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distinguere tra false teorie filosofiche sulla natura, l'origine, la fine del mondo
e dell'uomo, e correnti di natura economica e sociale, culturale o politica,
anche se tali correnti hanno origine e slancio in tali teorie filosofiche. Perché
una dottrina, quando è stata elaborata e definita, non cambia più. Al contrario,
le correnti a cui si fa riferimento, quando si sviluppano in mezzo a condizioni
mutevoli, sono necessariamente soggette a continui mutamenti (n. 159).
La tesi del Papa si presenta come una deduzione dalla massima insegnata
sempre dalla Chiesa, secondo la quale occorre distinguere tra l'errore e chi
sbaglia, tra l'aspetto puramente logico dell'assenso e l'apparenza che esso ha
come atto di la persona.
Il difetto contingente di una disposizione mentale non toglie alla persona
il suo destino verso la verità e la dignità assiologica che ne deriva. Questa
dignità deriva dall'origine e dalla finalità ultraterrene dell'uomo, che nessun
fatto intramondano può cancellare e che è piuttosto indistruttibile: anche nei
dannati tale dignità sussiste.
Ma da questa massima che distingue l'errore da chi sbaglia, l'enciclica
giunge alla distinzione tra la dottrina ei movimenti che ad essa si ispirano;
descrive le dottrine come immutabili e chiuse in se stesse, mentre i movimenti
all'interno del fluire della storia sarebbero in continua fieri, e perennemente
aperti alle novità che le trasformano fino a farne i loro opposti.
La tesi del Papa risponde all'antico e comune sentimento della Chiesa, già
espresso da san Paolo: Omnia autem probate (...), quod bonum est tenete (1 Ts 5, 21).
8
. Ma soprattutto, secondo le parole dell'Apostolo, non si
tratta di sperimentare (cioè di partecipare al movimento nella prassi), ma di esaminare
per discernere e aderire nella prassi a ciò che si può trovare vero positivo in movimento
Come si vede, sia questo socialismo cristiano di Curci che quello di Toniolo
rifiutano il principio marxista della lotta di classe e cercano una riforma sociale
che non sia il risultato di una lotta violenta; e neppure primariamente opera
delle leggi civili, ma frutto dello sviluppo morale del cristianesimo.
Due articoli essenziali del sistema cattolico devono essere mantenuti saldi.
Primo: la fine del genere umano è soprannaturale; in questo mondo si serve il
valore assoluto, nell'altro se ne gode. Secondo: l'opera dell'uomo non può
prevaricare contro la giustizia, davanti alla quale nessun fatto e nessuna utilità
possono prevalere.
10Perché ci sono quelli che giacciono nell'indigenza senza loro colpa, mentre tu sei ricco?
11Ascoltate queste parole, vacche di Bashan, che abitate sul monte Samaria; cosa opprimi
gli indifesi e calpesta i poveri e di' ai tuoi padroni: portate e berremo
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svanisce: gli uomini non saranno più interessati alla Chiesa se non dal momento
in cui avranno conquistato l'umano. Pertanto, il cristianesimo è storicamente
svuotato di possibilità, poiché ciò che può in virtù della fede non ha radice in
sé, e tutte le sue possibilità dipendono dalla precedente opera di liberazione
del potere umano, che appartiene solo al comunismo.
Il cristianesimo, primum e incondizionato, diventa qualcosa di secondario
e condizionato. Non solo le si impedisce di contribuire indirettamente alla
liberazione umana, ma è considerata l'effetto della liberazione umana
precedentemente operata dal comunismo. La liberazione spirituale (il regno di
Dio) attende di ricevere il proprio essere da un cambiamento temporaneo, o
almeno totalmente umano.
Inutile sottolineare come qui sia in gioco l'errore primario del comunismo:
esso destina alcuni uomini alla liberazione (quelli che vivranno anche quando
verrà la temporanea liberazione) sacrificando le generazioni presenti a quelle
future; come se non tutti gli uomini, ma solo alcuni, fossero destinati alla loro
fine.
In secondo luogo, la vita futura ultraterrena, irraggiungibile prima che il
paradiso fosse stabilito sulla terra, lascia la Chiesa inanimata e inerte nel
presente della storia. Di più: se la Chiesa, in forza della sua essenza
soprannaturale e ucronica, esercitasse nel nostro tempo il suo ufficio di
predicazione della verità, di appello all'aldilà e di costruzione dell'uomo nuovo,
il destino dell'uomo sarebbe ostacolato.
Poiché la perfezione umana è la condizione della liberazione spirituale,
subordinare o semplicemente coordinare il temporale allo spirituale è qualcosa
di rovinoso per il genere umano. La pag. Montuclard lo professa senza
ambiguità: No, i lavoratori cristiani non ignorano il cristianesimo. Quante volte
non hanno ascoltato il messaggio cristiano! Ma quel messaggio sembrava loro
una bufala. E ora, che si parli loro dell'inferno, della rassegnazione, della
Chiesa, o di Dio, sanno che in realtà tutto questo serve solo a strappare loro
dalle mani gli strumenti della propria liberazione. Qui viene adottato il pensiero
dei giacobini, secondo i quali la religione può apparire allo spirito spassionato
come un'impostura il cui scopo è disarmare la giustizia. C'è anche la ragione,
incompatibile con il cattolicesimo, per cui il regno previsto dal Vangelo è
l'insediamento dell'uomo nella pienezza naturale dell'uomo, e non l'insediamento
di una nuova creatura.
E l'inferenza pratica di una tale assiologia è l'assoluta inefficacia del
cristianesimo nel mondo attuale e il suo obbligo di ritirarsi, di contrarsi, di
tacere davanti all'attesa della liberazione temporanea: l'unica fra tutte da cui
possa nascere la liberazione spirituale; ma perché, se l'uomo avrebbe poi
raggiunto la sua perfezione umana? Le parole di Jeunesse de l'Eglise sono
commoventi: Cosa vuoi che facciamo allora? non c'è per noi
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più che un possibile e vero atteggiamento: tacere, tacere a lungo, tacere per
anni e anni, e partecipare a tutta la vita, a tutte le lotte, a tutta la cultura latente
di questo popolo lavoratore che, senza volerlo, abbiamo così spesso confuso
(pp. 59-60).
15Basti ricordare la famosa lettera di LENIN a Maximo Gorky, in cui c'è la religione
chiamato un'indicibile infamia e la più disgustosa delle malattie.
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17 È superfluo osservare che questa parusia destinata a compiersi in un mondo già maturo
nella perfezione si contrappone ad litteram alla parusia descritta nella Scrittura, nella quale
concorreranno errori, fughe, odi e disastri.
18Ver ROMANO AMERIO, Il sistema teologico di Tommaso Campanella, Mil´an-N´apoles
1972, cap. VII, pp. 272 e ss.
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Due: il primo, non modificare affatto la situazione attuale, e allora riterrei che
avrei completamente fallito nella mia missione; il secondo, educare i contadini
trasformando la loro fede, e questo è il successo, e il terzo, educare i contadini,
ma far loro perdere la fede, il che sarebbe solo un semi-successo (p 168).
Cap'itulo 12
La scuola
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alle intime convinzioni degli studenti. Era un residuo dei sistemi politici adottati
dalle monarchie assolute, che, oltre ai doveri civili, incorporavano i doveri
religiosi negli obblighi degli studenti.
Spesso questi sistemi toglievano alla linea del dovere quell'elemento di libertà
che porta con sé il valore morale della condotta. Nella dichiarazione
Gravissimum educationis, il Vaticano II distingue e ammette due tipi di scuole.
Le prime sono le scuole pubbliche istituite e rette dallo Stato: la loro finalità
generica è lo sviluppo intellettuale, la trasmissione dei beni culturali e la
preparazione professionale (n. 5). Il suo principio unificatore (imposto, come si
afferma al n. 6, dal pluralismo vigente in molte nazioni) consiste nel fare a meno
della religione.
Non si nota in questo passo della Dichiarazione che il principio unificatore
dell'educazione deve essere di ordine superiore al rispetto del pluralismo, e per
tale disattenzione il n. 6 contrasta con la definizione del secondo tipo di scuola,
appunto quella cattolica. Il fine della scuola cattolica comprende i fini assegnati
alla scuola pubblica, ma va oltre e vola più in alto di essi, perché aiuta gli
adolescenti affinché nello sviluppo della propria persona crescano al tempo
stesso secondo la nuova creatura che essi sono state fatte dal battesimo, e
ordina ultimamente tutta la cultura umana secondo il messaggio della salvezza,
perché la conoscenza che gli studenti saranno illuminati dalla fede la
acquisiscano dal mondo, dalla vita e dall'uomo (n. 8).
avere) si può dedurre solo dall'insieme delle massime che informano la società
civile, che si riassumono nei valori dell'etica naturale: fare il bene, rispettare il
prossimo, reprimere l'egoismo, coltivare la benevolenza universale, essere
sinceri, cooperare per il bene comune , o venerare e onorare la patria. Tuttavia,
questa condotta era possibile solo quando gli Stati non avessero abiurato le
basi della giustizia naturale su cui gli uomini concordavano (§§20.6-22.1), né
avessero adottato il principio dell'indipendenza della persona, derivato dal
principio del pirronismo e autonomia senza ortonomia (§§15.2-15.3).
3 Tra il 1898 e il 1930 i docenti del Liceo cantonale di Lugano erano esuli
politici, italiani galantemente militanti, segnati da veementi passioni ideali e anche
da sofferenze ingiuste: fuggivano dall'ira altrui e dalla propria. Tuttavia quegli
uomini, quando poi entrarono in classe, seppero adagiarsi sulla riva di quel mare
in tempesta da cui provenivano tutte le loro alte e furiose passioni. Nessuno dei
discepoli si sentì mai oltraggiato, ma nemmeno alluso con un'ombra di disprezzo
per le loro opinioni religiose e civili.
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non meno rilevanti dei fatti sono gli apprezzamenti teorici sull'attuale inutilità e
insensatezza della scuola cattolica. Mons. Leclercq, emerito di teologia morale
presso l'Università cattolica di Leuven, riconosce nelle università cattoliche
una generalizzata incompatibilità con la civiltà contemporanea, segnata dal
pluralismo e nemica di tutti i ghetti. Questa incompatibilità lo priva di qualsiasi
ragion d'essere. Ma l'argomentazione di mons.
Leclerq non è conclusivo e si smentisce per assurdo. Proprio in un mondo
pluralistico la presenza di un'università cattolica è normale: non si può volere
il pluralismo, cioè la pluralità delle dottrine, e rifiutarlo affermando che nessuna
dottrina può entrare come elemento della pluralità.
5Non meno esplicito è Mons. MARTINOLI, Vescovo di Lugano, che racconta agli studenti
del Collegio Papio di Ascona: vi chiedo di approfondire la conoscenza di
Gesù, della Chiesa, della religione. Aumenta la tua conoscenza di altre religioni e
correnti filosofiche che non sono in sintonia con il cristianesimo. Ginnasio primaverile della virtù
Anuario del Collegio Papio de Ascona, p. 26
6Che attualmente non esiste una cultura cattolica specifica e indipendente, l'essere
diluito nella cultura generale, fu sostenuto senza opposizioni da P. EMMANUEL al convegno
di Roma sulle radici cristiane dell'Europa (OR, 26 novembre 1981).
7Vedi, ad esempio, il manuale Images et r´cits d'histoire, Parigi 1979, in cui il
i leader della persecuzione religiosa, come Gambetta e Jules Ferry, sono esaltati come
ÿÿgrandiÿÿ della patria.
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8Il domenicano Pf¨urtner (Friburgo, Svizzera), prof. Franco Cordero (Università Cattolica
di Milano), il Vescovo di Cuernavaca, ecc.
9 op. cit., IV ed., Bari 1926, p. 174.
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10Non si può dire che un individuo sia maestro di se stesso o che insegni a se stesso
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e che la conoscenza astratta di ciò che è stato vissuto è puro concettualismo. Ora, lo scopo
proprio e formale dell'insegnamento (senza escluderne la catechesi) non è quello di
produrre un'esperienza, ma una conoscenza. Il discepolo è guidato dal maestro a passare
da una conoscenza all'altra attraverso un processo dialettico di presentazione delle idee. Il
fine della catechesi non è un immediato incontro esistenziale ed esperienziale con la
persona di Cristo (si entrerebbe allora nella mistica), ma la conoscenza delle verità rivelate
e dei loro preamboli.
L'ascendenza modernista di questa pedagogia non può sfuggire a chi sa che il principio
filosofico del modernismo era il sentimento, che risolve in sé ogni valore e prevale sui
valori teorici; questi sono considerati come l'astratto di cui l'esperienza è il concreto.
Como ense˜na San Agust´ÿn en De civ. Dei, XX11, 30, 4, ci sono due tipi di conoscenza
dei mali, uno per cui non si nasconde la potenza della mente, e l'altro per cui i sensi sono
uniti insieme dall'esperienza, perché altrimenti tutti i vizi sono conosciuti attraverso il insegnamento del saggio.
11 .
altrimenti attraverso la peggiore vita di uno sciocco
Ci sono due conoscenze del male: una consiste nella presenza del male nella mente, e
l'altra nell'apprensione del male attraverso l'esperienza. Ma questa seconda scienza per la
quale il male si conosce vivendola non è la conoscenza, ma la oltrepassa e fa parte della
morale, perché è l'atto con cui lo spirito sceglie ciò che è conosciuto e unisce così l'ordine
ideale con l'ordine reale di ciò che è stato vissuto. Non confondere la sperimentazione con
la conoscenza, tanto meno farne l'unica fonte di conoscenza. Tutta l'ascesi e la pedagogia
cattolica poggiano su questo fondamento e non possono scomparire senza rovinare
l'edificio. Ed è falso ciò che si insegna, anche tra i cattolici, che è necessario conoscere il
male per combatterlo; almeno è falso che sia necessario
11Così, i mali possono essere conosciuti in due modi: dalla scienza intellettuale o
dall'esperienza corporea. In un modo, la saggezza dell'uomo onesto conosce i vizi, e in
un altro, la vita spezzata del libertino.
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12Cfr. ANTONIO VICOLUNGO, Nova et veterana. Cane. Francesco Chiesa, linea Edizioni
Pao, Alba 1961. Questo sacerdote, famoso non meno per la sua dottrina che per la sua carità
pastorale, fu ispiratore e collaboratore di p. Alberione, fondatore della Società San Paolo per la
stampa cattolica. Da allora la Fraternità è stata pubblicamente censurata due volte da Paolo VI a
causa delle sue deviazioni dottrinali. È comprensibile che la Fraternità abbia tolto dai suoi cataloghi
tutte le opere teologiche del Servo di Dio.
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pedagogico. Così come nella morale autonoma la volontà data dalla legge
Allo stesso modo manca una legge, quindi nella pedagogia autonoma, chi è istruito
di per sé manca di un'autorità sottostante. Viceversa, se presente
la verità trascende l'intelletto che si impone all'assenso dell'uomo, di più
avviene in particolare con le verità di fede (oggetto di catechesi): no
trascendono solo l'uomo come qualsiasi altra verità, ma in un certo senso
molto speciali in quanto sono verità rivelate e non vanno riaffermate
per evidenza, ma per dono a Dio.
C'è una peculiare incompatibilità tra catechesi e autoeducazione.
Demolendo la verità come autorità, la catechesi cessa di essere apprensione
della verità da ridurre alla sua ricerca, in uno stato di assoluta uguaglianza con
ogni altro insegnamento. Il grande movimento di rinnovamento catechistico
dopo che il Consiglio è riuscito finora a distruggere tutte le vestigia del
catechesi tradizionale, ma 13
non ha prodotto un indirizzo dottrinale
14
comune né alcuna realizzazione positiva: non pochi catechismi pubblicati
dai centri diocesani corrispondenti sono pieni di sconsideratezza, di
errori dogmatici e stravaganze. La nuova catechesi può essere creduta
sostenuto dal discorso di Paolo VI del 10 dicembre 1971, che sembra
adottare i due principi della nuova teologia: primo, che occorre abbandonare metodi
eccessivamente autoritari nella presentazione dei contenuti dottrinali, assumendo una
15
condotta più umile e fraterna di
cercare la verità; secondo, che insegnare significa essere aperti al dialogo con gli
studenti, rispettosi della loro personalità. Nel primo passaggio di
discorso, è manifesta la confusione tra didattica ed euristica, tra comunicazione del
sapere posseduto e ricerca della verità, tra cattedra e
controversia. È un nuovo caso di passaggio involontario da un'essenza all'altra
e l'annullamento implicito di uno di essi. È vero che nell'atto di insegnare
possono insinuarsi tutti i semi della miseria umana, compreso l'orgoglio; ma non
dovrebbe esserne sorpreso, anche se è necessario prevenirlo
continuamente: nelle pieghe più nascoste dell'agire umano ribolle quella miseria. Forse
l'orgoglio non si insinua anche nel dialogo di ricerca
della verità? La verità può essere insegnata senza lo spirito della verità e con
13El Nuovo catechismo antico di FRANCO DEL FIORE, saggio di autentico rinnovamento pubblicato
dalla SEI dei Salesiani e raccomandato dalle lettere della Segreteria di
State, è stato successivamente ritirato per decisione dell'editore, nonostante il suo successo di vendite. Era
ripubblicato da ARES nel 1981 e nel 1985.
14Sulla ÿÿmiseriaÿÿ dottrinale della nuova catechesi, denunciata dal card.
RATZINGER nel discorso del gennaio 1983 a Lione ea Parigi, cfr. §6.11.
15Questa accusa di autoritarismo può sembrare strana oggi, quando qualunque predicatore presenta
le sue opinioni nuove e infondate e non ha paura di contrapporle alla dottrina
perpetuamente insegnato dalla Chiesa. A volte i fedeli erano davanti a loro
all'autorità della Chiesa, oggi si confrontano con quella del predicatore.
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Cap'itulo 13
catechismo
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il dovere di custodire la fede dei loro figli li teneva lontani da un insegnamento corrotto
dato dai sacerdoti con l'approvazione del vescovo. Il Catechismo olandese è stato
soppresso solo nel 1980, dopo il sinodo straordinario dei vescovi olandesi tenutosi a
Roma sotto la presidenza di Giovanni Paolo II.
Le commissioni catechetiche della diocesi di Parigi hanno prodotto molti testi che
interpretano male la Scrittura, mettono in dubbio il dogma e corrompono la morale. Ad
esempio, il libro di Jean Le Du Qui fait la loi?, sul Decalogo, contesta la storicità della
legislazione sinaitica, che sarebbe un'operazione fraudolenta compiuta da Mosè per
consolidare la sua autorità. Le Du abbraccia in pieno la tesi dell'impostura religiosa
diffusa da Voltaire a causa del suo furioso odio antiebraico, perenne antecedente
dell'odio anticristiano (come si vedeva chiaramente nell'ideologia nazista). Rispondendo
alla domanda nel titolo, Le Du spoglia la legge della sua origine divina, naturale e
rivelata, trasformandola in una produzione della coscienza in evoluzione dell'uomo, che
si libera dal mito, si secolarizza e, infine, Scegli il tipo di uomo tu vuoi essere.
Il libro Dieu est-il dans l'hostie? da L´eopold Charlot, sacerdote responsabile del
Centre r´egional d'enseignement d'Angers, venduto anche negli uffici parrocchiali. Il
tema del libro è il modo in cui l'Eucaristia deve essere considerata oggi come una
presenza reale. Il suo contenuto essenziale, di cui l'autore non misura il significato, è
che per ogni epoca c'è un modo diverso di intenderla, e che il modo proprio del nostro
tempo è di intendere detta Presenza Reale come una presenza che non è reale, ma
piuttosto fantasiosa e metaforica: identica a quella con cui affermiamo la presenza di
Beethoven in una qualsiasi delle sue sonate e nel sentimento di chi le ascolta. Charlot
insegna ai catecumeni che l'Eucarestia non è stata istituita da Cristo nell'Ultima Cena,
ma dalla prima comunità cristiana.
Lugano, all'ingegnere Walter Moccetti, il quale gli disse di aver ritirato il figlio dall'educazione
religiosa.
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salite, anzi salite, è ancora più disordine che si propaghi tale bestemmia in un
catechismo del vescovo, maestro della Fede e custode del gregge contro i lupi
dell'eresia.
E se il prete è pio (come si dice di L'eopold Charlot) e predica in buona fede,
non ci sarà altro da parte del sacerdote che scandalo fenomenale o materiale,
come si dice nella teologia classica ÿa; ma poi emerge con più vistosità lo
scandalo dato dalla Chiesa, che proprio in quanto tale (attraverso un suo ministro
approvato e comandato dal vescovo) insegna l'errore e la bestemmia.
13.6. Antitesi della nuova catechesi con le direttive di Giovanni Paolo II 253
sis, di preevangelizzazione, che dovrebbe essere riconosciuta dallo Stato come aiuto
allo sviluppo della persona. È evidente la profonda deviazione dello spirito del clero,
che cede ai circusismi come sviluppo della persona; Per loro, l'insegnamento della
verità cattolica si oppone al servizio della persona umana e diventa un sostegno o
l'inizio di un processo di scoperta dove non è la verità che decide, ma la libertà.
La mentalità del clero manifestata in detto Congresso è tanto più notevole in quanto
in netta opposizione all'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II (OR, 26 ottobre
1979).
La nueva catequesis es de impronta esistenzialista y promueve una expe riencia
de fe, y el Papa por el contrario afferma el car´acter intelectual de la catequesis y quiere
que los catec´umenos est´en penetrados de cesetas simples pero firmes quibus ad
6
Dominum mais sono aiutati a conoscersi sempre di più. La nueva catequesis quiere
la adaptaci´on de la fe a las culturas hist´oricas particulares, y el Papa sin embargo (n.
53) quiere que la fe transforme las culturas singulares: non sarebbe catechesi se il
Vangelo stesso cambiasse quando raggiunto le culture. La nueva catequesis repudia
7
el principio de autoridad y
4 Nell'incontro con il Papa all'udienza generale del 28 agosto 1982, il portavoce dei
catechisti della diocesi di Roma poté solo proporre un congresso generale (OR, 29 agosto
1982).
5Per motivi tipografici abbiamo abbreviato il titolo di questa sezione, che è completa:
Antitesi della nuova catechesi con gli orientamenti di Giovanni Paolo II. Carta. Viaggio.
6 Da cui ricevono aiuto per conoscere Dio sempre meglio.
7Non ci sarebbe catechismo se fosse il Vangelo a cambiare a contatto
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Le culture
8Un effetto molto diffuso ed evidente della riforma contro l'uso della memoria
nella catechesi è che i bambini ignorino il Pater e l'Ave Maria, che non vengono più insegnati
né le loro madri né i loro sacerdoti. Così ha affermato Mons. MARTINO II, Vescovo di Lugano
l'omelia del 20 maggio 1973 nel Duomo di Lugano. Allo stesso modo, mons.
ORCHAMPT, presidente della Commissione episcopale per la catechesi in Francia, pide
che ai bambini si insegni di nuovo il Pater e l'Ave Maria. Vedi MARTIN-STANISLAS
GILLET, La nostra catechesi, Parigi 1976.
9Spesso cade in un indifferentismo livellatore
10Durante il caso Charlot, di cui abbiamo già parlato, il vescovo Elchinger è uscito
la commissione episcopale per il disaccordo sui punti dogmatici.
11Dossier sul problema delle catture ÿech`ese, settembre 1977, p. 53.
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12Seguendo questa direzione pedagogica, si arriva all'assurdità della svolta dei bambini
sugli apocrifi e sui logia di Cristo, mentre ignorano il Credo, i sacramenti
e i principali misteri della fede.
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oggi c'è la tendenza ad evitare la difficoltà in cui ci pone il messaggio della Fede
presenza della materia in questione, e attenersi a una prospettiva simbolica. Questo
inizia con la Creazione, continua con la nascita verginale di
Gesù e la sua Risurrezione, e termina con la Presenza Reale di Cristo nel pane
e il vino consacrato, con la nostra stessa risurrezione e con la Parusia del
Signor. 13
Qui si fa chiaramente riferimento agli errori dogmatici che
viziare la nuova catechesi. La Creazione non è chiaramente professata, né costituisce
il discorso iniziale dell'insegnamento: se ne parla solo al cap.
9, identificata con la creazione che Dio fa del suo popolo, liberandolo da
schiavitù.
La nascita verginale di Cristo non ne ha in Pierres vivantes
connotazione dogmatica, poiché Maria è designata come una giovane donna della Palestina
che Dio ha scelto per essere la madre di Gesù: non si parla di Immacolata Concezione,
né di parto verginale, né di divina maternità.
La Pasqua di Resurrezione è un evento pneumatico che si svolge nel
fede della comunità primitiva, e per necessaria conseguenza (così fortemente
affermata da San Paolo in I Con 15, 12 e segg.) anche la risurrezione di
il morto è qualcosa in cui si crede semplicemente, ma manca di realtà
historica.
L'Ascensione è una pura metafora dell'apoteosi morale di Cristo, fin da allora
Pierres vivantes dichiara
´ expressis verbis: Ascendere al cielo è un'immagine
per dire che Egli è nella gioia del Padre. Anche un semplice uomo
eleva così alla gioia del Padre. Dove la Scrittura dice che è salito al cielo
videntibus illis (Ecc. 1, 9), el catecismo franc´es ense˜na que los cristianos
credono che il quarantesimo giorno dopo Pasqua Gesù sia lassù
qualunque cosa.
Infine, l'Eucaristia è ridotta alla memoria della Cena del Signore
celebrata dalla comunità cristiana, e il capitolo ad essa dedicato in Pierres Vivantes
è intitolato I cristiani ricordano. È la tesi innovativa di
transsignificazione e transfinalizzazione, di cui ci occuperemo nei §37.3-37.11.
Anche se non in dettaglio, articolo per articolo, ma attraverso omissioni, metafore e
reticenze (tanto più significative se confrontate).
formule con le formule del vecchio catechismo), Pierres vivantes no
nascondere la sostanza anomala ed eterodossa che presenta i figli di Francia
14 .
come la fede della Chiesa cattolica
13Il testo integrale del convegno è pubblicato dall'editore T´equi, Par´ÿs 1983, sotto
el t´ÿtulo Trasmissione della fede e sorgente della fede.
14Poco dopo il card. Ratzinger, ha ribadito il Papa davanti al
Consiglio Internazionale per la Catechesi il legame essenziale tra catechesi e dogma. è missione
della catechesi (ha detto) trasmettono, spiegano e fanno vivere pienamente le realtà
contenuto nel Simbolo della fede (OR, 16 aprile 1983).
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15E si noti che queste tre letture dello stesso testo si differenziano anche
tipograficamente, adottando tre colori per contrassegnarle.
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fede, speranza e carità. A queste tre parti del Catechismo cattolico si aggiunge
il trattato sui sacramenti, e anche l'esistenza di questa quarta sezione è
conforme alla dottrina cattolica: solo con l'aiuto della grazia, comunicata
mediante i sacramenti, rende l'uomo capace di compiere il bene morale legge,
confermata ed elevata dalla legge evangelica. La carta. Ratzinger rivendica
anche la necessità dell'uso della memoria e l'efficacia del metodo dell'ameba:
entrambi sono inerenti al contenuto dogmatico e incompatibili con l'esame
euristico e con l'approccio esistenziale.
La grave censura sollevata dal card. Ratzinger al catechismo francese non
perde assolutamente nulla del suo valore teorico dottrinale per il fatto che,
dopo averlo esposto in un discorso pubblicato poi in venti pagine, lo ha
ritrattato in un comunicato di venti l righe concordato con i vescovi francesi.
Rimandiamo ai §6.3-6.8 sulla rinuncia all'autorità.
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Cap'itulo 14
259
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Come quella di tutte le altre parti del corpo ecclesiale, la crisi del
religioso è la conseguenza di un'assimilazione esagerata al mondo, le cui
posizioni sono adottate perché dispera di conquistarlo da posizioni
Proprio. È un'alienazione dovuta alla tendenza a perdere l'essenza e il suo trasferimento
ad un altro. E né minore né insignificante è la trasformazione dell'abitudine di
religiosi e religiose, sempre informati dal desiderio di non differenziarlo più
dall'abbigliamento secolare. Allo stesso tempo che è un sintomo della perdita di
anche l'essenza, o almeno gli accidenti propri dell'essenza
un sintomo di servitù. Non bisogna dimenticare quella singolarità a volte
L'aspetto stravagante dell'abbigliamento religioso doveva indicare l'unicità
dello stato religioso ed era anche un importante segno di libertà di espressione.
la Chiesa, indipendente dalle mode e dai costumi. Dal solito disprezzo per
l'abito ecclesiastico scende poi al disprezzo dei liturgici, e si vede oggi
sacerdoti in abiti puramente profani officiano le celebrazioni (Esprit et
Ven, 1983, pag. 190, che deplora l'apatia dei vescovi su questo punto) 6 . IL
5Questi esempi sono tratti dai progetti di rinnovamento dei Salesiani della Hispanoamerica nel
Bollettino Salesiano, settembre 1978, pp. 9-12. Ma sono comuni a tutti
i capitoli della riforma (OR, passim).
6GIOVANNI PAOLO II condanna nella lettera ai suoi la licenza nelle vesti degli ecclesiastici
Vicario del Comune dell'8 settembre 1982, dove afferma che le ragioni ei pretesti
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Ora, proprio a causa del distanziamento nell'osservanza dei voti (non per discrezionalità
individuale e contingente, ma per alleggerimento canonico stabilito nei Capitoli
generali di riforma) si verifica un tale declino della Regola.
La regola monastica è una norma che orienta la vita e insieme la sostiene. Allo
stesso modo, il latino stare (da cui abbiamo stabilitas) significa stare fermo e stare
dritto. La stabilità religiosa implicava che il monaco restasse in un monastero e non
cambiasse indirizzo, affinché in quella stabilità locale il religioso trovasse un elemento
di scala verticale e una condizione che gli facilitasse il mantenersi integro nel
comportamento morale e religioso.
Oggi la stabilità locale è scomparsa. Non si tratta più del fatto che in tutti gli
ordini religiosi il superiore non ha modificato per secoli il domicilio dei sudditi:
piuttosto, il diritto canonico contemplava espressamente questa instabilità ordinata
dai superiori. È che la mobilità è entrata nella vita interna delle singole comunità. Non
solo a causa della maggiore mobilità generale dell'umanità, se ne vanno anche
a favore del modo promiscuo di vestire sono molto più di carattere prettamente
umano che ecclesiologico (OR, 18-19 ottobre 1982). Il Cardinale Vicario ha subito
promulgato norme valide per tutto il clero residente in Roma, ma si attende ancora la loro osservanza.
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i religiosi per viaggi, vacanze o sport (spesso nascosti con intenti culturali o
apostolici), ma i membri della stessa comunità vivono in case separate,
separandosi localmente ed esperienzialmente dai fratelli. L'istituto
dell'exclaustratio, che era una singolarità, è diventato una forma normale di vita
religiosa. Invece di una dimora cenobitica, c'è una sorta di diaspora in cui i
citati valori di stabilità si disperdono e la vita comunitaria perisce.
8 E se, fuggendo le pene dell'inferno, vogliamo giungere alla vita eterna, è necessario
che finché c'è ancora tempo e abitiamo in questo corpo e ci è dato di compiere tutte queste
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rinnovamento è stato dato dai cappuccini della provincia elvetica in un programma trasmesso
dalla Televisione Svizzera il 7 aprile 1982. Le riforme attuate sono state presentate in
la sua totalità sotto una formula generale: le deviazioni dalla Regola sarebbero nuove vie di
seguire la Regola e così, violando la Regola, il Fondatore S.
Francisco. Le esperienze di quei cappuccini sono state esibite come valori positivi.
che, al ritorno dalle missioni, lasciano la propria comunità e cessano ogni attività propria
religiosi che dichiarano di voler entrare in una nuova esperienza della ricerca di Dio: loro
poi si abbandonano a una vita vagabonda o eremitica, eludono i loro obblighi professati,
seguono la fede nell'uomo come principio e intraprendono opere di filantropia (proclamando
non intraprendere opere cattoliche, ma opere di persone raccolte attorno alla fede dell'uomo).
Affermano che la povertà non consiste nell'abbandono della ricchezza, ma nella sua distribuzione.
Come al solito confondono le essenze, trasformando la povertà imitando
Cristo in virtù della carità per amore dell'uomo.
12 SAINT BUENAVENTURA, Sul progresso della religione, lib. 2, cap. 24
13Per percepire la distanza tra la disciplina antica e quella moderna, è utile leggere
ROBERT THOMAS in La journ´ee monastique, Parigi 1983, dove descrive i costumi
Cistercensi.
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´
La virtù della temperanza (ordinata negli antichi Ordini dalla Regola, osservata
individualmente e praticata comunitariamente) si manteneva in
tempi moderni fino al rinnovamento postconciliare.
Ignorando le diete a base di pane e acqua dei reclusi orientali, il
xerofagie cenobitiche e le diete rigorose di Chartreux, dei Trappisti
e dei Minimi, si può affermare che tutti gli Istituti religiosi da
Il Concilio di Trento, anche le fondazioni più moderne, prescriveva pasti molto frugali
e bevande moderate: al mattino caffè con latte e pane,
a mezzogiorno minestra, carne con contorno, un frutto e un bicchierino di
vino 14 ; la sera una minestra e un pasto a base di verdure.
È superfluo aggiungere che si praticava l'astinenza dalla carne e il digiuno
nei giorni di obbligo. Oggi in certi paesi ricchi il cibo consiste, per
fare colazione, in caffè, cioccolata, tè, latte, marmellata, pancetta, formaggio, yogurt,
pane e biscotti; da mangiare, in antipasti, minestra, carne o pesce con
due contorni, frutta o dolce, pane, caffè e un bicchiere di birra o vino; A
a metà pomeriggio vengono offerti latte, caffè, tè, biscotti e frutta; a cena, proprio come
da mangiare, tranne antipasti e caffè.
Non voglio qui cadere nell'erroneo giudizio di chi, per mancanza di conoscenza
storica, equipara tutti i tempi e tutti i costumi; quando si applica il
giudizio misto storico-morale sulla virtù monastica, l
criterio di virtù, ma senza dimenticare le relatività storiche. Quelle feroci mortificazioni
dell'istinto dell'appetito in cui è famoso l'ascetismo
orientali erano un modo di separarsi dal cibo comune degli uomini,
molto meno ricco e meno vario di oggi.
La mortificante privazione deve essere calcolata pro rata parte, in modo che
il cibo mortificante è diverso dal cibo comune. In un momento in cui
che la maggior parte di loro mangiava pane di segale (per limitarci all'usanza
dell'Insubria lombarda) seduti per
settimane e mesi, o di castagne, lo esigeva la temperanza monastica
Se si toglieva ancora qualcosa a quella già esigua quantità di cibo, si arrivava ad
austerità oggi inconcepibili. Il cibo monastico deve ora diminuire
una dieta incomparabilmente più opulenta: ma deve sminuirla. In mezzo alle relatività,
che cambiano di secolo in secolo, rimane il
14Il vino era spesso di cattiva qualità. Don Bosco, ad esempio, acquistò le spoglie
dal mercato e li annacquava ancora, così scherzando diceva: ho rinunciato al diavolo,
pero no a sus pompas, Memorie biografiche, vol. IV, p. 192 (edici´on no comercial). Pero el
escrito m´as significado est´a en la Apologia ad William abate de SAN BERNARDO,
dov'è una vivida rappresentazione del rilassamento della vita monastica nel XVIII secolo.
XII. Ora è visibile nel primo volume dell'Opera Omnia, edito dallo Scriptorium
Claravalla, Milano 1984, pp. 123 e segg. E guarda cosa dico a riguardo nell'Introduzione,
pp. 139-143.
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Requisito fondamentale che il cibo dei consacrati sia inferiore alla dieta
comune e possa essere riconosciuto come tale. Nemmeno nel cibo il religioso
è un uomo come gli altri.
Non negherò quello di queste antenne prodigiose, che mandano in giro per il mondo
provengono influenze più efficaci delle costellazioni delle sfere celesti
anche qualche minima influenza capace di essere utile per accidens alla religione.
Tuttavia, nego che questa piccola parte possa legittimare l'uso abituale
e indiscriminato di tale comodità e diventare un criterio su cui
modellare i ritmi della vita religiosa. Come non stupirsi quando
alcune comunità hanno abbandonato la secolare usanza di recitare in
la chiesa le preghiere notturne, per non ostacolare la fruizione del
programmi televisivi contrari all'osservanza della Regola?
Datore dell'Istituto della Carità (approvato dalla Santa Sede nel 1839), toglie
nelle sue opere ascetiche ogni ombra di soggettivismo nella virtù dell'obbedienza,
e la riduce alla sua nuda essenza. L'obbedienza consiste nell'abdicare
liberamente semel pro semper alla propria volontà nella volontà del Superiore,
e quindi rinunciare all'esame dell'ordine.
L'obbedienza è certamente un atto altamente razionale, perché si fonda su
una persuasione ragionata: ma non sulla persuasione che l'opera concreta
ordinata sia buona (questa era la dottrina di Lamennais), bensì sulla persuasione
che il superiore ha la legittima autorità di ordinare . La filosofia delle parole si
schiera con l'asceta. Il verbo greco che significa obbedisco, significa anzitutto
e di per sé sono persuaso: non della bontà dell'atto, che quindi io stesso farei
per scelta autonoma, ma del diritto di comandare di chi comanda.
15Per queste cinque citazioni rosminiane si veda Epistolario ascetico, Roma 1913,
vol. io, pag. 308; vol. 111, pag. 255; vol. III, pag. 91; vol. io, pag. 567; vol. III, pag. 211.
Che cosa fosse l'obbedienza religiosa e come il Superiore concepisse il dovere di esigerla,
appare nella lettera con cui SAN FELIPE NERI escludeva dalla successione due suoi
religiosi (che si erano distinti per altri motivi) per mancanza di questa virtù. La lettera è
inclusa nell'articolo di NELLO VIAN in OR, 16-17 novembre 1981.
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16 Date alle menti dei fedeli una sola volontà. Liturgia della IV domenica
dopo Pasqua
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Cap'itulo 15
Pirronismo
273
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1Le tre proposizioni sono paralogiche se prese senza commento, ma diventano vere
se ad esse si aggiunge la condizione di assolutezza. Nessuna entità finita è perfettamente,
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cioè tutto ciò che è possibile essere; non c'è niente che sia perfettamente conoscibile, cioè
quanto è conoscibile; e nulla è perfettamente esprimibile, cioè tanto quanto è esprimibile.
2
... il valore vero e autentico della conoscenza umana (...) e, infine, il
ricerca della verità certa e immutabile
3Dio, l'inizio e la fine di tutte le cose, può sicuramente essere conosciuto dalla luce
naturale della ragione umana, a partire dalle creature.
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Nel libro di Jean Sullivan Matinales (Parigi 1976) scoprì 6 tiene a faccia
l'invalidazione della ragione. L'autore nega la distinzione tra fede e amore in
quanto priva di fondamento scritturale; di conseguenza, senza curarsi di
snaturare la divina Trinità, nega l'esistenza nella Chiesa di a
crisi di fede Ovviamente non si può parlare di crisi, che significa discernimento,
quando non c'è una misura fissa, cioè uno strumento per discernere.
la fede di ciò che non è; e meno quando, con confusa considerazione, vengono prese
come unità idee contrastanti. Va inoltre notato che la distinzione tra credere e
amare non è fondata solo sulla Scrittura, ma su
l'essere dell'uomo, in cui intelletto e volontà sono cose veramente differenti.
La loro distinzione si riferisce per analogia alla reale distinzione nell'organismo
ontologia della Trinità.
Che la distruzione di tale distinzione significhi la distruzione radicale della
razionalità deriva dalle proposizioni di Sullivan sull'incompatibilità tra fede e
certezza: i credenti immaginano che la fede vada di pari passo
alla certezza. Se lo sono messo in testa! Devi stare attento
certezza. Su cosa si fondano generalmente le certezze? sulla mancanza
approfondimento della conoscenza.
Molte assurdità logiche e religiose sono raccolte nel libro. se l'autore
intende affermare che una cosa non si può credere se si vede, dice una cosa
ovvio e banale in filosofia. Ma se implica che non si può esserne certi
una cosa creduta, esce dalla dottrina cattolica. Quella fede è certezza lo è
Dogma cattolico, ed è anche vero che questa certezza non è privilegio delle anime
mistici o anime semplici, ma luce comune a tutti i credenti. In
In secondo luogo, Sullivan sovverte tutta l'epistemologia quando ha un senso
invertire la certezza e l'approfondimento della conoscenza. Anzi,
La certezza è lo stato soggettivo del conoscitore, precisamente in quanto
France nel loro Missel pour les dimanches 1983, in cui pregano per i credenti che
sono tentati di accontentarsi delle loro certezze.
6 Ampiamente rivista da ICI (n. 506, p. 40, settembre 1976), la più diffusa
Organo francese della corrente innovativa.
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L'antitesi con la teologia della Chiesa è qui ancora meno importante dell'antitesi
con la sua filosofia. In primo luogo, la fede dell'uomo non può esistere senza
razionalità, essendo l'uomo una creatura razionale. In secondo luogo, la parola di Dio
si giustificherebbe (come qui si intende) solo se fosse evidente, poiché solo l'evidenza,
immediata o mediata, dà giustificazione ad alcune parole; Ora, questa evidenza manca
nella parola della fede, alla quale si acconsente proprio per fede, e non per evidenza.
Terzo, dire che la parola di Dio interpreta se stessa è un composto di parole, ma non
una frase logica. Interpretare significa entrare tra la parola e l'ascoltatore, tra
l'intelligibile e l'intelligenza. L'interprete è una terza persona che media in una dualità,
e la parola di Dio non può stare in mezzo a se stessa.
Dal rapporto tra filosofia e teologia, i teologi di Ariccia sono giunti al rapporto tra
soggetto e oggetto, e hanno stabilito che per parlare secondo le categorie dell'uomo
del nostro tempo, il Teologo deve tener conto della svolta antropologica, costituita da
un'inversione del rapporto tra soggetto e oggetto e l'impossibilità di cogliere l'oggetto
stesso.
È la formulazione esplicita del pirronismo e la distruzione della dottrina cattolica.
In realtà la fede presuppone la ragione. È una sottomissione della ragione voluta dalla
ragione stessa. Le tesi del Congresso dei teologi sono regressive e portano la
filosofia su posizioni presocratiche. Il fatto che siano stati accolti da un congresso di
teologi cattolici presieduto da un cardinale significa o che si abusa delle parole o che
la teologia cattolica non esiste più.
Cap'itulo 16
Il dialogo
1 carta. ROY, in OR del 15 marzo 1971, considerava il dialogo come una nuova
esperienza, e non solo della Chiesa, ma del mondo. D'altra parte, in OR del 15-16 novembre
1966 si sostiene che la Chiesa ha sempre praticato il dialogo (confondendo con esso la
polemica e la confutazione) e che se mai non l'ha praticato, si tratterà di periodi di maggiore
o maggiore depressione minore.
281
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a la controversia.
Ed è anche notevole che l'Ecclesiam Suam, dopo aver posto l'equivalenza
tra evangelizzare e dialogare, risollevi invece l'ineguaglianza tra evangelizzare
la verità e condannare l'errore, e identifichi condanna e costrizione.
Ritorna il motivo del discorso inaugurale del Concilio, citato al §4.1; Dice
l'enciclica: così la nostra missione, pur essendo annuncio di verità indiscutibile
e di salvezza necessaria, non si presenterà armata di coercizione esterna, ma
solo di mezzi legittimi di educazione umana (n. 69).
La concezione di Paolo VI è del tutto tradizionale, come dimostra il fatto che
subito dopo la promulgazione dell'enciclica, il segretario del Consiglio
ecumenico delle Chiese, Wisser Hooft, si è affrettato a notificare che la
concezione papale del dialogo come comunicazione della verità senza la
reciprocità non era compatibile con il concetto ecumenico (OR, 13 settembre
1967).
Anche sul versante della questione, il dialogo soffre di difficoltà, perché poggia su
un presupposto gratuito già acutamente intuito da sant'Agostino. Un intelletto può
essere capace di un'obiezione e allo stesso tempo essere incapace di comprendere
l'argomento con cui l'obiezione viene affrontata.
Questa situazione in cui la forza intellettuale di una persona è maggiore per objetar
que para comprendere la respuesta, è una causa muy com'un de error. Ecco, da dove
generalmente l'errore è rafforzato, quando gli uomini sono qualificati per mettere in
discussione queste cose che non sono qualificati per capire (Dei meriti e la remissione
3
dei peccati, libro III, cap. 8)
Questa inadeguatezza tra l'intelletto che concepisce una domanda e l'intelletto
che comprende la risposta è una conseguenza della distanza tra potenza e atto.
3Ecco come prevale spesso l'errore presso gli uomini che sono molto abili nel domandare
cose che non sono in grado di comprendere
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4LAGRANGE, nel commento a Matteo (Parigi 1927), p. 144, tradurre la prima voce
insegnare y la segunda imparare .
5 Epistolare, vol. VIII, Casale 1891, p. 464, lettera dell'8 giugno 1843 alla contessa
Teodora Bielinski.
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sul principio teorico esposto sopra, ed è peraltro il caso della maggioranza dei
6
credenti. Inaccettabile l'opinione espressa in OR del 15-16 novembre 1965, secondo la
quale chi rinuncia al dialogo è un fanatico, un intollerante che finisce sempre per
essere infedele a se stesso piuttosto che alla società di cui fa parte. Chi invece dialoga
rinuncia all'isolamento, alla condanna. Conversare senza sapere è prova di
sconsideratezza e di quel fanatismo che confonde la propria forza soggettiva con la
forza oggettiva della verità.
della verità e cade in errore. O si dirà che le parole della verità sono efficaci e quelle
dell'errore no? In secondo luogo, va considerata quella situazione in cui il dialogo,
oltre a non essere utile ai dialoganti, li costringe a fare l'impossibile. È il caso
contemplato da san Tommaso quando, mancando ai due colloquianti un principio
comune da cui sillogizzare, è impossibile dimostrare la verità all'avversario che rifiuta
i mezzi della dimostrazione.
In questi testi si confondono il dialogo sulla materia naturale e il dialogo sulla fede
soprannaturale. La prima si sviluppa alla luce della ragione, che rende tutti gli uomini
uguali. Mettendosi in questa luce, tutti gli individui sono alla pari con tutti gli altri: i
dialoganti sentono il Logos al di sopra del loro dialogo, più importante del loro dialogo
( §12.3), e sperimentano la loro vera fratellanza e l'unità profonda della loro natura.
C'è, però, un altro dialogo in cui la fede è compromessa e in cui i partecipanti al
dialogo non possono convergere verso la verità o porsi in condizioni di parità. Il
colloquiante non credente è in una situazione
Non confondere l'atto con cui un uomo persuade un altro della verità con
un atto di oltraggio e di offesa alla libertà altrui. La contraddizione logica e
l'aut aut sono strutture dell'essere; non c'è violenza in loro.
L'effetto sociologico del pirronismo e del conseguente discussionismo è il
brulicare di assemblee, riunioni, comitati e congressi, iniziato con il Vaticano II.
Di qui l'usanza di fare di tutto un problema e di deferire ogni problema a
commissioni plurali, diluendo la responsabilità (che in altri tempi era personale
e individuale) negli organi collegiali.
Cap'itulo 17
mobilismo
291
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2L'umanità passa così da una concezione piuttosto statica della realtà ad un'altra più
dinamico ed evolutivo
3La Chiesa proclama i diritti dell'uomo e ne riconosce e stima il dinamismo
età moderna, che ovunque promuove tali diritti
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essere di fatto
Pertanto, sebbene l'anima abbia il sentimento fondamentale dell'essere e
aspiri alla realtà totale, dovrebbe desiderare l'evasione, cioè il ritorno totale
della realtà al divenire, nonché una serie infinita di successivi momenti di
divenire. L'anima, al contrario, non vuole l'infinità successiva della caducità
delle cose, ma l'infinità simultanea dell'istante: cioè un momento in cui si
sommano e si unificano tutti i momenti passati e tutti i momenti passati futuri.
Ora questa aggregazione e unificazione è la definizione dell'eternità: tota simul
et perfecta possessio.
Qui sorgono le parole del dottor Faust di Goethe prima dell'istante fuggente:
Fermati! Sei così bello! Queste parole esprimono il desiderio contraddittorio
che l'attimo (la cui radice è movere) si fermi, l'inafferrabile non fugga, il finito
sia infinito, il parziale diventi totalità. Se la vita è puro divenire ed è falso il
presupposto della religione che anima questo vult, allora solo il divenire ci dà
Et requiescere amat in eis quae amat 5 ,
concede la realtà, e solo la completa devoluzione del divenire (se avvenisse) ci
concederebbe tutta la realtà. Al contrario, se la realtà totale non è un divenire,
ma un essere intero e indeventibile, allora il divenire è solo il modo in cui la
creatura partecipa dell'intero essere e vi accede.
Qui crolla il concetto cattolico di Dio, che non è ens a se mettendosi in atto,
ma perché lo è: non sviluppando la propria realtà in una perenne indigenza che
perennemente riempie, ma perché possiede inevitabilmente e senza possibile
progresso la sua proprio essere. Il Dio abbozzato da OR è il dio dei
trascendentalisti tedeschi, non il Dio di
6Nel volume di AA. W., Il problema di Dio in filosofza e in teologia oggi, Milano 1982,
p. 34, LUIG1 SARTORI ritiene plausibile che se Dio è concepito come amore e libertà,
´
non c'è ragione per le dimensioni di storicità (= divenire) che Egli assumerà
eventualmente (naturalmente non per obbligo, cioè per necessità di ÿÿconquistare
ÿÿ o ÿÿcrescereÿÿ, ma solo per la libertà) erano incompatibili con la Sua infinita perfezione.
Ora, è evidente che la libertà di Dio non può estendersi alla sua essenza, perché la libertà
non può far diventare diveniente l'Indefinibile, né imperfetto il Perfetto.
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credo cattolico; È il Dio che dice ego sum qui fio, non quello biblico che afferma ego
sum qui sum.
Dice infine l'autore dell'articolo: Questa natura è creata da Dio non come una realtà
statica e come la realizzazione (perfetta fin dai suoi inizi) di un'idea di Dio, ma come
una realtà dinamica destinata ad auto-realizzarsi nella dinamica della storia.
Terzo, viene negata la Parola, sia quella filosofica che quella teologica: cioè
l'esistenza eterna in Dio delle forme delle cose create e creabili. Ciò rompe quel
firmamentum che costituisce il pensiero divino, generatore del mondo, del tempo e
del divenire, da cui derivano l'immutabilità e l'assolutezza dei valori dell'uomo. Chi
nega il Verbo e le idee eterne, dice Leopardi, nega Dio.
Cap'itulo 18
La virtù della fede
299
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che abbiamo sbagliato, perché abbiamo chiesto alla filosofia ciò che essa non
può darci. Dobbiamo riscoprire gli attributi di Dio: non le idee astratte della
filosofia, ma i nomi, i veri nomi di Dio.
Non abbiamo la missione di predicare idee, ma la fede.
L'autorità della persona non abroga il diritto di ogni fedele di confrontare
l'insegnamento dei ministri particolari con l'insegnamento della Chiesa
universale. Non sono proprio i teologi, ma la Chiesa stessa, nell'esercizio del
suo supremo ufficio didattico, che nel Vaticano I ha solennemente insegnato
la capacità della ragione di provare l'esistenza di Dio. Non basta dunque dire
che abbiamo sbagliato: bisognerebbe dire che la Chiesa ha sbagliato.
Circusterismo dottrinale e ragionamento debole non solo sono stati
presenti al congresso di Firenze; Oggi il popolo di Dio parla per metà azotico
e per metà ebraico, come ai tempi di Neemia (II Esdr. 13:24). O se no, la Chiesa
sarebbe sotto cattiva stella se fosse oggi nel caso di dire agli uomini: credete
in me, anche se io non credo.
Il discorso del cardinale è richiamato in ICI, n. 305 (1 febbraio 1968), p.
12-13. Dopo aver chiesto alla direzione di quel giornale se non avesse forse
sbagliato a riferirlo e aver informato lo stesso cardinale della domanda che
avevo posto alla rivista, mi ha risposto: No. Avevo trascurato quel testo ICI, e
ho contattato quelli responsabile di conseguenza inviando loro il testo
autentico di questa conferenza.
Inutile dire che il tono era molto diverso.
Essendomi parso che la cosa valesse la pena di continuare, ed avendo
sollecitato l'ICI a pubblicare il testo autentico, la mia insistenza provocò un
colloquio a Roma tra due direttori della rivista col cardinale. Mons.
1 .
Garrone, il quale dichiarò allora di preferire non proseguire la vicenda
Non c'è bisogno di entrarci. Non si può però non osservare (basta leggere
i testi) che le parole di Mons. Garrone sono contrarie al Vaticano I, nella stessa
misura in cui non essere capaci è il contrario di essere capaci. È quindi
superfluo rilevare che il tono, sia diesis che bemolle, non muta il tema
musicale, e che il sentimento con cui si enuncia un giudizio non può mutare
né il senso dei termini né il valore del giudizio (§) . 6.15). Altrettanto superfluo
è segnalare l'origine modernista dell'affermazione del cardinale, poiché è
proprio del modernismo basare la credenza su un sentimento e un'esperienza
del divino piuttosto che su una precedente certezza razionale, e sostenere che
la ragione nec ad Deum be potis eretto (Enciclica est nec illius exsistentiam,
2
ea quae videntur, agnoscere Pascendi, DENZINGER, 2072). utut per
Nel settimanale Amica del 7 luglio 1963, alla voce La posta dell´anima,
Mons. Ernesto Pisoni scrive: La ragione umana può certamente da sola
dimostrare la possibilità dell´esistenza di Dio e provare da sé stessa
conseguentemente la credibilità dell´esistenza di Dio. Questa posizione è
esattamente l'opposto della dottrina della Chiesa. La ragione non solo
dimostra la possibilità dell'esistenza di Dio, ma anche la realtà di tale
esistenza. Si può forse anche dire che l'esistenza di Dio è possibile
(sebbene da questa possibilità sant'Anselmo deduca subito la sua
esistenza), e questa possibilità si dimostra mostrando che essa non
implica una contraddizione: la non contraddizione è di fatto la condizione della possibilità di una c
Tuttavia, la Chiesa non insegna che l'esistenza di Dio è possibile (cioè
non assurda) ma che è reale. L'esistenza di Dio non è ripugnante alla
ragione, dice mons. Pisoni, non rendendosi conto di applicare così alle
verità naturali la tesi applicabile alle verità soprannaturali.
Di fronte alle verità naturali, che sono il suo oggetto intelligibile, la
ragione apprende e vede. Tuttavia, di fronte alle verità soprannaturali, la
ragione non apprende, ma ha il compito di dimostrare che esse non sono
ripugnanti alla ragione.
carità nel testamento; e la sua possibilità, come abbiamo già detto, è una
conseguenza necessaria della finitezza dell'intelletto.
La ragione della fede è da una parte il fatto della finitezza dell'intelletto
3
sulla quale tutte le scienze sono fondate sulla (dall'altra l'autorità
fede) la parola divina rivelata.
Il fatto della Rivelazione ha una rilevanza storica e ne riceve una di
dimostrazione storica. Anche l'autorità della parola divina è un elemento
razionalmente conoscibile. Non è attraverso l'autorità di Dio che lo spirito umano
riconosce l'autorità di Dio (sarebbe un circolo vizioso), ma attraverso
un'argomentazione che trova l'autorità della Rivelazione esaminando
analiticamente il concetto stesso di Dio.
Quindi, nel sistema cattolico, ogni autorità è il prodotto della ragione, perché
sebbene la ragione si sottometta, è la ragione stessa che vede la necessità di
sottomettersi. Pertanto, l'autorità divina costituisce un criterio che prevale su
ogni altro. Le cose credute dal cristiano sono certissime, perché il fondamento
del crederle non è in qualcosa di proprio della creatura, ma nella verità del
pensiero divino.
3In realtà, ogni scienza riceve da altre scienze conoscenze che non dimostra:
crede alle altre scienze da cui le riceve. Anche nelle scienze il sapere dell'uomo si
fonda sulla fede che uno scienziato presta all'altro. Non accade altrimenti nella
vita comune e civile.
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Si dice che la fede consiste in una tensione dell'uomo verso Dio. Questa dottrina
è avvalorata dal documento promulgato dai vescovi francesi dopo la loro plenaria del
1968. A p. 80 ripudia espressamente la definizione di fede come adesione dell'intelletto
alle verità rivelate, e riconosce nella fede un'adesione esistenziale a un atto vitale: per
lungo tempo la fede è stata presentata come un'adesione all'intelligenza illuminata
dalla grazia e sorretta dalla parola di Dio. Oggi c'è stato un ritorno a una concezione
più coerente con il corpo della Scrittura. La fede allora si presenta come adesione di
tutto l'essere alla persona di Gesù Cristo. È un atto vitale e non più solo intellettuale,
un atto che si rivolge a una persona e non più solo una verità teorica; quindi non
poteva essere compromessa da difficoltà teoriche di dettaglio.
Poiché la fede consiste in questa tensione vitale, essa sussiste finché sussiste,
indipendentemente da ciò che si crea. Questa dottrina se ne va
Non nego che la religione possa essere vista in generale come una
tendenza verso Dio; è falso, però, che essa consista di per sé in questa
tendenza. In primo luogo perché una tale tensione è compatibile con qualsiasi
esperienza religiosa del genere umano, compresa quella di coloro che adorano
sterco e scarabei e offrono sacrifici umani. In secondo luogo, perché tale
tensione assomiglia al titanismo, in cui lo sforzo umano non è diretto a
venerare il Numen, ma a sfidarlo e sconfiggerlo.
Piuttosto, la tensione è in gran parte compatibile con l'esperienza religiosa
di Satana, che tendeva con tutte le sue forze a Dio, ma non per adorarlo, ma
per essere lui. La caratteristica caratteristica della religione è la sottomissione,
e il principio che la costituisce è il riconoscimento della dipendenza.
Il principio di tensione è, tuttavia, un principio di autodeterminazione e
indipendenza.
5 Cerca dunque prima il regno di Dio e la sua giustizia (Buscad, pues, primero
el reino de Dios y su justicia) (Mt 6, 33).
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che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati (di giustizia)
(Matteo 5,6). L'elemento soggettivo della felicità deve essere ridotto affinché
l'Oggetto trionfi.
Anche il fondamento della certezza della fede è del tutto estraneo al
soggetto. Per il credente è la più salda delle certezze, al di sopra
dell'incomprensibilità dei dati rivelati e di ogni condizionamento storico. Poiché
i dati rivelati sono di natura tale che la mente umana non può trovarli né
verificarli, l'unico modo possibile per fondare la certezza è ricevere quella
verità, riceverla puramente senza mescolare nulla dalla nostra parte: in breve,
trasferire completamente i motivi della certezza dalla parte del soggetto alla
parte dell'Oggetto. La certezza del credente sui dogmi di fede non si fonda su
argomenti storici della loro verità, e nemmeno, come ho già detto, sulla
confutazione delle opposte obiezioni. Si basa su un principio che va al di là di
tutte le condizioni, di tutti i presupposti e persino di tutte le eventualità storiche.
Credere nella fede cattolica è sapere fermamente che contro le verità credute
non c'è argomento trovato o trovabile, è sapere che non solo le obiezioni che
si pongono contro di essa sono incoerenti, false e risolvibili, ma che saranno
incoerenti, false e solubili quelli che possono essere stabiliti nel corso del
futuro in saecula saeculorum, sotto qualsiasi estensione dei lumi del genere
umano. Hai tutte queste obiezioni (contro la Rivelazione)? esaminate, scrive
6
storia, storia naturale, , Manzoni Sono obiezioni di fatto, cronologia,
morale, ecc. Hai discusso tutti gli argomenti degli avversari, ne hai riconosciuto
la falsità e l'incoerenza? Questo non basta per avere Fede nelle Scritture. È
possibile, e purtroppo possibile, che nelle generazioni successive ci siano
uomini che studieranno nuovi argomenti contro la verità delle Scritture;
approfondiranno la storia, affermeranno di aver scoperto verità di fatto per cui
le cose affermate nelle Scritture appariranno false. Ora devi giurare che questi
argomenti che non sono ancora stati trovati saranno falsi, che quei libri che
non sono ancora stati scritti saranno pieni di errori: lo giuri? Se ti rifiuti di
farlo, confessa di non avere fede. Di conseguenza, la fede è una persuasione
molto ferma, che non ammette la clausola rebus sic stantibus (non ammette
cioè la clausola della storicità) e introduce l'uomo nella sfera sovrastorica e
atemporale del divino in sé, nella quale non est transmutatio nec vicissitudinis
obumbratio (Giacomo 1, 17)
7 .
6 Morale cattolica, ed. cit., vol. II, pp. 544-545; per l'analisi della teoria manzoniana, cfr.
vol. III, pag. 358-359. ...
7 non c'è ondeggiamento o oscuramento, effetto della variazione
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Cap'itulo 19
307
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La ragionevolezza domina tutti gli atti della religione cattolica, che non si
basa mai sull'uomo, creatura e dipendente, ma su Dio e su ciò che è
1
indipendente.
1La confusione dei concetti teologici si unisce spesso anche al circu- terismo
tipico della mentalità postconciliare, che mette sotto la stessa parola idee
disparate. Nell'OR del 30 marzo 1983, per penna di un vescovo, si afferma che
non basta credere in Dio, ma che è necessario credere nell'uomo, perché Dio ha
creduto nell'uomo, in Adamo, in Eva, negli Apostoli, in Giuda, ecc.: è tanto vero
che ha cercato di salvarlo in tutti i modi possibili. Oltre a contraddire la
Scrittura (Ger. 17, 5) e trascurare la distinzione classica tra credere Deum,
credere Deo e credere in Deum, qui credere è chiaramente confuso con amare,
sbagliare, per cui si potrebbe dire qualsiasi cosa su qualsiasi cosa.
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Capitolo 20
La virtù della carità
1L'operazione intellettuale è completa quando ciò che è compreso è in colui che comprende
311
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ragione teologica più profonda. Finché sono nel pensiero di Dio, gli esseri
finiti non possono non essere, poiché l'ordine ideale è una naturale processione
interna all'essenza divina. Questa rosa, per esempio, non potrebbe essere, ma
l'idea di questa rosa è impossibile non esserlo; John potrebbe non esserlo,
ma l'idea di John, no. Le cose reali, però, con il loro atto di esistere, non
potrebbero essere, e solo per amore divino sono fatte.
Questa profonda verità è magnificamente cantata da Dante nel par.
XXIX, 13 e ss.: Non perché sia provvista di qualche nuovo bene, / com'è
assurda, ma perché il suo splendore / risplende quando ´ pronunziando
sussisto, / solo nella sua eternità e nel suo sapore, / senza tempo, e come Lui
s ho solo capito, / L'amore si è aperto a nuovi amori.
La creatura procede dalla carità divina, senza la quale esisterebbe
naturalmente in Dio, ma non in se stessa. Tuttavia, è chiaro che nemmeno
questa eccellenza della carità creatrice impedisce la precedenza all'Idea (alla
quale appartiene un'eccellenza di altro genere), poiché essa è più
necessariamente l'essere (sebbene solo nell'idea e in Dio) che l'essere.
contingentemente (come il mondo, che in verità è qualcosa per accidens).
E non solo la carità è la più eccellente delle virtù, ma è molto tipica del
cristianesimo, poiché i pagani conoscevano appena l'amore di Dio per il´
mondo o l'amore dell'uomo per Dio. Nell'Etica nicomachea, Aristotele nega, a
causa della trascendenza dell'uno sull'altro, che ci possa essere amicizia tra
Dio e l'uomo; e anche Platone nel Simposio lo nega, perché l'amore è figlio di
Penia e implica indigenza.
Questa eccellenza dell'amore è trasformata da correnti innovative.
Come sopprimono il logico in favore del vissuto, così abrogano la legge in
favore dell'amore; e poiché la legge è la struttura della morale e della religione,
riducono la Chiesa stessa a lievito di amore.
discretium spirituum e che infine degrada il principio di contraddizione per cui il male
non è bene e va odiato, mentre il bene è amato.
Verbo.
Va anzitutto osservato che, come la legge morale naturale, la legge
cristiana della grazia costituisce un principio di obbligo, poiché il Vangelo è
legge (nuova, ma legge) e comandamento (nuovo, ma comandamento). La
legge ha carattere coercitivo, perché è alimentata da una doppia sanzione: la
riprovazione interna immanente e (lasciando da parte le altre) la ricompensa
escatologica. In nessun modo è giustificato il rifiuto dello ius come
incompatibile con la morale, poiché lo ius è una replica della morale. E se san
Paolo dice che lex iusto non est posita (la Legge non è stata data per i giusti)
(I Tim. 1, 9), e che gli uomini che vivono senza Rivelazione nella semplice
morale naturale ipsi sibi sunt lex (sono Legge a stessi) (Rm 2, 14), queste
parole, secondo l'unanime tradizione cattolica, non insinuano che la legge
non sia stata data al giusto, ma piuttosto che non sia imposta.
Il giusto si appropria della prescrizione della legge per amore, cessando
di essergli estrinseco essendo interiormente adottato. Allora il bisogno di
osservarlo, che continua ad esistere, si trasforma in libertà. Questa filosofia
secondo cui l'interiorizzazione della legge ne toglie la coattività è di origine
stoica; ma acquista nell'etica cristiana il carattere particolare di legge di
grazia. San Tommaso insegna nel commento a Rom. 2, leggi. III, che il grado
supremo della dignità umana consiste nel tendere al bene con il proprio
impulso; il secondo grado è muoversi verso il bene su impulso degli altri, ma
non con la forza; e il più basso (anche se è un grado di dignità), nel bisogno di coercizione.
In tutti i gradi, però, l'obbligazione della legge è causa ultima della volontà,
cioè dell'amore. E sia chiaro: non è la legge che si fa interna all'uomo e
all'uomo viene ricondotta, ma l'uomo alla legge, che penetra e plasma la
volontà.
El primum es la ley, no el hombre. De hecho, como ense˜na San Agust´ÿn
en el De spiritu et littera, lib. 1, cap. XXX, 52 (PL 44, 233), la ley non è eliminada,
sino confermata por la libertad; y el caput de la vida humana est´a fuera del
hombre: il vizio nasce quando ciascuno confida in se stesso e poi fa vivere la
3 .
propria testa (cap. VII, 11, PL 44, 206)
Il discorso sulla preminenza della legge sull'amore e dell'amore sulla legge
prepara il discorso sull'attacco lanciato nella Chiesa postconciliare contro
l'esistenza e il carattere assoluto della legge naturale, fondamento della vita
morale. L'attacco è stato condotto in vari modi: sfidando l'esistenza stessa di
un principio immobile per sostituirlo con la moralità situazionale, con il
principio di globalità, o con quello di gradualità.
Il concetto di destino individuale è stato abbassato rispetto a quello di salvezza
3Un vizio che alza il collo quando l'uomo pone sopra ogni cosa la propria fiducia nelle
proprie forze, costituendo egli stesso la ragione autonoma della sua vita
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Comunità.
se tratta della profondità speculativa di tali principi, o anche se tratta del suo
disegno logico e della sua applicazione pratica. El Pont´ÿfice ripropone la
doctrina cl´asica de la gran tradici´on filos´ofica grecoromana e de la teolog´ÿa
cat´olica desde San Agust´ÿn a Rosmini, y casi en los mismos t´erminos. La
norma morale è assoluta, al ser una expresion del orden eterno de las esencias
presente en la divina raz´on: la legge naturale è la partecipazione della legge
eterna e l'impressione della luce divina nella creatura razionale che tende a
l'atto dovuto e il fine (Summa theol. 1, 11, q. 91, a. 2).
La maestà della legge morale deriva dalla sua forza indefettibile, che si identifica
in Dio con l'essere di Dio. Partecipa al suo carattere di atemporalità e assolutezza, ed
è completamente estraneo all'idea di creazione. Come Dio, la legge naturale è innata,
e la tradizione teologica della Chiesa ha sempre escluso che sia una creazione: il
mondo è creato, ma la legge morale è increata.
È vero che la scuola volontarista che culmina in Guglielmo di Occam ritiene che
anche il diritto naturale sia un effetto creato contingente, ma nonostante interpretazioni
attenuanti, tale dottrina rende contingente la morale e sostanzialmente la elimina.
È vero che lo spezza, ma non è un male perché spezza la proiezione della persona
verso il futuro, ma perché viola il rapporto tra una natura e l'altra, tra il finito e l'infinito,
indipendentemente dalla sua conseguenza temporale.
Cap'itulo 21
legge naturale
1Tipico è il caso di padre CURRAN, uno dei discepoli più noti di padre H´aring,
esponente del problema cattolico negli Stati Uniti. Fu rimosso dall'arcivescovo di
Washington per aver insegnato che la legge naturale ei precetti morali sono in
continua evoluzione. Ma seimila studenti e quattrocento professori protestarono
in sua difesa, e lo stesso arcivescovo lo rimise in cattedra (ICI, n. 288, p.7, 15
maggio 1968).
319
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4
Questa tesi implica l'indipendenza del dipendente : cioè la facoltà
dello spirito creato di creare un mondo di valori. Un tale mondo non è secondario e
partecipato dall'Idea divina increata: è un mondo originario di valori veramente
primordiale non preformato in Dio. È la teoria radicalmente respinta da san Tommaso,
della creatura capace di creare. L'entità dipendente opererebbe come entità
indipendente, senza una causa efficiente o una causa esemplare.
Non intendo influenzare l'affinità di questa posizione con la posizione molinista sul
problema specifico della grazia. In ultima analisi, si tratta sempre di riservare almeno
una frazione di indipendenza alla natura: Molina intende l'indipendenza come
autodeterminazione della volontà, ma non la estende alla creazione di valori; ma la
nuova teologia assegna allo spirito umano molto più che il compimento di un atto: la
creazione di valori. Si può dire che, in quanto essere morale, l'uomo è Dio per se stesso.
3Soprattutto nel libro La fede non è un grido. Fede e istituzione., Ed. Taurus, Madrid 1968,
Indicizzato nel 1958. Si veda la successiva citazione in lib. II, IV, I, pag. 221, n. venti.
4La tesi della moralità indipendente fu sostenuta al congresso della Pax Romana nel
settembre 1982 a Roma. Nel documento fondamentale si dice che la coscienza etica fa valere
le sue esigenze da se stessa, senza poggiare su basi religiose o metafisiche (OR, 12
settembre 1982).
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5Giovanni Paolo II, nel suo discorso del 9 novembre 1982 a Santiago de
Compostela, considerava tuttavia l'unità europea come ancora esistente e informata
dai valori cristiani (OR, 10 novembre 1982).
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Cap'itulo 22
Il divorzio
323
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1
ICI, n. 250, pag. 11, 1 aprile 1967.
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diritto religioso, deve essere riconosciuta allo Stato la capacità di sciogliere il vincolo
8 .
di coloro che non si ritengono vincolati dalla prescrizione religiosa
In quanto sacramento, il matrimonio rappresenta e realizza l'unione indissolubile
di Cristo con la Chiesa, e questo significato misto produce l'inviolabile permanenza
del vincolo, secondo la dottrina di Ef. 5, 32. Ma anche spogliato della sacramentalità
(come è in puris naturalibus) il matrimonio è intrinsecamente indissolubile, e la sua
riduzione a comunione temporanea è un corollario della mentalità moderna che eleva
il soggetto al di sopra della legge e ne fa un autolegislatore autonomo .
grande celebrazione del potere ordinario della libertà, perché riguarda tutti gli
atti individuali. Pertanto, ogni riduzione che se ne fa di volersi sviluppare
umanamente parlando si traduce in una diminuzione della dignità umana. A
causa della loro intransigenza, l'indissolubilità coniugale
´ è al di sopra dei voti
religiosi. Queste sono della stessa natura (la volontà come vittima si offre... /
e si compie col suo atto, Par. V, 29-30), ma meno eccelse della prima, per la
sua dispensabilità, m Ciò è più facile in la Chiesa postconciliare, le toglie il
merito e le pone al di sotto (secondo detto versetto) della comunione
matrimoniale perpetua.
L'indissolubilità, strettamente legata alla monogamia, può essere dimostrata
con riflessi sociali e psicologici, in ultima analisi più eudemonologici che
deontologici. Tali considerazioni vanno dalla quasi parità numerica nelle
statistiche di uomini e donne, all'esigenza civile di legittimare la prole,
all'instabilità delle passioni, che devono essere frenate, e alla domanda di
educazione dei figli.
In realtà, la ragione essenziale dell'indissolubilità, prescindendo, si intende,
dalla ragione sacramentale e dal diritto divino, è di alto ordine spirituale. Il
matrimonio è un dono totale da persona a persona, mediante il quale due
persone di sesso diverso si uniscono il più pienamente possibile secondo la
retta ragione. Questa unione presuppone l'amore che è dovuto da ogni persona
ad ogni persona indipendentemente dal sesso, e vi aggiunge l'amore tra
l'uomo e la donna secondo l'impronta naturale della sessualità. Parleremo del
matrimonio e della fine procreativa a tempo debito.
Qui basta concludere con due osservazioni.
Primo: l'indissolubilità discende dalla monogamia, e la monogamia
discende dalla totalità del dono delle persone, solus ad solam. Questa totalità
è un'espressione dell'amore universale, che in ultima analisi rimanda all'amore
di Dio.
Secondo: poiché il divorzio risponde alla logica delle passioni e (diciamo
così) alle suppliche della natura corrotta, il suo divieto da parte della Chiesa
diventa una prova della verità e della divinità della Chiesa. La Chiesa professa
come vincolante una dottrina morale più alta e più perfetta di quella di qualsiasi
altra religione o filosofia, alla quale tale perfezione sembra impossibile da
praticare.
La Chiesa può fare questo perché ha un'idea più nobile e più onorevole
dell'umanità, che è giudicata capace di ogni morale alta e squisita. E questa
idea si fonda9 sulla consapevolezza che la Chiesa ha di possedere una maggiore
forza morale, quindi, nello stesso tempo che impone una
9Questo pensiero è tratto da ROSMINI, Filosofia del diritto, n. 1336. Ed. nazionale, volume
XXXVIII, p. 1107, nota.
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Cap'itulo 23
sodomia
23.1. sodomia
Non entreremo nel tema della sodomia, in cui le opinioni teologiche
assecondavano la propensione dello spirito del secolo a rompere la
secolare fedeltà della legislazione alla legge naturale, introducendo in
tutta Europa la legittimità dei rapporti omosessuali.
Basterà qui segnalare anche la negazione delle essenze, in particolare di
la struttura naturale e moralmente inviolabile dell'atto sessuale.
Si sostiene che l'eterofilia e l'omofilia siano solo due modalità di
un'identica dimensione sessuale, essendo la loro differenziazione una
conseguenza di influenze meramente sociali. In tal modo la sodomia,
severamente condannata dalla filosofia, dai costumi e dalla disciplina
della Chiesa, cessa di essere una perversione per diventare
un'espressione della sessualità, e scompare dall'elenco dei peccati che
gridano vendetta al cielo, che comprende anche omicidio volontario,
oppressione dei poveri e negazione del salario all'operaio.
Le differenze naturali vengono superate con un sofisma dell'amore,
ritenuto capace di stabilire una comunione spirituale delle persone al di
là delle norme naturali e in barba ai divieti morali.
Nella Chiesa olandese lo scandalo passò dalle disquisizioni teologiche
alla prassi, e si svolsero celebrazioni liturgiche dell'unione degli
omosessuali e persino una Missa pro homophilis que Notitiae, organo
della Commissione per l'esecuzione della riforma dei riti, si trovò
nell'obbligo di deplorare (marzo 1970, p. 102).
331
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Cap'itulo 24
L'aborto
1La Santa Sede si è trovata costretta a condannare e scomunicare suor Mary Agries
Mansour, che aveva accettato di dirigere un centro di interruzione di gravidanza a Detroit.
Di fronte alle intimidazioni del vescovo, la religiosa sosteneva che, poiché la legge autorizza
l'aborto, non poteva arrogarsi il diritto di opporsi alla legge (Lactualit´e religieuse) 15 giugno
1983, p. 24).
333
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et postea homo (Summa theol 111, q. 33, a. 2, ad tertium). Non meno che la
teologia dogmatica si era separata dalla filosofia naturale dominante, il diritto
romano, identificando il concepito come persona soggetta a diritti e assegnando
al feto un curator ventris con la missione di rappresentarlo nel processo e
tutelarne i diritti.
La dottrina dell'animazione del feto al novantesimo giorno cominciò a
cedere dopo l'opera di Fienus, De animatione fetus (1620), la cui dottrina fu
propugnata e propagata da S. Alfonso Maria di Ligorio. L'embriologia naturale
si trovò allora conformata al soprannaturale di Cristo e della Vergine, e l'aborto
fu riconosciuto come delitto in qualsiasi momento della gravidanza. Un
fenomeno singolare che si presenta a chi osserva a questo punto il movimento
generale della nuova teologia, è che mentre in un altro tempo la teologia si
modellava sull'opinione dei filosofi naturali, sostenendo l'innocenza dell'atto
abortito se avvenuto prima della animazione per cui l'animale diventa bambino,
oggi, al contrario, gli innovatori si oppongono al consenso dei genetisti, che
danno per scontato il carattere immediatamente e individualmente umano fin
dal concepito.
6RAMSEY, in OR, 28 agosto 1971, osserva che il 40% delle nascite è indesiderato. Ma
si smarrisce non distinguendo tra il voler concepire un figlio e il voler nascere il concepito.
Sant'Agostino è anche più profondo di tutta la psicologia moderna in questo, nelle sue
Confessioni, dove, a proposito di Adeodato, osserva che i bambini, anche quelli non
desiderati, si sforzano di essere amati appena nascono.
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fatto di essere
Questa erronea antropologia deriva dal marxismo, e come essa fa della
persona una relazione. Ora, sebbene la persona sia certamente in relazione
con le cose e con le persone del mondo, di per sé non è relazione: si costituisce
come entità prima di entrare in relazione secondo
il suo essere.
rompe la parità tra il figlio e la madre, ma anche tra un coniuge e l'altro, come
se il concepito fosse per partenogenesi.
Questa ignoranza universale dell'uguaglianza umana discende dall'ignoranza
delle essenze o nature. Infatti, se l'uomo non è natura che risponde a un'idea
divina e non dipende da Dio che lo ha fatto tale, non sarà più vero che Ipse
fecit nos et non ipsi nos (Sal 99, 3). La sostanza umana sarà una forma che
può essere modellata dalla sostanza umana.
E, con quale altra forma, se non con l'utilità? E poiché la tecnica è
l'organizzazione dell'utilità, non sorprende che i grandi fenomeni dell'esistenza
umana sfuggano alla religione, e la nascita, l'amore, la generazione e la morte
passino gradualmente sotto il controllo della tecnica. Perso il concetto (più
filosofico che religioso) dell'assoluta dipendenza della creatura rispetto a Dio,
è impossibile non perdere quello dell'assoluta indipendenza di una creatura
rispetto all'altra. Solo appartenendo a Dio è impossibile essere schiavi; Solo
se il mio titolo assiologico è l'idea divina è impossibile per chiunque
deformarmi o rendermi schiavo.
Da ciò ne consegue che l'argomento di Beethoven non è un argomento
cattolico. Consiste nel proibire l'aborto non perché il titolo assiologico del
bambino sia identico a quello della madre (essendo un essere umano), ma
perché non si sa se l'individuo a cui viene impedito di nascere possa arrivare
ad essere un grande genio, un grande santo, un grande servitore del genere
umano: un alfa plus, secondo la classificazione di Aldous Huxley. L'argomento non è cattolico,
Primo: tutti gli individui umani, avendo il loro fine in Dio e non negli uomini,
sono assiologicamente uguali. Ciascuno ha più o meno perfezione per doti
naturali, meriti morali o dono di grazia (in cui non ve ne sono due uguali), ma
questa gradazione accidentale o quantitativa non potrà mai sopprimerne
l'essenziale parità assiologica.
Secondo: nessuna diminuzione può essere inflitta da un uomo a un altro
se non per motivi di colpa; e quindi il bambino, che è innocente, non può
essere punito.
Terzo: il valore dell'uomo in quanto uomo sfugge a ogni misura; Si è più o
meno virtuosi, più o meno belli, più o meno saggi, ma non si è (sebbene sia
comune dirlo) più o meno uomini.
Che gli uomini potessero essere misurati con una metrica quantitativa fu
l'errore del biologismo nazista. Una famosa sentenza del tribunale di Lun'eville
nel 1937 dichiarava che l'aborto non era punibile se riguardava un feto di razza
ebraica, ma solo se era di razza ariana. E l'orrenda pratica delle SS degli Ein
satzgruppen in Romania, ordinata per rappresaglia a fucilare dieci romeni o
(equivalentemente) cinquanta ebrei.
Non sostanzialmente diversa è la filosofia della Corte costituzionale della
Repubblica italiana, nella sentenza in cui ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art.
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24.4. Radice ultima della dottrina dell'aborto. Teoria della potenza e legge 339
546 cp, che punisce l'aborto; Non è punibile chi abortisce una donna per la
quale il parto costituisce un pericolo per l'integrità fisica e l'equilibrio psichico.
La sentenza decide una questione che appartiene più alla filosofia che al
diritto: e cioè se l'embrione sia o meno una persona umana. E lo decide
contraddicendosi. Ammette che l'embrione è soggetto di diritto (come si
deduce dal diritto civile, che istituisce il curator ventris per il concepito e
revoca il testamento in caso di procreazione di figli), ma arriva poi a parlare
di collisione di diritti tra madre e figlio e conclude affermando la prevalenza
di quelli della madre, perché «lei è persona e lui (riconosciuto, però, come
soggetto di diritto) deve ancora diventarlo.
Ma cos'è un soggetto di diritto, se non una persona? E come e dove
avviene la sua trasformazione in persona? La dottrina della Corte Suprema
(a parte il fatto che qui la pitonessa Philippe, cioè lei raccoglie le voci
dell'opinione) cozza contro i dati più attendibili delle scienze biologiche.
L'isotimia del feto e della madre è inviolabile, ed è ancor più illecito preferire
la madre al feto quando una vita non si oppone ad un'altra, come nella
precedente casistica dell'aborto, ma piuttosto sulla vita del feto , prevalgono
la salute, il benessere e infine la semplice volontà della donna.
9Molte conquiste della moderna ostetricia vanno attribuite alla pressione esercitata
su di essa dalle idee morali della Chiesa. L'ideale è la perfetta compatibilità delle
tecniche eutochiche con l'imperativo morale.
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Ma questa incongruenza tra essere e non essere allo stesso tempo scompare
se interpretata attraverso la teoria tomista dell'atto e della potenza, secondo la quale è identica
la sostanza sia quando è nello stato di virtualità, sia quando lo è
eseguita in actu exercito.
10Non c'è differenza tra distruggere una vita già nata e distruggere una che nasce:
chi sarà un uomo è già un uomo.
11Analog al del De fuga, 5: se vuoi negare, hai già negato. Tomada rigorosamente, la
l'espressione presuppone la distruzione del tempo.
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24.4. Radice ultima della dottrina dell'aborto. Teoria della potenza e legge 341
Cap'itulo 25
suicidio
25.1. suicidio
La variazione che si è verificata intorno al suicidio si verifica più in pratica
che in teoria. Il fatto fondamentale è l'abrogazione nel nuovo Codice di diritto
canonico del divieto di dare sepoltura religiosa ai suicidi (can. 1184).
343
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di altri. E quando nell'agosto del 1983 un ragazzo di sedici anni si suicidò a Roma
insieme alla fidanzata, gli furono concessi i riti religiosi e fu pronunciato il suo elogio
funebre (OR, 6 agosto 1983). Molto più vere e autentiche sono le parole che
Giacomo Luvini-Perseghini, uno dei dirigenti del partito radicale del cant, pronunciò
a Lugano nel 1834 sulla tomba del dottor Giuseppe Zola, sepolto come suicida nei
pressi del cimitero.´sul Ticino : Speriamo che il Dio dei nostri padri, la cui
misericordia è infinita, voglia perdonare l'errore di un istante a colui la cui vita è stata adornata d
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Cap'itulo 26
pena di morte
Esistono istituzioni sociali che derivano dai principi del diritto naturale, e
come tali si perpetuano in varie forme: è il caso dello Stato, della famiglia o del
sacerdozio; e ve ne sono altre che, avendo origine in un certo grado di
riflessione su quei principi e in concrete circostanze storiche, devono
scomparire quando la riflessione passa ad un grado ulteriore o quelle
circostanze scompaiono: è il caso, ad esempio, della schiavitù. Fino a tempi
recenti, la pena di morte era teoricamente giustificata e praticata in tutte le
nazioni come l'estrema sanzione con cui la società punisce il reo con il triplice
scopo di riparare l'ordine della giustizia, difendersi e dissuadere gli altri dal
delitto. La legittimità della pena capitale si basa su due proposizioni. Primo: la
società ha il diritto di difendersi; secondo: la difesa presuppone tutti i mezzi
necessari per essa. La pena capitale è contenuta nella seconda proposizione,
a condizione che l'eliminazione della vita di un membro dell'organismo sociale
sia necessaria alla conservazione dell'insieme.
345
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1Tale opposizione è diventata quasi diffusa e la stessa pena capitale è vista come
un'ingiustizia. Molti Stati membri del Consiglio d'Europa hanno firmato nel 1983 un
protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo con il quale si
obbligano ad abolire la pena di morte dalle loro leggi (RI, 1983, p. 1077).
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Le società che negano la vita futura e pongono come massimo il diritto alla
felicità nel mondo di quaggiù devono fuggire la pena di morte come
un'ingiustizia che spegne nell'uomo la possibilità di raggiungere la felicità.
Ed è un vero (verissimo) paradosso che chi contesta la pena capitale difenda
uno Stato totalitario, poiché gli attribuisce un potere molto più grande di
quello che ha, anzi un potere supremo: troncare il destino di un uomo, non
potendo 2 .
eseguire la morte di un uomo contro un altro senza ledere né il destino
morale né la dignità umana, tanto meno può ostacolare e pregiudicare la
giustizia divina, che esercita il giudizio sopra ogni giudizio. Il significato delle
parole incise sulla spada del carnefice di Friburgo (Signore Dio, tu sei il
giudice) non è identificare la giustizia umana con la giustizia divina, ma al
contrario: è il riconoscimento di quella suprema giustizia che giudica ogni
nostro giudici.
Si sostiene inoltre che la pena capitale sia inefficace nello scoraggiare il
crimine; e si porta a sostegno la famosa sentenza di César, che nel processo
contro i Catilinario disse che la morte, fine dell'infamia e della miseria del
delinquente, era un male minore della durata dell'infamia e della miseria. Ma
l'obiezione è confutata dal sentimento universale che l'istituto giuridico di
grazia ha ispirato, prescindendo dal fatto che gli stessi malviventi talvolta´ si
legano a patti suggellati dalla morte in caso di tradimento. Questi confermano
con testimonianza competente l'efficacia deterrente della pena capitale.
Antico Testamento, che è una legge di sangue. Allo stesso modo, non può
essere cancellato con un tratto di penna, e non dico la legislazione canonica,
ma lo stesso insegnamento del Nuovo Testamento. So bene che secondo i
nuovi canoni ermeneutici, il tipico passo di Rom. 13, 4 (che concede lo ius
gladii ai principi e li chiama ministri di Dio per punire gli empi), come
espressione di una condizione storica superata. Tuttavia, nel suo discorso ai
giuristi cattolici del 5 febbraio 1955, Pio XII respinse esplicitamente tale
interpretazione, sostenendo che questo versetto ha valore duraturo e generale,
poiché si riferisce al fondamento essenziale del potere penale e alla sua
immanente finalità.
Inoltre, il Vangelo di Cristo consente indirettamente la pena capitale, poiché
dice che è meglio per un uomo essere condannato a morte per annegamento
piuttosto che commettere un peccato di scandalo (Mt 18, 6). E di Made. 5, 1-11
si deduce che la pena di morte non era aborrita dalla primitiva comunità
cristiana: i coniugi Ananÿas e Saffira, accusati di frode e menzogna a danno
dei fratelli, si presentano davanti a san Pietro e vengono puniti.
Sappiamo dai commenti biblici che tale condanna è stata denunciata come
crudele dai nemici contemporanei del cristianesimo. La trasformazione operata
è evidenziata in due punti. Nella nuova teologia penale non si tiene conto della
giustizia, e tutta la questione ruota intorno all'utilità della pena e alla sua
idoneità a reintegrare il detenuto nella società. Qui il pensiero innovativo viene
reindirizzato, come in altri punti, all'utilitarismo della filosofia giacobina,
secondo la quale l'individuo è essenzialmente indipendente, e sebbene lo
Stato possa difendersi dal criminale, non può punirlo perché ha violato la
legge morale. legge, cioè perché è moralmente colpevole. Tale assenza di
colpa da parte dell'imputato si traduce poi in disprezzo per la vittima e persino
nella preferenza accordata all'imputato rispetto all'innocente.
In Svizzera l'ex condannato è privilegiato nelle opposizioni a pubblici uffici
nei confronti del cittadino senza precedenti penali. La considerazione della
vittima è eclissata prima della misericordia per il criminale. L'assassino Buffet,
dirigendosi verso la ghigliottina, grida la sua speranza di essere l'ultima
ghigliottina di Francia. Dovrei urlare di essere l'ultimo assassino. La pena per
il delitto sembra più aberrante del delitto, e la vittima cade nell'oblio. Il ripristino
dell'ordine morale violato dalla colpa è rifiutato come atto di vendetta. Si tratta,
però, di un'esigenza di giustizia, che va perseguita anche se il male passato
non può essere annullato ed è impossibile emendare l'imputato. Viene
attaccato anche il concetto stesso di giustizia divina, che punisce i dannati, al
di là di ogni speranza o possibilità di pentimento (§ 41.4). Ma il concetto stesso
di redenzione del criminale si riduce a una mutazione dell'ordine sociale.
Secondo OR del 6 settembre 1978, la redenzione è la consapevolezza di
essere nuovamente utili agli altri.
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cancel, adem´as de toda deuda de pena debida por el delito a la sociedad humana,
tambi´en toda deuda de pena en la otra vida. È interessante riferirsi alle parole precise:
La morte inflitta anche per delitti toglie tutta la pena dovuta per delitti in un'altra vita o
una parte della pena secondo l'ammontare della colpa, della pazienza e della
6 .
contrizione, ma non la morte naturale
La forza morale della volontà di espiazione spiega anche l'infaticabile sollecitudine
con cui la Compagnia di San Juan Decollato, accompagnando il supplizio dei
condannati, moltiplicava i suggerimenti, le richieste e gli aiuti per cercare di andare
verso il consenso e l'accoglienza dell'anima di colui che stava per morire, e per farlo è
7.
morto nella grazia di Dio
6Summa theol. Indice, alla voce mors (ed. Tur´ÿn 1926). La morte inflitta come
pena per i delitti cancella tutta la pena loro dovuta nell'aldilà, o almeno una
parte della pena in proporzione alla colpa, alla sofferenza e alla contrizione. La
morte naturale, tuttavia, non lo cancella.
7Estremamente rivelatore a tal fine è quanto si legge nei Rapporti della Compagnia
di San Giovanni Decollato in Roma giovedì 16 febbraio 1600, a proposito del supplizio
di Giordano Bruno. Lo accompagnarono sette confessori, domenicani, gesuiti,
dell'Oratorio e di San Geronimo, perché dove non bastasse la spiritualità di un genere,
fosse accolta quella di un altro: VINCENZO SPAMPANATO, Documenti della vita di
Giordano Bruno, Firenze 1933 , p . 197. Si veda a questo proposito il libro di VIN
CENZO PAGIJA, La morte confortata, Roma 1982, in particolare il cap. VII, La
morte del condannato è un esempio di morte cristiana.
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26.4. Inviolabilità della vita. Essenza della dignità umana. Pio XII 351
utile, tipico anche dell'uomo indegno. Si veda come argomento quanto diremo
nei §§31.1 e 32.1.
La pena di morte e le altre pene, se non sono degradate a pura difesa e
quasi ad uccisioni selettive, presuppongono sempre un degrado morale della
persona punita, e quindi non vi è violazione di un diritto inviolabile e
imprescrittibile. Non è che la società tolga un diritto al detenuto, ma piuttosto,
come insegnava Pio XII nel discorso ai neurologi del 14 settembre 1952, anche
quando si tratta dell'esecuzione di un condannato a morte lo Stato non dispone
della diritto alla vita. Spetta poi al pubblico potere privare il condannato del
bene della vita in espiazione del suo delitto, dopo che con il suo delitto si è già
espropriato del suo diritto alla vita (AAS, 1952, pp. 779 e ss.) E l'inviolabilità
del diritto alla vita nell'innocente, inesistente nel criminale, che se l'è strappata
lui stesso con la depravazione della volontà, è anch'essa evidente se si
considera parallelamente il diritto alla libertà: può essere innato , inviolabile
o imprescrittibile, ma il diritto penale riconosce come sanzione del delitto
anche la privazione perpetua della libertà, e la consuetudine di tutte le nazioni
la pratica.
Cap'itulo 27
Guerra
353
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Discorrendo degli atti che rompono la concordia tra gli uomini, l'Aquinate
qualifica la guerra in modo puramente negativo, stabilendo che essa non è
sempre peccato.
Pio XII, nel suo discorso natalizio del 1949, dopo aver proclamato che
tutti i trasgressori della legge dovrebbero essere posti in un infame isolamento
ai margini della società civile, denunciò con forza il falso pacifismo: la
condotta di coloro che odiano la guerra per la sua atrocità e non a causa della
sua ingiustizia prepara il successo dell'aggressore. La guerra non può che
essere il peggiore dei mali per chi adotta una visione irreligiosa che considera
la vita, e non il fine trascendente della vita, come il sommo bene, ed
equivalentemente il piacere come il destino dell'uomo. La guerra è certamente
un male, e la Chiesa la annovera, insieme alla carestia e alla peste, tra i flagelli
dai quali vorrebbe che gli uomini fossero preservati.
1
Cosa c'è da condannare in guerra? Forse il fatto che uomini destinati a morire comunque,
muoiano per sottomettere uomini destinati a vivere in pace? Condannarlo è proprio degli
uomini privi di forze, non dei religiosi. Le cose che si condannano in guerra sono la volontà
di fare del male al nemico, la crudeltà della vendetta, lo spirito irrequieto e implacabile, la
crudeltà nella ribellione, il desiderio di dominio e altre cose simili.
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27.2. Pacifismo e pace. Carta. Pomma. Paolo VI. Giovanni Paolo II 355
l'assioma non entrava nella questione del merito morale, e certamente non lo è
priorità cronologica della battaglia che lo qualifica.
L'effetto omicida degli atti di guerra è condannato perché nega la
differenza delle essenze e fa della guerra qualcosa che non è. mentre nel
le nazioni del passato combattevano con l'azione specifica di un organo specifico
(l'Esercito), oggi lo fanno con tutto l'organismo sociale, e tutto è militarizzato;
c'è guerra politica, guerra commerciale, guerra diplomatica,
guerra di propaganda, guerra chimica, guerra biologica e persino guerra
3
meteorologica. Non solo Marte, ma Marte, Minerva, Mercurio e tanti altri,
sono divinità del moderno Olimpo.
La guerra totale o parossistica fu inaugurata nel 1793 dalla levée
in massa e la requisizione di uomini e forze economiche, e con l'incipiente
requisizione di anime grazie alla propaganda. coscrizione obbligatoria,
la raccolta del sangue, introdotta da tutti gli Stati moderni e considerata un
passo avanti nella giustizia civile, ha comportato la perdita di una libertà di
quella che già godevano i popoli antichi. 4Era un effetto del più vicino
solidarietà dei cittadini di una nazione, nasce dal potere crescente del
Stato, trasformato in un macroantropo di cui gli individui sono cellule, e
ha portato la guerra alla perdita della sua specificità. Va notato tuttavia
che le dottrine militari stanno ormai abbandonando il concetto di guerra
combattuti da un intero popolo con tutte le sue risorse, e tornano ad eserciti
non di massa, ma di professionisti altamente specializzati. è così che va
ripristinare l'idea della guerra come attività di uno stabilimento speciale, e
le opere del sangue sono restituite a Marte. Fare la guerra con un organo
della nazione e non con la sua totalità, ritornerebbe al diritto naturale e
alla situazione ben descritta da Federico II di Prussia: Quando faccio il
guerra, i miei popoli non se ne accorgono, perché la faccio con i miei soldati. Lui
Il movimento della vita nazionale, tuttavia, è ancora completamente orientato
verso la guerra totale, e tutti gli organi della società sono convertiti
in un unico organo di guerra orientato alla distruzione del nemico. Il massimo
Da Talleyrand che in pace i popoli dovrebbero fare il maggior bene possibile
e in guerra il minor danno possibile, la guerra moderna è stata invertita,
che trasforma la struttura sociale in un'unica macchina distruttiva.
3Nel 1977, l'URSS e gli USA hanno firmato a Ginevra una convenzione per la rinuncia a
guerra meteorologica. Gli Stati Uniti, nella guerra del Vietnam, resero impraticabile il sentiero di
Ho Chi Minh lanciando cinquantamila contenitori di ioduro d'argento e neve
carbonico per produrre pioggia.
4È la libertà che SENECA, Efist. LXXIII, 9, ringrazia il principe, esaltato da GU CLIELMO
FERRERO in Discorsi al sordi, Milano 1920. Al contrario, per ROSMINI,
Filosofia della legge, §2154, la coscrizione obbligatoria è il massimo beneficio rimasto
L'Europa dall'impero napoleonico (Ed. nac., vol. XXXIX, p. 1426).
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Secondo alcuni (tra cui Gaetano), la nazione che muove guerra per legittima
difesa compie un atto di giustizia vendicativa, sicché il belligerante che agisce
con giustizia personam gerit iudicius criminaliter agentis.
Secondo altri, invece, quella guerra è un atto di giustizia commutativa, con
cui si cerca la riparazione e la restituzione di un male perduto. Non si tratta qui
di decidere la questione. La sentenza di Gaetano è conforme al principio
cattolico della difesa degli innocenti, inserito nel Sillabo contro il principio di
non intervento.
Ma se la società internazionale non è ancora costituita come una società
perfetta dotata delle tre funzioni legislative, esecutive e giudiziarie, è difficile
chiarire la giustizia di una guerra e punire l'ingiusto belligerante (il che
significherebbe esercitare un ufficio di tribunale universale) . Anche per due
ragioni la guerra giusta è sempre da lamentarsi.
Primo, perché è un fratricidio e, se si combatte tra cristiani, anche una
specie di sacrilegio, dato il carattere sacro dell'uomo battezzato. In secondo
luogo, in guerra l'attività di un partito non può essere buona senza
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che il contrario è cattivo. La guerra difensiva di chi ha ragione è giusta, ma può esserlo
solo se l'attaccante è ingiusto. A causa di questa doppia tristezza, Kant, nella Pace
perpetua, dice che nel giorno della vittoria, vinti e vincitori dovrebbero vestirsi a lutto;
e nel coro della Carmagnola manzoniana ci sono cori omicidi che elevano grazie e inni
che il Cielo abomina.
Un altro paradosso della guerra è l'incertezza del suo esito, anche per chi lo fa in
modo equo. È legge della teodicea che nella vita terrena i beni siano tendenzialmente
accompagnati dalla virtù, ma quella generalità della Provvidenza non basta a togliere
l'evento dal gioco dell'insolente fortuna. Chi conosce la storia sa che abbonda di
malvagi fortunati e di giusti pieni di sofferenze. Né bastano i tanti esempi di furfanti
annichiliti da Nemesis a trasformare quella generalità in un teorema e quella tendenza
in una legge.
Il lato casuale dell'esito della guerra (forse riducibile, ma non eliminabile) rende
irrilevante il fattore quantitativo delle forze antagoniste.
Come già osservava Henri Jomini, il miglioramento dei manufatti bellici perseguito
senza sosta dagli States non offre vantaggi a chi ne fa uso se non è il solo ad utilizzarli,
come si è visto in Cr'ecy nel 1346 con le armi da fuoco e in 1945 in Giappone con la
bomba atomica. Con le nuove armi, l'unica cosa che si fa è raccogliere un coefficiente
comune ai due termini di una proporzione il cui valore è lo stesso. Pertanto, il costo e
il male delle armi aumentano, ma non la probabilità di successo, sempre dipendente
5Questo elemento fortuito nella sorte di un condottiero era riconosciuto dagli antichi: tra le
doti del capo, oltre all'autorità e alla perizia, ponevano la felicitas o fortuna, come si vede nella
scelta di Pompeo per la guerra contro Mitridate (CICERON, Pro lege Manila). Napoleone tenne
conto anche della fortuna, e parlando del generale Mack, sconfitto a Ulma nel 1805, disse: È
inetto: peggio ancora, ha una cattiva stella.
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fortuna nelle cose e valore nell'uomo. La guerra combattuta a tre non avrebbe un
risultato diverso da quello condotto da milioni contro milioni.
la guerra giusta sarebbe stata annullata dalla sua stessa giustizia. La condizione di
moderare l'effetto negativo escluderebbe la possibilità di vittoria e proibirebbe anche
di intraprendere una guerra difensiva. La giustizia è una proporzione tra il sacrificio
necessario per stabilire il diritto e il compenso per averlo stabilito.
Di conseguenza, quando manca una tale proporzione tra i mezzi e il fine, la vittima è
quella che solo potrebbe essere: tollerare l'ingiustizia può allora essere virtuoso e
obbligatorio; Pio XII lo insegna esplicitamente: Non basta doversi difendere da ogni
ingiustizia per usare il metodo violento della guerra. Quando i danni implicati da ciò
non sono paragonabili a quelli dell'ingiustizia, si può avere l'obbligo di subire
7
l'ingiustizia. L'aporia della guerra moderna è manifesta. È legittimo difendersi facendo
la guerra, ma chi combatte è obbligato alla moderazione e quindi destinato a
soccombere all'arrogante aggressore non moderato. Le circostanze viziano la guerra
difensiva con l'immoralità e rendono obbligatorio sottomettersi all'ingiustizia. Di tale
sottomissione ci sono esempi antichi e moderni.
Dallo stato selvaggio in cui ancora giace la comunità dei popoli, il genere umano
deve organizzarsi in una perfetta societas populorum come quella voluta da Leone XIII
e delineata proprio da Benedetto XV secondo la tradizione della teologia cattolica dal
Medioevo a Su ´arez, da
7Discurso del 19 octubre de 1953 en la XVI sesi´on del Ufficio Internazionale de docu
mentazione medicina militare, en Discorsi al medici, IV ed., Roma 1960, p. 307.
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Cap'itulo 28
363
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1
,
pratica eliminando la legge e facendo della coscienza la misura di se stessa.
L'ordine naturale (non solo biologico, ma metafisico ed essenziale) viene rovesciato,
o al massimo diventa dubbio e inconoscibile. Ci sono aspetti di
vita dove la complessità dell'azione concreta è tale da renderla impossibile o
un'applicazione letterale della norma morale è inopportuna. In questo caso devi
fiducia nella coscienza personale e nel senso di responsabilità del
2 .
persona verso la sua
vita Se qui si intende segnalare la difficoltà contingente che l'uomo incontra nel
riconoscere la moralità delle situazioni, l'osservazione
È ovvio e, come abbiamo detto, dà luogo alla casistica. Ma non si può curare
di applicazione letterale della legge, poiché la legge non è solo lettera, ma spirito,
che deve essere trascritto o tradotto dall'universale al caso che si presenta.
La coscienza personale, che non è diversa dal senso di responsabilità, sì
certamente affrontare la vita, ma come qualcosa da giudicare, non come
che costituisce il criterio per giudicare: non si risponde alla propria vita,
ma prima del requisito della legge, dopo di che la volontà di
Dio.
D'altra parte, l'opposizione che si fa tra il
regola generale e il caso particolare, sostenendo che quest'ultimo non rientra nel primo,
piuttosto, ha una propria norma per regolarsi. Il caso speciale
(è conveniente ricordare la dottrina) entra totalmente nella legge universale, perché
l'universale non è altro che il caso individuale preso nella sua essenza, che appare se
le loro note individuanti sono dispensate. Ma entra anche il caso particolare
nel diritto universale per una ragione non logica, ma metafisica e teologica.
La legge morale non ammette che il caso particolare sfugga al precetto, perché il
precetto include tutti i casi possibili. In realtà, anche se come giudizio
della ragione umana, la legge è una generalità astratta applicabile, in quanto
l'ordine ideale inscritto nella mente divina è, invece, una previsione di casi
storico: chi ha promulgato la legge conosce tutte le possibili relazioni di
3 .
sentimenti e azioni con giustizia eterna e immutabile
La moralità della situazione, mentre afferma che il caso concreto non può essere
introdotto nella legge e può essere qualificato dal giudizio soggettivo dell'agente, passa
trascurato il fatto che il caso è sempre un caso di diritto, e come tutti
legge, è inteso dal legislatore divino, davanti al quale sono presenti tutti
i casi possibili.
Pertanto, possono esserci situazioni straordinarie se vengono osservate
dalla parte dell'uomo, che spesso manca di conoscenza del concreto o addirittura rifiuta
la legge, ma queste situazioni sono assolutamente ordinarie dal punto di vista della legge.
Anzi, gli appartengono più propriamente e distintamente degli altri, perché appaiono
all'uomo segnati solo dal carattere imperativo della legge e senza alcuna raccomandazione
di altro genere.
Si tratta di un nuovo modo di concepire la coscienza cristiana: non come una funzione
che applica, mediante un sillogismo automatico, un principio generale a un caso
particolare, bensì come una facoltà che sotto la direzione dello Spirito di Dio è dotata con
una certa forza di intuizione e di creazione che le permette di trovare, per ogni caso, la
soluzione originaria appropriata (ICI, n. 581, p. 51, 15 dicembre 1982, sul documento dei
vescovi brasiliani sui metodi dell'Azione Cattolica ).
Il vescovo Etch'egaray condanna quindi coloro che considerano la legge morale prima del
giudizio morale dell'uomo; insinua che dietro i principi si nasconda la morale, quando in
realtà deriva dai principi e li manifesta; e infine afferma che l'uomo è coautore della legge.
5OR, 18 agosto 1983, come in altre occasioni, falsifica nel titolo il contenuto del discorso
papale: La coscienza morale è il luogo del dialogo di Dio con l'uomo. La parola dialogo
non compare nemmeno una volta in tutto il discorso. Il Papa insegna, invece e con forza, che
la coscienza è il luogo dove l'uomo ascolta, accoglie e obbedisce alla voce di Dio: non dialoga,
deve solo ascoltare.
6Edward SCHILLEBEECKX, Dio e l'uomo. Saggi teologici, Ed. ÿÿgueme, La stanza
della Manca 1968, cap. 7, C II, pag. 357.
7AUGUSTO GUZZO (nella sua rivista Filosofía, 1983, pp. 15-18) ha dedicato pagine di
raro acume e profondità al carattere di dono dell'imperativo morale e alla conseguente
obbedienza dell'atto morale.
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8Principii della scienza morale, cap. V, art. 2, ed. nac., vol. XXI, p. 170.
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si imponga sovrano: sia fatta giustizia, perisca il mondo: perché non perirà,
ma è edificato.
Cap'itulo 29
Globale e graduale
371
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qualsiasi atto.
Questa è una domanda difficile, ma si può dire che l'idea della globalità
morale devia dall'insegnamento della Chiesa. Ciò ha sempre mantenuto la
puntualità della vita morale, facendone il tema perpetuo della sua predicazione
al popolo cristiano.
Ho avuto modo di studiare la predicazione dei parroci della Valle di Blenio
(Ticino) verso la metà dell'Ottocento e ho trovato in essi predicata, senza
eccezione e con insistenza, la frase della puntualità: la sorte del cristiano
dipende dal momento della morte. D'altronde né la letteratura né l'oratoria
sacra conoscono eccezioni in questa materia, culminate in Francia con
Bossuet, Bourdaloue e Massillon e in Italia con il capolavoro di Daniello Bartoli
L'uomo al punto.
E l'universalità di questo insegnamento è tanto più notevole quanto più
evidente, razionale e popolare è l'opposta persuasione che la qualità morale di
un'esistenza debba essere dedotta dalla sua totalità. La morale della globalità
si presenta come una derivazione della morale dell'intenzione, mostrando che
l'opzione fondamentale (cioè la buona intenzione che governa tutti gli atti e li
guiderebbe nel loro insieme) rende gli atti singoli di per sé insignificanti: sono
non più misurati singillatim dalla legge, ma beneficiano della bontà generale
dell'intenzione. Per questo la morale della globalità diventa soggettivismo
abelardiano.
Ogni momento va salvato (facendo buon uso del tempo) (Ef 5, 16), cioè
posto in quel rapporto con il trascendente al di fuori del quale c'è solo il non
essere metafisico o morale.
3Il buon senso non ammette che un uomo sia condannato a una sola caduta solo
perché la morte gli viene incontro in quel momento. E se il destino morale è puntuale,
come si dovrebbe intendere che l'uomo è responsabile di tutte le sue azioni? Sembra
che dovrei rispondere solo per l'ultimo. E come sarà compreso il biblico?... Hai
riempito il numero delle tue iniquità e il Tequel di Dan. 5, 27: sei stato pesato
sulla bilancia e sei stato trovato dimagrito?. Il motivo della bilancia è comune
nelle arti figurative, che non concepiscono il giudizio come puntualità ma come
somma netta. A favore della puntualità, invece, è la giustizia umana, i cui verdetti si
basano sul principio della puntualità: per l'atto di un solo istante, l'assassino è privato
della libertà e talvolta della vita.
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Potrò giudicare una vita nel suo insieme quando è considerata nella
totalità dei suoi atti compiuti, ma non potrò mai regolarmi nelle mie scelte su
una totalità che comprende altri atti futuri incerti o inconoscibili.
La globalità non può fornire un criterio con cui orientarmi nella scelta
presente, perché la scelta presente implicherebbe né più né meno la
conoscenza del proprio futuro. Considera cosa diventerebbe la fedeltà
coniugale se un momento di infedeltà potesse essere compensato da un
momento incerto di fedeltà futura; o cosa diventerebbe l'onestà commerciale
se la frode di oggi potesse essere compensata con la giustizia di un domani
incerto. Senza contare che l'attuale intenzione di fare il male è incompatibile
con l'intenzione di pentirsi e riparare.
Cap'itulo 30
L'autonomia dei valori
1Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo su questo punto: tutti i beni
della terra deve essere ordinato secondo l'uomo, centro e sommo di tutti loro
2
... è l'unica creatura terrestre che Dio ha amato per se stessa. La traduzione
l'italiano abituale si traduce erroneamente da solo, cambiando il significato e cancellando il
variazione della dottrina. Giovanni Paolo II ha citato il testo latino in un discorso sull'amore
coniugale (OR, 17 gennaio 1980).
377
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della madre sulla spiaggia della luce, come un naufrago indigus omni/vitali
aiuto, costretto a vivere tra un sudario di fuoco e un sudario di ghiaccio sulla
faccia della terra, che lo ignora completamente.
attratto dal finito e passivo rispetto ad esso. Le cose sono create da Dio
perché sono belle, ma sono belle perché sono amate da Dio con la sua bontà
(Summa theol I, q. 20, a. 2). Come Dio conosce le cose al di fuori
´ di sé
conoscendo se stesso, così vuole altre cose desiderando se stesso.
Il suo significato deriva dal fine ultimo per cui tutto è stato fatto, non da
loro stessi. Pertanto, come proclamava Paolo VI (OR, 6 marzo
1969), in questa materia il Concilio ha precisato, approfondito e allungato
considerevolmente questa visione (del mondo). Ciò richiede che anche noi
modifichiamo abbastanza il nostro giudizio e il nostro atteggiamento verso il
mondo. Giovanni Paolo II, invece, nel suo discorso davanti all'Unesco nel 1980
dichiara: Bisogna affermare l'uomo per se stesso e non per nessun altro motivo
o ragione: solo per se stesso. Inoltre, è necessario amare l'uomo
perché è un uomo, è necessario rivendicare l'amore per l'uomo in ragione di
la particolare dignità che possiede (RI, 1980, p. 566).
Le parole del Pontefice risentono certamente delle considerazioni
che gli sono stati imposti rivolgendosi ad un'assemblea puramente ispiratrice
umanista e irreligioso, y quiz´a tambi´en se compone del paulino factus om nia
omnibus Devono essere soppesati rispetto all'affermazione espressa
L'enciclica Redentore dell'uomo: Cristo è il centro dell'universo e della storia.
Ma questo punto spinoso richiede un approfondimento.
Sin embargo, toda esta realidad y toda esta acci´on de las criaturas est´an
en un orden radically depende. Resultan en esto chocantes, y no ´olo desde
un punto de vista teol´ogico, las´elebres palabras de II Cor. 3, 5: non che siamo
sufficienti per pensare qualcosa da noi stessi, come da noi stessi, ma
8 nostra ex Deo sufficienza. L'autonomia dei valori umani è un'autonomia
è interno all'ordine creato, ma l'ordine creato è dipendente e impedisce ogni
indipendenza primaria, originaria e assoluta di quei valori.
Dall'autonomia dell'ordine creato si arriva direttamente all'idea dell'uomo
degno di amore in se stesso. L'affermazione mal si accorda con la dottrina
cattolica, che insegna come l'amore del prossimo abbia nell'amore di Dio il
suo motivo autentico.
Tutte le formule per gli atti di carità utilizzate dal popolo cristiano fino al
Concilio Vaticano II presuppongono che Dio deve essere amato per se stesso
e al massimo grado, e il prossimo per amore di Dio. Questa motivazione
dell'amore per il prossimo non compare, però, nei documenti conciliari. Il9
precetto di amare l'uomo era connesso nella dottrina della Chiesa con il
precetto di amare Dio, ma è secondario rispetto ad esso ed è chiamato ad
esso simile (Mt 22, 39). L'amore di Dio è assolutamente primordiale, e prescrive
la forma dell'amore del prossimo. Dunque, quella forma di pura filantropia
anteposta alla filantropia per amore di Dio, presumibilmente viziata da una
vena utilitaristica, non è possibile.
Ma perché si dice che il precetto dell'amore per il prossimo è simile a quello del
Amore di Dio? Per due motivi.
Primo, perché a causa della somiglianza dell'uomo con Dio, amando
l'uomo ama Dio nell'uomo.
Secondo, perché quando ami il tuo prossimo, amato da Dio, ami quella
volontà divina che ti ama: cioè ami Dio.
Nella dottrina cattolica è impossibile trovare nell'uomo una bontà che non
sia influsso e riflesso dell'amore di Dio per la sua creatura. È impossibile
amare l'uomo per se stesso, senza l'amore per Dio. Le qualità che si trovano
in una persona possono influenzare secondariamente (sebbene in modo
importante) l'amore che le è dovuto, e per questo una madre è amata più di un
estraneo; ma non sono la ragione dell'amore che gli è dovuto secondo il nuovo
precetto del Vangelo. L'uomo deve essere amato dall'uomo perché è amato da
Dio, il che implica che è Dio che lo rende amabile.
8Non perché da noi stessi siamo in grado di pensare qualcosa come nostro, ma perché
la nostra capacità viene da Dio
9 Tuttavia, Paolo VI lo menziona nel discorso di apertura e nel discorso di chiusura del IV
periodo. Ma in loro l'amore del prossimo è posto come condizione dell'amore di Dio.
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facendosi servo per salvarlo. Se Dio si fa uomo per l'uomo, non è vero?
può l'uomo prendere l'uomo come fine e amarlo per se stesso?
Eppure l'antropocentrismo è incompatibile con il sistema cattolico,
per il quale esiste un solo centro della realtà universale: Dio contemplato
nella sua trascendenza.
Si può certamente dire che l'uomo è la sintesi di tutte le creature e
come tale ha il primato nell'ordine creato e ne appare al centro. Ulteriore
tuttavia, si può dire che Cristo è la sintesi di tutti gli esseri, compresi
11
essere .
infinito.Ma la verità preminente che preclude ogni antropocentrismo è questa
il primo fine di Cristo nella sua passione non è stato quello di salvare gli uomini (cioè
fine secondario), ma per soddisfare la giustizia divina per il delitto commesso
dall'uomo e restituire così l'onore divino. Solo grazie al titolo
vinto davanti al Padre con detta soddisfazione, Cristo diventa Signore
del
´ genere umano e si serve di tale dominio per salvarlo. Ma in tutto questo
Amava la volontà del Padre ancor più dei suoi fratelli.La mia 12 mesi . Di
posizione subordinata dell'amore dell'uomo nel processo dell'Incarnazione è
evidente in tutta la liturgia: "non è affatto antropocentrica, ma piuttosto
Cristocentrico,
´ e non ha Cristo come fine ultimo, ma il Padre (poiché lo è
a Lui, e non al Figlio, al quale viene offerto il sacrificio).
In conclusione, la filantropia puramente umanistica non è compatibile con
la religione. L'uomo non è una creatura voluta da Dio per sé, ma
si.
11Por lo cual dice San BUENAVENTURA: Presumo natura umana more fecti ad
la perfezione dell'universo che quella degli angeli, nel 3° Inviato. distanza 11, artt. 1, q. 2.
12Es la doctrina de ROSMIMI, Filosofia del diritto, Trattato della societ´a teocratica §620
e segg., pag. 884 del vol. XXXVIII dell'ed. nac. Questa dottrina confuta anche le aporie
inerente alla questione del numero degli eletti, un tempo molto dibattuta: la fine
della Redenzione si raggiunge qualunque sia il numero di coloro che si salvano, avendo
stato riparato da Cristo, per qualsiasi numero, l'offesa fatta al Padre.
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Cap'itulo 31
Lavoro, tecnica e
contemplazione
385
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1Il concetto è nuovo e non si trova, ad esempio, nel Codice sociale elaborato
dall'Unione Internazionale di Studi Sociali (Rovigo 1927).
2 Ad esempio, la Costituzione della Repubblica Italiana, all'art. 1: L'Italia è una Repubblica
ca fondata sul lavoro.
3LECH WALESA, allora capo dei sindacati indipendenti polacchi, in un'intervista televisiva
dell'aprile 1981 alla TV italiana, dichiarò espressamente :
lavoratore, vorrebbe lavorare il meno possibile.
4 Allargare i limiti del dominio dell'uomo dilatandolo il più possibile (Nova At
lantis, en Opera latina redditata, Londra 1638, t. 1, pag. 375).
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7 Qui gli uomini della Terra hanno messo piede per la prima volta. Luglio 1969, dC Abbiamo
vieni in pace nel nome di tutti gli uomini. L'unica caratteristica della religione è nelle iniziali
della data.
8Anche Guido ACETI, teologo dell'Università Cattolica di Milano, intervistato in
Europeo del 27 luglio, ha risposto a coloro che si opponevano alla religiosità di Colombo rispetto
con quella attuale che la presenza dell'uomo nell'universo è la presenza di Cristo.
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31.4. Nuovo concetto del lavoro. La Enciclica che esercita lavoro 389
per fornire un servizio associato. Infatti, per l'opera offerta a Dio, riteniamo che
10
l'uomo stesso si associ all'opera della redenzione di Gesù Cristo, il quale ha
portato in modo eccellente la dignità di quell'opera quando ha operato con le proprie mani a Nazar
11
.
Con ardita argomentazione teologica, si dice addirittura che con il trionfo
della tecnica comincia a manifestarsi la propria somiglianza con Dio, persa con
12
il peccato originale. La categoria del lavoro diventa così la forma generale della
morale in un duplice nuovo significato: primo, il lavoro è il fine dell'uomo
nell'istituzione primitiva; in secondo luogo, è il mezzo universale con cui l'uomo
realizza creativamente la sua personalità.
Riguardo al primo punto, va osservato che il destino dell'uomo di dominare
la terra attraverso il lavoro è proprio suo nel sistema primitivo (quello dell'Antico
Testamento), che si estendeva in una prospettiva eminentemente terrena,
sentiva debolmente la vita ultraterrena, e dava premio temporaneo alla virtù e
alla religione: Se vorrai e se mi ascolterai, mangerai del meglio della terra (Is 1,
19). Questo destino del tutto provvisorio è superato nell'ordine di grazia
annunciato dal Nuovo Testamento, rispetto al quale l'attuale esaltazione del
lavoro appare come un movimento regressivo.
Non c'è traccia di esaltazione del lavoro nella predicazione di Cristo, che
eleva tutta la sua prospettiva al regno dei cieli. È vero che questo germoglia nel
mondo attraverso il merito morale, ma trascende tutto ciò che il cuore mortale
può concepire: nel suo confronto con le cose del mondo esse sono purgamentum
atque peripsema (la spazzatura del mondo e lo spreco di tutti). (cfr 1 Cor 4, 13).
10 Nella citata enciclica l'affermazione è temperata dal quodam modo. Vedi anche il discorso in
OR, 17 maggio 1981.
11Esso è per il lavoratore e la sua famiglia il mezzo ordinario di sussistenza; attraverso di essa
l'uomo si relaziona con i fratelli e rende loro un servizio, può esercitare la vera carità e cooperare alla
perfezione della creazione divina. Non solo questo. Siamo convinti che, offrendo la loro opera a Dio,
gli uomini si associano all'opera redentrice di Gesù Cristo, che ha conferito al lavoro una dignità
straordinaria operando con le proprie mani a Nazaret.
12 Queste le parole del rettore dell'Università Lateranense in Lavoro (organo delle Unioni
Cristiano Sociali Ticinesi, 19-12-1969). Ciò che appartiene alla grazia viene qui trasferito alla tecnica.
L'intemperanza dell'entusiasmo esegetico per la Laborem exercens è massima in OR, 28 ottobre
1981, in un articolo di GUGLIELMO FERRARO dove si esalta il carattere pasquale del lavoro ,
grazie al quale l'operaio parteciperebbe e rinnoverebbe Era il mistero della Morte e Resurrezione di
Cristo. La partecipazione alla morte sarebbe data dalla fatica inerente al lavoro (anche se affaticarsi
non è morire), mentre la partecipazione alla risurrezione consisterebbe nel mondo nuovo che il
lavoro contribuisce a realizzare. È ovvio che separando le parole dal loro significato ei concetti
dalla loro coerenza, è possibile dire qualsiasi cosa su qualsiasi cosa.
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All'età di dodici anni apparve nel Tempio, dove seduto in mezzo ai maestri, li
ascoltava e li interrogava. Gesù ha praticato il lavoro in fabbrica prima di iniziare il suo
ministero messianico, ma ha abbandonato il lavoro di operaio appena ha lasciato
Nazareth per iniziare a fare facere et docere.
La condizione di Gesù, se può essere assimilata a qualcuna, è quella di un mendicante
14
e quella
´ dei poveri (egenus, II Cor. 8, 9), spogliati di tutto.
Non aveva dove posare la testa (Matteo 8, 20), e per nutrire i suoi discepoli sedere
presero le spighe dai campi di altre persone (Matteo 12, 1). La condizione di Gesù nel
tempo dell'evangelizzazione non è la condizione dell'operaio, ma quella di colui che,
come gli Apostoli, si è distaccato da tutto in una povertà perfettissima che supera la
vocazione al lavoro.
Pertanto, l'idea di un Vangelo del lavoro e di un Cristo operante non è appropriata.
Questo inconveniente fu percepito chiaramente da Pio XII, il quale, volendo consacrare
la dignità del lavoro, istituì la festa di San José Obrero, ma non quella di Cristo
lavoratore. Non si potrebbe davvero paragonare il titolo della fatica del lavoro al titolo
della regalità teandrica sancito da
15
Pio XI con la festa di Cristo Re. D'altra parte, come riconosce la Laborem
exercens 26, non c'è una sola parola di Cristo che raccomandi l'opera, ma
piuttosto la condanna della sollecitudine che sta alla base dell'opera: Mat. 6,
25-34.
15Nel 1960 fu eretta la parrocchia del Divin Gesù Operaio nella periferia di Roma. Ma
la Chiesa non ha mai celebrato Santi se non con titoli religiosi (confessori, dottori, martiri,
ecc.), e il decreto di Pio XII per San Giuseppe costituì una novità.
17 ,
più uomo fugge (facendo fatica 9) o (como dice en otro lugar el
Papa) senza lavoro l'uomo non solo non può nutrirsi, ma neppure
18
anche per autorealizzarsi, cioè per raggiungere la sua vera dimensione. Dopo
aver precisato questa dimensione, il Papa afferma che l'uomo può realizzare
la propria salvezza attraverso il lavoro (OR, 21-22 settembre 1982).
22 Sotto questo aspetto è evidente che (la vita attiva) ostacola la vita contemplativa,
poiché è impossibile occuparsi di opere esterne e nello stesso tempo abbandonarsi
alla contemplazione.
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quella civilizzata Europa; ma questo non impedisce che in quella mistura la parte migliore
corrispondere a la contemplativa, secondo le parole di Gesù: Maria la migliore
partem elegit (Maria scelse la parte buona) (Lc 10, 42).
San Tommaso porta molte ragioni per questa eccellenza della contemplazione
(Summa theol. II, II, q. 182, a.2), ma quelle decisive sono due.
Primo: la contemplazione è propria dell'uomo proprio in virtù di
la sua natura, costituita dall'intelletto incorporeo e immortale e destinato
alla conoscenza della verità.
Secondo: la contemplazione è un'operazione che continua nella vita eterna,
mentre l'opera è circoscritta all'esistenza terrena. L'eccellenza della
23
contemplazione corrisponde, invece, alla ripugnanza che la
l'uomo sperimenta nei confronti della fatica e del dolore inerenti al carattere penale della
lavoro. L'uomo aspira alla contemplazione, e questa gli viene data come ricompensa
24
da qui . Questa antinomia tra lavoro intellettuale e lavoro è poco considerata
nell'enciclica Laborem exercens, che al n. 9 si scioglie in un singolo
categoria di lavoro la fatica di muratori, metallurgisti e minatori, insieme al lavoro
puramente intellettuale dei ricercatori scientifici
e i governanti.
L'enciclica fa notare che i due tipi di vita hanno in comune a
tensione sulle proprie forze, talvolta molto grande, ma non distingue tra vires e
vires, cioè tra l'esercizio prevalentemente intellettuale e il
esercizio prevalentemente corporeo.
E la parità tra lavoro in senso proprio e lavoro in senso proprio
improprio è ripreso al n. 26. Qui, dopo aver rappresentato Gesù
come lavoratore (cfr. § 31.4), l'enciclica fa un censimento dei mestieri citati
nella Scrittura e mette insieme gli uomini del lavoro manuale con il
puramente speculativo, i minatori e scaricatori con gli studiosi di
storia e gli interpreti di profezie ed enigmi (Ecli. 39, 1-5).
23Sobre este punto son notables las p´aginas de Giuseppe Rensi, L’irrazionale, il lavoro,
l'amore, Milano 1923, pp. 195 e ss.
24 La celebrazione dell'otium come suprema aspirazione dello spirito è comune in
pagani, e il mondo intero ricorda l'ode oraziana II, XVI. Ma non meno nei cristiani:
PETRARCA, De otio religioso.
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Cap'itulo 32
Civiltà secondarie e
cristianesimo
397
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1
dell'uomo e un'altra diretta alla perfezione della persona.La . natura
natura umana è costituita da molte parti legate tra loro, di cui la più alta e
dominante è la parte personale, in cui si colloca l'intelletto e la volontà e dove
ha luogo la moralità. L'uomo può perfezionare una parte della sua natura senza
per questo perfezionare la sua personalità.
all'estremità.
Può, per esempio, migliorare la sua salute, la sua agilità fisica, la sua
conoscenza delle cose, o il suo potenziale di trasformazione dei corpi, senza
implicare che stia perfezionando la propria persona, cioè sviluppando il suo
principio morale; Può, come si riconosce e si lamenta, avanzare lungo la via
di quello che oggi si chiama progress simpliciter, eppure essere inerte e
viziosa nella parte personale.
Le attività della natura si separano dal principio morale egemonico e
cercano ardentemente con tutte le loro forze lo sviluppo dell'uomo nel mondo.
La civiltà contemporanea perfeziona la natura nell'uomo, ma lascia incolto il
suo principio personale.
I rapporti tra i progressi della natura e quelli della persona sono difficili da
determinare, ma deve essere chiaro che il principio personale è il vertice
dell'uomo, e gli altri devono rimanere uniti ad esso perché il progresso avvenga
nella persona. e non solo in natura.
La confusione tra natura e persona è l'errore che genera la somatolatria,
l'esaltazione dello sport, l'esaltazione dei diritti (diventati cosa a sé, quando
invece derivano dal dovere morale), la dossologia delle invenzioni meccaniche,
la temeraria l'ammirazione per la ricchezza e il potere e, infine, il culto della
città terrestre, il cui fine è diventato appunto l'esaltazione della natura, humane
ad omne possible.
Nel Vangelo le due classi sono indicate come figli del secolo e figli della
luce, e misteriosamente si indica l'errore proprio della civiltà contemporanea
quando si dice che i figli delle tenebre sono più prudenti di quelli della luce,
ma nel loro genere : nelle cose del mondo, e solo in esse (Lc 16, 8).
Tali uomini
´ formano quelle nazioni che oggi fondano la civiltà sull'ateismo.
Questa è in senso stretto la civitas diaboli agostiniana,costruita sul sangue e
sulla menzogna, e che mira all'estinzione di Cristianis
per.
Ma vi sono anche uomini (forse la frazione più numerosa) che non rifiutano
il fine celeste, ma non lo cercano neppure, e spingono la società umana verso
una perfezione di assoluta cittadinanza
´ (Diesseitigkeit). Tale è la civitas
hominis, situata tra le altre due. Questo separa il bene umano dal bene morale,
il bene della natura umana dal bene della persona. Riduce tutto al progresso
mondano, considerando la signoria del mondo come il fine ultimo dell'uomo.
Al contrario, la religione insegna che questo fine è il servizio e la fruizione di
Dio: hoc est enim omnis homo (la totalità dell'uomo) (Eccl. 12, 13). Vi sono
dunque tre città: 1) quella dedicata al fine trascendente, che desidera sopra
ogni cosa; 2) colui che lo sfida e soprattutto ama il mondo; 3) infine, quello
che lo trascura.
La Chiesa sembra aver paura di essere respinta, come del resto è respinta
da una larga parte del genere umano. Poi svanisce la propria peculiarità
assiologica e, al contrario, colora i tratti comuni con il mondo: tutte le cause
del mondo diventano cause della Chiesa. Offre i suoi servizi al mondo e cerca
di capitalizzare il progresso della razza umana.
storico.
Ora, chi nega il soprannaturale del cristianesimo (l'operazione di Dio
nell'anima mediante la grazia) e il fine soprannaturale dell'uomo, anche
quando ammette l'eccellenza della religione, ne toglie l'essenza per farne un
mezzo per il mondo.
Il cristianesimo secondario crede di poter mantenere il fenomeno ideale
del cristianesimo senza la saggezza mistica del cristianesimo: accetta il suo
frutto mondano, ma rifiuta il suo frutto totale.
Croce trattava di un cristianesimo secondario nel celebre saggio Perch´e
non possiamo non dirci cristiani, ma la religione non può che rifiutarlo, perché
accetta il cristianesimo solo nel suo aspetto terreno, e così sfigurato lo
venera come fondamento della civiltà umana.
Certamente il cristianesimo è un albero di tale fecondità che produce frutti
anche separati dall'albero, ma questa fecondità ha significato religioso solo
se non è separata dall'albero.
Nessuna idea sembrava al Manzoni più falsa di quella del cristianesimo
secondario, anche se a Carducci nel discorso di Lecco ea tutta la scuola
idealista il cristianesimo secondario sembra proprio l'ispirazione dei suoi Inni
sacri. Di questo cristianesimo secondario (chiamato da altri cristianesimo
della completezza (dei valori terreni)) Manzoni diceva che riduce il fine a
mezzo, e il per sé a ciò che è per accidens.
Il Vangelo, esclama, ridotto a mezzo! Il Vangelo, no. Manzoni elenca i tanti
può essere concepito se non è l'unico 2 usi
fine! religione in questo mondo: dalla raccomandazione della pazienza a
quella della carità, dai costumi civili alla conservazione della cultura in tempi
di barbarie, dalle ispirazioni della bellezza alla consolazione della speranza. E
prosegue dicendo che mentre il cristianesimo è meritatamente elogiato per
tutti questi effetti (sicuramente suoi, poiché è proprio di condurre all'ordine,
alla cultura e alla civiltà), sarebbe un grave errore identificarlo con essi (che
sono i meno della loro efficacia, sono mondane e possono derivare da altre
cause), lasciando da parte ciò che è più importante: la loro essenza
3.
soprannaturale, operazione e fine
2Per tutto questo sviluppo vedi Morale cattolica, ed. cit., vol. III, pag. 83 e segg. Citazione
è nel vol. II, pag. 478.
3La manifestazione più aperta del cristianesimo secondario risultò essere il Congresso
sulle opere di carità e giustizia della diocesi di Roma: tutto era sociologia, politica, assistenza,
ricoveri, ospedali, scuole, edifici, ecc. Nemmeno una parola di religione, ma una forte
colorazione marxista con la condanna dell'esercizio privato della professione e con la proposta
che la Chiesa ceda tutti i suoi beni allo Stato pur di raggiungere l'indipendenza. OR, 15
febbraio 1974, e ICI, n. 451, pag. 24 (1 marzo 1974).
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In un celebre brano dell'Esprit des Lois (lib. XXIV, cap. 3), Montesquieu
mette in luce la singolarità della religione cristiana, che sembra non avere
altro oggetto se non la felicità dell'aldilà, eppure li rende felici anche in questo .
Non gli sfugge però il contrasto vivo tra le due vite assunte
´ come due fini
ultimi. I due mondi. Questo fa male a quello, e quello fa male a questo. Ce ne
sono troppi, questi due mondi. Ne basterebbe uno. Non meno notevole è
4
l'ossimoro di mondo e religione in una pagina di Leopardi (Zibaldone, 2381;
Firenze 1898-1900, 7 voll.), dove l'ideale cristiano è nettamente contrapposto
all'ideale mondano e considerato come la negazione del mondo, radicalità
della vita presente, che è tutta la vita.
Ma l'ossimoro è fallace, perché prende la vita terrena come fine ultimo, e
crolla se lo si assume come mediazione del fine ultimo. Due fini ultimi sono
un'assurdità (Summa theol. I, II, q. I, a. 4 e 7). Con la vita mondana ridotta a
preparazione e preludio alla vita al di là del mondo, si dissolve l'amara antitesi
tra i due mondi. Allora la vita nel tempo è pienamente armonizzata e diventa
parte dell'intero sistema, evidenziando così il suo carattere di simbolo
(frammento contenuto nell'insieme).
L'errore eudemonologico del cristianesimo secondario non è minore di
quello teologico. Afferma che il godimento dei beni terreni onesti è più sicuro,
più autentico e più abbondante nella religione che altrove. Ma il concetto di
una Chiesa-fonte di felicità per il genere umano nella vita terrena si oppone al
Vangelo, che non armonizza, ma oppone cielo e terra; o più esattamente,
guardatela sotto un aspetto meramente relativo
a lui, e al cielo sotto un aspetto meramente assoluto rispetto alla terra, e solo
relativo rispetto a Dio.
La vita futura è la fine del presente e Dio è la fine del futuro.
Di qui l'eccellenza dei consigli evangelici (di cui abbiamo visto l'attuale
decadenza nei §14.2-14.7), sacrificio pieno dalla terra al cielo, che oggi
sembrano incompatibili con l'ordine della civiltà, come sembravano loro
incompatibili con gli Illuministi e gli governi irreligiosi del XIX secolo. Il criterio
5
per giudicare la religione non è la sua utilità civile: la religione ha molti rapporti
importanti con la civiltà, ma nessuno è essenziale.
È possibile: nessuno può servire due padroni (Nadie puede servir a dos
senores) (Mt. 6, 24).
La Chiesa, lo ripetiamo, è di per sé santificante e non civilizzatrice; la sua
azione ha per oggetto immediato la persona, non la società. La Chiesa
postconciliare insiste però, anche nella liturgia, su un mondo nuovo e su una
società libera e giusta, più che su uomini giusti e rinnovati nello Spirito.
Cap'itulo 33
407
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Ma è evidente che il valore specifico di questi tre principi nel sistema del 1789
consiste proprio nel diventare un valore in sé senza riferimento assiologico a Dio.
sublimi virtù che si possono apprendere solo alla scuola di Gesù Cristo.
2Pio XII tornò sul tema della democrazia nel suo messaggio alle ACLI (Associazione
Cattolica Lavoratori Italiani) del 1° maggio 1955, sottolineando il principio di isotimia, ma
rilevando che l'uguaglianza risulta inutile se si introduce la discrezionalità nell'organismo statale
e nei pubblici uffici.
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esperti.
4Vedi Operate, ed. cit., vol. III, pag. 307. Su tutto questo vedi Morale cattolica,
ed. cit., vol. III, pag. 299 e segg. La fallacia della sineddoche rivelata da MANZONI
rimanda al paradosso di CONDORCET, secondo il quale sommando le scelte
razionali dei singoli non si può arrivare ad una scelta collettiva che abbia la stessa proprietà.
5 Considero del tutto stupido considerare proprio tutto ciò che appartiene alle
istituzioni e alle leggi dei popoli.
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Che la maggioranza non sia una fonte del diritto risulta anche dall'art
appello fatto, contro la maggioranza numerica, alla maggioranza detta
dinamica, numericamente minore o anche la più piccola. Maggior parte
la dinamica sarebbe portatrice del senso della storia, della divinazione del
futuro, della volontà profonda del popolo, dello spirito del secolo, dei segni
dei tempi, e tante altre formule. Questi sono pseudo-concetti e
metafore, motivi assunti come subordinati a quel valore che nel sistema
della maggioranza risiede nel semplice fatto della prevalenza numerica.
La dottrina della maggioranza dinamica si trova nelle viscere del sistema
rappresentante; fin dagli inizi dello stato moderno alcuni lo sostenevano
il deputato del popolo doveva agire obbedendo alla volontà del popolo,
mentre altri difendevano che doveva agire per il bene del popolo, si diceva bene
riconosciuto o ignorato da esso; a questo proposito il sovrano delegante (l
popolo) è soggetto al sovrano delegato (il deputato) ed è corretto, diretto
y contraddire por ´este Ya Cicero exig´ÿa adem´as: magistrati a beneficio del popolo
6 .
piuttosto che consolare la volontà
L'impossibilità di piegare l'autorità politica a opinioni contrastanti e
fluttuanti prive di istanza assiologica, spinge le democrazie a trovare supporto
alla deliberazione della maggioranza in altri elementi puramente fattuali,
aprendo la porta al cosiddetto realismo politico e
al machiavellismo. Di qui l'esecrabile politica che insegna a stuprare ciascuno
dare tempo alla giustizia per ottenere qualche vantaggio; e quando queste violazioni
accumulati hanno portato a un pericolo molto grande, insegna che tutto è
7 .
lecito salvare tutto
Una quarta censura è quella proposta da Rosmini al sistema democratico in
quanto identificato con il sistema dei partiti. le corrispondenze sono espressioni
di dissenso e non di accordo, e pertanto non può dare all'
volontà politica quella forma che fornisce organizzazione e pace all'insieme sociale.
Sono in realtà concezioni differenti della fine della comunità civile e della
i mezzi adeguati per raggiungere il fine, per cui il recesso di una parte
prima un altro suppone che confessi di aver avuto una visione più breve del
avversario, o meno coraggio per resistere. Ed è notevole come nel
momenti di pericolo per la salus populi le parti dichiarano di rinunciare e
6L'autorità deve pensare più all'utilità del popolo che alla sua volontà (De
repubblica, lib. V, frammenti, ed. Castiglioni, Torino 1944, p. 140).
7 Morale cattolica, prima parte, cap. VII, pag. 129 vol. II della citata edizione.
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Né entro nel plurale sciame di eresie dei primi secoli; cos'erano, se non grandi
movimenti dell'opinione pubblica? Quando i popoli del Medioevo si mossero, si
flagellarono a vicenda, chiesero il battesimo di sangue, insorsero contro i sacerdoti
concubinari o caddero nell'eresia; quando nel XIII secolo a Parigi san Tommaso
rispondeva in periodiche apparizioni alle estemporanee domande teologiche del
popolo; quando nel XVII secolo la gente semplice formò tumulti pro e contro
l'Immacolata Concezione, cacciando dal pulpito coloro che la negavano; quando nel
Settecento le dispute teologiche divisero non solo le corti e le classi intellettuali, ma
anche i meno illuminati tra il popolo, muovendo l'intera società; quando nell'Ottocento
migliaia di libri parlavano dell'infallibilità del Papa, non c'era opinione pubblica
11
12
libretti e gazzette
nella Chiesa?
E per riferirsi al fenomeno spirituale più imponente del cristianesimo, è noto il
carattere popolare della riforma francescana; ed è noto che il grande movimento
penitenziale che invase la Chiesa nel XIII secolo preparò l'ispirazione del clero, e che
quando Bonifacio VIII decise di promulgare il famoso giubileo, la cristianità lo
considerava già in atto e lo rivendicava da tempo tempo. Ancora più dimostrativo da
escludere
la Chiesa non ammette il principio democratico: La costruzione (...) della Chiesa non si fa
secondo i metodi del sistema parlamentare (...) anche se il modello democratico può
insegnarci qualcosa per la vita interna la Chiesa. Il parlamentarismo finisce
necessariamente sempre per entrare in conflitto con l'ideale dell'unità nello Spirito, di
cui proprio i ministri hanno una particolare responsabilità.
10CIDS, 1969, n. 13, pp. 406 e ss.
11Le passioni e le ragioni politiche mescolate alle dispute teologiche non dovrebbero
naturalmente essere trascurate (soprattutto in Francia), ma questa passione è una prova della
forza dell'opinione pubblica.
12Basta esserne convinti dalla diligente rassegna bibliografica che è stata effettuata in quelle
anni nella Civiltà cattolica.
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che il popolo non abbia avuto parte nel determinare l'andamento ecclesiale
sono le consuetudini sull'elezione dei vescovi, che si sono protratte per secoli.
L'elezione non è stata fatta ad opera dal popolo, perché è compito degli
Apostoli e dei loro successori, ma con la partecipazione del popolo, che ha
testimoniato la bontà dei candidati. Insomma, non si può nascondere nei
secoli più recenti, e soprattutto dopo la riforma tridentina, l'incredibile vitalità
delle confraternite laicali, in parte dedite alla devozione e in parte orientate alle
opere di misericordia, governate autonomamente e delle quali si può dire che
il il clero era solo il servitore di ministero.
In conclusione, è storicamente infondata la visione dei laici passivi,
adottata da Paolo VI nel discorso del 22 marzo 1970. Nella specifica distinzione,
sempre conservata, tra gerarchia e popolo, questa (come parte organica
dell'insieme ecclesiale che vive dello Spirito Santo) non è mai stato un membro
passivo o meccanico mosso dai pastori. Quella che oggi si chiama opinione
pubblica non ha mai cessato di guidare, nel modo proprio di un membro
subordinato, l'intero organismo della Chiesa.
presbiteriani, ecc. 13
Ma qui si manifesta la contraddizione interna che un organo puramente
consultivo ha con se stesso in quanto costituisce anche un organo di
rappresentanza. Come organo consultivo, deve essere composto con criteri
di competenza, mentre, al contrario, come organo di rappresentanza, deve
dare posto a tutte le esperienze ea tutte le opinioni.
È curioso come il decreto (n. 37) trovi il motivo di questa nuova istituzione
nella necessità che i vescovi dello stesso Paese agiscano
accordo, e come non vedere che questo vincolo di cooperazione (ora configurato
legalmente) altera l'ordine della Chiesa sostituendo il vescovo
da un corpo di vescovi, e la responsabilità personale da una responsabilità
collettiva: cioè da una frazione di responsabilità. La dottrina
del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia (cfr. §4.7) definisce il Papa
come principio e fondamento dell'unità della Chiesa, poiché conforme a
è a lui che i vescovi si conformano tra loro.
Non è possibile per i vescovi fondare la loro autorità su un principio
immediato che sarebbe comune al suo potere ea quello del papa. Ora con
l'istituzione delle conferenze episcopali, la Chiesa diventa a
corpo policentrico i cui numerosi centri sono le conferenze episcopali,
nazionale o provinciale.
La prima conseguenza della nuova organizzazione è un allentamento della
vincolo di unità, che si è manifestato con grandi dissensi sui punti
serio. Vedere §§6.4-6.8.
La seconda conseguenza è il disconoscimento dei singoli vescovi.
come tale; non rispondono più alla propria gente o al
Santa Sede: la responsabilità individuale è sostituita da una responsabilità
collegiale che, poiché si trova nell'intero corpo, non può essere collocata
15 .
nessuno dei membri dell'organo Nelle
conferenze episcopali le deliberazioni sono prese a maggioranza
di due terzi; ma la maggioranza così qualificata, anche se forse fornisce a
maggiore facilità di esecuzione, non impedisce l'oppressione esercitata dalla maggioranza
16
sulla minoranza (cfr. §§33.3-33.4) . Decisioni di maggioranza, però
sono stati posti all'esame della Santa Sede, ne hanno la forza
essere giuridicamente vincolante, e non solo nel caso in cui sia prescritto dalla legge
comune o di aver ricevuto dalla Santa Sede una forza particolare che
rendere obbligatorio.
Non si capisce come le conferenze episcopali possano avere la capacità
A causa della crescente informazione sulla povertà in cui vivono altri popoli, e
della crescente organicità tra alcuni continenti e altri, l'azione caritativa diventa un
dovere evidente dei popoli cristiani; il Forum la definisce come apertura a nuove
relazioni di crescita con altre comunità.
33.11. Spirito e stile dei sinodi. Il forum svizzero del 1981 421
Nel Foro tutti sono evangelizzatori, perché il dovere del cristiano si vede
chiaramente solo nel suo rapporto con il prossimo.
Navigando in un confusionismo ancora più superficiale e ignaro di ogni
teodicea, il Forum (in un mondo che tutti vedono in difficoltà, in mezzo
all'ingiustizia e al dolore) dichiara finalmente che si tratta di comunicare
agli altri la nostra gioia. nella ricerca di nuove forme di vita per la Chiesa.
19 Per le citazioni citate si veda il resoconto dei lavori del Forum sul Giornale del
popolo, 30 e 31 ottobre 1981.
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Cap'itulo 34
423
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Che il valore del tomismo sia metodico e non teorico, nonostante la tesi
dominante nel Congresso del 1974 che portò alla fondazione di un'Associazione
internazionale in difesa di un tomismo sincretista, non passò senza disapprovazione
di Paolo VI, in una lettera al Maestro Generale dell'Ordine dei Predicatori del 14
novembre 1974.
Il Papa ripristina con verità il valore attuale del tomismo.
Il documento conclude affermando che per essere oggi un fedele discepolo di
san Tommaso non basta voler fare nel nostro tempo e con i metodi che sono
organizza oggi quello che ha fatto nel suo (non sarebbe niente di speciale fare quello che lui
tutti i Padri, da Tertulliano in poi) si accontentarono
imitarlo Camminando lungo una specie di binario parallelo senza raccogliere nulla da lui,
sarebbe difficile raggiungere un risultato positivo o almeno da offrire
alla Chiesa e al mondo quel contributo di sapienza di cui hanno bisogno. Non si
può parlare di vera e feconda fedeltà a san Tommaso se
non sono accettati i suoi principi, che sono fari per illuminare i problemi più
importanti della filosofia, e anche le nozioni fondamentali di
il suo sistema e le sue idee-forza. Solo così il pensiero dell'Angelico Dottore,
di fronte ai risultati sempre nuovi della scienza profana,
conoscerà un potente sviluppo.
1La messa al bando della filosofia tomista sancita dal Concilio continua a caratterizzare
studi ecclesiastici. Tuttavia, GIOVANNI PAOLO II, nel suo discorso ai vescovi
di Francia, rivendicando la necessità della metafisica negli studi di seminario,
riferito al tomismo: l'approssimazione a Dio fatta dall'ontologia vera e propria,
centrato sull'intuizione dell'essere nella prospettiva tomista, continua ad essere insostituibile (OR,
11 dicembre 1982).
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I fatti che scivolano nel corso della filosofia da Talete a Sartre non sono
filosofia, poiché la filosofia è un organismo logico sviluppato da un principio.
Anche nelle varianti introdotte dalla Chiesa nella sua ratio studiorum con
l'abbandono del tomismo e delle discipline umanistiche classiche, e nello
spirito del pluralismo sincretico, si riconosce un caso di perdita generalizzata
delle essenze e dei limiti che circoscrivono un'essenza separandola e
difendendolo dagli altri. Tutti i fenomeni della Chiesa postconciliare si
addensano logicamente attorno a questa perdita di essenze. Non c'è più
filosofia e teologia, ma qualcosa di unico e indistinto da cui si danno
espressioni diverse, siano esse coerenti o incoerenti, armoniose o contraddittorie.
L'Aeterni Patris ha sostenuto di dare la preferenza al tomismo nelle scuole
ecclesiastico i seguenti titoli.
In primo luogo, il tomismo si fonda sulla capacità della ragione umana e
rifiuta ogni scetticismo, totale o parziale: la missione primaria del pensiero è
affermare le verità naturali su cui insiste la verità rivelata.
Una pluralità di scuole teologiche era nota al cristianesimo fin dai suoi
albori; e se forse il pensiero di Giovanni e di Paolo non è una dualità di
teologie, si possono tuttavia riconoscere due scuole: l'alessandrina e
l'agostiniana, la francescana e la tomista, la neotomista e la rosminiana; per
non parlare della pluralità di soluzioni date a punti particolari nel campo
dell'ortodossia, come avvenne intorno alla fine dell'Incarnazione (contesa tra
tomisti e scotisti), dell'Immacolata Concezione (tra domenicani e francescani),
o della predestinazione e del libero arbitrio (tra Ba˜necianos e Molinistas); e
per non parlare della molteplice diversità tra i casisti sulla regola immediata
della coscienza, contrizione e logoramento, e molti altri punti della teologia
morale.
2
Il pluralismo è insito nell'indagine teologica , e non mancava mai
2 Esistono anche prove legali che sanciscono il diritto a tale pluralità, e memorabile
è la sentenza della Sacra Rota del 1946, che annullò due decreti dell'Ordinario di Milano
che sopprimevano, non per motivi di ortodossia, ma di scuola teologica, un istituto di
formazione ecclesiastica (Revista rosminiana, 1951, p. 158).
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3Abbiamo già fatto la critica del pirronismo nei §§15.2-15.3 e nei §§17.1-17.6 quella del movi
lismo, e ad essi ci riferiamo.
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Se, come dice il Congresso (p. 171), neppure la natura umana può dirsi
identica ovunque, allora non solo non ci sarà un'unica regola per le coscienze,
ma nemmeno un identico modo di crearla, poiché significati e i valori sono
prodotti dalla mente umana.
In conclusione, si può affermare che la celebrazione dell'Aeterni Patris (si
4 era solo una finzione cerimoniosafa per dire, per la galleria) è dovuta in parte
al senso del pudore, che esige continuità nel comportamento, e in parte alla
scomparsa del senso logico, che qui come in altre parti di questo libro
abbiamo visto perdere la percezione della differenza tra le essenze e
confondere il tutto con il tutto.
Dal punto di vista soprannaturale, il mobilismo e il pirronismo si riflettono
sul concetto di fede, che secondo il Congresso non è più intesa come atto di
assenso a verità rivelate, ma come impegno esistenziale (p. 169). I primati si
confondono e, attraverso la causalità della fede rispetto alla carità, si salta
all'identificazione dei due (§ 20.1).
A cosa si riduce allora il valore del tomismo celebrato dalla Chiesa?
Il Congresso non può dartene uno senza contraddirsi.
Dopo aver constatato che ogni filosofia è provvisoria, che ogni conoscenza
è affetta dal relativo e dall'effimero, e che non c'è essenza permanente
nemmeno nell'uomo, il Congresso ritiene di poter affermare che San Tommaso
ha unito la mentalità statica e quella dinamica mentalità in modo singolare (ha
cioè unito sincreticamente il contraddittorio), e rompendo con la ristrettezza
della storicità, ha percepito e formulato intuizioni fondamentali che sono alla
base del pensiero e del comportamento dell'uomo. Come si può parlare così,
se non c'è un fondamento fisso che implichi il riconoscimento dell'Idea, e se
si solleva una pluralità simultanea o successiva di principi?
Il rapporto tra verità di fede e formule dogmatiche è certamente difficile. Paolo VI,
nel suo discorso in Uganda, ha definito la Chiesa conservatrice del messaggio e ha
sottolineato che lo conserva in formule che devono essere
5Por ejemplo, en el difundid´ÿsimo Nuovo Dizionario di teologia, ed. Paoline, Tur´ÿn 1975.
6 Vieni al mio discorso en Arcadia Abbiamo perso da tempo i veri termini delle cose, en Atti e
memorie di Arcadia, serie tercera, vol. VIII, Roma 1978.
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mantenere alla lettera (OR, 2 agosto 1969). Ammesso però che il linguaggio
della fede che va custodito ammetta la pluralità, la questione resta ancora in
sospeso: le formule non sono, in fondo, determinazioni di linguaggio? Questa
incertezza si trova già nel discorso inaugurale del Concilio, dove distingueva
tra il depositum fidei e le formulazioni della sua copertura e il modo di
enunciarlo ÿÿeodem tamen sensu eademque sententiaÿÿ.
Al Sinodo dei Vescovi del 1967, il card. Seper, Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, ha denunciato il carattere eterodosso della teologia
postconciliare in questi termini: «Si è giunti a un punto tale che non si può più
parlare di una sana e proficua indagine, né di un legittimo adattamento , ma di
un'indebita innovazione, di false opinioni e di errori nella fede (OR, 28 ottobre
1967). Questa descrizione non differisce da quella ripetuta da Paolo VI circa la
dissoluzione interna della Chiesa.
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titolo di teologo cattolico; Come si vede, il decreto fa una qualificazione personale, più
che dottrinale, e manifesta ancora una volta la disunione nella Chiesa:
fu attaccata con vari proclami da parte di interi corporazioni universitarie, con firme di
protesta da parte del clero. È un effetto collaterale del
rinuncia all'autorità.
Kung ha continuato a insegnare le sue dottrine a voce e sulla stampa. Lui
Il precetto di Paolo a Timoteo, (di non insegnare un'altra dottrina) (I Tim. 1, 3) è
al contrario: il pirronismo e il mobilismo cercano di ÿÿinsegnare un'altra dottrinaÿÿ come se
questo era un sintomo della virtualità della fede.
Nel commento a quel brano, san Tommaso dice che il dovere del
Superiore In primo luogo, per frenare i falsi insegnanti, in secondo luogo, per impedire alle persone di farlo
7 .
falso docentibus intendet Ma
oggi quel dovere si immola davanti al principio di libertà.
7Prima sopprimete chi insegna l'errore; secondo, per impedire alle persone di prestare attenzione
ci'on chi insegna l'errore.
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Cap'itulo 35
ecumenismo
Quarto: i separati che ritornano alla Chiesa cattolica non perdono nulla
di sostanziale che appartiene alla loro particolare professione, ma lo trovano
identico in una dimensione compiuta e perfetta (completum atque absolutum).
437
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Questa unità è solo virtuale anche nella Chiesa cattolica, che non deve
prendere coscienza di se stessa, ma di quella realtà più profonda del Cristo
totale che è la sintesi delle membra disperse della cristianità. Non si tratta,
quindi, di un ritorno dell'uno verso l'altro, ma di una conversione di tutti verso
il centro, che è il Cristo profondo.
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1Queste differenze potrebbero anche essere conservate come dogmi particolari delle
Chiese locali. Di qui la proposta di alcuni teologi riformati di ammettere il primato di Pietro
come dogma della provincia romana della Chiesa universale. In non poche parrocchie in
Francia viene predicata la pratica della doppia appartenenza, in forza della quale i
coniugi di religione mista praticano indistintamente entrambi i culti (ICI, n. 556, 15
novembre 1980).
2Paolo VI parlò anche (in OR del 27 gennaio 1963) della ricomposizione dei
cristiani separati gli uni dagli altri nell'unica Chiesa cattolica, universale, cioè
organica, e quindi propriamente composta, ma uniti in un'unica e univoca fede.
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3Il presidente del Consiglio conciliare olandese ha così spiegato la posizione di detto
Chiesa: l'unità della Chiesa non significa più un ritorno alla Chiesa cattolica così com'è
è oggi, ma un riavvicinamento di tutte le Chiese verso ciò che è la Chiesa di Cristo
dovrebbe essere (ICI, 281, p. 15, 1 febbraio 1967).
4Questo è anche il termine usato per designare l'opera di reclutamento della Chiesa
Il cattolico si è sviluppato in passato nelle missioni.
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puramente verbal.
7Pertanto, in perfetta coerenza con questa idea di una teocrazia religiosa o pammixis,
nel Missel des dimanches 1983 dei vescovi di Francia, nella festa di Tutti i Santi,
È richiesto Insieme ai Santi di tutte le credenze e incredulità.