Piergiorgio Donatelli
1.
1
Per l’idea di una tradizione alternativa dell’etica analitica rimando a P. Donatelli, Il lato ordina-
rio della vita. Filosofia ed esperienza comune, il Mulino, Bologna 2018, pp. 24, 57, 80. Per il canone della
tradizione analitica cfr. J. Conant - J. Elliott (eds.), The Norton Anthology of Western Philosophy. After
Kant. The Analytic Tradition, W.W. Norton and Company, New York 2017.
2
Cfr. G.E.M. Anscombe, La filosofia morale moderna, in «Iride» xxi, 53 (2008), pp. 47-67.
3
Cfr. B. Williams, Sorte morale, tr. it. di R. Rini, Il Saggiatore, Milano 1987.
4
I. Murdoch, Etica e metafisica, in Ead., Esistenzialisti e mistici. Scritti di filosofia e letteratura, ed.
it. a cura di P. Conradi, Il Saggiatore, Milano 2006, pp. 88-102, qui p. 98.
541
Piergiorgio Donatelli
2.
5
Per l’uso specifico della nozione di sfondo (e per la discussione di Anscombe) rimando a P.
Donatelli, La vita umana in prima persona, Laterza, Roma - Bari 2012.
542
Wittgenstein, l’etica e la filosofia antica
6
Cfr. P. Geach, Good and Evil, in «Analysis» xvii (1956), pp. 32-42. Bernard Williams ha
ripreso questa impostazione nel suo La moralità. Una introduzione all’etica, tr. it. di M. Reichlin,
Einaudi, Torino 2000.
543
Piergiorgio Donatelli
forma di vita umana è esibita nelle funzioni dell’anima. Tali funzioni trovano
espressione in modalità che sono frutto dell’educazione, della socialità e della
cultura. Potremmo dire che la forma umana si vede all’opera nella condizione
educata dell’umanità, una tesi che Aristotele sostiene nell’Etica Nicomachea e
che Anscombe sottoscrive. Tuttavia, va precisato che per Anscombe in quella
condizione riconosciamo la forma dell’umano che è la forma che ci caratterizza,
eterna e immutabile, come sostiene Tommaso. Anscombe (e dopo di lei Philip-
pa Foot, nell’ultima fase del suo lavoro rappresentata dal volume La natura del
bene7) parte da Aristotele ma nei fatti ripresenta Tommaso, che propongo di
leggere come un autore che non ha veramente uno spazio per la dimensione au-
tonoma della cultura morale, per la prospettiva genuina dei virtuosi, che ricon-
duce da una parte al quadro finalistico inscritto nella natura che la ragione può
svelare e dall’altra al comando che promana dalla legge di Dio8. La virtù si vede
all’opera in circostanze dove l’educazione ha raggiunto i suoi scopi, ma esibisce
eccellenze e quindi una forma che è immutabile e che fonda il piano della cul-
tura morale. Per Tommaso c’è un modo di leggere la forma umana alternativo
a quello offerto dalla prospettiva dei virtuosi ed è quello del finalismo, che egli
spiega a sua volta dal punto di vista di Dio creatore: è il Tommaso naturalista
metafisico che offre l’impostazione che troviamo in Anscombe e Foot.
Possiamo invece provare a sostenere che per Aristotele la prospettiva dei
virtuosi è cruciale e non aggirabile, e che il finalismo non consente di arrivare a
comprendere la forma umana della vita da solo, in quanto tale: non è possibile
derivare l’etica dalla metafisica, per usare un’espressione tradizionale. Questa è
la posizione sostenuta da John McDowell nei termini sia dell’interpretazione di
Aristotele sia dell’elaborazione della sua posizione personale in cui riprende le
linee di fondo della filosofia di Wittgenstein.
L’appello al finalismo, nelle sue parole, è truistico. Non offre veramente un
argomento indipendente e autosufficiente; aiuta invece a tornare alla prospetti-
va dei virtuosi, alle loro argomentazioni che sono espresse sin dall’inizio in ter-
mini valutativi. L’appello al finalismo, e quindi ai fini e all’eccellenza umana in
quanto tale, è vuoto: i significati di “fine” e di “eccellenza” sono fissati dai criteri
valutativi che sono offerti dai virtuosi attraverso un appello interno alle forme
educate della vita individuale e sociale. Come scrive, riferendosi ad Aristotele,
7
Cfr. P. Foot, La natura del bene, tr. it. di E. Lalumera, il Mulino, Bologna 2007. Si noti però che
il titolo originale è Natural goodness (Bontà naturale).
8
Ho proposto una mia lettura di questo tipo di contrasti nella storia dell’etica nel mio Etica. I
classici, le teorie, le linee evolutive, Einaudi, Torino 2015.
544
Wittgenstein, l’etica e la filosofia antica
Per comprendere cosa sia giusto fare e come ci si debba comportare bi-
sogna comprendere come le persone sono educate alla vita morale e impara-
no ad andare avanti da sole, autonomamente. I criteri normativi non sono dati
indipendentemente dalla comprensione dell’educazione e della vita morale10.
Abbiamo qui due modi di collegare l’etica alle forme di vita. Nel primo caso si
tratta di collegare l’etica a quella che si considera la forma di vita propria dell’u-
manità: la forma dell’etica è quella della vita secondo l’argomento finalistico.
Nel secondo, la forma è intesa invece come formazione, come Bildung, che è poi
l’immagine preferita da McDowell11. Le due prospettive costituiscono anche
due modi di pensare all’etica della virtù.
Tommaso e Aristotele, a cui tornano Anscombe e McDowell, offrono per-
ciò due versioni indipendenti dell’etica della virtù. Al centro vi sono vite intere,
nel primo caso ricondotte alla forma della vita e nel secondo alla formazione,
vale a dire all’educazione della vita. Entrambi gli autori contemporanei pensano
all’etica come ad una forma intellettuale e pratica (descrive azioni e situazioni,
dà forma al ragionamento pratico, governa la condotta) che viene data alla vita
in modo affidabile e sicuro al riparo dagli scossoni che recano le circostanze. An-
9
J. McDowell, Eudaimonism and Realism in Aristotle’s Ethics, in Id., The Engaged Intellect.
Philosophical Essays, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2009, pp. 29-30.
10
Per una posizione vicina a questa in relazione ad Aristotele cfr. E. Berti, Le ragioni di Aristotele,
Laterza, Roma - Bari 1989, cap. iv.
11
Cfr. J. McDowell, Mente e mondo, tr. it. di C. Nizzo, Einaudi, Torino 1999.
545
Piergiorgio Donatelli
scombe pensa che l’etica rispecchi la forma umana della vita; McDowell ritiene
invece che risponda ai criteri offerti dall’interno della comunità la quale è frutto
di educazione e vita sociale.
3.
«[s]e gran parte della filosofia morale moderna trova che l’idea dell’etica
come esercizio spirituale sia strana, a dir poco, sbaglieremmo a concludere
che queste problematizzazioni etiche scompaiono dalla storia della filosofia
546
Wittgenstein, l’etica e la filosofia antica
dopo gli antichi. La tematica che Stanley Cavell identifica con il nome di per-
fezionismo morale costituisce una continuazione di questa storia dell’etica.
Quando Cavell rappresenta la fiducia in se stessi di Emerson come “il modo
in cui il sé si relaziona a se stesso” o quando descrive le Ricerche filosofiche di
Wittgenstein come un’opera che esibisce “nel modo più puro di qualsiasi al-
tra che conosca il filosofare come un combattimento spirituale”, lavora nella
direzione di una concettualizzazione dell’etica che condivide con Foucault e
Hadot l’idea che ciò che è in gioco non è solo un codice di buona condotta
ma un modo di essere che tocca ogni aspetto della propria anima»12.
12
A.I. Davidson, Ethics as Ascetics: Foucault, the History of Ethics, and Ancient Thought, in G.
Gutting (ed.), The Cambridge Companion to Foucault, Cambridge University Press, Cambridge 1994,
p. 131.
13
Cfr. P. Donatelli, Il lato ordinario della vita, cit., cap. iii.
547
Piergiorgio Donatelli
guenze e virtù indicano i tre concetti chiave che arrivati alla riflessione più prossi-
ma a noi sono messi al centro dalle tre opzioni proposte dall’etica filosofica intesa
come impresa normativa: il kantismo, l’utilitarismo e l’etica della virtù. Il model-
lo della teoria normativa, che era originariamente l’obiettivo critico di coloro che
tornavano all’idea della virtù (da Anscombe a Williams), è arrivato a includere la
prospettiva delle virtù come un’ulteriore opzione della teoria normativa.
In questo quadro, l’etica come modo di vivere e come esercizio su di sé non
costituisce una quarta opzione ma si ricava uno spazio indipendente e differente
che contesta sin da principio la rappresentazione che la teoria normativa si fa
dell’etica. Essa indica quindi una diversa problematizzazione dell’etica, collega
assieme e circoscrive altri aspetti della vita. Una volta acquisita questa diversa
tematizzazione dell’etica possiamo esaminare però diverse concezioni concor-
renti che si situano nella medesima rappresentazione dell’etica come modo di
vivere e di essere e come lavoro trasformativo su di sé.
Come abbiamo visto, l’idea che le accomuna è quella della trasformazio-
ne o, più precisamente, dell’esercizio trasformativo del proprio sé. L’etica della
virtù aristotelica di McDowell non è interessata alla trasformazione dell’io ma
alla sua affidabilità. Nella prospettiva che McDowell difende, la virtù forma il
carattere in maniera affidabile così che esso possa rispondere alle circostanze in
modo appropriato. Invece, nella linea platonica che emerge nel racconto della
caverna ma anche nel ruolo dell’amore, l’io scopre di dover cambiare postu-
ra e orientamento, scopre che era assopito e che deve risvegliarsi alla realtà, si
ritrova confuso e cerca chiarezza, ha bisogno di trovare un senso di direzione
nella vita. L’io si guarda dal punto di vista di uno stadio ulteriore e migliore e
da quel punto di vista scopre la propria inadeguatezza e ha interesse e desiderio
di migliorarsi, di perfezionarsi. In questa diversa prospettiva non c’è mai un ca-
rattere ben formato per il quale si possa dire che l’educazione è riuscita, ma c’è
invece l’esigenza di un lavoro continuo, del pungolo costante, come dice Socrate
nell’Apologia. Da questa idea di vita morale attraversata da un’interrogazione
critica continua partono varie linee filosofiche e ne possiamo sottolineare due,
come abbiamo detto. Una è l’idea della cura di sé e dell’arte della vita che trovia-
mo elaborata in Foucault e Hadot, in modi peraltro piuttosto diversi14. Un’altra
14
Non ci soffermeremo su queste differenze anche se va fatto notare che esse complicano in
modo interessante la geografia di questo tipo di concezioni e rendono conto di un’articolazione ricca
di questo modello dell’etica, che non rappresenta perciò una visione così omogenea come potrebbe
apparire a prima vista dal confronto con il modello della teoria normativa. Sul confronto tra Foucault
e Hadot, cfr. G. La Rocca, Soggettività e veridizione nell’ultimo Foucault, Sapienza Università Editrice,
Roma 2018, in particolare cap. 3.
548
Wittgenstein, l’etica e la filosofia antica
15
Cfr. S. Cavell, The Claim of Reason. Wittgenstein, Skepticism, Morality and Tragedy, Oxford
University Press, Oxford 1979; tr. it. (parziale) di B. Agnese, La riscoperta dell’ordinario. La filosofia, lo
scetticismo, il tragico, Carocci, Roma 2001.
16
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. it. a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1983, i,
116, p. 59.
17
R.W. Emerson, The American Scholar, in Id., The Major Prose, eds. R.A. Bosco - J. Myerson,
Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2015, p. 105.
549
Piergiorgio Donatelli
nuovo e trasfigurato della nostra esperienza comune, diradati i fumi della sua
ovvietà, liberata dall’opprimente senso comune. La filosofia non offre una guida
sicura al riparo dai rovesci della vita e del pensiero. Il suo compito è invece quel-
lo di entrare in conversazione con l’insoddisfazione cupa del sé offrendo parole
ed esempi in cui esso possa riconoscere, come scrive Emerson, i propri «stessi
pensieri rigettati» che ritornano «con una certa maestà alienata»18. La conver-
sazione filosofica ha la capacità di selezionare le parole e gli esempi in cui pos-
siamo riconoscere le parti del nostro sé che avevamo rifiutato e nascosto e che
ci ritornano sotto l’aspetto di strade non intraprese, possibilità della vita non
esplorate – dimensioni dell’esistenza che ci sono estranee ma che sono anche le
nostre e che hanno perciò il potere strano (la stranezza di ciò che al contempo
ci è estraneo e ci appartiene intimamente) di attrarci, di smuoverci e di dissipare
l’atmosfera di silenziosa melanconia, offrendo un motivo per cambiare il nostro
modo di vedere, per cambiare la vita. La vita comune a cui ritorniamo è di nuo-
vo un luogo di interesse e di motivazione. Lo scetticismo che aveva investito la
vita, il mondo e gli altri trova risposta non in una confutazione filosofica ma nel
riguadagnare agio nella vita comune, come risultato però del lavoro filosofico.
Sono in campo quindi due concezioni della filosofia, quando ci immaginiamo
che lo scetticismo che ci separa dal mondo e dalla nostra stessa esperienza possa
essere superato attraverso la confutazione di una teoria e quando ci immaginia-
mo che esso possa essere addomesticato (mai vinto del tutto) cambiando la vita.
In questa linea wittgensteiniana che punta sul ritorno alla vita comune, in-
teso come svolta e rivoluzione – e che ritroviamo in autori diversi ed eterogenei
che si dispongono tra Ottocento e Novecento – affiora forse, accanto ad altri
motivi, e con tutte le distanze e le differenze, lo scetticismo pirroniano di Sesto
che poneva nell’antichità il tema del rifiuto di avvalersi di dottrine – il rifiuto
dell’arte della vita – per operare un ritorno, realizzato per via filosofica, alla vita
ordinaria19.
Dall’idea di filosofia come trasformazione – da intendersi come vita (filo-
sofica ed etica) segnata dal movimento della trasformazione anziché da quello
della iniziazione a forme stabili del carattere e delle relazioni in una comunità
18
Id., Self-Reliance, in Id., The Major Prose, cit., p. 127.
19
Cfr. E. Spinelli, La distruzione dei valori: il pirronismo antico e l’etica come problema, in S. Ba-
cin (ed.), Etiche antiche, etiche moderne. Temi di discussione, il Mulino, Bologna 2010, pp. 21-45. Nella
modernità è Hume a riprendere esplicitamente il collegamento tra scetticismo e vita comune nel Trat-
tato sulla natura umana. Cfr. altresì alcune mie considerazioni in P. Donatelli, Etica, cit., pp. 310-314.
Tuttavia, una volta impostata la questione dello scetticismo in questo modo, vale a dire in relazione alla
concezione della filosofia come vita filosofica, l’intera tradizione scettica diventa un campo di studio da
riesaminare.
550
Wittgenstein, l’etica e la filosofia antica
– possono seguire perciò due linee teoriche distinte. La tradizione dell’arte della
vita insiste sull’esercizio e sulla cura di sé mettendo in luce un campo di mobili-
tazione dell’io che non è preso in esame dalla tradizione delle virtù. Essa tutta-
via condivide con le etiche della virtù l’aspirazione a fornire una guida della vita
che è più solida delle sorti a cui va incontro l’esperienza, una dottrina su come
è giusto comportarsi che non condivide fino in fondo le avventure del sé. Una
diversa tradizione, che nell’antichità sembra assente e la cui presenza può essere
avvertita forse nella linea pirroniana dello scetticismo, è quella che rifiuta il con-
forto della dottrina, dell’arte della vita. Essa svela altre dimensioni dell’io dove
la perdita e il disorientamento sono al contempo rischi reali e reali occasioni
per ritrovare la direzione, che hanno l’aspetto però di addomesticamenti della
crisi che ha interrotto un ritmo vitale, compensazioni di perdite, miglioramenti
di una situazione che sarà meno dolorosa, mai pienamente felice, lontano da-
gli abbagli della vita perfettamente buona, eccellente, magnifica. Se insistiamo
sul contrasto tra perfezione e vulnerabilità, le due linee, che ho chiamato per
semplificare arte della vita e perfezionismo morale, appaiono nella loro grande
diversità e inconciliabilità, anche se promanano dalla stessa radice comune che
contesta l’immagine dell’etica come educazione dell’umanità a una seconda na-
tura, salda e motivante come la prima.
In conclusione, possiamo apprezzare il quadro ricco che si dipana all’inter-
no della tradizione alternativa dell’etica analitica che promana da Wittgenstein
e che consente di tornare all’antichità distinguendo queste diverse quattro linee.
È un fatto degno di nota che possano essere tutte rappresentate come versioni
di un’etica che trae ispirazione da questo classico della filosofia del Novecento
che è Wittgenstein.
Piergiorgio Donatelli
Sapienza, Università di Roma - piergiorgio.donatelli@uniroma1.it
Abstract
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Piergiorgio Donatelli
Cavell’s approach. While Foucault’s inspiration goes back to the tradition of the
art of life, Cavell is mistakenly considered as a theorist of the art of life, given his
emphasis on the skeptical adventures faced by the self in its prospect of progress.
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