella tempra, anzi intere generazioni. E da un punto di vista
assiologico, questo argomento ignora il valore della sicurezza, considerandola
come una condizione quasi degradante e ÿÿborgheseÿÿ. Al contrario, le
assicurazioni sono il riflesso morale della certezza; e ad un livello superiore, se
la certezza è di fede, costituisce un riflesso morale della salvezza. La certezza
e la sicurezza sono il volto intellettuale e il volto psicologico di un identico
stato dell'uomo. Né si può dimenticare che la fede soprannaturale non
sommerge lo spirito in un riposo di desistenza, ma di consistenza, in cui il
dubbio non può insinuarsi. Vedere §18.5.
La sicurezza su cui si fonda l'insegnamento cattolico non è una fuga dalla
lotta: il credente deve, in proporzione alla sua conoscenza della fede, e per
professione se è insegnante, dare ragione a chiunque della propria visione
soprannaturale (I Pt 3, 15).
E il confronto tra le diverse opinioni è un passo necessario compiuto dal
pensiero nella ricerca della verità e nella sua conservazione, essendo questa
analisi una pratica universale, come inquisizione o come confutazione.
E piuttosto, il metodo del confronto era caratteristico della Scolastica; Non si
può dimenticare che nell'Università parigina i magistri si offrirono di rispondere
pubblicamente e spontaneamente alle obiezioni e curiosità dei loro discepoli
nelle arti, e anche a quelle della plebecola, come egli vede in quel dipinto
vivente della mentalità e dell'animus di secolo che sono le Quaestiones
quodlibetales di San Tommaso. Il genere letterario delle scuse non avrebbe
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12.4. Rifiuto cattolico della scuola cattolica. L'arcivescovo Leclerq 237

sarebbe potuto nascere se il principio della religione fosse l'isolamento: è


vero che la religione si isola dall'errore, ma per raggiungere questo obiettivo
deve confrontarsi dialetticamente con le diverse opposizioni che si presentano.
Questo isolamento dell'errore non è ben visto dalla nuova teologia, viziata dal pirronismo.
Si ignora il principio fondamentale dell'apologetica: non è necessario aver
confutato tutte le obiezioni che si fanno alla fede perché possa continuare a
rimanere salda. Vedere §§16.2 -16.3.
Un ulteriore argomento di mons. Leclerq fa riferimento all'epistemologia e
al rapporto tra le parti del sistema del conoscibile. Secondo lui, l'università
cattolica confessionalizza la scienza e impedisce alla ricerca di essere libera
e spregiudicata: la scienza rifiuta ogni irrevocabilità e ogni eteronomia. Nella
voce dell'eminente teologo sembra risuonare la voce del razionalismo
irreligioso. La scienza non si deconfessionalizza, cioè non entra a far parte
della fede, cadendo così sotto un altro principio eterogeneo, ma è autonoma
nel proprio ordine. Come potrebbe rendere un servizio alla Fede se non si
costituisse appunto come scienza individuale, autonoma e speciale? Una
subordinazione estrinseca non altera l'autonomia intrinseca di ciascun oggetto
di indagine, anzi: l'organismo enciclopedico governa, è una condizione di
tutte le discipline, non offende l'autonomia di ciascuna di esse, ed è necessario
per l'architettura di conoscenza.
Per fare un esempio, la farmacologia è certamente una scienza, certamente
subordinata alla medicina e che cammina solo al servizio della medicina; ma
non per questo prende le sue leggi dalla medicina: ne prende solo il fine.
La farmacologia non si fa medicina né abdica ai propri metodi per assumere
quelli della medicina. Allo stesso modo, ogni scienza ha la sua indipendenza
anche se è estrinsecamente finalizzata.
Un'ultima argomentazione del celebre emerito di Lovanio nega l'autonomia
(cioè la scientificità) della scienza nel sistema cattolico, ma mi sembra che
contraddica l'epistemologia. Afferma che mettendo un'altra fonte di verità
oltre la scienza, diventa schiava. Ora, essere organici non significa essere
servi.
Nell'organismo enciclopedico nessuna parte è serva, anche se è
coordinata con le altre e da esse dipende. La prima fonte delle due fonti di
4
verità (scienza e fede) è la Ragione oggettiva, cioè il Verbo; Per giudicare
che sia impossibile che scienza e religione possano essere teoricamente
unite, è necessario abbracciare una di queste tesi: o che la Rivelazione
contenga la scienza, ritornando all'errore della teologia pregalileiana; o che la
ragione soggettiva non è limitata e non ammette nulla di conoscibile oltre il suo limite,

4Vedi il discorso di GIOVANNI PAOLO II agli universitari di Pavia, dove insegna


che il principio della sapienza è Cristo (OR, 12 aprile 1981)
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238 12. La scuola

adottando il panlogismo della filosofia eterodossa tedesca.


La verità è che il rifiuto della scuola cattolica, lungi dall'essere un semplice
variante della filosofia politica, è il corollario notato o inosservato di
Opinioni contrarie al pensiero cattolico. Viene rimosso dalla scuola cattolica
la sua stessa base e la sua essenza si pone al di fuori di sé, condizionandola al
pluralismo e nichilismo culturale.
Il programma redatto a Friburgo (Svizzera) per la riforma dei seminari
ripudia la tradizionale ratio studiorum e prescrive che essa sia data da
l'inizio di una nozione globale che affronta i problemi sollevati da
l'esistenza di altre credenze e di incredulità, in modo che lo studente
5
Evitare il rischio dell'autosufficienza cristiana (ICI, n 279, p.20, 1 gennaio
dal 1967). Per misurare la misura in cui un tale concetto viene rimosso dalla pedagogia
basterà osservare che si tratta di negare la concezione cristiana di
mondo il carattere di una concezione globale, privandolo di un principio universale;
che si cerca di affrontare fin dall'inizio le altre filosofie senza saperlo
nessun criterio con cui procedere a tale confronto; che finalmente (cosa
di cui è difficile dire se sia maggiore la stranezza o l'errore) è avvertito al
i giovani dal rischio di prendere il cristianesimo come un quid autosufficiente.
Perciò il cristianesimo, pur essendo un insegnamento divino, non
basterebbe da solo a dare allo spirito dissetamento e riposo nelle tenebre.
VERO; va considerato solo come un parere che necessita di essere integrato
6 .
con gli altri per acquisire rilevanza assiologica
Di qui la progressiva perdita di originalità della scuola cattolica,
che si modella volutamente sulla scuola statale nelle strutture, nella ratio
studiorum, nella coeducazione, nel calendario e in tutto.
Culturalmente parlando, ha in gran parte abbandonato le concezioni peculiari
del cattolicesimo degli eventi storici, adottando i punti
di vedute che caratterizzarono gli avversari della Chiesa nel secolo scorso
7 .

Concludendo il discorso sulla disaffezione della scuola cattolica, e


ignorando la chiusura o la secolarizzazione degli istituti e gli scandali doc

5Non meno esplicito è Mons. MARTINOLI, Vescovo di Lugano, che racconta agli studenti
del Collegio Papio di Ascona: vi chiedo di approfondire la conoscenza di
Gesù, della Chiesa, della religione. Aumenta la tua conoscenza di altre religioni e
correnti filosofiche che non sono in sintonia con il cristianesimo. Ginnasio primaverile della virtù
Anuario del Collegio Papio de Ascona, p. 26
6Che attualmente non esiste una cultura cattolica specifica e indipendente, l'essere
diluito nella cultura generale, fu sostenuto senza opposizioni da P. EMMANUEL al convegno
di Roma sulle radici cristiane dell'Europa (OR, 26 novembre 1981).
7Vedi, ad esempio, il manuale Images et r´cits d'histoire, Parigi 1979, in cui il
i leader della persecuzione religiosa, come Gambetta e Jules Ferry, sono esaltati come
ÿÿgrandiÿÿ della patria.
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12.5. Pedagogia moderna. catechismo 239

Tribunali delle scuole cattoliche conviene


8
, misurare il balzo regressivo compiuto
dalla scuola cattolica nel periodo postconciliare. E lo misureremo citando il
card. Michael Faulhaber, arcivescovo di Monaco nel 1936, all'apice del
dispotismo hitleriano: Fa più male chiudere cento scuole con un tratto di penna
che distruggere una chiesa.

12.5. Pedagogia moderna. catechismo


Nello stato attuale della Chiesa, la questione della scuola è piuttosto più
una questione di quali verità insegnare che del metodo con cui insegnarle; Il
movimento postconciliare per il rinnovamento della catechesi passa, come non
potrebbe essere altrimenti, dalla didattica alla dottrina, in quanto è anche
l'espressione didattica di una dottrina. La crisi della catechesi è innanzitutto
una crisi di contenuti, e discende dal pirronismo che investe il pensiero
ecclesiale. Congressi e congressi di catechesi si chiedono: è possibile ritrovare,
dopo il Vaticano II, una dottrina cattolica indiscutibile che rifà l'unità perduta?
(Dossier su le probleméme de la catéch´ese, Parigi 1977, p. 36).

La pedagogia moderna ha le sue remote radici nella pedagogia negativa di


Rousseau, la quale, supponendo che l'uomo sia buono per natura, gli cancella
l'educazione; Ha le sue origini vicine nella filosofia trascendentale tedesca del
XVIII secolo, che considerava lo spirito individuale come un momento dello
spirito universale. Essa ebbe infine la sua più rigorosa sistematizzazione
teorica nel Sommario di pedagogia come scienza philosophica (1912) di
Giovanni Gentile, che fornì le basi per la riforma della scuola italiana.
Il pensiero che informa tale pedagogia consiste nel vedere nello Spirito
universale il vero maestro; il nostro spirito si muove sempre in se stesso; lo
Spirito non è altro che l'atto stesso dell'individuo, il cui processo è
9 .
autoformazione e non ha né oggetto né modello fuori di sé
Anche nel sistema cattolico il vero maestro è lo spirito universale: il Verbo
divino, la vera luce, quella che illumina ogni uomo, viene in questo mondo (Gv
1,9) manifestando la verità naturale; ma questo Spirito è diverso dallo spirito e
lo trascende; Tuttavia, nella pedagogia moderna non c'è trascendenza né dallo
Spirito allo spirito, né dalla verità all'intelletto, né dal maestro al discepolo.

E ignoriamo che oltre alla luce naturale dell'intelletto, la religione conosce


un'altra luce soprannaturale che sovrasta lo spirito considerandolo

8Il domenicano Pf¨urtner (Friburgo, Svizzera), prof. Franco Cordero (Università Cattolica
di Milano), il Vescovo di Cuernavaca, ecc.
9 op. cit., IV ed., Bari 1926, p. 174.
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240 12. La scuola

capace non più di vedere le verità che superano la sfera naturale, ma di


acconsentirvi senza vederle e farle proprie.
Nella moderna pedagogia, invece, a causa dell'immanenza della verità, del
bene e di ogni altro valore dello spirito rispetto allo spirito stesso (insomma, a
causa dell'immanenza del divino nell'uomo), la realtà diventa autocreazione,
verità autocoscienza e didattica autodidattica.

12.6. La nuova pedagogia


Vediamo allora l'esatta articolazione dell'errore nella nuova pedagogia.
Il primo errore consiste nel negare e tacere la dipendenza dello spirito
educante rispetto al principio educativo, e nel ritenere che la verità sia frutto
della creatività personale; è invece una luce che l'intelletto trova e non crea: o
meglio, che tanto più trova quanto meno l'esperienza vitale si mescola
all'intuizione della verità.
L'esperienza è la via di accesso alla verità, ma questa non consiste in ciò che
è stato sperimentato, come si dice oggi, bensì in ciò che è puramente visto. Sia
nel De magistro agostiniano che nel De magistro tomista si afferma che la verità
trascende il discepolo e il maestro, e l'uomo non la produce, ma la scopre.
L'uomo può certamente apprendere senza un insegnante, leggendo nella realtà.
Il maestro non trasferisce la conoscenza al discepolo, ma provoca in lui atti
personali di conoscenza. L'insegnante, che attualmente possiede già la
conoscenza, agisce ciò che l'allievo potenzialmente possiede, facendoglielo
conoscere da sé. Pertanto, è radicalmente escluso che la didattica sia autodidatta
e l'educazione ÿÿautoeducazioneÿÿ, così come è escluso per principio metafisico
che un ente potenziale giunga all'atto da sé stesso.
Santo Tomás afferma esplicitamente questa tesi: Nessuno può essere
10
chiamato maestro di se stesso o insegnare a se stesso (De verit., . Qui è necessario
q. 11 a.2)
rivendicare tre punti fondamentali della pedagogia cattolica. La prima è
metafisica: la distinzione tra potenza e atto: cioè la non creatività delle facoltà
umane. La seconda è assiologica: la superiorità assiologica di chi sa su chi non
sa. Il terzo è epistemologico: il primato della conoscenza sull'esperienza morale;
Tale è (ceteris paribus) la vita morale dell'uomo, come lo è il suo pensiero, cioè
il giudizio che fa dei fini e degli atti del suo essere.

Il secondo errore della nuova pedagogia è che lo scopo diretto


dell'insegnamento è produrre un'esperienza, che ugualmente il suo metodo è l'esperienza,

10Non si può dire che un individuo sia maestro di se stesso o che insegni a se stesso
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12.7. La conoscenza del male nella dottrina cattolica 241

e che la conoscenza astratta di ciò che è stato vissuto è puro concettualismo. Ora, lo scopo
proprio e formale dell'insegnamento (senza escluderne la catechesi) non è quello di
produrre un'esperienza, ma una conoscenza. Il discepolo è guidato dal maestro a passare
da una conoscenza all'altra attraverso un processo dialettico di presentazione delle idee. Il
fine della catechesi non è un immediato incontro esistenziale ed esperienziale con la
persona di Cristo (si entrerebbe allora nella mistica), ma la conoscenza delle verità rivelate
e dei loro preamboli.

L'ascendenza modernista di questa pedagogia non può sfuggire a chi sa che il principio
filosofico del modernismo era il sentimento, che risolve in sé ogni valore e prevale sui
valori teorici; questi sono considerati come l'astratto di cui l'esperienza è il concreto.

12.7. Conoscenza del male nella dottrina


cat´olica
Molto più grave è il riflesso morale della deviazione pedagogica. Se la conoscenza è
esperienza (ciò che si vive), allora la conoscenza del bene sarà esperienza del bene e la
conoscenza del male sarà esperienza del male, cioè del peccato: l'intero sistema
dell'ascetismo e dell'etica cristiana è rovinato. Scompare la distinzione tra l'ordine reale
proveniente dall'esperienza e l'ordine ideale proveniente dall'intelletto.

Como ense˜na San Agust´ÿn en De civ. Dei, XX11, 30, 4, ci sono due tipi di conoscenza
dei mali, uno per cui non si nasconde la potenza della mente, e l'altro per cui i sensi sono
uniti insieme dall'esperienza, perché altrimenti tutti i vizi sono conosciuti attraverso il insegnamento del saggio.
11 .
altrimenti attraverso la peggiore vita di uno sciocco
Ci sono due conoscenze del male: una consiste nella presenza del male nella mente, e
l'altra nell'apprensione del male attraverso l'esperienza. Ma questa seconda scienza per la
quale il male si conosce vivendola non è la conoscenza, ma la oltrepassa e fa parte della
morale, perché è l'atto con cui lo spirito sceglie ciò che è conosciuto e unisce così l'ordine
ideale con l'ordine reale di ciò che è stato vissuto. Non confondere la sperimentazione con
la conoscenza, tanto meno farne l'unica fonte di conoscenza. Tutta l'ascesi e la pedagogia
cattolica poggiano su questo fondamento e non possono scomparire senza rovinare
l'edificio. Ed è falso ciò che si insegna, anche tra i cattolici, che è necessario conoscere il
male per combatterlo; almeno è falso che sia necessario

11Così, i mali possono essere conosciuti in due modi: dalla scienza intellettuale o
dall'esperienza corporea. In un modo, la saggezza dell'uomo onesto conosce i vizi, e in
un altro, la vita spezzata del libertino.
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242 12. La scuola

conoscerla esperienzialmente, più di quanto la conoscenza e la volontà di bene


consentano.
Ad esempio, più si conosce il valore della castità, meno si conosce
sperimentalmente il suo contrario.
Il Servo di Dio Francesco Chiesa pronuncia una frase profonda: Non dite
"Dovreste mettervi nei suoi panni". Alcune cose si conoscono meglio proprio
12
non essendo nei loro panni.La nuova .
pedagogia tende a identificare l'apprensione con l'esperienza, anche se non
esplicitamente, e non può essere ex profeso una pedagogia del peccato, ma
tendenzialmente. Da ciò deriva la sua inclinazione a togliere ogni limite
all'esperienza e a separare il discepolo dal maestro, il minore dal maggiore,
l'etica della legge (che non si sperimenta, ma si obbedisce o si viola), alla virtù
della ragione . Quel nunquam satis che la filosofia cattolica dice dell'intelligere,
la moderna pedagogia dice del vivere.
Da ciò deriva la libertà di compiere qualsiasi esperienza per conoscere:
libertà che viene rivendicata dai novatori anche in materia di celibato
ecclesiastico, di continenza prematrimoniale, di indissolubilità coniugale, o di
fedeltà in tutti gli impegni della vita. Si dice che l'impegno che la volontà
acquisisce senza conoscere sperimentalmente la materia dell'impegno non è
giusto. La crisi della scuola cattolica è in fondo un degrado della razionalità di
fronte all'esperienza, e un esempio del vitalismo tipico del mondo
contemporaneo, che non apprezza ciò che è vero e può contraddire la vita, ma
ciò che è vivo ed è la misura della verità: vivo, ergo
somma.

12.8. Insegnamento e autorità. catechismo


Se si nega che la verità trascenda il maestro e il discepolo e si riduce
l'educazione all'autoeducazione, l'idea di autorità scompare dalla pedagogia.
L'autorità è la qualità di un atto che non si risolve nella soggettività di chi lo
propone o in quella di chi lo riceve, ma è in certo modo indipendente
dall'assenso e dal dissenso.
Non sorprende quindi che gli innovatori attacchino la scuola autoritaria e
affermino che il principio di autorità non è un principio.

12Cfr. ANTONIO VICOLUNGO, Nova et veterana. Cane. Francesco Chiesa, linea Edizioni
Pao, Alba 1961. Questo sacerdote, famoso non meno per la sua dottrina che per la sua carità
pastorale, fu ispiratore e collaboratore di p. Alberione, fondatore della Società San Paolo per la
stampa cattolica. Da allora la Fraternità è stata pubblicamente censurata due volte da Paolo VI a
causa delle sue deviazioni dottrinali. È comprensibile che la Fraternità abbia tolto dai suoi cataloghi
tutte le opere teologiche del Servo di Dio.
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12.8. Insegnamento e autorità. catechismo 243

pedagogico. Così come nella morale autonoma la volontà data dalla legge
Allo stesso modo manca una legge, quindi nella pedagogia autonoma, chi è istruito
di per sé manca di un'autorità sottostante. Viceversa, se presente
la verità trascende l'intelletto che si impone all'assenso dell'uomo, di più
avviene in particolare con le verità di fede (oggetto di catechesi): no
trascendono solo l'uomo come qualsiasi altra verità, ma in un certo senso
molto speciali in quanto sono verità rivelate e non vanno riaffermate
per evidenza, ma per dono a Dio.
C'è una peculiare incompatibilità tra catechesi e autoeducazione.
Demolendo la verità come autorità, la catechesi cessa di essere apprensione
della verità da ridurre alla sua ricerca, in uno stato di assoluta uguaglianza con
ogni altro insegnamento. Il grande movimento di rinnovamento catechistico
dopo che il Consiglio è riuscito finora a distruggere tutte le vestigia del
catechesi tradizionale, ma 13
non ha prodotto un indirizzo dottrinale
14
comune né alcuna realizzazione positiva: non pochi catechismi pubblicati
dai centri diocesani corrispondenti sono pieni di sconsideratezza, di
errori dogmatici e stravaganze. La nuova catechesi può essere creduta
sostenuto dal discorso di Paolo VI del 10 dicembre 1971, che sembra
adottare i due principi della nuova teologia: primo, che occorre abbandonare metodi
eccessivamente autoritari nella presentazione dei contenuti dottrinali, assumendo una
15
condotta più umile e fraterna di
cercare la verità; secondo, che insegnare significa essere aperti al dialogo con gli
studenti, rispettosi della loro personalità. Nel primo passaggio di
discorso, è manifesta la confusione tra didattica ed euristica, tra comunicazione del
sapere posseduto e ricerca della verità, tra cattedra e
controversia. È un nuovo caso di passaggio involontario da un'essenza all'altra
e l'annullamento implicito di uno di essi. È vero che nell'atto di insegnare
possono insinuarsi tutti i semi della miseria umana, compreso l'orgoglio; ma non
dovrebbe esserne sorpreso, anche se è necessario prevenirlo
continuamente: nelle pieghe più nascoste dell'agire umano ribolle quella miseria. Forse
l'orgoglio non si insinua anche nel dialogo di ricerca
della verità? La verità può essere insegnata senza lo spirito della verità e con

13El Nuovo catechismo antico di FRANCO DEL FIORE, saggio di autentico rinnovamento pubblicato
dalla SEI dei Salesiani e raccomandato dalle lettere della Segreteria di
State, è stato successivamente ritirato per decisione dell'editore, nonostante il suo successo di vendite. Era
ripubblicato da ARES nel 1981 e nel 1985.
14Sulla ÿÿmiseriaÿÿ dottrinale della nuova catechesi, denunciata dal card.
RATZINGER nel discorso del gennaio 1983 a Lione ea Parigi, cfr. §6.11.
15Questa accusa di autoritarismo può sembrare strana oggi, quando qualunque predicatore presenta
le sue opinioni nuove e infondate e non ha paura di contrapporle alla dottrina
perpetuamente insegnato dalla Chiesa. A volte i fedeli erano davanti a loro
all'autorità della Chiesa, oggi si confrontano con quella del predicatore.
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244 12. La scuola

incoraggiamento che cerca di presentarsi e insegnarsi; ma la trattazione degli


atti umani deve riferirsi alla loro essenza, e non prendere come loro essenza le
loro imperfezioni contingenti.
E insisto che l'eliminazione dell'autorità è intrinseca alla didattica intesa
come autodidatta, per mezzo della quale lo spirito estrae da sé la verità.
Sebbene la verità trascenda lo spirito, è indipendente dall'intelletto che la
pensa: non è l'essere pensata dall'uomo, ma l'essere pensata da Dio, che la
rende pensabile dall'uomo. Nella Chiesa postconciliare, invece, si è diffusa
l'idea che l'uomo si autocrea; Pertanto, si discute di autoeducazione,
autoinsegnamento, autogoverno, autoevangelizzazione e persino
autoredenzione: l'autenticità è fatta consistere in tale autonomia.
Questo circolo vizioso tra maestro e discepolo, equivalente all'alterazione
del rapporto naturale tra i due soggetti, è chiaramente proclamato nella lettera
del Segretario di Stato al congresso di Strasburgo dell'Union nationale
desparents des ´ecoles de l'enseignement libre . Queste parole possono essere
lette: Senza rinunciare alle loro gravi responsabilità, gli insegnanti diventeranno
consiglieri, consiglieri e perché no? amici. Gli alunni, senza rifiutare
sistematicamente l'ordine e l'organizzazione, diventeranno corresponsabili,
cooperatori, e in un certo senso coeducatori (OR, 21 maggio 1975). La
conversione del discepolo in maestro, e viceversa, contiene virtualmente
l'abolizione di ogni pedagogia e perfino la denigrazione di tutta l'opera
scolastica della Chiesa storica.
Parleremo della filosofia del dialogo nel §16.6. Qui, tornando al discorso
di Paolo VI, secondo il quale sembrerebbe che il precedente insegnamento
della Chiesa non fosse stato rispettoso della personalità, né maestri umili o
disponibili al servizio, basta ridurre le cose alla differenza essenziale: il dialogo
non sta insegnando. Inoltre, non tutti i servitori devono prestarsi a tutti i servizi
(considerarsi capaci di un servizio totalizzante è cecità e arroganza), ma solo a
quello per cui sono specificatamente chiamati, preparati e gestori.
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Cap'itulo 13

catechismo

13.1. Lo scioglimento della catechesi. Il Sinodo


dei Vescovi del 1977
Tolta l'autorità al maestro e dissolta la verità in pura euristica, la riforma
del catechismo non ha potuto evitare di andare verso deviazioni eterodosse,
che aggiungono alla variazione nel metodo una variazione nei contenuti. Il
congresso di Assisi del 1969 sull'educazione religiosa si era già concluso con
un documento che auspicava l'abbandono di ogni contenuto dogmatico (cioè
specificamente cattolico) e la surrogazione dell'insegnamento della religione
cattolica considerato nei paesi democratici come un ingiusto privilegio, nella
storia delle religioni.
Anche il Sinodo dei Vescovi del 1977 sulla nuova catechesi non costituì una
effettiva rettifica, ma piuttosto rivelò dissensi tra i Padri anche attorno ai
principi, nonché una generale mancanza di forza logica e soprattutto l'incapacità
di attenersi a quanto si discuteva ; che però è la norma fondamentale in ogni
discussione, ed è sufficiente rispettarla perché sia fruttuosa. Al Sinodo la
catechesi è diventata sociologia, politica o teologia della liberazione. Solo
alcuni esempi.

Per il Vescovo di Saragozza la catechesi deve promuovere la creatività degli


studenti, il dialogo e la partecipazione attiva, senza dimenticare che è un'azione
della Chiesa. Ora, la creatività è un'assurdità metafisica e morale, e anche se
così non fosse, non potrebbe essere il fine della catechesi, poiché l'uomo non
può darsi il proprio fine: gli è già dato e deve solo volerlo.
Per padre Hardy, la catechesi deve portare all'esperienza di Cristo, una
proposta che confonde l'ideale e il reale e conduce al misticismo.
In sé e formalmente, la catechesi è conoscenza, non esperienza,

245
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246 13. Catechismo

sebbene sia ordinato di sperimentare: cioè di agire nella vita.


Secondo il cardinale Pironio, la catechesi è liberata dall'esperienza profonda
di Dio nell'umanità cristiana ed è una più profonda assimilazione del
amore e fede (OR. 16 ottobre 1977). Ci sono risonanze moderniste in questo
affermazioni. La catechesi è dottrina e non procede dall'esperienza esistenziale
dei credenti, perché in essa vi sono contenuti soprannaturali che
l'esperienza non contiene Discende dall'insegnamento divino e non si produce
per esperienza religiosa: è lei che lo produce.
Infine, un vescovo del Kenya ha dichiarato che la catechesi deve impegnarsi
a denunciare le ingiustizie sociali e difendere iniziative di
liberazione sociale dei poveri (OR, 7 ottobre 1977), degradando la
parola di vita eterna alla conoscenza economica e sociale.

13.2. Lo scioglimento della catechesi. Padre


Arrupe. Card. Benelli
Al di là delle idee di socialità e creatività, il Sinodo lo è stato
dominato da quello del pluralismo, quando vari Padri si pronunciarono a favore di
la pluralità dei catechismi, che dovrebbero assumere il colore dei vari
culture nazionali.
Padre Arrupe, Superiore Generale della Compagnia di Gesù, guida il
domanda pluralistica fino alla sua massima espressione: lo Spirito estingue
l'intima aspirazione dell'uomo a unire le esigenze apparentemente antitetiche di un
unità radicale con una diversità altrettanto radicale (OR, 7 ottobre,
1977). Sembra che lo sfondo del pensiero umano non sia l'identità,
ma la contraddizione, e lo Spirito Santo compirebbe la sintesi dei contraddittori
cui intimamente aspira l'anima dell'uomo. Inoltre, non è evitato
il paralogismo di fondo con un avverbio avventizio come apparentemente.
Se le esigenze sono diverse dalla radice, è impossibile che siano unificate,
vale a dire che cessano di essere diversi dalla radice: portano necessariamente a
una pluralità e diversità di cose. Unità e diversità non possono esistere
allo stesso livello. Né padre Arrupe vuole definizioni nel catechismo
complete, rigorose, ortodosse, perché potrebbero sfociare in una forma
aristocratica e involutiva. Come se la verità consistesse in un circuito confuso,
l'ortodossia fosse antivalore, e le autentiche catechesi nascessero dal
oclocrazia! Anche in questo, come nel confronto tra cristianesimo e
marxismo, sono considerati semplicemente come modi diversi di vedere la stessa cosa,
cose e idee che non sono le stesse. Se si desidera una diversità di catechismi
è perché si ritiene che tutte le opposizioni che caratterizzano la speci-
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13.2. Lo scioglimento della catechesi. Padre Arrupe. Carta. Benelli 247

della dottrina si risolvono in un'identità di fondo individuata da


sopra di lei.

La carta. Benelli, intervenendo a un congresso di insegnanti di religione, sì


sosteneva che la scuola di religione favorisse il confronto oggettivo con altri
concetti vitali che è necessario conoscere, valorizzare e, eventualmente,
integrare.
Il porporato non vede nel mondo mentale e religioso alcun errore da
rifiutare, ma solo cose da integrare. Dice inoltre che l'unico modo per
insegnare la religione cattolica è fare una proposta di vita: non si tratta
quindi proporre verità che ricevono la loro autorità dal divino
Rivelazione. Infine, il cardinale affida lo studente stesso a garanzia del suo
validità, perché l'ha già sperimentata (OR, 28-29 settembre 1981).
Le due caratteristiche della nuova catechesi (essere ricerca prima che dottrina, e
cercare di produrre risposte esistenziali piuttosto che persuasione intellettuale)
sono evidenti nella soluzione data al problema della pluralità dei catechismi
e memorizzazione. Dove1non viene dato alcun contenuto dogmatico a cui acconsentire,
non ci può essere un solo catechismo universale, non essendoci formule di fede
adattato a tutta la Chiesa per quel contenuto unico.
Di conseguenza, l'antica usanza iniziò all'inizio
tempi della Chiesa e continuato con i catechismi di Trento, di San
Roberto Bellarmino, di S. Pietro Canisio, a quelle di Rosmini e di S. ÿÿo
X. La Conferenza episcopale tedesca ha adottato per il suo catechismo la
forma alternativa di domande e risposte, presto attaccata dalla maggioranza del sinodo
dei vescovi del 1977. Rispetta bene il carattere didattico e non euristico del
La catechesi cattolica, che, poiché consiste in proposizioni di verità, non interroga
supponendo metodicamente che la risposta sia dubbia, ma risponde
assertivamente la verità. Anche nella stessa maieutica, alla quale si appellano
gli oppositori della via tradizionale, Socrate guidava il discepolo alla verità, ma
il padrone già lo possedeva. La memorizzazione è squalificata e diffamata da
pedagoghi moderni, accusandola di psittacismo; in realtà è l'inizio della
cultura, come gli antichi intravedevano nel mito di Mnem'osine,
madre delle Muse Tuttavia, accompagna naturalmente il concetto
della catechesi, se questa è comunicazione di sapere invece che di puro
azione vitale. Per un vescovo dell'Ecuador la catechesi non è tanto
quelli che si ascoltano come in ciò che si vede nella persona che lo insegna. In questo modo il
la verità (percettibile con l'intelletto) è abbassata prima dell'esperienza vitale, e
Non è legato al Vangelo con la sua virtù, ma con la virtù del predicato.

1Dalla pluralità dei catechismi della religione cattolica si arriva ad un vero


sincretismo religioso: in molte scuole ritenute religiose, sono già insegnate insieme al
Religione cattolica Altre religioni, in regalo a non cattolici o non cristiani.
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248 13. Catechismo

cantare, dando o togliendo valore alla parola così com'è. L'inclinazione


antropocentrica per cui l'effetto della catechesi viene fatto dipendere più dalla
virtù del parlante che dalla virtù della verità, è un errore che nasconde ancora
una volta la confusione delle essenze.
Il catechista è assimilato al comico, all'attore o al poeta, che hanno la loro
capacità di commuovere gli animi. Eppure la catechesi è qualcosa di diverso
dalla vecchia retorica flexanima. In tal modo, ogni volta che mancava la virtù
retorica, verrebbe a mancare l'accoglienza della verità divina. Questo errore è
ripreso anche nel Dossier sur le probleme de cat´echese, Par´ÿs 1977, p. 22,
che tuttavia critica la nuova catechesi.

13.3. Lo scioglimento della catechesi. Le Du.


Charlot. Mons. Orchampt
Il lolium temulentum che abbiamo evidenziato nei documenti sinodali ed
episcopali ha vegetato in una vasta letteratura di catechismi ufficiali, per non
parlare dei catechismi di iniziativa privata di cui abbiamo fatto a meno, dati i
nostri criteri metodici. 2 .

La ripercussione nella Chiesa universale del Catechismo olandese


(espressione dell'allontanamento dall'ortodossia da parte di detta Chiesa) fu
clamorosa, estesa e dolorosa. Due cose hanno sorpreso il mondo. Da un lato,
la temerarietà delle innovazioni: dalla negazione degli angeli, del diavolo e del
sacerdozio sacramentale, al rifiuto della presenza eucaristica e alla messa in
discussione dell'unione teandrica.
´
Dall'altro la debole condanna operata dalla Santa Sede. Questa, pur avendo
sottoposto il Catechismo all'esame di una straordinaria congregazione di
cardinali che vi trovarono errori, ambiguità e omissioni di articoli gravissimi, lo
fece circolare nel mondo, editori cattolici e religiosi in tutti i Paesi si
contestarono il privilegio di pubblicarlo . La Santa Sede aveva posto una sola
condizione alla divulgazione: che al corruttorium costituito dall'opera si
aggiungesse il correctorium costituito dal decreto che l'aveva condannata.

Il catechismo olandese è stato accolto ovunque come il miglior pre


presentazione della fede cattolica può essere fatta al mondo moderno.
Nonostante il giudizio della Santa Sede, i vescovi lo introdussero nelle
scuole pubbliche e lo difesero davanti ai suoi genitori, i 3quali, ottemperando
2 Lo percepisce così anche ENRICO CASTELLI nell'introduzione al Catechismo
Rosmini, ed. nac., vol. XLV: Oggi i catechismi si susseguono all'interno della
Chiesa cattolica con varianti più o meno accettabili
3Un esempio è la lettera del 28 ottobre 1964, di Mons. MARTINOLI, Vescovo di
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13.3. Lo scioglimento della catechesi. Il due. Carlotta. Mons. Orchampt 249

il dovere di custodire la fede dei loro figli li teneva lontani da un insegnamento corrotto
dato dai sacerdoti con l'approvazione del vescovo. Il Catechismo olandese è stato
soppresso solo nel 1980, dopo il sinodo straordinario dei vescovi olandesi tenutosi a
Roma sotto la presidenza di Giovanni Paolo II.

Le commissioni catechetiche della diocesi di Parigi hanno prodotto molti testi che
interpretano male la Scrittura, mettono in dubbio il dogma e corrompono la morale. Ad
esempio, il libro di Jean Le Du Qui fait la loi?, sul Decalogo, contesta la storicità della
legislazione sinaitica, che sarebbe un'operazione fraudolenta compiuta da Mosè per
consolidare la sua autorità. Le Du abbraccia in pieno la tesi dell'impostura religiosa
diffusa da Voltaire a causa del suo furioso odio antiebraico, perenne antecedente
dell'odio anticristiano (come si vedeva chiaramente nell'ideologia nazista). Rispondendo
alla domanda nel titolo, Le Du spoglia la legge della sua origine divina, naturale e
rivelata, trasformandola in una produzione della coscienza in evoluzione dell'uomo, che
si libera dal mito, si secolarizza e, infine, Scegli il tipo di uomo tu vuoi essere.

Il libro Dieu est-il dans l'hostie? da L´eopold Charlot, sacerdote responsabile del
Centre r´egional d'enseignement d'Angers, venduto anche negli uffici parrocchiali. Il
tema del libro è il modo in cui l'Eucaristia deve essere considerata oggi come una
presenza reale. Il suo contenuto essenziale, di cui l'autore non misura il significato, è
che per ogni epoca c'è un modo diverso di intenderla, e che il modo proprio del nostro
tempo è di intendere detta Presenza Reale come una presenza che non è reale, ma
piuttosto fantasiosa e metaforica: identica a quella con cui affermiamo la presenza di
Beethoven in una qualsiasi delle sue sonate e nel sentimento di chi le ascolta. Charlot
insegna ai catecumeni che l'Eucarestia non è stata istituita da Cristo nell'Ultima Cena,
ma dalla prima comunità cristiana.

Il pane e il vino continuano ad essere sostanzialmente pane e vino, e sono solo il


segno convenzionale della presenza di Cristo nel popolo dei fedeli. Quindi è assurdo
che siano consacrati e conservati in vista del culto.
Inoltre, L'eopold Charlot consiglia alle madri di stare con i loro figli davanti al tabernacolo
per imprimere loro che il sacramento non è adorabile. Lo scandalo, nel senso stretto
dell'atto che porta gli altri al peccato (in questo caso, peccato contro la fede), consiste
in un sacerdote affidato dal suo vescovo alla responsabilità della catechesi, negando il
dogma in un catechismo ufficiale dell'Eucaristia e facendolo con tranquillità.

Ma trattandosi di una legge psicologica e morale a cui non appartengono le responsabilità

Lugano, all'ingegnere Walter Moccetti, il quale gli disse di aver ritirato il figlio dall'educazione
religiosa.
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250 13. Catechismo

salite, anzi salite, è ancora più disordine che si propaghi tale bestemmia in un
catechismo del vescovo, maestro della Fede e custode del gregge contro i lupi
dell'eresia.
E se il prete è pio (come si dice di L'eopold Charlot) e predica in buona fede,
non ci sarà altro da parte del sacerdote che scandalo fenomenale o materiale,
come si dice nella teologia classica ÿa; ma poi emerge con più vistosità lo
scandalo dato dalla Chiesa, che proprio in quanto tale (attraverso un suo ministro
approvato e comandato dal vescovo) insegna l'errore e la bestemmia.

Le dichiarazioni di monsignor Orchampt, vescovo di Angers, suscitate da un


gran numero di proteste di laici e clero, sono un sintomo lampante del declino
della lucidità intellettuale e della virtù della fortezza nell'episcopato.

Chi rivendicava, secondo il can. 336, il suo dovere di soddisfare pubblicamente


l'offesa da lui arrecata contro la fede, si limitava a rispondere: Il Vescovo
responsabile della fede del suo popolo deve segnalare i pericoli di mutilazione
che potrebbero incidere su una fede aderente alla prospettiva di questo libretto.
Coloro che la utilizzano siano invitati a criticarla ea studiarla in vista del
necessario sforzo di rinnovamento pastorale (Semaine religieuse du dioc´ese
d'Angers, 11 novembre 1976 e 16 gennaio 1977). Il vescovo non condanna né
ritira l'opera pubblicata dal suo Centro Catechistico, considera una mutilazione
del dogma che è una negazione del dogma, ammette che la religione cattolica
dovrebbe continuare ad essere insegnata con un libro che la rigetta, non toglie
il autore dal suo posto, giudica la tesi di Charlot come una tesi sostenibile (anche
se non dovrebbe essere esclusivamente accolta: come se sostenesse una delle due contraddittori
non implica la negazione dell'altro), e infine (ritornando al consueto leitmotiv
degli innovatori) non chiede una confutazione, ma piuttosto un approfondimento;
Una parola che, come abbiamo visto nel §5.4, nell'ermeneutica innovativa
significa discutere e ridiscutere all'infinito un punto dogmatico fino a trasformarlo
completamente nel suo contrario.
Infine, il Vescovo di Angers insiste nel sostenere che tentativi come
quella di Charlot contribuisce al rinnovamento ecclesiale.
La Santa Sede ha dato un segnale di disapprovazione, ma generico e sempre
in chiave di clemenza. Al Vescovo di Angers si fa certamente riferimento nel
brano del discorso di Paolo VI del 17 aprile 1977: Giustamente i fedeli si
stupirebbero se coloro ai quali è affidato l'ÿÿepiscopatoÿÿ, che significa, fin dai
primi tempi della Chiesa, la vigilanza e unità, tollereranno gli abusi manifesti. E
da notare anche le dimissioni e le deleghe che molti vescovi fanno ad altri
vescovi (che a loro volta rimandano alle opinioni mal formate di un loro
sacerdote), di responsabilità non destituibili o non delegabili. In effetti, il
catechismo di Charlot era stato adottato in tutti
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13.4. Rinnovo e fame di catechesi in Italia 251

le diocesi della Francia orientale.

13.4. Rinnovo e fame di catechesi in


Italia
La delega dell'autorità magisteriale delle Conferenze episcopali ai
sacerdoti della scuola innovativa era evidente anche nella commissione
che redasse il nuovo catechismo, composta da intellettuali di opzione
marxista che poi disertarono, candidandosi a gran voce nelle liste del
partito comunista.
Nel Catechismo dei giovani (Roma 1979) la preoccupazione ecumenica,
arbitrariamente interpretata, porta gli autori a difendere un accostamento
tra la ricerca esegetica cattolica e quella protestante; Questo
avvicinamento è impossibile, perché i protestanti non riconoscono la luce
esegetica del Magistero di Pietro al di sopra della loro luce privata. Gli
autori indeboliscono anche uno degli articoli principali della dottrina
cattolica, avvicinandosi alla dottrina modernista: la fede non procede
dalla realtà dei miracoli, ma la fede fa esistere nella persuasione sui credenti la realtà dei miracoli.
Anche l'idea dell'immutabilità della fede è poco lucida nel libro, prevalendo
quella del mobilismo tipico dei restauratori, secondo cui la Chiesa è
perennemente in ascolto e ricerca. Ancora più evidente è il nuovo
orientamento del Catechismo dei fanciulli, pubblicato nel 1976 dalla
Conferenza Episcopale Italiana, soprattutto per quanto riguarda
l'interpretazione dell'ecumenismo. L'ecumenismo è inteso come
riconoscimento di valori probatori maggiori o minori, ma tutti identicamente
contenuti in ogni credenza religiosa. Quindi non c'è mai conversione
dall'uno all'altro, ma solo approfondimento della propria verità nella verità
degli altri, sempre ammesso che il dialogo sia un arricchimento reciproco.
I catecumeni nell'infanzia vengono separati dalla specificità della religione
cattolica, invitandoli a contemplare l'universalità del fenomeno religioso,
e sono portati non a riaffermare la loro adesione, ma piuttosto alla ricerca.
Si afferma che la catechesi deve aiutare i bambini a collaborare con tutti
gli uomini perché vi siano libertà, giustizia e pace, senza però tralasciare
di riconoscere nella fede e nei sacramenti la sorgente delle forze spirituali.
Questo però è significativo. La condizione minima che deve soddisfare
un catechismo è quella di non rinnegare la fede e di riconoscere nei
sacramenti una fonte di forza spirituale, come tutte le credenze dei popoli
che sono sotto il cielo. La specificità del cattolicesimo è così elusa. Non
si parla di peccato, né di errore, né di maledizioni, né di redenzione, né di giudizio, né di fine trasc
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252 13. Catechismo

Il cristianesimo, che se non è tutto è niente, si riduce ad essere qualcosa di


appendice, sussidiario e cooperante.

13.5. Il congresso dei catechisti romani attorno al


Papa
La fame di catechesi appare inequivocabilmente nell'incontro dei catechisti
di Roma con Giovanni Paolo II (OR, 7 marzo 1981). Il Papa distingue tra la
catechesi, opera diretta della Chiesa, e l'insegnamento religioso nelle scuole
pubbliche, che spetta allo Stato come parte organica della formazione dello
studente. Afferma il dovere dello Stato di fornire tale servizio agli studenti
cattolici, che costituiscono la quasi totalità degli studenti, e alle loro famiglie,
che presumono logicamente di volere un'educazione ispirata ai propri principi
religiosi. Ma nonostante tali dichiarazioni, al Congresso furono formulate
proposte e pareri che si risolsero nel rifiuto dell'insegnamento cattolico. Alcuni
cronisti dissolvono la religione cattolica in una religiosità cristiana sincretica,
altri in una religiosità naturale, altri ancora in un'espressione di libertà: tutti si
riferiscono alla crisi di identità (come si dice) del prete. Nessun altro motivo è
stato trovato per l'educazione religiosa se non l'esigenza culturale grazie alla
quale la conoscenza del mondo ebraico e cristiano sembra necessaria per
comprendere i valori costitutivi della civiltà moderna. Non si è trovato altro
scopo per la catechesi se non quello di sensibilizzare i giovani al ventaglio
delle ideologie per renderli capaci di scelte libere; come se la conoscenza dei
valori ammissibili fornisse i criteri stessi della scelta!

Nessun fondamento specifico è stato trovato per la religione cattolica.


Non essendo l'unico portatore di valori religiosi, nelle scuole italiane non
dovrebbe essere l'unico ad entrare nella scuola per dare lezioni di religione.
Sarebbe necessario diversificare gli orari di religione ammettendo tutte le
credenze. Pertanto, è opportuno abrogare il Concordato, che privilegia la
religione cattolica.
I sacerdoti romani sembrano continuare una linea della tradizione
naturalista: rivendicano il pantheon sincretico scacciato dai brandelli della
Cam Panelliana Città del Sole, dove Cristo è con Osiride, Caronda e Maometto,
o gli oratori di qualche umanista rinascimentale, o la cupola sincretistica di
Notre-Dame de la Garde (Marsiglia) progettata dal vescovo Etch'egaray. Non è
stata trovata alcuna ragione peculiare della verità cattolica ed è stato dichiarato
che i catechisti non sono pagati per fare il catechismo e per insegnare una
fede, ma sono al servizio della persona umana (...) È un lavoro di precateche-
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13.6. Antitesi della nuova catechesi con le direttive di Giovanni Paolo II 253

sis, di preevangelizzazione, che dovrebbe essere riconosciuta dallo Stato come aiuto
allo sviluppo della persona. È evidente la profonda deviazione dello spirito del clero,
che cede ai circusismi come sviluppo della persona; Per loro, l'insegnamento della
verità cattolica si oppone al servizio della persona umana e diventa un sostegno o
l'inizio di un processo di scoperta dove non è la verità che decide, ma la libertà.

Lo scostamento dalla catechesi si esprime apertamente nelle proposte del


documento finale: che si celebri una messa per gli studenti in tempo di preparazione
agli esami, che si celebri anche a Roma in un giorno di scuola, che il Papa riceva presto
i catechisti romani in udienza, che visiti una palestra della scuola pubblica, ecc.
Impossibile non notare come dall'incontro del Sanctissimo siano uscite cose tiepide:
4 prima del romano
certamente buone, ma del tutto estranee alla natura intrinseca dei
temi dibattuti. Fa pensare che conclusioni così tiepide siano state l'ultimo espediente
per non riflettere nel documento conclusivo la singolarità delle opinioni espresse,
incoerenti con la corretta filosofia e con la prassi tradizionale della Chiesa.

13.6. Antitesi della nuova catechesi con


le direttive di Giovanni Paolo II
5

La mentalità del clero manifestata in detto Congresso è tanto più notevole in quanto
in netta opposizione all'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II (OR, 26 ottobre
1979).
La nueva catequesis es de impronta esistenzialista y promueve una expe riencia
de fe, y el Papa por el contrario afferma el car´acter intelectual de la catequesis y quiere
que los catec´umenos est´en penetrados de cesetas simples pero firmes quibus ad
6
Dominum mais sono aiutati a conoscersi sempre di più. La nueva catequesis quiere
la adaptaci´on de la fe a las culturas hist´oricas particulares, y el Papa sin embargo (n.
53) quiere que la fe transforme las culturas singulares: non sarebbe catechesi se il
Vangelo stesso cambiasse quando raggiunto le culture. La nueva catequesis repudia
7
el principio de autoridad y

4 Nell'incontro con il Papa all'udienza generale del 28 agosto 1982, il portavoce dei
catechisti della diocesi di Roma poté solo proporre un congresso generale (OR, 29 agosto
1982).
5Per motivi tipografici abbiamo abbreviato il titolo di questa sezione, che è completa:
Antitesi della nuova catechesi con gli orientamenti di Giovanni Paolo II. Carta. Viaggio.
6 Da cui ricevono aiuto per conoscere Dio sempre meglio.
7Non ci sarebbe catechismo se fosse il Vangelo a cambiare a contatto
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254 13. Catechismo

quindi il metodo dell'ameba e l'esercizio della memoria, e il Papa


Sottolinea invece (n. 55) che è necessario possedere stabilmente (cioè nella
memoria) le parole di Cristo, i principali testi biblici, la
8
formule di fede, il decalogo, preghiere comuni , testi liturgici.

La nuova catechesi procede con una parità, dialogo euristico, fondato


sulla specificità della verità, e il Papa al contrario (n. 57) rifiuta
como peligroso ese dialogu que spesso equipara tutto all'indifferenza 9
sarà abbattuto La nueva catequesis se propone guiar al catec'umeno a una
experiencia de lo divino y de Cristo, y el Papa sin embargo definire la cateque
sis (n. 18) come l'istituzione della dottrina cristiana (ense˜nanza de la dottrine
cristiana), istruzione che cerca di far conoscere ogni volta meglio, e assenso a
sempre più fermamente, alla verità divina: non far sviluppare e affermare
sempre più la persona del catecumeno. Nella crisi della catechesi
riflette tutta l'attuale deviazione della Chiesa. Il disprezzo dell'ordine teoretico,
l'incertezza (non solo dottrinale, ma dogmatica), la
orgoglio dello spirito soggettivo, il dissenso tra i vescovi,10la, discordia del
vescovi nei confronti della Santa Sede, il rifiuto degli atteggiamenti fondamentali
della pedagogia cattolica, prospettiva temporale e chiliastica, e la direzione
11
antropotropo di tutto il lavoro didattico. G'erard Soulages ne contribuisce
lettere drammatiche del card. Journet sullo stato attuale della catechesi.
Il cardinale lo vede esattamente come un effetto della deviazione di
la gerarchia e la dissoluzione interna della Chiesa: sarebbe catastrofico se
i vescovi, successori degli Apostoli, erano in balia delle commissioni
e di iniziative limitate all'adattamento del mondo e al servizio di a
scristianizzazione del popolo cristiano.

Le culture
8Un effetto molto diffuso ed evidente della riforma contro l'uso della memoria
nella catechesi è che i bambini ignorino il Pater e l'Ave Maria, che non vengono più insegnati
né le loro madri né i loro sacerdoti. Così ha affermato Mons. MARTINO II, Vescovo di Lugano
l'omelia del 20 maggio 1973 nel Duomo di Lugano. Allo stesso modo, mons.
ORCHAMPT, presidente della Commissione episcopale per la catechesi in Francia, pide
che ai bambini si insegni di nuovo il Pater e l'Ave Maria. Vedi MARTIN-STANISLAS
GILLET, La nostra catechesi, Parigi 1976.
9Spesso cade in un indifferentismo livellatore
10Durante il caso Charlot, di cui abbiamo già parlato, il vescovo Elchinger è uscito
la commissione episcopale per il disaccordo sui punti dogmatici.
11Dossier sul problema delle catture ÿech`ese, settembre 1977, p. 53.
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13.7. Catechesi senza catechesi 255

13.7. Catechesi senza catechesi


La nuova catechesi è segnata, come abbiamo visto, da due caratteri
intrinsecamente legati. Una metodica: l'abbandono della pedagogia cattolica,
che insegna la trascendenza della verità rispetto all'intelletto che la coglie. E un altro
dogmatico: l'abbandono della certezza della fede, sostituita dalla
recensione e opinione soggettiva. La nuova catechesi preparata dall'episcopato
francese con i Fonds obligatoires del 1967 ha avuto il suo culmine con la
promulgazione di Pietre Viventi nel 1982.
Non avendo ottenuto tale testo l'approvazione della Santa Sede, ed essendo
accompagnato dal divieto di ogni altro catechismo (dunque anche
di quelli del Concilio di Trento e di San Pio X, che nel frattempo avevano
ripubblicato), sembrava che stesse per aprire, ma non lo fece, un crescente conflitto
tra l'Episcopato francese e la Santa Sede.
La carta. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede,
Nel gennaio 1983 si reca a Lione ea Parigi per tenere una conferenza sulle attuali
condizioni della catechesi (la miseria del nuovo
catechesi, dice nel corso del convegno), suscitando vive proteste da parte di
i prelati di Francia, nonché un diffuso malcontento tra il clero e non poco
agitazione dell'opinione pubblica.
Il porporato disapprova la nuova catechesi perché invece di annunciare verità,
alle quali si dà l'assenso di fede, propone testi biblici illuminati dal metodo storico-
critico, e fa riferimento al giudizio del catechista.
concedere o revocare il consenso. Le verità di fede annunciate dalla Chiesa
vengono separati dalla Chiesa, che ne è l'organismo vivente, e subito proposti al
credente, chiamato a farsi interprete e giudice: così isolati, i
La Bibbia diventa un mero documento soggetto a critica storica, e lo è
pone la Chiesa al di sotto dell'opinione soggettiva. La deviazione consiste
12
essenzialmente nel proclamare la Fede direttamente dalla Bibbia all'esterno
passare attraverso il dogma
È l'errore luterano, che nega la Tradizione e il Magistero e altera anche il valore
della stessa Bibbia, separata dall'organismo vivente della
Chiesa, è ridotta a un semplice museo delle cose passate e a una collezione di libri
eterogeneo. La Chiesa è riferita a luci individuali e la dottrina di
fede a storici e critici: l'adesione alla verità religiosa acquista la
forma di un atto individuale al di fuori della comunità voluta da Cristo. Ora
ebbene, poiché l'esegesi con cui si presenta il testo biblico è dominata
dal pregiudizio razionalista, che rifiuta tutto ciò che eccede l'intelligibile,

12Seguendo questa direzione pedagogica, si arriva all'assurdità della svolta dei bambini
sugli apocrifi e sui logia di Cristo, mentre ignorano il Credo, i sacramenti
e i principali misteri della fede.
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256 13. Catechismo

oggi c'è la tendenza ad evitare la difficoltà in cui ci pone il messaggio della Fede
presenza della materia in questione, e attenersi a una prospettiva simbolica. Questo
inizia con la Creazione, continua con la nascita verginale di
Gesù e la sua Risurrezione, e termina con la Presenza Reale di Cristo nel pane
e il vino consacrato, con la nostra stessa risurrezione e con la Parusia del
Signor. 13
Qui si fa chiaramente riferimento agli errori dogmatici che
viziare la nuova catechesi. La Creazione non è chiaramente professata, né costituisce
il discorso iniziale dell'insegnamento: se ne parla solo al cap.
9, identificata con la creazione che Dio fa del suo popolo, liberandolo da
schiavitù.
La nascita verginale di Cristo non ne ha in Pierres vivantes
connotazione dogmatica, poiché Maria è designata come una giovane donna della Palestina
che Dio ha scelto per essere la madre di Gesù: non si parla di Immacolata Concezione,
né di parto verginale, né di divina maternità.
La Pasqua di Resurrezione è un evento pneumatico che si svolge nel
fede della comunità primitiva, e per necessaria conseguenza (così fortemente
affermata da San Paolo in I Con 15, 12 e segg.) anche la risurrezione di
il morto è qualcosa in cui si crede semplicemente, ma manca di realtà
historica.
L'Ascensione è una pura metafora dell'apoteosi morale di Cristo, fin da allora
Pierres vivantes dichiara
´ expressis verbis: Ascendere al cielo è un'immagine
per dire che Egli è nella gioia del Padre. Anche un semplice uomo
eleva così alla gioia del Padre. Dove la Scrittura dice che è salito al cielo
videntibus illis (Ecc. 1, 9), el catecismo franc´es ense˜na que los cristianos
credono che il quarantesimo giorno dopo Pasqua Gesù sia lassù
qualunque cosa.
Infine, l'Eucaristia è ridotta alla memoria della Cena del Signore
celebrata dalla comunità cristiana, e il capitolo ad essa dedicato in Pierres Vivantes
è intitolato I cristiani ricordano. È la tesi innovativa di
transsignificazione e transfinalizzazione, di cui ci occuperemo nei §37.3-37.11.
Anche se non in dettaglio, articolo per articolo, ma attraverso omissioni, metafore e
reticenze (tanto più significative se confrontate).
formule con le formule del vecchio catechismo), Pierres vivantes no
nascondere la sostanza anomala ed eterodossa che presenta i figli di Francia
14 .
come la fede della Chiesa cattolica

13Il testo integrale del convegno è pubblicato dall'editore T´equi, Par´ÿs 1983, sotto
el t´ÿtulo Trasmissione della fede e sorgente della fede.
14Poco dopo il card. Ratzinger, ha ribadito il Papa davanti al
Consiglio Internazionale per la Catechesi il legame essenziale tra catechesi e dogma. è missione
della catechesi (ha detto) trasmettono, spiegano e fanno vivere pienamente le realtà
contenuto nel Simbolo della fede (OR, 16 aprile 1983).
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13.8. Restauro della catechesi cattolica 257

13.8. Restauro della catechesi cattolica


Secondo il card. Ratzinger, la catechesi cattolica è una didattica (una
comunicazione di verità) e il suo contenuto è il dogma della Chiesa: non la
parola della Bibbia, storicamente e filologicamente astratta, ma la parola della
Bibbia custodita e comunicata agli uomini dalla Chiesa. Non è possibile, come
sostiene il catechismo francese, rinviare l'insegnamento dei dogmi all'età
adolescenziale e intanto avvicinare direttamente il bambino alla Bibbia, il cui
significato si coglie da varie letture: il significato dell'Antico Testamento,
quello del il Nuovo e, infine, quello che la Bibbia ha per i cattolici di oggi. Lo
15
storicismo applicato alla Rivelazione è perfettamente coerente con la dottrina
modernista secondo cui il divino è un noumeno inconoscibile che lo spirito
dell'uomo riveste e trasforma in mille modi, il cui risultato è il complesso
fenomeno religioso dell'umanità. Al catechismo francese è rivolto il monito di
Giovanni Paolo II nel discorso di Salamanca: Siate, dunque, fedeli alla vostra
Fede, senza cadere nella pericolosa illusione di separare Cristo dalla sua
Chiesa o la Chiesa dal suo Magistero (Messaggio di Giovanni Paolo II alla
Spagna, BAC, Madrid 1982, p.54). Allo storicismo di Pierres Vivantes il card.
Ratzinger si oppone all'immobilità del dogma, che deve essere illuminato dai
catechisti in modi diversi: con varietà psicologica, letteraria e didattica, ma
conservando la sua identità sostanziale all'interno del flusso storico. Non
esistono diverse modalità del dogma, ma diverse (anzi infinite) possibilità
espressive. La catechesi è essenzialmente intellettuale e mira alla trasmissione
della conoscenza, non all'esperienza esistenziale o al cosiddetto inserimento
nel mistero di Cristo. Certamente le verità di fede vengono insegnate perché
diventino pratiche e vita, ma l'oggetto proprio della catechesi è la conoscenza,
e non direttamente l'etica.
Il cardinale vuole che la questione sia ordinata secondo lo schema del
Catechismo tridentino, seguito in tutto il mondo cattolico fino al Vaticano II.
Occorre dunque insegnare ai fanciulli, non appena sono capaci di apprendere,
ciò che il cristiano deve credere, il che costituisce l'esposizione del Credo;
poi ciò che si deve desiderare e chiedere a Dio, che costituisce la spiegazione
del Pater noster, infine ciò che si deve fare, che costituisce la lezione del
Decalogo.
Tale tripartizione ha una grande profondità metafisica e teologica
(nemmeno i nuovi catechismi l'hanno intravista), perché risponde alla primaria
costituzione trinitaria dell'ente, alla distinzione interna della Trinità divina, e
infine alla distinzione ternaria delle virtù teologali :

15E si noti che queste tre letture dello stesso testo si differenziano anche
tipograficamente, adottando tre colori per contrassegnarle.
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258 13. Catechismo

fede, speranza e carità. A queste tre parti del Catechismo cattolico si aggiunge
il trattato sui sacramenti, e anche l'esistenza di questa quarta sezione è
conforme alla dottrina cattolica: solo con l'aiuto della grazia, comunicata
mediante i sacramenti, rende l'uomo capace di compiere il bene morale legge,
confermata ed elevata dalla legge evangelica. La carta. Ratzinger rivendica
anche la necessità dell'uso della memoria e l'efficacia del metodo dell'ameba:
entrambi sono inerenti al contenuto dogmatico e incompatibili con l'esame
euristico e con l'approccio esistenziale.
La grave censura sollevata dal card. Ratzinger al catechismo francese non
perde assolutamente nulla del suo valore teorico dottrinale per il fatto che,
dopo averlo esposto in un discorso pubblicato poi in venti pagine, lo ha
ritrattato in un comunicato di venti l righe concordato con i vescovi francesi.
Rimandiamo ai §6.3-6.8 sulla rinuncia all'autorità.
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Cap'itulo 14

Gli ordini religiosi

14.1. Gli ordini religiosi nella Chiesa postconciliare

Poiché gli ordini e gli istituti religiosi assumono la parte peregrinatoria o


consultiva della religione, è normale che la deviazione che ha
investito nella parte comune della religione ha fatto un assalto speciale
la parte speciale della Chiesa. La legge dei loquimini nobis placentia, con la quale
si abbelliscono i propri difetti e si dipinge la propria perfezione con colori accesi,
generalmente serviti a nascondere il grande declino avvenuto in
ordini religiosi, adottando la prospettiva ottimistica di Giovanni XXIII
e considerare la variazione e il mobilismo come sintomi di vitalità.
Nonostante ciò, il declino è evidente nel fenomeno delle defezioni dalla vita
consacrata da parte dei consacrati (§ 7.1). non ho intenzione di
dicono che tutte le compagnie religiose (grandi o piccole, maschili o femminili)
femminili, contemplative, attive o miste) sono state decimate in venti
anni, ma sono stati ridotti a una frazione di se stessi. attaccarsi a
le statistiche ufficiali della raccolta delle tavole statistiche (1978), cfr
Tra il 1966 e il 1977 il numero dei religiosi nel mondo è sceso da duecentottomila a
1 .
centosessantacinquemila, cioè di un quarto, né si può affermare, come si tenta,
che la diminuzione del numero possa è accompagnato da una raffinatezza qualitativa:
la qualità si manifesta
da solo in quantità. L'esperienza di un ideale può solo acquisire
perfezione se vi sono molti soggetti impegnati. È necessario essere
molti in modo che alcuni si distinguano, nello stesso modo in cui si deve lavorare

1 La più grande rovina si manifesta nei Domenicani, da diecimila a seimila; tra i


Cappuccini, da sedicimila a dodicimila; nei Gesuiti da trentaseimila a ventiseimila; e dentro
i Salesiani, da ventiduemila a diciassettemila.

259
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260 14. Ordini religiosi

molto per lavorare bene.


2
La decadenza è dimostrata anche dalle novità . Nel
capitolo riunito a questo scopo, tutti gli Istituti religiosi hanno riformato le loro
costituzioni e regole in modo talvolta sconsiderato, e sempre con maggiori effetti
distruttivo che costruttivo. Carta interrogata. Dani´elou sull'esistenza di una
crisi nella vita religiosa, ha dato una risposta cruda e dolorosa: Penso che
attualmente ci sia una crisi molto grave nella vita religiosa.
e che non si può parlare di rinnovamento, ma piuttosto di decadenza. E 3
situa la sua ragione sommaria nella distorsione dei consigli evangelici,
preso come prospettiva assiologica e sociologica invece che come a
4 .
speciale stato di vita strutturato su di loro
Il rinnovamento avrebbe dovuto significare un adattamento ad extra per
realizzare più efficacemente la santificazione, scopo generale della Chiesa
e scopo specifico della vita religiosa. Il rapporto con il mondo è sempre stato
presente nella mente dei fondatori e dei riformatori. Quando
la schiavitù era in vigore tra maomettani e cristiani, il
Mercedari per il riscatto degli schiavi; quando le epidemie si aggravarono,
apparvero gli Antomani, i fratelli della Carità e i Camiliani; quando era
necessario diffondere l'istruzione tra le classi popolari,
c'erano gli Scolopi. Per non parlare delle congregazioni moderne,
diversificato in mille modi per adattarsi alle diverse esigenze del
società.
La legge generale in base alla quale si sono verificate le riforme postconciliari è stata la
seguente: tutte le riforme senza eccezioni sono fatte dal difficile al facile o
meno difficile, e mai al contrario dal facile al difficile o al più
difficile. Questa legge generale delle riforme postconciliari è l'inverso di quella
appare nella storia degli ordini religiosi. Tutte le riforme derivano da
disgusto per l'ammorbidimento della disciplina e il desiderio di una vita
più spirituale, orante e austero. Dai cluniacensi, ad esempio, provenivano

2Lo spirito di novità produce anche disaffezione verso il Fondatore, abbandono


anche i luoghi essenziali della tua vita. Nel 1870 Pio IX propose a Don Bosco di trasferire il
lavoro da Torino a Roma chiedendogli: La tua congregazione perderebbe qualcosa?; gli ho risposto
il Santo: Santo Padre, sarebbe la tua rovina (Memorie biografique di don Bosco, vol. IX, p. 319).
Tuttavia, nel 1972 il Capitolo Maggiore dei Salesiani si trasferì a Roma e il Direttore
dichiarato testualmente: Che poi sarebbe stata rovina per i Salesiani, cento anni
successivamente (avendo cambiato radicalmente la situazione) diventa una necessità (OPPURE,
9 giugno 1972). E non vale la pena dire che Tur´ÿn continua ad essere il centro spirituale e
sarà più di prima. Sarebbe abusato di parole: un centro non può rimanere il centro
quando gli organi centrali lo lasciano.
3MAURICE DE LANGE, Sulla scia degli Apostoli, Par´ÿs 1976, p. 223.
4Anche il card. CIAPPI, in OR del 3 luglio 1981, denunciava le deviazioni da
la riforma realizzata con il pretesto di adattarsi al mondo.
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14.2. L'alterazione dei principi. Stabilità 261

i Cistercensi, e dei Cistercensi i Trappisti. Dei Minori, per


successive aspirazioni ad una maggiore severità, vennero fuori (ignorando il
Fraticelli) los Observantes ya´un despu´es los Reformados y los Capuchinos,
sempre con movimento ascendente e demondizzante, e mai con a
trend discendente e mondano, come per la prima volta si è verificato
oggi nella Chiesa.
La riforma è elaborata in gran parte attraverso una grande quantità di verbosità
caratteristica monotipica del lessico innovativo. Nei Capitoli di rinnovamento il
La congregazione si interroga, si lascia interpellare, confronta esperienze,
cerca nuove identità (implicando inavvertitamente che diventa
in qualcosa di diverso da sé), sviluppa nuovi principi operativi,
prende coscienza dei nuovi problemi della Chiesa (il che significa che il
i fini sono alterati), attacca il problema della creatività e tende a costruire
vere comunità (come se da secoli non si incontrassero nel
istituzioni religiose piuttosto che pseudo comunità), escogita i modi
5
da inserire nel contesto, ecc.

14.2. L'alterazione dei principi. Stabilità

Come quella di tutte le altre parti del corpo ecclesiale, la crisi del
religioso è la conseguenza di un'assimilazione esagerata al mondo, le cui
posizioni sono adottate perché dispera di conquistarlo da posizioni
Proprio. È un'alienazione dovuta alla tendenza a perdere l'essenza e il suo trasferimento
ad un altro. E né minore né insignificante è la trasformazione dell'abitudine di
religiosi e religiose, sempre informati dal desiderio di non differenziarlo più
dall'abbigliamento secolare. Allo stesso tempo che è un sintomo della perdita di
anche l'essenza, o almeno gli accidenti propri dell'essenza
un sintomo di servitù. Non bisogna dimenticare quella singolarità a volte
L'aspetto stravagante dell'abbigliamento religioso doveva indicare l'unicità
dello stato religioso ed era anche un importante segno di libertà di espressione.
la Chiesa, indipendente dalle mode e dai costumi. Dal solito disprezzo per
l'abito ecclesiastico scende poi al disprezzo dei liturgici, e si vede oggi
sacerdoti in abiti puramente profani officiano le celebrazioni (Esprit et
Ven, 1983, pag. 190, che deplora l'apatia dei vescovi su questo punto) 6 . IL

5Questi esempi sono tratti dai progetti di rinnovamento dei Salesiani della Hispanoamerica nel
Bollettino Salesiano, settembre 1978, pp. 9-12. Ma sono comuni a tutti
i capitoli della riforma (OR, passim).
6GIOVANNI PAOLO II condanna nella lettera ai suoi la licenza nelle vesti degli ecclesiastici
Vicario del Comune dell'8 settembre 1982, dove afferma che le ragioni ei pretesti
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262 14. Ordini religiosi

la vita religiosa è uno stile di vita conforme ai consigli evangelici e quindi


oggettivamente più eccellente (è l'opzione offerta da Cristo, Mt 19,21: Si vis perfectus
esse (Se vuoi essere perfetto) ) della vita comune, basata sui precetti. La tendenza
secondo cui oggi si riforma la vita religiosa è parallela alla tendenza con cui si riforma
il sacerdozio. Nel secondo è l'annullamento della distanza tra il sacerdozio
sacramentale e il sacerdozio comune dei fedeli, nel primo è l'annullamento della
distanza tra lo stato di perfezione e lo stato comune. Le specificità della vita religiosa
svaniscono e si diluiscono, sia nella mentalità che nella pratica. Poiché l'esistenza
dell'uomo è in continuo mutamento e la volontà umana si aggira perennemente intorno
alla persistenza e fissità della legge, uno stato di vita implica un ordine fisso su cui
tale flusso si modella. Questa fissità è concessa dall'impegno della volontà, che si
lega pro sem per a quell'ordine: cioè al triplice voto di castità, povertà e obbedienza.

Ora, proprio a causa del distanziamento nell'osservanza dei voti (non per discrezionalità
individuale e contingente, ma per alleggerimento canonico stabilito nei Capitoli
generali di riforma) si verifica un tale declino della Regola.

E soprattutto è venuto meno il principio di stabilità. La stabilità che il monaco


prometteva secondo la Regola benedettina aveva un doppio significato, successivo al
doppio significato della parola. Spesso basta riferirsi al significato originario e intimo
delle parole per chiarire una questione. Il latino regere (da dove abbiamo regula) ha un
duplice significato, poiché significa sostenere e dirigere.

La regola monastica è una norma che orienta la vita e insieme la sostiene. Allo
stesso modo, il latino stare (da cui abbiamo stabilitas) significa stare fermo e stare
dritto. La stabilità religiosa implicava che il monaco restasse in un monastero e non
cambiasse indirizzo, affinché in quella stabilità locale il religioso trovasse un elemento
di scala verticale e una condizione che gli facilitasse il mantenersi integro nel
comportamento morale e religioso.

Oggi la stabilità locale è scomparsa. Non si tratta più del fatto che in tutti gli
ordini religiosi il superiore non ha modificato per secoli il domicilio dei sudditi:
piuttosto, il diritto canonico contemplava espressamente questa instabilità ordinata
dai superiori. È che la mobilità è entrata nella vita interna delle singole comunità. Non
solo a causa della maggiore mobilità generale dell'umanità, se ne vanno anche

a favore del modo promiscuo di vestire sono molto più di carattere prettamente
umano che ecclesiologico (OR, 18-19 ottobre 1982). Il Cardinale Vicario ha subito
promulgato norme valide per tutto il clero residente in Roma, ma si attende ancora la loro osservanza.
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14.3. La variazione di fondo 263

i religiosi per viaggi, vacanze o sport (spesso nascosti con intenti culturali o
apostolici), ma i membri della stessa comunità vivono in case separate,
separandosi localmente ed esperienzialmente dai fratelli. L'istituto
dell'exclaustratio, che era una singolarità, è diventato una forma normale di vita
religiosa. Invece di una dimora cenobitica, c'è una sorta di diaspora in cui i
citati valori di stabilità si disperdono e la vita comunitaria perisce.

14.3. La variazione di fondo


C'è una variazione di fondo verso cui si muove il rinnovamento, e se fosse
raggiunta darebbe luogo a un cambiamento catastrofico (§§ 4.2 e 5.7) equivalente
all'annichilimento. Questa variazione fondamentale si inserisce in una rivolta
7
antropotropica che caratterizza l'attuale momento della Chiesa, che appare .
in capite libri nella definizione delle finalità della professione religiosa e
contempla i principi generali della morale e della religione. Qui basta osservare
che il nuovo fine assegnato alla vita religiosa, il servizio all'uomo piuttosto che
il servizio a Dio (oppure il servizio all'uomo identificato con il servizio a Dio),
poggia sul falso presupposto che l'uomo non ha e non può avere una propria la
salvezza come fine, perché guardare alla propria salvezza sarebbe un vizio
dell'utilitarismo teologico. Nell'amore dell'uomo non potrebbe esserci posto per
l'amore dell'individuo per se stesso, e sarebbe vizioso perseguire la giustizia
proprio perché dalla giustizia deriva la beatitudine.
Se ci addentriamo in questo argomento, basterà ricordare che la finalità che
egli propon'ÿa quien hac'ÿa los votos religiosos era expresis verbis la salvaci'on
de su propia alma. Se torniamo al monachesimo orientale, sii fin de la vida
religiosa se desprende del prologue de la Regla de San Benito: E se vogliamo
sfuggire alle pene dell'inferno e raggiungere la vita eterna, mentre è ancora
libero e noi siamo in questo corpo dobbiamo correre e agire nel modo che ci è
8
opportuno in perpetuo (P L., 66, 218) .

7Anche al congresso dell'Unione Superiori Generali, svoltosi a Grottaferrata nel


maggio 1981 con la presenza del card. Pironio, è stato proclamato che il rinnovamento
affonda le sue radici non tanto in certi cambiamenti più superficiali che sostanziali,
ma nell'autentica rivoluzione copernicana avvenuta nel modo concreto in cui oggi
i membri degli Istituti si interrogano come religiosi. Qui affiora il motivo della variazione
catastrofica citata nei §§5.7-5.8. Molto singolare è anche l'affermazione che sarà la storia
dell'Istituto a definirne il carisma. Sembra che la storia di un istituto, che è la spiegazione
del carisma del Fondatore, ne sia stata nondimeno la matrice (OR, 11 giugno 1981).

8 E se, fuggendo le pene dell'inferno, vogliamo giungere alla vita eterna, è necessario
che finché c'è ancora tempo e abitiamo in questo corpo e ci è dato di compiere tutte queste
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264 14. Ordini religiosi

Ma non appare da meno nei grandi Fondatori moderni. A padre Lemoyne,


che nel 1862 voleva entrare nella congregazione istituita da Don Bosco per
aiutarlo nel poco che poteva, il Santo rispose: No, le opere di Dio non hanno
bisogno dell'aiuto degli uomini: vieni solo per il bene della tua anima. Giovanni
9
Paolo II non si discosta dalla dottrina tradizionale, e nel suo discorso ai
sacerdoti ha ammonito: Il vostro primo dovere apostolico è la vostra stessa
santificazione (OR, 1 ottobre 1979). Nella concezione cattolica, il bene
dell'anima è la giustizia perfetta, cioè il compimento della volontà divina, in cui
consiste il servizio divino e dove si celebra la gloria stessa di Dio. Non c'è in
questa visione, difficile ma vera, alcuna ombra di utilitarismo teologico. Lo
scopo di ogni professione religiosa è ancor più espressamente affermato nelle
Costituzioni dell'Istituto della Carità e nelle precisazioni date su questo punto
da Antonio Rosmini: L'Istituto della Carità associa i fedeli cristiani che, ardenti
di desiderio di seguire Cristo, « con l'aiuto e l'incoraggiamento reciproci
tendono alla propria perfezione." E spiegando lo scopo singolarissimo della
vita religiosa, Rosmini scrive che tale fine è pensare anzitutto a se stessi, alla
propria anima, per purificarla sempre più con l'aiuto di Dio, fine per il quale
l'uomo si propone, in questo Istituto , per fare un sacrificio completo di se
stesso a Dio; e gli stessi esercizi di Sant'Ignazio e le missioni che l'Istituto
accetta di svolgere non sono considerati come un fine, ma piuttosto come un
mezzo per la propria santificazione. Infine, l'Opus Dei (fondato nel 1928 dal
10
beato Escriv'a de Balaguer, eretto come Prelatura personale nel 1982 e conta
settantamila membri) ha come scopo principale la santificazione personale
attraverso l'adempimento dei doveri dello Stato stesso. Le formule per la
propria salvezza, per raggiungere il paradiso, per salvare l'anima, non sono
peculiari dell'ascetismo monastico, ma raggiungono il terreno comune della
coscienza cristiana e fanno parte della preghiera liturgica, preghiera comune
in centinaia di espressioni popolari e persino nelle stile notarile di contratti e
testamenti: per la salvezza della mia anima, in suffragio per la mia anima, ecc.
La vita religiosa, la cui forma essenziale erano i tre voti, oggi si allontana dalla
verticale istituzionale e si rivolge allo sviluppo della personalità dei suoi
membri nel mondo e al servizio dell'uomo.
11
.
cose alla luce di questa vita, corriamo e pratichiamo ora ciò che ci è bene per
l'eternità
9Questa verità è oggi negata da laici e sacerdoti. Mons. RIBOLDI, Vescovo di
Acerra, al simposio di Lugano su Vangelo e società, condanna chi crede che
l'appartenenza alla Chiesa si riduca ad un impegno per la perfezione religiosa e la
ricerca della propria salvezza.
10I Epistolario completto, vol. VI, p. 92, Casale Monferrato 1890, carta al p. G. B.
Reinaudi.
11Una visione ampia e diversa della riforma degli ordini religiosi dal punto di vista
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14.4. Le virtù religiose nella riforma postconciliare 265

14.4. Le virtù religiose nella riforma postconciliare

Le virtù religiose nella riforma postconciliare. Castità.


Temperanza
Questa inclinazione della verticale può essere riconosciuta
nell'esercizio delle virtù commesse nei voti, e quindi particolarizzarsi
diversamente. Sappiamo bene che tutte le virtù sono connesse (Summa theol. 1, II, q.
65), ovvero sono un'unica virtù. Infatti, se la virtù è l'abitudine di
volontà sempre inclinata verso la legge eterna, atto di ogni singola virtù
è una specificazione di quell'abitudine; quindi si può dire che in ciascuno
est´an las otras, aunque no aparezcan
12
ce n'è anche un altro, per cui si dice veramente che chi ha uno ha tutto. Loro possono
analizzate quindi le virtù uniche nella vita religiosa: la riduzione
di ciascuno di essi supporrà simultaneamente la diminuzione della virtù
religiosa in genere 13 .
Per quanto riguarda la castità, si evidenziano minori delicatezze e
cure, sia nel generale lassismo assunto dalle consuetudini clericali, sia nella
nella promiscuità più frequente anche nei viaggi, e nell'abbandono
di quelle precauzioni praticate da uomini santi e grandi, oggi scartate in
teoria e neglette in pratica. Non va nascosto che il
la ripugnanza per la castità, di solito nascosta, è la causa di gran parte di
le defezioni. Nel Motu proprio Ecclesiae Sanctae di Paolo VI, si prescrive
al §22: I religiosi devono attendere più degli altri fedeli alle opere
di penitenza e mortificazione.

rinnovamento è stato dato dai cappuccini della provincia elvetica in un programma trasmesso
dalla Televisione Svizzera il 7 aprile 1982. Le riforme attuate sono state presentate in
la sua totalità sotto una formula generale: le deviazioni dalla Regola sarebbero nuove vie di
seguire la Regola e così, violando la Regola, il Fondatore S.
Francisco. Le esperienze di quei cappuccini sono state esibite come valori positivi.
che, al ritorno dalle missioni, lasciano la propria comunità e cessano ogni attività propria
religiosi che dichiarano di voler entrare in una nuova esperienza della ricerca di Dio: loro
poi si abbandonano a una vita vagabonda o eremitica, eludono i loro obblighi professati,
seguono la fede nell'uomo come principio e intraprendono opere di filantropia (proclamando
non intraprendere opere cattoliche, ma opere di persone raccolte attorno alla fede dell'uomo).
Affermano che la povertà non consiste nell'abbandono della ricchezza, ma nella sua distribuzione.
Come al solito confondono le essenze, trasformando la povertà imitando
Cristo in virtù della carità per amore dell'uomo.
12 SAINT BUENAVENTURA, Sul progresso della religione, lib. 2, cap. 24
13Per percepire la distanza tra la disciplina antica e quella moderna, è utile leggere
ROBERT THOMAS in La journ´ee monastique, Parigi 1983, dove descrive i costumi
Cistercensi.
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266 14. Ordini religiosi

´
La virtù della temperanza (ordinata negli antichi Ordini dalla Regola, osservata
individualmente e praticata comunitariamente) si manteneva in
tempi moderni fino al rinnovamento postconciliare.
Ignorando le diete a base di pane e acqua dei reclusi orientali, il
xerofagie cenobitiche e le diete rigorose di Chartreux, dei Trappisti
e dei Minimi, si può affermare che tutti gli Istituti religiosi da
Il Concilio di Trento, anche le fondazioni più moderne, prescriveva pasti molto frugali
e bevande moderate: al mattino caffè con latte e pane,
a mezzogiorno minestra, carne con contorno, un frutto e un bicchierino di
vino 14 ; la sera una minestra e un pasto a base di verdure.
È superfluo aggiungere che si praticava l'astinenza dalla carne e il digiuno
nei giorni di obbligo. Oggi in certi paesi ricchi il cibo consiste, per
fare colazione, in caffè, cioccolata, tè, latte, marmellata, pancetta, formaggio, yogurt,
pane e biscotti; da mangiare, in antipasti, minestra, carne o pesce con
due contorni, frutta o dolce, pane, caffè e un bicchiere di birra o vino; A
a metà pomeriggio vengono offerti latte, caffè, tè, biscotti e frutta; a cena, proprio come
da mangiare, tranne antipasti e caffè.
Non voglio qui cadere nell'erroneo giudizio di chi, per mancanza di conoscenza
storica, equipara tutti i tempi e tutti i costumi; quando si applica il
giudizio misto storico-morale sulla virtù monastica, l
criterio di virtù, ma senza dimenticare le relatività storiche. Quelle feroci mortificazioni
dell'istinto dell'appetito in cui è famoso l'ascetismo
orientali erano un modo di separarsi dal cibo comune degli uomini,
molto meno ricco e meno vario di oggi.
La mortificante privazione deve essere calcolata pro rata parte, in modo che
il cibo mortificante è diverso dal cibo comune. In un momento in cui
che la maggior parte di loro mangiava pane di segale (per limitarci all'usanza
dell'Insubria lombarda) seduti per
settimane e mesi, o di castagne, lo esigeva la temperanza monastica
Se si toglieva ancora qualcosa a quella già esigua quantità di cibo, si arrivava ad
austerità oggi inconcepibili. Il cibo monastico deve ora diminuire
una dieta incomparabilmente più opulenta: ma deve sminuirla. In mezzo alle relatività,
che cambiano di secolo in secolo, rimane il

14Il vino era spesso di cattiva qualità. Don Bosco, ad esempio, acquistò le spoglie
dal mercato e li annacquava ancora, così scherzando diceva: ho rinunciato al diavolo,
pero no a sus pompas, Memorie biografiche, vol. IV, p. 192 (edici´on no comercial). Pero el
escrito m´as significado est´a en la Apologia ad William abate de SAN BERNARDO,
dov'è una vivida rappresentazione del rilassamento della vita monastica nel XVIII secolo.
XII. Ora è visibile nel primo volume dell'Opera Omnia, edito dallo Scriptorium
Claravalla, Milano 1984, pp. 123 e segg. E guarda cosa dico a riguardo nell'Introduzione,
pp. 139-143.
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14.5. povertà e obbedienza 267

Requisito fondamentale che il cibo dei consacrati sia inferiore alla dieta
comune e possa essere riconosciuto come tale. Nemmeno nel cibo il religioso
è un uomo come gli altri.

14.5. povertà e obbedienza


Considero la temperanza inclusa nella povertà, perché è veramente una
parte della vita umile e piccola a cui è reindirizzata. Tuttavia, sebbene la
temperanza sia povertà nel cibo, il saccheggio commesso nei voti religiosi
arriva (oltre alle parti che toccano il necessario, come il cibo) anche a tutti i
gadget che compongono le comodità del vivere e che devono essere diminuiti
e rinunciato, resta inteso che seguendo il criterio della relatività storica sopra
citato. La povertà non richiederà di illuminare la notte con luci a olio e candele
nell'era dell'elettricità, e nemmeno attenersi ai luoghi designati di Deut. 23,
12-13 in un secolo dove i bagni sono lussuosi come stanze reali e su di essi
si pubblicano anche cataloghi; né difendersi dal freddo con un solo fuoco nel
secolo dei termosifoni elettrici e del riscaldamento centralizzato, quando il
calore salutare viene distribuito da un'unica fonte a un intero edificio, a un
intero appezzamento di terreno a un'intera città. Né ridurre la comunicazione
a comunicazione epistolare, attraverso lenti e scarsi messaggi postali, nell'era
dei telefoni e della telegrafia. È necessario che l'aumento generale del comfort
trasferisca al genere del necessario ciò che prima apparteneva a quello del
superfluo.

So bene che si chiama progresso quel movimento che sempre più, e ad un


numero sempre maggiore di persone, rende necessario ciò che era superfluo.
La progressiva scomparsa dell'autarchia dell'individuo è caratteristica della
civiltà contemporanea, nella quale l'uomo è aiutato e diretto quando fa tutto.

Ma anche se il movimento della civiltà va in questa direzione, è caratteristico


degli uomini dediti allo stato di perfezione evitarlo il più possibile, o almeno ai
suoi eccessi. Ad esempio, l'uso dei mezzi radiofonici e televisivi, fino a pochi
anni fa vietati nelle comunità religiose, è stato poi concesso alla comunità in
quanto tale, ed è ora entrato nelle singole celle.

I media audiovisivi, che quotidianamente registrano le stesse immagini in


milioni di cervelli e il giorno dopo ne registrano di nuove diverse nello stesso
cervello (come sulla stessa pagina ristampata migliaia di volte), sono l'organo
potente fonte di corruzione intellettuale nel mondo contemporaneo.
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268 14. Ordini religiosi

Non negherò quello di queste antenne prodigiose, che mandano in giro per il mondo
provengono influenze più efficaci delle costellazioni delle sfere celesti
anche qualche minima influenza capace di essere utile per accidens alla religione.
Tuttavia, nego che questa piccola parte possa legittimare l'uso abituale
e indiscriminato di tale comodità e diventare un criterio su cui
modellare i ritmi della vita religiosa. Come non stupirsi quando
alcune comunità hanno abbandonato la secolare usanza di recitare in
la chiesa le preghiere notturne, per non ostacolare la fruizione del
programmi televisivi contrari all'osservanza della Regola?

14.6. Nuovo concetto di obbedienza religiosa

Ma il punto in cui il reindirizzamento che facilita il rinnovamento


Degli ordini religiosi si manifesta più chiaramente nell'obbedienza. IL
l'inflessione risulta essere ottima se è parallela alla vecchia osservanza, ma di più
anche se si considera la variazione avvenuta nel concetto stesso di obbedienza.
Abbassare il concetto di questa virtù ne abbassa inevitabilmente la pratica.
La declinazione teorica sancita nei Capitoli Generali di riforma ha
avvenuta secondo il processo usuale nella corrente innovativa. non proposto
un nuovo concetto in cui il cambio di genere si sarebbe presto notato, ma
che si intende raggiungere un altro stile e un altro modo dello stesso (§§5.3-5.4).
A riprova, dopo aver abbassato il principio di autorità introducendo uno
stile fraterno, nel citato Congresso il
Superiori generali abbassano contemporaneamente quello dell'obbedienza:
l'accentuazione´ del carattere di servizio dell'autorità implica un nuovo stile di
obbedienza. Questo deve essere attivo e (OR, 18 ottobre 1972).
responsabile e divagando nel circiterismo: l'autorità e l'obbedienza si esercitano come
due aspetti complementari della stessa partecipazione al sacrificio di
Cristo.
Certamente i Superiori non negano che l'obbediente deve fare la volontà di
Dio, ma non identificano più la volontà di Dio con quella del Superiore,
così come l'ininterrotta dottrina dell'ascetismo cattolico. Anzi,
obbedienti e superiori procedono parallelamente nel compimento della volontà
di Dio ricercata fraternamente attraverso un fecondo dialogo.
Sotto le stesse parole corrono qui concetti di tipo molto diverso.
L'obbedienza non è affatto una ricerca dialettica di
volontà di sottomettersi, ma sottomissione alla volontà del Superiore.
Non implica una riconsiderazione dell'ordine del Superiore da parte di chi
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14.7. L'insegnamento di Rosmini sull'obbedienza religiosa 269

obbedire. L'obbedienza cattolica non ammette di fondarsi sull'esame


dell'ordine o della qualità del Superiore. L'opinione del Delegato è falsa
apostolico in Inghilterra che l'autorità vale solo quello che valgono
i loro argomenti (OR, 24-25 ottobre 1966). Questo è vero nell'argomentazione, in
cui prevale la forza logica, ma non l'autorità di governo. Si noti anche come sia
tipica la teoria dell'obbedienza assoluta
dispotismo e non è dottrina cattolica. La religione costringe a disobbedire
chi ordina un lavoro manifestamente illegale.
Questo obbligo di disobbedire è alla base del martirio.
L'obbedienza non cerca una coincidenza di volontà tra soggetto e
superiore. Questa coincidenza, raggiunta nell'obbedienza tradizionale facendo
possedere la volontà dell'altro, si ottiene ora con un'inclinazione dei due
testamenti utrinque. L'obbedienza è quindi del tutto soggettiva,
e la via del consenso cessa di essere quella del sacrificio della propria volontà
modellato sulla volontà di un altro.
In via di concordanza, chi si sottomette lo fa in ultima istanza
Inoltre. Il principio di indipendenza (che abbiamo visto produrre
l'autogoverno, l'autodidatta, l'autoeducazione e anche l'autoredenzione) non
potevano non coprire la vita religiosa, privando l'obbedienza della sua
fondamento: far scomparire tendenzialmente il soggetto per elevare l'oggetto. Il
principio dell'obbedienza religiosa cede completamente allo spirito di
indipendenza
´ e prima dell'emancipazione egualitaria. ostentazione clamorosa
di un tale (insolenza) sono stati visti negli Stati Uniti in occasione della visita
Uppiq del Papa, che è stato affrontato pubblicamente da suor Teresa Kane, presidente di
la Federazione delle monache di quel paese.
E quando il Vaticano ha licenziato suor Mary Agnes Mansour, direttrice di a
centro statale per l'interruzione della gravidanza, si sono riunite migliaia di suore
a Detroit si ribellarono alla Santa Sede accusandola di essere una potenza
sessista, di violazione dei diritti della persona, di soffocamento della libertà di
coscienza e persino di trasgressione del diritto canonico.

14.7 L'insegnamento di Rosmini sobre la obedien


cia religiosa

Per misurare quanta distanza esiste tra il concetto riformato di


l'obbedienza religiosa e il concetto
´ perennemente seguito nella Chiesa, no
Non citerò legislatori degli antichi Ordini, ma il pensiero di un fondatore moderno
in cui la profondità della speculazione andava di pari passo.
teologico e la profondità dell'ispirazione religiosa. Antonio Rosmini, fun-
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270 14. Ordini religiosi

Datore dell'Istituto della Carità (approvato dalla Santa Sede nel 1839), toglie
nelle sue opere ascetiche ogni ombra di soggettivismo nella virtù dell'obbedienza,
e la riduce alla sua nuda essenza. L'obbedienza consiste nell'abdicare
liberamente semel pro semper alla propria volontà nella volontà del Superiore,
e quindi rinunciare all'esame dell'ordine.
L'obbedienza è certamente un atto altamente razionale, perché si fonda su
una persuasione ragionata: ma non sulla persuasione che l'opera concreta
ordinata sia buona (questa era la dottrina di Lamennais), bensì sulla persuasione
che il superiore ha la legittima autorità di ordinare . La filosofia delle parole si
schiera con l'asceta. Il verbo greco che significa obbedisco, significa anzitutto
e di per sé sono persuaso: non della bontà dell'atto, che quindi io stesso farei
per scelta autonoma, ma del diritto di comandare di chi comanda.

Se l'obbedienza si riduce a persuasione soggettiva circa la bontà della cosa


comandata, la virtù dell'obbedienza si diluisce. L'obbedienza diventa auto-
obbedienza. Rosmini lo insegna in molti luoghi. Se la ragionevolezza dell'ordine
è stabilita come motivo dell'obbedienza, l'obbedienza è distrutta. E più
espressamente: bisogna obbedire con semplicità, senza pensare se l'ordine è
giusto o no, utile o inutile. E ancora: La cecità dell'obbedienza è la cecità della
fede stessa. E con un'espressione più energica: Dobbiamo essere vittime con
Cristo, e ciò che viene immolato deve essere il ferro dell'obbedienza. E a un
suo religioso in Inghilterra, con un paradosso non paralogico: un solo atto di
15
obbedienza vale più della conversione di tutta l'Inghilterra .
La dottrina rosminiana, che è quella cattolica, è enormemente profonda,
perché identifica l'obbedienza con l'atto essenziale della morale: riconoscere
la legge e sottomettersi ad essa. È agli antipodi della prospettiva degli
innovatori, per i quali si fa per obbedienza all'ordine ciò che si farebbe per
libera scelta anche senza di esso. Al contrario, obbedire è fare perché è
comandato ciò che non si farebbe senza essere comandato. La variazione
avvenuta raggiunge il principio della morale e anche quello della teologia. Il
cristianesimo non assegna all'uomo-Dio e alla volontà umana un fine diverso
dall'obbedienza alla volontà di Dio, naturalmente o soprannaturalmente
conosciuta. L'obbedienza scomparve dopo le riforme postconciliari, e Paolo VI
lo fece notare nel discorso che tenne alla Congregazione Generale della
Compagnia di Gesù (OR, 17 novembre 1966), in cui testimoniò di non poter nascondere il suo stu

15Per queste cinque citazioni rosminiane si veda Epistolario ascetico, Roma 1913,
vol. io, pag. 308; vol. 111, pag. 255; vol. III, pag. 91; vol. io, pag. 567; vol. III, pag. 211.
Che cosa fosse l'obbedienza religiosa e come il Superiore concepisse il dovere di esigerla,
appare nella lettera con cui SAN FELIPE NERI escludeva dalla successione due suoi
religiosi (che si erano distinti per altri motivi) per mancanza di questa virtù. La lettera è
inclusa nell'articolo di NELLO VIAN in OR, 16-17 novembre 1981.
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14.8. Obbedienza e vita comunitaria 271

per e il suo dolore nell'apprendere le strane e sinistre suggestioni che,


seguendo i criteri della storicità assoluta, cercavano di togliere la
Compagnia dalle sue basi e di trasferirla ad altri, come se nel cattolicesimo
non esistesse un carisma di verità permanente e vera. di stabilità
invincibile. Anche nella riforma operata o tentata nella celebre Compagnia
si riconosce uno spirito di radicale novità che, per far rima con il mondo,
demolisce, insieme alle ribaltabili relatività storiche, l'essenza e il
sovrastorico della religione.

14.8. Obbedienza e vita comunitaria


Poiché la Regola è oggetto dell'obbedienza, così come la norma
16
,
unificatrice che mentes fidelium unius efficit voluntatis, l'indebolimento
dell'obbedienza porta all'indebolimento dello spirito di comunità. Nell'OR
del 22 dicembre 1972 un articolo sulla secolarizzazione della vita religiosa
accenna ad un Capitolo per la riforma di una Congregazione che ha
cancellato dalle Costituzioni del Fondatore tutte le pratiche di pietà (messa
quotidiana, lettura spirituale, meditazione, esame coscienza, ritiro mensile,
rosario, ecc.), ogni forma di mortificazione, e ha anche messo in
discussione il valore del voto di obbedienza, concedendo al religioso il
diritto all'obiezione di coscienza per i casi in cui vuole sottrarsi agli ordini
dei Superiori.
L'articolo giustamente afferma che siamo di fronte all'annullamento
della vita religiosa. Ma poi, con l'accomodamento abituale, cede a
concedere che in questo sovvertimento e annientamento della vita
religiosa ci sia qualcosa di positivo che avrebbe una funzione catartica.
Davvero non vedo come una tendenza definita distruttiva per il
la vita religiosa può poi essere descritta come la sua purificazione.
Conseguentemente, sciolto il nodo dell'obbedienza, che impegna tutti
i membri della comunità a perseguire in comune le finalità dell'Istituto e a
dedicarsi alla cura dell'anima congiuntamente con gli altri membri, gli atti
specifici dello stato religioso sono svolta dai membri individui come se la
comunità non esistesse. La messa è celebrata ad un'ora ad libitum,
meditata secondo il proprio gusto ed eremitica, oppure la preghiera è
riferita alla spiritualità personale. Lo stesso abito, a volte uniforme per
tutti i membri di un istituto, è lasciato alla libertà individuale, e quindi le
forme variano dalla tunica all'abito talare, al sacerdotale, all'abito secolare, alla scimmia,
eccetera.

16 Date alle menti dei fedeli una sola volontà. Liturgia della IV domenica
dopo Pasqua
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272 14. Ordini religiosi

Né l'imposizione della pratica della concelebrazione costituisce un correttivo


sufficiente all'allontanamento dalla vita comunitaria. Non avendo carattere
obbligatorio, ed essendo seguito solo da una parte della comunità, sembra più
un segno di divisione che di comunione. Si può quindi affermare che, non
essendo più tutti i servizi di pietà svolti in comune, la comunione tra i membri
di una stessa famiglia tende a diventare solo comunione a tavola e in casa
(anche se cfr. §14.2), o al più lavoro . Né si può giustificare la libertà individuale
negli esercizi di pietà adducendo la necessità di conformare queste cose
all'idiotropion di ogni religioso.

Se il requisito da soddisfare fosse quello dell'idiotropion, non ci sarebbero


istituti religiosi, che sono appunto destinati a mettere in comune quanto
rivendicato nella riforma postconciliare in proprio.
È evidentemente una contraddizione in terminis entrare in una comunità
per fare isolatamente e per conto proprio quelle cose la cui realizzazione
comune è causa dell'associarsi. Come ultima conclusione di questa analisi,
diremo che la crisi della vita religiosa germoglia anche a causa dell'adozione
del principio di indipendenza e della dissoluzione dei valori nella soggettività.
La comunità ritorna alla molteplicità disorganica: Chacun dans sa chacuni'ere.
Dalla libertà di giudicare il superiore si scende alla libertà di scegliere tutto
(compreso, come abbiamo visto, il domicilio). Non è un caso che in alcuni
monasteri sia abolito l'ufficio di frate portinaio. Non sto dicendo che queste
riforme non siano protette per qualche motivo: quello che sto dicendo è che il
cappotto è corto.
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Cap'itulo 15

Pirronismo

15.1. Fondamento teologico del discorso


Indubbiamente, l'analisi dello spirito di vertigine (cioè di rivoluzione e di
eccesso) che è entrato nella Chiesa del XX secolo può essere condotta anche
lungo una linea puramente filosofica. Tuttavia, nell'epistemologia cattolica, la
filosofia è una disciplina subordinata che fa appello a un'ulterioretà della fede,
e per questo la considerazione filosofica è inclusa in una considerazione
superiore, cui essa serve senza perdere la propria autonomia.
La crisi della Chiesa, come si riconosce e come abbiamo indicato nelle
epigrafi iniziali di questo libro, è una crisi di fede, ma il legame tra la costituzione
naturale dell'uomo e la vita soprannaturale (non giustapposta, ma ad essa
inerente) impone allo studioso cattolico la ricerca dell'eziologia della crisi in un
ordine più profondo di quello filosofico.
Alla base dell'attuale deviazione c'è un attacco al potere conoscitivo
dell'uomo, facendo appello in ultima istanza alla costituzione metafisica degli
esseri, e infine alla costituzione metafisica degli esseri.Prima entità: la Trinità
divina. Chiamiamo questo attacco al potere cognitivo dell'uomo con una parola
storicamente espressiva: pirronismo; e non si riferisce a questa oa quella
certezza della ragione o della fede, ma al principio stesso di ogni certezza: la
capacità di conoscere dell'uomo.
Questo vacillare nell'asse attorno al quale ruota il mondo delle certezze
richiede due dimensioni.
Primo: non è più un fenomeno isolato ed esoterico, una peculiarità di
qualche scuola filosofica, ma permea la mentalità del secolo; e anche lo stesso
pensiero cattolico si compromette con esso.
Secondo: il fenomeno raggiunge una profondità teologica oltre che
metafisica, perché raggiunge la costituzione dell'ente creato e quindi anche

273
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274 15. Pirronismo

quella dell'Ente Increato, di cui la prima è un'imitazione analogica. Come nella


divina Trinità l'amore procede dal Verbo, nell'anima umana ciò che si
sperimenta procede da ciò che si pensa. Se si nega la precedenza del pensato
sul vissuto o della verità sulla volontà, si tenta una dislocazione della Trinità.
Se viene negata la capacità di cogliere l'essere, l'espansione dello spirito nel
primato dell'amore resta slegata dalla verità, perdendo ogni norma e
degradandosi a pura esistenza. Abbandonata l'Idea divina, ritenuta
irraggiungibile, la vita umana si riduce a puro mobilismo e cessa di portare con
sé i valori del mondo ideale. E se non fosse che Dio non può permettere che la
sua creatura si dispieghi in un puro movimento separato dall'assiologia, il
mondo dell'uomo sarebbe un divenire senza sostanza, senza direzione e senza
fine.
Introducendo l'alogismo pseudoassoluto (pseudo, perché il pensiero non
può negare se stesso), il pirronismo deforma l'organismo teologico della
Trinità, e ne inverte le processioni. Se la verità è irraggiungibile, la dinamica
della vita non procede dall'intelligibile, ma la precede e la produce. Come ha
acutamente visto Leopardi, il rifiuto dell'Idea equivale in senso stretto, ultimo
e irrefragabile al rifiuto di Dio, perché toglie dalla vita umana ogni ombra di
valori eterni e indistruttibili.
Se la volontà non procede dalla conoscenza, ma è prodotta e giustificata
da se stessa, il mondo (separato dalla sua base razionale) diventa un nonsenso.
E se si nega la capacità del nostro intelletto di formare concetti che
assomiglino al reale, allora quanto più la mente è incapace di apprendere e
concepire (cioè di portare con sé) il reale, tanto più svilupperà da sé il proprio
operare , producendo (cioè estraendo) semplici escogitazioni. Queste
escogitazioni sono causate da qualcosa che raggiunge le nostre facoltà, ma è
assente dal nostro concetto di esse. Da qui provengono sia i sofistici antichi
che quelli moderni, che confidano nel pensiero nello stesso tempo in cui
diffidano del raggiungimento della verità.

Se il pensiero non ha un rapporto essenziale con l'essere, allora non


sostiene le leggi delle cose e non è misurato, ma misurato. La frase del
Prot'agoras abderitano ben ritrae l'indipendenza del pensiero rispetto alle
cose: l'uomo è la misura di tutte le cose (DIELS, 74 BI). E nelle tre proposizioni
del Gorgia di Leontini sono palpabili il rifiuto di andare all'oggetto e la perversità
della mente che gira su se stessa: Nulla esiste. Se qualcosa esistesse, non
sarebbe conoscibile. Se fosse conoscibile, non potrebbe essere espresso
1 . La malvagità dell'euristica ha avuto
(DIELS, 76 B)

1Le tre proposizioni sono paralogiche se prese senza commento, ma diventano vere
se ad esse si aggiunge la condizione di assolutezza. Nessuna entità finita è perfettamente,
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15.2. Pirronismo nella Chiesa 275

manifestazioni in tutti i rami della scienza, sempre in tempi in cui lo spirito


soggettivo faceva emergere la sua forza indipendente. Lasciando da parte le
stravaganze dei sofisti greci ei sofismi irreligiosi che negano l'esistenza stessa
di Cristo, mi occuperò del pirronismo nella Chiesa contemporanea.

15.2. Pirronismo nella Chiesa


Pirronismo nella Chiesa. Carta. L´eger. Carta. Heenan. Carta.
Alfredo. Carta. Suenens
Lo sfondo dell'attuale deviazione globale ed ecclesiastica è il pirronismo: la
negazione della ragione. È superficiale considerare, come si fa comunemente,
che la civiltà moderna sia caratterizzata da una sopravvalutazione della ragione.
Se per ragione si intende la facoltà calcolatrice e costruttiva del pensiero, alla
quale si deve tecnica e padronanza delle cose, tale attribuzione può valere. Ma
questa facoltà è di grado inferiore e si trova anche nei ragni e nelle api. Ma se,
più appropriatamente, la ragione è definita come la facoltà di cogliere l'essere
delle cose e il loro significato e di aderire ad esse con la volontà, allora l'età
contemporanea è molto più debitrice dell'alogismo che del razionalismo. Pio
XII, nel terzo Sillabo, torna a rivendicare contro lo spirito del secolo verum
sincerumque cognitionis (DEN humanae valorem ac certam et immutabilem
2
veritatis persecutionem ZINGER, 2320). E Paolo VI in OR, 2 giugno
1972, affermava chiaramente: Noi siamo i soli a difendere la forza della ragione.
Nella Costituzione dottrinale Dei Verbum 6, il Vaticano II ha ripreso il testo
,
antipirroniano del Vaticano I: Deum omnium rerum principium et finem natural
humanae rationis lumine certo . Nella Gaudium et Spes, 19, vengono condannati
verità assoluta.3 coloro che rifiutano senza eccezione cognosci posse ogni

Ma queste affermazioni contro il pirronismo non riflettono la mentalità di


gran parte del Concilio e sono antitetiche agli sviluppi post-conciliari. Il
cardinale L´eger, nella congregazione LXXIV (OR, 25-26 novembre 1963),
sosteneva: Molti ritengono che la Chiesa richieda un'unità troppo monolitica.
Negli ultimi secoli si è imposta un'esagerata uniformità nello studio delle
dottrine.

cioè tutto ciò che è possibile essere; non c'è niente che sia perfettamente conoscibile, cioè
quanto è conoscibile; e nulla è perfettamente esprimibile, cioè tanto quanto è esprimibile.

2
... il valore vero e autentico della conoscenza umana (...) e, infine, il
ricerca della verità certa e immutabile
3Dio, l'inizio e la fine di tutte le cose, può sicuramente essere conosciuto dalla luce
naturale della ragione umana, a partire dalle creature.
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276 15. Pirronismo

Il porporato canadese sembra riconoscere una minore unità dottrinale del


Chiesa in secoli molto precedenti, quando su chi la spezzava cadeva
sanzioni sanguinose; e inoltre ignora completamente la varietà delle scuole teologiche
che caratterizzano la vita storica della Chiesa.
Ma L´eger associa al giudizio storico una valutazione teorica attraverso
che cade nel pirronismo puro: Indubbiamente l'affermazione secondo la quale il
La Chiesa possiede la verità, può essere giusta se si fanno le dovute distinzioni. La
conoscenza di Dio, di cui la dottrina esplora il mistero, impedisce il
immobilità intellettuale (OR, 25 novembre 1963). Perciò nega che esistano,
nella Chiesa e fuori di essa, verità incrollabili, e sostiene il suo pirronismo
sulla trascendenza: come se l'impossibilità dell'essere finito di conoscere
infinitamente all'infinito impedisce ogni conoscenza, quando invece ne costituisce il
fondamento. Il passo di sant'Agostino, secondo il quale è necessario
cercare per trovare e trovare per continuare a cercare, è frainteso dal cardinale,
poiché contrario al pirronismo; devi cercare
trovare, e si trova continuare a cercare, ma sono cose diverse
ciò che è stato trovato e ciò che è ancora cercato: non sono la stessa cosa, come
se non fosse stato trovato nulla e, in tali condizioni, non lo fosse diventato
4
ÿÿposesi´on definitivaÿÿ .
Il cardinale Heenan confermò in OR del 28 aprile 1968 la posizione generale di
scetticismo relativista del Magistero: Il Magistero non
ha conservato più che nel papa. Non è più esercitata dai vescovi, e lo è
È molto difficile che una dottrina errata venga condannata dalla gerarchia.
Fuori Roma, il Magistero oggi è diventato così insicuro
di se stesso che quasi non prova nemmeno più a guidare. Qui è certamente attaccato
l'abbandono dell'autorità, ma indica anche l'incertezza pirroniana introdotta nel corpo
docente della Chiesa.
Il cardinale Alfrink, in una conferenza stampa del 23 settembre 1965 trasmessa
dalle agenzie durante la quarta sessione del Concilio, percepisce
anche il fenomeno; ma contrariamente al cardinale inglese, ne dà una notazione
positiva, pirronismo che professa expresis verbis: Il Concilio ha
metti in moto gli spiriti e non c'è quasi dubbio nel
Chiesa che non si mette in discussione.
Infine il card. Suenens, nella Settimana degli intellettuali cattolici francesi (Parigi,
1966): La morale è anzitutto viva; è un dinamismo di
vita, e sotto questo titolo è sottoposta a una crescita interiore che impedisce
5
ogni permanenza (Documentation catholique, n. 1468, coll. 605-606). Ho evitato

4Happy è la formula di Giovanni Paolo II nel suo discorso al CERN durante


La visita a Ginevra: è necessario unire la ricerca della verità e la certezza di sapere già
le fonti della verità (OR, 16 giugno 1982).
5Questa fissazione dello spirito nella verità è considerata un male dai vescovi di
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15.3. L'invalidazione della ragione. Sullivan. rifiuto della certezza 277

Ovviamente il cardinale confonde la morale come esigenza assoluta e


immutabile che si impone all'uomo, con la vita morale concreta, continuamente
fluttuante nell'individuo da una prova all'altra. La moralità non è dinamismo
Regola soggettiva, ma assoluta, partecipazione della Ragione divina.

15.3. L'invalidazione della ragione. Sullivan.


rifiuto della certezza

Nel libro di Jean Sullivan Matinales (Parigi 1976) scoprì 6 tiene a faccia
l'invalidazione della ragione. L'autore nega la distinzione tra fede e amore in
quanto priva di fondamento scritturale; di conseguenza, senza curarsi di
snaturare la divina Trinità, nega l'esistenza nella Chiesa di a
crisi di fede Ovviamente non si può parlare di crisi, che significa discernimento,
quando non c'è una misura fissa, cioè uno strumento per discernere.
la fede di ciò che non è; e meno quando, con confusa considerazione, vengono prese
come unità idee contrastanti. Va inoltre notato che la distinzione tra credere e
amare non è fondata solo sulla Scrittura, ma su
l'essere dell'uomo, in cui intelletto e volontà sono cose veramente differenti.
La loro distinzione si riferisce per analogia alla reale distinzione nell'organismo
ontologia della Trinità.
Che la distruzione di tale distinzione significhi la distruzione radicale della
razionalità deriva dalle proposizioni di Sullivan sull'incompatibilità tra fede e
certezza: i credenti immaginano che la fede vada di pari passo
alla certezza. Se lo sono messo in testa! Devi stare attento
certezza. Su cosa si fondano generalmente le certezze? sulla mancanza
approfondimento della conoscenza.
Molte assurdità logiche e religiose sono raccolte nel libro. se l'autore
intende affermare che una cosa non si può credere se si vede, dice una cosa
ovvio e banale in filosofia. Ma se implica che non si può esserne certi
una cosa creduta, esce dalla dottrina cattolica. Quella fede è certezza lo è
Dogma cattolico, ed è anche vero che questa certezza non è privilegio delle anime
mistici o anime semplici, ma luce comune a tutti i credenti. In
In secondo luogo, Sullivan sovverte tutta l'epistemologia quando ha un senso
invertire la certezza e l'approfondimento della conoscenza. Anzi,
La certezza è lo stato soggettivo del conoscitore, precisamente in quanto

France nel loro Missel pour les dimanches 1983, in cui pregano per i credenti che
sono tentati di accontentarsi delle loro certezze.
6 Ampiamente rivista da ICI (n. 506, p. 40, settembre 1976), la più diffusa
Organo francese della corrente innovativa.
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278 15. Pirronismo

sa, l'ignoranza è una mancanza di conoscenza e il dubbio un meno di


conoscenza.
L'opinione di Sullivan risente dell'irreligiosa calunnia celebrata da Giordano
Bruno (in memorabili pagine dei Dialoghi) sulla santa stupidità. Detta calunnia
accompagna l'altro errore, già definitivo, secondo il quale la certezza e la fede
troncerebbero la possibilità dell'azione; Come dice l'autore con striscianti
paradossi, vivere è perdere la fede. Qualsiasi stabilità di pensiero renderebbe
impossibile la comunione con altri spiriti, e il nostro spirito deve essere
trasmutabile in ogni momento e in tutti i modi. La dottrina cattolica suppone, al
contrario, che la comunione implichi qualcosa che rimane identico nel
movimento della vita.
Inoltre, il pensiero non procede dalla vita, ma la vita del pensiero; e
teologicamente, la Parola non procede dallo Spirito Santo, ma lo Spirito Santo
dalla Parola. L'azione umana nasce dalla persuasione della verità, e la storia
della filosofia lo conferma. Gli Efetici nell'Antichità, così come tutti i sistemi di
fuga dai sistemi dell'azione, ritenevano che le certezze dovessero essere ridotte
per ridurre l'azione, e giungere infine all'annullamento del sapere per entrare
nel porto della sicurezza e dell'atarassia dello spirito.

La certezza è lo stato mentale successivo all'approfondimento


´ del
conoscere, e non alla sua superficialità, come propaga Sullivan. Nega che
esista un fondo che resista alla ricerca: un caput mortuum, un ÿÿabsoluteÿÿ.
Qui il pirronismo va di pari passo con il suo gemello, il mobilismo, e come
quest'ultimo si conclude con una bestemmia: vivere è anche perdere la fede e
capire di esserne
´ posseduti. Per questo trovare Dio implica negare, nello stesso
momento, Lui. .
Si nota qui una frivola predilezione per il paradosso, ma al di là dello
schema letterario c'è la negazione della Parola e, come acutamente vedeva
Leopardi, la negazione di Dio.

15.4. Altro sull'invalidazione della ragione

Altro sull'invalidazione della ragione. I teologi di Padova.


I teologi di Ariccia. Manchesson Né si deve
pensare che per dimostrare il pirronismo introdotto nella Chiesa abbiamo
isolato e evidenziato alcuni casi con lo scopo di suscitare stupore.
Li abbiamo indicati come un sintomo, non come una stravaganza. E la mentalità
diffusa che indicano può essere colta anche non solo nelle manifestazioni di
singole persone autorevoli, ma di intere corporazioni intellettuali.
Il Congresso dei Moralisti Italiani di Padova del 1970 votò tra i suoi
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15.4. Altro sull'invalidazione della ragione 279

conclusioni che, essendo sistematicamente incluso l'esercizio della ragione in una


particolare condizione storica, il suo esercizio in termini universali non è possibile.
Ovviamente questo presuppone la distruzione della ragione e quindi di tutte le cose,
compreso il congresso dei moralisti. Analogo il pirronismo del Congresso dei teologi
di Ariccia, presieduto dal card.
Garrone, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica. L'OR del 16 gennaio
1971 ne ha dato conto senza sollevare critiche. Secondo il mainstream, nessuna
proposizione può essere considerata assolutamente vera. Alla teologia non vengono
dati preamboli razionali, perché la parola di Dio si autogiustifica e si autointerpreta.

L'antitesi con la teologia della Chiesa è qui ancora meno importante dell'antitesi
con la sua filosofia. In primo luogo, la fede dell'uomo non può esistere senza
razionalità, essendo l'uomo una creatura razionale. In secondo luogo, la parola di Dio
si giustificherebbe (come qui si intende) solo se fosse evidente, poiché solo l'evidenza,
immediata o mediata, dà giustificazione ad alcune parole; Ora, questa evidenza manca
nella parola della fede, alla quale si acconsente proprio per fede, e non per evidenza.
Terzo, dire che la parola di Dio interpreta se stessa è un composto di parole, ma non
una frase logica. Interpretare significa entrare tra la parola e l'ascoltatore, tra
l'intelligibile e l'intelligenza. L'interprete è una terza persona che media in una dualità,
e la parola di Dio non può stare in mezzo a se stessa.

Dal rapporto tra filosofia e teologia, i teologi di Ariccia sono giunti al rapporto tra
soggetto e oggetto, e hanno stabilito che per parlare secondo le categorie dell'uomo
del nostro tempo, il Teologo deve tener conto della svolta antropologica, costituita da
un'inversione del rapporto tra soggetto e oggetto e l'impossibilità di cogliere l'oggetto
stesso.
È la formulazione esplicita del pirronismo e la distruzione della dottrina cattolica.
In realtà la fede presuppone la ragione. È una sottomissione della ragione voluta dalla
ragione stessa. Le tesi del Congresso dei teologi sono regressive e portano la
filosofia su posizioni presocratiche. Il fatto che siano stati accolti da un congresso di
teologi cattolici presieduto da un cardinale significa o che si abusa delle parole o che
la teologia cattolica non esiste più.

Il pirronismo emerge dall'ultimo velo nella conclusione: Per un incontro valido ed


efficace con l'uomo contemporaneo, è necessario conoscere la condizione
trascendente, cioè le strutture generali, dell'uomo di oggi.
Se il significato delle parole non è andato perduto, qui si dice che trascendentale è lo
stesso che empirico.
La vena pirronista non è appassita nei tempi postconciliari a noi più vicini, ma
circola in dichiarazioni ufficiali e ufficiose.
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280 15. Pirronismo

Il colloquio tenutosi a Trieste nel gennaio 1982 presso il Centro di Teologia e


Cultura, i cui Atti sono pubblicati con un'introduzione del vescovo, si concludeva
con questa tesi: Non c'è ragione assoluta di impronta idealista o marxista (né di
altro ceto) che si dispiega nella storia dell'Umanità nel suo sviluppo concreto, ma
piuttosto una ragione storicamente data le cui forme mutano al variare dei contesti
culturali (OR, 8 luglio 1983).
In questo modo la ragione è inequivocabilmente invalidata, la Provvidenza è ripudiata,
metafisica e si rivolge a Dio.
Yves Manchesson, dell'Institut catholique de Paris, presentando lo stato della
Chiesa in Francia dopo la Liberazione, delinea la missione della Chiesa nel mondo
in questi termini: La Chiesa cerca di decifrare i segni dei tempi; non crede di avere
una risposta per tutto, e cerca meno di specificare una verità in sé che una verità
7
per tutti gli uomini. La formula del rispettabile autore ci sembra semplicemente un
composto di parole. Innanzitutto, la Chiesa non si è mai annunciata come il luogo
di tutte le verità, perché vi è tutta una sfera del sapere abbandonata da Dio
all'indagine e al dibattito degli uomini: et mundum tradidit disputationi eorum, ut
non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio usque ad finem (Eccl. 3,
11)
8 .

Questa sfera è costituita da cose che chiameremmo extramorali, che non si


riferiscono all'assiologia o alla teleologia umana: quelle cioè che non riguardano il
destino ultimo.
Ma la Chiesa è comunque il luogo di ogni verità, cioè di
quella senza la quale l'uomo non può compiere il suo destino e quello del mondo.
In secondo luogo, c'è un incredibile disprezzo del senso delle parole quando si
parla di una verità che non è in sé, ma è per tutti gli uomini, poiché la verità per tutti
gli uomini è appunto una verità in sé stessa, che esiste e rimane indipendentemente
della sua apprensione da parte dell'intelletto finito. Non è il consenso dell'uomo
che dà valore alla verità (come non abbiamo paura di affermare oggi), ma, al
contrario, è la verità che dà valore al consenso dell'uomo. Una verità può essere in
relazione all'uomo solo se è indipendente da lui e autonoma: per prius è in sé, e per
posterius è vero per l'uomo.

7Amicizie cattoliche francesi, aprile 1979.


8 Inoltre, ha messo il mondo nei loro cuori, senza che l'uomo potesse scoprire il
opera che Dio compie dall'inizio alla fine
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Cap'itulo 16

Il dialogo

16.1. Di´alogo y discusionismo en la Iglesia postconciliar El


diálogo en Ecclesiam
il suo stesso

La più grande variazione nella mentalità della Chiesa postconciliare si


è consumata nella parola dialogo, paragonabile solo a quella avvenuta
nel secolo scorso con la parola libertà. Il termine era del tutto sconosciuto
e insolito nella dottrina preconciliare. Non si trova una sola volta nei
precedenti Concili, né nelle encicliche papali, né nelle omiletiche né nelle
parenesi pastorali.
Nel Vaticano II il termine dialogus compare ventotto volte, dodici delle
quali nel decreto Unitatis redintegratio sull'ecumenismo. Questa parola,
nuovissima nella Chiesa cattolica, divenne (con un'improvvisa diffusione
e un'enorme espansione semantica) la parola principale della protologia
1
postconciliare e la categoria universale della nuova mentalità. Non solo
si parla di dialogo ecumenico, di dialogo tra la Chiesa e il mondo, o di
dialogo ecclesiale, ma con inaudita catacresi si annette una struttura
dialettica alla teologia, alla pedagogia, al catechismo, alla Trinità, alla
storia della salvezza, alla scuola , la famiglia, il sacerdozio, i sacramenti,
la Redenzione, e tutto ciò che era esistito nei secoli nella Chiesa senza
che quel concetto si trovasse nelle menti o quella parola nel linguaggio.

1 carta. ROY, in OR del 15 marzo 1971, considerava il dialogo come una nuova
esperienza, e non solo della Chiesa, ma del mondo. D'altra parte, in OR del 15-16 novembre
1966 si sostiene che la Chiesa ha sempre praticato il dialogo (confondendo con esso la
polemica e la confutazione) e che se mai non l'ha praticato, si tratterà di periodi di maggiore
o maggiore depressione minore.

281
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282 16. Il dialogo

Lo slittamento dal discorso tetico proprio della religione a un discorso


ipotetico e problematico è evidente anche nella trasformazione dei titoli dei
libri: una volta insegnavano, oggi cercano. I libri chiamati Istituzioni, Manuali o
Trattati di filosofia, di teologia o di qualunque altra scienza, oggi diventano
Problemi di Filosofia, Problemi di Teologia, ecc.; La manualistica è odiata e
disprezzata proprio per il suo stile tetico o apodittico.

Così in tutti i campi: invece di Manuale dell'infermiere ci sarà I problemi


dell'infermiere, invece di Manuale dell'automobilista il titolo sarà I problemi
dell'automobilista, ecc.; tutto va dal certo all'incerto, dal positivo al problematico.

Dall'appropriazione intenzionale di oggetti reali attraverso la notizia (indicata


dal tema no de nosco) si scende semplicemente lasciando l'oggetto davanti
alla mente (lancio).
Dedicando al dialogo un terzo dell'enciclica Ecclesiam Suam (agosto 1964),
Paolo VI poneva un'equazione tra il dovere della Chiesa di evangelizzare il
mondo e il suo dovere di dialogare con il mondo. Ma è impossibile non notare
che questa equazione non trova né supporto scritturale né lessicale. Nella
Scrittura la parola dialogus non si trova mai, e l'equivalente latino colloquium è
usato solo nel senso di incontro con capi e conversazione, e mai nel senso
moderno di incontro tra persone.
Tre volte il colloquio si trova nel Nuovo Testamento nel senso di discussione.
Inoltre, l'evangelizzazione è un annuncio, non una discussione.
L'evangelizzazione ordinata dagli Apostoli nei Vangeli si identifica subito con
l'insegnamento. Il mandato apostolico si riferisce alla dottrina, e non alla
discussione; La stessa parola ÿÿmessaggeroÿÿ suppone l'idea di qualcosa che
è dato per essere comunicato, non per metterlo in discussione.
Certamente negli Atti degli Apostoli Pietro e Paolo disputano nelle
sinagoghe, ma non si tratta di dialogo in senso moderno (cercare il dialogo la
cui origine è uno stato di ignoranza confessata), bensì di di' confutazione e
contestazione del errore.
E la possibilità del dialogo scompare quando il disputante, per ostinazione
o incapacità, non è più suscettibile di essere convinto; Lo si vede, ad esempio,
nel rifiuto del dialogo da parte di san Paolo in Atti. 19, 8-9. E come Cristo
parlava con autorità: Erat docens eos sicut potestatem habens (insegnò loro
come uno che ha autorità) (Mt 7,29), gli Apostoli evangelizzavano con parole
investite di autorità intrinseca, che non si aspettano di ricevere dal dialogo.
Inoltre, in detto brano, il modo tetico di parlare di Cristo è contrapposto al modo
dialettico degli scribi e dei farisei. Il nocciolo della questione è che la parola
della Chiesa non è una parola umana sempre controversa, ma una parola
rivelata destinata ad essere accolta, e non
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16.2. Filosofia del dialogo 283

a la controversia.
Ed è anche notevole che l'Ecclesiam Suam, dopo aver posto l'equivalenza
tra evangelizzare e dialogare, risollevi invece l'ineguaglianza tra evangelizzare
la verità e condannare l'errore, e identifichi condanna e costrizione.
Ritorna il motivo del discorso inaugurale del Concilio, citato al §4.1; Dice
l'enciclica: così la nostra missione, pur essendo annuncio di verità indiscutibile
e di salvezza necessaria, non si presenterà armata di coercizione esterna, ma
solo di mezzi legittimi di educazione umana (n. 69).
La concezione di Paolo VI è del tutto tradizionale, come dimostra il fatto che
subito dopo la promulgazione dell'enciclica, il segretario del Consiglio
ecumenico delle Chiese, Wisser Hooft, si è affrettato a notificare che la
concezione papale del dialogo come comunicazione della verità senza la
reciprocità non era compatibile con il concetto ecumenico (OR, 13 settembre
1967).

16.2. Filosofia del dialogo


In questa nuova filosofia, il dialogo si fonda (come confessa l'OR del 15
gennaio 1971) la perenne problematicità di ciò che è cristiano: cioè l'impossibilità
di soffermarsi su tutto ciò che non è un problema. Viene così negato il grande
2 .
principio logico, metafisico e morale dell'anagke stenai come mezzo per
diffondere la verità. È impossibile che tutti parlino. La possibilità del dialogo si
fonda sulla scienza acquisita in materia, e non sulla libertà o dignità dell'anima,
come si sostiene. Il titolo a disputare dipende dalla conoscenza, e non dal
destino generale dell'uomo verso la verità.

Sulla ginnastica, insegnava Socrate, bisognerebbe ascoltare l'esperto di


ginnastica, e sui cavalli l'esperto in cose equestri, e sugli infortuni e le malattie
l'esperto in medicina, e sulle cose della città l'esperto politico. La competenza
è il frutto della fatica e dello studio; non di una riflessione rapida e occasionale,
ma metodica e assidua. Tuttavia, nel dialogo contemporaneo si presume che
ogni uomo, perché razionale, sia capace di dialogare con tutti su qualsiasi cosa.
Pertanto, l'organizzazione della vita della comunità civile e della comunità
ecclesiale è richiesta in modo che tutti partecipino; ma ciascuno non apportando
la propria scienza, come vuole il sistema cattolico, ma la propria opinione; e
non adempiendo la parte che gli spetta, ma governando su tutto.

2È necessario fermarsi a un certo punto


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284 16. Il dialogo

Ed è curioso che questo titolo di contestazione si estenda all'universalità delle


materie proprio in un momento in cui il titolo autentico (scienza) è indebolito e scarso
anche nell'establishment magisteriale della Chiesa.
C'è anche una riduzione per quanto riguarda l'onere della prova. Il dialogo deve e
può soddisfare tutte le obiezioni del contraddittore.
Ora, che un uomo si offra a un altro uomo per dargli completa soddisfazione
intellettuale su qualsiasi punto della religione, deduce un vizio morale. È infatti
temerario chi, dopo aver affermato una verità, si espone a una discussione generale,
estemporanea e totalizzante.
Ogni soggetto presenta mille lati, di cui ne conosce solo alcuni, o uno solo. Eppure
vi entra come se fosse preparato contro tutte le obiezioni, incapace di essere sorpreso,
e come se fosse avvertito di tutti i possibili pensieri che potrebbero sorgere
sull'argomento.

Anche sul versante della questione, il dialogo soffre di difficoltà, perché poggia su
un presupposto gratuito già acutamente intuito da sant'Agostino. Un intelletto può
essere capace di un'obiezione e allo stesso tempo essere incapace di comprendere
l'argomento con cui l'obiezione viene affrontata.
Questa situazione in cui la forza intellettuale di una persona è maggiore per objetar
que para comprendere la respuesta, è una causa muy com'un de error. Ecco, da dove
generalmente l'errore è rafforzato, quando gli uomini sono qualificati per mettere in
discussione queste cose che non sono qualificati per capire (Dei meriti e la remissione
3
dei peccati, libro III, cap. 8)
Questa inadeguatezza tra l'intelletto che concepisce una domanda e l'intelletto
che comprende la risposta è una conseguenza della distanza tra potenza e atto.

Il rifiuto della distinzione conduce da un lato al paralogismo politico: tutti gli


individui (per natura) possono comandare potenzialmente, quindi tutti comandano in
atto. D'altra parte, il rifiuto porta al paralogismo insito nel dialogo: tutti gli individui
possono potenzialmente conoscere la verità, quindi tutti gli individui conoscono
effettivamente la verità.
Antonio Rosmini, nel primo libro della Teodicea (che intitolò ÿÿl´ogi coÿÿ), insegna
che l'individuo non può sottoporre al proprio intelletto la soluzione delle aporie della
divina Provvidenza: nessun individuo può essere sicuro che il suo propria forza
intellettuale è pari alla forza delle obiezioni sollevate contro di lui. Questo elemento
di non conoscenza dei limiti della propria forza intellettuale fu trascurato da Descartes
nel suo metodo, supponendo che questa forza della ragione fosse uguale in tutti gli
individui ed esercitabile

3Ecco come prevale spesso l'errore presso gli uomini che sono molto abili nel domandare
cose che non sono in grado di comprendere
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16.3. Mancanza di adeguatezza del dialogo 285

ugualmente per tutti loro.

16.3. Mancanza di adeguatezza del dialogo


Come abbiamo detto, nella Scrittura il metodo di evangelizzazione è
l'insegnamento, non il dialogo. Nell'imperativo che suggella la missione di Cristo con la missione
degli Apostoli, il verbo adottato è ÿÿÿÿÿÿÿÿ ÿ che vuole letteralmente
dire ammaestrare tutte le nazioni: come se opera degli Apostoli
consisteva nel ridurre i popoli alla condizione di uditori e discepoli,
4 . Oltre a
e come se ÿÿÿÿÿ ÿÿÿÿÿ fosse un grado prima di ÿÿÿÿÿÿÿÿÿ
fondamento biblico, al dialogo manca il fondamento gnoseologico, perché il
La natura del dialogo contraddice le condizioni del discorso di fede.
Presuppone che la credibilità della religione dipenda dalla soluzione precedente
di tutte le obiezioni particolari sollevate nei suoi confronti. Adesso è
impossibile possedere e anteporre tale risoluzione all'assenso della fede. La
procedura corretta è l'opposto. Confermato, anche da un solo test, il
verità della religione, deve essere mantenuta anche se non sono risolti
particolari difficoltà.
Como ense˜na Rosmini 5 la proposizione La religione cattolica è vera
prescrive le particolari possibili obiezioni che possono essere fatte. Non
occorre prima risolvere le quindicimila obiezioni della Summa Theologica a
ragionevolmente venire ad assentire.
Insomma, la verità del cattolicesimo non si raccoglie sinteticamente come
un composto di verità particolari, e non implica una completa soddisfazione
intellettuale; al contrario, è l'assenso a questa proposizione universale saliente
che produce gli assenti particolari.
Va infine osservato come l'attuale concezione del dialogo dimentichi il
percorso di utile ignoranza, tipico di quegli spiriti che, ritrovandosi
incapaci della via dell'esame, si aggrappano a quell'adesione fondamentale e
non considerano attentamente le opinioni opposte per scoprire dove
c'è l'errore. Temendo ogni pensiero contrario a quello che conoscono
come incontrovertibilmente vere, sono mantenute in uno stato di ignoranza
che, per preservare la verità posseduta, esclude le false idee, e insieme
con queste anche le idee vere che magari le accompagnano, senza
separati gli uni dagli altri.
Questa via di utile ignoranza è lecita nella religione cattolica, è fondata

4LAGRANGE, nel commento a Matteo (Parigi 1927), p. 144, tradurre la prima voce
insegnare y la segunda imparare .
5 Epistolare, vol. VIII, Casale 1891, p. 464, lettera dell'8 giugno 1843 alla contessa
Teodora Bielinski.
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286 16. Il dialogo

sul principio teorico esposto sopra, ed è peraltro il caso della maggioranza dei
6
credenti. Inaccettabile l'opinione espressa in OR del 15-16 novembre 1965, secondo la
quale chi rinuncia al dialogo è un fanatico, un intollerante che finisce sempre per
essere infedele a se stesso piuttosto che alla società di cui fa parte. Chi invece dialoga
rinuncia all'isolamento, alla condanna. Conversare senza sapere è prova di
sconsideratezza e di quel fanatismo che confonde la propria forza soggettiva con la
forza oggettiva della verità.

16.4. Le estremità del dialogo. Paolo VI. Il segreto


tariat per i non credenti
La distanza tra dialogo tradizionale e dialogo moderno è notevole se si considera
il fine ad esso assegnato. Dicono che lo scopo del dialogo non è la confutazione
7 .
dell'errore o la conversione di colui con cui si dialoga.La nuova mentalità aborrisce
la polemica, ritenuta incompatibile con la carità, quando invece è un atto di lei Il
concetto di polemica è inscindibile dal contrasto tra ciò che è vero e ciò che è falso.
La polemica mira proprio a rompere l'uguaglianza che si cerca di stabilire tra una
posizione vera e una posizione falsa.

Sotto questo aspetto è connaturata al pensiero la polemica, che, pur non


sconfiggendo la falsità nella persona del nemico dialogante, la sconfigge nel processo
monologico interno.
La fine del dialogo da parte del cattolico dialogante non può essere euristica,
perché per quanto riguarda le verità religiose egli è in uno stato di possesso e non di
ricerca.
Non può nemmeno essere eristico (di natura contenziosa), perché ha come
movente e obiettivo la carità. Al contrario, il dialogo è inteso come un mezzo per
dimostrare una verità, per produrre negli altri una persuasione e, in definitiva, una
conversione.
Questa finalità metanoetica del dialogo cattolico è stata insegnata da Paolo VI nel
discorso del 27 giugno 1968: Non basta avvicinare gli altri, ammetterli alla nostra
conversazione, confermare la fiducia che riponiamo in loro, cercare il tuo bene. È
anche necessario essere utilizzati per essere convertiti. È necessario predicare perché
ritornino. È necessario recuperarli per l'ordine divino, che è unico.

6La teoria dell'utile ignoranza è sviluppata da MANZONI in Moral católica,


edizione citata, vol.II, pp. 422-423 e vol. 111, pag. 131.
7Questo è espresso anche nell'Istruzione sul dialogo del 28 agosto 1968 del Segretariato
per i non credenti.
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16.5. Sul fatto che il dialogo sia sempre arricchimento 287

La dichiarazione del Papa acquista una rilevanza singolare, perché il


dialogo a cui si riferiva Paolo VI è il dialogo ecumenico; la particolarissima
rilevanza di quelle parole era confermata anche dalla diversificazione
tipografica (vera ÿÿeccezioneÿÿ) usata per quella pericope dall'Osservatore
Romano.
Nonostante ciò, nell'OR del 21 agosto 1975, il segretario del Segretariato
per i non credenti fece queste affermazioni diametralmente opposte alla
dichiarazione papale: Senza dubbio il Segretariato non è sorto con l'intenzione
di fare proselitismo tra i non credenti, anche se questo è inteso come qualcosa
di positivo, e nemmeno con intenzione apologetica, ma piuttosto con lo scopo
di promuovere il dialogo tra credenti e non credenti.
Avendo obiettato all'autore la contraddizione del suo testo con
l'affermazione pontificia, egli ha risposto con una lettera ufficiale del 9
settembre che nessun atto viene compiuto dalla Segreteria senza accordo con
le autorità superiori, e che, in particolare, quell'articolo OR aveva superato la
vigilanza del Segretario di Stato.
Il dissidio tra il Papa e la Segreteria è quindi (secondo detta lettera) ancora
più significativo. In considerazione della mia obiezione, la risposta ribadisce
che anche se la missione della Chiesa è la conversione del mondo, ciò non
implica che ogni passo e ogni organo della Chiesa abbia una missione
specifica, ma la conversione degli interlocutori. La risposta è indistinta. La
Chiesa ha un fine universale e unico, la salvezza dell'uomo, e tutte le opere
che essa compie sono specificazioni diverse di quel fine: quando insegna,
insegna e non battezza, quando battezza, battezza e non insegna na, quando
consacra l'Eucaristia consacra, e non assolve, e così via.
Tuttavia, tutti questi fini specifici sono precisamente specificazioni e
realizzazioni del fine universale, e tutti guardano al fine della conversione
dell'uomo a Dio. È la conversione, fine ultimo dell'azione della Chiesa, che dà
ragione di fine a tutti i fini subordinati, e senza di essa nessuna azione
particolare avrebbe avuto luogo (Summa theol. I , II, ql, a.4). Infatti, le citate
parole di Paolo VI dicono inequivocabilmente che il dialogo tende alla conversione.

16.5. Sul fatto che il dialogo sia sempre


arricchimento
Escludendo la conversione e l'apologetica dal dialogo postconciliare, si è
soliti dire che il dialogo è sempre uno scambio positivo; ma è difficile
ammettere questa affermazione. In primo luogo, accanto al dialogo che
converte, c'è un dialogo che perverte, in cui la persona con cui si dialoga è separata
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288 16. Il dialogo

della verità e cade in errore. O si dirà che le parole della verità sono efficaci e quelle
dell'errore no? In secondo luogo, va considerata quella situazione in cui il dialogo,
oltre a non essere utile ai dialoganti, li costringe a fare l'impossibile. È il caso
contemplato da san Tommaso quando, mancando ai due colloquianti un principio
comune da cui sillogizzare, è impossibile dimostrare la verità all'avversario che rifiuta
i mezzi della dimostrazione.

Non resta allora che provare l'inconcludenza degli argomenti opposti, o


l'insolubilità delle obiezioni. In tal caso non è affatto vero che il risultato sia positivo
per entrambe le parti o che si verifichi un reciproco arricchimento. Al contrario, la
verità è che nel caso contemplato il dialogo è improduttivo. E se si contrappone che,
nonostante tutto, è costruttivo perché permette di conoscere la psicologia e l'ideologia
dell'avversario, si deve osservare che la conoscenza della psicologia dell'avversario
appartiene al saggio psicologico, ma non alla religione; né costituisce lo scopo del
dialogo religioso, ma della storia, della biografia o della sociologia. Può essere utile
inquadrare il dialogo e adattarlo meglio alla situazione dei partecipanti al dialogo, ma
non è in alcun modo un arricchimento.

16.6. Il dialogo cattolico


Il dialogo cattolico ha come fine la convinzione, e in ordine superiore la conversione
di colui con il quale si dialoga.
Il Vescovo Monsignor Marafini, in OR del 18 dicembre 1971, dice (ma non si sa se
dice cosa intende) che il metodo del dialogo va inteso come movimento convergente
verso la pienezza della verità e b ricerca dell'unità profonda
8 .

In questi testi si confondono il dialogo sulla materia naturale e il dialogo sulla fede
soprannaturale. La prima si sviluppa alla luce della ragione, che rende tutti gli uomini
uguali. Mettendosi in questa luce, tutti gli individui sono alla pari con tutti gli altri: i
dialoganti sentono il Logos al di sopra del loro dialogo, più importante del loro dialogo
( §12.3), e sperimentano la loro vera fratellanza e l'unità profonda della loro natura.
C'è, però, un altro dialogo in cui la fede è compromessa e in cui i partecipanti al
dialogo non possono convergere verso la verità o porsi in condizioni di parità. Il
colloquiante non credente è in una situazione

8Anche il card. KONIG, presentando alla stampa la citata Istruzione, ha dichiarato:


Il dialogo pone gli interlocutori sullo stesso piano. In essa il cattolico non è
considerato come colui che possiede tutta la verità, ma come colui che (avendo
fede) cerca detta verità insieme agli altri, credenti e non credenti ( ICI, n. 322, p. 20, 15 ottobre 1968 )
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16.6. Il dialogo cattolico 289

di rifiuto o di dubbio in cui è impossibile per il credente situarsi.


Si potrebbe obiettare che la posizione del credente è analoga a quella
cartesiana: di rifiuto o di dubbio metodico e provvisorio; il credente si mette
nella situazione dell'incredulità, ma solo per dialogare. Ma la difficoltà riappare:
se il dubbio o il rifiuto della fede è reale, implica la perdita della fede nel
credente colloquiale, ed è peccato; e se è assunto e simulato, il dialogo è
contaminato dalla finzione e ha una base immorale.
E non ci fermiamo a chiederci se chi per ragioni dialettiche finge di non
credere in ciò in cui crede non pecchi contro la fede, né a indagare se un
dialogo basato sulla finzione non sia, oltre che cattivo, infruttuoso. In un
articolo dell'OR del 26-27 dicembre 1981 su Fede e dialogo si cerca di sostenere
che il dialogo è fecondo anche per il credente: oltre che per il merito della
carità, anche per l'acquisizione della fede Ma la contraddizione è manifesta. Da
un lato stabilisce che se il Signore Gesù che si possiede non è la somma verità
suprema dell'uomo, allora si tratta di imparare qualcosa di più di quanto si è
ricevuto per grazia.
Al contrario, se Cristo è la verità suprema e totale, allora non si vede come
si possa aggiungere ad essa un'idea o un'esperienza. Ma poi l'autore capovolge
il suo dilemma affermando che anche nel dialogo il credente trova qualcosa
da aggiungere alla sua fede, a condizione però che queste nuove acquisizioni
non siano percepite come aggiunte a Cristo; sono semplicemente sculture,
dimensioni, aspetti del mistero di Cristo che il credente già possiede e scopre
sotto l'incoraggiamento di chi, pur non essendo consapevolmente cristiano,
lo è già nella realtà.
Qui si dice che l'aggiunta di conoscenza non è l'aggiunta di conoscenza;
che l'ateo è un cristiano implicito (vedi §35.9 su questa dottrina); e che l'ateo
possiede le filigrane del mistero, sconosciute al cristiano esplicito, e al quale
sono suggerite. Concludendo con la dialettica della Chiesa postconciliare,
diciamo che il nuovo concetto di dialogo non è il dialogo cattolico.

Primo, perché ha una funzione puramente euristica: come se la Chiesa


dialogante non possedesse la verità, ma la cercasse; o come se nel dialogo si
potesse fare a meno del possesso della verità.
Secondo, perché non riconosce la posizione superiore della verità rivelata:
come se fosse scomparsa la distinzione di grado assiologico tra natura e
Rivelazione.
Terzo, perché presuppone la parità (anche solo metodica) tra i dialoganti:
come se rinunciare al vantaggio della fede divina, anche solo per la finzione
dialettica, non fosse un peccato contro la fede.
Quarto, perché postula che tutte le opinioni della filosofia umana siano
indefinitamente discutibili: come se ci fossero comunque dei punti di vista.
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290 16. Il dialogo

una contraddizione essenziale che tronca il dialogo e lascia solo la possibilità


della confutazione.
Quinto, perché suppone che il dialogo sia sempre fecondo e non ci sia mai
nulla da sacrificare (OR, 19 novembre 1971): come se non ci fosse dialogo
corruttore che soppianta la verità e impianta l'errore, e come se non si dovesse
in tale caso respingere l'errore precedentemente professato.
Il dialogo di convergenza degli interlocutori verso una verità più alta e più
universale non è tipico della Chiesa cattolica; Un processo euristico che la
pone sui binari della verità non è conforme alla sua natura: può essere solo
un'operazione di carità destinata a comunicare una verità posseduta dalla
grazia e non a guidare chi la porta. alla verità. Non si tratta della superiorità nel
dialogo del credente sul non credente, ma della superiorità della verità su tutti
i dialoganti.

Non confondere l'atto con cui un uomo persuade un altro della verità con
un atto di oltraggio e di offesa alla libertà altrui. La contraddizione logica e
l'aut aut sono strutture dell'essere; non c'è violenza in loro.
L'effetto sociologico del pirronismo e del conseguente discussionismo è il
brulicare di assemblee, riunioni, comitati e congressi, iniziato con il Vaticano II.
Di qui l'usanza di fare di tutto un problema e di deferire ogni problema a
commissioni plurali, diluendo la responsabilità (che in altri tempi era personale
e individuale) negli organi collegiali.

Il discussionismo ha sviluppato un'intera tecnica; nel 1972 si riunì a Roma


un Congresso dei moderatori del dialogo per prepararli, come se si potesse
condurre un dialogo in generale, senza alcuna conoscenza specifica sulla
materia specifica su quella che corre
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Cap'itulo 17
mobilismo

17.1. Il mobilismo nella filosofia moderna


Il dibattitismo 1 è per l'ordine metafisico ciò che il pirronismo (origine del
del mobilismo) all'ordine logico.
Questo è l'antecedente di questo, poiché un vizio nel primato del
conoscere suppone un vizio nel primato dell'essere. Il mobilismo è
caratteristico della Chiesa postconciliare, nella quale tutto si è messo in
moto (secondo la citata frase del card. Alfr´ÿnk) e non c'è parte del
sistema cattolico che non sia in fase di mutazione: nihil quietum in causa.
Il mobilismo è un assioma per le organizzazioni internazionali. Il rapporto
UNESCO del 1972 è intitolato Apprendre ´a ´etre (Paris 1972), ma ´etre è
inteso come sinonimo di divenire o se d´evelopper.
Lo scopo della pedagogia e della politica è di far sì che lo spirito non
si fermi a persuasioni definitive ma, al contrario, diventi estremamente
disposto al cambiamento.
Di conseguenza, si afferma la necessità di educare il pensiero in modo
che si abitui a ipotizzare una molteplicità di soluzioni divergenti e non
convergenti, e di evitare che lo spirito si fermi davanti a qualsiasi
convinzione definitiva (OR, 10 gennaio 1973).
La legge del pensiero non è la verità (cioè la stabilità), ma l'opinione
(cioè la fluttuazione continua). Ma l'UNESCO non si rende conto che per
sua stessa natura ci sarà qualcuno a guidare il movimento
1
(N. del T.) Romano Amerio traduce direttamente con ÿÿmobilismoÿÿ il termine
coniato da M. Chide (Le mobilisme moderne, 1908) per denominare la teoria secondo
la quale il fondo delle cose è in moto perpetuo e in continua trasformazione prive di leggi
fisse, rendendo inefficace ogni tentativo di organizzazione razionale (vid. Vocabulaire
tech nique et critique de la philosophie, Presses Universitaires de France, Paris 1956, 7a ed., p.
635). Seguiamo gli stessi criteri.

291
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292 17. Mobilismo

di opinione, e quindi di opinione, aprendo così la strada al Leviatano.


En Gaudium et Spes 5 se considera al movilismo como uno de los carac teres de
la civilizaci´on moderna: Così il genere umano da una nozione più statica
2 .
dell'ordine delle cose ad un concetto più dinamico ed evolutivo

Lo stesso documento (§4.4) valuta il dinamismo come positivo e conforme al


Vangelo: La Chiesa dunque proclama i diritti degli uomini e il dinamismo del tempo
3
odierno promuovendo da ogni parte questi diritti, riconosce e stima altamente
.
La seconda espressione si riferisce specificamente al dinamismo sociale, ma
la prima abbraccia la totalità della vita umana e arriva alla questione della
ordine morale: questo sembra qui soggetto alla legge della mobilità, mentre
la religione lo considera immobile e partecipe dell'immutabilità divina. Certamente,
se la parola dinamismo equivale a miglioramento, pensiero
del Concilio rientrerebbe nella concezione tradizionale, secondo la quale tutto può
essere perfezionato all'interno di un ordine che prescrive la perfezione ma non è perfettibile.

17.2. La cr´ÿtica del movilismo. Ugo Foscolo.


Kolbenheyer
Come risulta dalla storia della filosofia, il mobilismo consiste in
una mentalità che dà più valore al divenire che all'essere, al movimento che
alla quiete, all'azione che finalmente.
´ È una caratteristica del pensiero
moderno. Eraclito di Efeso (VI secolo a.C.) insegnava che la realtà è uno slittamento,
ma questo slittamento deriva da una legge inviolabile: il Logos. Tutto
La filosofia cristiana concepiva il divenire come un accidente delle sostanze
finito, Dio solo essendo indeventibile. Che la mutazione coincide con il
vita e quindi il valore dello spirito consiste nel cercare il massimo
che possedendolo, era anche il parere del romanticismo italiano, nella misura
in cui ha imitato il tedesco. Foscolo, ad esempio, nel Discorso Dell´origine e
dell'ufficio della letteratura, sostiene che la vita consiste nell'agitazione di
le passioni e nel continuo modificarsi dei pensieri dell'anima, quali
aspira a contemplare tutta la verità.
Ma come sostiene, quell'aspirazione perpetua ha un valore maggiore della sua
realizzazione: Guai a me, se dovessi vederlo! Forse non ho più trovato
una ragione per vivere.

2L'umanità passa così da una concezione piuttosto statica della realtà ad un'altra più
dinamico ed evolutivo
3La Chiesa proclama i diritti dell'uomo e ne riconosce e stima il dinamismo
età moderna, che ovunque promuove tali diritti
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17.3. Movimento nella Chiesa 293

Il Faust di Goethe è il poema dell'uomo che sogna di accontentarsi di


un'infinità di esperienze successive: desidera, e ottenuto ciò che desidera,
desidera ancora, senza mai riposarsi su un bene raggiunto. Questa inquietudine
dell'essere è stata celebrata in tempi recenti nella grande trilogia di Guido
Kolbenheyer, Paracelso (Berl'ÿn 1935): il senso profondo della realtà si trova
nel divenire, nelle perpetue vicissitudini di forme nascenti e morenti proiettate
da una fallace speranza senza riposando sempre sul bene raggiunto. Il primato
del divenire porta con sé il primato dell'azione e l'insignificanza del fine: ciò che
ha valore non è la conquista, ma il conquistare; non arrivare, ma andare. La
sistematizzazione teorica più completa del mobilismo è la filosofia di Hegel: ciò
che esiste è ciò che è in divenire, infinitamente mutevole nel tempo, e il divenire
viene comunicato a Dio, rimuovendo gli attributi di assoluta immutabilità e
atemporalità.

17.3. Movimento nella Chiesa


Ma anche nella Chiesa è penetrata ampiamente l'idea di mutabilità come
valore positivo che deve essere accettato al di sopra delle idee di stabilità e
immutabilità. Tuttavia, il precetto della religione è chiaro: Stabiles estote et
immobiles (sii fermo, inamovibile) (1 Cor 15, 58). Nel suo Bollettino diocesano
del 10 ottobre 1967, il Vescovo di Metz scriveva: Il mutamento di civiltà che
stiamo vivendo comporta cambiamenti non solo nel nostro comportamento
esteriore, ma nella concezione che abbiamo sia del Creato che della salvezza
portata da Gesù Cristo.
E il 18 agosto 1976, lo stesso vescovo dichiarò ai microfoni di France-Inter:
La teologia preconciliare, quella di Trento, è già giunta al termine. Lo stesso
Paolo VI, in dissonanza con le sue energiche dichiarazioni sull'immutabilità
della Chiesa, ammetteva che la Chiesa è entrata nel movimento della Storia, che
evolve e muta (OR, 29 settembre 1971).
Nella mentalità del secolo (sia essa colta, semicolta o incolta) è diventato un
luogo comune l'affermazione secondo cui un atto non vale per il suo risultato,
ma per se stesso, qualunque esso sia, lo scopo che si propone ( onesto o
disonesto): ciò che è decisivo è l'attività in quanto tale, non il valore che essa
persegue o realizza. Il mobilismo che cerca l'azione per l'azione è anche l'anima
delle grandi perversioni politiche moderne, come il nazismo (come mostrato da
Max Picard 4
in un libro molto lodato, ma mai molto lodato). Il
vescovo Illich, intervistato nel suo settimanale di Cuernavaca, ha dichiarato:
Credo che la funzione della Chiesa sia quella di partecipare consapevolmente a
tutte le forme di mutazione, a qualsiasi mutazione. È il compito che noi

4MAX PICARD, Hitler in noi stessi Erlenbach-Zrich 1946.


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294 17. Mobilismo

Cristo ha affidato. Vogliamo una Chiesa in cui la funzione principale sia la


celebrazione del cambiamento (Dauphin´e lib´er´e, 26 febbraio 1968). Nonostante
lo stile sia stravagante, lo spirito qui espresso è quello che agitat molem.
E il presidente dell'Associazione teologica italiana, in un congresso nazionale,
ha insegnato che la missione dell'evangelizzazione è mettere in crisi ogni
stabilizzazione o assolutizzazione (OR, 11 settembre 1981).

17.4. Il mobilismo e il mondo del volo. Sant'Agostino

Il mobilismo come filosofia del puro divenire ha un significato profondo,


acutamente intuito da Rosmini nel saggio sulla filosofia di Ugo Foscolo (non a
caso chiamata filosofia della fallace speranza).
Il mobilismo suppone la negazione dell'Infinito come pienezza dell'essere,
e pone la nozione di vita in antitesi con quella di Dio. Nel romanzo Los que
vivimos, di Ayn Rand (Ed. Orbis, Barcellona 1984), la vita stessa è il valore
supremo, e Dio è concepito come l'antitesi della vita. Per sapere se le persone
con cui sta parlando credono (come lui) nella vita, il protagonista chiede loro
se credono in Dio: e se rispondono di sì, allora so che non credono nella vita
(cap. IX, p. 120).
Il mobilismo ha una parte vera e una parte falsa.
La parte vera consiste nella descrizione dell'esistenza del finito come
divenire, scadenza, passaggio, insaziabilità, proiezione. Questo mondo del
volo è ben noto nella religione e nell'ascetismo cristiano.
La parte falsa consiste nell'affermare che la realtà diveniente del finito non
è destinata a un Infinito indeventibile e appagante, e che esiste solo un divenire
infinito per l'uomo, negandogli la possibilità di raggiungere sempre un infinito
indeventibile e perfetto. Il mondo del volo, come la religione lo mostra all'uomo,
è stato mirabilmente disegnato da sant'Agostino (Confess. IV, 10-11), scoprendo
la sua essenza nel deficit ontologico. Le cose del mondo fuggono e l'anima
vuole essere e ama riposare nelle cose che ama. E in loro non c'è posto per
riposare, perché non hanno Fermezza; fuggono, e chi li inseguirà nella loro
fuga con il senso della carne?

E si sente lacerato perché le cose fuggono e vorrebbe trattenerle e


soffermarsi su di esse, ma non trova l'ubi di tale trattenimento: in illis enim non
est ubi, quia non sunt. Quindi delle cose in movimento non si può dire, in
nessun momento del movimento, che siano; sono sempre nell'imminenza
dell'essere, in transito per essere, mai riposano nell'essere: sempre in fieri e mai
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17.5. Il mobilismo nella nuova teologia 295

essere di fatto
Pertanto, sebbene l'anima abbia il sentimento fondamentale dell'essere e
aspiri alla realtà totale, dovrebbe desiderare l'evasione, cioè il ritorno totale
della realtà al divenire, nonché una serie infinita di successivi momenti di
divenire. L'anima, al contrario, non vuole l'infinità successiva della caducità
delle cose, ma l'infinità simultanea dell'istante: cioè un momento in cui si
sommano e si unificano tutti i momenti passati e tutti i momenti passati futuri.
Ora questa aggregazione e unificazione è la definizione dell'eternità: tota simul
et perfecta possessio.
Qui sorgono le parole del dottor Faust di Goethe prima dell'istante fuggente:
Fermati! Sei così bello! Queste parole esprimono il desiderio contraddittorio
che l'attimo (la cui radice è movere) si fermi, l'inafferrabile non fugga, il finito
sia infinito, il parziale diventi totalità. Se la vita è puro divenire ed è falso il
presupposto della religione che anima questo vult, allora solo il divenire ci dà
Et requiescere amat in eis quae amat 5 ,
concede la realtà, e solo la completa devoluzione del divenire (se avvenisse) ci
concederebbe tutta la realtà. Al contrario, se la realtà totale non è un divenire,
ma un essere intero e indeventibile, allora il divenire è solo il modo in cui la
creatura partecipa dell'intero essere e vi accede.

17.5. Il mobilismo nella nuova teologia


Il mobilismo è penetrato nella condotta pratica del clero e dei laici, abituati
a stimare l'azione fine a se stessa ea disprezzare il fine su cui si fonda l'azione.
Ma è penetrato anche nella teologia. Nella mentalità del secolo il mobilismo è in
uno stato diffuso. I suoi nuclei dottrinali, che si sono offuscati, non vi si
riconoscono più. Questo stato diffuso può essere paragonato al colore di un
panno impregnato di inchiostro, che però il tintore ha lasciato scomparire, e la
cui esistenza non sarebbe riconosciuta se non fosse per ciò che ha lasciato sul
panno. Ma il nocciolo del mobilismo teoretico che è penetrato nella mentalità
cattolica è professato e solennizzato in un grande articolo sulla prima pagina
dell'OR del 3 marzo 1976, molto attuale per due motivi: mette in discussione la
dottrina dell'immutabilità della legge morale (coerente con il principio metafisico
dell'invariabilità delle essenze) insegnata da Paolo VI nella Humanae vitae, e
introduce anche mutazione e divenire anche nella stessa essenza divina.

L'articolo si interroga sullo sfondo metafisico della teologia cattolica, la


quale, concatenandosi con tutta la filosofia greca, sia nelle correnti platonica
che aristotelica, e in sintonia con la tradizione ebraica,

5L'anima vuole essere e ama riposare nelle cose che ama


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296 17. Mobilismo

Ha sempre considerato Dio come un Essere perfettissimo la cui essenza è


l'essere, e quindi è immutabile e indeventibile: chi diviene non è, ma viene ad
essere. Dio si oppone alla creatura, il cui essere è imperfetto, diveniente,
provvisorio.
La nozione filosofica di Dio coincide anche con la nozione volgare, che
espelle da Dio ogni ombra di imperfezione, non-essere o minus esse, per
contemplare l'immensità nell'Essere assoluto, l'eternità e la totalità.
La prima pagina del quotidiano vaticano contiene tutte le tesi del mobilismo
essenzialista inconciliabili con la fede cattolica e sempre respinte dalla fede
cattolica.
L'essere stato creato a immagine di Dio non fissa l'uomo in un'immobilità
essenziale, ma lo consacra a un ÿÿfarsiÿÿ a immagine di Dio. Di qui la legalità
della manipolazione a beneficio della natura stessa.
Non si noti che qui la manipolazione dei processi generativi naturali,
dichiarata solennemente illegale dall'Humanae vitae, è dichiarata legale. Inoltre,
il compimento morale dell'uomo (che è suo compito) si confonde con il suo
compimento ontologico (che costituisce un'assurdità). È evidente che il
concetto di libertà umana sostenuto dall'autore non è cattolico, ma tipico
dell'esistenzialismo eterodosso. Secondo la dottrina cattolica, al fondo della
libertà c'è una natura immutabile secondo la quale la libertà deve essere
esercitata, e che specifica l'atto di libertà che la qualifica: la libertà non è
creazione, e tanto meno autocreazione Più aperto è il rifiuto della metafisica
cattolica 6 .

nelle seguenti parole, che trasformano l'essere di Dio in divenire: alla


definizione di Dio come ÿÿens a seÿÿ , cioè come essenza attiva e dinamica che
si pone nell'essere, offre la chiave per passare..., ecc.

Come Dio, l'uomo si crea, anche lui appare


come un ÿÿens a seÿÿ.

Qui crolla il concetto cattolico di Dio, che non è ens a se mettendosi in atto,
ma perché lo è: non sviluppando la propria realtà in una perenne indigenza che
perennemente riempie, ma perché possiede inevitabilmente e senza possibile
progresso la sua proprio essere. Il Dio abbozzato da OR è il dio dei
trascendentalisti tedeschi, non il Dio di

6Nel volume di AA. W., Il problema di Dio in filosofza e in teologia oggi, Milano 1982,
p. 34, LUIG1 SARTORI ritiene plausibile che se Dio è concepito come amore e libertà,
´
non c'è ragione per le dimensioni di storicità (= divenire) che Egli assumerà
eventualmente (naturalmente non per obbligo, cioè per necessità di ÿÿconquistare
ÿÿ o ÿÿcrescereÿÿ, ma solo per la libertà) erano incompatibili con la Sua infinita perfezione.
Ora, è evidente che la libertà di Dio non può estendersi alla sua essenza, perché la libertà
non può far diventare diveniente l'Indefinibile, né imperfetto il Perfetto.
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17.5. Il mobilismo nella nuova teologia 297

credo cattolico; È il Dio che dice ego sum qui fio, non quello biblico che afferma ego
sum qui sum.

Altrettanto eterodosso è il concetto di uomo proclamato dal mobilismo. Sebbene


sia possibile affermare che l'uomo crea la propria vita morale, poiché per la sua libertà
è in manu consilii sui (Ecli. 15, 14), è un nonsenso metafisico dire che crea se stesso
ed è un ente da vedere L'affermazione non è valida nemmeno prendendola in senso
analogico, perché annulla la distinzione tra Creatore e creatura e cade nel panteismo.

Dice infine l'autore dell'articolo: Questa natura è creata da Dio non come una realtà
statica e come la realizzazione (perfetta fin dai suoi inizi) di un'idea di Dio, ma come
una realtà dinamica destinata ad auto-realizzarsi nella dinamica della storia.

Si leggono qui cose inaccettabili.

In primo luogo, come ho già detto, l'evoluzione morale dell'uomo e la sua


diventare metaf´ÿsico.

In secondo luogo, il divenire è inteso come autocreazione e (usando la terminologia


gentiliana dell'idealismo) come autochthysis, rifiutando l'intera filosofia dell'essere,
che ha sempre negato alla creatura l'attributo della creatività (Summa contra Gentiles
II, cap. 21).

Terzo, viene negata la Parola, sia quella filosofica che quella teologica: cioè
l'esistenza eterna in Dio delle forme delle cose create e creabili. Ciò rompe quel
firmamentum che costituisce il pensiero divino, generatore del mondo, del tempo e
del divenire, da cui derivano l'immutabilità e l'assolutezza dei valori dell'uomo. Chi
nega il Verbo e le idee eterne, dice Leopardi, nega Dio.

Concludendo con il mobilismo e riducendo la cosa ai suoi termini essenziali,


diremo che il divenire non deve essere nobilitato al di sopra dell'essere, né la dinamica
al di sopra di ciò che è stabile, perché il divenire viene dal non essere ed è segno di
imperfezione.

La creatura diviene in quanto non è e non ha in sé il principio per sostenersi


nell'essere. Spetta a lui assumere incessantemente le determinazioni dell'essere che
gli mancano. Tuttavia, Dio (l'essere più determinato) possiede la totalità dell'essere
con tutte le sue determinazioni in un'unità semplicissima. La creatura cade da sola nel
non essere se l'azione divina non la sostiene: il principio di stabilità le viene
dall'esterno. Il mobilismo è estraneo alla religione. Non sembra compito della Chiesa
assecondare e accelerare il movimento, ma fermare lo spirito dell'uomo nel
firmamentum veritatis e fermare la fuga: siste fugam (Seneca).
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298 17. Mobilismo

17.6. Mobilismo in escatologia


Attaccando l'essere di Dio, il mobilismo non può non attaccare anche quella
partecipazione all'essere divino che è la felicità soprannaturale. Se la divinità è
in divenire, lo sarà anche l'uomo divinizzato, e lo stato finale dell'uomo non
sarà uno stato propriamente detto, ma un perpetuo movimento di ricerca.
Questa tesi è professata esplicitamente da padre Agostino Trap´e, per il quale
l'uomo troverà la propria integrazione nella visione di Dio, visione che non si
consumerà in uno stato statico, fosse pure mirabile, ma in una ricerca
infinitamente dinamica per il Sommo Bene. Nulla, dunque, si oppone a questo
cammino inesauribile verso il possesso terreno e definitivo di Dio più di ogni
tipo di immobilità.
Non credo che la concezione statica della beatitudine, tipica di tutte le
scuole cattoliche, rappresenti la massima distanza dall'autentica escatologia;
e mi sembra di notare una contraddizione nelle parole cammino inesauribile
verso il possesso, poiché queste parole indicano un processo infinito di
acquisizione che esclude7il. possesso
Ma la teoria di Trap´e (già anticipata con ben altra forza filosofica da
Gioberti nella Filosofia della Rivelazione) è errata, perché per la Chiesa la
condizione dell'uomo che comprende è totalmente diversa da quella dell'uomo
viaggiatore Negare la differenza equivale a far scomparire quella durata
speciale, diversa da quella del tempo, in cui vive la creatura liberata dalla vanità
a cui è soggetta (quella del divenire e del non essere: cfr Rm 8, 20-21 ).
Equivale anche a rinchiudere la creatura nella temporalità, facendo della vita
eterna una continuazione del tempo, e annullando la trascendenza divina, e
con essa anche la nostra trascendenza analogica. Dio non cerca se stesso: si
possiede; e così la creatura beata non la cercherà più: la possederà.

Per questo la concezione della vita eterna come continuazione infinita


della´ vita nel tempo è una regressione agli Elisi dei Pagani.
Questi solo sapevano immaginare la felicità ultraterrena come il continuo
partecipazione imperturbabile alle delizie del mondo. Ovidio disegna la felicità
degli Elisei come antiquae imitamina vitae (Metam. IV, 445). Nella cat'abasis
dell'Eneide, la felicità consiste in giochi sportivi, canti, musica e persino
merende sui prati verdeggianti (Aen. VI, 656 e ss.). Il mobilismo applicato
all'escatologia conduce al puro immanentismo, che introduce il divenire in Dio
e cancella anche la trascendenza della fine, proiettando la vita presente
all'infinito e ignorando il saltus a novi caeli et nova terra.

7Basta conoscere la distinzione tra beatitudine essenziale e beatitudine accidentale, e aver


letto il Paradiso di Dante, per escludere in termo questo mobilismo.
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Cap'itulo 18
La virtù della fede

18.1. Rifiuto della teologia naturale. Carta.


Garrone. Pisoni
Quella negazione del primato della conoscenza sulla vita, che abbiamo
esaminato nel § 15.3, è penetrata molto ampiamente nella Chiesa. Oggi viene
messa in discussione, elusa o negata la dottrina dei preamboli razionali della
fede, secondo i quali il Dio vivo e vero, nostro Creatore e Signore, può essere
conosciuto con certezza dalla luce naturale della ragione umana (Vaticano I,
DENZINGER, 1806) .
In tal modo le virtù soprannaturali della speranza e della carità perdono il
loro fondamento e diventano categorie di vitalità.
Aderendo ai criteri metodici che ho proposto, dimostrerò l'eclisse del senso
razionale nella Chiesa fornendo solo due testimonianze: del Cardinale Prefetto
della Congregazione per l'Educazione Cattolica (anche nel bando dei Seminari
e degli Studi) e di un sacerdote incaricato per molti anni, con l'autorizzazione
del suo vescovo, della sezione religiosa in uno dei settimanali più diffusi in
Italia.
Al Congresso dei Teologi Italiani (Firenze, 1968) il card. Gabriele M. Garrone
riteneva che la crisi della fede derivi dall'incapacità (alla quale però Teilhard de
Chardin sarebbe sfuggito) di offrire all'uomo contemporaneo una nozione di
Dio che per lui abbia senso: una nozione cioè secondo la sua animosità per la
razionalità e per la verità.
Sua Eminenza ha riconosciuto nella teologia cattolica un eccesso di
teoretica, un'intemperanza della ragione, una specie di filosofismo. I termini
precisi sono questi: Nel secolo scorso i teologi sono stati portati ad affermare
la capacità della ragione umana di provare l'esistenza di Dio. I teologi hanno
abbandonato Dio nelle mani dei filosofi. dobbiamo riconoscere

299
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300 18. La virtù della fede

che abbiamo sbagliato, perché abbiamo chiesto alla filosofia ciò che essa non
può darci. Dobbiamo riscoprire gli attributi di Dio: non le idee astratte della
filosofia, ma i nomi, i veri nomi di Dio.
Non abbiamo la missione di predicare idee, ma la fede.
L'autorità della persona non abroga il diritto di ogni fedele di confrontare
l'insegnamento dei ministri particolari con l'insegnamento della Chiesa
universale. Non sono proprio i teologi, ma la Chiesa stessa, nell'esercizio del
suo supremo ufficio didattico, che nel Vaticano I ha solennemente insegnato
la capacità della ragione di provare l'esistenza di Dio. Non basta dunque dire
che abbiamo sbagliato: bisognerebbe dire che la Chiesa ha sbagliato.
Circusterismo dottrinale e ragionamento debole non solo sono stati
presenti al congresso di Firenze; Oggi il popolo di Dio parla per metà azotico
e per metà ebraico, come ai tempi di Neemia (II Esdr. 13:24). O se no, la Chiesa
sarebbe sotto cattiva stella se fosse oggi nel caso di dire agli uomini: credete
in me, anche se io non credo.
Il discorso del cardinale è richiamato in ICI, n. 305 (1 febbraio 1968), p.
12-13. Dopo aver chiesto alla direzione di quel giornale se non avesse forse
sbagliato a riferirlo e aver informato lo stesso cardinale della domanda che
avevo posto alla rivista, mi ha risposto: No. Avevo trascurato quel testo ICI, e
ho contattato quelli responsabile di conseguenza inviando loro il testo
autentico di questa conferenza.
Inutile dire che il tono era molto diverso.
Essendomi parso che la cosa valesse la pena di continuare, ed avendo
sollecitato l'ICI a pubblicare il testo autentico, la mia insistenza provocò un
colloquio a Roma tra due direttori della rivista col cardinale. Mons.
1 .
Garrone, il quale dichiarò allora di preferire non proseguire la vicenda
Non c'è bisogno di entrarci. Non si può però non osservare (basta leggere
i testi) che le parole di Mons. Garrone sono contrarie al Vaticano I, nella stessa
misura in cui non essere capaci è il contrario di essere capaci. È quindi
superfluo rilevare che il tono, sia diesis che bemolle, non muta il tema
musicale, e che il sentimento con cui si enuncia un giudizio non può mutare
né il senso dei termini né il valore del giudizio (§) . 6.15). Altrettanto superfluo
è segnalare l'origine modernista dell'affermazione del cardinale, poiché è
proprio del modernismo basare la credenza su un sentimento e un'esperienza
del divino piuttosto che su una precedente certezza razionale, e sostenere che
la ragione nec ad Deum be potis eretto (Enciclica est nec illius exsistentiam,
2
ea quae videntur, agnoscere Pascendi, DENZINGER, 2072). utut per

1L'intero scambio epistolare, aperto con il mio ad ICI il 18 febbraio 1968 e


chiuso con la suddetta preferenza, fa parte del materiale di lavoro di Iota Unum.
2né è in grado di elevarsi fino a Dio né può conoscere la sua esistenza anche dal
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18.2. La virtù teologale della fede 301

Nel settimanale Amica del 7 luglio 1963, alla voce La posta dell´anima,
Mons. Ernesto Pisoni scrive: La ragione umana può certamente da sola
dimostrare la possibilità dell´esistenza di Dio e provare da sé stessa
conseguentemente la credibilità dell´esistenza di Dio. Questa posizione è
esattamente l'opposto della dottrina della Chiesa. La ragione non solo
dimostra la possibilità dell'esistenza di Dio, ma anche la realtà di tale
esistenza. Si può forse anche dire che l'esistenza di Dio è possibile
(sebbene da questa possibilità sant'Anselmo deduca subito la sua
esistenza), e questa possibilità si dimostra mostrando che essa non
implica una contraddizione: la non contraddizione è di fatto la condizione della possibilità di una c
Tuttavia, la Chiesa non insegna che l'esistenza di Dio è possibile (cioè
non assurda) ma che è reale. L'esistenza di Dio non è ripugnante alla
ragione, dice mons. Pisoni, non rendendosi conto di applicare così alle
verità naturali la tesi applicabile alle verità soprannaturali.
Di fronte alle verità naturali, che sono il suo oggetto intelligibile, la
ragione apprende e vede. Tuttavia, di fronte alle verità soprannaturali, la
ragione non apprende, ma ha il compito di dimostrare che esse non sono
ripugnanti alla ragione.

18.2. La virtù teologale della fede


L'indistinzione tra sfera dell'intelligibile naturale e sfera del
sopraintelligibile comporta di per sé un rifiuto della dottrina cattolica delle
virtù teologali, che spetta ora a noi esaminare. La ragione non può provare
verità soprannaturali, come la Trinità, l'unione ipostatica, la risurrezione
del
´ corpo o la Presenza Reale nell'Eucaristia.
Si tratta di verità proposte dalla Rivelazione e comprensibili solo per fede.
Ma questa impossibilità non priva l'atto di fede del suo carattere
ragionevole: continua ad esserlo in gran parte. La ragione, infatti,
riconoscendosi finita, vede che possono esistere verità conoscibili oltre il
suo limite (perché la conoscibilità rimanda al vero), ma non afferrabili
dall'evidenza razionale.
A tali verità la ragione aderisce con assenso; questo assenso però non
è prodotto dalla necessità logica dell'evidenza, ma da una determinante
soprannaturale che è la grazia.
La fede è la virtù soprannaturale del primato del conoscere per cui
l'uomo, oltrepassando il proprio limite, acconsente a ciò che non può
vedere perché è al di là del limite. Pertanto, secondo la dottrina cattolica,
la fede è una virtù dell'uomo che risiede nell'intelletto, come la

cose che si vedono


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302 18. La virtù della fede

carità nel testamento; e la sua possibilità, come abbiamo già detto, è una
conseguenza necessaria della finitezza dell'intelletto.
La ragione della fede è da una parte il fatto della finitezza dell'intelletto
3
sulla quale tutte le scienze sono fondate sulla (dall'altra l'autorità
fede) la parola divina rivelata.
Il fatto della Rivelazione ha una rilevanza storica e ne riceve una di
dimostrazione storica. Anche l'autorità della parola divina è un elemento
razionalmente conoscibile. Non è attraverso l'autorità di Dio che lo spirito umano
riconosce l'autorità di Dio (sarebbe un circolo vizioso), ma attraverso
un'argomentazione che trova l'autorità della Rivelazione esaminando
analiticamente il concetto stesso di Dio.
Quindi, nel sistema cattolico, ogni autorità è il prodotto della ragione, perché
sebbene la ragione si sottometta, è la ragione stessa che vede la necessità di
sottomettersi. Pertanto, l'autorità divina costituisce un criterio che prevale su
ogni altro. Le cose credute dal cristiano sono certissime, perché il fondamento
del crederle non è in qualcosa di proprio della creatura, ma nella verità del
pensiero divino.

18.3. Critica della fede come ricerca. lessing


Per la nuova teologia, al contrario, la fede è caratterizzata più dalla mobilità
della ricerca perpetua che dalla stabilità dell'assenso. Si dice addirittura che una
fede autentica debba entrare in crisi, attraversare tentazioni, allontanarsi il più
possibile da uno stato di quiete. Viene addirittura proclamata auspicabile la
moltiplicazione delle obiezioni, che stimola a rivedere e riconquistare
continuamente la certezza del messaggio cristiano (OR, 15-16 gennaio 1979).
Una concezione così dinamica della fede deriva strettamente dal modernismo,
per il quale la fede è funzione del sentimento del divino e le verità concettuali
elaborate dall'intelletto sono espressioni mutevoli di quel sentimento. Deriva
anche lontanamente dalle filosofie trascendentali tedesche, che elevano il
divenire al di sopra dell'essere e, per necessaria conseguenza, il dubbio
irrequieto al di sopra della certezza e la ricerca al di sopra della scoperta. È la
mentalità a cui Lessing ha dato suggestiva espressione nella parabola di Eine
Duplik: Se il Dio infinito e onnipotente mi ha dato la possibilità di scegliere tra il
dono nascosto nella sua mano destra, che è il possesso della verità, e il dono
nascosto nella sua mano sinistra, che è la

3In realtà, ogni scienza riceve da altre scienze conoscenze che non dimostra:
crede alle altre scienze da cui le riceve. Anche nelle scienze il sapere dell'uomo si
fonda sulla fede che uno scienziato presta all'altro. Non accade altrimenti nella
vita comune e civile.
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18.4. Critica della fede come tensione. vescovi francesi 303

cerca la verità, ti prego umilmente. Oh Signore! Concedimi la ricerca della verità,


4 .
perché possederla è solo tua
La parte errata di questa concezione sta nel prendere per umiltà una disposizione
d'animo che è tuttavia squisitamente arrogante: chi preferisce la ricerca della verità
alla verità stessa, che cosa e anzi preferisce?
Preferisce il proprio movimento soggettivo e l'agitazione vitale del suo io a quel valore
di arresto in cui gli è stato dato il movimento soggettivo. Si tratta, insomma, di un
rinvio dell'Oggetto davanti al soggetto, e di un presupposto antropotropico
inconciliabile con la religione, che desidera la sottomissione della creatura al Creatore
e insegna che attraverso di essa la creatura trova la propria sazietà e la propria
perfezione. . L'errore per cui la ricerca della verità viene valorizzata più del suo
possesso è una forma di indifferentismo.
Giovanni Paolo II l'ha condannata in questi termini: È anche indifferente alla verità
ritenere più importante per l'uomo cercare la verità che raggiungerla, poiché alla fine
essa inevitabilmente gli sfuggirebbe (OR , 25 agosto 1983) . A questo errore consegue
quello di confondere il rispetto dovuto ad ogni persona, indipendentemente dalle idee
che professa, con la negazione dell'esistenza di una verità oggettiva.

18.4. Cr´ÿtica de la fe como tensi´on. Los obis


francese pos

Si dice che la fede consiste in una tensione dell'uomo verso Dio. Questa dottrina
è avvalorata dal documento promulgato dai vescovi francesi dopo la loro plenaria del
1968. A p. 80 ripudia espressamente la definizione di fede come adesione dell'intelletto
alle verità rivelate, e riconosce nella fede un'adesione esistenziale a un atto vitale: per
lungo tempo la fede è stata presentata come un'adesione all'intelligenza illuminata
dalla grazia e sorretta dalla parola di Dio. Oggi c'è stato un ritorno a una concezione
più coerente con il corpo della Scrittura. La fede allora si presenta come adesione di
tutto l'essere alla persona di Gesù Cristo. È un atto vitale e non più solo intellettuale,
un atto che si rivolge a una persona e non più solo una verità teorica; quindi non
poteva essere compromessa da difficoltà teoriche di dettaglio.

Poiché la fede consiste in questa tensione vitale, essa sussiste finché sussiste,
indipendentemente da ciò che si crea. Questa dottrina se ne va

4 Edizione di Francoforte, 1778, p. 10. Il significato della parabola è spiegato nel


brano a p. 9: Ciò che costituisce il valore dell'uomo non è la verità, in possesso
di cui ogni uomo è o pensa di essere, ma lo sforzo onesto che ha speso per raggiungerlo
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304 18. La virtù della fede

della tradizione della Chiesa. Certamente la religione è una disposizione della


totalità della persona e non solo del suo intelletto, ma l'atto di fede è compiuto
dalla persona proprio mediante l'intelletto. Non si devono confondere le
priorità, confondendo poi le virtù teologali come necessaria conseguenza. La
fede è una virtù dell'uomo del tipo di conoscere, non del tipo di tendere verso.
È vero che la religione è composta dalle tre virtù teologali, ma il suo
fondamento è la fede, non la tensione (cioè la speranza).

Non nego che la religione possa essere vista in generale come una
tendenza verso Dio; è falso, però, che essa consista di per sé in questa
tendenza. In primo luogo perché una tale tensione è compatibile con qualsiasi
esperienza religiosa del genere umano, compresa quella di coloro che adorano
sterco e scarabei e offrono sacrifici umani. In secondo luogo, perché tale
tensione assomiglia al titanismo, in cui lo sforzo umano non è diretto a
venerare il Numen, ma a sfidarlo e sconfiggerlo.
Piuttosto, la tensione è in gran parte compatibile con l'esperienza religiosa
di Satana, che tendeva con tutte le sue forze a Dio, ma non per adorarlo, ma
per essere lui. La caratteristica caratteristica della religione è la sottomissione,
e il principio che la costituisce è il riconoscimento della dipendenza.
Il principio di tensione è, tuttavia, un principio di autodeterminazione e
indipendenza.

18.5. Ragione e certezza della fede. Alessandro


Manzoni
Anche intorno al motivo del credo religioso gli innovatori si discostano
dalla dottrina della Chiesa. Dicono che la ragione per credere è la perfetta
integrazione della persona umana e la completezza della sazietà cercata
dall'uomo. Questo motivo è legittimo e ben noto alla teologia cattolica: ma non
come motivo primario e determinante, poiché il fine della religione non è la
sazietà dell'uomo, ma il compimento del fine della Creazione.Oh, Dio stesso.
Qui riappare la tendenza antropotropica del pensiero innovativo. Il fine che
5
,
Dio assegna all'uomo è la giustizia, cioè l'adesione alla volontà divina; ma è
proprio questo l'obiettivo che Dio si propone quando assegna all'uomo la
giustizia come fine: condurlo alla felicità. Nella prospettiva dell'uomo, il
primum deve essere la giustizia. La felicità consiste nell'essere perfettamente
giusti, secondo la parola di Cristo: Beati i

5 Cerca dunque prima il regno di Dio e la sua giustizia (Buscad, pues, primero
el reino de Dios y su justicia) (Mt 6, 33).
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18.5. Ragione e certezza della fede. Alessandro Manzoni 305

che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati (di giustizia)
(Matteo 5,6). L'elemento soggettivo della felicità deve essere ridotto affinché
l'Oggetto trionfi.
Anche il fondamento della certezza della fede è del tutto estraneo al
soggetto. Per il credente è la più salda delle certezze, al di sopra
dell'incomprensibilità dei dati rivelati e di ogni condizionamento storico. Poiché
i dati rivelati sono di natura tale che la mente umana non può trovarli né
verificarli, l'unico modo possibile per fondare la certezza è ricevere quella
verità, riceverla puramente senza mescolare nulla dalla nostra parte: in breve,
trasferire completamente i motivi della certezza dalla parte del soggetto alla
parte dell'Oggetto. La certezza del credente sui dogmi di fede non si fonda su
argomenti storici della loro verità, e nemmeno, come ho già detto, sulla
confutazione delle opposte obiezioni. Si basa su un principio che va al di là di
tutte le condizioni, di tutti i presupposti e persino di tutte le eventualità storiche.
Credere nella fede cattolica è sapere fermamente che contro le verità credute
non c'è argomento trovato o trovabile, è sapere che non solo le obiezioni che
si pongono contro di essa sono incoerenti, false e risolvibili, ma che saranno
incoerenti, false e solubili quelli che possono essere stabiliti nel corso del
futuro in saecula saeculorum, sotto qualsiasi estensione dei lumi del genere
umano. Hai tutte queste obiezioni (contro la Rivelazione)? esaminate, scrive
6
storia, storia naturale, , Manzoni Sono obiezioni di fatto, cronologia,
morale, ecc. Hai discusso tutti gli argomenti degli avversari, ne hai riconosciuto
la falsità e l'incoerenza? Questo non basta per avere Fede nelle Scritture. È
possibile, e purtroppo possibile, che nelle generazioni successive ci siano
uomini che studieranno nuovi argomenti contro la verità delle Scritture;
approfondiranno la storia, affermeranno di aver scoperto verità di fatto per cui
le cose affermate nelle Scritture appariranno false. Ora devi giurare che questi
argomenti che non sono ancora stati trovati saranno falsi, che quei libri che
non sono ancora stati scritti saranno pieni di errori: lo giuri? Se ti rifiuti di
farlo, confessa di non avere fede. Di conseguenza, la fede è una persuasione
molto ferma, che non ammette la clausola rebus sic stantibus (non ammette
cioè la clausola della storicità) e introduce l'uomo nella sfera sovrastorica e
atemporale del divino in sé, nella quale non est transmutatio nec vicissitudinis
obumbratio (Giacomo 1, 17)

7 .

6 Morale cattolica, ed. cit., vol. II, pp. 544-545; per l'analisi della teoria manzoniana, cfr.
vol. III, pag. 358-359. ...
7 non c'è ondeggiamento o oscuramento, effetto della variazione
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306 18. La virtù della fede


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Cap'itulo 19

La virtù della speranza

19.1. Ibridazione di fede e speranza


Ibridazione di fede e speranza. Ebr. 11. Ragionevolezza dell'
virtù soprannaturali

L'abbandono del fondamento intellettuale della fede (sostituito da una tensione)


altera la natura della Rivelazione, che cessa di essere una rivelazione al
uomo di verità irraggiungibili dalla sua forza intellettiva naturale, per
diventare una tensione o impulso che proietta le sue energie verso l'infinito.
Questa confusione si basa sulla convinzione che l'adesione intellettuale
ai dogmi soprannaturali sia cosa facile, o più facile dell'adesione
pratica. In realtà, detta adesione intellettuale implica un totale superamento
della parte superiore dell'uomo, e non è paragonabile alla semplice adesione
agli oggetti immaginari della mitologia. Suppone un salto nel soprannaturale e
è un atto che tutta la persona compie insieme all'intelletto. la fede possiede
di conseguenza una profondità metafisica che la somiglia alle altre due
virtù teologali della speranza e della carità.
Poiché il pensiero moderno considera la fede come una tensione,
tende a farne una forma di speranza, falsificando l'ordine delle priorità e
trasferendo la fede dall'ordine conoscitivo all'ordine appetitivo. IL
la confusione della speranza con la fede discende dall'esistenzialismo e
crede di trovare sostegno nella stessa definizione paolina dell'ebr. 11, 1, tradotto da
Dante in coppia. XXIV, 64-5: la fede in ciò che si attende è sostanza / e argomento
di cosa non brevettata.
Tutti i Padri e gli Scolastici hanno giustamente compreso che la fede è
sostanza, cioè sostrato e fondamento della speranza: le cose soprannaturali
che si attendono hanno per principio e sostrato le cose soprannaturali che
si credono. La fede è sostanza che dà sostanza alla speranza, non quella

307
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308 19. La virtù della speranza

lo riceve da lei. Il paradiso si aspetta perché ci si crede, non ci si crede perché


lo si aspetta.
Ma i moderni hanno volontariamente invertito l'ordine e trasformato la fede
in figlia della speranza, quando la realtà è esattamente l'opposto.
Affermano che l'uomo prima si getta fiducioso nel suo mondo di valori, e poi
fa di questi valori attesi l'oggetto della credenza e
certezza.
La trasformazione della fede in speranza si è infiltrata nei documenti dei
Sinodi nazionali con definizioni stravaganti che suonano come vaniloquio;
Un esempio è la proposta del Sinodo ticinese secondo cui la fede è comunicare
a se stessi e a Dio la propria speranza: una formula che, se non fosse indice
di confettura dottrinale e di distacco dalla tradizione teologica, potrebbe
essere presa come alterazione ufficiosa (poiché il Sinodo era presieduto dal
vescovo) del rapporto tra le due virtù teologali.
In un certo senso, la fede può essere considerata l'esperienza di Dio.
Sebbene i modernisti lo ritenessero erroneamente, dimenticando che
l'esperienza di Dio è concessa in questa vita solo attraverso una grazia
particolare che fonda la teologia mistica, è possibile affermarlo se tale
esperienza è intesa in senso lato, come atto consapevole e verificabile in allo
stesso modo del resto degli atti conoscitivi. Anche Giovanni Paolo II, parlando
ai teologi, ha insegnato che l'uomo trascende i limiti della conoscenza
´
puramente naturale e fa di Lui un'esperienza che altrimenti gli sarebbe preclusa.

Ma subito spiegò, appellandosi a san Tommaso, che l'esperienza della fede


è un fatto essenzialmente intellettivo: l'uomo può giungere a qualche
comprensione dei misteri soprannaturali grazie all'uso della sua ragione, ma
solo in quanto la ragione poggia sul saldo fondamento della fede, che è
partecipazione alla stessa conoscenza di Dio e dei beati intelletti (OR, 17
ottobre 1979). Ora, chi dirà che l'uomo in questa vita abbia l'esperienza di chi
già gode la gloria?
In conclusione, il primato della fede sulla speranza appartiene al
fondamento della religione cattolica, che è la ragionevolezza. Tutte le virtù
teologali sono infatti motivate, e che cos'è un motivo se non una ragione?
Il carattere di atto motivato appariva nelle formule (oggi inutilizzate) degli
atti di fede, speranza e carità (a cui si aggiungeva un atto di contrizione)
insegnate nel catechismo e praticate quotidianamente nella vita cristiana. La
rivelazione è creduta perché Dio esiste ed è vero. La salvezza eterna e il
perdono dei peccati sono attesi perché Gesù Cristo li ha meritati per noi e
sostiene la nostra volontà. Si ama Dio perché è un bene infinito infinitamente
amabile, e si ama il prossimo, che non è infinitamente amabile, perché ama
l'infinitamente amabile che ha creato per amore.
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19.1. Ibridazione di fede e speranza 309

chi non lo è. Infine, si sperimenta il dolore e il pentimento per i peccati perché


Dio è stato offeso e perché si è perso come felicità.

La ragionevolezza domina tutti gli atti della religione cattolica, che non si
basa mai sull'uomo, creatura e dipendente, ma su Dio e su ciò che è
1
indipendente.

1La confusione dei concetti teologici si unisce spesso anche al circu- terismo
tipico della mentalità postconciliare, che mette sotto la stessa parola idee
disparate. Nell'OR del 30 marzo 1983, per penna di un vescovo, si afferma che
non basta credere in Dio, ma che è necessario credere nell'uomo, perché Dio ha
creduto nell'uomo, in Adamo, in Eva, negli Apostoli, in Giuda, ecc.: è tanto vero
che ha cercato di salvarlo in tutti i modi possibili. Oltre a contraddire la
Scrittura (Ger. 17, 5) e trascurare la distinzione classica tra credere Deum,
credere Deo e credere in Deum, qui credere è chiaramente confuso con amare,
sbagliare, per cui si potrebbe dire qualsiasi cosa su qualsiasi cosa.
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310 19. La virtù della speranza


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Capitolo 20
La virtù della carità

20.1. Concetto cattolico di carità


Il riferimento alle formule teologicamente custoditissime e perfette
degli Atti di fede, speranza e carità (a volte molto popolari) ci introduce al
concetto di carità, che oggi tende ad assorbire fede e speranza in un'unica
tensione.
Certamente, il primato della carità, proclamato in un celebre passo di
san Paolo (1 Cor 13, 13), è riconosciuto da tutta la teologia, sia nelle scuole
intellettualistiche, sia in quelle volontaristiche; ma non perché le altre due
virtù teologali si riducano formalmente alla carità e perdano in essa la loro
specifica essenza, bensì perché, come spiega san Tommaso nella Summa
theol. 11, 11, q. 23, un. 8, la volontà ha il vantaggio di rivolgersi all'oggetto
desiderato e di trasferire (si potrebbe dire) il soggetto all'oggetto. Al
contrario, l'intelletto riceve l'oggetto e porta, per così dire, l'oggetto al
1 .
soggetto: operatio intellectus completur secundum quod intellectum est in intelligente.
La fede, virtù intellettiva, giunge a Dio con l'assenso alle cose che non
si vedono; la speranza lo raggiunge con l'attesa di Dio non ´ posseduto; ma
la carità raggiunge Dio ut in ipso sistat (per riposare in Lui).
Già in questa vita Dio è amato, ed è in quanto è amato che è raggiunto.
Per questo motivo di ambiente che li caratterizza, la fede e la speranza
sono esaurite, mentre Caritas nunquam excidit (l'amore non finisce mai)
(1 Cor 13, 8). La fede cessa quando si vede Dio, e la speranza quando lo
si raggiunge, mentre la carità continua nello stato escatologico,
semplicemente spogliata dell'imperfezione che aveva nella vita temporale.
Ma l'eccellenza della carità deriva anche (oltre che non essere un
mezzo, ma un atto dell'uomo che si conclude e si eterna in Dio) da un

1L'operazione intellettuale è completa quando ciò che è compreso è in colui che comprende

311
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20. La virtù della carità


312

ragione teologica più profonda. Finché sono nel pensiero di Dio, gli esseri
finiti non possono non essere, poiché l'ordine ideale è una naturale processione
interna all'essenza divina. Questa rosa, per esempio, non potrebbe essere, ma
l'idea di questa rosa è impossibile non esserlo; John potrebbe non esserlo,
ma l'idea di John, no. Le cose reali, però, con il loro atto di esistere, non
potrebbero essere, e solo per amore divino sono fatte.
Questa profonda verità è magnificamente cantata da Dante nel par.
XXIX, 13 e ss.: Non perché sia provvista di qualche nuovo bene, / com'è
assurda, ma perché il suo splendore / risplende quando ´ pronunziando
sussisto, / solo nella sua eternità e nel suo sapore, / senza tempo, e come Lui
s ho solo capito, / L'amore si è aperto a nuovi amori.
La creatura procede dalla carità divina, senza la quale esisterebbe
naturalmente in Dio, ma non in se stessa. Tuttavia, è chiaro che nemmeno
questa eccellenza della carità creatrice impedisce la precedenza all'Idea (alla
quale appartiene un'eccellenza di altro genere), poiché essa è più
necessariamente l'essere (sebbene solo nell'idea e in Dio) che l'essere.
contingentemente (come il mondo, che in verità è qualcosa per accidens).
E non solo la carità è la più eccellente delle virtù, ma è molto tipica del
cristianesimo, poiché i pagani conoscevano appena l'amore di Dio per il´
mondo o l'amore dell'uomo per Dio. Nell'Etica nicomachea, Aristotele nega, a
causa della trascendenza dell'uno sull'altro, che ci possa essere amicizia tra
Dio e l'uomo; e anche Platone nel Simposio lo nega, perché l'amore è figlio di
Penia e implica indigenza.
Questa eccellenza dell'amore è trasformata da correnti innovative.
Come sopprimono il logico in favore del vissuto, così abrogano la legge in
favore dell'amore; e poiché la legge è la struttura della morale e della religione,
riducono la Chiesa stessa a lievito di amore.

20.2. La vita come amore. Ugo Spirito

Nell'opera di Ugo Spirito, La vita come amore, questa risoluzione di tutti i


valori (e soprattutto di quelli logici) è teorizzata con inflessibile coerenza nella
categoria dell'amore, qualificandolo come l'apice della civiltà cristiana, troppo
dominata il Logos.
La tesi di Spirito implica (come abbiamo già detto tante volte, anche se
non troppe) la negazione del Verbo: cioè dell'organismo trinitario; cioè di Dio.
L'autore sostiene che il Logos è incompatibile con l'agape, e che l'amore si
può ottenere solo eliminando la dualità e l'opposizione di bene e male e di
conseguenza il giudizio di valore espresso in tale opposizione. Per poter
amare occorre un'assoluta mancanza di critica, che tutto cancella
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20.3. amore e diritto 313

discretium spirituum e che infine degrada il principio di contraddizione per cui il male
non è bene e va odiato, mentre il bene è amato.

Secondo Ugo Spirito, la crisi del mondo è, propriamente e formalmente, l'effetto


del giudizio con cui l'uomo si trova diviso tra valori e antivalori, tra cose desiderabili e
cose abominevoli.
Certamente non si può evitare la profondità metafisica e la mente veramente
essenziale di questo amore assunto come trascendente, in cui tutto diventa uno. In
realtà l'amore sarebbe possibile solo nella nullità dei valori. Ma c'è una contraddizione
intrinseca nel dire che una cosa è gentile quando è impossibile giudicarla come tale.
Il circolo vizioso è lo stesso circolo vizioso del pirronismo; Sebbene l'amore consenta
di superare la distinzione tra ciò che è amabile e ciò che è odioso, questa distinzione
è tuttavia necessaria per poter considerare amabile l'indistinzione: utcunque
philosophandum est.
È superfluo osservare che la teoria della vita come amore aborrisce i giudizi
assoluti e quindi rifiuta quel giudizio assoluto che in etica si chiama inferno. E non
perché si dica che tutti si salvino, i giusti per mezzo della giustizia e gli empi per la
misericordia di Dio, ma perché virtù e delitto si fanno tutt'uno nell'amore, che si trova
al di là di ogni contraddizione.
2.

20.3. amore e diritto


Come nell'Infinito lo Spirito Santo procede dal Verbo e nella creatura spirituale la
volontà dall'intelletto, così la negazione di questa processione suppone l'assorbimento
della legge nell'amore. L'uomo che avesse la carità sarebbe libero davanti alla legge,
presa solo come ordine obbligatorio e coercitivo. Piuttosto, la legge si contrappone
allo spirito, facendo della prima il carattere dell'uomo antico e del secondo quello del
Vangelo. La dottrina cattolica, al contrario, insegna che l'amore include l'obbedienza
alla legge e modella la volontà sull'ordine della legge. Le parole di Cristo in Giovanni
14:15 sono irrefragabili: Si diligitis me, mandata mea servate (Se mi ami, osserverai i
miei comandamenti). Se non fosse per la legge, come si manifesterebbe l'amore?
L'amore non abroga la legge, ma la compie, allo stesso modo che metafisicamente la
volontà presuppone l'intelletto e teologicamente lo Spirito Santo presuppone (se è
lecito dirlo) la
´
2Questa è anche la dottrina di DAVID FLUSSER in Gesù nelle sue parole e nel suo
tempo, Ed. Cristianidad, Madrid 1975, caps. V e VI. Ma basta conoscere un po' di storia per
riconoscere quanto siano scarse le nuove elucubrazioni moderne. La dottrina della vita come
amore è una variante dell'eresia degli eticoproscopi, combattuta da san Giovanni Damasceno.
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314 20. La virtù della carità

Verbo.
Va anzitutto osservato che, come la legge morale naturale, la legge
cristiana della grazia costituisce un principio di obbligo, poiché il Vangelo è
legge (nuova, ma legge) e comandamento (nuovo, ma comandamento). La
legge ha carattere coercitivo, perché è alimentata da una doppia sanzione: la
riprovazione interna immanente e (lasciando da parte le altre) la ricompensa
escatologica. In nessun modo è giustificato il rifiuto dello ius come
incompatibile con la morale, poiché lo ius è una replica della morale. E se san
Paolo dice che lex iusto non est posita (la Legge non è stata data per i giusti)
(I Tim. 1, 9), e che gli uomini che vivono senza Rivelazione nella semplice
morale naturale ipsi sibi sunt lex (sono Legge a stessi) (Rm 2, 14), queste
parole, secondo l'unanime tradizione cattolica, non insinuano che la legge
non sia stata data al giusto, ma piuttosto che non sia imposta.
Il giusto si appropria della prescrizione della legge per amore, cessando
di essergli estrinseco essendo interiormente adottato. Allora il bisogno di
osservarlo, che continua ad esistere, si trasforma in libertà. Questa filosofia
secondo cui l'interiorizzazione della legge ne toglie la coattività è di origine
stoica; ma acquista nell'etica cristiana il carattere particolare di legge di
grazia. San Tommaso insegna nel commento a Rom. 2, leggi. III, che il grado
supremo della dignità umana consiste nel tendere al bene con il proprio
impulso; il secondo grado è muoversi verso il bene su impulso degli altri, ma
non con la forza; e il più basso (anche se è un grado di dignità), nel bisogno di coercizione.
In tutti i gradi, però, l'obbligazione della legge è causa ultima della volontà,
cioè dell'amore. E sia chiaro: non è la legge che si fa interna all'uomo e
all'uomo viene ricondotta, ma l'uomo alla legge, che penetra e plasma la
volontà.
El primum es la ley, no el hombre. De hecho, como ense˜na San Agust´ÿn
en el De spiritu et littera, lib. 1, cap. XXX, 52 (PL 44, 233), la ley non è eliminada,
sino confermata por la libertad; y el caput de la vida humana est´a fuera del
hombre: il vizio nasce quando ciascuno confida in se stesso e poi fa vivere la
3 .
propria testa (cap. VII, 11, PL 44, 206)
Il discorso sulla preminenza della legge sull'amore e dell'amore sulla legge
prepara il discorso sull'attacco lanciato nella Chiesa postconciliare contro
l'esistenza e il carattere assoluto della legge naturale, fondamento della vita
morale. L'attacco è stato condotto in vari modi: sfidando l'esistenza stessa di
un principio immobile per sostituirlo con la moralità situazionale, con il
principio di globalità, o con quello di gradualità.
Il concetto di destino individuale è stato abbassato rispetto a quello di salvezza

3Un vizio che alza il collo quando l'uomo pone sopra ogni cosa la propria fiducia nelle
proprie forze, costituendo egli stesso la ragione autonoma della sua vita
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20.4. La negazione del diritto naturale. sartre


315

Comunità.

20.4. La negazione del diritto naturale. sartre

Questa negazione discende dalle deviazioni che abbiamo illustrato, e


soprattutto dal pirronismo e dal mobilismo che irrompono nella Chiesa (§§ 15.2
ss., e 17.1 ss.). L'assalto compiuto da ogni parte contro la legge naturale è
evidente nella capitolazione generale della legislazione delle nazioni europee
con l'adozione del divorzio, dell'aborto
´ o della sodomia, cancellati dalla
categoria dell'illegale. Questo è il segno più inconfutabile e più formidabile
della corruzione della civiltà in atto nell'attuale articulus temporum. Qui, però,
ci limitiamo a illustrare brevemente le moderne teorie distruttive del diritto
naturale ea mostrare che esse implicano un rifiuto radicale delle essenze.

Lasciamo da parte la perversione di Sartre, che non si accontenta di


ignorare l'esistenza del diritto naturale, lo inverte (dichiaratamente
contraddittorio) e si configura come una vera e propria iustificatio diaboli o
diabolodicea contrapposta alla tradizionale teodicea.
È la celebrazione della volontà incondizionatamente malvagia: non la volontà che
per le Basi radicali kantiane devia in modo contingente dalla legge morale, ma la
volontà che ha come struttura fondamentale l'intenzione di fare il male.

Non si tratta, quindi, di un'inversione della legge (questa si limiterebbe a


ignorare l'antitesi tra bene e male e l'imperatività del bene), bensì un'inversione,
perché il male in quanto male (e non come indifferente) è la determinante e la
ideale della volontà. Questa totale indipendenza dalla legge sostituisce la
libertà con il delirio (nel senso etimologico) e l'autonomia con l'anomia: Male,
sii il tuo bene, sospira Satana nel Paradiso perduto di Milton (a cura di Esteban
Pujals, Ed. C´atedra, Madrid 1986, L. IV, n.110, p.183).
4
Non pochi teologi cattolici sostengono che il divieto dell'aborto non è
un'esigenza immutabile della legge morale, ma un'esigenza della legge
evangelica; e che questo non può essere imposto alla società civile, fondata
sulla libertà di scelta dei valori.
Paolo VI (OR, 31 agosto 1972) insorse contro le dottrine che mettevano in
dubbio la fermezza della legge naturale: La norma morale, nei suoi principi
costanti, sia quelli della legge naturale sia quelli evangelici, non può subire
mutamenti. Ammettiamo, tuttavia, che potresti riscontrare incertezze quando
4Ad esempio, il professore di teologia pastorale all'Università di T¨ubingen,
scomunicato dal suo vescovo (OR, 17 maggio 1973).
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316 20. La virtù della carità

se tratta della profondità speculativa di tali principi, o anche se tratta del suo
disegno logico e della sua applicazione pratica. El Pont´ÿfice ripropone la
doctrina cl´asica de la gran tradici´on filos´ofica grecoromana e de la teolog´ÿa
cat´olica desde San Agust´ÿn a Rosmini, y casi en los mismos t´erminos. La
norma morale è assoluta, al ser una expresion del orden eterno de las esencias
presente en la divina raz´on: la legge naturale è la partecipazione della legge
eterna e l'impressione della luce divina nella creatura razionale che tende a
l'atto dovuto e il fine (Summa theol. 1, 11, q. 91, a. 2).

20.5. Appello alla dottrina cattolica


La teoria cattolica del diritto naturale si riassume in queste tre proposizioni.
Primo: la legge naturale è un ordine assoluto insito nell'Assoluto ontologico.
Secondo: la legge naturale è immediatamente conoscibile nella struttura della
creatura razionale. Terzo: la legge naturale contiene la qualificazione di tutti
gli atti umani possibili e tale qualità è riconosciuta da una scienza pratica.
Questa scienza pratica è seguita da tutti coloro che agiscono in base alle
proprie scelte morali, ma ne costituisce anche un corpo sistematico: la casistica.
Di conseguenza, la legge naturale è un'opinione della ragion pratica (la
ragione che giudica il dover essere delle azioni umane) e corre parallela alla
ragione speculativa, che giudica l'essere delle cose (Summa theol. 1, 11, q. 94,
a 2).
Quindi, come dai principi della ragione speculativa si deducono tutte le
verità particolari sulle cose non agibili, dai principi della ragione pratica si
deducono tutti i giudizi sui particolari, le cose lunghe e tangibili; e come in
quelli, anche in questi interviene la possibilità di errore, tanto maggiore quanto
più il processo deduttivo si allontana dai principi per entrare nella regione
estremamente complicata e varia delle quote di fatti.

La teologia cattolica ha sempre distinto tra deduzioni prossime, tratte


immediatamente dai principi e di cui vi è certezza, e deduzioni remote, che
diminuiscono di certezza man mano che si allontanano dai principi. Nel
suddetto discorso, Paolo VI ripropone questo insegnamento.
C'è qualcosa di indefettibile e indistruttibile nell'imperativo morale, e qualcosa
di mutevole nel mondo delle azioni umane, che deve essere modellato
sull'assoluto dell'imperativo morale. Questa conformità è spesso difficile da
riconoscere e sempre difficile da desiderare. Ma è chiaro che la difficoltà della
conoscenza non toglie l'assolutezza e la validità del suo oggetto.
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20.6. Maestà e vilipendio della legge naturale 317

20.6. Maestà e vilipendio della legge naturale


Ha corrisposto al nostro secolo trasformare l'assolutezza, il tremen dum e la
maestà della legge naturale nella frivolezza della pura opinione e nella follia irrazionale
dei tabù.
Il mondo greco tenne alta la legge inviolabile, immobile, innata e indefettibile.
Nell'Edipo re cammina in excelsis (865-866), e l'oblio non le fa venire sonno (870). In
Antigone non vale oggi né ieri, ma vive per sempre (456). Non meno elevata è
l'esaltazione della legge della coscienza in Seneca, Ad Helviam 8, per il quale la retta
coscienza e lo spettacolo della natura sono le due cose più belle sotto il cielo. Né è
necessario ricorrere al celebre passo di Kant a conclusione della Critica della ragion
pratica: Due cose riempiono l'anima di ammirazione e di una venerazione sempre
nuova e crescente: sopra di me, il cielo stellato; dentro di me, la legge morale.

La maestà della legge morale deriva dalla sua forza indefettibile, che si identifica
in Dio con l'essere di Dio. Partecipa al suo carattere di atemporalità e assolutezza, ed
è completamente estraneo all'idea di creazione. Come Dio, la legge naturale è innata,
e la tradizione teologica della Chiesa ha sempre escluso che sia una creazione: il
mondo è creato, ma la legge morale è increata.

È vero che la scuola volontarista che culmina in Guglielmo di Occam ritiene che
anche il diritto naturale sia un effetto creato contingente, ma nonostante interpretazioni
attenuanti, tale dottrina rende contingente la morale e sostanzialmente la elimina.

Per Occam, è possibile supporre senza contraddizione un altro ordine morale,


liberamente voluto da Dio come questo, in cui il bene era il male dell'ordine presente.
L'assolutezza suppone, tuttavia, che l'azione malvagia sia malvagia non solo in questo
mondo creato, ma in ogni mondo possibile.
La legge naturale è dunque impersonale, ma non nel senso che non tenga conto della
persona: tiene conto della persona al sommo grado, ma appunto la contempla, non ne
è emanazione.
Il fondamento ontologico della legge morale è attaccato dalle correnti rinnovatrici
che cercano di negare la precedenza della legge sulla volontà umana, riconducendola
alla creatività del soggetto. La XII Settimana biblica nazionale svoltasi a Roma nel
1972 aveva lo scopo confessato di rinnovare la teologia morale non solo nel metodo
espositivo, ma anche nei contenuti, e confessava di voler fornire un approccio entico
autorevole alla morale.
Sostituendo alle solide definizioni della Chiesa un enorme circusismo
semifilosofico e semipoetico, sostiene che la religione cristiana, prima di essere una
dottrina, è la presenza del giorno del Signore risorto, autenticamente attestato dalla
Chiesa (OR, ottobre 1, 1972). La definizione è viziosa, perché
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318 20. La virtù della carità

la religione non si radica nell'esperienza soggettiva di una presenza, ma nell'assenso


a fatti e parole oggettive. Inoltre, non è vero che il male consiste nel rompere la
tensione escatologica della persona nella storia della salvezza (OR, 27 settembre 1972).

È vero che lo spezza, ma non è un male perché spezza la proiezione della persona
verso il futuro, ma perché viola il rapporto tra una natura e l'altra, tra il finito e l'infinito,
indipendentemente dalla sua conseguenza temporale.

Inoltre, la Settimana si interroga anche sulla permanenza della legge morale,


poiché distingue con terminologia insolita e ambigua morale trascendentale e morale
categorica, e moltiplica l'etica del Nuovo Testamento, molti dei cui precetti sarebbero
derivazioni puramente storiche. Infine, viene esplicitamente formulato il disprezzo del
precetto: non si tratta primariamente di osservare una serie di precetti, ma di
sottomettersi alla verità di Cristo, cioè di vivere in profonda fede (OR, 30 settembre e
1 ottobre 1972 ). L'utilità di sostituire idee e parole precise per circiterizzare idee e
parole anfibologiche, come si fa qui, non si vede. Questa posizione ritornerebbe alla
posizione della teologia cattolica, se si intende che la fede opera mediante la carità, e
se non si rifiuta di riconoscere che lo spirito di Cristo si identifica con i precetti di
Cristo (poiché Cristo ordina le opere e lo spirito, cioè le intenzioni delle opere).
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Cap'itulo 21

legge naturale

21.1. La legge naturale come tabù. Carta.


Denunciare i bambini. Hume. Critica
1 NO
La mutevolezza del diritto naturale, luogo comune della nuova teologia ,
può essere isolata dal tentativo di ridurla a pura irrazionale abitudine di
opinione, privandola del suo carattere assoluto e senza tempo. La parola tabù,
mutuata dall'etnologia e indicante un estremo degrado dello spirito (capace di
considerare sacra e inviolabile una cosa materiale), è stata adottata sia dalle
pubblicazioni profane che da vescovi e ´ologos. Il cardinale Suenens, ad
esempio, in una lettera pastorale sulla sessualità (OR, 21 luglio 1976), tace
completamente la finalità procreativa del matrimonio (di diritto naturale) e
dichiara che una sana evoluzione ha sbloccato alcuni tabù. i rapporti tra uomo
e donna più naturali e veri. In generale, le virtù cristiane sono state degradate
dal grado che possiedono nell'etica cristiana al grado di false opinioni o
superstizioni.
Chi paragona il diritto naturale ai tabù non si rende conto che negare il
diritto naturale è negare l'essere e scontrarsi con il principio di contraddizione.
L'essere, infatti, esiste con una propria consistenza, e resiste alla forza che
l'uomo esercita su di esso per dislocarlo, deformarlo o ridurlo a non essere.
Lo stesso si deve dire della legge naturale, che è l'ordine dell'essere.
Il padre moderno di questa dottrina è David Hume, nell'Essay on the

1Tipico è il caso di padre CURRAN, uno dei discepoli più noti di padre H´aring,
esponente del problema cattolico negli Stati Uniti. Fu rimosso dall'arcivescovo di
Washington per aver insegnato che la legge naturale ei precetti morali sono in
continua evoluzione. Ma seimila studenti e quattrocento professori protestarono
in sua difesa, e lo stesso arcivescovo lo rimise in cattedra (ICI, n. 288, p.7, 15
maggio 1968).

319
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320 21. Legge naturale

giustizia, dove afferma: La stessa definizione di superstizione potrebbe essere


applicata alla giustizia, con la sola differenza che la superstizione è frivola,
inutile e opprimente, mentre la giustizia è utile e assolutamente necessaria per
il benessere della società. Ma in realtà bisogna confessare che tutte le
considerazioni che si hanno per il diritto e la giustizia sono del tutto prive di
2
fondamento. Quell'avverbio, assolutamente, e quel predicato, del tutto
infondato, sono nel testo di Hume troppo vicini, e l'oblio non riesce a produrre
abbastanza oscurità perché cose contraddittorie possano coesistere. In ogni
caso, non si può spegnere il potere logico dell'uomo e persuaderlo ad
ammettere la contraddizione affermando al tempo stesso la necessità di una
cosa (cioè la sua impossibilità di non essere) e la privazione del suo
fondamento per essere
Non si può tornare indietro; e dopo aver detto che la proprietà, il pudore o
l'obbedienza sono tabù, bisogna anche dire che l'affetto paterno, filiale o
coniugale, e la ripugnanza alla sodomia, all'antropofagia e alla necrofilia.
Infatti, si dice così, e tutta la società civile è intrisa di tale sentimento attraverso
il divorzio, la sodomia e l'aborto.

21.2. La Legge come creazione dell'uomo. du m


´ery
L'attacco al diritto naturale torna al tentativo del pensiero moderno di
annullare la differenza tra le essenze e di far scomparire la dipendenza vissuta
dal dipendente. Contro il carattere assoluto del Legislatore divino, di cui Victor
Hugo ha detto il est, il est, il est´eper dument, sorge la libertà del soggetto di
disfare e rifare le essenze.
Detto attacco ritorna anche alla filosofia della rivoluzione, poiché questa è
un'insurrezione dell'uomo contro qualsiasi legge che provenga da una natura
o da un'essenza. Secondo Sartre non esiste natura umana, ma solo un
continuo disfare e rifare dell'uomo da parte dell'uomo. Il principio cattolico
nega che l'uomo possa creare (anche secondariamente), ma gli concede
l'educazione e lo svolgimento delle virtualità presenti nella natura creata.
L'uomo possiede, gode e lavora la propria natura e le cose del mondo, ma
non trasforma le essenze: gli è ordinato di obbedire ad esse. Il principio della
rivoluzione, tuttavia, consiste nel rifiuto e nell'audace distruzione. La natura
delle cose, ecco il nemico. L'uomo che adempie al suo ufficio di uomo è colui
che rifiuta di sottomettersi a lei.
Questa formula è ammirevole: comprende profondamente come la religione

2 Saggio sui principi dell'intelligenza umana (1748).


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21.2. La Legge come creazione dell'uomo. Dum'ery 321

consiste nel conoscere e riconoscere l'ordine delle essenze, mentre l'irreligione è


Beelceb'u, cioè colui che non subisce alcun giogo.
Tuttavia, se la citazione esprime la dottrina di un movimento radicale al di fuori
della Chiesa, la profundior intentio (come diceva san Tommaso) di quella corrente
appare anche nell'opera di Henri Dum´ery, che difende espressamente la 3 creazione
umana di valori . I valori sono una creazione del Cogito, la cui attività consiste nell'agire
le essenze in senso assoluto. Secondo l'autore l'uomo possiede una creatività
assiologica, cioè una capacità di creare valori vivendoli. Con ciò l'autore non comprende
la capacità dello spirito di vivere nell'esperienza morale i valori che si danno
nell'intelletto e che egli in qualche modo li fa essere nuovamente, riconoscendoli
liberamente.
Se questo fosse ciò che ho inteso, rientrerebbe nella dottrina comune, che
considera dovere della persona umana far emergere i valori del diritto attraverso la
propria libertà. L'autore intende invece una vera e propria creazione di valori: La legge
è quella del rapporto dello spirito con l'Assoluto, del suo ritorno verso Dio. Ma questa
legge è stabilita dall'atto spirituale stesso, che trae dall'Assoluto la forza per divenire,
dandosi un mondo di essenze, un orizzonte di valori. Da dove è verissimo che lo spirito
deriva dall'Assoluto e che i valori derivano dalla legge immanente all'atto. Ma non è
vero che i valori sono preformati nell'Assoluto, che sopprimerebbe ogni forza produttiva
della libertà umana.

4
Questa tesi implica l'indipendenza del dipendente : cioè la facoltà
dello spirito creato di creare un mondo di valori. Un tale mondo non è secondario e
partecipato dall'Idea divina increata: è un mondo originario di valori veramente
primordiale non preformato in Dio. È la teoria radicalmente respinta da san Tommaso,
della creatura capace di creare. L'entità dipendente opererebbe come entità
indipendente, senza una causa efficiente o una causa esemplare.

Non intendo influenzare l'affinità di questa posizione con la posizione molinista sul
problema specifico della grazia. In ultima analisi, si tratta sempre di riservare almeno
una frazione di indipendenza alla natura: Molina intende l'indipendenza come
autodeterminazione della volontà, ma non la estende alla creazione di valori; ma la
nuova teologia assegna allo spirito umano molto più che il compimento di un atto: la
creazione di valori. Si può dire che, in quanto essere morale, l'uomo è Dio per se stesso.

3Soprattutto nel libro La fede non è un grido. Fede e istituzione., Ed. Taurus, Madrid 1968,
Indicizzato nel 1958. Si veda la successiva citazione in lib. II, IV, I, pag. 221, n. venti.
4La tesi della moralità indipendente fu sostenuta al congresso della Pax Romana nel
settembre 1982 a Roma. Nel documento fondamentale si dice che la coscienza etica fa valere
le sue esigenze da se stessa, senza poggiare su basi religiose o metafisiche (OR, 12
settembre 1982).
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322 21. Legge naturale

21.3. Rigetto del diritto naturale da parte della so


società civile
La negazione del diritto naturale (non solo nelle argomentazioni filosofiche
e teologiche delle classi intellettuali, ma nei costumi e nelle leggi del popolo)
costituisce la rottura generale del sistema cattolico.
Le nazioni cristiane, che anche sotto regimi avversi alla Chiesa regolavano
il matrimonio e la famiglia secondo le massime della giustizia naturale, stanno
separando i diritti individuali, familiari e sociali dai principi religiosi in cui questi
massimi principi sono contenuti e fondati.
I codici, che per secoli sono stati una replica del diritto canonico in questa
materia, sono stati completamente emancipati e sono del tutto conformi al
principio dell'indipendenza della vita umana. Ciò appare nell'universalità del
divorzio, nella legalità e quasi obbligatorietà (per i medici) dell'aborto, e nella
legalizzazione della sodomia. Sarà interessante approfondire brevemente il
pensiero postconciliare su ognuno di questi tre punti (lo faremo nei prossimi
tre capitoli). D'altra parte, è opportuno segnalare in limine una caratteristica
assolutamente nuova della variazione intervenuta. I tanti mutamenti registrati
nella storia, del dominio politico in questo o quel paese o nel regime politico
interno di ciascuno, o anche nella religione di intere nazioni, sono dipesi infinite
volte dal capriccio di un monarca o dalla volontà violentemente attiva di
minoranze, anche minime. Comprendere quei cambiamenti come un effetto dei
movimenti dell'anima e della convinzione delle masse significherebbe cadere in
un errore.
Al contrario, l'adozione da parte degli stati contemporanei del divorzio e
dell'aborto esprime un sentimento generale. Le leggi, che un tempo consistevano
nella condanna di pochi promulgata per tutti, sono oggi (in conseguenza dei
regimi popolari instauratisi ovunque) una decisione del sentimento e, insomma,
della filosofia.
Totale.
Per questo, come dice profondamente Carlo Caffarra (OR, 12 luglio 1978),
l'adozione dell'aborto nella legislazione dei popoli nominalmente cristiani ha
reso perfettamente evidente la decomposizione della nostra civiltà. di rango
sociale, inferiore a quello delle grandi civiltà gentilizie
5 .

5Giovanni Paolo II, nel suo discorso del 9 novembre 1982 a Santiago de
Compostela, considerava tuttavia l'unità europea come ancora esistente e informata
dai valori cristiani (OR, 10 novembre 1982).
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Cap'itulo 22
Il divorzio

22.1. Il divorzio. Arcivescovo Zoghi. Il Patriarca


Massimo IV al Concilio
Avendo ottenuto l'approvazione del popolo italiano nel 1974, questo
plebiscito non poteva non contenere la volontà generale della nazione; ed
essendo stato preceduto da un'ampia campagna di chiarificazione, non poteva
mascherare il suo carattere anticattolico.
L'inimicizia dello Stato moderno verso la Chiesa non aveva mai raggiunto
la sfida del diritto naturale, il cui principale custode è la Chiesa.
Ma in epoca postconciliare, la defezione dell'Italia nel 1974 e della Spagna nel
1981 ha portato a compimento la completa emancipazione della società
europea dalla sua base religiosa.
Ho accennato al § 9.1 alla coraggiosa difesa opposta dalla Chiesa alla
violenza che il dispotismo dei principi, non di rado in accordo con le gerarchie
nazionali, cercava di infliggere all'indissolubilità del matrimonio.
Nel secolo scorso si riscontra qualche raro caso di deviazione dalla dottrina
abituale, anche nelle pubblicazioni ecclesiastiche, ma sempre denunciato e
condannato.
La mancanza di fermezza della Chiesa si è manifestata in Italia al tempo
della campagna referendaria contro il divorzio, quando si sono visti molti
sacerdoti difendere la dissolubilità con la tolleranza dei Superiori; alcuni
vescovi hanno condannato direttamente la partecipazione dei sacerdoti alla
promozione del referendum contro il divorzio; e il Patriarca di Venezia dovette
rimuovere dall'incarico l'assistente ecclesiastico degli universitari cattolici per
essersi pronunciato pubblicamente a favore del divorzio.
La desistencia compare anche nel Protocollo firmato dalla Santa Sede con
il Portogallo nel febbraio 1975 per riformare il Concordato del 1940.

323
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324 22. Il divorzio

Mentre il precedente patto prevedeva che, in osservanza del principio di


indissolubilità, i coniugi cattolici rinunciassero al diritto civile di chiedere il
divorzio, e che quindi i tribunali della Repubblica portoghese non potessero
pronunciare sentenze di divorzio dei coniugi canonicamente sposati, il
Protocollo del 1975 si limita a ricordare I coniugi cattolici della loro
indissolubilità, ei tribunali civili sono riconosciuti concedenti lo scioglimento
del vincolo (OR, 16 febbraio 1975).
Lo stupore per una tale innovazione diminuisce se si considerano le
dichiarazioni di alcuni Padri del Vaticano II favorevoli alla dissolvibilità del vincolo.
Erano vescovi della Chiesa d'Oriente,
´ soggetti all'influenza della disciplina
matrimoniale della Chiesa ortodossa. Essa ammette il divorzio in vari casi, tra
cui la colpa del coniuge che cospira contro lo Stato.
La carta. Charles Journet ha chiarito nella CXXXIX sessione del Concilio
(OR, 1 ottobre 1965) come questa disposizione indulgente della Chiesa
ortodossa dipenda storicamente dalla sua servitù politica all'Impero bizantino
e all'Impero zarista.
L'intervento è stato una risposta ai suggerimenti di Mons. Elia Zoghbi,
vicario patriarcale dei Melchiti in Egitto, per sciogliere il legame tra il coniuge
ingiustamente abbandonato e il coniuge colpevole. Avendo suscitato un
smodato clamore in assemblea e sulla stampa questa proposta, il presule ha
ritenuto suo dovere dichiarare in un successivo intervento al Concilio che
proponendo tale dispensa non intendeva abrogare del tutto il principio di
indissolubilità (OR, ottobre 5-6, 1965). Ma la risposta è ovvia: non basta
mantenere verbalmente una cosa, se poi si cerca di farla coesistere intatta
con qualcos'altro che la distrugge.
L'attacco più esplicito all'indissolubilità fu però condotto dal Patriarca dei
Melchiti, Massimo IV, che riprese con maggiore determinazione le proposte di
monsignor Zoghbi e raccolse i suoi interventi in un volume Dichiarazioni
conciliari ed extraconciliari.
L'abbandono della dottrina ovviamente non viene professato come tale,
ma proposto come variazione della disciplina e non del dogma, e come
soluzione pastorale. L'indissolubilità è difesa nel capite libri, definito
solennemente a Trento come oggetto di fede, e che chiude la porta a ogni discussione.
Ma poi, con la raffinatezza tipica degli innovatori, si viene a dire: nella Chiesa
cattolica ci sono casi di un'ingiustizia veramente ribelle, che condanna gli
esseri umani la cui vocazione è vivere nello stato come anche del matrimonio,
e che sono impediti dal farlo non per loro colpa e senza poter, umanamente
parlando, sopportare questo stato anomalo per tutta la vita
1 .

1
ICI, n. 250, pag. 11, 1 aprile 1967.
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22.1. Il divorzio. Arcivescovo Zoghi. Il Patriarca Massimo IV al Concilio 325

Alle argomentazioni del Patriarca si oppone la tradizione perpetua della


Se 2
Chiesa, e dal punto di vista teorico tutta la dogmatica cattolica. NO
approfondiremo il metodo bustrofedico tipico degli innovatori,
che camminano in una direzione concedendo vocalmente l'indissolubilità, a
poi subito voltarsi nella direzione opposta affermando la dissolubilità,
come se i contraddittori potessero coesistere.
Le affermazioni del Patriarca oltrepassano il limite che separa la libertà
teologale dal dogma della fede, e arrivano così ad investire storto i principi della
religione. La differenza tra sofferenza e
ingiustizia, adducendo che il coniuge innocente soffre per colpa della Chiesa a
dolore ingiusto. Qui è coinvolta tutta la teodicea, a parte la dottrina
Cattolica del dolore.
L'ingiustizia è evidente da parte del coniuge che ha rotto la comunione,
ma il Patriarca
´ ritiene che ci sia anche ingiustizia da parte del
Chiesa; Questo, per non rimanere meno fedeli al principio evangelico che al
diritto naturale, non si arroga la capacità di evitare quel dolore.
Punisce il coniuge colpevole di ingiustizia, privandolo, per esempio
dell'Eucaristia e infliggendo altra diminuzione dei suoi diritti, ma non
non fa mai prevalere il bene eudemonologico sul bene morale e sul diritto.
Piuttosto, la base del cristianesimo è l'idea del giusto sofferente e la religione
Non promette l'esenzione dal dolore terreno, ma dal dolore nell'aldilà:
introduce il dolore in un ordine fatto di vita presente e futura,
in una visione essenzialmente soprannaturale. La posizione del Patriarca è
naturalistica. Secondo la fede, Dio non conduce le cose del mondo in modo che
i buoni ottengono il bene mondano nel mondo, ma in modo tale che lo ottengano
alla fine tutto bene di chi è Tutto Bene.
La Iglesia no tiene por fin peculiar la supresi´on del dolor. Rechaza la in
solencia del fil´osofo antiguo, que sentenciaba: non succede niente di male a un uomo buono
potest e quella del moderno: Quando si parla di una buona azione accompagnata
3
A causa del dolore, si dice qualcosa di contraddittorio. Gli uomini devono lavorare per
prevenire e punire l'ingiustizia, ma tutti vi sono esposti indipendentemente dal
loro stato morale. Gli uomini soffrono perché sono uomini, no
perché sono personalmente malvagi. Non entro nel discorso teologico che
Mostra che tutto il male umano dipende dal peccato originale. la religione no
si scandalizza della sofferenza del giusto e non vede in essa un'ingiustizia; Esso
contempla nell'ordine totale del destino e sempre associato a un senso

2Lo studio di H. ROUZEL, L'Eglise primitive


face au divo Par´ÿs 1971. Contro l'indissolubilità c'è solo l'anonimo
di Ambrosiaster e un passaggio ambiguo, e forse non autentico, di San Epifanio.
3 SENECA, De providentia, 11, 1. BENEDETTO CROCE, Filosof´ia delta pratica, IV
ed., Bari 1968, p. 233. 4
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326 22. Il divorzio

sentimento prevalente di gioia derivante dalla speranza nell'immortalità


feliz: felicemente infelice, seg´un la formula de San Agust´ÿn con risonanza de
4
Testi paolini. Tuttavia, il citato patriarca ritiene che il
il dolore è un'ingiustizia, invece di esperienza di virtù, partecipazione con
Cristo, e purificazione ed espiazione dei propri peccati e di quelli degli altri; e anche
sposta la responsabilità dell'ingiustizia dai colpevoli alla Chiesa
innocente.

22.2. M'as su Massimo IV. L'espressione


ÿÿhumanamente hablandoÿÿ

La teoria matrimoniale di Massimo IV mette in discussione la stessa teodicea


della religione cattolica, secondo la quale in ogni situazione in cui
trova il cristiano nel mondo, né l'ingiustizia degli uomini né il dolore
dedotto dalla natura non può mai nuocere alla sua salvezza eterna e al
realizzazione dello scopo per il quale è stato creato.
Questa difficile verità si fonda immediatamente sulla trascendenza
del fine e sull'incommensurabilità del male eudemonologico (dolore) rispetto al bene
morale (virtù), oltre che sull'incommensurabilità del
los padecimientos terrenales abouto a la recompense del m´as all´a Son c´ele bres
los pasajes de San Pablo: non sono compatibili con le passioni di questo tempo
5
per la gloria futura (Rom. 8, 18) y che nel presente è momentaneo e
metti la leggerezza della nostra tribolazione al di sopra del limite nella sublimità della
6
dus operatur in nobis gloria eterna (II Cor. 4, 17) . È in realtà il contrappeso che hace
l'infinito ad ogni quantità finita. Il Patriarca fa un discorso in materia di fede
puramente umano (umanamente parlando), trascurando il dogma di
grazia, secondo la quale è possibile apud Deum ciò che è impossibile apud hominis,
como ense˜na Cristo en Mat. 19, 10 e 26, proprio in materia coniugale.
In virtù del dogma della grazia, l'uomo non è mai obbligato a peccare: il suo
inserimento nella contingenza storica conferisce concretezza alla volontà,
ma non può determinarlo. È il dogma negato da Lutero e riaffermato in
Trento, che il Patriarca annulla o snerva quando professa di parlare
umanamente.
La riserva espressa con la formula umanamente parlando è un'invenzione degli
Illuministi, che pretendevano di correggere le loro affermazioni contrarie

4Earr. nel Salmo. 127 PL., 37, 1632.


5Queste sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria
venuta che deve manifestarsi in noi
6Perché la nostra tribolazione momentanea e leggera ci sta incidendo un peso eterno di
gloria sempre più immensa
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22.3. Il valore dell'indissolubilità 327

religione che pretende di parlare solo umanamente.


Ma la distinzione sollevata dal Patriarca è vana e nulla. Chi crede in una
religione soprannaturale non può mai parlare solo umanamente; oppure, se
vuoi, puoi parlare così, ma ipoteticamente, non teticamente: ad personam,
non ad rem.
Non ci sono tre tipi di sentimenti: il giusto, l'ingiusto e l'umano; e non ci
sono tre tipi di giudizio: vero, falso e umano. Questa terza categoria ha una
grande importanza nel discorso colloquiale, ma manca di coerenza. Ogni
sentimento è giusto o ingiusto e ogni giudizio è vero o falso. Tutto il pensare
e volere umano è necessariamente ridotto all'una o all'altra di queste classi.
Infine, la posizione di Massimo IV dà origine a un umanesimo incompatibile
con la dottrina cattolica. La religione non conosce vie di mezzo tra il vero e il
falso, quella sorta di limbo che frustrerebbe la Redenzione di Cristo facendo
tornare il genere umano alla situazione del tempo in cui il Divin Maestro non
7 .
era ancora venuto
I vescovi del Canada hanno promulgato nel 1967 un documento a favore
della legge che facilita il divorzio: la Chiesa, chiamata a giudicare una legge
civile sul divorzio, deve tener conto non solo della propria legislazione, ma
anche nel considerare ciò che meglio serve al bene comune della società
civile (ICI, n. 287, p. 79, 1 maggio 1967). Pertanto, i vescovi non si oppongono
a una riforma della legge che allarghi e faciliti il diritto allo scioglimento dei
matrimoni. Il rapporto tra la moltiplicazione dei divorzi e il bene comune non
viene spiegato dai vescovi, anche se dichiarano che il divorzio ha senso (per
loro) solo nel contesto di una politica aperta e positiva di consolidamento dei
valori familiari. I vescovi canadesi ritengono che il divorzio sia un mezzo per
consolidare i valori della famiglia, che contribuisca al bene comune e che
contenga un significato cristiano. Ma non ci fanno dimenticare quei loro
fratelli nell'episcopato che nel secolo scorso si lasciarono incarcerare per
aver difeso il matrimonio cristiano.

22.3. Il valore dell'indissolubilità


La negazione dell'indissolubilità viola non solo il diritto soprannaturale,
come sostenuto durante la campagna italiana per il divorzio, ma ancor prima
il diritto naturale. Pio IX, nel Sillabo, condannò nella proposizione 67 la dottrina
che il matrimonio non è indissolubile per legge naturale. Pertanto, non può
essere accolto l'argomento che poiché l'indissolubilità è unica

7Tutto questo sviluppo si ispira alla trattazione MANZONI di questo punto


nella Morale cattolica, parte prima, cap. 111, ed. cit., vol. 11, pag. 47 e segg.
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328 22. Il divorzio

diritto religioso, deve essere riconosciuta allo Stato la capacità di sciogliere il vincolo
8 .
di coloro che non si ritengono vincolati dalla prescrizione religiosa
In quanto sacramento, il matrimonio rappresenta e realizza l'unione indissolubile
di Cristo con la Chiesa, e questo significato misto produce l'inviolabile permanenza
del vincolo, secondo la dottrina di Ef. 5, 32. Ma anche spogliato della sacramentalità
(come è in puris naturalibus) il matrimonio è intrinsecamente indissolubile, e la sua
riduzione a comunione temporanea è un corollario della mentalità moderna che eleva
il soggetto al di sopra della legge e ne fa un autolegislatore autonomo .

Questo concetto permette di identificare il divorzio con la libertà del matrimonio.


Il matrimonio non è più un oggetto che deve essere voluto con una propria struttura,
ma è interamente costruito dalla volontà soggettiva, e quindi si allinea a tutte le libertà
rivendicate dall'uomo. Se l'asse della vita morale è posto nel soggetto piuttosto che
nell'oggetto, allora (come affermano i §§20.4-21.1) non c'è obbligo, ma autoobbligo
dissolvibile.
Un contratto che vincola per sempre sembra impossibile, perché, dicono, l'uomo
non può sapere se domani sarà convinto e volitivo come oggi; e anche perché, dicono,
la volontà attuale, e quindi reale, non può essere legata da una volontà passata, e
quindi irreale.
È l'errore di Hume che, negando ogni nesso causale tra i momenti di coscienza,
contempla la vita volitiva dell'uomo come una serie di punti indipendenti l'uno
dall'altro. Ciò implica anche la negazione della libertà. Se la libertà è la facoltà di
preferire un oggetto, è anche la facoltà di preferire un atto proprio di libertà che si
determina in perpetuo.

Secondo san Tommaso, il carattere della volontà è quello di esprimere un giudizio


tra i possibili. Perché la volontà non può ripararsi da sola? Secondo l'Aquinate, la
perfezione specifica della natura angelica consiste nella fissazione della volontà in
un punto e nella consumazione istantanea di un intero destino: la volontà umana che
è fissata in un patto perpetuo e irrevocabile può essere rappresentata come
un'imitazione di questo fissità angelica da parte di una natura perennemente versatile;
insomma il superamento della mobilità nel tempo.

Ma in ogni caso, la dottrina cattolica dell'indissolubilità del matrimonio è una


grande celebrazione della forza della libertà; inoltre è un

8. Erronea, dunque, è anche l'opinione secondo cui il cittadino cattolico che


esige dalla legge civile il matrimonio indissolubile esercita violenza contro la
coscienza di chi, al contrario, lo desidera. Se il divorziato ha diritto al matrimonio
civile indissolubile, il cattolico ha lo stesso diritto al matrimonio civile indissolubile.
Se la legge non gli offre un tale matrimonio, è svantaggiato. Il loro matrimonio
civile sarà infatti indissolubile per loro volontà, ma non per legge, e quindi non c'è parità tra i due.
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22.3. Il valore dell'indissolubilità 329

grande celebrazione del potere ordinario della libertà, perché riguarda tutti gli
atti individuali. Pertanto, ogni riduzione che se ne fa di volersi sviluppare
umanamente parlando si traduce in una diminuzione della dignità umana. A
causa della loro intransigenza, l'indissolubilità coniugale
´ è al di sopra dei voti
religiosi. Queste sono della stessa natura (la volontà come vittima si offre... /
e si compie col suo atto, Par. V, 29-30), ma meno eccelse della prima, per la
sua dispensabilità, m Ciò è più facile in la Chiesa postconciliare, le toglie il
merito e le pone al di sotto (secondo detto versetto) della comunione
matrimoniale perpetua.
L'indissolubilità, strettamente legata alla monogamia, può essere dimostrata
con riflessi sociali e psicologici, in ultima analisi più eudemonologici che
deontologici. Tali considerazioni vanno dalla quasi parità numerica nelle
statistiche di uomini e donne, all'esigenza civile di legittimare la prole,
all'instabilità delle passioni, che devono essere frenate, e alla domanda di
educazione dei figli.
In realtà, la ragione essenziale dell'indissolubilità, prescindendo, si intende,
dalla ragione sacramentale e dal diritto divino, è di alto ordine spirituale. Il
matrimonio è un dono totale da persona a persona, mediante il quale due
persone di sesso diverso si uniscono il più pienamente possibile secondo la
retta ragione. Questa unione presuppone l'amore che è dovuto da ogni persona
ad ogni persona indipendentemente dal sesso, e vi aggiunge l'amore tra
l'uomo e la donna secondo l'impronta naturale della sessualità. Parleremo del
matrimonio e della fine procreativa a tempo debito.
Qui basta concludere con due osservazioni.
Primo: l'indissolubilità discende dalla monogamia, e la monogamia
discende dalla totalità del dono delle persone, solus ad solam. Questa totalità
è un'espressione dell'amore universale, che in ultima analisi rimanda all'amore
di Dio.
Secondo: poiché il divorzio risponde alla logica delle passioni e (diciamo
così) alle suppliche della natura corrotta, il suo divieto da parte della Chiesa
diventa una prova della verità e della divinità della Chiesa. La Chiesa professa
come vincolante una dottrina morale più alta e più perfetta di quella di qualsiasi
altra religione o filosofia, alla quale tale perfezione sembra impossibile da
praticare.
La Chiesa può fare questo perché ha un'idea più nobile e più onorevole
dell'umanità, che è giudicata capace di ogni morale alta e squisita. E questa
idea si fonda9 sulla consapevolezza che la Chiesa ha di possedere una maggiore
forza morale, quindi, nello stesso tempo che impone una

9Questo pensiero è tratto da ROSMINI, Filosofia del diritto, n. 1336. Ed. nazionale, volume
XXXVIII, p. 1107, nota.
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330 22. Il divorzio

precetto difficile, incoraggia e dà forza anche ad osservarlo.


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Cap'itulo 23
sodomia

23.1. sodomia
Non entreremo nel tema della sodomia, in cui le opinioni teologiche
assecondavano la propensione dello spirito del secolo a rompere la
secolare fedeltà della legislazione alla legge naturale, introducendo in
tutta Europa la legittimità dei rapporti omosessuali.
Basterà qui segnalare anche la negazione delle essenze, in particolare di
la struttura naturale e moralmente inviolabile dell'atto sessuale.
Si sostiene che l'eterofilia e l'omofilia siano solo due modalità di
un'identica dimensione sessuale, essendo la loro differenziazione una
conseguenza di influenze meramente sociali. In tal modo la sodomia,
severamente condannata dalla filosofia, dai costumi e dalla disciplina
della Chiesa, cessa di essere una perversione per diventare
un'espressione della sessualità, e scompare dall'elenco dei peccati che
gridano vendetta al cielo, che comprende anche omicidio volontario,
oppressione dei poveri e negazione del salario all'operaio.
Le differenze naturali vengono superate con un sofisma dell'amore,
ritenuto capace di stabilire una comunione spirituale delle persone al di
là delle norme naturali e in barba ai divieti morali.
Nella Chiesa olandese lo scandalo passò dalle disquisizioni teologiche
alla prassi, e si svolsero celebrazioni liturgiche dell'unione degli
omosessuali e persino una Missa pro homophilis que Notitiae, organo
della Commissione per l'esecuzione della riforma dei riti, si trovò
nell'obbligo di deplorare (marzo 1970, p. 102).

331
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332 23. Sodomia


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Cap'itulo 24
L'aborto

24.1. La formazione del feto


Secondo la definizione data dalla medicina legale, coerente con quella del
diritto canonico, l'aborto è l'espulsione di un feto immaturo. È quindi diverso
da craniotomia, embriotomia e altre operazioni ostetriche direttamente
dannose per il feto, condannate dalla Chiesa in vari decreti (DENZINGER, 1889
e segg.). Sisto V sanzionò con la scomunica coloro che praticavano e
cooperavano all'aborto eccetto matre, ma il Codice di Benedetto XV (can. 2350)
tolse tale eccezione.
Fino alle rivolte del dopoguerra, tutti i codici europei, anche quelli
promulgati sotto governi di filosofia irreligiosa, sanzionavano le donne che
abortivano e tutte le collaboratrici all'aborto. Non c'era alcuna sanzione per
l'aborto terapeutico (chiamato interruzione della gravidanza), dipendente dal
giudizio medico. Tutte le leggi civili, riformate dopo la seconda guerra mondiale,
hanno rifiutato il diritto naturale legalizzando l'aborto, rendendolo un servizio
statale gratuito, e collocandolo in modo inverosimile nella politica di tutela
1
della famiglia. Arrivano addirittura ad imporre al medico l'obbligo di abortire la
donna che lo richiede. L'aspetto della questione dell'aborto che qui è importante
sottolineare è quello in cui appare la relativa storicità del precetto morale. Il
giudizio sulla legittimità di un atto è la conclusione di un sillogismo vario, in
cui il massimo è assoluto, il minimo è contingente, e la tesi è una verità in cui
il contingente è immerso nell'assoluto.

1La Santa Sede si è trovata costretta a condannare e scomunicare suor Mary Agries
Mansour, che aveva accettato di dirigere un centro di interruzione di gravidanza a Detroit.
Di fronte alle intimidazioni del vescovo, la religiosa sosteneva che, poiché la legge autorizza
l'aborto, non poteva arrogarsi il diritto di opporsi alla legge (Lactualit´e religieuse) 15 giugno
1983, p. 24).

333
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334 24. Aborto

In materia di aborto, il sillogismo si forma così: 1) la vita dell'uomo


innocente è inviolabile; 2) l'embrione è un uomo innocente; 3) quindi la sua
vita è inviolabile.
Pertanto, nel sillogismo che decide sulla legittimità di un atto vi è una non piccola
lacuna nella valutazione del fatto contenuto nel minore. In questo caso, è il punto di
scontro tra il diritto e la scelta pratica che il soggetto compie nell'hic et nunc delle sue
azioni. È anche il punto in cui la conoscenza scientifica aiuta necessariamente la
valutazione morale, stabilendo il fatto espresso in minore.

Non è competenza della teologia stabilire se l'embrione ´ possa o meno


essere caratterizzato come uomo, ma della scienza biologica. Questa, come
ogni altra scienza, è subordinata alla teologia: non perché la teologia prescriva
tesi biologiche alla biologia, ma perché queste tesi, costituite autonomamente
dalla biologia, sono servite alla teologia nel proprio ordine.
In realtà, la teoria dell'aborto è un caso cospicuo in cui si evidenzia la
storicità delle opinioni morali, sia genericamente tra gli uomini, sia
particolarmente nella Chiesa. I giudizi morali variano, non perché i principi
subiscano variazioni, ma perché si perfeziona la conoscenza dei fatti ad essi
soggetti.
I teologi cattolici hanno pensato per secoli che l'aborto del feto
incoraggiato dal principio sensitivo, ma non ancora da quello razionale, fosse
2
legale e persino obbligatorio in alcune circostanze. Il giudizio sullo status
humanus dell'embrione femminile è stato dettato dalla teoria aristotelica dei
tre principi della vita (vegetativa, sensitiva, razionale), di cui solo l'ultimo
conferisce all'essere in atto. .
San Tommaso in Summa theol II, 11, q. 64, sull'omicidio, non fa un discorso
speciale sull'aborto, e Dante insegna che l'anima razionale (quella che fa
l'uomo) sostituisce quella sensibile solo nel momento in cui il cervello ha
arricchito il feto (Puig .xxv) .
La Chiesa si distaccò dalla filosofia naturale del tempo, insegnando con il
dogma dell'Immacolata Concezione che la Vergine era libera dalla colpa
originaria fin dal primo momento del suo concepimento: di conseguenza, fin
dall'inizio era stata una persona umana. Anche Cristo ebbe fin dal suo
concepimento lo status hominis, e san Tommaso nota espressamente che ciò
lo diversifica dalla generazione degli altri uomini, dove prius est vivum et postea animal

2Todav´ÿa HABERT, en la Theologia dogmatica et moralis, Venezia 1770, vol. VII,


pag. 494: Il medico non solo può, ma deve anche espellere il feto, se non può essere
consultato altro modo per l'incolumità del feto. La teor´ÿa de la animaci´on u ominizaci
´on tard´ÿa del embri´on fue retomada por Mons. LANZA nel 1939, discutendo sui gemelli
monozigoti. LUIGI GEDDA, en OR, 12 de agosto de 1983, Quando incomincia la vita
umana, excluye la tesis de la animaci´on tard´ÿa.
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24.2. La nuova teologia dell'aborto. I Gesuiti di Francia 335

et postea homo (Summa theol 111, q. 33, a. 2, ad tertium). Non meno che la
teologia dogmatica si era separata dalla filosofia naturale dominante, il diritto
romano, identificando il concepito come persona soggetta a diritti e assegnando
al feto un curator ventris con la missione di rappresentarlo nel processo e
tutelarne i diritti.
La dottrina dell'animazione del feto al novantesimo giorno cominciò a
cedere dopo l'opera di Fienus, De animatione fetus (1620), la cui dottrina fu
propugnata e propagata da S. Alfonso Maria di Ligorio. L'embriologia naturale
si trovò allora conformata al soprannaturale di Cristo e della Vergine, e l'aborto
fu riconosciuto come delitto in qualsiasi momento della gravidanza. Un
fenomeno singolare che si presenta a chi osserva a questo punto il movimento
generale della nuova teologia, è che mentre in un altro tempo la teologia si
modellava sull'opinione dei filosofi naturali, sostenendo l'innocenza dell'atto
abortito se avvenuto prima della animazione per cui l'animale diventa bambino,
oggi, al contrario, gli innovatori si oppongono al consenso dei genetisti, che
danno per scontato il carattere immediatamente e individualmente umano fin
dal concepito.

24.2. La nuova teologia dell'aborto. I Gesuiti di


Francia
La verità asserita dalla genetica che lo zigote (entità prodotta dall'unione
del gamete maschile con il gamete femminile) sia un individuo umano con un
proprio, irripetibile e immutabile idiotropion, è apertamente contestata da
alcuni difensori dell'aborto come la Chiesa Metodista in gli Stati Uniti.

Secondo loro, prima della nascita il feto è un tessuto e non un individuo, e


quindi può essere espulso nello stesso modo in cui viene espulsa una massa
cellulare per motivi terapeutici.
Questa tesi è comune al movimento femminista di ispirazione irreligiosa e
di impronta grossolana. Per quale saltus il feto, mero aggregato cellulare,
diventi persona al momento della nascita, è questione che non viene neppure
sfiorata. E la tesi non è nuova, essendo citata da Tertulliano nel De anima 25 e
condannata da Innocenzo XI (DENZINGER, 1185). Ma la verità biologica opposta
è invincibile. L'embrione è ab initio un individuo.
Se sembra indifferenziato e senza individualità, è perché le misure
microscopiche non vengono superate e la crescita vissuta non può essere
3
osservata. Non è esatto affermare che un ovulo umano fecondato genera sempre

3Decisivi i risultati del prof. BLECHSCHMIDT, dell'Università di Gotham.


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336 24. Aborto

un uomo: non è generato, ma è uomo, e la sua esistenza comincia nell'istante


in cui le parti viventi di due animali, separate da loro, si uniscono, individuandosi.

L'attualità umana dello zigote e la conseguente illegittimità dell'aborto è


elusa dai teologi innovativi, che distinguono tra vita umana e vita umanizzata.

La vita umana è quella dell'embrione come entità biologica. Tale entità è


riconosciuta come umana ed è così chiamata perché risulta da due gameti noti
noti per essere umani; ma non perché l'idiotropion umano sia riconosciuto.

La vita umanizzata è, invece, l'embrione in quanto è accolta dalla società


umana: in particolare dai genitori, che ne accettano la nascita e la amano. Se´
il feto viene ucciso prima di accettarlo e amarlo, non è un crimine. Questa è la
dottrina dei gesuiti della rivista francese Les ´etudes (gennaio 1973), sostenuta
4
nei libri dal suo direttore, padre Ribes. Loris Fortuna si appoggiò, come alla
voce autorizzata della Chiesa, quando propose alla Camera italiana, l'11
febbraio 1969, il suo progetto per la depenalizzazione e la promozione
dell'aborto.
La teoria dei gesuiti francesi è falsa, superficiale e nuova nella Chiesa, a
meno che non si voglia lontanamente riferirla ai casisti del XVII secolo. Dietro
5
di essa si nascondono la negazione delle essenze e il vizio del soggettivismo.
L'essere del bambino è negato se non è accettato, cioè fatto essere dall'atto
soggettivo di volontà dei genitori; si dimentica che è esattamente l'opposto: il
fatto dell'accettazione è governato dal valore ontologico di . Il bambino, così
bambino, che già esiste, 6 com'è, ha il diritto di essere amato come un
e il suo diritto di essere amato non si radica nell'essere amato, ma nella

tingen. Ha eseguito settecento sezioni di un embrione di 7 mm. e ha scattato duemila


fotografie: l'embrione è differenziato a tutti i livelli. Cfr. E. BLECHSCHMIDT, Wie starting
das menschiche Leben, Stein am Rhein 1976, p. undici .
4Nel colloquio pubblico sull'aborto citato da Le Monde il 19 gennaio 1973, padre
ROQUEPLO dichiarò che è dubbio che la vita dell'embrione sia una vita umana. Padre
RIBES sostiene che di fronte a questo dubbio, non solo non si ha il dovere, ma anche il
diritto di farlo nascere.
5I casisti del XVII secolo, come abbiamo già detto, ammettevano la legalità dell'aborto e,
anzi, in alcuni casi anche la sua obbligatorietà, perché la scienza del loro tempo riteneva che
il feto ricevesse la forma razionale (che lo rende umano) solo al terzo mese. le idee morali
del genere umano dipendono anche dalle idee che gli uomini hanno delle cose naturali.

6RAMSEY, in OR, 28 agosto 1971, osserva che il 40% delle nascite è indesiderato. Ma
si smarrisce non distinguendo tra il voler concepire un figlio e il voler nascere il concepito.
Sant'Agostino è anche più profondo di tutta la psicologia moderna in questo, nelle sue
Confessioni, dove, a proposito di Adeodato, osserva che i bambini, anche quelli non
desiderati, si sforzano di essere amati appena nascono.
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24.3. Altro sulla nuova teologia dell'aborto 337

fatto di essere
Questa erronea antropologia deriva dal marxismo, e come essa fa della
persona una relazione. Ora, sebbene la persona sia certamente in relazione
con le cose e con le persone del mondo, di per sé non è relazione: si costituisce
come entità prima di entrare in relazione secondo
il suo essere.

24.3. Altro sulla nuova teologia dell'aborto


Altro sulla nuova teologia dell'aborto. L'argomentazione di Beethoven.
corte costituzionale italiana
A favore dell'aborto, non pochi teologi hanno ripreso la teoria del
7
contrappeso dei valori, la quale sostiene che tra la madre e il bambino, tra
l'adulto e il bambino, tra ciò che è sviluppato e ciò che deve ancora svilupparsi,
c'è nessuna uguaglianza di valore, anzi predomina la prima. È la dottrina, ad
esempio, di padre Callahan, secondo cui la morale cattolica non ha tenuto
sufficientemente conto della vita della madre: quando il diritto alla vita del
bambino è in conflitto con quello della madre o con quello della specie
(danneggiato, per esempio, da un eccesso di popolazione), il peso di tutti gli
elementi può portare alla deroga del principio dell'inviolabilità della vita. I
gesuiti francesi trovarono l'elemento che differenzia un feto dall'altro nella
volontà estrinseca dei genitori di accettarlo o meno come essere umano. Padre
Callahan trova l'elemento che differenzia il feto dalla madre nella priorità
dell'esistenza e nel maggiore sviluppo della madre rispetto al bambino. Si
suppone che esista una diversità di valori umani tra il feto e la madre, al punto
8
da poter immolare il primo a questi .
A causa di questa presunta priorità del diritto, e così come nel paganesimo
la nascita e la sopravvivenza del neonato dipendevano dalla patria potestas
(crudele diritto di vita e di morte sulla persona del bambino), così oggi la
decisione è sottomessa, salvo per i deboli cautele legali, a discrezione della
madre, ignorando completamente la con-causalità dell'altro coniuge e
negandogli ogni responsabilità sulla sorte del figlio. Non solo lo so

7 Sono innumerevoli i voti a favore dell'aborto da parte di associazioni cattoliche,


assemblee di sacerdoti e consigli pastorali. Si veda, ad esempio, quello del Consiglio
pastorale della città di Liegi (Belgio), presto corretto dal vescovo, ma che non ha annullato.
Vedi Itin´eraires. NO. 181, pag. 77.
8L'errore deriva da una concezione metafisica caratterizzata dalla negazione delle
essenze. Nella madre e nel bambino c'è un'isotimia essenziale, perché nell'uno e nell'altro
c'è un'identica essenza. La quantità accidentale dell'essere (e non c'è più nella madre) non
differenzia il valore della persona
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338 24. Aborto

rompe la parità tra il figlio e la madre, ma anche tra un coniuge e l'altro, come
se il concepito fosse per partenogenesi.
Questa ignoranza universale dell'uguaglianza umana discende dall'ignoranza
delle essenze o nature. Infatti, se l'uomo non è natura che risponde a un'idea
divina e non dipende da Dio che lo ha fatto tale, non sarà più vero che Ipse
fecit nos et non ipsi nos (Sal 99, 3). La sostanza umana sarà una forma che
può essere modellata dalla sostanza umana.
E, con quale altra forma, se non con l'utilità? E poiché la tecnica è
l'organizzazione dell'utilità, non sorprende che i grandi fenomeni dell'esistenza
umana sfuggano alla religione, e la nascita, l'amore, la generazione e la morte
passino gradualmente sotto il controllo della tecnica. Perso il concetto (più
filosofico che religioso) dell'assoluta dipendenza della creatura rispetto a Dio,
è impossibile non perdere quello dell'assoluta indipendenza di una creatura
rispetto all'altra. Solo appartenendo a Dio è impossibile essere schiavi; Solo
se il mio titolo assiologico è l'idea divina è impossibile per chiunque
deformarmi o rendermi schiavo.
Da ciò ne consegue che l'argomento di Beethoven non è un argomento
cattolico. Consiste nel proibire l'aborto non perché il titolo assiologico del
bambino sia identico a quello della madre (essendo un essere umano), ma
perché non si sa se l'individuo a cui viene impedito di nascere possa arrivare
ad essere un grande genio, un grande santo, un grande servitore del genere
umano: un alfa plus, secondo la classificazione di Aldous Huxley. L'argomento non è cattolico,
Primo: tutti gli individui umani, avendo il loro fine in Dio e non negli uomini,
sono assiologicamente uguali. Ciascuno ha più o meno perfezione per doti
naturali, meriti morali o dono di grazia (in cui non ve ne sono due uguali), ma
questa gradazione accidentale o quantitativa non potrà mai sopprimerne
l'essenziale parità assiologica.
Secondo: nessuna diminuzione può essere inflitta da un uomo a un altro
se non per motivi di colpa; e quindi il bambino, che è innocente, non può
essere punito.
Terzo: il valore dell'uomo in quanto uomo sfugge a ogni misura; Si è più o
meno virtuosi, più o meno belli, più o meno saggi, ma non si è (sebbene sia
comune dirlo) più o meno uomini.
Che gli uomini potessero essere misurati con una metrica quantitativa fu
l'errore del biologismo nazista. Una famosa sentenza del tribunale di Lun'eville
nel 1937 dichiarava che l'aborto non era punibile se riguardava un feto di razza
ebraica, ma solo se era di razza ariana. E l'orrenda pratica delle SS degli Ein
satzgruppen in Romania, ordinata per rappresaglia a fucilare dieci romeni o
(equivalentemente) cinquanta ebrei.
Non sostanzialmente diversa è la filosofia della Corte costituzionale della
Repubblica italiana, nella sentenza in cui ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art.
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24.4. Radice ultima della dottrina dell'aborto. Teoria della potenza e legge 339

546 cp, che punisce l'aborto; Non è punibile chi abortisce una donna per la
quale il parto costituisce un pericolo per l'integrità fisica e l'equilibrio psichico.

La sentenza decide una questione che appartiene più alla filosofia che al
diritto: e cioè se l'embrione sia o meno una persona umana. E lo decide
contraddicendosi. Ammette che l'embrione è soggetto di diritto (come si
deduce dal diritto civile, che istituisce il curator ventris per il concepito e
revoca il testamento in caso di procreazione di figli), ma arriva poi a parlare
di collisione di diritti tra madre e figlio e conclude affermando la prevalenza
di quelli della madre, perché «lei è persona e lui (riconosciuto, però, come
soggetto di diritto) deve ancora diventarlo.
Ma cos'è un soggetto di diritto, se non una persona? E come e dove
avviene la sua trasformazione in persona? La dottrina della Corte Suprema
(a parte il fatto che qui la pitonessa Philippe, cioè lei raccoglie le voci
dell'opinione) cozza contro i dati più attendibili delle scienze biologiche.
L'isotimia del feto e della madre è inviolabile, ed è ancor più illecito preferire
la madre al feto quando una vita non si oppone ad un'altra, come nella
precedente casistica dell'aborto, ma piuttosto sulla vita del feto , prevalgono
la salute, il benessere e infine la semplice volontà della donna.

La giusta soluzione non consiste nel sopprimere una vita in favore di


un'altra, ma nell'accettare i limiti che l'etica impone all'arte dell'ostetricia (e
d'altra parte a tutte le tecniche), accompagnando la sua accettazione. la
9 .
promozione di quello stesso art

24.4. Radice ultima della dottrina dell'aborto.


Teoria della potenza e dell'atto
Un'ultima osservazione è necessaria per scoprire la ragione profonda del
moderna guida sbagliata sull'aborto.
Abbiamo detto in queste epigrafi quello che abbiamo detto in tutte le altre, nervi
di questo libro e della ÿÿprima veritàÿÿ per cui l'abbiamo scritto.
La crisi del mondo contemporaneo consiste nel rifiuto delle nature o
essenze e nella convinzione che l'uomo possa essere non solo causa
dell'esistenza, ma anche dell'essenza delle cose. Tornando alla questione
dell'aborto: se davvero l'uomo è la causa dell'esistenza del concepito,

9Molte conquiste della moderna ostetricia vanno attribuite alla pressione esercitata
su di essa dalle idee morali della Chiesa. L'ideale è la perfetta compatibilità delle
tecniche eutochiche con l'imperativo morale.
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340 24. Aborto

cade, tuttavia, sotto la legge della propria natura e della struttura


l'assiologico è imposto a ogni creatura razionale. La questione, come abbiamo detto,
è più filosofico che legale. La Corte Costituzionale ritiene che il feto (at
che riconosce il soggetto dei diritti) non è una persona, perché non lo è attualmente
cosciente né ha una volontà, identificando così l'esistenza della persona con
l'attuale esercizio dei suoi atti. L'identificazione è fallace: a questo proposito,
né chi è in coma né chi dorme sarebbero persone, mentre
Sono universalmente riconosciuti come tali.
Penso che questo punto critico della dottrina possa essere risolto
semplicemente con la teoria della potenza e dell'atto. Tertulliano (Apologetico cap.
4) lama al aborto omicidio fretta, perché poco importa chi salva il nato
10 .
turba l'anima o il nascente: è uomo e deve essere
La formula è un paradosso e un paralogismo, e corrisponde a a
11
schema stilistico chiaramente tertulliano. Infatti, chi è uomo attualmente non
può cominciare ad esserlo in un secondo momento: lo è già
È.

Ma questa incongruenza tra essere e non essere allo stesso tempo scompare
se interpretata attraverso la teoria tomista dell'atto e della potenza, secondo la quale è identica
la sostanza sia quando è nello stato di virtualità, sia quando lo è
eseguita in actu exercito.

L'uomo è uomo anche quando attualmente non esercita operazioni umane:


il medico è medico anche quando non prescrive (come quando,
per esempio, dorme e lo svegliano, perché prescriva e prescriva).

Si vede così che la soluzione di un problema morale può certamente


dipendere da ciò che la scienza ha scoperto su un fatto; Ma
In ultima analisi, ogni soluzione proposta nasconde nelle sue viscere a
corso che si riferisce a una verità prima o a una verità assoluta.
Il falso presupposto nella sua ultima evoluzione è l'indipendenza della creatura
rispetto stesso. Il vero presupposto è, tuttavia, la dipendenza
della creatura rispetto a se stessa: cioè rispetto all'essenza stessa che
solo Dio l'ha data irrevocabilmente nell'esistenza finita.
La trattazione che abbiamo fatto della violazione della legge naturale
perpetrata dall'aborto può comportare anche un corollario soprannaturale.
Prescindendo dal diritto alla vita naturale, l'aborto tronca il diritto dell'uomo
alla vita soprannaturale alla quale è chiamato (e dalla quale è escluso se,

10Non c'è differenza tra distruggere una vita già nata e distruggere una che nasce:
chi sarà un uomo è già un uomo.
11Analog al del De fuga, 5: se vuoi negare, hai già negato. Tomada rigorosamente, la
l'espressione presuppone la distruzione del tempo.
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24.4. Radice ultima della dottrina dell'aborto. Teoria della potenza e legge 341

come di consueto, il feto abortito non viene battezzato) 12 . Vale anche


la pena notare che tutti gli errori diffusi nel mondo cattolico su questo
punto sono stati condannati dal documento della Congregazione per la
Dottrina della Fede del 18 novembre 1974.

12 Riguardo al battesimo dei feti abortiti, è notoria l'opinione espressa da padre


GINO CONCETTI, direttore dell'Osservatore Romano, come indice della generale
decadenza della scienza teologica tra gli ecclesiastici . Consultato dal Giornale
nuovo del 5 giugno 1981 sulla questione dei feti abortiti, insegnava un metodo di
battesimo assolutamente invalido. Fu corretto lo stesso 17 giugno sullo stesso
giornale da un profano facilmente meno istruito di lui.
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342 24. Aborto


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Cap'itulo 25
suicidio

25.1. suicidio
La variazione che si è verificata intorno al suicidio si verifica più in pratica
che in teoria. Il fatto fondamentale è l'abrogazione nel nuovo Codice di diritto
canonico del divieto di dare sepoltura religiosa ai suicidi (can. 1184).

La dottrina comune della Chiesa vedeva nel suicidio un triplice male:


mancanza di forza morale, poiché il suicida cede davanti alla sua sventura;
un'ingiustizia, poiché pronuncia contro se stesso la sentenza di morte per
causa propria e senza titolo; e un'offesa alla religione, poiché la vita è un
servizio divino dal quale nessuno può liberarsi, come osservava Platone nel
Fedone. Questa convinzione è stata via via sostituita da quella dell'esistenza
di alcuni supremi valori di ordine terreno ai quali è lecito e bello immolare
volontariamente la propria vita. In questo modo i suicidi per motivi politici,
come quelli di Jan Palak (bruciatosi vivo in una piazza di Praga) o lo sciopero
della fame di Bobby Sand (Irlanda, 1981), cessano di avere una connotazione,
diventano riprovevoli e diventano espressione della suprema libertà dell'anima
e segno di eroismo.
La carta. Beran, arcivescovo di Praga, assistendo ai funerali di Palak, ha
dichiarato: Ammiro l'eroismo di questi uomini, anche se non posso approvare
il loro gesto. Al cardinale è sfuggito che eroismo e disperazione (cioè mancanza
1 .
di forza) non sono compatibili

1 Ormai è consuetudine lodare il suicidio nell'omelia della messa funebre. Dopo il


suicidio di un ragazzo di vent'anni, il rettore di un istituto ecclesiastico che lo aveva avuto
come allievo, ha ringraziato il suicida, nel discorso pronunciato ai funerali del malcapitato,
per le belle notizie che lo circondano. sì, e chiedeva perdono per le colpe che coloro che
continuavano a vivere avevano a causa del suo gesto (Virtutis palestra, ´Iscona 1983,
p. 121): è lo scioglimento della responsabilità personale nel peccato della società; vale a dire,

343
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344 25. Suicidio

Sotto l'influsso della psicologia e della psichiatria, è stata anche introdotta


la convinzione che nella mente del suicida, aggredito da un invincibile
turbamento, la libertà soffra di una grave limitazione o addirittura annullata.
Mentre in passato la Chiesa concedeva ampio margine alla responsabilità
morale dell'agente, da quando il Concilio ha sempre più accettato l'idea
dell'irresponsabilità del suicidio. La Chiesa ha sempre rifiutato la morale
stoica, secondo la quale il suicidio è la massima espressione della libertà
morale dell'uomo e l'apice della virtù.

di altri. E quando nell'agosto del 1983 un ragazzo di sedici anni si suicidò a Roma
insieme alla fidanzata, gli furono concessi i riti religiosi e fu pronunciato il suo elogio
funebre (OR, 6 agosto 1983). Molto più vere e autentiche sono le parole che
Giacomo Luvini-Perseghini, uno dei dirigenti del partito radicale del cant, pronunciò
a Lugano nel 1834 sulla tomba del dottor Giuseppe Zola, sepolto come suicida nei
pressi del cimitero.´sul Ticino : Speriamo che il Dio dei nostri padri, la cui
misericordia è infinita, voglia perdonare l'errore di un istante a colui la cui vita è stata adornata d
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Cap'itulo 26

pena di morte

26.1. pena di morte

Esistono istituzioni sociali che derivano dai principi del diritto naturale, e
come tali si perpetuano in varie forme: è il caso dello Stato, della famiglia o del
sacerdozio; e ve ne sono altre che, avendo origine in un certo grado di
riflessione su quei principi e in concrete circostanze storiche, devono
scomparire quando la riflessione passa ad un grado ulteriore o quelle
circostanze scompaiono: è il caso, ad esempio, della schiavitù. Fino a tempi
recenti, la pena di morte era teoricamente giustificata e praticata in tutte le
nazioni come l'estrema sanzione con cui la società punisce il reo con il triplice
scopo di riparare l'ordine della giustizia, difendersi e dissuadere gli altri dal
delitto. La legittimità della pena capitale si basa su due proposizioni. Primo: la
società ha il diritto di difendersi; secondo: la difesa presuppone tutti i mezzi
necessari per essa. La pena capitale è contenuta nella seconda proposizione,
a condizione che l'eliminazione della vita di un membro dell'organismo sociale
sia necessaria alla conservazione dell'insieme.

La crescente disponibilità dei contemporanei a mitigare le pene è, da un


lato, l'effetto dello spirito di clemenza e mitezza tipico del Vangelo, smentito
per secoli da feroci consuetudini giudiziarie.
È vero che a causa di una contraddizione che non indagheremo ora, l'orrore
del sangue perseverò nella Chiesa. Va ricordato, dunque, che non solo il boia
fu oggetto di irregolarità in diritto canonico, ma anche il giudice che condannava
a morte iuxta ordinem iuris e perfino chi interveniva e testimoniava in una
causa capitale, se seguita alla morte di una persona. La polemica non si pone
sul diritto della società a difendersi (premessa maggiore innata del sillogismo
penale), ma sulla necessità di eliminare

345
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346 26. La pena di morte

il delinquente per difendersi da lui (che è la premessa minore). La dottrina


tradizionale, da sant'Agostino a san Tommaso e Taparelli d'Azeglio, afferma
che il giudizio su detta necessità, che condiziona la legittimità della pena, è un
giudizio storico e variabile secondo il grado di unità morale della comunità
politica, e secondo la maggiore o minore forza che deve mostrare il bene
comune che unisce contro l'individualismo che disgrega. I sistemi abolizionisti
della pena capitale, a cominciare da Beccaria, supposto il maggiore del
sillogismo, danno anche al minore un carattere prettamente storico, perché
ammettono nelle situazioni di conflitto (di guerra, per esempio) l'eliminazione
della pena capitale. del delinquente. Anche in Svizzera, durante l'ultima grande
guerra, diciassette colpevoli di alto tradimento furono condannati a morte per fucilazione.

26.2. Opposizione alla pena capitale


Opposizione alla pena capitale 1 , può nascere da due motivi eterogenei e
incompatibili, e va giudicata dagli aforismi morali da cui procede.
Può nascere dall'esecrazione del delitto unita alla pietà per la debolezza
umana, e dalla considerazione della libertà dell'uomo, capace durante tutta la
durata della vita mortale di rialzarsi da ogni caduta. Essa può però derivare
anche dal concetto di inviolabilità della persona come soggetto protagonista
della vita terrena, assumendo l'esistenza mortale come fine a se stessa che
non può essere infranta senza frustrare il destino dell'uomo.

Questo secondo modo di rifiutare la pena di morte, sebbene considerato


da molti religioso, è in realtà irreligioso. Dimenticate che per la religione la vita
non è intesa come fine, ma piuttosto come mezzo per il suo fine morale, al di
là dell'ordine dei valori mondani subordinati. Togliere la vita, dunque, non
equivale a togliere definitivamente all'uomo il fine trascendente per il quale è
nato e che costituisce la sua dignità.
L'uomo può propter vitam vivendi perdere causas, cioè rendersi indegno
della vita per averla identificata con lo stesso valore che, tuttavia, deve
servire. Per questo motivo, implicita in questo motivo è la fallacia che
uccidendo il delinquente, l'uomo, e in particolare lo Stato, ha il potere di
troncare il suo destino, privarlo del fine ultimo, e togliergli la possibilità di
compiere il suo destino come un Uomo. La verità è l'opposto. Il condannato a
morte può avere la sua esistenza troncata, ma la sua fine non può essere strappata via. IL

1Tale opposizione è diventata quasi diffusa e la stessa pena capitale è vista come
un'ingiustizia. Molti Stati membri del Consiglio d'Europa hanno firmato nel 1983 un
protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo con il quale si
obbligano ad abolire la pena di morte dalle loro leggi (RI, 1983, p. 1077).
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26.3. Variazione dottrinale della Chiesa 347

Le società che negano la vita futura e pongono come massimo il diritto alla
felicità nel mondo di quaggiù devono fuggire la pena di morte come
un'ingiustizia che spegne nell'uomo la possibilità di raggiungere la felicità.
Ed è un vero (verissimo) paradosso che chi contesta la pena capitale difenda
uno Stato totalitario, poiché gli attribuisce un potere molto più grande di
quello che ha, anzi un potere supremo: troncare il destino di un uomo, non
potendo 2 .
eseguire la morte di un uomo contro un altro senza ledere né il destino
morale né la dignità umana, tanto meno può ostacolare e pregiudicare la
giustizia divina, che esercita il giudizio sopra ogni giudizio. Il significato delle
parole incise sulla spada del carnefice di Friburgo (Signore Dio, tu sei il
giudice) non è identificare la giustizia umana con la giustizia divina, ma al
contrario: è il riconoscimento di quella suprema giustizia che giudica ogni
nostro giudici.
Si sostiene inoltre che la pena capitale sia inefficace nello scoraggiare il
crimine; e si porta a sostegno la famosa sentenza di César, che nel processo
contro i Catilinario disse che la morte, fine dell'infamia e della miseria del
delinquente, era un male minore della durata dell'infamia e della miseria. Ma
l'obiezione è confutata dal sentimento universale che l'istituto giuridico di
grazia ha ispirato, prescindendo dal fatto che gli stessi malviventi talvolta´ si
legano a patti suggellati dalla morte in caso di tradimento. Questi confermano
con testimonianza competente l'efficacia deterrente della pena capitale.

26.3. Variazione dottrinale della Chiesa


Anche nella teologia penale si delinea una variazione importante nella
Chiesa. Citeremo solo i documenti dell'episcopato francese (che nel 1979
riteneva che la pena di morte dovesse essere abolita in Francia in quanto
incompatibile con il Vangelo), quelli dei vescovi canadesi e nordamericani, e
gli articoli di OR, 22 gennaio 1977 e 6 settembre 1978, che considerava la
pena di morte lesiva della dignità umana e contraria al Vangelo.

Riguardo all'ultimo argomento, va notato che, senza accettare (anzi


rifiutare) la celebrazione baudelaire della pena capitale come atto sacro e
religioso, non si può cancellare la legislazione del
2L'affermazione di suor ANGELA CORRADI, missionaria tra i carcerati, al Meeting di
Rimini (OR, 25 agosto 1983) è dunque falsa: il carcere sarebbe l'occasione per
ÿÿschiacciare definitivamenteÿÿ un uomo. Secondo la religione, è impossibile che un
uomo ne schiacci definitivamente un altro.
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348 26. La pena di morte

Antico Testamento, che è una legge di sangue. Allo stesso modo, non può
essere cancellato con un tratto di penna, e non dico la legislazione canonica,
ma lo stesso insegnamento del Nuovo Testamento. So bene che secondo i
nuovi canoni ermeneutici, il tipico passo di Rom. 13, 4 (che concede lo ius
gladii ai principi e li chiama ministri di Dio per punire gli empi), come
espressione di una condizione storica superata. Tuttavia, nel suo discorso ai
giuristi cattolici del 5 febbraio 1955, Pio XII respinse esplicitamente tale
interpretazione, sostenendo che questo versetto ha valore duraturo e generale,
poiché si riferisce al fondamento essenziale del potere penale e alla sua
immanente finalità.
Inoltre, il Vangelo di Cristo consente indirettamente la pena capitale, poiché
dice che è meglio per un uomo essere condannato a morte per annegamento
piuttosto che commettere un peccato di scandalo (Mt 18, 6). E di Made. 5, 1-11
si deduce che la pena di morte non era aborrita dalla primitiva comunità
cristiana: i coniugi Ananÿas e Saffira, accusati di frode e menzogna a danno
dei fratelli, si presentano davanti a san Pietro e vengono puniti.
Sappiamo dai commenti biblici che tale condanna è stata denunciata come
crudele dai nemici contemporanei del cristianesimo. La trasformazione operata
è evidenziata in due punti. Nella nuova teologia penale non si tiene conto della
giustizia, e tutta la questione ruota intorno all'utilità della pena e alla sua
idoneità a reintegrare il detenuto nella società. Qui il pensiero innovativo viene
reindirizzato, come in altri punti, all'utilitarismo della filosofia giacobina,
secondo la quale l'individuo è essenzialmente indipendente, e sebbene lo
Stato possa difendersi dal criminale, non può punirlo perché ha violato la
legge morale. legge, cioè perché è moralmente colpevole. Tale assenza di
colpa da parte dell'imputato si traduce poi in disprezzo per la vittima e persino
nella preferenza accordata all'imputato rispetto all'innocente.
In Svizzera l'ex condannato è privilegiato nelle opposizioni a pubblici uffici
nei confronti del cittadino senza precedenti penali. La considerazione della
vittima è eclissata prima della misericordia per il criminale. L'assassino Buffet,
dirigendosi verso la ghigliottina, grida la sua speranza di essere l'ultima
ghigliottina di Francia. Dovrei urlare di essere l'ultimo assassino. La pena per
il delitto sembra più aberrante del delitto, e la vittima cade nell'oblio. Il ripristino
dell'ordine morale violato dalla colpa è rifiutato come atto di vendetta. Si tratta,
però, di un'esigenza di giustizia, che va perseguita anche se il male passato
non può essere annullato ed è impossibile emendare l'imputato. Viene
attaccato anche il concetto stesso di giustizia divina, che punisce i dannati, al
di là di ogni speranza o possibilità di pentimento (§ 41.4). Ma il concetto stesso
di redenzione del criminale si riduce a una mutazione dell'ordine sociale.
Secondo OR del 6 settembre 1978, la redenzione è la consapevolezza di
essere nuovamente utili agli altri.
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26.3. Variazione dottrinale della Chiesa 349

fratelli e non, come vuole il sistema cattolico, l'avversione della colpa e


il reindirizzamento della volontà di conformarsi al carattere assoluto del
legge morale.
E quando si sostiene che non puoi togliere la vita a un uomo perché
verrebbe tolta la possibilità di espiazione, quella grande verità è dimenticata secondo
quale pena capitale è essa stessa un'espiazione. Nella religione umanistica, il
l'espiazione consiste principalmente nella conversione dell'uomo verso gli
uomini; perciò è necessario concedere tempo a questa conversione,
e non abbreviarlo.
Nella religione di Dio, invece, l'espiazione è anzitutto un riconoscimento
della maestà e signoria divina, che, secondo il
principio della puntualità della vita morale (§ 29.2), dovrebbe e può essere
riconoscere in ogni momento. L'OR del 22 gennaio 1977, contestando il rigore
della morte, scrive che la comunità deve dare al delinquente la possibilità di
purificarsi, di espiare la sua colpa, di essere salvato dal male, che
la pena capitale non lo consente. Scrivendo così, il giornale nega il valore
espiatorio della morte, che è massimo per la natura mortale dell'uomo,
come il più alto (nella relatività dei beni di questo mondo) è il bene del
vita al cui sacrificio acconsente l'espiatore. D'altra parte, l'espiazione di
Cristo innocente per i peccati dell'uomo è connesso con una condanna a
morte. Inoltre, non dobbiamo dimenticare le conversioni degli eseguiti
di San José Cafasso, e anche alcune lettere di condannati a morte
della Resistenza. La 3
tortura estrema, grazie al ministero del sacerdote
che si frappone tra il giudice e il carnefice, spesso ha dato origine a mirabili
trasformazioni morali: da quella di Niccol´o di Tuldo, confortato da Sta.
Caterina da Siena, che ci ha lasciato il racconto in una celebre lettera, a Felice
4
Robol, assistito sul patibolo da Antonio Rosmini; da Martín Merino, che tentò
nel 1852 contro la regina di Spagna, al nostro contemporaneo
Jacques Fesch, ghigliottinato nel 1957, le cui lettere carcerarie sono commoventi
5
testimonianze di una perfezione spirituale predestinata
.
Di conseguenza, l'aspetto più irreligioso della dottrina che rifiuta il
La pena capitale si distingue nel rifiuto del suo valore espiatorio, che tuttavia è
massimo nella visione religiosa, perché include il supremo consenso a
la suprema privazione nell'ordine dei beni terreni. Si adatta a questo
scopo la sentenza di Santo Tom´as, secondo la quale la condanna a morte

3Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, Tur´ÿn 1975.


4Il discorso che ROSMINI ha pronunciato sul banco di giustizia di Rovereto de
Trento si legge in Opere, Milano 1846, vol. XXVII, pag. 132-184.
5Sono stati pubblicati da AM LEMONNIER con il titolo Lumi ÿere sur l'echafaud, Paris
1971.´ÿ
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350 26. La pena di morte

cancel, adem´as de toda deuda de pena debida por el delito a la sociedad humana,
tambi´en toda deuda de pena en la otra vida. È interessante riferirsi alle parole precise:
La morte inflitta anche per delitti toglie tutta la pena dovuta per delitti in un'altra vita o
una parte della pena secondo l'ammontare della colpa, della pazienza e della
6 .
contrizione, ma non la morte naturale
La forza morale della volontà di espiazione spiega anche l'infaticabile sollecitudine
con cui la Compagnia di San Juan Decollato, accompagnando il supplizio dei
condannati, moltiplicava i suggerimenti, le richieste e gli aiuti per cercare di andare
verso il consenso e l'accoglienza dell'anima di colui che stava per morire, e per farlo è
7.
morto nella grazia di Dio

26.4. Inviolabilità della vita. essenza di


dignità umana. Pio XII
L'argomento principale della nuova teologia penale è, però, il diritto inviolabile e
imprescrittibile alla vita, che sarebbe offeso quando lo Stato imponesse la pena
capitale. L'articolo citato afferma che la coscienza moderna, aperta e sensibile ai
valori dell'uomo, alla sua centralità e primato nell'Universo, alla sua dignità e ai suoi
diritti inviolabili e inalienabili, è ripugnante alla pena di morte in quanto strumento
antiumano e disposizione barbarica. Conviene anzitutto dare a questo testo, che
raccoglie tutte le ragioni dell'abolizionismo, una chiosa fattuale. L'accenno dell'OR
alla coscienza moderna è simile a quello presupposto nel documento dei vescovi
francesi, secondo i quali il rifiuto della pena di morte corrisponde nei nostri
contemporanei al progresso compiuto nel rispetto della vita umana. Questa
affermazione deriva dalla viziosa propensione della mente a indulgere in idee piacevoli
e a forgiare idee sui desideri: gli odiosi stermini di innocenti nella Germania nazista e
nella Russia sovietica, la diffusa violenza contro le persone usate come

6Summa theol. Indice, alla voce mors (ed. Tur´ÿn 1926). La morte inflitta come
pena per i delitti cancella tutta la pena loro dovuta nell'aldilà, o almeno una
parte della pena in proporzione alla colpa, alla sofferenza e alla contrizione. La
morte naturale, tuttavia, non lo cancella.
7Estremamente rivelatore a tal fine è quanto si legge nei Rapporti della Compagnia
di San Giovanni Decollato in Roma giovedì 16 febbraio 1600, a proposito del supplizio
di Giordano Bruno. Lo accompagnarono sette confessori, domenicani, gesuiti,
dell'Oratorio e di San Geronimo, perché dove non bastasse la spiritualità di un genere,
fosse accolta quella di un altro: VINCENZO SPAMPANATO, Documenti della vita di
Giordano Bruno, Firenze 1933 , p . 197. Si veda a questo proposito il libro di VIN
CENZO PAGIJA, La morte confortata, Roma 1982, in particolare il cap. VII, La
morte del condannato è un esempio di morte cristiana.
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26.4. Inviolabilità della vita. Essenza della dignità umana. Pio XII 351

Strumento ordinario dei governi dispotici, la legittimazione e persino


l'obbligatorietà dell'aborto trasformata in legge, e la crudeltà del crimine
e del terrorismo, a stento contenuti dai governi, infliggono una cruda
smentita a questa irreale affermazione.
Parleremo della centralità assiologica dell'uomo nell'universo nei
§§30.1-31.1. In generale, nel discorso sulla pena di morte, si dimentica la
distinzione tra lo stato di diritto dell'innocente e quello del colpevole. Il
diritto alla vita è considerato inerente alla pura esistenza dell'uomo,
quando in realtà deriva dal suo fine morale.
La dignità dell'uomo nasce dalla sua ordinazione a valori che
trascendono la vita temporale, e questo destino è indicato nello spirito
come immagine di Dio. Sebbene quel destino sia assoluto e
quell'immagine sia indelebile, la libertà dell'uomo gli permette di
discendere da quella dignità e deviare da quella meta attraverso la colpa.
Il fondamento del diritto penale è proprio la riduzione assiologica del
soggetto che viola l'ordine morale e provoca con la sua colpa l'azione
coercitiva della società per riordinare il disordine. Chi trova motivo di
azione coercitiva solo nel danno arrecato alla società, toglie ogni
carattere etico alla legge e ne fa una prevenzione nei confronti del
delinquente, libero o bisognoso che sia, razionale o irrazionale.
Nell'ordinamento cattolico, l'equazione penale significa che il delitto, al
quale il delinquente è arrivato cercando soddisfazione con il disprezzo
del comandamento morale, risponde a una diminuzione della bontà, della gioia e della soddisfaz
Al di fuori di questo contrappeso morale, la punizione diventa una
reazione puramente utilitaristica, che dimentica appunto la dignità
dell'uomo e rimanda la giustizia a un ordine totalmente materiale: come
accadde in Grecia, quando furono tolte e condannate nel tribunale delle
pietre di Pritaneo, legno o animali che hanno causato danni.
La dignità umana è, però, un carattere naturalmente impresso nella
creatura razionale, ma diventa cosciente ed esplicita nei movimenti della
volontà buona o cattiva, e cresce o diminuisce in quell'ordine. Nessuno
vorrà mai eguagliare in dignità umana l'ebreo di Auschwitz e il suo
macellaio Eichmann, o santa Caterina e Taide.
La dignità umana non può mai essere sminuita da fatti diversi da
quelli morali; e contrariamente al sentimento divenuto comune, non è
dal grado di partecipazione ai benefici del progresso tecnologico (§31.1)
che si misura la dignità umana, né dalla parte aliquota dei beni economici,
né dal grado di alfabetizzazione , né dall'aumento delle cure sanitarie, né
dall'abbondante distribuzione delle cose piacevoli dell'esistenza, né dalla
scomparsa delle malattie. Non confondere la dignità umana, che è un
attributo morale, con la crescita dei beni
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352 26. La pena di morte

utile, tipico anche dell'uomo indegno. Si veda come argomento quanto diremo
nei §§31.1 e 32.1.
La pena di morte e le altre pene, se non sono degradate a pura difesa e
quasi ad uccisioni selettive, presuppongono sempre un degrado morale della
persona punita, e quindi non vi è violazione di un diritto inviolabile e
imprescrittibile. Non è che la società tolga un diritto al detenuto, ma piuttosto,
come insegnava Pio XII nel discorso ai neurologi del 14 settembre 1952, anche
quando si tratta dell'esecuzione di un condannato a morte lo Stato non dispone
della diritto alla vita. Spetta poi al pubblico potere privare il condannato del
bene della vita in espiazione del suo delitto, dopo che con il suo delitto si è già
espropriato del suo diritto alla vita (AAS, 1952, pp. 779 e ss.) E l'inviolabilità
del diritto alla vita nell'innocente, inesistente nel criminale, che se l'è strappata
lui stesso con la depravazione della volontà, è anch'essa evidente se si
considera parallelamente il diritto alla libertà: può essere innato , inviolabile
o imprescrittibile, ma il diritto penale riconosce come sanzione del delitto
anche la privazione perpetua della libertà, e la consuetudine di tutte le nazioni
la pratica.

Di conseguenza, non esiste un diritto incondizionato ai beni della vita


temporanea; l'unico diritto veramente inviolabile è al fine ultimo: alla verità,
alla virtù e alla felicità, e ai mezzi necessari per raggiungerli.
Questo diritto non è assolutamente pregiudicato dalla pena di morte.
In conclusione, la pena capitale, o meglio ogni pena, è illegittima se si
parte dall'indipendenza dell'uomo rispetto alla legge morale (mediata prima
della morale soggettiva) e rispetto alla legge civile (come conseguenza di
quella prima indipendenza). La pena capitale diventa barbara in una società
scristianizzata che, chiusa sull'orizzonte terrestre, non ha il diritto di privare
l'uomo di un bene che gli è tutto bene.
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Cap'itulo 27

Guerra

27.1. Cristianesimo e guerra


La variazione intervenuta nella concezione della guerra è riconducibile allo
sviluppo omogeneo del genere, anche se in molte manifestazioni dell'opinione
cattolica e in alcuni documenti episcopali sembra appartenere più al gruppo
gennaio saltus in aliud.
Questo sviluppo omogeneo permette di comprendere il significato legittimo
dell'adagio che ciò che non era peccato può diventare peccato, e viceversa.
Questa conversione è possibile non perché muti la legge morale, ma perché
mutano le circostanze che modificano la colpa dell'azione (aumentandola,
diminuendola o annullandola), e anche perché con il crescere della Riflessione
sulla conoscenza morale del genere umano nasce a nuove coscienze e nuovi
doveri. È dottrina classica che le circostanze cambiano la qualità degli atti.

Un atto identico è virtuoso nel matrimonio, colpevole nella fornicazione, o


ancora più colpevole nell'adulterio. Oppure, usando esempi più moderni: in
tempi di strade deserte era considerato un peccato veniale guidare un veicolo
in stato di ebbrezza, ma diventa un peccato mortale in tempi di strade trafficate
e grande pericolo di circolazione.
Nella valutazione morale della guerra, sono le circostanze che cambiano la
specie e rendono illegale ciò che in altre circostanze era legale e virtuoso in
passato. La condanna assoluta della guerra è però lontana dalla tradizione
cattolica; La milizia non è proscritta dal Vangelo, ed era praticata dai cristiani
(molti santi martiri erano uomini d'arme) e considerata da tutti i Padri un
mestiere onesto. Solo nei movimenti di vena manichea e tintura eretica la
guerra cominciò a essere considerata illegale.

353
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354 27. La guerra

Anche la Regola di San Francisco ammette di prendere le armi in difesa


della Patria. E non parlo di tutta la teologia cattolica da sant'Agostino a san
Tommaso e Taparelli d'Azeglio.

Discorrendo degli atti che rompono la concordia tra gli uomini, l'Aquinate
qualifica la guerra in modo puramente negativo, stabilendo che essa non è
sempre peccato.

San Agust´ÿn, in un pasaje del Contra Taustum, cap. 74, concreta en la


injusticia, y no en el hecho de matar, la iniquidad de la guerra: Qual è la colpa
della guerra? O perché muoiono poiché stanno per morire, affinché muoiano
in pace? Questa è colpa dei timidi, non dei religiosi. Il desiderio di ferire, la
crudeltà della vendetta, lo spirito implacabile e implacabile, la ferocia della
ribellione, la lussuria del dominio e simili, queste sono le cose che sono
1
.
biasimate in guerra (PL 42, 477)

Pio XII, nel suo discorso natalizio del 1949, dopo aver proclamato che
tutti i trasgressori della legge dovrebbero essere posti in un infame isolamento
ai margini della società civile, denunciò con forza il falso pacifismo: la
condotta di coloro che odiano la guerra per la sua atrocità e non a causa della
sua ingiustizia prepara il successo dell'aggressore. La guerra non può che
essere il peggiore dei mali per chi adotta una visione irreligiosa che considera
la vita, e non il fine trascendente della vita, come il sommo bene, ed
equivalentemente il piacere come il destino dell'uomo. La guerra è certamente
un male, e la Chiesa la annovera, insieme alla carestia e alla peste, tra i flagelli
dai quali vorrebbe che gli uomini fossero preservati.

Nell'enciclica Praeclara congratulationis del 1894, Leone XIII denunciò


l'inutilità delle guerre e propugnava una Società dei popoli e un nuovo diritto
internazionale. Di Benedetto XV sono memorabili le lamentele per l'orrenda
carneficina e il suicidio dell'Europa, nonché la denuncia dell'inutile strage
nella Nota del 1° agosto 1917 (Esortazione ai reggitori delle nazioni in guerra,
Des le d´ ebut: testo originale in francese)

1
Cosa c'è da condannare in guerra? Forse il fatto che uomini destinati a morire comunque,
muoiano per sottomettere uomini destinati a vivere in pace? Condannarlo è proprio degli
uomini privi di forze, non dei religiosi. Le cose che si condannano in guerra sono la volontà
di fare del male al nemico, la crudeltà della vendetta, lo spirito irrequieto e implacabile, la
crudeltà nella ribellione, il desiderio di dominio e altre cose simili.
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27.2. Pacifismo e pace. Carta. Pomma. Paolo VI. Giovanni Paolo II 355

27.2. Pacifismo e pace. Carta. poma. Paolo VI.


Giovanni Paolo II
Di conseguenza, non è caratteristico della Chiesa il pacifismo assoluto
che assolutizza la vita, ma piuttosto il pacifismo relativo, che condiziona la
pace, e naturalmente anche la guerra, alla giustizia. Ma il più coraggioso dei
sostenitori del pacifismo, Erasmo da Rotterdam, nella Querela pacis e nella
parafrasi del Pater Noster, insegna al contrario che non c'è pace ingiusta che
non sia preferibile alla più giusta delle guerre
E correnti di pensiero molto diffuse si sono unite a questo irenismo
assoluto e possono invocare suffragi autorizzati. La carta. Poma, arcivescovo
di Bologna, in OR del 4 maggio 1974, scriveva: Non c'è niente di più contrario
al cristianesimo della guerra. In esso, che è la sintesi di tutti i peccati, la
superbia incontra lo scatenarsi degli istinti inferiori.
Ma affermazioni così prive di distinzione e di senso storico sono contrarie
a secoli di cristianesimo, alla riconosciuta santità di guerrieri come Giovanna
d'Arco, e alla celebrazione della guerra giusta fatta da Paolo VI in uno speciale
documento dedicato al quinto centenario della fondazione di Scanderbeg
morte. Lo stesso Paolo VI, ricordando in un discorso la visita di Pio XII al
popolo di Roma dopo i bombardamenti del 1943 e il grido di un giovane: Santo
Padre, la schiavitù è meglio della guerra! Liberaci dalla guerra! ha descritto un
tale grido come follia (RI, 1971, p. 42). E quel grande difensore della libertà e
della pace che fu Gandhi arrivò vicino ad accusare di viltà il pacifismo assoluto:
è già cosa nobile difendere il proprio bene, il proprio onore e la propria
religione, con la punta della spada È ancora più nobile difenderli senza cercare
di danneggiare l'autore del reato. Ma è immorale e disonorevole abbandonare
il proprio partner e, per salvarsi la pelle, lasciare il proprio bene, il proprio
onore e la propria religione in balia dei criminali.
Certamente ci sono affermazioni di Paolo VI che proclamano l'assurdità
della guerra moderna e la suprema irrazionalità della guerra (OR, 21 dicembre
1977). Infine, c'è la dichiarazione di Giovanni Paolo II a Coventry nel maggio
1982: Oggi, la portata e l'orrore della guerra moderna, nucleare o convenzionale,
la rendono totalmente inaccettabile per la risoluzione di controversie e
controversie tra le nazioni.
Tuttavia, se si osservano i termini delle due dichiarazioni pontificie, si
riconoscerà che esse non si discostano dai principi tradizionali della teologia
della guerra e costituiscono uno di quegli sviluppi della coscienza morale che
dipendono dal variare delle circostanze. La legalità della guerra è infatti legata
a condizioni: che sia dichiarata da chi ne ha l'autorità; che intende riparare un
diritto violato; che ci sono speranze fondate
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356 27. La guerra

ottenere tale riparazione; guidare con moderazione. Tali condizioni sono


contenute anche nell'articolo 137 del Codice Sociale redatto dall'Unione
Internazionale di Studi Sociali, fondata dal card. Mercier, e riflettono una
tradizione ininterrotta delle scuole cattoliche.

27.3. La dottrina del Vaticano II


Nella Gaudium et Spes 79-80, il Vaticano II ha confermato la legalità della
guerra difensiva, ha condannato la guerra offensiva intrapresa come mezzo
per risolvere i conflitti tra le nazioni, e infine ha bandito la guerra totale, in
2
particolare la guerra atomica, senza eccezioni. .
Riguardo al servizio militare che i cittadini prestano per la sicurezza e la
libertà della Patria, il Concilio non solo lo ammette, ma dichiara che, svolgendo
bene questa funzione, essi contribuiscono realmente a stabilizzare la pace (n.
79). Per l'inadeguatezza di una delle suddette condizioni, il diritto di guerra
deve essere rivisto con una mentalità del tutto nuova, e per questo il Consiglio
condanna: Qualsiasi azione bellica che tenda indistintamente alla distruzione
di intere città o di vaste regioni insieme con i loro abitanti, è un crimine contro
Dio e contro l'umanità, che va condannato con fermezza e senza esitazione (n
80). La guerra totale è proibita anche nel caso della legittima difesa che, per
mancanza di moderazione, diventa anche illegittima.

Il Concilio, che insegna che la guerra difensiva contro l'aggressione è lecita


finché non vi è un'autorità internazionale competente e dotata di mezzi efficaci
(n. 79), insegna anche che essa diventa illecita, lecita se è orientata allo
sterminio totale del nemico . Sono condannate, quindi, sia la guerra offensiva
per risolvere una controversia, sia la guerra offensiva o difensiva condotta
senza moderamen inculpatae tutelae.
Ma la guerra difensiva condotta con tale moderazione non è condannata.
A causa della nuova circostanza di esistenza della guerra totale, la valutazione
morale della guerra (come del resto di tutte le cose sottoposte a circostanze
diverse) si trasforma. Qui noterò che già nel Vaticano I si proponeva di definire
quel Qui bellum incipiat, anatema sit; ma tale

2Questa condanna della guerra smodata ha un analogo nella condanna che il


Concilio Lateranense II, con Innocenzo II, pronunciò nel 1139 contro artem illam
mortiferam et Deo odibilem ballistariorum er sagitariorum. La condanna mostra
l'evoluzione della coscienza morale, che si va perfezionando nelle diverse relatività
storiche. Ma prova anche l'inefficienza dell'azione della Chiesa in questo campo,
un'inefficienza simile a quella di quelle proscrizioni di guerra decise nel Patto del
1919, nel Patto Briand-Kellog del 1928, e nello Statuto dell'ONU del 1945 .
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27.3. La dottrina del Vaticano II 357

l'assioma non entrava nella questione del merito morale, e certamente non lo è
priorità cronologica della battaglia che lo qualifica.
L'effetto omicida degli atti di guerra è condannato perché nega la
differenza delle essenze e fa della guerra qualcosa che non è. mentre nel
le nazioni del passato combattevano con l'azione specifica di un organo specifico
(l'Esercito), oggi lo fanno con tutto l'organismo sociale, e tutto è militarizzato;
c'è guerra politica, guerra commerciale, guerra diplomatica,
guerra di propaganda, guerra chimica, guerra biologica e persino guerra
3
meteorologica. Non solo Marte, ma Marte, Minerva, Mercurio e tanti altri,
sono divinità del moderno Olimpo.
La guerra totale o parossistica fu inaugurata nel 1793 dalla levée
in massa e la requisizione di uomini e forze economiche, e con l'incipiente
requisizione di anime grazie alla propaganda. coscrizione obbligatoria,
la raccolta del sangue, introdotta da tutti gli Stati moderni e considerata un
passo avanti nella giustizia civile, ha comportato la perdita di una libertà di
quella che già godevano i popoli antichi. 4Era un effetto del più vicino
solidarietà dei cittadini di una nazione, nasce dal potere crescente del
Stato, trasformato in un macroantropo di cui gli individui sono cellule, e
ha portato la guerra alla perdita della sua specificità. Va notato tuttavia
che le dottrine militari stanno ormai abbandonando il concetto di guerra
combattuti da un intero popolo con tutte le sue risorse, e tornano ad eserciti
non di massa, ma di professionisti altamente specializzati. è così che va
ripristinare l'idea della guerra come attività di uno stabilimento speciale, e
le opere del sangue sono restituite a Marte. Fare la guerra con un organo
della nazione e non con la sua totalità, ritornerebbe al diritto naturale e
alla situazione ben descritta da Federico II di Prussia: Quando faccio il
guerra, i miei popoli non se ne accorgono, perché la faccio con i miei soldati. Lui
Il movimento della vita nazionale, tuttavia, è ancora completamente orientato
verso la guerra totale, e tutti gli organi della società sono convertiti
in un unico organo di guerra orientato alla distruzione del nemico. Il massimo
Da Talleyrand che in pace i popoli dovrebbero fare il maggior bene possibile
e in guerra il minor danno possibile, la guerra moderna è stata invertita,
che trasforma la struttura sociale in un'unica macchina distruttiva.

3Nel 1977, l'URSS e gli USA hanno firmato a Ginevra una convenzione per la rinuncia a
guerra meteorologica. Gli Stati Uniti, nella guerra del Vietnam, resero impraticabile il sentiero di
Ho Chi Minh lanciando cinquantamila contenitori di ioduro d'argento e neve
carbonico per produrre pioggia.
4È la libertà che SENECA, Efist. LXXIII, 9, ringrazia il principe, esaltato da GU CLIELMO
FERRERO in Discorsi al sordi, Milano 1920. Al contrario, per ROSMINI,
Filosofia della legge, §2154, la coscrizione obbligatoria è il massimo beneficio rimasto
L'Europa dall'impero napoleonico (Ed. nac., vol. XXXIX, p. 1426).
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358 27. La guerra

27.4. Le aporie della guerra


Pertanto, la moralità della guerra è soggetta a due condizioni: che sia
giusta (e solo l'uso della forza usato per respingere l'aggressione è giusto) e
che sia moderata (e non c'è diritto di fare la guerra in base al quale non ci sia
un sottostante obbligo di moderazione). Non entreremo qui ad esaminare la
teoria di Sturzo in La comunità internazionale e il diritto della guerra (Parigi
1932), secondo la quale la guerra non ha un rapporto essenziale e necessario
con la natura umana, ma solo contingente e quindi evolutiva, essendo possibile
eliminarlo come furono eliminate la poligamia e la schiavitù.

Osserveremo solo che l'uso della forza, e di conseguenza il principio della


guerra, è essenziale alla società civile: ordina la comunità al bene comune
attraverso la legge, ma reprime anche coloro che la violano, e reprimendoli
(senza consentire con Hobbes) viene riconosciuto il suo dovere primario.
Se, come insegna la filosofia cattolica dell'etnarchia, i popoli del mondo
devono rinunciare alla loro pretesa di sovranità e sottomettersi a un'autorità
nazionale (vedi la citazione dal Vaticano II nel grafico precedente), questa
sottomissione è impossibile se detta autorità non avere il potere di reprimere
efficacemente chi lo viola: cioè di lottare contro il partner ribelle.
Come nell'attuale imperfetta organizzazione della convivenza internazionale,
la guerra è lecita ai singoli Stati solo per respingere l'offesa al proprio diritto
di essere Stati, per la società etnarchica la guerra è lecita solo per reprimere
l'attentato ai propri diritti.

Secondo alcuni (tra cui Gaetano), la nazione che muove guerra per legittima
difesa compie un atto di giustizia vendicativa, sicché il belligerante che agisce
con giustizia personam gerit iudicius criminaliter agentis.
Secondo altri, invece, quella guerra è un atto di giustizia commutativa, con
cui si cerca la riparazione e la restituzione di un male perduto. Non si tratta qui
di decidere la questione. La sentenza di Gaetano è conforme al principio
cattolico della difesa degli innocenti, inserito nel Sillabo contro il principio di
non intervento.
Ma se la società internazionale non è ancora costituita come una società
perfetta dotata delle tre funzioni legislative, esecutive e giudiziarie, è difficile
chiarire la giustizia di una guerra e punire l'ingiusto belligerante (il che
significherebbe esercitare un ufficio di tribunale universale) . Anche per due
ragioni la guerra giusta è sempre da lamentarsi.
Primo, perché è un fratricidio e, se si combatte tra cristiani, anche una
specie di sacrilegio, dato il carattere sacro dell'uomo battezzato. In secondo
luogo, in guerra l'attività di un partito non può essere buona senza
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27.4. Le aporie della guerra 359

che il contrario è cattivo. La guerra difensiva di chi ha ragione è giusta, ma può esserlo
solo se l'attaccante è ingiusto. A causa di questa doppia tristezza, Kant, nella Pace
perpetua, dice che nel giorno della vittoria, vinti e vincitori dovrebbero vestirsi a lutto;
e nel coro della Carmagnola manzoniana ci sono cori omicidi che elevano grazie e inni
che il Cielo abomina.
Un altro paradosso della guerra è l'incertezza del suo esito, anche per chi lo fa in
modo equo. È legge della teodicea che nella vita terrena i beni siano tendenzialmente
accompagnati dalla virtù, ma quella generalità della Provvidenza non basta a togliere
l'evento dal gioco dell'insolente fortuna. Chi conosce la storia sa che abbonda di
malvagi fortunati e di giusti pieni di sofferenze. Né bastano i tanti esempi di furfanti
annichiliti da Nemesis a trasformare quella generalità in un teorema e quella tendenza
in una legge.

Nel sistema cattolico non vi è alcuna sanzione immanente, individuale o collettiva,


che sia infallibile; e l'uomo virtuoso ha sicurezza solo nella speranza. Data l'incertezza
dell'esito della guerra, il conflitto è incerto fino alla fine, e il dio Marte è omericamente
ÿÿincostanteÿÿ. La decisione può dipendere da un minuscolo evento casuale in cui si
nascondeva il potere trascendentale del momento
.
Per la casualità del suo compimento, la guerra è assimilabile al gioco d'azzardo, e
secondo Manzoni dovrebbe essere classificata dall'economia politica insieme al gioco
d'azzardo.
E quindi l'effetto utile della guerra potrebbe essere ottenuto senza guerra,
escludendo la sua caratteristica irrazionalità, che sotto questo aspetto la somiglia a
un duello (filologicamente, bellum è lo stesso di duellum). Le ragioni che dimostrano
che la guerra in sé non è buona insegnano come ottenere l'effetto utile senza di essa.

Il lato casuale dell'esito della guerra (forse riducibile, ma non eliminabile) rende
irrilevante il fattore quantitativo delle forze antagoniste.
Come già osservava Henri Jomini, il miglioramento dei manufatti bellici perseguito
senza sosta dagli States non offre vantaggi a chi ne fa uso se non è il solo ad utilizzarli,
come si è visto in Cr'ecy nel 1346 con le armi da fuoco e in 1945 in Giappone con la
bomba atomica. Con le nuove armi, l'unica cosa che si fa è raccogliere un coefficiente
comune ai due termini di una proporzione il cui valore è lo stesso. Pertanto, il costo e
il male delle armi aumentano, ma non la probabilità di successo, sempre dipendente

5Questo elemento fortuito nella sorte di un condottiero era riconosciuto dagli antichi: tra le
doti del capo, oltre all'autorità e alla perizia, ponevano la felicitas o fortuna, come si vede nella
scelta di Pompeo per la guerra contro Mitridate (CICERON, Pro lege Manila). Napoleone tenne
conto anche della fortuna, e parlando del generale Mack, sconfitto a Ulma nel 1805, disse: È
inetto: peggio ancora, ha una cattiva stella.
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360 27. La guerra

fortuna nelle cose e valore nell'uomo. La guerra combattuta a tre non avrebbe un
risultato diverso da quello condotto da milioni contro milioni.

27.5. Aporia della guerra moderata


Aporia della guerra moderata. Voltaire. Pio XII. Impossibilità
fine della guerra moderna
La moderazione appare quindi come il requisito essenziale per combattere
giustamente. E non solo la guerra va moderata contro il nemico, ma anche contro il
giusto belligerante. Pertanto è vietata la difesa a tutti i costi, senza speranza di vittoria
e con la certezza di un 6 vano olocausto
.
Ma qual è il fondamento dell'obbligo di moderazione? Se si enuncia la tesi in
termini metafisici, si trova che essa deriva dal principio di ragione sufficiente, secondo
il quale è irrazionale e quindi immorale esercitare un'azione superflua rispetto al fine
da raggiungere. Poiché l'azione è appropriata al fine e l'aggiunta è improduttiva e
nulla, l'azione guerriera, il cui fine consiste nella restaurazione del diritto e quindi nella
pace, deve essere condotta con la minima distruzione possibile. La distruzione totale
del nemico è illegale, perché sproporzionata rispetto allo scopo.

La ragione metafisica è però superata dalla ragione morale. È un principio etico


che il male morale del prossimo non può mai essere voluto.
Né il male fisico può mai essere voluto per se stesso e direttamente, ma solo come
mezzo per un bene morale e nella misura minima in cui è necessario. La guerra non è
voluta per la guerra, ma per la pace.
La dottrina di Voltaire nel dialogo Des drots de guerre, secondo cui la guerra
nasce al di fuori della legge e quindi non si può esigere da essa una norma giuridica,
è la dottrina della guerra totale. Quella dottrina è ripugnante alla religione. Come fa
notare G. Gonell, nella Revue de droit international (1943, p. 205) la guerra giusta che
nasce da un principio morale trarrà da quel principio la propria norma: appunto la
moderazione.
E qui si manifesta l'aporia. Chi muove guerra nei canali della legge contro un
aggressore che combatte senza moderazione perderà in combattimento e soccomberà
all'attacco di chi agisce con maggior male. L'efficacia del

6 Tali furono nell'ultima guerra la difesa di Stalingrado ad opera di Von Paulus


e quella dell'isola di Atni, dove i duemila giapponesi che la occuparono contro
forze molto superiori furono lasciati morti o si suicidarono sul terreno, nessuno
superstite che fosse sconfitto. . Si noti inoltre che la guerra totale e la difesa a tutti
i costi sono vietate nelle Convenzioni dell'Aia del 1907 e del 1899.
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27.6. Rimozione dell'aporia della guerra nella società etnarchica 361

la guerra giusta sarebbe stata annullata dalla sua stessa giustizia. La condizione di
moderare l'effetto negativo escluderebbe la possibilità di vittoria e proibirebbe anche
di intraprendere una guerra difensiva. La giustizia è una proporzione tra il sacrificio
necessario per stabilire il diritto e il compenso per averlo stabilito.
Di conseguenza, quando manca una tale proporzione tra i mezzi e il fine, la vittima è
quella che solo potrebbe essere: tollerare l'ingiustizia può allora essere virtuoso e
obbligatorio; Pio XII lo insegna esplicitamente: Non basta doversi difendere da ogni
ingiustizia per usare il metodo violento della guerra. Quando i danni implicati da ciò
non sono paragonabili a quelli dell'ingiustizia, si può avere l'obbligo di subire
7
l'ingiustizia. L'aporia della guerra moderna è manifesta. È legittimo difendersi facendo
la guerra, ma chi combatte è obbligato alla moderazione e quindi destinato a
soccombere all'arrogante aggressore non moderato. Le circostanze viziano la guerra
difensiva con l'immoralità e rendono obbligatorio sottomettersi all'ingiustizia. Di tale
sottomissione ci sono esempi antichi e moderni.

Prechiara ed inequivocabile è quella di Pio IX del 20 settembre 1870; legittima, ma


condannata da molti, quella del re Leopoldo III del Belgio nel giugno 1940. Bisognerà
dunque vietare assolutamente ogni guerra, poiché oggi essa non può che essere
smoderata, e saranno proibiti tutti gli atti di guerra difensivi, anche se sono solo
iniziati?

27.6. Rimozione dell'aporia della guerra nella


società etnarchica
Il Vaticano II in Gaudium et Spes 79 dice espressamente: Finché c'è il rischio di
guerra e manca un'autorità internazionale competente e dotata di mezzi efficaci, una
volta esaurite tutte le risorse diplomatiche pacifiche, non si può negare il diritto alla
legittima difesa ai governi.
Se nei singoli Stati l'autorità sociale limita il diritto individuale di farsi giustizia da
solo, anche nella società internazionale costituita (che non è un consorzio di entità
sovrane, ma di soci, tutti a loro volta sudditi) l'autorità limita il diritto diritto dei singoli
Stati a farsi giustizia da soli.

Dallo stato selvaggio in cui ancora giace la comunità dei popoli, il genere umano
deve organizzarsi in una perfetta societas populorum come quella voluta da Leone XIII
e delineata proprio da Benedetto XV secondo la tradizione della teologia cattolica dal
Medioevo a Su ´arez, da

7Discurso del 19 octubre de 1953 en la XVI sesi´on del Ufficio Internazionale de docu
mentazione medicina militare, en Discorsi al medici, IV ed., Roma 1960, p. 307.
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362 27. La guerra

Campanella a Taparelli d'Azeglio. Certo, allora la guerra non sarà eliminata,


ma si saprà che chi combatte per farsi giustizia è ingiusto anche se è sovrano,
e la guerra condotta contro di lui dall'unica autorità avrà il carattere di essere
giusta. L'uso della forza da parte dell'autorità etnarchica per reprimere il
trasgressore della giustizia è il principio dell'ordine internazionale e della pace.
Le società nazionali si dissolvono nell'anarchia quando l'autorità perde l'uso
della forza: anche le società etnarchiche Nel messaggio della giornata per la
8
pace (OR, 21 dicembre 1981) .
Giovanni Paolo II insegna che la soluzione dell'aporia della guerra moderna
è possibile solo attraverso la riconoscimento di un'autorità etnarchica; il Papa
vede la società delle nazioni come un istituto di dialogo e di negoziazione,
come già lo è, ma non parla della forza, che tuttavia costituisce il nerbo
essenziale dell'autorità. Non sembra invece che il Papa vieti la guerra difensiva,
poiché se la bandisse si inaugurerebbe una vacatio legis con la quale il mondo
sarebbe abbandonato all'iniziativa dei cattivi.

Le parole del Papa a Canterbury non condannano la guerra difensiva, né


fu condannata dal Concilio, ma piuttosto l'iniziativa di chi imbraccia le armi,
atomiche o convenzionali, con l'intento di risolvere da sé le controversie. Ma
chi, attaccato, si difende, usa a pieno diritto la forza. Tuttavia, a causa
dell'obbligo di moderazione, l'aporia sussiste.

L'esigenza di costituire il genere umano in etnarchia discende dal principio


cattolico al quale si attiene ogni nostro ragionamento, quello della dipendenza
del dipendente: dalla legge, dalla legge morale, da Dio. La parte deve essere
ridotta ad essere una parte. Afferma, come Smuts, teorico con Wilson della
Società delle Nazioni, in cui spiriti alti come Giuseppe Motta riconobbero un
ideale cristiano di filantropia internazionale universale, lo disse
suggestivamente, devono essere ridotti alla loro vera natura: non di tutto, ma
di oloidi; non di sovrani, ma di sudditi; non delle mie crodiosi, ma delle
creature.

8MARTA VISMARA, La ´azione politica dell´ONU 1946-1974, Padova 1983, mostra


con ampia documentazione che l´unico successo evidente dell´ONU fu la soluzione del
problema del Congo, perché ottenuta con l´uso della forza, impiegando quindicimila uomini
che in un tempo relativamente breve determinarono la secessione del Katanga da Ciombe
e dei Kisai da Lumumba. La ferma azione del segretario generale Hammarskj'old ha avuto
effetto grazie all'uso della forza militare internazionale.
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Cap'itulo 28

Moralità della situazione

28.1. Moralità della situazione

Il morale della situazione. Il pratico e il prassiologico. La legge come previsione


Se il
divorzio, la sodomia e l'aborto negano la legge naturale in specifici punti di
applicazione, la morale situazionale ne attacca il principio stesso, riducendo la morale
a un mero giudizio soggettivo dell'uomo sulle proprie azioni. La moralità situazionale
era già stata condannata da Pio XII come un'inversione radicale della morale in un
discorso alla Federazione Mondiale della Gioventù Femminile Cattolica (OR, 19 aprile
1952). È una morale che trasferisce il criterio sulla moralità di un'azione dalla legge
oggettiva e dalle strutture essenziali all'intenzione soggettiva, e dal centro alla periferia,
come dice il Papa. L'azione sarebbe solo quando c'è la giusta intenzione e una sincera
risposta alla situazione.

Si invoca la conoscenza della situazione per decidere l'applicazione della legge,


ma si afferma che la legge è dettata dalla coscienza stessa.
La scelta non è più determinata dallo statuto dell'azione, imposto al giudizio, ma il
giudizio determina lo statuto determinandone la legittimità. È abolita la distinzione tra
giudizio soggettivo, che valorizza l'atto singolare, e giudizio oggettivo, che legge la
natura di quell'atto nel criterio universale.
Va notato che la moralità tradizionale è anche una moralità situazionale.
La conoscenza dell'universale, regola degli atti, costituisce solo la metà della morale.
L'altra metà necessaria per completare il giudizio morale consiste nel confronto delle
situazioni concrete con l'espressa esigenza della legge, che si rivela come il
fondamento sano e irrefragabile della casistica.
La moralità della situazione unifica e confonde il giudizio prasseologico con il giudizio

363
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364 28. Moralità della situazione

1
,
pratica eliminando la legge e facendo della coscienza la misura di se stessa.
L'ordine naturale (non solo biologico, ma metafisico ed essenziale) viene rovesciato,
o al massimo diventa dubbio e inconoscibile. Ci sono aspetti di
vita dove la complessità dell'azione concreta è tale da renderla impossibile o
un'applicazione letterale della norma morale è inopportuna. In questo caso devi
fiducia nella coscienza personale e nel senso di responsabilità del
2 .
persona verso la sua
vita Se qui si intende segnalare la difficoltà contingente che l'uomo incontra nel
riconoscere la moralità delle situazioni, l'osservazione
È ovvio e, come abbiamo detto, dà luogo alla casistica. Ma non si può curare
di applicazione letterale della legge, poiché la legge non è solo lettera, ma spirito,
che deve essere trascritto o tradotto dall'universale al caso che si presenta.
La coscienza personale, che non è diversa dal senso di responsabilità, sì
certamente affrontare la vita, ma come qualcosa da giudicare, non come
che costituisce il criterio per giudicare: non si risponde alla propria vita,
ma prima del requisito della legge, dopo di che la volontà di
Dio.
D'altra parte, l'opposizione che si fa tra il
regola generale e il caso particolare, sostenendo che quest'ultimo non rientra nel primo,
piuttosto, ha una propria norma per regolarsi. Il caso speciale
(è conveniente ricordare la dottrina) entra totalmente nella legge universale, perché
l'universale non è altro che il caso individuale preso nella sua essenza, che appare se
le loro note individuanti sono dispensate. Ma entra anche il caso particolare
nel diritto universale per una ragione non logica, ma metafisica e teologica.
La legge morale non ammette che il caso particolare sfugga al precetto, perché il
precetto include tutti i casi possibili. In realtà, anche se come giudizio
della ragione umana, la legge è una generalità astratta applicabile, in quanto
l'ordine ideale inscritto nella mente divina è, invece, una previsione di casi
storico: chi ha promulgato la legge conosce tutte le possibili relazioni di
3 .
sentimenti e azioni con giustizia eterna e immutabile
La moralità della situazione, mentre afferma che il caso concreto non può essere
introdotto nella legge e può essere qualificato dal giudizio soggettivo dell'agente, passa
trascurato il fatto che il caso è sempre un caso di diritto, e come tutti
legge, è inteso dal legislatore divino, davanti al quale sono presenti tutti
i casi possibili.
Pertanto, possono esserci situazioni straordinarie se vengono osservate

1Il primo ha un soggetto universale, il secondo ne ha uno individuale. GARRIGOU


LAGRANGE, Dio, Ed. Word, Madrid 1980.
2Herman y Lena BUELENS-GIJSEN, Jan GROOTAERS, Matrimonio cat´olico y anti
concepci´on, ed. Pen'Insula, Barcellona 1969, cap. II, 4, pagg. 106-107.
3MANZONI, Morale cattolica, Parte Primera, ed. cit., vol. 1, p. 35.
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28.2. Critica della creatività della coscienza 365

dalla parte dell'uomo, che spesso manca di conoscenza del concreto o addirittura rifiuta
la legge, ma queste situazioni sono assolutamente ordinarie dal punto di vista della legge.
Anzi, gli appartengono più propriamente e distintamente degli altri, perché appaiono
all'uomo segnati solo dal carattere imperativo della legge e senza alcuna raccomandazione
di altro genere.

Nonostante la condanna di Pio XII e le aporie che la investono, la moralità situazionale


è professata da alcuni episcopati e praticata come metodo da interi movimenti di Azione
cattolica. Rifiutando di partire da principi eterni e norme universali per scendere a
situazioni particolari, questi vescovi partono da situazioni concrete, e analizzandole ne
deducono le esigenze umane ed evangeliche.

Si tratta di un nuovo modo di concepire la coscienza cristiana: non come una funzione
che applica, mediante un sillogismo automatico, un principio generale a un caso
particolare, bensì come una facoltà che sotto la direzione dello Spirito di Dio è dotata con
una certa forza di intuizione e di creazione che le permette di trovare, per ogni caso, la
soluzione originaria appropriata (ICI, n. 581, p. 51, 15 dicembre 1982, sul documento dei
vescovi brasiliani sui metodi dell'Azione Cattolica ).

28.2. Critica della creatività della coscienza


ciao
Critica della creatività della coscienza. passività dell'uomo
moral. Rosmini
La morale situazionale, rifiutando la legge come ordine assiologico che dipende da
Dio e non dall'uomo, è costretta dalla logica vis a tergo a professare il principio della
creatività della coscienza. Mons. Etch'egaray, presidente della Conferenza episcopale
francese, in un commento alla dichiarazione Personae humanae della Congregazione per
4
la dottrina della fede, condanna la moralità che cerca di nascondersi dietro i principi; è
d'accordo con i giovani che rifiutano la preesistenza di ogni morale; afferma che
l'imperativo morale non è come una parola che cade dall'alto, ma nasce dal rapporto con
l'uomo e lo rende coautore di quella parola.

Il vescovo Etch'egaray condanna quindi coloro che considerano la legge morale prima del
giudizio morale dell'uomo; insinua che dietro i principi si nasconda la morale, quando in
realtà deriva dai principi e li manifesta; e infine afferma che l'uomo è coautore della legge.

4El documento est´a traducido en Giornale del popolo, 28 enero 1976.


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366 28. Moralità della situazione

L'insegnamento del vescovo Etch´egaray è contrario a quello della Gaudium


et Spes 16, richiamato da Giovanni Paolo II: L'uomo scopre in fondo alla vera e
giusta innocenza una legge che non si è data e tende a conformarsi alle norme
oggettive della moralità (OR, 2 aprile 1982).
Il Papa è tornato su questo argomento in un memorabile discorso del 18
agosto 1983, riproponendo luminosamente la dottrina della Chiesa: La coscienza
individuale non è il criterio ultimo della moralità; deve conformarsi alla legge
morale; la legge morale è presente all'uomo nella sua coscienza; la coscienza è il
luogo dove l'uomo legge, ascolta, vede la verità sul bene e sul male; Nella
coscienza morale l'uomo non è solo con se stesso, ma solo con Dio, che gli parla
imperativamente.
È in una situazione di ascolto e accettazione, non di autonomia e tanto meno
di creatività 5 .

Padre Schillebeeckx, esponente delle novità olandesi, scrive a proposito della


moralità situazionale: Oggi dobbiamo sottolineare l'importanza delle norme
oggettive così come la necessità della creatività della coscienza e del senso delle
responsabilità personali
6 .

Si potrebbe osservare che la responsabilità personale è sempre stata al


centro della teologia morale e accusare anche gli aggettivi di essere superflui,
poiché la responsabilità non può che essere un attributo della persona.
Tuttavia, è più importante attaccare il bug nascosto nel file with . il con
7
concetto di creatività della coscienza, l'interminiscienza contraddittoria
è il sentimento dell'alterità e della preminenza assoluta della legge, alla quale
l'uomo non può dare o prendere nulla se non il dono della sua libertà.

Se la coscienza creasse, proprio in quell'atto di creazione sarebbe immorale,


perché la morale è l'armonia della volontà con l'ordine ideale che non è creato né
creabile neppure in Dio. Per questo motivo, se la coscienza fosse creazione
piuttosto che riconoscimento, non avrebbe standard con cui armonizzarsi e
solennizzerebbe la volontà. La morale è il riconoscimento pratico della verità e
una specie di veridicità con cui l'uomo offre se stesso alla verità: lui

5OR, 18 agosto 1983, come in altre occasioni, falsifica nel titolo il contenuto del discorso
papale: La coscienza morale è il luogo del dialogo di Dio con l'uomo. La parola dialogo
non compare nemmeno una volta in tutto il discorso. Il Papa insegna, invece e con forza, che
la coscienza è il luogo dove l'uomo ascolta, accoglie e obbedisce alla voce di Dio: non dialoga,
deve solo ascoltare.
6Edward SCHILLEBEECKX, Dio e l'uomo. Saggi teologici, Ed. ÿÿgueme, La stanza
della Manca 1968, cap. 7, C II, pag. 357.
7AUGUSTO GUZZO (nella sua rivista Filosofía, 1983, pp. 15-18) ha dedicato pagine di
raro acume e profondità al carattere di dono dell'imperativo morale e alla conseguente
obbedienza dell'atto morale.
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28.3. Moralità della situazione come moralità intenzionale. abelardo 367

Lo offre, non glielo dà.


Si dirà che la vita morale è un'attività, anzi l'attività suprema dello spirito. Lo
dico anch'io. Ma non è in alcun modo la creazione di regole, bensì l'applicazione
di una regola che si dà e che l'uomo deve solo ricevere. Uno dei pensatori cattolici
che più altamente ha riconosciuto la posizione dell'uomo di fronte alla legge è
Rosmini: Il principio vincolante investe e vincola totalmente il soggetto umano; Di
conseguenza, se questo soggetto nella sua totalità è affetto e vincolato, non vi è in
esso nulla che non sia passivo: non vi è rimasto in esso alcun principio attivo,
cioè che possa avere virtù di vincolare (...) L'Uomo è meramente passivo nei
confronti della legge morale: è un soggetto a cui la legge è imposta, non un
8
legislatore che la impone lui stesso.In questo modo, la morale .
situazionale
´ è incompatibile con l'etica.
cattolico. Ciò ammette un quid ostruente e limitante che presiede alla con
scienza e davanti al quale essa deve fermarsi, perché è un quid inviolabile. Né si
può parlare di una morale dinamica contrapposta a una morale statica.
Se la legge è contemplata, la morale è immobile. Se la coscienza è contemplata,
è sì dinamica, ma perché agisce in uno sforzo continuo per conformarsi e
sottomettersi all'immobilità della legge.
La passività dell'uomo morale è una conseguenza della sua dipendenza
dall'Assoluto: quanto alla sua essenza (increata), quanto alla sua esistenza (che
gli è data) e quanto alla sua libertà (che consiste, secondo san Tommaso come,
nel muoversi da sé essendo mosso).
Pertanto, tutto il discorso contro la morale situazionale si risolve
nell'affermazione cattolica della dipendenza della creatura.

28.3. Moralità della situazione come moralità di


Intenzione. Abelardo
Trasferendo al soggetto il criterio di giudizio oltre che il potere di giudicare, e
pretendendo di trovare nella stessa situazione la giustificazione del giudizio che si
compie, la moralità situazionale include il soggetto nella situazione stessa e la
annulla. Si sostiene che non si debba esprimere un giudizio astratto sulla decisione
di una persona, ma un giudizio storico, ponendosi nella situazione concreta in cui
si trovava al momento della scelta.
Ma in questo modo la persona che si trova in una situazione si confonde con
la situazione stessa, facendo di tutto un'unità; in realtà la persona affronta la
situazione, ma non si identifica con essa. E quello che si chiama giudizio astratto
è un requisito della legge, che non consente di abbassarlo o annullarlo,

8Principii della scienza morale, cap. V, art. 2, ed. nac., vol. XXI, p. 170.
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368 28. Moralità della situazione

si imponga sovrano: sia fatta giustizia, perisca il mondo: perché non perirà,
ma è edificato.

Per esprimere un giudizio sull'obbligazione, è certamente necessario


comprendere il caso specifico, cioè le circostanze; e tuttavia, come dice la
parola, le circostanze sono intorno al soggetto agente, e non si identificano
con lui: mutate le circostanze, rimane immutabile, sebbene possa cambiare il
giudizio.

Se l'esigenza di mettersi nei panni dell'altro fosse costantemente rispettata,


si potrebbe solo condividere il giudizio dell'agente, poiché il nostro giudizio,
piuttosto che cadere sulla situazione, ne sarebbe il prodotto.

La moralità della situazione è simile alla morale intenzionale, il cui teorico


più famoso continua ad essere Abelardo nel libro Scito teipsum. Secondo lui,
la qualità morale dell'azione deriva dall'intenzione: cioè dal giudizio soggettivo
che ne fa l'agente. Perciò si pecca facendo il bene che si considera male, e si
acquista il merito facendo il male che si considera bene.

L'intenzione stessa di coloro che crocifissero Cristo (porta ad esempio


Abelardo), i quali credevano di fare il bene, rende buono il loro atto; ea parte
la buona o cattiva intenzione, c'è solo la materialità di una situazione, di per sé
indifferente.

Concordo nell'osservare che Abelardo no pudo mantener coerentemente


el soggettivismo, ya que se sal´ÿa manifestatamente del cuadro de la teolog
´ÿa cristiana. In un passaggio notobil´ÿsimo del cap. 12 negando formalmente
se stesso, facendo questo con tutto il suo sistema: Dunque una buona
intenzione non è perché sembri buona, ma inoltre perché è tale come si pensa
9 .
che sia, poiché ciò a cui tende, se crede di piacere Dio, non si sbaglia in alcun modo nella sua s

Il riferimento a una legge oggettiva data all'uomo è da lui semplicemente


recepito e inevitabile in tutta l'etica cristiana, nella quale non è l'uomo, ma
l'idea divina, la misura di tutte le cose.

Come si evince dai citati testi del card. Etch'egaray e p.


Schillebeeckx, la moralità della situazione si limita a introdurre, silenziosamente
e surrettiziamente, il concetto di retta intenzione. In realtà non c'è niente di
diritto o di storto dove la coscienza, solitaria e distaccata da ogni norma, è
indipendente dalla legge.

9L'intenzione, dunque, non è buona perché sembra buona, ma perché è


realmente ciò che sembra: cioè quando non si inganna nella stima che fa di ciò
che tende a piacere a Dio.
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28.4. Se la morale cattolica impedisca il dinamismo della coscienza 369

28.4. Sul fatto che la morale cattolica impedisca di


namismo della coscienza
Né ciò impedisce il dinamismo proprio della vita morale. Resta vero che
suae quisque fortunae faber, ma nell'unico senso corretto. L'uomo è la causa
del suo essere buono o cattivo, ma non nel senso che crea la tavola dei valori
che lo rendono una cosa o un'altra.
Insomma, si può dire che mentre libera dall'osservanza della legalità
(morale evangelica) trapianta nell'uomo la radice stessa della vita morale?

Si può dire, e lo disse Paolo VI (OR, 17 giugno 1971), ma interpretando


correttamente parole che possono facilmente cadere nell'anfibologia. Non è
possibile che le radici della morale umana siano nell'uomo, che non è un
essere radicale e quindi non può essere la radice della morale. La morale è in
realtà un ordine assoluto e tuttavia l'uomo è un'entità contingente e relativa,
davanti alla quale l'assoluto è presente e imposto; ma certamente non ha
radici proprie in sé.
In secondo luogo, non è possibile che la legge morale germogli nella
coscienza, perché la coscienza è l'io e la legge è l'altro. La stessa parola
coscienza annuncia irrefragabilmente che non c'è coscienza se il Sé non si
sente in dualità con l'altro, e se l'uomo non vive solidale con la legge, alla
quale è unito e alla quale deve rispetto.
Si potrebbe parlare (come ha sempre parlato la teologia cattolica) di una
fonte primaria o remota della moralità, che è Dio, e di una fonte secondaria o
vicina, che è la ragione umana in quanto conosce la legge assoluta. Ma allora
l'espressione va intesa come da una radice radicata in un'altra, che insomma
non è più radice.
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370 28. Moralità della situazione


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Cap'itulo 29

Globale e graduale

29.1. La moralità della globalità


Non credo che la teoria della vita morale nel suo insieme e il conseguente
disprezzo per gli atti singolari abbia precedenti nella storia della morale, ed
è la novità più eclatante della scuola innovativa. Si sviluppò in occasione
del problema dei contraccettivi in quegli anni di grande incertezza trascorsi
tra la decisione del Vaticano II di rimettere al Papa la definizione su questo
punto e la promulgazione dell'Humanae Vitae che risolveva la disputa a
favore del tradizionale dottrina. La nuova dottrina sostiene che il senso
morale della vita, e di conseguenza (teologicamente parlando) il destino
eterno dell'uomo, è chiaro dall'insieme dei suoi atti, dalla sua colorazione
generale, dalla sua globalità. Non si nega in linea di principio l'influenza
degli atti singolari sul valore globale (altrimenti dove starebbe la vita
morale?), ma si afferma che il valore di un'esistenza dipende dall'intenzione
generale della volontà e da una scelta fondamentale fatta rivolgendosi a Dio.

Già al Concilio, il patriarca Maximos IV e i cardinali L´eger, Suenens e


Alfrink si erano dichiarati favorevoli a una visione globale della vita dei
coniugi e avevano espressamente detto che si dovrebbe prestare meno
attenzione Sono finalizzati allo scopo procreativo di ciascun coniuge atto
rispetto a quello della vita coniugale nel suo insieme.
La tesi della globalità divenne poi argomento centrale nella relazione
della Pontificia Commissione che proponeva a Paolo VI di definire la liceità
degli atti contraccettivi. L'idea recita così: Ogni atto è ordinato per sua
1
natura alla procreazione, intesa in senso globale. La contraddizione non
può essere nascosta: qui si dice che ogni atto significa la stessa cosa di

1 filmato it Humanae vitae, Brescia 1968, p. 19.

371
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372 29. Globalità e gradualità

qualsiasi atto.
Questa è una domanda difficile, ma si può dire che l'idea della globalità
morale devia dall'insegnamento della Chiesa. Ciò ha sempre mantenuto la
puntualità della vita morale, facendone il tema perpetuo della sua predicazione
al popolo cristiano.
Ho avuto modo di studiare la predicazione dei parroci della Valle di Blenio
(Ticino) verso la metà dell'Ottocento e ho trovato in essi predicata, senza
eccezione e con insistenza, la frase della puntualità: la sorte del cristiano
dipende dal momento della morte. D'altronde né la letteratura né l'oratoria
sacra conoscono eccezioni in questa materia, culminate in Francia con
Bossuet, Bourdaloue e Massillon e in Italia con il capolavoro di Daniello Bartoli
L'uomo al punto.
E l'universalità di questo insegnamento è tanto più notevole quanto più
evidente, razionale e popolare è l'opposta persuasione che la qualità morale di
un'esistenza debba essere dedotta dalla sua totalità. La morale della globalità
si presenta come una derivazione della morale dell'intenzione, mostrando che
l'opzione fondamentale (cioè la buona intenzione che governa tutti gli atti e li
guiderebbe nel loro insieme) rende gli atti singoli di per sé insignificanti: sono
non più misurati singillatim dalla legge, ma beneficiano della bontà generale
dell'intenzione. Per questo la morale della globalità diventa soggettivismo
abelardiano.

29.2. Puntualità della vita morale


Questa è una verità religiosa importante e difficile, paradossale e offensiva
del buon senso. Sembra infatti ingiusto e irrazionale che il valore morale di un
uomo sia giudicato da ciò che egli è al momento preciso del giudizio, e non
dall'intera durata della sua vita. Tuttavia, la religione insegna che il destino
eterno dipende dallo stato morale in cui si trova l'uomo al momento della
morte: non dalla continuità storica, ma dalla puntualità morale in cui l'uomo si
trova. La frase contraria secondo cui la sua sorte dipende dal confronto delle
azioni buone con quelle cattive è attribuita da Segneri ad alcuni rabbini, ed è
comune anche ai musulmani, che hanno il mizan (la bilancia dei meriti)
2 . Ma

la sentenza della Chiesa cattolica, insegnata nei catechismi, predicata in tutti i


pulpiti e stabilita nel decreto dogmatico del II Concilio di Lione (DENZINGER,
464), difende la puntualità della vita morale. Rosmini (Epist., vol. IV, p. 214)
spiega acutamente una così difficile verità: Non è conveniente considerare il
bene e il male morali dell'uomo come due quantità
2Enciclopedia Italiana, voce Islamismo.
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29.3. Critica della globalità 373

che esistono simultaneamente, aumentano o diminuiscono, scontandosi a


vicenda; né credere che la dannazione avvenga quando la quantità del male
raggiunge un termine stabilito da Dio secondo la sua discrezione e le leggi
della sua giustizia. L'uomo è buono o cattivo nella sua totalità. Nell'uomo
buono non può esserci il male, ÿÿquia nihil est damnationis in eis qui vere consepulti sunt cum Christoÿ
Rom. 8, 1). Nell'uomo cattivo non può esserci un vero bene, perché ÿÿquae
societas Christi ad Belial?ÿÿ (cfr II Cor. 6, 15) È vero che nel buono ci sono
peccati veniali, ma questi non li fanno Cattivo.
Non ignoro le difficoltà sollevate dal buon senso o simili
Nascono dagli stessi testi biblici e dalla tradizione dell'arte figurativa per 3 ,
rappresentare il giudizio delle anime come una psicostasi.
Tuttavia, la puntualità della vita morale si fonda su una rigorosa verità di
religione. La morale non è un rapporto dell'uomo con le cose, con i fini del
mondo (come si dice oggi), o con il futuro del genere umano, ma dell'uomo
con il suo fine ultimo o, come si può affermare equivalentemente, con la legge .
Orbene, il dono dell'uomo davanti alla legge è dovuto ed esigibile in ogni
istante di tempo indipendentemente da tutti gli altri. In ogni istante della vita
mancano gli istanti già consumati e quelli futuri, ma non manca mai quel
rapporto con il fine ultimo che esige per sé tutto l'uomo e non lascia alcuna
parte che possa essere data al finito. Dio. Qui sta la base della serietà della
vita. Come è stato predicato lungo i secoli cristiani, non può esserci nemmeno
un istante per il peccato.

Ogni momento va salvato (facendo buon uso del tempo) (Ef 5, 16), cioè
posto in quel rapporto con il trascendente al di fuori del quale c'è solo il non
essere metafisico o morale.

29.3. Critica della globalità


Per giudicare la moralità dell'insieme conviene tener fermo il principio
metodico cui si allude al §16.3: quando una verità è ben consolidata, è più

3Il buon senso non ammette che un uomo sia condannato a una sola caduta solo
perché la morte gli viene incontro in quel momento. E se il destino morale è puntuale,
come si dovrebbe intendere che l'uomo è responsabile di tutte le sue azioni? Sembra
che dovrei rispondere solo per l'ultimo. E come sarà compreso il biblico?... Hai
riempito il numero delle tue iniquità e il Tequel di Dan. 5, 27: sei stato pesato
sulla bilancia e sei stato trovato dimagrito?. Il motivo della bilancia è comune
nelle arti figurative, che non concepiscono il giudizio come puntualità ma come
somma netta. A favore della puntualità, invece, è la giustizia umana, i cui verdetti si
basano sul principio della puntualità: per l'atto di un solo istante, l'assassino è privato
della libertà e talvolta della vita.
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374 29. Globalità e gradualità

più forte di tutte le obiezioni possibili su punti particolari.

Il carattere assoluto dell'obbligazione morale (imposta in ogni istante del


tempo) fa sì che ogni momento sia dovuto al dono dell'assoluto, senza che il
suo significato possa subire alterazioni dovute agli altri momenti.
Tuttavia, oltre a scontrarsi con una verità consolidata, la morale della globalità
soffre e soccombe ad altre difficoltà. Se la globalità si deduce dalla somma
degli atti buoni e cattivi, come si fa a sapere se un atto è buono o cattivo, se il
suo valore deriva dalla sua globalità e questo a sua volta dal valore dell'atto?
L'atto singolare non deve avere precedentemente un valore per poter entrare
con esso nella somma? Ma il sistema della globalità soccombe a un'altra
difficoltà più grave e invincibile.

Si sostiene che la moralità dell'uomo dipenda dall'insieme delle sue azioni.


Ora, come conoscere questo insieme se include il futuro, di per sé
inconoscibile? Come posso hic et nunc deviare dalla legge con l'atto presente
appoggiandomi alla globalità, se non conosco il futuro che potrò integrare
nella mia globalità?

Potrò giudicare una vita nel suo insieme quando è considerata nella
totalità dei suoi atti compiuti, ma non potrò mai regolarmi nelle mie scelte su
una totalità che comprende altri atti futuri incerti o inconoscibili.

La globalità non può fornire un criterio con cui orientarmi nella scelta
presente, perché la scelta presente implicherebbe né più né meno la
conoscenza del proprio futuro. Considera cosa diventerebbe la fedeltà
coniugale se un momento di infedeltà potesse essere compensato da un
momento incerto di fedeltà futura; o cosa diventerebbe l'onestà commerciale
se la frode di oggi potesse essere compensata con la giustizia di un domani
incerto. Senza contare che l'attuale intenzione di fare il male è incompatibile
con l'intenzione di pentirsi e riparare.

La morale della globalità distrugge l'ordine della morale consistente in un


rapporto con l'assoluto proprio di ogni momento del tempo; ma nello stesso
tempo distrugge l'ordine stesso del tempo. Anzi, contraddittoriamente
suppone che il tempo sia e non sia la somma dei momenti: lo è in quanto il
tutto è integrato da essi e consiste appunto nel loro insieme; ma non può
esserlo, perché per ottenere la somma è necessario l'ultimo addendo, ancora
ignoto perché ignoto il futuro. Come si può fare una somma senza saldare il
conto?
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29.4. La moralità del gradualismo 375

29.4. La moralità del gradualismo


La morale della gradualità è affine alla morale della situazione e della
globalità, perché sintetizza l'errore di entrambe. Il sistema della situazione
annulla lo stato di diritto e quello della globalità annulla il valore degli atti singolari.
Il sistema della gradualità, proposto nel Sinodo dei Vescovi del 1980, sostiene
che l'esigenza del comandamento morale si impone gradualmente; confonde
la gradualità della risposta concreta dell'uomo con la gradualità del
comandamento stesso. Per il suo carattere assoluto, esige una riverenza totale,
anche se la volontà che vi risponde è malata e spesso tende alla fine senza
sapersi tenere ferma fino al suo raggiungimento.
La gradualità del comandamento attacca l'ordine ideale immobile; il grado
di risposta ha´ un carattere psicologico e riflette la versatilità della volontà.
Questo è stato sempre riconosciuto nell'etica e nell'ascetica della Chiesa.
Il girovagare della deviazione dottrinale fino al raggiungimento della
gerarchia ha portato Giovanni Paolo II a un netto reindirizzamento: la gradualità
è un dato di fatto, non una norma con cui guidare la coscienza: non si può
accettare un processo di gradualità più che nel caso di chi osserva il legge
divina con spirito sincero. Pertanto, la cosiddetta legge della gradualità non
può essere identificata con la gradualità della legge, come se vi fossero gradi
e forme diverse del precetto della legge divina per uomini e situazioni diverse
(OR, 27-28 ottobre 1980). Come manifesta la condanna del Papa, la teoria della
gradualità introduce la progressività nella legge divina, che esiste solo nello
sviluppo morale dell'uomo.
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376 29. Globalità e gradualità


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Cap'itulo 30
L'autonomia dei valori

30.1. Teleologia antropocentrica della gioia


e Spes, 12 e 24
Tutte queste deviazioni dalla morale rispondono all'esigenza antropocentrica
del mondo moderno, che sostituisce l'idea divina che regola il mondo.
dall'idea dell'uomo che si autoregola. La tendenza antropocentrica dà origine
alla tecnologia e ritiene che l'uomo sia lo scopo del mondo e del
Il dovere della razza umana consiste nel padroneggiare la realtà mondana. Questo
la teleologia trova accoglimento in alcuni passaggi del Vaticano II. La
costituzione pastorale Gaudium et spes 12 si esprime in questi termini: Secundum
Credenti e non credenti sono quasi unanimi nel ritenere che tutto ciò che è
nel mondo debba essere rivolto all'uomo come suo centro e vertice.
1
. Y m´as teol´ogicamente, afferma en 24 che el hombre è l'unica creatura
2
sulla terra che Dio ha voluto per se stesso. Il risultato è un franco demasiado
affermare che credenti e non credenti concordano nel ritenere che il mondo
debba essere ordinato all'uomo, poiché le filosofie pessimistiche (da Lucrezio a
Schopenhauer) hanno negato questo finalismo antropocentrico, e in gran parte
della scienza moderna rifiuta ogni teleologia. E pur ristretto al mondo
terrestre, anche il finalismo antropocentrico è stato attaccato da tutti
filosofie meccanicistiche. Memorabile è il passo di Lucrezio (De rer. nat. V,
195-234) dipingendo l'uomo come un essere infelice espulso con spasmi

1Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo su questo punto: tutti i beni
della terra deve essere ordinato secondo l'uomo, centro e sommo di tutti loro
2
... è l'unica creatura terrestre che Dio ha amato per se stessa. La traduzione
l'italiano abituale si traduce erroneamente da solo, cambiando il significato e cancellando il
variazione della dottrina. Giovanni Paolo II ha citato il testo latino in un discorso sull'amore
coniugale (OR, 17 gennaio 1980).

377
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378 30. L'autonomia dei valori

della madre sulla spiaggia della luce, come un naufrago indigus omni/vitali
aiuto, costretto a vivere tra un sudario di fuoco e un sudario di ghiaccio sulla
faccia della terra, che lo ignora completamente.

30.2. Critica dalla teleologia antropocentrica.


Prov. 16,4
Ma se il concetto antropocentrico può in qualche modo essere tollerato
nell'antichità, quando l'universo era considerato come qualcosa di finito e
chiuso in sfere numerate, è oggi insostenibile quando sappiamo che l'universo
è infinito in tutti i sensi e eccede illimitatamente nello spazio e nel tempo fino
al Lucreziano homullus infinitesimale. La scienza moderna, che rompe la
moenia mundi lucreziana e dilata all'infinito i limiti del creato, rende ancora
più fragile la visione antropocentrica adottata dal Concilio, secondo la quale
l'universo è fatto per l'uomo. Non può essere così, perché l'universo supera
infinitamente l'uomo.
Se si studia la ragione dell'eccedenza infinita del mondo e del resto
dell'Universo sulla nostra breve entità, si può certamente dire che questa
immensità dell'universo è stata data all'uomo perché vi rifletta e ne riconosca
la relativa infinità (è l'argomento pascaliano del roseau pensant).
Non si deve negare, però, che è proprio in quanto conoscibile e non
conosciuto che il mondo supera la piccola entità dell'uomo, sia
macroscopicamente che microscopicamente. Deve quindi essere chiaro che
questa grandezza dell'universo rispetto all'uomo avviene proprio per
manifestare l'infinità di Dio, e non l'infinità insussistente dell'uomo. Ma a parte
questo argomento cosmologico, la centralità finalistica dell'uomo nella
creazione è esclusa dalla teologia. L'affermazione dell'uomo come unica
creatura voluta da Dio per sé sembra smentire il solenne passo di Proverbi
16,4: Universa propter semetipsum operatus est 3 Dominus
.
È impossibile che la volontà divina abbia per oggetto altro che la propria
bontà, poiché la bontà finita sussiste solo grazie alla Bontà infinita, e neppure
l'infinito può uscire da sé alienandosi o appetendo il finito. In realtà, come
insegna san Tommaso, Dio vuole le cose finite nella misura in cui si vuole loro
creatore: Sic igitur Deus vult se et alia sed se ut finem, alta ad finem (Summa
theol. 1, Q. 19, a .2). Di conseguenza vuole le cose finite da sé, non da sé: il
finito non può essere il fine dell'infinito, né la volontà divina può essere il fine
dell'infinito.

3Yahweh ha fatto ogni cosa per la sua fine


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30.3. L'autonomia dei valori mondani 379

attratto dal finito e passivo rispetto ad esso. Le cose sono create da Dio
perché sono belle, ma sono belle perché sono amate da Dio con la sua bontà
(Summa theol I, q. 20, a. 2). Come Dio conosce le cose al di fuori
´ di sé
conoscendo se stesso, così vuole altre cose desiderando se stesso.

Pertanto, la centralità finalistica dell'uomo è adeguata allo spirito


dell'umanità contemporanea, ma non ha fondamento nella religione (ordinata
totalmente a Dio e non all'uomo). L'uomo non è fine a se stesso, ma fine
secondario e ad-allius, al di sotto della signoria di Dio, fine universale della
Creazione.

30.3. L'autonomia dei valori mondani


La negazione della finalità teocentrica di tutte le creature conduce
all'autonomia dei valori mondani, ed elide la sovranità teleologica e protologica
dell'essere divino, che restringe ogni autonomia.
Esclude anche il fine soprannaturale, che secondo la fede è l'uomo Dio: o
considerando Cristo (come fanno i tomisti) come termine di predestinazione
dopo che il peccato era stato previsto, o considerandolo (come gli scotisti)
fine assoluto della creazione a priori del peccato.
Ninguna criatura es por s´ÿ misma: ni ontol´ogicamente, pues solamente
Dios es ens per se, ni teleol´ogicamente, al tener todos los entes finitos por
fin ´ultimo a Dios. Sin embargo el decreto conciliar Apostolicam actuositatem
7, ense˜na que las cosas del mundo non sono solo aiuti al fine ultimo
dell'uomo, ma hanno anche i propri valori instillati in loro da Dio, o considerati
4
in se stessi, o come parti di tutto l'ordine temporale. Il suo valore non riceve
una dignità particolare dal suo rapporto con il fine, che è la gloria di Dio, ma
come dice il Concilio da un rapporto speciale con la persona umana.
5 al cui servizio furono creati Verdaderamente todo se reasume en Cristo,
que prevalace en todo (Col. 1, 18); tuttavia non priva l'ordine temporale della
6 .
sua autonomia... anzi lo completa
Ora, né l'uomo né il mondo possono essere il fine dell'uomo, perché né
l'uno né l'altro era il fine che aveva Dio quando li creò: Dio aveva se stesso
come suo fine. La teologia e il senso religioso hanno sempre pensato ai valori
7 alla virtù.
temporali come soggetti che servono strumentalmente
4
... non sono solo sussidi per il fine ultimo dell'uomo, ma hanno un valore proprio, che
Dio gli ha dato, considerato in se stesso, o come parte dell'ordine temporale... del suo
5
rapporto con la persona umana, per la cui servizio sono stati creati
6
.. non priva l'ordine temporale della sua autonomia (...) ma anzi lo perfeziona
7
ÿÿCooperativeÿÿ e ÿÿorganiceÿÿ sono i termini usati da Santo Tom´as nel commento
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380 30. L'autonomia dei valori

Il suo significato deriva dal fine ultimo per cui tutto è stato fatto, non da
loro stessi. Pertanto, come proclamava Paolo VI (OR, 6 marzo
1969), in questa materia il Concilio ha precisato, approfondito e allungato
considerevolmente questa visione (del mondo). Ciò richiede che anche noi
modifichiamo abbastanza il nostro giudizio e il nostro atteggiamento verso il
mondo. Giovanni Paolo II, invece, nel suo discorso davanti all'Unesco nel 1980
dichiara: Bisogna affermare l'uomo per se stesso e non per nessun altro motivo
o ragione: solo per se stesso. Inoltre, è necessario amare l'uomo
perché è un uomo, è necessario rivendicare l'amore per l'uomo in ragione di
la particolare dignità che possiede (RI, 1980, p. 566).
Le parole del Pontefice risentono certamente delle considerazioni
che gli sono stati imposti rivolgendosi ad un'assemblea puramente ispiratrice
umanista e irreligioso, y quiz´a tambi´en se compone del paulino factus om nia
omnibus Devono essere soppesati rispetto all'affermazione espressa
L'enciclica Redentore dell'uomo: Cristo è il centro dell'universo e della storia.
Ma questo punto spinoso richiede un approfondimento.

30.4. L'autentico senso di autonomia


naturale
Il senso autentico dell'autonomia naturale. gentilezza e mancanza
di gentilezza dell'uomo
La questione dell'autonomia dell'ordine creato è più metafisica che religiosa.
Ogni entità finita è essenzialmente dipendente: né autonoma né indipendente.
D'altra parte, la sua esistenza è propriamente propria (inconfondibile con
quella del Creatore che gliela dona), e la sua azione è propriamente sua
(inconfondibile con quella di Dio, che gli dà la capacità di agire).
Quindi l'azione termica del sole è veramente azione termica
del sole e non l'azione di Dio che si scalda al sole, come certo
fil´osofos ´arabes.
Il libero atto della volontà è veramente un atto della libera volontà,
e non un atto divino. Ogni cosa creata ha un proprio essere,
un'azione veramente sua, e leggi veramente sue: non è a
fenomeno di una singola entità o azione di un singolo agente (il divino). Ma
nonostante ciò, nessuna esistenza è propriamente autonoma, dipendente da
tutti loro in qualsiasi momento dell'influenza divina; e nessun atto libero lo è
propriamente autonomo, poiché secondo la formula di S. Tommaso è mosso
da Dio di muoversi da solo.
´
all'Etica al Nicomacheo, lib. io, lecc. XV.
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30.4. Il senso autentico dell'autonomia naturale 381

Sin embargo, toda esta realidad y toda esta acci´on de las criaturas est´an
en un orden radically depende. Resultan en esto chocantes, y no ´olo desde
un punto de vista teol´ogico, las´elebres palabras de II Cor. 3, 5: non che siamo
sufficienti per pensare qualcosa da noi stessi, come da noi stessi, ma
8 nostra ex Deo sufficienza. L'autonomia dei valori umani è un'autonomia
è interno all'ordine creato, ma l'ordine creato è dipendente e impedisce ogni
indipendenza primaria, originaria e assoluta di quei valori.
Dall'autonomia dell'ordine creato si arriva direttamente all'idea dell'uomo
degno di amore in se stesso. L'affermazione mal si accorda con la dottrina
cattolica, che insegna come l'amore del prossimo abbia nell'amore di Dio il
suo motivo autentico.
Tutte le formule per gli atti di carità utilizzate dal popolo cristiano fino al
Concilio Vaticano II presuppongono che Dio deve essere amato per se stesso
e al massimo grado, e il prossimo per amore di Dio. Questa motivazione
dell'amore per il prossimo non compare, però, nei documenti conciliari. Il9
precetto di amare l'uomo era connesso nella dottrina della Chiesa con il
precetto di amare Dio, ma è secondario rispetto ad esso ed è chiamato ad
esso simile (Mt 22, 39). L'amore di Dio è assolutamente primordiale, e prescrive
la forma dell'amore del prossimo. Dunque, quella forma di pura filantropia
anteposta alla filantropia per amore di Dio, presumibilmente viziata da una
vena utilitaristica, non è possibile.
Ma perché si dice che il precetto dell'amore per il prossimo è simile a quello del
Amore di Dio? Per due motivi.
Primo, perché a causa della somiglianza dell'uomo con Dio, amando
l'uomo ama Dio nell'uomo.
Secondo, perché quando ami il tuo prossimo, amato da Dio, ami quella
volontà divina che ti ama: cioè ami Dio.
Nella dottrina cattolica è impossibile trovare nell'uomo una bontà che non
sia influsso e riflesso dell'amore di Dio per la sua creatura. È impossibile
amare l'uomo per se stesso, senza l'amore per Dio. Le qualità che si trovano
in una persona possono influenzare secondariamente (sebbene in modo
importante) l'amore che le è dovuto, e per questo una madre è amata più di un
estraneo; ma non sono la ragione dell'amore che gli è dovuto secondo il nuovo
precetto del Vangelo. L'uomo deve essere amato dall'uomo perché è amato da
Dio, il che implica che è Dio che lo rende amabile.

D'altra parte, come potrebbe un'entità inesistente essere amata da se stessa?

8Non perché da noi stessi siamo in grado di pensare qualcosa come nostro, ma perché
la nostra capacità viene da Dio
9 Tuttavia, Paolo VI lo menziona nel discorso di apertura e nel discorso di chiusura del IV
periodo. Ma in loro l'amore del prossimo è posto come condizione dell'amore di Dio.
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30. L'autonomia dei valori


382

si? Le molteplici ragioni su cui si fonda il precetto dell'amore per il prossimo,


così diversamente elaborato dai Padri, si risolvono in una ragione assoluta:
l'amore di Dio.
Amando Dio,´ che nulla odia di ciò che fa, si ama tutto ciò che è amato da
Lui. Così la filantropia è un'estensione della philotea ei due amori si S

confondono; non nel senso di una confusione panteistica, ma perché l'amore


dell'uomo è contenuto nell'amore di Dio, perché l'uomo è cosa di Dio (sia a
titolo di creazione che a titolo di redenzione). San Tommaso insegna
esplicitamente che l'amore con cui amiamo Dio e il prossimo è identico: Eadem
caritas est qua diligimus Deum et proximos 10 (Summa theol. II, II, q. 103, a. 3 ad
secundum) .
L'insistenza della teologia postconciliare sulla bontà e dignità dell'uomo,
oltre ad offendere il senso che gli uomini hanno della miseria propria di una
creatura ferita e decaduta, priva la filantropia del suo vero fondamento: il
destino. origine divina dell'assiologia umana in tutta la sua portata. E, come
dimostrano i fatti, separare la dignità dell'uomo dal suo fondamento religioso
indebolisce la pretesa a quella stessa dignità, trasformandola in una verità
isolata e priva di sostegno.

30.5. Dove un'obiezione è risolta


La concezione tolemaica che pone l'uomo come fine dell'uomo e come fine
a se stesso sembra essere sostenuta dall'idea primaria della religione cristiana,
secondo la quale Dio propter nos homines et propter nostram salutem
descendit de caelis et incarnatus est. Così il divino è messo in moto dall'umano.
Come, allora, l'uomo non sarà mobilitato dall'umano?
Le due opposte opinioni circa lo scopo dell'Incarnazione sono ben note.
Secondo san Tommaso, il Verbo si è incarnato per riscattare il genere umano
dopo il peccato: dunque, se Adamo non avesse peccato, il Verbo non si
sarebbe fatto uomo.
Per Duns Scoto, invece, l'Incarnazione realizza il disegno di Dio di
comunicare in tutta l'ampiezza della sua comunicabilità: dunque, anche se
Adamo non avesse peccato, il Verbo si sarebbe comunque fatto uomo per
comunicare all'uomo in tutta la sua comunicabilità (quella per cui si dice che
lo stesso soggetto è sia uomo che Dio). Di conseguenza, sembra che nella
dottrina di S. Tommaso il fine di Dio fosse inteso dall'uomo come un fine in
sé, al quale Dio si sottomette liberamente.
10Questo pensiero è comune negli asceti. Ad esempio, ROSMINI, Epistolario ascetico, vol.
III, pag. 178 (Roma 1912): È in questi esercizi di carità verso il prossimo che la carità verso
Dio si esercita e si manifesta nel modo più sicuro.
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30.5. Dove un'obiezione è risolta 383

facendosi servo per salvarlo. Se Dio si fa uomo per l'uomo, non è vero?
può l'uomo prendere l'uomo come fine e amarlo per se stesso?
Eppure l'antropocentrismo è incompatibile con il sistema cattolico,
per il quale esiste un solo centro della realtà universale: Dio contemplato
nella sua trascendenza.
Si può certamente dire che l'uomo è la sintesi di tutte le creature e
come tale ha il primato nell'ordine creato e ne appare al centro. Ulteriore
tuttavia, si può dire che Cristo è la sintesi di tutti gli esseri, compresi
11
essere .
infinito.Ma la verità preminente che preclude ogni antropocentrismo è questa
il primo fine di Cristo nella sua passione non è stato quello di salvare gli uomini (cioè
fine secondario), ma per soddisfare la giustizia divina per il delitto commesso
dall'uomo e restituire così l'onore divino. Solo grazie al titolo
vinto davanti al Padre con detta soddisfazione, Cristo diventa Signore
del
´ genere umano e si serve di tale dominio per salvarlo. Ma in tutto questo
Amava la volontà del Padre ancor più dei suoi fratelli.La mia 12 mesi . Di
posizione subordinata dell'amore dell'uomo nel processo dell'Incarnazione è
evidente in tutta la liturgia: "non è affatto antropocentrica, ma piuttosto
Cristocentrico,
´ e non ha Cristo come fine ultimo, ma il Padre (poiché lo è
a Lui, e non al Figlio, al quale viene offerto il sacrificio).
In conclusione, la filantropia puramente umanistica non è compatibile con
la religione. L'uomo non è una creatura voluta da Dio per sé, ma
si.

11Por lo cual dice San BUENAVENTURA: Presumo natura umana more fecti ad
la perfezione dell'universo che quella degli angeli, nel 3° Inviato. distanza 11, artt. 1, q. 2.
12Es la doctrina de ROSMIMI, Filosofia del diritto, Trattato della societ´a teocratica §620
e segg., pag. 884 del vol. XXXVIII dell'ed. nac. Questa dottrina confuta anche le aporie
inerente alla questione del numero degli eletti, un tempo molto dibattuta: la fine
della Redenzione si raggiunge qualunque sia il numero di coloro che si salvano, avendo
stato riparato da Cristo, per qualsiasi numero, l'offesa fatta al Padre.
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384 30. L'autonomia dei valori


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Cap'itulo 31

Lavoro, tecnica e
contemplazione

31.1. Antropocentrismo e tecnica. Il lavoro come


dominio della terra e come punizione

La tecnica moderna è specificamente diversa dalla tecnica del mondo


greco-romano, essendo costituita essenzialmente dalla conoscenza esatta e
dalla macchina, che gli inventori alessandrini della meccanica non vollero
applicare alla produzione di beni economici (destinati allora interamente al
lavoro umile) .
L'idea di produzione è stata legata per millenni a quelle di fatica (intendendo
equivalentemente fatica e lavoro) e stenti (il biblico sudore della fronte). La
separazione delle due idee, con la tendenza all'eliminazione della fatica, è
l'ideale perseguito dall'attuale progresso civile. La teologia moderna ha
illuminato più di ogni teologia antica il problema del lavoro, imposto dall'enorme
esaltazione della macchina, praticamente sconosciuta al mondo antico.

La macchina (intesa in primo luogo come ausilio dell'industria umana)


riduce progressivamente la fatica umana e tende ad annullarla.
L'aiuto che fornisce all'uomo moderno non è solo un plus di forza aggiunto a
quello dell'uomo, ma anche una forza che lo sostituisce.
Nel concetto cattolico di lavoro, estratto dalla protostoria della Genesi,
sono contenute due idee: il dominio sulla natura e la fatica, la pena inflitta al
peccato e la medicina per il peccato. La prima di queste due idee è stata molto
sviluppata dalla teologia postconciliare, il fare

385
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386 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

della vocazione a dominare la terra dovere primario del genere umano e


una forma dell'obbedienza religiosa dovuta a Dio: riempire la terra e sottometterla
lei (Gen. 1, 28).
Viene l'esaltazione del carattere religioso di detto dominio della terra
fino a considerarlo come un dovere e come collaborazione e miglioramento
1 . Questo
dell'opera creativa di Dio (se non una sua correzione)
il dominio al quale l'uomo era chiamato prima del peccato non fu abrogato
dopo il peccato, ma ha acquisito un carattere di pena. persiste per
di conseguenza lo scopo trasformatore della natura promulgato nel
istituzione primitiva, ma non c'è spazio per l'esaltazione del lavoro
prodotto dalla società contemporanea.
Questa glorificazione è davvero contraddittoria: mentre le nuove o
rinnovate Costituzioni degli Stati fondano il consorzio civile sul
lavorare 2 , tutto il lavoro sociale dello Stato tende alla sua riduzione3 , vale a dire,
per limitare la propria fondazione.

31.2. La tecnica moderna. La manipolazione


genetica
La t´ecnica como dominio y transformazi´on de la naturaleza est´a uni
versalmente riconosciuta come el principio informante de la civilizaci´on con
tempor´anea. Sei l'estensione baconiana dei limiti del dominio umano a tutti
possibile.4 Quando la tecnica è nata dalla magia rompendone lo spesso guscio,
Bacone e Campanella si aspettavano la produzione artificiale della pioggia,
macchine volanti ad instar avium, l'inversione del sesso, la creazione del nuovo
specie
´ vegetali e sostanze sintetiche che eliminano la fame e la sete.
Solo loro non hanno rischiato la fabbricazione dell'uomo per mezzo di
meccanica, avendo ben compreso che se la macchina avesse coscienza, si
vedrebbe come macchina, e non come uomo.
Como se˜nala el Vaticano II en Gaudium et Spes 5, la tecnica moderna
sta trasformando la faccia della terra e facendo avverare le previsioni

1Il concetto è nuovo e non si trova, ad esempio, nel Codice sociale elaborato
dall'Unione Internazionale di Studi Sociali (Rovigo 1927).
2 Ad esempio, la Costituzione della Repubblica Italiana, all'art. 1: L'Italia è una Repubblica
ca fondata sul lavoro.
3LECH WALESA, allora capo dei sindacati indipendenti polacchi, in un'intervista televisiva
dell'aprile 1981 alla TV italiana, dichiarò espressamente :
lavoratore, vorrebbe lavorare il meno possibile.
4 Allargare i limiti del dominio dell'uomo dilatandolo il più possibile (Nova At
lantis, en Opera latina redditata, Londra 1638, t. 1, pag. 375).
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31.2. La tecnica moderna. manipolazione genetica 387

Rinascimento intellettuale o fantastico. Anche la produzione di pioggia


artificiale è attestata oggi dalla convenzione del 18 maggio 1977 tra USA e
URSS per la rinuncia alla guerra meteorologica (praticata durante la guerra
del Vietnam, rendendo impraticabile la pista. Ho Chi Minh)
5 .

Grazie all'aumento illimitato della potenza atomica, l'ipotesi dei terremoti


artificiali e della colonizzazione della Luna (già formulata da Keplero) è
plausibile. Così come l'entità dell'effetto è funzione unicamente della
progressione dei mezzi, è ipotesi plausibile anche quella di declinare o
inclinare l'asse terrestre con carichi poderosi, modificando così i climi e
verificando l'ipotesi immaginata da Dante nel Par. . X, 19-21: E se si
allontanasse più o meno dalla perpendicolare, / molto mancherebbe sopra e
sotto / all'ordine dell'universo.
Si superano così le meraviglie sognate dal Rinascimento, che nei loro
scritti di dignitate et potentia hominis vedevano nel lampo bluastro del fucile
l'imitazione del fulmine e nei milagroidi di questa giovane tecnica la prova
della grandezza dell'uomo: Oh , come vengono violate le leggi! Che un
semplice verme sia / re, epilogo, armonia, / fine di tutte le cose! .6
Ma il senso dell'esaltazione della tecnologia diventa tanto più chiaro
quanto più elevata è la natura che si trasforma. Questo si vede oggi nei
tentativi di manipolare la genetica umana, nell'inseminazione artificiale, nel
concepimento in vitro, nei metodi contraccettivi, nella produzione proiettata
di tipi umani superiori (l'alfa plus di Huxley).

In generale, alla tecnologia è affidata la missione di condurre gli uomini


alla razionalità e con essa alla felicità, missione che i potenti movimenti
ispirati al marxismo si attribuivano guardando ad un ecumen terreno. La
razionalità che li informa non è religiosa o teotropica, ma scientifica e
antropotropica di assoluta cittadinanza o Diesseit igkeit.

Lo si vede, ad esempio, nell'opera del famoso convertito Alexis Carrel, il


quale propugna uno sforzo di concentrazione scientifica che, a partire dai
bambini normali, permetta di formare grandi uomini (così come per mezzo di
un istintivo le api tecniche formano la regina da operaie supernutrite). Ma la
debole fantasia scientifica dell'uomo moderno è molto indietro rispetto allo
slancio poetico della Cantica di Campanelli sulla potenza dell'uomo.

5Scienza e vita, n. 719, agosto 1977, articolo di O. DISCH.


6CAMPANELLA, Poesie, Bari 1915, De la possanza de l’uomo, p. 172.
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388 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

31.3. L'arrivo dell'uomo sulla Luna


L'arrivo dell'uomo sulla Luna. Falsa interpretazione
religioso
L'esaltazione della tecnica raggiunse il suo apice con l'arrivo sulla Luna del
Astronauti americani il 20 luglio 1969. Certamente l'evento
era memorabile, ma non poteva essere considerato un fatto significativo
la religione. Che sia stata un'impresa del tutto profana risulta subito dal suo
confronto con le grandi scoperte del passato. Colon
salpò per il Nuovo Mondo con il Santa Maria, e le città fondate dal
i conquistatori si chiamavano Asunci´on, Santa Cruz, San Pablo, San Salvador:
la compagnia era cristoforica.
Nel 1969 furono dedicate le navi e i razzi che volavano nello spazio
Divinità gentili (Apollo, Venere o Saturno), decollarono senza previa
benedizione, e lasciarono la bandiera degli Stati Uniti e una targa sulla luna.
con contenuti profani 7 .
Nonostante la natura profana dell'azienda, nel messaggio con cui
rindi´o onora a los astronautas Pablo VI cita el Salmo 18 Celi narrante
gloriam Dei e attribuisce all'atto un significato religioso, sostenendo che Dio
che ha mostrato tanto coraggio agli uomini. Ma ese Salmo dice que las cosas
della natura cantare la gloria di Dio indipendentemente dall'uomo.
Inoltre, per essere religiosi, deve essere esercitato il potere ricevuto da Dio
essere coscientemente riconosciuto come proveniente da Dio, mentre in questo
caso solo l'uomo è riconosciuto.
Nonostante il carattere manifestamente profano della conquista della Luna,
l'OR del 24 luglio, in un articolo del suo vicedirettore, gli ha attribuito
8
forzatamente un significato religioso, proclamando che la dimostrazione delle
capacità scientifiche e tecniche dell'uomo è stata anche un grande evento
religioso, per non dire cristiano.
Poi, rendendosi conto di aver oltrepassato i limiti della plausibilità,
concluse: Sebbene i primi esploratori lunari non abbiano materialmente
inchiodato la Croce al suolo della nuova conquista, spiritualmente l'hanno fatto.
fatto. In questo caso, una distinzione fallace, perché la religiosità richiede
un'espressione in segni sensibili (e la croce è il protosegno nel cristianesimo), o di
altrimenti diventa mere parole per mezzo delle quali si può

7 Qui gli uomini della Terra hanno messo piede per la prima volta. Luglio 1969, dC Abbiamo
vieni in pace nel nome di tutti gli uomini. L'unica caratteristica della religione è nelle iniziali
della data.
8Anche Guido ACETI, teologo dell'Università Cattolica di Milano, intervistato in
Europeo del 27 luglio, ha risposto a coloro che si opponevano alla religiosità di Colombo rispetto
con quella attuale che la presenza dell'uomo nell'universo è la presenza di Cristo.
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31.4. Nuovo concetto del lavoro. La Enciclica che esercita lavoro 389

sostituire qualsiasi cosa per qualsiasi cosa. I maomettani potrebbero farlo


ragione per ritenere che gli astronauti abbiano piantato il Crescent.
Ancora più euforico è lo scritto di padre Gino Concetti in OR del 25
Luglio, dove si legge: Mai come in questa meravigliosa compagnia ha risplendeto
sia in tutta la sua grandezza l'immagine divina scolpita dal Creatore sul
Natura umana.
Oppure queste affermazioni di un circiterismo poetico sono lontane dall'esattezza?
teologico, o costituire una deviazione dal pensiero cattolico. Secondo
religione di Cristo, da un punto di vista naturale l'eccellenza dell'immagine
il divino risplende nell'uomo nella virtù morale; e da un punto di vista
soprannaturale, nella santità. Solo che questo è di per sé un bene
e per il prossimo.
L'apice della perfezione non è nella conquista dell'universo, né nel
L'affermazione di Baconian ad ogni cosa possibile, ni en ninguna cosa vers´atil al bien
e al male, come la tecnica, ma solo nell'eroismo morale in cui
l'immagine divina (di cui ad instar si fa uomo) celebra le operazioni deiformi e
triniformi. Quella prova dell'immagine divina che è il padre
Concetti riconosce nella grandezza della tecnica la teologia cattolica
riconosciuto solo nell'umanità dell'uomo-Dio (in cui la tecnica
non ha avuto parte), e in secondo luogo nell'eroismo della virtù. NO
è che le opere tecniche non hanno valore e non vanno celebrate allo stesso modo
dell'operazione di qualsiasi uomo diretta verso il suo fine ultimo, ma piuttosto
Sono valori che dovrebbero essere ritenuti i più alti.

31.4. Nuovo concetto del lavoro. La enc'icli


ca Esercizio del lavoro
La dottrina del lavoro ha subito nel pensiero postconciliare variazioni
9 .
importanti, che si
manifestano su tre punti e si riferiscono tutti alla
tendenza antropocentrica e soggettivista.
In primo luogo, il lavoro, che era considerato una virtù speciale, chiamato
solitudine, esercizio o operosità, è ora visto come la categoria
attività morale generale, grazie alla quale l'uomo adempie al suo compito
principale: dominare la terra e perfezionare il creato. Il Consiglio, a
Gioia e Speranza 67, segno: Con la sua opera, l'uomo... può contribuire alla creazione divina attraverso

9L'enciclica Laborem exercens del 17 settembre 1981, al n. 2, dichiara


appunto che occorre riscoprire nuovi significati e nuovi compiti del lavoro
umano.
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390 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

per fornire un servizio associato. Infatti, per l'opera offerta a Dio, riteniamo che
10
l'uomo stesso si associ all'opera della redenzione di Gesù Cristo, il quale ha
portato in modo eccellente la dignità di quell'opera quando ha operato con le proprie mani a Nazar
11
.
Con ardita argomentazione teologica, si dice addirittura che con il trionfo
della tecnica comincia a manifestarsi la propria somiglianza con Dio, persa con
12
il peccato originale. La categoria del lavoro diventa così la forma generale della
morale in un duplice nuovo significato: primo, il lavoro è il fine dell'uomo
nell'istituzione primitiva; in secondo luogo, è il mezzo universale con cui l'uomo
realizza creativamente la sua personalità.
Riguardo al primo punto, va osservato che il destino dell'uomo di dominare
la terra attraverso il lavoro è proprio suo nel sistema primitivo (quello dell'Antico
Testamento), che si estendeva in una prospettiva eminentemente terrena,
sentiva debolmente la vita ultraterrena, e dava premio temporaneo alla virtù e
alla religione: Se vorrai e se mi ascolterai, mangerai del meglio della terra (Is 1,
19). Questo destino del tutto provvisorio è superato nell'ordine di grazia
annunciato dal Nuovo Testamento, rispetto al quale l'attuale esaltazione del
lavoro appare come un movimento regressivo.

Non c'è traccia di esaltazione del lavoro nella predicazione di Cristo, che
eleva tutta la sua prospettiva al regno dei cieli. È vero che questo germoglia nel
mondo attraverso il merito morale, ma trascende tutto ciò che il cuore mortale
può concepire: nel suo confronto con le cose del mondo esse sono purgamentum
atque peripsema (la spazzatura del mondo e lo spreco di tutti). (cfr 1 Cor 4, 13).

10 Nella citata enciclica l'affermazione è temperata dal quodam modo. Vedi anche il discorso in
OR, 17 maggio 1981.
11Esso è per il lavoratore e la sua famiglia il mezzo ordinario di sussistenza; attraverso di essa
l'uomo si relaziona con i fratelli e rende loro un servizio, può esercitare la vera carità e cooperare alla
perfezione della creazione divina. Non solo questo. Siamo convinti che, offrendo la loro opera a Dio,
gli uomini si associano all'opera redentrice di Gesù Cristo, che ha conferito al lavoro una dignità
straordinaria operando con le proprie mani a Nazaret.

12 Queste le parole del rettore dell'Università Lateranense in Lavoro (organo delle Unioni
Cristiano Sociali Ticinesi, 19-12-1969). Ciò che appartiene alla grazia viene qui trasferito alla tecnica.
L'intemperanza dell'entusiasmo esegetico per la Laborem exercens è massima in OR, 28 ottobre
1981, in un articolo di GUGLIELMO FERRARO dove si esalta il carattere pasquale del lavoro ,
grazie al quale l'operaio parteciperebbe e rinnoverebbe Era il mistero della Morte e Resurrezione di
Cristo. La partecipazione alla morte sarebbe data dalla fatica inerente al lavoro (anche se affaticarsi
non è morire), mentre la partecipazione alla risurrezione consisterebbe nel mondo nuovo che il
lavoro contribuisce a realizzare. È ovvio che separando le parole dal loro significato ei concetti
dalla loro coerenza, è possibile dire qualsiasi cosa su qualsiasi cosa.
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31.5. Cristo come uomo di lavoro. Critica 391

La celebrazione del lavoro come forma universale della spiritualità umana


regredisce a una teleologia che il Nuovo Testamento ha superato, subordinando
nettamente la conquista della terra al Regno dei cieli.

31.5. Cristo come uomo di lavoro. Critica


13
qualcosa di completamente nuovo è presentare Cristo come l'uomo del lavoro:
pertinens ad opificum ordinem (Laborem exercens 26). Questa presentazione adduce
i testi di Matt. 13, 55, dove Cristo è chiamato fabri filius (figlio del carpentiere) e di Marc.
6, 3, dove è detto faber (falegname).
Ma il supporto scritturale è debole. Innanzitutto perché questo soprannome viene
dato a Gesù dalla gente di Nazareth, che lo aveva conosciuto come apprendista di
Jos'ey e continuava a identificarlo così, anche se non era più un lavoratore. In realtà,
nel Vangelo non c'è alcuna testimonianza a favore di un Cristo operante. Nel Vangelo
dell'Infanzia non si parla del lavoro in fabbrica di Gesù; al contrario, come risulta da
Luc. 2, 46, la sua vita da giovane (in cui senza dubbio ha aiutato il padre) è stata una
vita di lettura, riflessione ed esercizio intellettuale.

All'età di dodici anni apparve nel Tempio, dove seduto in mezzo ai maestri, li
ascoltava e li interrogava. Gesù ha praticato il lavoro in fabbrica prima di iniziare il suo
ministero messianico, ma ha abbandonato il lavoro di operaio appena ha lasciato
Nazareth per iniziare a fare facere et docere.
La condizione di Gesù, se può essere assimilata a qualcuna, è quella di un mendicante
14
e quella
´ dei poveri (egenus, II Cor. 8, 9), spogliati di tutto.
Non aveva dove posare la testa (Matteo 8, 20), e per nutrire i suoi discepoli sedere
presero le spighe dai campi di altre persone (Matteo 12, 1). La condizione di Gesù nel
tempo dell'evangelizzazione non è la condizione dell'operaio, ma quella di colui che,
come gli Apostoli, si è distaccato da tutto in una povertà perfettissima che supera la
vocazione al lavoro.
Pertanto, l'idea di un Vangelo del lavoro e di un Cristo operante non è appropriata.
Questo inconveniente fu percepito chiaramente da Pio XII, il quale, volendo consacrare
la dignità del lavoro, istituì la festa di San José Obrero, ma non quella di Cristo
lavoratore. Non si potrebbe davvero paragonare il titolo della fatica del lavoro al titolo
della regalità teandrica sancito da

13Questa novità spiega anche lo stupore suscitato dall'udienza concessa


dall'arcivescovo MONTINI ai metalmeccanici sotto una statua del Cristo operaio con
falce e martello.
14LAGRANGE, nel commento a Luc. 21, 37, osserva che il verbo con cui si fa
riferimento ai pernottamenti di Gesù implica una situazione caratteristica di chi
non ha una casa propria.
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392 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

15
Pio XI con la festa di Cristo Re. D'altra parte, come riconosce la Laborem
exercens 26, non c'è una sola parola di Cristo che raccomandi l'opera, ma
piuttosto la condanna della sollecitudine che sta alla base dell'opera: Mat. 6,
25-34.

31.6. Il lavoro come autorealizzazione


dell'uomo. Critica
Il lavoro è presentato come la forma stessa della moralità, e si afferma che
includa anche attività teoriche, abbracciando così la totalità della persona.
Pertanto, la definizione stessa di virtù le si addice, ma perde il carattere di
virtù speciale e diventa la dimensione fondamentale della vita. Il lavoro è sia la
trasformazione del mondo che l'autorealizzazione dell'uomo, prescindendo
16 .
dall'esercizio della propria creatività
Nel discorso del 16 giugno 1982 Giovanni Paolo II ha ribadito che ogni
attività è lavoro e che attraverso il lavoro l'uomo scopre il senso della vita.

Abbiamo esaminato il concetto di creatività nel §28.2 e in senso stretto non


può essere applicato nemmeno alla tecnica. Come ha mostrato Friedrich
Dessauer nella sua Discussione sulla tecnica (Ed. Rialp, Madrid 1964, cap. 2,
ep. 10-11 e 21, pp. 166 ss.), la creazione di una vera e propria tecnica consiste
nella discesa di forme preesistenti da un regno in cui sono presenti, al nostro
regno della percezione sensoriale; l'insieme di tutte le soluzioni è già dato e
l'inventore non le produce da sé né lo spirito umano le genera dentro di sé;
quell'insieme può essere chiamato un regno.
Al di là delle funzioni di dominio e miglioramento del creato, la dottrina
moderna attribuisce al lavoro un carattere estremamente morale, perché con il
lavoro man seipsum ut hominem perficit, immo quodam modo

15Nel 1960 fu eretta la parrocchia del Divin Gesù Operaio nella periferia di Roma. Ma
la Chiesa non ha mai celebrato Santi se non con titoli religiosi (confessori, dottori, martiri,
ecc.), e il decreto di Pio XII per San Giuseppe costituì una novità.

16Questa esaltazione della creatività del lavoro è curiosa in un sistema in cui la


partecipazione soggettiva del lavoratore al suo lavoro diminuisce continuamente. In un
altro tempo l'artigiano faceva tutto, quasi tutto o gran parte del suo lavoro. Oggi l'attività
di un operaio in una fabbrica è mediamente di un minuto e il suo effetto è una frazione
infinitesimale del prodotto finale. Per elevare il significato personale dell'opera, sarebbe
necessario ampliare l'oggetto. Il valore diminuisce all'aumentare della parte della macchina
nel lavoro. Il Papa espose il problema del rapporto tra macchina e uomo in un discorso
del 16 giugno 1982 al Bureau international du travail di Ginevra, ma riferì,
inaspettatamente, la soluzione alla tecnica. Per quanto riguarda la macchina, vedere §31.1.
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31.6. Lavoro come autorealizzazione del Uomo. Critica 393

17 ,
più uomo fugge (facendo fatica 9) o (como dice en otro lugar el
Papa) senza lavoro l'uomo non solo non può nutrirsi, ma neppure
18
anche per autorealizzarsi, cioè per raggiungere la sua vera dimensione. Dopo
aver precisato questa dimensione, il Papa afferma che l'uomo può realizzare
la propria salvezza attraverso il lavoro (OR, 21-22 settembre 1982).

Questa morale del lavoro non è nuova nella dottrina, se la si intende


riferendosi alla moralità parziale insita in ogni virtù; ma lo è se è compreso
che il lavoro si rapporta all'intera sfera della morale, come se non ci fossero virtù
particolari (religione, giustizia, castità, ecc.). Tutto
virtù, in quanto implica la rettitudine della volontà e quindi include
praticamente tutte le altre, perfeziona l'uomo e gli procura la salvezza.

Ma questa morale sarebbe nuova se si comprendesse che il lavoro è l'essenza


dell'attività morale e senza il lavoro l'uomo non può realizzarsi.
come un uomo. Anche il dolore e il dolore fanno parte della dimensione umana.
sofferenza (condizioni di passività, non attività), o preghiera e
contemplazione, così dignitosa nella tradizione cristiana e collocata al di fuori
embargo al di fuori dell'orbita del lavoro. Piuttosto, secondo la religione, il corretto
del cristianesimo è abnegazione e non autorealizzazione (abneget
stesso, Matt. 16, 24).

Tale abnegazione, raggiunta conformandosi al


legge (cioè alla volontà di Dio), non è la negazione di se stesso, ma
la resezione dell'egoismo e dell'egomania. A causa di questa conformazione può essere
dire che l'uomo realizza la propria natura e realizza se stesso (se
vogliono mantenere questa catacresi), ma non direttamente e per primam
intenzione (en tal caso se entrar´ÿa en el sistema anthropocentrico), sino de
modo indiretto e in aggiunta. Qui risuonano le parole di Mat. 6, 33:
Cerca prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose ti saranno aggiunte
vobis (Cerca, quindi, prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto ciò che
(compresa l'autorealizzazione) ti sarà dato in aggiunta), e quelli di Luc. 9, 24:
Perché chi vuole salvare la sua anima la perderà (Porque el que
vuole salvarsi la vita, la perderà).

17Si realizza uomo, anzi, in un certo senso ÿÿdiventa più uomoÿÿ.


18 Prese rigorosamente, queste parole negano la vita di preghiera e (come vedremo) la
vita contemplativa. I contemplativi, che di certo non lavorano, non arriverebbero
vera dimensione umana.
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394 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

31.7. Distinzione tra lo speculativo e il


pr´attico
Il deprezzamento di valori puramente speculativi è un'altra caratteristica.
caratteristica della dottrina moderna
19
C'è stata un'inversione rispetto alla
filosofia pagana: guardava quasi con disprezzo all'attività lavorativa,
noi, al contrario, disprezziamo ogni speculazione che ne sia priva
riflesso di utilità.
Vedendo i matematici siracusani intenti a inventare macchine,
Platone li accusò di degradare la scienza trascurando la contemplazione di
entità ideali.
Aristotele giustificò come necessaria la schiavitù di una parte del genere
umano in modo che l'altra parte possa vivere una vita veramente umana (cioè
contemplativa).
Il disprezzo per il lavoro ha ceduto il passo al pensiero moderno
al disprezzo per la pura attività teorica, e oggi si pretende che ogni speculazione
scientifica sia ordinata al nostro dominio sulle cose (al
20 .
tecnica); e anche le attività estetiche soccombono a questo utilitarismo
La filosofia cattolica ha sempre diviso la vita in due generi: la vita
contemplativo, in cui l'attività interna è prevalentemente esercitata, e
quello attivo, in cui si esercita prevalentemente l'attività esterna. Entrambi
21 .
i sessi sono rappresentati da L´ÿa e Raquel e da Marta e Mar´ÿa

19L'identificazione delle due attività umane è accennata al n. 16 del


Enciclica: Il lavoro, secondo il senso molteplice di questa parola, è un dovere o un obbligo.
Il lavoro e l'attività intellettuale si trovano all'interno della stessa classe. e anche se può
Si può dire che il lavoro è un dovere dell'uomo, non del singolo. Vecchi, bambini, malati
o gli invalidi non hanno il lavoro come obbligo. Come la procreazione, il dovere
lavorare è responsabilità dell'uomo come specie, non di tutti gli individui. La tesi del
la non obbligatorietà del lavoro è alla base della fondazione degli ordini
Mendicanti e fu risposto contro Santo Tom´as e San Buenaventura da Guillermo de
Sant'Amore, il quale riteneva che i religiosi dovessero, in virtù del voto di povertà, lavorare
con le mani per procurarsi il cibo. L'Aquinatense (Quodlibetum VII, art. 17 e
18) risponde che, poiché si occupano di attività intellettuali, i Mendicanti
Sono esentati dall'obbligo del lavoro manuale se hanno (e perché hanno) qualcuno
fornire loro sostentamento. La dottrina di Guillaume de Sant'Amore, che sarebbe finita
con gli ordini mendicanti, fu condannato da Alessandro IV.
20L'artista medievale spesso anonimo ha creato forme di bellezza non per servire
agli uomini, ma per cantare le glorie di Dio: per questo nelle cattedrali ha messo
spesso le loro statue sotto le volte, prive di battesimo di luce, le rendono invisibili agli
uomini, per i quali non sono stati creati.
21Osservare che i due generi si differenziano per la prevalenza e non per l'esclusività dei
due tipi di attività. Non c'è vita contemplativa senza un po' di esercizio
di vita attiva, né vita attiva senza qualche elemento di contemplazione.
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31.8. Superiorità della contemplazione sul lavoro 395

La vita contemplativa, teoretica o intellettiva consiste in atti cognitivi o volitivi


immanenti, che hanno origine nel soggetto e terminano nel soggetto senza aggiungere
nulla al mondo esterno. La vita attiva, invece, consiste in atti transitivi, che originano
nel soggetto ma producono un effetto esterno, modificando le cose. È evidente che
quando la trasformazione della creazione si afferma come fine dell'uomo, l'attività
contemplativa perde di significato.

Né la contemplazione va confusa con la vita di studio in senso stretto, perché la


contemplazione è anche oziare osservando, curiosando, vagando con lo sguardo su
uno spettacolo della natura o su un evento umano: in più, fare ciò che secondo la
frase di Pitagora fa chi nel mercato non compra e non vende, ma solo osserva. Né,
invece, il lavoro va confuso con la fatica e il sudore, che si ritrovano anche nel gioco,
che non è lavoro.

Oltre ad essere diversi, contemplazione e lavoro sono anche incompatibili.


Santo Tomás en Summa theol. II, II, q, 182, a. 3, scrivi: È evidente che la vita attiva
ostacola quella contemplativa, in quanto è impossibile occuparsi contemporaneamente
22 .
di attività esterne ed essere liberi dalla contemplazione divina
L'otium, stato di liberazione dalla fatica del corpo e dedizione al servizio
dell'intelletto, è incompatibile con il lavoro, l'attività sulle cose esterne. L'incompatibilità
è attestata ab antiquo dalla dualità sociale tra libero e schiavo. Lo si riconosce anche
dal sentimento comune per il linguaggio stesso. Arrivato a una certa età, il giovane
decide se lavorare o studiare, se le sue doti lo portano all'ufficio oa scuola (in altre
parole, il tempo libero).
D'altra parte, tutte le antitesi sociali del nostro mondo (e non solo del nostro) sorgono
tra la vita attiva e la vita contemplativa.

31.8. Superiorità della contemplazione sul lavoro

La superiorità della dimensione contemplativa su quella attiva è un luogo comune


nella filosofia del cristianesimo, e la sua massima espressione fu la perfetta povertà,
che, praticata da san Francesco, diede luogo a imponenti movimenti religiosi e a gravi
controversie dottrinali. L'accostamento delle due vite, che secondo gli insegnamenti
di san Tommaso è il genere più adatto allo stato morale, si trova, come è noto, alla
base della Regola benedettina

22 Sotto questo aspetto è evidente che (la vita attiva) ostacola la vita contemplativa,
poiché è impossibile occuparsi di opere esterne e nello stesso tempo abbandonarsi
alla contemplazione.
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396 31. Lavoro, tecnica e contemplazione

quella civilizzata Europa; ma questo non impedisce che in quella mistura la parte migliore
corrispondere a la contemplativa, secondo le parole di Gesù: Maria la migliore
partem elegit (Maria scelse la parte buona) (Lc 10, 42).
San Tommaso porta molte ragioni per questa eccellenza della contemplazione
(Summa theol. II, II, q. 182, a.2), ma quelle decisive sono due.
Primo: la contemplazione è propria dell'uomo proprio in virtù di
la sua natura, costituita dall'intelletto incorporeo e immortale e destinato
alla conoscenza della verità.
Secondo: la contemplazione è un'operazione che continua nella vita eterna,
mentre l'opera è circoscritta all'esistenza terrena. L'eccellenza della
23
contemplazione corrisponde, invece, alla ripugnanza che la
l'uomo sperimenta nei confronti della fatica e del dolore inerenti al carattere penale della
lavoro. L'uomo aspira alla contemplazione, e questa gli viene data come ricompensa
24
da qui . Questa antinomia tra lavoro intellettuale e lavoro è poco considerata
nell'enciclica Laborem exercens, che al n. 9 si scioglie in un singolo
categoria di lavoro la fatica di muratori, metallurgisti e minatori, insieme al lavoro
puramente intellettuale dei ricercatori scientifici
e i governanti.
L'enciclica fa notare che i due tipi di vita hanno in comune a
tensione sulle proprie forze, talvolta molto grande, ma non distingue tra vires e
vires, cioè tra l'esercizio prevalentemente intellettuale e il
esercizio prevalentemente corporeo.
E la parità tra lavoro in senso proprio e lavoro in senso proprio
improprio è ripreso al n. 26. Qui, dopo aver rappresentato Gesù
come lavoratore (cfr. § 31.4), l'enciclica fa un censimento dei mestieri citati
nella Scrittura e mette insieme gli uomini del lavoro manuale con il
puramente speculativo, i minatori e scaricatori con gli studiosi di
storia e gli interpreti di profezie ed enigmi (Ecli. 39, 1-5).

23Sobre este punto son notables las p´aginas de Giuseppe Rensi, L’irrazionale, il lavoro,
l'amore, Milano 1923, pp. 195 e ss.
24 La celebrazione dell'otium come suprema aspirazione dello spirito è comune in
pagani, e il mondo intero ricorda l'ode oraziana II, XVI. Ma non meno nei cristiani:
PETRARCA, De otio religioso.
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Cap'itulo 32

Civiltà secondarie e
cristianesimo

32.1. Civiltà della natura e civiltà della persona.


civiltà del lavoro

Tutto questo passo dell'enciclica è caratterizzato dalla tendenza ad


includere speculativi e non in un unico mondo del lavoro. La negazione della
peculiarità e dell'eccellenza della vita contemplativa e l'esaltazione dell'attività
lavorativa (con la quale l'uomo trasforma il mondo, manipola la natura e tutto
raddrizza al suo dominio) contiene in germe il profilo di una civiltà, con il cui
centro e il cui fine è Uomo. Naturalmente, la teologia contemporanea non può
non confessare lo scopo trascendente della vita umana, ma questo è temperato
dal primato assegnato alla tecnologia e al controllo del mondo.

È generalmente riconosciuto che nella civiltà contemporanea lo sviluppo


materiale è separato dallo sviluppo spirituale e va al di là di esso. Sebbene
estremamente diffusa, questa terminologia è errata: la tecnologia, fondata su
una conoscenza sempre più ampia della natura materiale, non è forse uno
sviluppo prodigioso della parte spirituale, dell'intelletto del corpo dell'uomo?
Da questa scorrettezza di termini discende quell'imprudente celebrazione della
tecnica come trionfo dello spirito, che abbiamo visto in occasione della
conquista della Luna (§ 31.3). La distinzione essenziale tra due tipi di civiltà
non viene dall'opposizione tra materia e spirito, poiché le grandi invenzioni
della tecnologia sono un prodotto completo dello spirito. La distinzione va
fatta tra una civiltà volta a perfezionare la natura

397
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398 32. Civiltà e cristianesimo secondario

1
dell'uomo e un'altra diretta alla perfezione della persona.La . natura
natura umana è costituita da molte parti legate tra loro, di cui la più alta e
dominante è la parte personale, in cui si colloca l'intelletto e la volontà e dove
ha luogo la moralità. L'uomo può perfezionare una parte della sua natura senza
per questo perfezionare la sua personalità.
all'estremità.

Può, per esempio, migliorare la sua salute, la sua agilità fisica, la sua
conoscenza delle cose, o il suo potenziale di trasformazione dei corpi, senza
implicare che stia perfezionando la propria persona, cioè sviluppando il suo
principio morale; Può, come si riconosce e si lamenta, avanzare lungo la via
di quello che oggi si chiama progress simpliciter, eppure essere inerte e
viziosa nella parte personale.
Le attività della natura si separano dal principio morale egemonico e
cercano ardentemente con tutte le loro forze lo sviluppo dell'uomo nel mondo.
La civiltà contemporanea perfeziona la natura nell'uomo, ma lascia incolto il
suo principio personale.
I rapporti tra i progressi della natura e quelli della persona sono difficili da
determinare, ma deve essere chiaro che il principio personale è il vertice
dell'uomo, e gli altri devono rimanere uniti ad esso perché il progresso avvenga
nella persona. e non solo in natura.
La confusione tra natura e persona è l'errore che genera la somatolatria,
l'esaltazione dello sport, l'esaltazione dei diritti (diventati cosa a sé, quando
invece derivano dal dovere morale), la dossologia delle invenzioni meccaniche,
la temeraria l'ammirazione per la ricchezza e il potere e, infine, il culto della
città terrestre, il cui fine è diventato appunto l'esaltazione della natura, humane
ad omne possible.

32.2. La città del diavolo, la città dell'uomo, la città


Dei
Le due classi di uomini sono già delineate nella Genesi.
Alcuni sono potenti a seculo viri famosi, stirpe di giganti, fondatori di città,
imprenditori, conquistatori: i loro obiettivi sono lo sviluppo e l'espansione
dell'uomo.
Gli altri, i figli di Dio, cercano la perfezione della persona e sono
assolutamente e senza condizioni il fine morale del genere umano (il culto
1En este ep´ÿgrafe sigo la doctrina de ROSMINI, Antropolog´ÿa soprannaturale, lib.
II, cap. 6, art. 10, ed. nac., vol. XXVII, pp. 308 y ss.
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32.2. La città del diavolo, la città dell'uomo, la città di Dio 399

divino), e solo contingente e relativamente il dominio dell'universo.

Nel Vangelo le due classi sono indicate come figli del secolo e figli della
luce, e misteriosamente si indica l'errore proprio della civiltà contemporanea
quando si dice che i figli delle tenebre sono più prudenti di quelli della luce,
ma nel loro genere : nelle cose del mondo, e solo in esse (Lc 16, 8).

Nella sua opera principale Sant'Agostino ha descritto la storia del genere


umano come lo sviluppo di due città: una è teotropica e raggiunge il disprezzo
del mondo; l'altro è antropotropico e arriva fino al disprezzo di Dio. Il primo
corrisponde a coloro che cercano la perfezione della persona, e l'altro a coloro
che cercano la perfezione della natura. Uno è totalmente terrestre, l'altro
terrestre in transito e celeste in termo.

Va però osservato che il disprezzo di Dio con cui sant'Agostino caratterizza


la città terrena non è privo di complessità. Vi sono uomini che con atto positivo
respingono il fine celeste dalle loro prospettive e lo combattono come avverso
al fine terreno del genere umano.

Tali uomini
´ formano quelle nazioni che oggi fondano la civiltà sull'ateismo.
Questa è in senso stretto la civitas diaboli agostiniana,costruita sul sangue e
sulla menzogna, e che mira all'estinzione di Cristianis
per.

Ma vi sono anche uomini (forse la frazione più numerosa) che non rifiutano
il fine celeste, ma non lo cercano neppure, e spingono la società umana verso
una perfezione di assoluta cittadinanza
´ (Diesseitigkeit). Tale è la civitas
hominis, situata tra le altre due. Questo separa il bene umano dal bene morale,
il bene della natura umana dal bene della persona. Riduce tutto al progresso
mondano, considerando la signoria del mondo come il fine ultimo dell'uomo.
Al contrario, la religione insegna che questo fine è il servizio e la fruizione di
Dio: hoc est enim omnis homo (la totalità dell'uomo) (Eccl. 12, 13). Vi sono
dunque tre città: 1) quella dedicata al fine trascendente, che desidera sopra
ogni cosa; 2) colui che lo sfida e soprattutto ama il mondo; 3) infine, quello
che lo trascura.

E i tre si confondono e ognuno corre la propria corsa così


spesso impercettibile.

Ma sia la civitas hominis (alla quale la Chiesa postconciliare si rivolge per


battezzarla ed essere battezzata da essa) sia la civitas diaboli (che respinge
debolmente) producono una separazione dell'uomo dalla propria anima,
proclamando l'uomo come indipendente.dipendente.
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400 32. Civiltà e cristianesimo secondario

32.3. Cristianesimo secondario. Confusione


tra religione e civiltà
La civitas diaboli rifiuta il cristianesimo; la civitas hominis lo assume e lo
assimila, prendendolo non per quello che è (orientamento assoluto di tutte le
cose dalla terra al cielo) ma come ciò che lo rende assimilabile o utile al fine
terreno. D'altra parte, poiché il cristianesimo o è quell'orientamento assoluto
o non è niente, l'accettazione dei valori cristiani nella moderna civiltà
antropotropica diventa un rifiuto imperfettamente larvale della religione. La
Chiesa postconciliare tende a includere nell'ambito della religione tutti i valori
della civitas hominis.
Sono frequenti formule come i valori umani e cristiani, o la Chiesa
promuove i valori umani, o la Chiesa ha come centro l'uomo, o la religione
rende l'uomo più uomo, e simili. A parte la scorrettezza di dare gradazione a
un sostantivo, in questa confusa assimilazione si perde la distinzione tra
religione e civiltà; e seguendo la filosofia di Gioberti, la civiltà è considerata
un effetto primario del cattolicesimo.
per.

Questa è essenzialmente la posizione postconciliare, anche se si ripete


che il cattolicesimo non si identifica con nessuna civiltà, ma è il lievito di tutte.
La religione ha certamente l'effetto di civilizzazione, e la storia della Chiesa lo
testimonia, ma non ha come fine o effetto primario la civilizzazione, cioè un
miglioramento terreno. Lo stato attuale della civiltà è uno stato di dipendenza
e aseità: il mondo rifiuta ogni dipendenza al di fuori di se stesso.

La Chiesa sembra aver paura di essere respinta, come del resto è respinta
da una larga parte del genere umano. Poi svanisce la propria peculiarità
assiologica e, al contrario, colora i tratti comuni con il mondo: tutte le cause
del mondo diventano cause della Chiesa. Offre i suoi servizi al mondo e cerca
di capitalizzare il progresso della razza umana.

Questa tendenza, che altrove ho chiamato cristianesimo secondario, lo è


un errore germinato nel XIX secolo.
Mentre la filosofia dell'incredulità del XVIII secolo aveva negato la
razionalità del cattolicesimo e propugnato la sua distruzione come qualcosa
di fatale alla civiltà (mantenuta solo da fabbricatori di divinità), il XIX secolo
considerava il cristianesimo come il sistema supremo dei valori umani,
adeguato al ideale di perfezione dell'uomo; ma nello stesso tempo ne ignorava
il carattere trascendente e soprannaturale; riconosceva l'incarnazione del
Verbo, ma il suo Verbo era la Ragione hegeliana rivelata in divenire
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32.3. Cristianesimo secondario. Confusione tra religione e civiltà 401

storico.
Ora, chi nega il soprannaturale del cristianesimo (l'operazione di Dio
nell'anima mediante la grazia) e il fine soprannaturale dell'uomo, anche
quando ammette l'eccellenza della religione, ne toglie l'essenza per farne un
mezzo per il mondo.
Il cristianesimo secondario crede di poter mantenere il fenomeno ideale
del cristianesimo senza la saggezza mistica del cristianesimo: accetta il suo
frutto mondano, ma rifiuta il suo frutto totale.
Croce trattava di un cristianesimo secondario nel celebre saggio Perch´e
non possiamo non dirci cristiani, ma la religione non può che rifiutarlo, perché
accetta il cristianesimo solo nel suo aspetto terreno, e così sfigurato lo
venera come fondamento della civiltà umana.
Certamente il cristianesimo è un albero di tale fecondità che produce frutti
anche separati dall'albero, ma questa fecondità ha significato religioso solo
se non è separata dall'albero.
Nessuna idea sembrava al Manzoni più falsa di quella del cristianesimo
secondario, anche se a Carducci nel discorso di Lecco ea tutta la scuola
idealista il cristianesimo secondario sembra proprio l'ispirazione dei suoi Inni
sacri. Di questo cristianesimo secondario (chiamato da altri cristianesimo
della completezza (dei valori terreni)) Manzoni diceva che riduce il fine a
mezzo, e il per sé a ciò che è per accidens.
Il Vangelo, esclama, ridotto a mezzo! Il Vangelo, no. Manzoni elenca i tanti
può essere concepito se non è l'unico 2 usi
fine! religione in questo mondo: dalla raccomandazione della pazienza a
quella della carità, dai costumi civili alla conservazione della cultura in tempi
di barbarie, dalle ispirazioni della bellezza alla consolazione della speranza. E
prosegue dicendo che mentre il cristianesimo è meritatamente elogiato per
tutti questi effetti (sicuramente suoi, poiché è proprio di condurre all'ordine,
alla cultura e alla civiltà), sarebbe un grave errore identificarlo con essi (che
sono i meno della loro efficacia, sono mondane e possono derivare da altre
cause), lasciando da parte ciò che è più importante: la loro essenza
3.
soprannaturale, operazione e fine

2Per tutto questo sviluppo vedi Morale cattolica, ed. cit., vol. III, pag. 83 e segg. Citazione
è nel vol. II, pag. 478.
3La manifestazione più aperta del cristianesimo secondario risultò essere il Congresso
sulle opere di carità e giustizia della diocesi di Roma: tutto era sociologia, politica, assistenza,
ricoveri, ospedali, scuole, edifici, ecc. Nemmeno una parola di religione, ma una forte
colorazione marxista con la condanna dell'esercizio privato della professione e con la proposta
che la Chiesa ceda tutti i suoi beni allo Stato pur di raggiungere l'indipendenza. OR, 15
febbraio 1974, e ICI, n. 451, pag. 24 (1 marzo 1974).
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402 32. Civiltà e cristianesimo secondario

32.4. Critica del cristianesimo secondario


Critica del cristianesimo secondario. Errore teologico. Eu errore
demonologico
Il peccato specifico del cristianesimo secondario che vizia la civitas
hominis è l'eliminazione del trascendente. Esso coincide con quel peccato
chiamato da sant'Agostino inadvertentia e da san Tommaso inconsideratio, e
nel quale essi ritengono consistesse il peccato degli angeli.
Ma l'inavvertenza del fine celeste turba la religione da capo a piedi e ne
inverte la prospettiva: habemus hic manentem civitatem nec futuram
inquirismos (contrariamente a Ebr. 13, 14: Qui infatti non abbiamo una città
stabile, ma cerchiamo il futuro ). Di conseguenza: prospettiva finale puramente
terrena, riduzione a metà del cristianesimo, apoteosi della civiltà. Nega l'aut
aut del Vangelo per sostituirlo con una sorta di et et dove il cielo e il mondo si
uniscono, in un composto la cui parte predominante e caratteristica è il mondo.

In un celebre brano dell'Esprit des Lois (lib. XXIV, cap. 3), Montesquieu
mette in luce la singolarità della religione cristiana, che sembra non avere
altro oggetto se non la felicità dell'aldilà, eppure li rende felici anche in questo .
Non gli sfugge però il contrasto vivo tra le due vite assunte
´ come due fini
ultimi. I due mondi. Questo fa male a quello, e quello fa male a questo. Ce ne
sono troppi, questi due mondi. Ne basterebbe uno. Non meno notevole è
4
l'ossimoro di mondo e religione in una pagina di Leopardi (Zibaldone, 2381;
Firenze 1898-1900, 7 voll.), dove l'ideale cristiano è nettamente contrapposto
all'ideale mondano e considerato come la negazione del mondo, radicalità
della vita presente, che è tutta la vita.
Ma l'ossimoro è fallace, perché prende la vita terrena come fine ultimo, e
crolla se lo si assume come mediazione del fine ultimo. Due fini ultimi sono
un'assurdità (Summa theol. I, II, q. I, a. 4 e 7). Con la vita mondana ridotta a
preparazione e preludio alla vita al di là del mondo, si dissolve l'amara antitesi
tra i due mondi. Allora la vita nel tempo è pienamente armonizzata e diventa
parte dell'intero sistema, evidenziando così il suo carattere di simbolo
(frammento contenuto nell'insieme).
L'errore eudemonologico del cristianesimo secondario non è minore di
quello teologico. Afferma che il godimento dei beni terreni onesti è più sicuro,
più autentico e più abbondante nella religione che altrove. Ma il concetto di
una Chiesa-fonte di felicità per il genere umano nella vita terrena si oppone al
Vangelo, che non armonizza, ma oppone cielo e terra; o più esattamente,
guardatela sotto un aspetto meramente relativo

4Pens´ees, Parigi 1938, p. 77.


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32.5. Chiesa e civiltà nel postconcilio 403

a lui, e al cielo sotto un aspetto meramente assoluto rispetto alla terra, e solo
relativo rispetto a Dio.
La vita futura è la fine del presente e Dio è la fine del futuro.
Di qui l'eccellenza dei consigli evangelici (di cui abbiamo visto l'attuale
decadenza nei §14.2-14.7), sacrificio pieno dalla terra al cielo, che oggi
sembrano incompatibili con l'ordine della civiltà, come sembravano loro
incompatibili con gli Illuministi e gli governi irreligiosi del XIX secolo. Il criterio
5
per giudicare la religione non è la sua utilità civile: la religione ha molti rapporti
importanti con la civiltà, ma nessuno è essenziale.

32.5. Chiesa e civiltà nel postconcilio


Nella Chiesa contemporanea questa verità si trova dietro le sbarre della
contraddizione.
Da un lato, la Chiesa dichiara di non identificarsi con nessuna civiltà
particolare e, dichiarandolo, rimane nel solco della sua tradizione; ma, d'altra
parte, aspira a fermentare tutte le civiltà particolari, spingendole verso una
civiltà mondiale che pretenda di non poter esistere senza il cristianesimo, e
che deve far nascere un mondo nuovo, più giusto e umano: non si può dire di
più Cristiano.
L'impossibilità di mantenere contemporaneamente la posizione
antropotropica e teotropica può essere superata fallacemente solo
dimenticando le essenze distintive delle cose e cercando uno sfondo comune
a tutte, per poi identificare in quello sfondo il cristianesimo e la civiltà.
L'errore non potrebbe essere riconosciuto meglio che nell'espressione,
così spesso citata nelle pubblicazioni postconciliari, dall'Apologeticus 17 di
Tertulliano: anima naturaliter christiana.
Come abbiamo già detto, non può esserci un'anima naturalmente cristiana:
un cristiano si diventa, non si nasce, e la formula di Tertulliano si rompe da
sola per contraddizione, essendo intercambiabile appunto con anima naturaliter
soprannaturale.
La contraddizione è celata con formule equivalenti, in cui mondo e Vangelo
sono posti sullo stesso piano, come se la Chiesa avesse paura di annunciare
al mondo i valori divini del Vangelo staccati da quelli terreni. Dicono sempre
valori cristiani e umani, o peggio, valori umani e cristiani, e vogliono essere
fedeli al mondo ea Dio allo stesso tempo. NO

5Ricorda il paradosso di GIOBERTI, il quale, assumendo la sua virtù civilizzatrice


come fenomeno primario del cristianesimo, stabilì che Cristo, e non Isabella, fu il fondatore
della Compañía de Indias.
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404 32. Civiltà e cristianesimo secondario

È possibile: nessuno può servire due padroni (Nadie puede servir a dos
senores) (Mt. 6, 24).
La Chiesa, lo ripetiamo, è di per sé santificante e non civilizzatrice; la sua
azione ha per oggetto immediato la persona, non la società. La Chiesa
postconciliare insiste però, anche nella liturgia, su un mondo nuovo e su una
società libera e giusta, più che su uomini giusti e rinnovati nello Spirito.

Sotto tale aspetto, il movimento della Chiesa è regressivo. Risale all'Antico


Testamento, in cui l'intera città si salva o si danna, le donne si salvano grazie
alla circoncisione dell'altra metà del genere umano, e la salvezza attesa è
tutta terrena. Va anche notato che nella stessa Bibbia la civiltà percorre le
proprie strade: i primi ad essere designati come fondatori di città sono Caino
ei Cainiti, e l'inventore della metallurgia è Tubalcain, della stirpe del fratricida.

32.6. Cattolicesimo e gesuitismo


La Compagnia di Gesù è stata per secoli, fino all'attuale decadenza,
considerata dai cattolici e dagli oppositori del cattolicesimo come una delle
interpretazioni più autentiche del cattolicesimo, e quasi il braccio armato della
Chiesa romana.
La grande scuola teologica speculativa di Bellarmino e Su´arez, i contributi
alla teologia positiva di Petavio e dei Bollandisti, le missioni in India, Cina e
Giappone, la singolare creazione dello Stato delle Riduzioni 6 zioni
del Paraguay con una durata di un secolo e mezzo, il predominio
nell'istruzione, la lunga lotta contro l'assolutismo reale e poi contro lo Stato
liberale, lo splendore della santità, della dottrina e della creatività, hanno fatto
della famosa Compagnia uno dei fenomeni più impressionanti nella storia
della religione.
I gesuiti, infatti, instillarono nella Chiesa una potente vitalità, proponendosi
di organizzare l'intero genere umano e dirigere tutta la terra al cielo; O meglio
sottoporre, con un simile tentativo, tutte le parti dell'enciclopedia e tutti i rami
della convivenza sociale. La visione teotropica predominava nel lavoro; ma
nel ricercare la sempre difficile armonia dialettica tra i due mondi, i gesuiti
erano talvolta più inclini a fare della religione l'amica della natura umana (in
quanto buona e creata da Dio) che a contrapporla (in quanto corrotta e
ostinata).
La casistica, parte legittima e necessaria della scienza morale, a volte è
degenerata nel lassismo. Ciò tende ad annullare i forti contrasti tra virtù
6
(N. del T.) In spagnolo nell'originale.
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32.7. Il mito del Grande Inquisitore 405

e vizio, confondendo tutto in un sentimento di benevolenza che facilita il


massimo la via della salvezza. Non sto dicendo che il gesuitismo non abbia avuto qualche volta
una tendenza così pericolosa, ma credo di onorare la verità dicendo che non lo era
può considerare coincidente con il cristianesimo secondario.
Sopravvalutò il ruolo del libero arbitrio nel processo salvifico, attribuì
all'opinione soggettiva un peso gigantesco nelle decisioni morali, si sporse
sempre a favore della debolezza umana (sottovalutando la grazia,
chi può superarlo), e ammorbidì lo stimolo dell'ascetismo; ma appunto
poiché sentiva fortemente l'antagonismo tra il mondo e la religione, venne in
aiuto dell'uomo, semplificando, facilitando e anche addolcendo
quell'antagonismo. Nonostante ciò, il gesuitismo si mantenne con uguale forza
l'assoluta trascendenza del fine, e proprio per avere fermo questo punto
elaborò un disegno di regolazione universale della vita degli uomini e di
dominio sulle cose del mondo per salvarlo. Questo ideale si avvicina al gesuitismo
all'utopia della polis platonica, ma anche a quella che ho chiamato eutopia
Campanella realistica. La sottomissione della terra al cielo è comune a tutti.

32.7. Il mito del Grande Inquisitore


Di conseguenza, il mito del Grande Inquisitore in Los Hermanos Karamazov
di Dostoevskij (Ed. Aguilar, 3a ed., Madrid 1946, parte II, L.V, cap. V,
P. 1011 e segg.) è una falsificazione dell'ideale gesuita. Il gesuitismo è
rappresentato come cristianesimo secondario nella sua forma più pura. L'organizzazione
del mondo e la direzione delle coscienze sono poste nelle mani di
pochi, possessori del giudizio biblico del bene e del male. lo sanno
l'aldilà è una bugia e un'assurdità, ma ne convincono
uomini per renderli felici su questa terra, destinati come sono
vivere e morire dolcemente in una fallace speranza che finisce in
niente di eterno
E il Grande Inquisitore rimprovera a Cristo di aver rifiutato il regno terreno
offerto dal Maligno, e prevenire ora, con il suo messaggio di sofferenza e
sacrificio, il tentativo di stabilire un regno terreno dell'uomo.
L'uomo deve separarsi dalla sua anima e vendere la sua libertà ai
governanti per essere congratulato per questo: per ricevere in cambio, come dice Spitteler.
in Prometheus und Epimetheus, una coscienza che ti insegnerà la sostanzialità
delle cose e ti condurrà sicuramente sulla retta via. dando
la religione come mezzo per il mondo, il mito di Dostoevskij la annulla e la sfigura
7
completamente gesuitismo. Nelle Riduzioni , il modello più adatto
dell'ideale gesuita l'organizzazione temporale è rigorosamente ordinata fino alla fine
7
(N. del T.) In spagnolo nell'originale.
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406 32. Civiltà e cristianesimo secondario

celeste. I gesuiti volevano fare della trascendenza un amico dell'uomo.


È forse il tuo nemico?
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Cap'itulo 33

Democrazia nella Chiesa

33.1. I principi del 1789 e la Chiesa


Il cristianesimo secondario, che è considerato parte del mondo e mezzo del
mondo, ha avuto origine in quel grande movimento in Francia all'interno del quale è
maturata la moderna società civile. Tuttavia, l'antitesi che la Rivoluzione francese
implicava nei confronti della religione, dapprima molto sentita, lo fu in seguito meno,
sia per una benevola interpretazione dei suoi principi, sia per un'attenuazione e
accomodamento dei principi della religione.

La Rivoluzione fornisce in questo un tipico esempio di formule svincolate dai


loro principi e per conseguenza deboli ed equivoche. Il cristianesimo secondario
diventa quindi un mezzo per preservare la religione nel nuovo sistema, essendo
riconosciuto come una delle sue parti necessarie. Alcuni vedono gli slogan di
uguaglianza, libertà e fraternità alla luce dei principi da cui derivano; mentre altri, al
contrario, li separano dal loro principio e li contemplano in se stessi o collegati in
modo falso ad altri principi. Ora, una formula separata dal suo principio e aggiunta
ad un altro antitetico non può che essere un'anfibologia. È il caso dei termini liberte,
´egalit´e, fraternit´e: primitivamente e di per sé hanno un significato naturalistico,
umanitario e immanente; e secondariamente e per trasposizione, un senso religioso.

Il primo personaggio a dare un'interpretazione cristianizzante ai tre motti (se si


escludono quelli del clero assert´e) sembra sia stato Pio VII, quando era ancora
Vescovo di Imola, e la sua affermazione è citata senza di rado
1 .

1Omelia di Natale 1798: La forma di governo democratico adottata da noi


non è in contrasto con le massime del Vangelo: al contrario, esige da tutti

407
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408 33. Democrazia nella Chiesa

Tuttavia, ciascuno dei tre lemmi è anfibologico.


L'uguaglianza, se si riferisce alla natura dell'uomo e alla sua redenzione, è una verità
filosofica e teologica. La libertà, se intesa come liberazione dell'uomo da tutto ciò che
non è servizio a Dio, è, oltre che un effetto della religione, la sua stessa essenza. Infine,
la fraternità, fondata non sulla bontà dell'uomo, ma sull'imperativo evangelico dell'amore
per il prossimo, è un punctus saliens dell'etica cristiana.

Ma è evidente che il valore specifico di questi tre principi nel sistema del 1789
consiste proprio nel diventare un valore in sé senza riferimento assiologico a Dio.

Non solo si ignora l'opposizione tra i due principi di dipendenza e indipendenza, ma


si promuove la confusione al punto da ritenere che le massime del 1789 siano la sostanza
del cristianesimo, confessando al tempo stesso che la Chiesa cominciò tardi a difenderle :
cioè riconoscere la propria sostanza.
Così dice il documento dell'Episcopato francese pubblicato su La croix dell'8 dicembre
1981. D'altra parte, tutti i partiti della democrazia cristiana adottano implicitamente o
esplicitamente i Diritti dell'uomo del 1789 e la Dichiarazione dell'ONU sui diritti dell'uomo
Uomo. Esplicitamente, ad esempio, la Democrazia cristiana francese lo ha fatto attraverso
il suo presidente, rispondendo a un sondaggio di Itin´emires, n. 270, pag. 71.

33.2. Variazione della dottrina attorno al


democrazia
Variazione della dottrina intorno alla democrazia. passo del
specie a genere Nel
messaggio natalizio del 1944 Pio XII contrappose democrazia e dittatura e, ricordando
il dolore e le atrocità che l'Europa visse in quegli anni, considerò la democrazia come
condizione per la pace etnica, per il ripristino dell'autorità e per il rispetto dell'immagine
divina nell'uomo.

Il Papa non ha affermato che la rappresentanza popolare è essenziale per un ordine


politico giusto, ma piuttosto per la democrazia. ma essendo passato
2
scavalcando la dottrina tradizionale, in cui la democrazia è una specie del genere politico,
e non il suo genere, preparò quella variante poi istituita dal

sublimi virtù che si possono apprendere solo alla scuola di Gesù Cristo.
2Pio XII tornò sul tema della democrazia nel suo messaggio alle ACLI (Associazione
Cattolica Lavoratori Italiani) del 1° maggio 1955, sottolineando il principio di isotimia, ma
rilevando che l'uguaglianza risulta inutile se si introduce la discrezionalità nell'organismo statale
e nei pubblici uffici.
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33.2. Variazione della dottrina intorno alla democrazia 409

pensamiento postconciliar como sententia communis de que la partecipationi´on


di tutti gli individui nel reggimento della comunità c'è un po' di giustizia
naturale; e quindi la monarchia, cioè l'esercizio da parte di un singolo
del diritto di ordinare la società secondo giustizia, cessa di essere una specie
forma legittima di governo e si identifica con le forme illegittime
(semplicemente per essersi opposto al sistema popolare, l'unico legittimo).
Qui ometto di sottolineare l'enorme abuso fatto universalmente con
la parola democrazia, grazie alla quale qualsiasi governo, per legge o per
fatto, legittimo o illegittimo, rivendica il titolo di democratico. Sto solo
segnalando il cambiamento avvenuto nella filosofia politica della Chiesa, che
specie in genere e fa della democrazia l'unica forma legittima di
convivenza civile. L'autorità (diritto di governare e legiferare) deve essere
distribuita tra tutti i membri della società, dalla famiglia al civile
e l'etnarchico. Secondo l'insegnamento di Pio XII, senza questa partecipazione
potere di governo la moltitudine diventa una massa e solo attraverso tale
partecipazione si forma come popolo. La democrazia implica
Di conseguenza, ciascuno si forma un'opinione sul bene comune e su
i mezzi per il fine. Di conseguenza, data l'impossibilità per tutti di governare, il
sistema democratico diventa necessariamente un sistema
rappresentante, in cui una volontà è rappresentata da un'altra volontà. Lui
Il giudizio di eccellenza della democrazia era un giudizio di ordine storico
quando si insegnava che i tre tipi di regime politico non sono adatti
se stessi, ma solo storicamente: nella misura in cui sono appropriati,
misurato e utile per una data situazione storica. Sembra quindi una variazione
importante insegnare ora che dove il cittadino non lo fa
partecipare all'autorità, la legittimità di un regime scompare. Per riconoscere la
variazione, o meglio l'asprezza della variazione, sarà utile cercare
La posizione cattolica nell'antologia di studi pubblicata nel 1940 dall'Università
Cattolica di Milano, centocinquant'anni dopo la Rivoluzione
Francese.
Qui i suoi presunti principi immortali sono dichiarati assurdi,
la Rivoluzione è descritta come afflitta da mali e quella vecchia non è incolpata
regime per aver esercitato troppa resistenza, se non troppo poca.
Cadendo nell'errore inverso, la forma monarchica è quasi identificata con
la legittimità stessa di un regime politico, e lo si afferma crudamente
il popolo, la folla, ha bisogno di un leader e di un dominatore capace di
frenare le loro passioni (p. 45).
L'autore riconosce che le aspirazioni della Rivoluzione, se ripiantate nel
terreno del cristianesimo a cui sono connaturali, possono
essere considerato legittimo, ma non pregiudica quello estirpato dalla loro terra, come
ogni altro seme / fuori dal suo terreno non porta buoni frutti.
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410 33. Democrazia nella Chiesa

33.3. Revisione del sistema democratico. sobrio


rania popolare. Competenza
Non entro qui nelle aporie della democrazia, segnalate ab antiquo dalle scuole
cattoliche, comprese quelle che con Suarez, Bellarmino o Mariana, elaborarono la
prima dottrina filosofica della sovranità popolare.
Anche questa dottrina è toto caelo diversa da quelle moderne. Concepì il popolo
come portatore di un'autorità mediata e secondaria di derivazione divina e regolata
dalla legge divina, e non immediatamente inerente alla volontà della moltitudine,
come si sostiene attualmente.
Le aporie sono di diverso genere e di diverso peso, ma hanno un'unica radice:
negano la dipendenza dell'azione politica da un principio di giustizia che va oltre
l'opinione e danno il tono anche contro di essa. Ecco i presupposti aporetici del
sistema democratico.
Primo: si presume che partecipando, cioè aggiungendo più intelletto alla
deliberazione di una questione, si ottenga una maggiore quantità di saggezza. Il
presupposto è contrario anche al giudizio dei politici.
Il Guicciardini, ad esempio, afferma attraverso Antonio da Venafro: Se metti insieme
sei o otto persone di buon senso, finiscono tutte per impazzire, perché non essendo
d'accordo mettono la cosa in disputa piuttosto che in via di risoluzione. È anche
contrario alla teoria di Le Bon di abbassare il valore medio dell'individuo 3 nella
massa.Il secondo .
presupposto soggetto a censura è che la deliberazione intorno agli affari civili
deve essere soprattutto e da parte di tutti. Si sostiene che il diritto di intervenire nella
deliberazione esiste in funzione della libertà dell'anima, quando invece tale diritto
esiste in funzione della scienza acquisita in materia. È uno di quei diritti dipendenti
da fatti certi, e non dalla natura dell'uomo. Questo è il paralogismo che assume
qualcosa di diverso dalla conoscenza e dalla competenza come criterio per la validità
di un'opinione. Il paralogismo è stato chiaramente denunciato da Socrate, secondo la
narrazione di Platone in Critone 7: se devi deliberare su cose equestri, ginniche o
mediche, non ti rivolgi a una persona qualsiasi, ma solo a qualcuno che è esperto in
quel genere. Questa aporia è oggi aggravata dalla complessità e dalla tecnicità
dell'azione statale, che rende necessario il ricorso alla consulenza di esperti. Quando
la decisione viene infine inviata a tutti i cittadini, come avviene nelle democrazie
referendarie, viene inviata ad un organo poco portato a decidere con cognizione di
causa, e quindi costretto a deliberare senza sufficiente cognizione o a rivolgersi a
suo tempo apparentemente del

3GUICCIARDINI, Scritti politici e ricordi, Bari 1933, p. 309. GUSTAVE LE BON,


Psicolog´ÿa de las multitudes, Ed. Albatros, Buenos Aires 1968.
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33.4. Prova di democrazia. Fallacia della sineddoche 411

esperti.

33.4. Prova di democrazia. fallacia di


la sineddoche
La terza ipotesi censurabile è universalmente sostenuta e predicata.
Consiste nel considerare che la volontà della maggioranza non è solo la
volontà giusta e sensata, ma è anche la volontà di tutti. È la fallacia del
sin'ecdoche, precisata da Manzoni nel saggio sulla Rivoluzione francese del
1789 analizzando il ragionamento di Siey'es (secondo il quale i deputati del
Terzo Stato, essendo l'immensa pluralità della nazione su, hanno il diritto di
essere considerati come la totalità della nazione).
Era come dire: la parte, cioè il tutto. Così, servendosi di una cifra stilistica
come la sineddoche, l'assemblea diede vita ad eventi della massima importanza
e seppe poi trasferire l'efficacia della parola nobiliare città nelle sue parti più
4 .
piccole e spesso più piccole. non ha
forza assiologica di per sé, e che ciò che è giusto è qualcosa di diverso
dalla volontà del popolo. Le leggi nel sistema cattolico non sono qualcosa di
primario, ma qualcosa di secondario, poiché sono soggette alla giustizia.
L'onestà vincola chi è fuori legge o addirittura contro la legge. Come già
affermava Cicerone, illud stultissimum, existimare omnia iusta esse quae sita
sint in populorum institutis aut legibus (De legibus I, XV, 42)
5 .

La maggioranza non è fonte del diritto: quel plus assiologico caratteristico


di ciò che si legifera non viene dal plus numerico del legislatore, ma da un
plus di altro genere che è sempre stato riassunto dalla dottrina cattolica
(sostengo in base alla Rivelazione) nell'espressione omnis potestas a Deo
(non c'è potere che non sia sotto Dio): cfr. Rom. 13, 1. In linea di principio si
potrebbe opporre che la maggioranza possa appropriarsi di questo plus
assiologico se gli associati sono unanimemente d'accordo su di esso; ma se
sono d'accordo solo a maggioranza, non sfugge all'errore della sineddoche.

4Vedi Operate, ed. cit., vol. III, pag. 307. Su tutto questo vedi Morale cattolica,
ed. cit., vol. III, pag. 299 e segg. La fallacia della sineddoche rivelata da MANZONI
rimanda al paradosso di CONDORCET, secondo il quale sommando le scelte
razionali dei singoli non si può arrivare ad una scelta collettiva che abbia la stessa proprietà.
5 Considero del tutto stupido considerare proprio tutto ciò che appartiene alle
istituzioni e alle leggi dei popoli.
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412 33. Democrazia nella Chiesa

33.5. Prova di democrazia. Maggior parte


dinamica. Parti

Che la maggioranza non sia una fonte del diritto risulta anche dall'art
appello fatto, contro la maggioranza numerica, alla maggioranza detta
dinamica, numericamente minore o anche la più piccola. Maggior parte
la dinamica sarebbe portatrice del senso della storia, della divinazione del
futuro, della volontà profonda del popolo, dello spirito del secolo, dei segni
dei tempi, e tante altre formule. Questi sono pseudo-concetti e
metafore, motivi assunti come subordinati a quel valore che nel sistema
della maggioranza risiede nel semplice fatto della prevalenza numerica.
La dottrina della maggioranza dinamica si trova nelle viscere del sistema
rappresentante; fin dagli inizi dello stato moderno alcuni lo sostenevano
il deputato del popolo doveva agire obbedendo alla volontà del popolo,
mentre altri difendevano che doveva agire per il bene del popolo, si diceva bene
riconosciuto o ignorato da esso; a questo proposito il sovrano delegante (l
popolo) è soggetto al sovrano delegato (il deputato) ed è corretto, diretto
y contraddire por ´este Ya Cicero exig´ÿa adem´as: magistrati a beneficio del popolo
6 .
piuttosto che consolare la volontà
L'impossibilità di piegare l'autorità politica a opinioni contrastanti e
fluttuanti prive di istanza assiologica, spinge le democrazie a trovare supporto
alla deliberazione della maggioranza in altri elementi puramente fattuali,
aprendo la porta al cosiddetto realismo politico e
al machiavellismo. Di qui l'esecrabile politica che insegna a stuprare ciascuno
dare tempo alla giustizia per ottenere qualche vantaggio; e quando queste violazioni
accumulati hanno portato a un pericolo molto grande, insegna che tutto è
7 .
lecito salvare tutto
Una quarta censura è quella proposta da Rosmini al sistema democratico in
quanto identificato con il sistema dei partiti. le corrispondenze sono espressioni
di dissenso e non di accordo, e pertanto non può dare all'
volontà politica quella forma che fornisce organizzazione e pace all'insieme sociale.
Sono in realtà concezioni differenti della fine della comunità civile e della
i mezzi adeguati per raggiungere il fine, per cui il recesso di una parte
prima un altro suppone che confessi di aver avuto una visione più breve del
avversario, o meno coraggio per resistere. Ed è notevole come nel
momenti di pericolo per la salus populi le parti dichiarano di rinunciare e

6L'autorità deve pensare più all'utilità del popolo che alla sua volontà (De
repubblica, lib. V, frammenti, ed. Castiglioni, Torino 1944, p. 140).
7 Morale cattolica, prima parte, cap. VII, pag. 129 vol. II della citata edizione.
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33.6. Chiesa e democrazia 413

annullato per il bene della nazione 8 .

33.6. Chiesa e democrazia


Certamente fu una momentanea cecità quella che attribuì le riforme liberali
di Pio IX all'adozione da parte della Chiesa delle dottrine del 1789. Quando nel
1848 Victor Hugo dichiarò ai Pari di Francia che un Papa che adotta la
Rivoluzione Francese e ne fa la Cristiana Revolution non è solo un Uomo, ma
un Evento, con questa incongrua prosopopea enunciava un'impossibilità
religiosa, storica e filosofica. Non c'è altra rivoluzione possibile nella Chiesa
cattolica che la rivoluzione perpetua, consumata e sempre rinnovata compiuta
attraverso la metanoia in Cristo.
Tuttavia, la tendenza democratica del Vaticano II è evidente: vuoi perché
la forma democratica è stata trasferita dalla specie al genere ed è diventata un
modello per tutti i regimi legittimi; cioè, poiché le istituzioni della Chiesa si
sono adattate allo spirito egualitario, il fatto è che la distinzione tra clero e
laicato si è indebolita, e sono stati eretti organi rappresentativi che associavano
il popolo cristiano al governo della Chiesa.
Nella Pacem in Terris del 1963, Giovanni XXIII fa derivare i diritti dell'uomo
sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite non dal dovere morale dell'uomo, e
quindi dal suo legame ultimo con Dio, ma immediatamente dalla dignità umana
(usando la formula antropotropica, di cui si è fatta propria dopo il Concilio,
dell'uomo creatura voluta da Dio per sé: cfr. §30.1). Il Papa ha certamente
ricordato il principio cattolico che ogni autorità viene da Dio, non essendoci
alcun principio di superiorità nell'uguaglianza di natura di tutti gli uomini in
forza del quale l'uno comanda e l'altro obbedisce; però non dice che la ragione
per cui c'è differenza in quella eguaglianza, e per il fatto che alcuni uguali
dominano su altri uguali, è il carattere divino dell'autorità, invece che il fatto
umano della maggioranza.

La democratizzazione fu compiuta dal Vaticano II con la creazione di organi


ecclesiastici destinati ad influenzare, anche senza forza deliberativa, il governo
della Chiesa, passando da un regime monarchico a uno poliarchico
9 .

8Una censura che colpisce la democrazia contemporanea e non quella ottocentesca


si riferisce al metodo per determinare la maggioranza. Quando ci sono più partiti
all'opposizione, l'elettore è invitato a sceglierne uno, come quando i partiti erano solo due,
invece di fargli esprimere il proprio giudizio comparativo rispetto a tutti. Vedi le mie
osservazioni in L'anacronismo elettorale, in I giorni e le voci, Locarno 1980, pp. 33 e segg.
9Il Consiglio per i laici sottolinea però, in OR, 4 dicembre 1981, che
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414 33. Democrazia nella Chiesa

33.7. Influenza dell'opinione pubblica sulla vita


della chiesa
La carta. Suenens ha affermato in un'intervista che l'esistenza dell'opinione
pubblica nella Chiesa è stata riconosciuta soprattutto dopo il Concilio. Questo è un
10
fatto relativamente nuovo nella Chiesa e l'affermazione è .
imprecisa. Quale riconoscimento il cardinale intende come nuovo per la Chiesa?
È impossibile negare l'esistenza di una potente influenza delle masse sulla gerarchia.
Non entro in quanto avvenne nei primi tempi della Chiesa, quando si deliberava nelle
assemblee dei fedeli con la formula Ci parve allo Spirito Santo ea noi.

Né entro nel plurale sciame di eresie dei primi secoli; cos'erano, se non grandi
movimenti dell'opinione pubblica? Quando i popoli del Medioevo si mossero, si
flagellarono a vicenda, chiesero il battesimo di sangue, insorsero contro i sacerdoti
concubinari o caddero nell'eresia; quando nel XIII secolo a Parigi san Tommaso
rispondeva in periodiche apparizioni alle estemporanee domande teologiche del
popolo; quando nel XVII secolo la gente semplice formò tumulti pro e contro
l'Immacolata Concezione, cacciando dal pulpito coloro che la negavano; quando nel
Settecento le dispute teologiche divisero non solo le corti e le classi intellettuali, ma
anche i meno illuminati tra il popolo, muovendo l'intera società; quando nell'Ottocento
migliaia di libri parlavano dell'infallibilità del Papa, non c'era opinione pubblica
11
12
libretti e gazzette
nella Chiesa?
E per riferirsi al fenomeno spirituale più imponente del cristianesimo, è noto il
carattere popolare della riforma francescana; ed è noto che il grande movimento
penitenziale che invase la Chiesa nel XIII secolo preparò l'ispirazione del clero, e che
quando Bonifacio VIII decise di promulgare il famoso giubileo, la cristianità lo
considerava già in atto e lo rivendicava da tempo tempo. Ancora più dimostrativo da
escludere

la Chiesa non ammette il principio democratico: La costruzione (...) della Chiesa non si fa
secondo i metodi del sistema parlamentare (...) anche se il modello democratico può
insegnarci qualcosa per la vita interna la Chiesa. Il parlamentarismo finisce
necessariamente sempre per entrare in conflitto con l'ideale dell'unità nello Spirito, di
cui proprio i ministri hanno una particolare responsabilità.
10CIDS, 1969, n. 13, pp. 406 e ss.
11Le passioni e le ragioni politiche mescolate alle dispute teologiche non dovrebbero
naturalmente essere trascurate (soprattutto in Francia), ma questa passione è una prova della
forza dell'opinione pubblica.
12Basta esserne convinti dalla diligente rassegna bibliografica che è stata effettuata in quelle
anni nella Civiltà cattolica.
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33.8. Nuovo ruolo dell'opinione pubblica nella Chiesa 415

che il popolo non abbia avuto parte nel determinare l'andamento ecclesiale
sono le consuetudini sull'elezione dei vescovi, che si sono protratte per secoli.
L'elezione non è stata fatta ad opera dal popolo, perché è compito degli
Apostoli e dei loro successori, ma con la partecipazione del popolo, che ha
testimoniato la bontà dei candidati. Insomma, non si può nascondere nei
secoli più recenti, e soprattutto dopo la riforma tridentina, l'incredibile vitalità
delle confraternite laicali, in parte dedite alla devozione e in parte orientate alle
opere di misericordia, governate autonomamente e delle quali si può dire che
il il clero era solo il servitore di ministero.
In conclusione, è storicamente infondata la visione dei laici passivi,
adottata da Paolo VI nel discorso del 22 marzo 1970. Nella specifica distinzione,
sempre conservata, tra gerarchia e popolo, questa (come parte organica
dell'insieme ecclesiale che vive dello Spirito Santo) non è mai stato un membro
passivo o meccanico mosso dai pastori. Quella che oggi si chiama opinione
pubblica non ha mai cessato di guidare, nel modo proprio di un membro
subordinato, l'intero organismo della Chiesa.

33.8. Nuovo ruolo dell'opinione pubblica nella


Chiesa
La novità non è dunque quella indicata dal card. Suenens, dell'esistenza
dell'opinione pubblica nella Chiesa, ma la sua nuova forza proveniente dal
giornalismo e dai potenti mezzi di propagazione delle idee.
Oltre a esprimere opinioni, lo amplificano incommensurabilmente, lo
fanno apparire come ciò che non è, e talvolta semplicemente lo rendono ciò
che è. Tutta l'arte propria del Sofisma che snatura la tesi forte rafforzando
quella debole, è diventata lo stigma del giornalismo contemporaneo,
alimentato dal pirronismo latente nella società civile e nella Chiesa.

Con il raggiungimento di questa esorbitante efficacia psicologica, l'opinione


domina il mondo molto più che in passato, quando le grandi verità naturali e
religiose costituivano (per usare un'immagine astronomica) il massimo sistema
entro il quale, e solo entro il quale, gli epicicli dell'opinione sono stati messi in
orbita.
La novità più rilevante nella Chiesa postconciliare è l'aver concesso la
partecipazione di tutti gli organi giuridicamente definiti della Chiesa, come il
Sinodo permanente dei Vescovi, le Conferenze episcopali, gli Inode diocesani
e nazionali, i Consigli pastorali e
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416 33. Democrazia nella Chiesa

presbiteriani, ecc. 13
Ma qui si manifesta la contraddizione interna che un organo puramente
consultivo ha con se stesso in quanto costituisce anche un organo di
rappresentanza. Come organo consultivo, deve essere composto con criteri
di competenza, mentre, al contrario, come organo di rappresentanza, deve
dare posto a tutte le esperienze ea tutte le opinioni.

C'è anche un'ulteriore contraddizione. Pur ridotto a un corpo di opinioni


disparate che la gerarchia può accettare o rifiutare, un Sinodo dei Vescovi o
un Consiglio pastorale esprime opinioni in cui può persistere anche se il Papa
o i vescovi le respingono: per cui questi organi ecclesiali partecipativi
diventano in realtà organi di dissenso e di indipendenza del popolo di Dio
rispetto ai suoi pastori e al supremo pastore.

Quanto già si attendeva emergesse con la democratizzazione della Chiesa


è stato ben presto dimostrato a posteriori dagli effetti nefasti dei sinodi
nazionali e soprattutto del sinodo olandese, per effetto dei quali la Chiesa di
quella provincia si trova in una condizione precisa, che fino ad oggi non ha
potuto guarire, nemmeno con il Sinodo straordinario convocato a Roma nel
1980 da Giovanni Paolo II.
Ma comune a tutti i sinodi, diocesani o nazionali, è la propensione
all'indipendenza e l'aver stabilito tesi e proposto riforme in contrasto con la
mente dichiarata della Santa Sede, chiedendo ad esempio l'ordinazione degli
uomini sposati, il sacerdozio della donna, l'eucaristia l'intercomunione con
fratelli separati, o l'ammissione ai sacramenti dei divorziati e bigami (Sinodo
tedesco, Sinodo svizzero).
Non torneremo sul doloroso ed evidente dissenso manifestato
nell'episcopato attorno all'Humanae Vitae (§§6.5-6.6). Tuttavia, accenneremo
brevemente alla contraddizione tra democratizzazione e costituzione divina
della Chiesa.
C'è una differenza, o´ meglio una contraddizione, tra la Chiesa di Cristo e le
comunità civili. Questi ricevono l'essere in primo luogo e poi formano il
proprio governo, e per questo sono liberi e in essi è originariamente e come
fonte ogni giurisdizione comunicata in seguito (senza privarne le autorità
sociali).
La Chiesa, al contrario, non ha formato se stessa o il suo governo: è stata
fatta in toto da Cristo, che ha stabilito le leggi prima di chiamare i fedeli e ha
concepito il disegno prima che esistessero; sono davvero uno

13 Decreto Christus Dominus e decreto Ecclesia sancta, e nuovo Codice di


diritto canonico.
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33.9. conferenze episcopali. sinodi 417

nuova creatura. La Chiesa è una società come nessun'altra, in cui il capo è


14 .
prima dei membri e l'autorità è prima della comunità.
Una dottrina fondata su una concezione democratica del popolo di Dio e
sui suoi sentimenti e opinioni è antitetica alla Chiesa; in essa l'autorità non è
chiamata, ma chiama, e tutte le membra sono servi di Cristo vincolate dal
precetto divino. Laddove il popolo dei fedeli è sovrano e gli viene attribuita
una quota, la struttura essenziale della Chiesa si capovolge. Il fatto che
questa eterogeneità tra l'ordine civile e l'ordine ecclesiastico sia generalmente
riconosciuta verbo tenus, non evita la contraddizione interna dei casi di
democrazia ecclesiale.

33.9. conferenze episcopali. sinodi


La costituzione delle conferenze episcopali ha prodotto due effetti: ha
stravolto la struttura organica della Chiesa e ha dato luogo alla
disautorizzazione dei vescovi. Secondo il diritto preconciliare, i vescovi sono
successori degli Apostoli e ciascuno governa la propria diocesi con potestà
ordinaria, spiritualmente e temporalmente: esercitando potestà legislativa,
giudiziaria e coercitiva (can. 329 e 335). L'autorità era precisa, individuale e
non delegabile, se non nell'istituto del vicario generale, essendo anche il
vicario generale ad nutum del vescovo. Certamente in alcune nazioni, come
la Svizzera, ci sono state conferenze episcopali prive di una struttura
giuridica; Stabilirono in modo consensuale le misure pastorali più opportune
per i popoli riuniti sotto lo stesso regime politico ma diversi per lingua,
lignaggio e costumi, affinché non risultasse una deformità troppo vistosa
all'interno della nazione. La Conferenza episcopale era un'assemblea di fatto,
e ogni vescovo manteneva durante e dopo le deliberazioni il pieno possesso
della propria autorità e della propria responsabilità.
Il decreto Christus Dominus attribuisce al corpo episcopale la collegialità,
cioè il supremo e pieno potere sulla Chiesa universale, che sarebbe in tutto
eguale a quello del Romano Pontefice, se potesse essere esercitato senza il
suo consenso. Questo potere supremo è stato sempre riconosciuto nelle
assemblee dei vescovi riunite con il Papa in un Concilio ecumenico. La
questione sollevata è se un'autorità che si attua solo attraverso un'istanza
superiore ad essa possa ancora considerarsi suprema, e se non finisca per
essere una mera virtualità e quasi un ens rationis. Ma secondo la mentalità
del Vaticano II, l'esercizio del potere episcopale in cui si concretizza la
collegialità è quello delle Conferenze episcopali.
´
14Questa è la peculiarità della Chiesa, difesa da Diego L a´ínez a Trento. Vedi SARPI,
Storia, ed. cit., vol. III, pag. 48.
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418 33. Democrazia nella Chiesa

È curioso come il decreto (n. 37) trovi il motivo di questa nuova istituzione
nella necessità che i vescovi dello stesso Paese agiscano
accordo, e come non vedere che questo vincolo di cooperazione (ora configurato
legalmente) altera l'ordine della Chiesa sostituendo il vescovo
da un corpo di vescovi, e la responsabilità personale da una responsabilità
collettiva: cioè da una frazione di responsabilità. La dottrina
del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia (cfr. §4.7) definisce il Papa
come principio e fondamento dell'unità della Chiesa, poiché conforme a
è a lui che i vescovi si conformano tra loro.
Non è possibile per i vescovi fondare la loro autorità su un principio
immediato che sarebbe comune al suo potere ea quello del papa. Ora con
l'istituzione delle conferenze episcopali, la Chiesa diventa a
corpo policentrico i cui numerosi centri sono le conferenze episcopali,
nazionale o provinciale.
La prima conseguenza della nuova organizzazione è un allentamento della
vincolo di unità, che si è manifestato con grandi dissensi sui punti
serio. Vedere §§6.4-6.8.
La seconda conseguenza è il disconoscimento dei singoli vescovi.
come tale; non rispondono più alla propria gente o al
Santa Sede: la responsabilità individuale è sostituita da una responsabilità
collegiale che, poiché si trova nell'intero corpo, non può essere collocata
15 .
nessuno dei membri dell'organo Nelle
conferenze episcopali le deliberazioni sono prese a maggioranza
di due terzi; ma la maggioranza così qualificata, anche se forse fornisce a
maggiore facilità di esecuzione, non impedisce l'oppressione esercitata dalla maggioranza
16
sulla minoranza (cfr. §§33.3-33.4) . Decisioni di maggioranza, però
sono stati posti all'esame della Santa Sede, ne hanno la forza
essere giuridicamente vincolante, e non solo nel caso in cui sia prescritto dalla legge
comune o di aver ricevuto dalla Santa Sede una forza particolare che
rendere obbligatorio.
Non si capisce come le conferenze episcopali possano avere la capacità

15 Si osservi che se, da un lato, i vescovi individualmente considerati lo sono


non autorizzato dalla Conferenza Episcopale, invece, non è autorizzato dalla Confederazione
delle Conferenze Episcopali.
16 Perciò è superfluo affermare che queste assemblee ecclesiali sono totalmente diverse
dalle assemblee democratiche della società civile. Hanno struttura identica e
operazione identica. Inoltre, le conferenze episcopali si trasformano, per la logica della vis
interna che le muove, in rappresentazioni dell'intero popolo di Dio, ammettendo
laici nel proprio lavoro. L'assemblea della Conferenza episcopale italiana di aprile
dal 1983 contemplava l'intervento attivo di sacerdoti e laici nel loro lavoro. Nel
Il terzo giorno sono stati dieci gli interventi di vescovi, quattro di sacerdoti e sei di laici
(OR, 15 aprile 1983).
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33.10. Sinodi e Santa Sede 419

capacità di obbligare quando il diritto comune già obbliga, e ancor meno si


vede come la responsabilità personale possa coesistere con la
corresponsabilità: cioè responsabilità piena e diretta con responsabilità
solidale e indiretta, anzi una frazione della responsabilità.
L'incompatibilità tra i due ha dato luogo a profonde divisioni e, in alcune
province come l'Olanda, a situazioni precise; in questi, i vescovi che
considerano il loro potere simile a quello del Papa sono stati abbandonati dai
vescovi fedeli a Roma, i quali traggono il principio dell'unità con i loro fratelli
dalla loro unione con il Romano Pontefice.
Di qui una generale inclinazione delle conferenze episcopali a pronunciarsi
in proprio sopra i documenti pontifici; non come in passato, con un giudizio
di obbedienza e di consenso, ma con un giudizio critico e spesso di dissenso
(come si è visto, suscitando stupore, nella promulgazione dell'Humanae vitae).

33.10. Sinodi e Santa Sede


Il fenomeno potrebbe essere interpretato come una semplice manifestazione
dell'opinione pubblica nella Chiesa; ma, in primo luogo, il parere non può
aver luogo dove c'è già una decisione del Magistero, anche se si cercano
pretesti abusando della distinzione tra magistero ordinario e magistero
straordinario: l'ordinario è considerato discutibile, e di fatto discusso, da
clero e laici.
In secondo luogo, anche se in un dato momento l'opinione (prodotto di
minoranze, anzi di minoranze minime) è in dissonanza con il Magistero,
quando si pronuncia il pronunciamento va abbandonato, poiché cessa di
essere libero. Tuttavia, come abbiamo già osservato, i Sinodi nazionali
continuano a discutere punti già decisi: abolizione del celibato, intercomunione,
ecc. Nel Forum interdiocesano elvetico del 1981, tutte le questioni dibattute
17
dal Concilio fino ad allora, e risolte con decisioni della Santa Sede (tutte, e
con il consenso dei vescovi) tornarono a comparire nell'elenco delle questioni
da discutere . Un indizio certo di questa precisa indipendenza è anche il fatto
che il Nunzio Apostolico in Svizzera non partecipò al Forum Elvetico del 1981.

Ma l'indipendenza assunta dai vescovi davanti alla Santa Sede ammettendo


come disputate materie da essa già decise, è solo una finzione: quando fanno
proprie le opinioni altrui o rinunciano a giudicarle e a discernerle,
diminuiscono o distruggono la propria autorità. diminuire o distruggere il

17Questo Forum è il sostituto surrettizio del Sinodo nazionale proposto a Roma da


vescovi svizzeri e non approvato dalla Santa Sede.
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420 33. Democrazia nella Chiesa

autorità del vescovo individualmente considerata: nella mia corrispondenza c'è la


suddetta lettera di quel vescovo svizzero che, invitato a risolvere uno scandalo in
materia di fede, confessava: Come vescovo isolato sono assolutamente impotente
(...) Finché le cose manipolato oggi nella Chiesa, che l'avvertimento del vescovo non
solo non sarebbe stato ascoltato, ma sarebbe stato persino deriso. Ma viene
18
diminuita anche l'autorità dello stesso corpo episcopale, poiché un corpo i cui
membri si sentono privi di autorità e di responsabilità non può che essere privo di
responsabilità e irresponsabile.

Va anche aggiunto che i vescovi deferiscono le questioni a commissioni di esperti


(che spesso non sono proprio esperti) e che il parere delle commissioni diventa una
sorta di coercizione morale per chi le ha nominate, come risulta dal caso Charlot ( §
13.3).

33.11. Spirito e stile dei sinodi. il fo


Rum svizzero del 1981
Oltre al disconoscimento dei vescovi, i sinodi sono caratterizzati da un grande
circosterismo di pensiero e di espressione. Il sinodo svizzero del 1981 a cui mi riferivo
era convocato e preparato da anni intorno al tema Per una Chiesa viva e missionaria.

Il concetto di Chiesa viva era ammissibile nella teologia tradizionale, che


distingueva non una Chiesa viva e una Chiesa morta, ma membra vive e membra
morte nella Chiesa. Qui invece si tratta di un riferimento generico al dinamismo e al
vitalismo moderni, per i quali il movimento e il cambiamento sono segni di vita,
invece che di permanenza nel proprio essere. Solo gli articoli in cui il Sinodo esprime
il suo dissenso dalla tradizione sono precisi e concreti. Il resto ha in comune
l'astrazione, la generalità, la metafora; Sono formule come: È necessario sentirsi una
comunità in cui ognuno accoglie le esperienze, le attese, la sensibilità ecclesiale
dell'altro in un clima di fiducia.

A causa della crescente informazione sulla povertà in cui vivono altri popoli, e
della crescente organicità tra alcuni continenti e altri, l'azione caritativa diventa un
dovere evidente dei popoli cristiani; il Forum la definisce come apertura a nuove
relazioni di crescita con altre comunità.

Lo scopo della Chiesa contemporanea è l'evangelizzazione, ma nella concezione

18Certo anche in passato i vescovi erano trascurati e oltraggiati, ma da persone


di fuori, non di dentro la Chiesa.
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33.11. Spirito e stile dei sinodi. Il forum svizzero del 1981 421

Nel Foro tutti sono evangelizzatori, perché il dovere del cristiano si vede
chiaramente solo nel suo rapporto con il prossimo.
Navigando in un confusionismo ancora più superficiale e ignaro di ogni
teodicea, il Forum (in un mondo che tutti vedono in difficoltà, in mezzo
all'ingiustizia e al dolore) dichiara finalmente che si tratta di comunicare
agli altri la nostra gioia. nella ricerca di nuove forme di vita per la Chiesa.

Il motivo della gioia, sostitutivo della fede e della speranza


soprannaturali, ha poi fatto salire il Vescovo di Lugano sul pulpito come
agnelli biblici nell'omelia finale del Sinodo. Il tema della gioia non può
essere elevato a motivo primo della religione, poiché il problema del dolore
e del male è il mistero profondo della vita e della religione, e chi chiude gli
19
occhi per non vederlo rifiuta la religione stessa. Per concludere, il Forum,
presentato come assemblea rappresentativa della Chiesa di Svizzera, era
in realtà una selezione di gruppi di rappresentanza nulla, e composta in
gran parte da persone di poca dottrina che non avrebbero resistito al
proprio docimastico delle democrazie dell'antica Grecia .
Il sinodo ha avuto due parti: una basata su concetti confusi e circolanti,
come l'inserimento nel mondo, l'apertura, la comunità vivente o l'essere
più uomini. In questa parte non si pretendono concetti precisi come
precetto divino, dovere personale, spirito di penitenza, fede soprannaturale
o atti di virtù. C'è stata poi una seconda parte, precisa e senza ambiguità
o circo, in cui il Forum sostiene che i postulati innovativi già formulati nel
primo Sinodo e respinti dalla Santa Sede sono attese della Chiesa svizzera:
ordinazione mogli, preti sposati, intercomunione, o l'ammissione ai
sacramenti dei divorziati risposati
sposare.

Il nucleo dello spirito sinodale è che lo spirito soggettivo prevale nella


vita della comunità ecclesiale, impregnandola del primato dell'opinione
pubblica; e che conviene quindi continuare a tenere aperte le questioni
chiuse dalla Chiesa. Dalla dipendenza del cristiano dall'autorità della
Chiesa si passa alla dipendenza della Chiesa dall'autorità del Demos.

19 Per le citazioni citate si veda il resoconto dei lavori del Forum sul Giornale del
popolo, 30 e 31 ottobre 1981.
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422 33. Democrazia nella Chiesa


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Cap'itulo 34

Teologia e filosofia nel


postconcilio

34.1. Filosofia e teologia nel cattolicesimo


Come abbiamo spiegato nel §15.1, l'importanza della filosofia per la
religione cattolica non si riduce a quella di un corollario, ma a quella di un principio.
La religione consiste in una rivelazione e svelamento di verità naturalmente
inintelligibili operata dal Verbo incarnato. Il principio è il Verbo (cioè la mente),
non la vita o l'amore: In principio erat Verbum (In principio era il Verbo) (Gv 1,
1). Quando Faust afferma che il principio non è la mente, ma l'Azione (die Tat),
consuma la deviazione dell'uomo dalla religione.

In molte pagine di questo libro abbiamo sollevato la teorizzazione profonda


del cattolicesimo, in cui la vita procede dalla verità come nella processione
interna della Trinità lo Spirito Santo procede dal Verbo e dal Padre (e non,
come pretendono gli orientali, immediatamente dal il padre).
La Chiesa non poteva non avere una filosofia in ciascuna delle sue tappe
storiche, poiché non poteva non giustificare in ciascuna di esse le verità
naturali su cui poggia la fede; né poteva non illuminare e approfondire per
l'uomo (che non è un puro soggetto senziente ma intellettivo) le verità
soprannaturali, che non per questo vincono l'evidenza.
Ma se è chiara l'esigenza intrinseca della filosofia che ha la teologia, è
difficile comprendere il nesso della dogmatica cattolica con una filosofia
concreta e storica. Né sarebbe ragionevole sostenere che abbia lo stesso con
tutte le filosofie, poiché ciò supporrebbe l'equivalenza di tutte rispetto alla
fede; o, in caso di contraddizione tra loro, la negazione della filosofia e il
pirronismo puro. Infine, non è abbastanza

423
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424 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

affermare l'importanza della filosofia per la religione se poi non si è in grado


di precisare quale filosofia in particolare può rendere un servizio alla religione
e quale no.
È l'aporia in cui il card. Garrone (OR, 23-24 ottobre 1970) esaltando
l'importanza della filosofia senza determinare la filosofia specifica di cui
esalta l'importanza.

34.2. Lo sfregio del tomismo. schille beeckx

La preferenza che la Chiesa riservava nelle sue scuole, in un ambiente


culturale non tomista, alla filosofia di san Tommaso è storicamente vera; non
è necessario ricordare l'intronizzazione della Summa, anche rituale, operata
dal Concilio di Trento. Basti ricordare l'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII,
privilegiando (senza esclusivismi) la dottrina di san Tommaso e legando il
rinnovamento culturale del cattolicesimo e anche la salvezza della moderna
società civile.
Tuttavia, molte voci si sono levate al Vaticano II contro quella preferenza.

Nella sessione CXXII, il card. L´eger ha dichiarato che la Scolastica non è


appropriata per i popoli non occidentali, e che il Concilio non dovrebbe
prendere posizione sui sistemi filosofici, e ha proposto di sopprimere la
menzione di San Tommaso nel testo, quindi non dovrebbe essere considerato
come un tetico maestro (autore di un sistema), ma solo metodico (sul modo
in cui il pensatore cattolico dovrebbe in ogni momento avvicinarsi al mondo
culturale della sua epoca).
La degradazione della filosofia da sistema di giudizi validi a puro metodo,
è l'interpretazione diffusa nel Congresso tomista internazionale del 1974,
insegnata anche nelle pubblicazioni divulgative cat ´olicas: ciò che è attuale
per il cattolicesimo contemporaneo, caratterizzato dal pluralismo, non è le
tesi di Santo Tom´as, ma il suo atteggiamento di apertura e incontro con la
cultura del secolo.
In Famiglia cristiana, del 3 marzo 1974, padre Schillebeeckx proponeva
due tesi che distruggevano completamente il valore della teologia di san
Tommaso.
La prima è che san Tommaso, contro la corrente agostiniana, ha attuato
una sorta di secolarizzazione cristiana che accoglie i valori delle cose in sé; e
che san Tommaso, prima di parlare di Dio, comincia soprattutto con l'analisi
delle cose create.
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34.3. Attualità e permanenza del tomismo. Paolo VI 425

La seconda tesi è che il contenuto tomista appare secondario, anche se


non certo trascurabile, rispetto al metodo e all'approccio tomista.

Seguono poi affermazioni di etica modernista attribuite a San Tommaso.


La prima tesi non è tomista, ma pseudo-tomista, e soffre dell'antropotropismo
degli innovatori. Si può solo dire che Tommaso d'Aquino, prima di parlare di
Dio, si occupa di cause seconde, se si ignora anche la struttura della Summa;
o se si dimentica come anche nel proemio dell'opera l'Aquinate dichiara che
si occuperà prima di Dio, poi del finalismo delle creature, e infine di Cristo (1,
q.2, proemio), e afferma anche che tutte le cose sono trattati in teologia in
relazione a Dio (1, ql, a.1).
Come dunque si può dire che san Tommaso analizzi prima le seconde
cause? Li analizza (se no, che tipo di filosofia sarebbe?), ma non prima e mai
in se stessi, ma in relazione a Dio. La teologia pseudotomista del teologo
olandese vede Dio ordinato all'uomo, e non l'uomo ordinato a Dio.

La seconda tesi rende completamente inutile la filosofia tomista in quanto


tale. Dov'è, secondo Schillebeeckx, il significato di San Tommaso?
Non nei contenuti (considerati secondari),
´ ma nel metodo: nel modo di
affrontare i problemi. Secondo lui, questa consisterebbe in un'apertura
orizzontale, opposta al verticalismo di san Bonaventura, e darebbe origine a
quella secolarizzazione cristiana caratteristica della nuova teologia postconciliare.
Questo tentativo di sminuire il valore teorico di San Tommaso è privo di
fondamento. Il valore di un sistema di pensiero non può essere ridotto al suo
metodo, che appartiene alla logica; va cercata nelle proposizioni stabilite dal
teologo attraverso l'argomentazione propria della sua scienza. Dire, come fa
Schillebeeckx, che non è importante ciò che dice san Tommaso, ma solo la
posizione da cui lo dice, equivale all'annullamento della teologia.
La teologia è un discorso sull'essere divino, e non sul modo di ragionare in
quel discorso.

34.3. Attualità e permanenza del tomismo.


Paolo VI
Che l'attualità del tomismo sia consistita nel suo adattamento al mondo
culturale del suo tempo è negato dal fatto che il tomismo non ha assimilato la
cultura del suo secolo, sebbene abbia avuto contatti con essa; anzi la
contraddisse vigorosamente in tutti i suoi punti incompatibili con le dottrine
della religione (§1.5).
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426 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

Che il valore del tomismo sia metodico e non teorico, nonostante la tesi
dominante nel Congresso del 1974 che portò alla fondazione di un'Associazione
internazionale in difesa di un tomismo sincretista, non passò senza disapprovazione
di Paolo VI, in una lettera al Maestro Generale dell'Ordine dei Predicatori del 14
novembre 1974.
Il Papa ripristina con verità il valore attuale del tomismo.
Il documento conclude affermando che per essere oggi un fedele discepolo di
san Tommaso non basta voler fare nel nostro tempo e con i metodi che sono
organizza oggi quello che ha fatto nel suo (non sarebbe niente di speciale fare quello che lui
tutti i Padri, da Tertulliano in poi) si accontentarono
imitarlo Camminando lungo una specie di binario parallelo senza raccogliere nulla da lui,
sarebbe difficile raggiungere un risultato positivo o almeno da offrire
alla Chiesa e al mondo quel contributo di sapienza di cui hanno bisogno. Non si
può parlare di vera e feconda fedeltà a san Tommaso se
non sono accettati i suoi principi, che sono fari per illuminare i problemi più
importanti della filosofia, e anche le nozioni fondamentali di
il suo sistema e le sue idee-forza. Solo così il pensiero dell'Angelico Dottore,
di fronte ai risultati sempre nuovi della scienza profana,
conoscerà un potente sviluppo.

34.4. Rifiuto postconciliare del tomismo


Proprio il tratto caratteristico impresso nella teologia postconciliare è il
rifiuto del tomismo come filosofia (cioè come sistema di tesi) e il suo
degradazione ad un mero atteggiamento metodico adattato alla natura dei tempi.
Gli attacchi compiuti contro il tomismo al Concilio non sono mancati
influenza sulla redazione dei testi El decreto Optatam totius sobre la
la formazione intellettuale del clero propone (§2.4) che gli studenti siano guidati
ad una concezione solida e coerente dell'uomo, del mondo e di Dio innixi
patrimonio philosophico perennemente valido, pero nada dice del tomismo 1 O
denado sin embargo por la Eterni Patris, por el can 1366, y por todos los
pontefici fino a Giovanni XXIII.
Il concetto generico perennemente valido di filosofia, sostitutivo del di più
specifico della filosofia tomista, non ha rilevanza ad rem. guardali

1La messa al bando della filosofia tomista sancita dal Concilio continua a caratterizzare
studi ecclesiastici. Tuttavia, GIOVANNI PAOLO II, nel suo discorso ai vescovi
di Francia, rivendicando la necessità della metafisica negli studi di seminario,
riferito al tomismo: l'approssimazione a Dio fatta dall'ontologia vera e propria,
centrato sull'intuizione dell'essere nella prospettiva tomista, continua ad essere insostituibile (OR,
11 dicembre 1982).
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34.5. Il tomismo teologico nella Chiesa postconciliare 427

I fatti che scivolano nel corso della filosofia da Talete a Sartre non sono
filosofia, poiché la filosofia è un organismo logico sviluppato da un principio.

Concepita in questo modo nuovo, la filosofia non è che dissecta membra:


quelle verità che costituiscono il filosofico, e non il filosofizzato.
Se la filosofia raccomandata dal Concilio fosse qualche filosofia che
potesse essere armonizzata con le verità della religione, allora anche
l'agostiniano, lo scotista, il suareziano o il rosminiano avrebbero riservato la
preferenza della Chiesa al tomismo, e la specificità del tomismo sarebbe
completamente diluito.
Così, come scrive il rosminiano Ugo Honaan in Rivista rosminiana, 1949,
p. 287, gli Agostiniani sarebbero Tomisti, gli Scotisti sarebbero Tomisti, i
Suareziani sarebbero Tomisti, i Rosminiani sarebbero Tomisti, ecc.
Come è evidente, tale sentenza annulla la filosofia tomista e tutte le altre,
riducendole a simboli della verità comune a tutte. A questa simbologia
contribuiscono anche le filosofie eterodosse, perché il Concilio vuole che si
tenga conto delle filosofie e delle indagini del pensiero contemporaneo; ma
non per respingerli come errori (s'intende), ma per estrarne, in confronto,
suffragi per la verità (Paolo VI, OR, 15 settembre 1977).

Impossibile non cogliere in questa posizione un po' di scetticismo e


un'ombra di degrado del tomismo, che non viene nemmeno nominato. In
questo modo la filosofia non è più una, ma varia.

34.5. Il tomismo teologico nella Chiesa


postconciliare
Il tomismo teologico nella Chiesa postconciliare. L'oblio dell'ÿÿAeterni
Patrisÿÿ
Tolto il tomismo dalla sua posizione preferenziale negli studi filosofici,
esso è tuttavia citato nel §2.5, dove si dice che i misteri della fede devono
essere illuminati e coordinati tra loro mediante la speculazione S.
Tommaso Magister. Ma il vero orientamento non tomista del Concilio risulta
dal fatto che l'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), che celebrava,
solennizzava e ordinava la dottrina di san Tommaso come dottrina propria
delle scuole cattoliche. Questa clamorosa omissione è ribadita dalla
Costituzione apostolica Sapientia Christiana di Giovanni Paolo II, che
contiene le linee guida per il rinnovamento delle Università.
La Costituzione amplia la libertà di indagine teologica,
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428 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

ma non si preoccupa dell'unità dottrinale e lascia ampio spazio alla pluralità


degli insegnamenti. Il riferimento a san Tommaso inserito nell'Optatam totius
del Vaticano II non solo scompare negli atti della sua applicazione, ma ha
lasciato il posto al cosiddetto pluralismo, perdendo ogni impronta originaria
degli studi ecclesiastici. Così, 4 32 prescrive per l'ammissione ad un'università
ecclesiastica i titoli accademici richiesti per l'ammissione alle università civili
del Paese.
Avverrà così che l'impregnazione della filosofia marxista ed esistenzialista
sarà condizione per entrare negli istituti di formazione del clero, e che
l'originalità e la libertà della Chiesa riguardo ai contenuti e più a tutti i propri
studi (difesi così fortemente dai vescovi nell'Ottocento contro il dispotismo
dello Stato) verrà abbandonato per prendere a modello lo stesso tipo di cultura
profana, che emargina o nega l'idea cattolica.

Anche nelle varianti introdotte dalla Chiesa nella sua ratio studiorum con
l'abbandono del tomismo e delle discipline umanistiche classiche, e nello
spirito del pluralismo sincretico, si riconosce un caso di perdita generalizzata
delle essenze e dei limiti che circoscrivono un'essenza separandola e
difendendolo dagli altri. Tutti i fenomeni della Chiesa postconciliare si
addensano logicamente attorno a questa perdita di essenze. Non c'è più
filosofia e teologia, ma qualcosa di unico e indistinto da cui si danno
espressioni diverse, siano esse coerenti o incoerenti, armoniose o contraddittorie.
L'Aeterni Patris ha sostenuto di dare la preferenza al tomismo nelle scuole
ecclesiastico i seguenti titoli.
In primo luogo, il tomismo si fonda sulla capacità della ragione umana e
rifiuta ogni scetticismo, totale o parziale: la missione primaria del pensiero è
affermare le verità naturali su cui insiste la verità rivelata.

In secondo luogo, a causa di questo riconoscimento della capacità dello


spirito di apprendere il vero, il tomismo presenta (illuminando) le verità di fede
nella misura in cui sono intelligibili per analogia.
In terzo luogo, in virtù di questa capacità radicale, non solo dimostra le
verità naturali e illumina quelle soprannaturali, ma ne difende anche la validità
contro le obiezioni.
Ma questi tre titoli si riassumono in un unico titolo, il riconoscimento della
distinzione tra ordine naturale e ordine soprannaturale: cioè tra filosofia e
teologia, che costituisce il supporto della speculazione ´sulla cattolica.
Il Vaticano II ha completamente eliminato questa preferenza tacendo
completamente, come abbiamo visto, l'Aeterni Patris, abbassando il valore del
sistema dal teorico al metodico, e aprendo la strada al confronto con le
filosofie dei tempi moderni senza determinare a quale fine questo confronto dovrebbe arrivare.
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34.6. Il pluralismo teologico nella tradizione 429

che (§§5.3-5.4) la scuola modernizzante utilizza ampiamente il procedimento


consistente nell'ammettere nel vocabolo le cose negate in re, ed essendo
anche una legge storica e psicologica che più un valore nell'ordine reale, più
frequente nel ordine verbale, il centenario dell'Aeterni Patris ha avuto la sua
celebrazione e glorificazione (veramente vana, perché nessun annuncio ha la
forza di costringere le cose a non essere quello che sono).
La variazione stabilita nella Chiesa dal Vaticano II è confessata nel
Congresso Romano su San Tommaso d'Aquino nel centenario dell'enciclica
Aeterni Patris: Con il Vaticano II, nonostante il suo riferimento a San Tommaso,
si apre così il periodo di pluralismo teologico in cui viviamo oggi comincia
(Atti, Roma 1981, p. 168).

34.6. Il pluralismo teologico nella tradizione


Sebbene la parola pluralismo sia usata nel Concilio solo per indicare le
diversità e le opposizioni interne alla società civile, e mai per riferirsi alle varie
scuole teologiche che hanno speculato sui dogmi nell'ambito della Chiesa, il
pluralismo è, insieme al dialogo , idea ispiratrice e guida del pensiero
postconciliare.
Ma se il pluralismo politico è conforme alla nozione di comunità politica
(soprattutto quella moderna, che rifiuta ogni unità tranne quella discendente
dal principio di libertà), non è affatto facile conciliare l'idea di pluralismo con
quella della verità dogmatica, e quindi con quella della teologia cattolica.

Una pluralità di scuole teologiche era nota al cristianesimo fin dai suoi
albori; e se forse il pensiero di Giovanni e di Paolo non è una dualità di
teologie, si possono tuttavia riconoscere due scuole: l'alessandrina e
l'agostiniana, la francescana e la tomista, la neotomista e la rosminiana; per
non parlare della pluralità di soluzioni date a punti particolari nel campo
dell'ortodossia, come avvenne intorno alla fine dell'Incarnazione (contesa tra
tomisti e scotisti), dell'Immacolata Concezione (tra domenicani e francescani),
o della predestinazione e del libero arbitrio (tra Ba˜necianos e Molinistas); e
per non parlare della molteplice diversità tra i casisti sulla regola immediata
della coscienza, contrizione e logoramento, e molti altri punti della teologia
morale.
2
Il pluralismo è insito nell'indagine teologica , e non mancava mai

2 Esistono anche prove legali che sanciscono il diritto a tale pluralità, e memorabile
è la sentenza della Sacra Rota del 1946, che annullò due decreti dell'Ordinario di Milano
che sopprimevano, non per motivi di ortodossia, ma di scuola teologica, un istituto di
formazione ecclesiastica (Revista rosminiana, 1951, p. 158).
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430 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

nel pensiero cattolico. Tuttavia, il fondamento di tale pluralità è cambiato nella


teologia postconciliare. Il pluralismo preconciliare si basava su due punti.

Il primo è la relativa inadeguatezza tra l'intelletto speculativo e il mistero


della fede. Le risorse della mente del teologo sono limitate, o per la sua natura
essenzialmente finita o per la sua debolezza individualmente contingente.
Può cogliere solo con assoluta certezza (di fede) il significato primario del
dogma, ma gli sfuggono le implicazioni, il quomodo e le conseguenze del
dogma stesso.
Ad esempio, il teologo coglie il significato primario della formula
eucaristica: questo è il corpo di Cristo, ma sul modo in cui questo è il corpo
di Cristo la certezza diminuisce (cfr §33.2) . Secondo l'insegnamento di san
Tommaso, il corpo di Cristo è nel sacramento per transustanziazione e
permanenza degli accidenti precedenti; secondo Pico della Mirandola,
mediante una sorta di unione ipostatica; secondo Duns Escoto, per
moltiplicazione delle presenze; secondo Campanella, assumendo il pane nel
quinto modo metafisico trascendentale; e secondo Rosmini, mediante la
vivificazione trasformativa della sostanza del pane mediante l'opera di Cristo.
In queste teorie divergenti ci può essere un errore se la modalità discussa
non salva il significato primario del dogma, facendo della presenza
sacramentale un atto più immaginario che reale: figurativo e meramente
simbolico, piuttosto che realtà ed esistenza. Al di là dell'affermazione di fede
ÿÿquesto è il corpo di Cristoÿÿ, la teologia contrae il dubbio insito
nell'inadeguatezza della facoltà conoscitiva sia nelle verità soprannaturali che in quelle naturali
Il secondo fondamento dato dalla teologia classica al pluralismo è l'oscurità
intrinseca dell'Infinito, vuoi perché la mente del teologo è debole e fallibile,
vuoi perché l'oggetto è eccessivo e oscuro, dando luogo a una pluralità di b'
ricerche e soluzioni.
Entrambi i motivi del pluralismo conservano il principio protologico della
religione, secondo cui la verità coincide con l'essere, e la verità umana è una
partecipazione della prima verità allo stesso modo in cui l'ente finito è una
partecipazione dell'Ente primo.

34.7. Il pluralismo teologico degli innovati


ris

La motivazione del pluralismo postconciliare è di tutt'altra natura, e rifiuta


la protologia cattolica. Nel già citato Congresso sul tomismo il rifiuto è
manifesto. Si professano mobilismo aperta facie
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34.7. Il pluralismo teologico degli innovatori 431

e la sua bandiera, pirronismo relativista.


La teologia (si dice) deve adeguarsi al pensiero moderno e quindi
separarsi dalla mentalità classica con cui la Chiesa si è identificata fino
al Vaticano II.
L'aggiornamento è inteso al Congresso come assimilazione alla
mentalità moderna, senza dimostrare preventivamente se tale assimilazione
sia possibile. La realtà (si dice) non va concepita come un sistema di
nature che riproducono in modo finito i riflessi dell'Idea, e conosciute
originano il concetto di verità. La realtà (si dice al contrario) è pura
storicità, e la stessa natura umana è in continuo divenire, non perché
l'essenza immutabile si rivesta di esistenze che variano, mantenendola
identica, ma perché il suo valore consiste nello scorrere, nel variare ,
contraddicendosi e contraddicendosi. Il mondo è considerato, dice il
Congresso, come se fosse qualcosa di quasi totalmente oggettivo,
quando tuttavia è una costruzione piuttosto soggettiva e relativa alla prospettiva sociale e storica
3
. Ma se non c'è sostanza fissa e verità raggiungibile dall'intelletto, come
si può salvare il privilegio concesso dalla Chiesa al tomismo? Dove,
come afferma il card. Alfrink (§15.2), nessuna verità è fissa, ma tutto si
muove, come potrebbe esserci un valore teorico inviolabile e privilegiato?
Dove non c'è ÿÿacquisizione per sempreÿÿ, ma solo ÿÿacquisizione
momentaneaÿÿ, sia la filosofia che la teologia diventano discutibili: sono,
simpliciter, dissolte.
Non meno incompatibile con la protologia cattolica è lo pseudotomismo
che ferisce di soggettività l'intero processo conoscitivo. Qualsiasi realtà
per essere conosciuta deve entrare a far parte della nostra esperienza,
dove è investita dalla soggettività per diventare un oggetto, ma immanente
e quindi relativo alla coscienza. Qui viene sconfitto il tema fondamentale
della filosofia di san Tommaso. Indubbiamente l'ente conosciuto deve
essere investito della forma soggettiva fornita dall'intelletto, ma secondo
san Tommaso «questo non relativizza né altera il conosciuto, perché la
forma soggettiva è solo quella dell'universalità: lascia l'es». il contenuto
del pensiero, semplicemente togliendo la forma della concrezione (ciò
che non è pensato) per collocarla in quella dell'universalità (ciò che è pensato).
Le conseguenze del pirronismo e del mobilismo sono accolte dal
Congresso anche nei corollari dell'etica, attaccata attraverso il relativismo.
Viene negata la legge immutabile e viene dignitosa la coscienza personale,
che non è più soggetta a regole rispetto alle quali è totalmente passiva
(§28.2), per diventare creativa e autoregolatrice.

3Abbiamo già fatto la critica del pirronismo nei §§15.2-15.3 e nei §§17.1-17.6 quella del movi
lismo, e ad essi ci riferiamo.
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432 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

Se, come dice il Congresso (p. 171), neppure la natura umana può dirsi
identica ovunque, allora non solo non ci sarà un'unica regola per le coscienze,
ma nemmeno un identico modo di crearla, poiché significati e i valori sono
prodotti dalla mente umana.
In conclusione, si può affermare che la celebrazione dell'Aeterni Patris (si
4 era solo una finzione cerimoniosafa per dire, per la galleria) è dovuta in parte
al senso del pudore, che esige continuità nel comportamento, e in parte alla
scomparsa del senso logico, che qui come in altre parti di questo libro
abbiamo visto perdere la percezione della differenza tra le essenze e
confondere il tutto con il tutto.
Dal punto di vista soprannaturale, il mobilismo e il pirronismo si riflettono
sul concetto di fede, che secondo il Congresso non è più intesa come atto di
assenso a verità rivelate, ma come impegno esistenziale (p. 169). I primati si
confondono e, attraverso la causalità della fede rispetto alla carità, si salta
all'identificazione dei due (§ 20.1).
A cosa si riduce allora il valore del tomismo celebrato dalla Chiesa?
Il Congresso non può dartene uno senza contraddirsi.
Dopo aver constatato che ogni filosofia è provvisoria, che ogni conoscenza
è affetta dal relativo e dall'effimero, e che non c'è essenza permanente
nemmeno nell'uomo, il Congresso ritiene di poter affermare che San Tommaso
ha unito la mentalità statica e quella dinamica mentalità in modo singolare (ha
cioè unito sincreticamente il contraddittorio), e rompendo con la ristrettezza
della storicità, ha percepito e formulato intuizioni fondamentali che sono alla
base del pensiero e del comportamento dell'uomo. Come si può parlare così,
se non c'è un fondamento fisso che implichi il riconoscimento dell'Idea, e se
si solleva una pluralità simultanea o successiva di principi?

34.8. Il dogma e le sue espressioni


Come si vede, il pluralismo teologico modernizzante procede dal
relativismo pirronista, per il quale è impossibile concepire un oggetto senza
introdurre in esso il soggetto; e perciò considera il dogma come un quid che
non si può conoscere, ma piuttosto dà origine a varie esperienze vitali
formulate dall'intelletto in schemi variabili e opposti, ma equivalenti. Tutto

4Leggendo gli Atti di questo Congresso commemorativo, vengono in mente alcuni


libri pubblicati, in regime di censura religiosa o politica, in passato. Un'opera intitolata
Vita della Beata Vergine sul frontespizio conteneva alcuni quinterni di stampe
irreligiose, e la Descrizione del viaggio di Sir John Chasterly nascondeva le idee
della giovane Italia
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34.8. Il dogma e le sue espressioni 433

le teologie vengono annullate dall'equivalenza, e il nodo della religione continua


essendo (secondo il principio modernista) il sentimento, il vissuto.
Tale dottrina chiama in causa le formule in cui si esprime la Chiesa
dogma, e il cui valore sarebbe puramente storico e culturale: non relativo al
contenuti intrinseci della verità divinamente rivelata, ma solo della modalità soggettiva
con cui i contenuti sono storicamente appresi
e vissuto secondo le diverse culture e scuole.
Nell'enciclica Mysterium fidei Paolo VI ribadì con forza contro
gli innovatori che le formule dogmatiche utilizzate dalla Chiesa rappresentano
ciò che lo spirito umano consegue dalla realtà stessa attraverso l'esperienza:
l'esperienza è a ut quo, e non a ut quod intelligitur.
Quindi le formule sono comprensibili a tutti gli uomini di tutti
volte, godendo di una sovrastoricità correlativa alla trascendenza
dell'oggetto. Anche Pio XII, nelle prime pagine di Humani generis,
ha insegnato che i misteri della fede possono essere espressi in termini veri
e invariabile. L'innovazione introdotta dai novatori attacca dunque il fondamento
epistemologico della dogmatica cattolica e ritorna all'errore
modernista.
La teologia non sarebbe l'apprensione (esprimibile in formule) di una verità
5
immobile, ma come la traduzione è comunemente insegnata, oggi in parole di
l'esperienza del credente, secondo Zahrnt, è solo una nozione teologica
un'esperienza maturata dalla riflessione. L'esperienza è essenzialmente
soggettiva e mutevole, è evidente che ci sarà solo una teologia soggettiva
e mutevole; e sebbene avrà un carattere comune, dipenderà da questo carattere
una concordanza di esperienze sempre soggettive, piuttosto che la fissità di
un oggetto imposto.
È una proposizione fondamentale della filosofia cattolica che il verbo mentale sia
si conforma all'essere della cosa pensata, e il verbo vocale si conforma al verbo mentale
6
. Una catena di certezze va dall'ordine ontologico a quello dell'intelletto ea quello del
lingua.
Ma se si sostiene, con gli innovatori, che le formule raccolgono solo l'apprensione
soggettiva anziché il contenuto ontologico della verità,
la teologia si dissolve nella pura psicologia e la dogmatica nella storia del cane
E.

Il rapporto tra verità di fede e formule dogmatiche è certamente difficile. Paolo VI,
nel suo discorso in Uganda, ha definito la Chiesa conservatrice del messaggio e ha
sottolineato che lo conserva in formule che devono essere

5Por ejemplo, en el difundid´ÿsimo Nuovo Dizionario di teologia, ed. Paoline, Tur´ÿn 1975.
6 Vieni al mio discorso en Arcadia Abbiamo perso da tempo i veri termini delle cose, en Atti e
memorie di Arcadia, serie tercera, vol. VIII, Roma 1978.
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434 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

mantenere alla lettera (OR, 2 agosto 1969). Ammesso però che il linguaggio
della fede che va custodito ammetta la pluralità, la questione resta ancora in
sospeso: le formule non sono, in fondo, determinazioni di linguaggio? Questa
incertezza si trova già nel discorso inaugurale del Concilio, dove distingueva
tra il depositum fidei e le formulazioni della sua copertura e il modo di
enunciarlo ÿÿeodem tamen sensu eademque sententiaÿÿ.

Innanzitutto le formule non sono coprenti (gli abiti sono aggiunte


estrinseche), ma espressione di una nuda verità. Come dice il testo latino del
discorso, sono affermazioni di verità ricevute, e non è possibile mantenere il
significato di una proposizione esprimendola in termini di significato diverso.

Se, ad esempio, la formula della fede è ÿÿil pane è transustanziato nel


corpo di Cristoÿÿ, la formula ÿÿil pane è transfinalizzato nel corpo di Cristoÿÿ
distrugge la verità della fede, perché cambiare lo scopo è ÿÿtoto caeloÿÿ
diverso dal cambiare la sostanza. Tentando una nuova interpretazione della
fede, come si pretende, alcune parole vengono sostituite con altre; ma siccome
le parole non sono semplici segni o ganci a cui agganciare concetti, si passa
ugualmente da un senso all'altro, da una verità alla sua negazione.

34.9. Teologia e magistero. Hans Kung


Non mi dilungo sulla trasformazione che la teologia postconciliare ha
cercato di introdurre nella sostanza dei dogmi promuovendo una nuova
presentazione, che comporta realmente un nuovo significato.
La proposizione ÿÿGesù è il figlio di Dioÿÿ significa per alcuni che Gesù è
una persona sussistente come vero Dio e come vero uomo, e per altri che
Gesù è un uomo perfettamente secondo la volontà di Dio e moralmente
identificato con Dio. Per la nuova teologia, però, non si tratta di due cristologie
reciprocamente incompatibili, ma di due modalità diverse della stessa fede. È
la tesi del card. Willebrands, per il quale le differenze dogmatiche tra cattolici
e ortodossi sarebbero semplici differenze di lingua (OR, 16 luglio 1972).

Al Sinodo dei Vescovi del 1967, il card. Seper, Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, ha denunciato il carattere eterodosso della teologia
postconciliare in questi termini: «Si è giunti a un punto tale che non si può più
parlare di una sana e proficua indagine, né di un legittimo adattamento , ma di
un'indebita innovazione, di false opinioni e di errori nella fede (OR, 28 ottobre
1967). Questa descrizione non differisce da quella ripetuta da Paolo VI circa la
dissoluzione interna della Chiesa.
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34.9. Teologia e magistero. Hans Kung 435

Ma la dissoluzione a cui ha portato il pluralismo ha una causa più profonda, ed è


la libertà di opinione rivendicata dalla scuola modernizzante contro l'autorità didattica
del Sommo Pontefice.
Che questa autorità sia stata accorciata nel suo esercizio durante il pontificato di
Paolo VI l'ho mostrato nei §§6.3-6.10. Qui basterà un semplice riferimento alla dottrina
cattolica.
La libertà di indagine, o meglio, lo spazio dell'indagine teologica, ha un doppio
limite: le parole della Scrittura e le parole del Magistero. Tuttavia, nel sistema cattolico
le parole della Scrittura illuminano il teologo solo alla luce del Magistero, e il Magistero
lo illumina solo alla luce della Scrittura, per una causalità reciproca che fu negata dagli
innovatori del Cinquecento e parimenti dagli innovatori contemporanei.

Famosa a questo scopo è la dottrina di Hans Kèung, che si distacca da tutti i


dogmi cattolici, sia quelli della filosofia razionale (per esempio, la dimostrabilità
dell'esistenza di Dio), sia da quelli della teologia rivelata (per esempio, l'ontologicamente
natura divina di Cristo). Tuttavia, questi sono rami della dottrina e discendono dalla
negazione radicale del principio cattolico di dipendenza.

La mente dipende dall'oggetto e si conforma ad esso; la fede dipende e aderisce


alla Parola rivelata; il teologo dipende e si conforma ai dati dogmatici depositati nella
Chiesa e sviluppati dal Magistero. Per K¨ung la fede è un sentimento di fiducia nella
bontà originaria del reale, il cui sentimento è vivibile ed esprimibile in infiniti modi,
sicché ogni religione è via di salvezza.

Per lui la Chiesa non è un fondamento centrato su Cristo, ma l'espanso


e diffusa memoria di Cristo nel genere umano.
È fin troppo chiaro che il teologo esercita tale memoria allo stesso modo di
qualsiasi cristiano; e come l'eminenza di tale ufficio non è da ricercarsi nell'istituzione
positiva dell'autorità didattica di Pietro, ma nell'eccellenza individuale, così l'ufficio
didattico non è più esclusivo dell'episcopato unito a Pietro, ma competenza comune
dei teologi .
Di qui la negazione dell'infallibilità della Chiesa, che sarebbe fallibile, anche se
indefettibile, cioè soggetta all'errore, senza mai cadervi interamente, e storicamente
composta di valori e antivalori come tutti fenomeni umani.

In ultima analisi, il sistema di Kung è un composto di antiche deviazioni alimentate


da un'alta qualità letteraria e riafferma interamente il principio luterano della luce
privata e della fede come fiducia.
Il caso K¨ung, trattato con grande cautela dalla Santa Sede, fu deciso con il decreto
del 15 dicembre 1980, che privò K¨ung della
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436 34. Teologia e filosofia nel postconcilio

titolo di teologo cattolico; Come si vede, il decreto fa una qualificazione personale, più
che dottrinale, e manifesta ancora una volta la disunione nella Chiesa:
fu attaccata con vari proclami da parte di interi corporazioni universitarie, con firme di
protesta da parte del clero. È un effetto collaterale del
rinuncia all'autorità.
Kung ha continuato a insegnare le sue dottrine a voce e sulla stampa. Lui
Il precetto di Paolo a Timoteo, (di non insegnare un'altra dottrina) (I Tim. 1, 3) è
al contrario: il pirronismo e il mobilismo cercano di ÿÿinsegnare un'altra dottrinaÿÿ come se
questo era un sintomo della virtualità della fede.
Nel commento a quel brano, san Tommaso dice che il dovere del
Superiore In primo luogo, per frenare i falsi insegnanti, in secondo luogo, per impedire alle persone di farlo
7 .
falso docentibus intendet Ma
oggi quel dovere si immola davanti al principio di libertà.

7Prima sopprimete chi insegna l'errore; secondo, per impedire alle persone di prestare attenzione
ci'on chi insegna l'errore.
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Cap'itulo 35
ecumenismo

35.1. Variazione del concetto di ecumenis


mo. L'istruzione del 1949
Indubbiamente questa variazione è la più significativa di quelle prodotte
nell'ordinamento cattolico dopo il Vaticano II, e contiene tutte le ragioni della
presunta variazione fondamentale che siamo soliti precisare nella formula
della perdita di essenze.
La dottrina tradizionale dell'ecumenismo è stabilita nell'Instructio de
motione oecumenica promulgata dal Sant'Uffizio il 20 dicembre 1949 (in AAS,
31 gennaio 1950), che riprende l'insegnamento di Pio XI nell'enciclica
Mortalium animos. Si stabilisce quindi: Primo: la
Chiesa cattolica possiede la pienezza di Cristo e non deve perfezionarla
mediante l'opera di altre confessioni.
Secondo: l'unione non deve essere perseguita mediante una progressiva
assimilazione delle diverse confessioni di fede né mediante un adattamento
del dogma cattolico ad un altro dogma.
Terzo: l'unica vera unità delle Chiese si può realizzare solo con il ritorno
(per reditum) dei fratelli separati alla vera Chiesa di Dio.

Quarto: i separati che ritornano alla Chiesa cattolica non perdono nulla
di sostanziale che appartiene alla loro particolare professione, ma lo trovano
identico in una dimensione compiuta e perfetta (completum atque absolutum).

Di conseguenza, la dottrina evidenziata dall'Instructio presuppone: che la


Chiesa di Roma sia il fondamento e il centro dell'unità dei cristiani; che la
vita storica della Chiesa, che è la persona collettiva di Cristo, non si svolga
attorno a vari centri, alle diverse denominazioni cristiane,

437
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438 35. Ecumenismo

che avrebbero un centro più profondo situato al di fuori di ciascuno di loro; e


infine, che i separati devono muoversi verso il centro immobile che è la Chiesa
al servizio di Pietro. L'unione ecumenica trova la sua ragione e il suo termine
in qualcosa che è già nella storia, che non è qualcosa di futuro, e che i separati
devono recuperare.
Tutte le cautele adottate in materia ecumenica dalla Chiesa romana e
soprattutto la sua non partecipazione (tuttora mantenuta) al Concilio ecumenico
delle Chiese, sono motivate da questa nozione di unità dei cristiani e
dall'esclusione del pluralismo paritario delle denominazioni separate. Infine,
la posizione dottrinale è una riaffermazione della trascendenza del
cristianesimo, il cui principio (Cristo) è un principio teandrico il cui vicario
storico è il ministero di Pietro.

35.2. La variación conciliar. Furfante. Carta. Bea


La variazione introducida por el Concilio es patente tanto a trav´es de los
signos extr´insecos como del discurso te´orico. En el Decreto Unitatis Redinte
gratio la Instructio de 1949 no se cita nunca, ni tampoco el vocablo retorno. La
parola reversione è stata sostituita dalla conversione
Le denominazioni cristiane (compresa quella cattolica) non devono
rivolgersi l'una all'altra, ma gravitare tutte insieme verso il Cristo totale situato
al di fuori di esse e verso il quale devono convergere.
Nel discorso inaugurale del secondo periodo, Paolo VI ha riproposto la
dottrina tradizionale riferendosi ai separati come a coloro che non hanno la
felicità di essere uniti a noi in perfetta unità con Cristo. Unità che solo la Chiesa
cattolica può offrire loro (n. 31).
Il triplice vincolo di tale unità è costituito dallo stesso credo, dalla
partecipazione agli stessi sacramenti e dalla opportunamente coerente tia
unici ecclesiastici regiminis, anche se questa unica direzione implica un'ampia
varietà di espressioni linguistiche, forme rituali, tradizioni storiche, prerogative
locali , correnti spirituali o situazioni legittime.

Ma nonostante le dichiarazioni papali, il decreto Unitatis redintegratio


rifiuta il reditus dei separati e professa la tesi della conversione di tutti i
cristiani.
L'unità non deve realizzarsi con il ritorno dei separati alla Chiesa cattolica,
ma con la conversione di tutte le Chiese nel Cristo totale, che non sussiste in
nessuna di esse, ma viene reintegrato attraverso la convergenza di tutte in una.

Dove gli schemi preparatori definivano che la Chiesa di Cristo è la


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35.2. La variación conciliar. Furfante. Carta. Bea 439

Chiesa cattolica, il Concilio concede solo che la Chiesa di Cristo sussiste


nella Chiesa cattolica, adottando la teoria che la Chiesa di Cristo sussiste
anche nelle altre Chiese cristiane e tutti devono essere consapevoli di tale
sussistenza comune in Cristo.

Come ha scritto un professore gregoriano in OR del 14 ottobre, il Concilio


riconosce le Chiese separate come strumenti di cui lo Spirito Santo si serve
per operare la salvezza dei suoi membri. In questa visione comune di tutte le
Chiese, il cattolicesimo non ha più alcun carattere di preminenza o esclusività.
Già nel periodo dei lavori preparatori del Concilio (§§3.1 e segg.) padre Maurice
Villain (Introduzione all'ecumenismo, Ed. Desclée de Brouwer, Bilbao 1962)
proponeva di abbandonare l'antinomia tra la Chiesa cattolica e le confessioni
protestanti, distinguendo tra dogmi centrali e dogmi periferici, e ancor più tra
le verità di fede e le formule con cui il pensiero le oggettiva ed esprime in
modo contingente, e non sono immutabili.

Poiché queste formule non sono l'effetto di una facoltà espositrice di


verità, ma di una facoltà che dà categoria a un dato sempre inconoscibile,
l'unione deve essere fatta in qualcosa di più profondo della verità, che Villain
chiama il Cristo orante. Ma, a parte quanto detto al § 34.8, è da notare che
mentre la preghiera di tutti coloro che si rivolgono a Cristo è certamente un
mezzo necessario di unione, pregare insieme per l'unione non costituisce
l'unità (che è di fede, di sacramenti e di governo).
La carta. Bea riprende un concetto simile di ecumenismo in Civiltá católica
(gennaio 1961), così come in conferenze e interviste (Corriere del Ticino, 10
marzo 1971).
Ha dichiarato che il movimento non è un ritorno dei separati alla Chiesa
romana e, seguendo la sentenza comune, ha assicurato che i protestanti non
sono completamente separati, poiché hanno ricevuto il carattere del Battesimo.
Tuttavia, citando i Mystici corporis di Pio XII, secondo i quali sono ordinati
al corpo mistico, è arrivato a far sì che vi appartengano, e quindi si trovino in
una situazione di salvezza non diversa da quella dei Cattolici (OR, 27 aprile
1962). La causa dell'unione è da lui riportata per rendere esplicita un'unità già
virtualmente presente, di cui si tratta semplicemente di prendere coscienza.

Questa unità è solo virtuale anche nella Chiesa cattolica, che non deve
prendere coscienza di se stessa, ma di quella realtà più profonda del Cristo
totale che è la sintesi delle membra disperse della cristianità. Non si tratta,
quindi, di un ritorno dell'uno verso l'altro, ma di una conversione di tutti verso
il centro, che è il Cristo profondo.
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440 35. Ecumenismo

35.3. Ecumenismo postconciliare. Paolo VI.


La segreteria del sindacato
La sostituzione del termine conversione di tutti con quello di conversione
dei separati è di grande importanza nel decreto Unitatis redintegratio 6, dove
si insegna una riforma perpetua della Chiesa. Ma il termine ha un significato
incerto. In primo luogo, se non si è indulgenti con il mobilismo, bisogna dire
che c'è uno statuto del cristiano entro il quale si sviluppa il suo personale
perfezionamento religioso e dal quale non deve partire per convertirsi in un
altro stato. In secondo luogo, la conversione (il continuo movimento perfettivo
del cristiano) è di per sé necessaria anche per l'opera di riunificazione della
Chiesa; ma non ne costituisce l'essenza, essendo un momento del destino
personale.
Sempre in un intervento in sala operatoria del 4 dicembre 1963, il card.
Bea, pur riconoscendo la differenza tra le Chiese, afferma che i punti che ci
dividono non si riferiscono realmente alla dottrina, ma al modo di esprimerla,
poiché tutte le confessioni assumono una verità di fondo identica a tutte:
come se la Chiesa sarebbe stato ingannato per secoli e l'errore era
semplicemente un errore. L'azione del pastore delle parabole evangeliche non
consisterebbe nel deviare (cioè nel far tornare: ÿÿcondurreÿÿ), ma puramente
nel lasciare aperte le porte dell'ovile, che quindi non sarà. ovile del pastore,
ma qualcos'altro.
In una pericope inserita nel discorso del 23 gennaio 1969, Paolo VI sembra
vicino a tale opinione. Dalla discussione teologica, dice il Papa, si evince qual
è il patrimonio dottrinale cristiano; quale parte di essa deve essere enunciata
autenticamente e insieme in termini diversi, ma sostanzialmente uguali o
complementari; E come è possibile, e in definitiva vittoriosa per tutti, la
scoperta dell'identità della fede, della libertà nella varietà delle espressioni, da
cui può derivare felicemente l'unione da celebrare in un solo cuore?

Da questa pericope consegue che l'unità preesiste e deve prenderne


coscienza, e che la verità non si trova abbandonando l'errore, ma
approfondendone la sostanza. Identica la posizione di Giovanni Paolo II nel
discorso al Sacro Collegio del 23 dicembre 1982, in occasione della VI
Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese: Celebrando la Redenzione
andiamo di più Andiamo oltre le incomprensioni e le polemiche contingenti
per riscoprirci nel terreno comune del nostro essere cristiani. In
quell'assemblea erano rappresentate trecentoquattro denominazioni cristiane
che, secondo OR, 25-26 luglio 1983, hanno espresso attraverso il canto, la
danza e la preghiera i vari modi di significare una condotta di
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35.3. Ecumenismo postconciliare. Paolo VI. La segreteria del sindacato 441

rapporto con Dio.

Significativo il documento in lingua francese della Segreteria per il


sindacato in applicazione del decreto Unitatis Redintegratio (OR, 22-23
settembre 1970). La formula tradizionale è ripresa da Lumen Gentium 8:
unità dell'unica Chiesa, unità di cui Cristo ha dotato la sua Chiesa fin
dall'inizio, e che sussiste in modo inammissibile, come crediamo, nella
Chiesa cattolica. , come speriamo, deve aumentare senza sosta fino alla
consumazione dei secoli. In questo modo la Chiesa cattolica possiede
l'unità e la accresce non formalmente (cioè diventando più una) ma
materialmente (aggiungendo così le denominazioni attualmente separate):
è un'estensione, non un'intensificazione dell'unità.
Tuttavia, l'intero documento si sviluppa successivamente in un'unità
prospettica che va ricercata, più che comunicata, in una reciprocità di
riconoscimenti grazie alla quale si persegue ulteriormente la risoluzione
delle divergenze delle differenze storiche attuali 1 .
Le differenze dogmatiche sono viste come differenze storiche che il
ritorno alla fede dei primi sette concili dovrebbe rendere irrilevanti. Così,
lo sviluppo omogeneo del dogma dopo quei sette concili è implicitamente
negato; alla fede viene dato un movimento retrogrado; e al problema
ecumenico viene data una soluzione più storica che teologica.
Questa mentalità per cui l'unità deve essere realizzata sinteticamente
ricomponendo frammenti assiologicamente uguali ha ormai2 ribaltato
,
completamente la situazione tradizionale. L'appello rivolto nella
Congregazione LXXXIX del Concilio dal Vescovo di Strasburgo ad evitare
ogni espressione alludente al ritorno dei fratelli separati, è diventato
l'assioma dottrinale e l'orientamento pratico del movimento ecum.

La critica del metodo del dialogo generalizzato, sviluppata nei


§§16.1-16.6, è particolarmente appropriata per il dialogo ecumenico, ea
quelle epigrafi si rimanda.

1Queste differenze potrebbero anche essere conservate come dogmi particolari delle
Chiese locali. Di qui la proposta di alcuni teologi riformati di ammettere il primato di Pietro
come dogma della provincia romana della Chiesa universale. In non poche parrocchie in
Francia viene predicata la pratica della doppia appartenenza, in forza della quale i
coniugi di religione mista praticano indistintamente entrambi i culti (ICI, n. 556, 15
novembre 1980).
2Paolo VI parlò anche (in OR del 27 gennaio 1963) della ricomposizione dei
cristiani separati gli uni dagli altri nell'unica Chiesa cattolica, universale, cioè
organica, e quindi propriamente composta, ma uniti in un'unica e univoca fede.
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442 35. Ecumenismo

35.4. Conseguenze dell'ecumenismo postconciliare

Conseguenze dell'ecumenismo postconciliare. Arresto di


conversioni
Questo libro non può toccare tutti i punti della fede e della teologia che hanno
risultati raggiunti dalla trasformazione dottrinale esposta.
Riguardano la dottrina della salvezza, la teoria che distingue tra
anima e corpo della Chiesa, alla distanza tra fede e buona fede, e allo sviluppo
di dogma. Conviene, però, non trascurare del tutto alcune conseguenze
manifeste di questa nuova impresa ecumenica, e sulle quali senza
Tuttavia, di solito non parlano.
Viene abbandonato il principio del ritorno dei separati 3 , sostituito dal
dalla conversione di tutti al Cristo totale immanente in tutte le confessioni.
Come professa apertamente il patriarca Atenagora, in questo non si discute
movimento di riavvicinamento di una Chiesa all'altra, ma di a
riavvicinamento di tutte le Chiese al Cristo comune (ICI, n. 3II, p. 18,
1 maggio 1968). Se questa è l'essenza dell'ecumenismo, la Chiesa cattolica
non può più attrarre a sé, ma solo concorrere con le altre denominazioni in
la convergenza verso un centro che è al di fuori di esso e di tutti gli altri.
Mons. Le Bourgeois, vescovo di Autun, lo professa apertamente: Finché
non si raggiunge l'unità, nessuna Chiesa può pretendere di essere sola
l'unica autentica Chiesa di Gesù Cristo (ICI, n. 585, p. 20, 15 aprile,
1983). Padre Charles Boyer, in OR del 9 gennaio 1975, con un articolo
che si scontra con la tendenza del giornale riguardo alla questione ecumenica e
rimasta senza alcuna risonanza, rivela le cause di tale recessione nelle conversioni,
e li riconosce nel generale abbandono da parte del mondo della visione
teotropica, e anche nella potente suggestione della civitas hominis sul presente.
generazione; ma ne accusa esplicitamente l'azione ecumenica. Si sostiene
che tutte le Chiese siano uguali, o quasi. Si condanna il proselitismo e, per 4
evitarlo, la critica degli errori e una chiara denuncia degli errori
la vera dottrina. Si consiglia alle diverse denominazioni di mantenere il loro
identità che rivendicano una convergenza che avverrà spontaneamente.
Anche se l'autore mitiga la sua censura attribuendo (con poca veridicità)
tale condotta soprattutto per separare le confessioni, lo sostiene proprio

3Il presidente del Consiglio conciliare olandese ha così spiegato la posizione di detto
Chiesa: l'unità della Chiesa non significa più un ritorno alla Chiesa cattolica così com'è
è oggi, ma un riavvicinamento di tutte le Chiese verso ciò che è la Chiesa di Cristo
dovrebbe essere (ICI, 281, p. 15, 1 febbraio 1967).
4Questo è anche il termine usato per designare l'opera di reclutamento della Chiesa
Il cattolico si è sviluppato in passato nelle missioni.
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35.5. Carattere politico dall'ecumenismo 443

zione invalida la sostanza del nuovo ecumenismo cattolico. Le conversioni


alla fede cattolica non possono non cadere a dismisura se la conversione non
è più il passaggio dell'uomo da una cosa ad un'altra totalmente diversa, né un
salto di vita o di morte. Se con la conversione al cattolicesimo sostanzialmente
non cambia nulla, la conversione diventa irrilevante, e chi si è convertito può
pentirsi di averlo fatto.
Vivendo in un Paese di religione mista, ho avuto modo più volte di
rispecchiare i sentimenti dei protestanti convertiti, che oggi rimpiangono la
loro decisione come qualcosa di superficiale e sbagliato. Il grande scrittore
francese Julien Green dichiara con amara franchezza che oggi non si
convertirebbe più: perché lasciare una religione per un'altra, quando si
possono distinguere
5 solo per nome?
Conosco casi di ebrei convertiti che, dopo le capitolazioni e le rettifiche
del Vaticano II, sono ritornati alla sinagoga originaria. Invece oggi non è
possibile convertirsi, perché l'atto di riconversione al protestantesimo sarebbe
nullo per equivalenza, così come nulla fu la conversione al cattolicesimo.
6 .

35.5. Carattere politico dall'ecumenismo


A volte si dava importanza alla conversione personale, e sembrava un
metodo non conforme alla spiritualità della metanoia che avvenisse in massa
e come risultato di trattative svolte nell'ambito della gerarchia.
Il metodo moltitudinario fu praticato nei secoli in cui il sovrano dirigeva l'intero
tessuto sociale e ispirava anche la sua religione. Gran parte della
cristianizzazione dei barbari seguì la conversione individuale dei loro re, che
in seguito promossero l'evangelizzazione dei popoli.
Ancora nel Settecento la missione era un'azione sui sovrani e
le classi dirigenti, più che l'evangelizzazione del gregge.
La defezione di intere città al tempo della Riforma si identifica con la
defezione dei principi. Federico di Sassonia in Germania ed Enrico VIII in
Inghilterra provano le potenti cause politiche dei mutamenti religiosi, attraverso
i quali intere nazioni passarono alla Riforma dopo il decreto del principe.

5 Cit. it Itinerari, n. 244, pag. 41.


6 Il Vescovo di Coira dichiarava alla dott.ssa Melitta Br¨gger che nel decennio
1954-1964 vi furono nella sua diocesi 933 conversioni protestanti (150.000 anime), e
nel decennio successivo solo 300 diciotto. Il Vescovo di Lugano, citando tale
diminuzione, dichiarò di non voler decidere se il fenomeno fosse positivo o negativo
(17 gennaio 1975). Negli Stati Uniti, prima del Concilio, si contavano annualmente
circa centosettantamila conversioni: ora, poche centinaia.
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444 35. Ecumenismo

Nonostante l'insistente rivendicazione da parte di tutte le parti alla libertà


di religione, l'unione raccomandata doveva essere fatta con un metodo simile
a quello seguito in tempi in cui vigeva il cuius regio, eius principio.

Non spiegherò qui il disaccordo di questo metodo con il carattere specifico


dell'adesione alla fede; né vedo alcuna differenza tra negoziare la religione di
un popolo tra principi che decidono con l'aiuto di teologi, e farlo tra capi delle
varie confessioni; né pretendo di negare che la Chiesa abbia sempre negoziato
la causa unionis (da Lione a Firenze, da Poissy a Mechelen) attraverso poche
persone.
Ma su quest'ultimo punto va notato che il metodo autoritario, in cui pochi
decidono per tutti, è plausibile nel sistema cattolico, fondato sull'autorità
della Chiesa; ma è incongruo nelle confessioni fondate sul principio dello
spirito privato e che rifiutano ogni ministero gerarchico, non potendo
decidere sui punti di fede senza previa consultazione con la comunità. Credere
che la concordia tra opposte posizioni dottrinali possa essere prodotta
attraverso la via pragmatica della negoziazione è tipico degli spiriti pragmatici,
e non dei filosofi o degli uomini di fede. Un bellissimo e piacevole precedente
è il decreto di Aulo Gelio, uomo energico e (come si dice oggi) dinamico;
Divenuto proconsole in Grecia, ritenne possibile porre finalmente fine alle
controversie dei filosofi e li convocò a un congresso: credeva di poter mettere
in ordine le idee come lo metteva nell'amministrazione. Cicerone ride di lui
gentilmente in De legibus I, XX, 53.
Il congresso di Gelio ha qualcosa di ioculare, ma i Concili convocati nei
secoli per la causa unionis (tra cattolici e greci, tra cattolici e protestanti, o
tra alcuni protestanti e altri) ebbero gravi e importanti conseguenze.
Memorabile in questo genere fu l'unità sancita nel ducato di Nassau nel 1817
sotto il governo di un tale principe, un'unione singolare in cui ognuna delle
sette manteneva la propria fede e tuttavia tutte compresero che avrebbero
formato un'unica Chiesa.
Bisogna confessare che la conversione di nazioni intere fu talvolta il
risultato di atti politici concordati in trattative o ordinati direttamente per
decreto di autocrati: i popoli li seguirono sotto costrizione o con
condiscendenza, oppure prima una cosa e poi un'altra. Un esempio
recentissimo è quello della Chiesa cattolica romena, separata da Roma e
forzosamente annessa dal governo sovietico al Patriarcato di Mosca.
Non nego che l'unione ecumenica richieda un inizio in cui concorrono
ragioni di genere politico, ma non dimentico che ci sono due tipi di uomini:
quelli atti a gestire gli affari e quelli atti a gestire le idee; e ancor meno
dimentico che le idee non sono gestibili come lo sono gli affari, e trattarle in
un altro modo che con la logica non può che portare a un'unione
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35.6. Incoerenza del metodo ecumenico 445

puramente verbal.

35.6. Incoerenza del metodo ecumenico


L'attuale metodo ecumenico contraddice per diversi motivi la mentalità da
cui proviene.
In primo luogo trascura un elemento che è sempre stato considerato
principale, e cioè che il protestantesimo non può essere preso come un'unità,
essendo un insieme plurale di credenze. In secondo luogo, il metodo soffre di
una contraddizione interna: mentre predica riferendo l'unione alla conversione
personale dei credenti (chiamati ad approfondire la loro fede particolare),
tuttavia la rimanda alla decisione di pochi; Questi cercano l'unione senza
delega dei popoli, come richiederebbe però il grande principio della persuasione
personale basata su criteri religiosi. Da dove viene l'autorità rappresentativa
di quei pochissimi teologi ai quali è dato di occuparsi dell'unione?
Solo la Chiesa cattolica, fondata sul principio dell'autorità e nella quale i fedeli
compirebbero l'atto di unione governato dalla gerarchia, sfugge a questa
obiezione. Ma quelle poche centinaia di denominazioni separate che non hanno
principio di autorità e sono fondamentalmente corporazioni di diritto civile,
non verificano nessuna delle condizioni per cui può diventare legale la
decisione di unirsi ad un'altra comunità presa da alcuni atto di unione della
comunità in quanto tale.
Il metodo ecumenico è attuato dalla Chiesa cattolica secondo il principio
gerarchico, mentre le altre comunità presumono di rappresentare una
moltitudine
´ non unificata e non hanno alcun titolo per farlo.
Per questo Pio IX, convocando il Concilio Vaticano,
Mi rivolgo a tutti i protestanti, non alle loro comunità.
In ogni caso, viene abbandonata la tanto celebrata esigenza della
consapevolezza personale; un atto puramente religioso è affidato alla virtù
politica di un gruppo ridotto, e si professa apertamente che l'unione non deve
avvenire attraverso singole conversioni, ma attraverso l'accordo di grandi
organismi collettivi come le Chiese.

35.7. Scorri verso l'ecumene del


non cristiano
Pertanto, la variazione della dottrina consiste nel fatto che l'unione di tutte
le Chiese si fa, più che nella Chiesa cattolica, nella Chiesa di Cristo,
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446 35. Ecumenismo

attraverso un movimento di tutte le denominazioni verso un centro situato


fuori da tutti loro.
Ma la variazione del concetto di unità dei cristiani comporta necessariamente
una variazione del concetto di missione. Anche religioni
i non cristiani devono entrare nell'unità religiosa dell'umanità; Ma
come per i fratelli separati, questo non accade più quando vengono a cercarsi
conversione al cristianesimo, ma approfondendone i valori intrinseci e
riscoprendo così quella verità più profonda che sta alla base di tutte le religioni.
L'idea è sviluppata da Jean Guitton nella sala operatoria del 19 novembre,
1979. La diversità (dice) è un bene, e nessuno dovrebbe sacrificare nulla. ma è
facile obiettare che esistono diversità costituite da antitesi tra il vero
e il falso, e che a volte ci sono errori nelle religioni non cristiane che lo sono
devono sacrificarsi. In ogni caso, secondo Guitton, il cattolicesimo non ha
niente di specifico per contribuire: si occupa solo di approfondire i valori
immanenti a tutte le esperienze religiose. Pertanto, per un maomettano,
convertirsi significa essere sempre più maomettani, per un ebreo essere di più
ebreo, per un buddista essere più buddista, ecc. Il rifiuto di convertirsi (cioè,
fare lavoro religioso) è diventato un luogo comune, e la chiamata di
la Chiesa cattolica viene evitata come deplorevole proselitismo.
La novedad es evidente, y el decreto conciliar Ad gentes 1 sobre las mi
siones la fundamenta sobre el presente orden del mundo from quo nova sursurgit
humanitatis condicio, pur non abbandonando le formule tradizionali che
considerano le missioni come adesione alla fede di Cristo.
La variante porta, in teoria, a rendere superflue le missioni.
La novità è coerente con tutto il sistema della tendenza alla scomparsa di
la specifica trascendenza della religione cattolica. unità cristiana
separato si compie con un movimento verso il Cristo totale presente
in fondo a tutti i credenti in forza della grazia battesimale. In qualche
In questo senso, il carattere soprannaturale del movimento unitario può ritenersi
conservato. Ma se i non cristiani sono destinati a unirsi ai cristiani,
per una mutazione che li porta oltre se stessi al Cristo della Chiesa
Cattolico, ma per un approfondimento del proprio credo, allora sembra
che Cristo (principio dell'ecumene) è al fondo della sua coscienza naturale; e si
cade certamente nella negazione del soprannaturale e nel
equiparazione della caratteristica naturale a quella soprannaturale della grazia. L'inizio
de la salvaci´on no viene céilitus, sino est un immanente a la naturaleza
7 .
umana e risplende in tutti gli uomini

7Pertanto, in perfetta coerenza con questa idea di una teocrazia religiosa o pammixis,
nel Missel des dimanches 1983 dei vescovi di Francia, nella festa di Tutti i Santi,
È richiesto Insieme ai Santi di tutte le credenze e incredulità.

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