Sei sulla pagina 1di 8

La Frusta Letteraria.

Rivista di critica culturale on line


http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

Bayle, Holbach ed il dibattito sull’ateo virtuoso


Maria Luisa Lussu | Gênes, Edizioni Culturalli Internazionalli, 1997

Vorrei vedere un uomo sobrio, moderato, casto, giusto, affermare


che non c'è alcun Dio: se non altro parlerebbe contro il proprio
interesse; ma quest'uomo non esiste

La Bruyère, 1688, Des Esprits forts, p. 452, n. 11

Premessa
Alle origini del dibattito: la laicizzazione della morale

È un tema ormai classico della storiografia filosofica quel processo di laicizzazione della
morale che, pur avendo radici lontane, ha il suo apice nel XVII e soprattutto nel XVIII secolo.
Il dibattito tra i Padri della Chiesa sulla questione della salvezza dei 'pagani' costituiva infatti
anche un quesito morale sulla possibilità e sulla validità di una virtù senza l'aiuto della grazia.
L'aspetto salvifico del problema inoltre continua ad essere vivo nell'età moderna se per
esempio nel 1640 Jansenius, sulla scorta di testi agostiniani, contesta ancora le tesi pelagiane
sui bambini e gli adulti morti senza battesimo (I, 3°, capp. XIX-XXIV). Questo aspetto anzi
si rinnova con la perdita del primato della chiesa romana, con la nascita di quelle luterana e
riformata e delle diverse confessioni al loro interno, con l'emergere del deismo nelle sue varie
forme. È però l'aspetto più propriamente morale ad acquistare una rilevanza sempre maggiore
in età moderna fino a trasformarsi in un dibattito sulla possibilità di una morale laica,
autonoma dalla religione. Alla riaffermazione della validità esclusiva di una morale fondata
sulla religione positiva o anche solo sulla religione naturale e razionale, viene così a
contrapporsi l'idea di una morale integralmente laica quanto a contenuti, modalità, origine e
legittimazione.

Eppure a chi si accosti ad essi con il massimo di obiettività compatibile con il lavoro dello
storico, i pensatori del Seicento e del Settecento offrono delle sorprese in tema di
laicizzazione della morale. Il filo rosso che consente di cogliere questi aspetti inattesi è
fornito dalla ricezione delle Pensées sur là comète (1682) e più tardi del Système de la
nature (1770): nella prima opera Bayle teorizzava la possibilità dell'ateo virtuoso e della
società di atei, mentre nella seconda Holbach ne dimostrava la necessità. L'atteggiamento nei
confronti di queste tesi, in altri termini, costituisce un indizio decisivo per focalizzare quali
siano stati in realtà la portata e i limiti della laicizzazione della morale.

Portata e limiti, anzitutto, sono funzione della plurivocità e dell'estensione del concetto stesso
di 'morale laica ' che, com'è noto, supporta al proprio interno almeno tre specificazioni:
morale 'razionale', naturale ', 'sociale'. Esse a loro volta rimandano a diversi significati a
seconda che si prendano in considerazione l'origine o i contenuti o le motivazioni della

1
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

morale. È quindi opportuno, in via preliminare, fermare brevemente l'attenzione su queste


articolazioni della morale laica che, nel loro insieme, fanno la sua ricchezza contribuendo
però contestualmente alla sua problematizzazione.

La morale laica si definisce razionale, in sintesi, quando eleva a principio di virtù la ragione
umana in quanto capace di cogliere autonomamente o di porre da se stessa un codice morale.
In questo contesto la laicizzazione passa per esempio attraverso la scissione, operata da
Grozio nel noto 11' paragrafo dei "Prolegomena" al De jure belli ac pacis (1625), dell'origine
del diritto naturale dalla divinità nella convinzione che i principi del diritto, grazie ai quali
conosciamo la qualità morale di un'azione, sarebbero validi "anche se ammettessimo ciò che
non si può ammettere senza grandissima empietà: che Dio non esiste, o non si cura delle
faccende umane" (p. 8). E passa attraverso il rifiuto, espresso da Cudworth in A Treatise
concerning Eternal and Immutable Morality (1688), di cercare il fondamento dell'etica nella
volontà divina. A questa concezione infatti Cudworth contrappone il motivo platonico che
bene e male sono tali assolutamente, per natura"; è quindi dalle Natures del bene e dei male
in quanto "realmente esistenti nel mondo" e innate nella mente umana, che deriva
l'obbligazione morale anteriormente ad ogni comando divino o umano (in Selby-Bigge, pp.
274sgg.). La laicizzazione passa infine attraverso l'opzione razionalistica dì Malebranche in
tema di verità eterne fatta valere nel celebre X "Eclaircissement" (1674-5, pp. 130-8) contro
l'impostazione volontaristica di Descartes. Questa opzione che porta l'oratoriano a concepire
l'indipendenza da Dio della verità, sia teoretica che morale, pur all'interno di un sistema
profondamente religioso, paradossalmente 'apre' all'ateo più di quanto non faccia la posizione
di Descartes dalla quale, com'è noto, si deduce, nelle risposte alle Il e alle VI obiezioni (1641-
2, pp. 141, 428), l'impossibilità per l'ateo di avere punti di riferimento saldi in ambito
scientifico e, per estensione, in ambito etico.

Se la morale laica, in qualunque sua forma, è comunque naturale, in semplice opposizione a


soprannaturale ', cioè in quanto dichiara la propria autonomia dalla religione, e se la stessa
morale razionale è naturale in quanto la ragione è ritenuta l'elemento caratterizzante la natura
umana, più propriamente come naturale si denota una morale che si avvale della natura come
di una parola d'ordine scandita contro una lunga tradizione di rigorismo e di mortificazione.
In questo contesto, 'naturale' può indicare tanto le modalità quanto il contenuto di una
direzione possibile della morale laica. Nel primo caso è naturale, cioè spontanea perché insita
nella natura umana, la tendenza al bene propria dell'uomo in quanto parte di un universo che
per l'ordine e l'armonia in esso immanenti è di per sé morale. La virtù quindi non è che il
mezzo naturale coi quale l'uomo è in sintonia col mondo. La morale in questo senso naturale
ha molti punti di convergenza con la morale razionale. Infatti è possibile una loro
combinazione in una linea platonizzante che parli di valori oggettivi coglibili vuoi per istinto
o senso morale vuoi per riflessione razionale.

2
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

Dal punto di vista dei contenuti invece una morale è naturale in quanto propone tipi di virtù
alternativi a quelli austeri e rinunciatari della morale religiosa. Il processo di laicizzazione in
questa direzione passa quindi attraverso la ferma critica e condanna della morale religiosa e
di quella evangelica in particolare; e attraverso la rottura con la morale tradizionale anche in
forme scopertamente provocatorie, come avviene per esempio in certi settori del movimento
libertino. Di qui le accuse di immoralismo lanciate nei confronti dei libertini in genere,
sebbene la loro provocazione altro non sia che una proposta di morale alternativa che rivaluti
le passioni e che, in opposizione al sacrificio e alla rinuncia, si radichi nella stessa natura
umana: una morale naturale appunto, ma che, anche in questo caso, è nello stesso tempo
razionale dato il ruolo centrale della ragione nel calcolo equilibrato delle passioni.

L'elaborazione della morale naturale come morale à misura d'uomo è accompagnata


dall'accentuazione della sua dimensione sociale. La società entra prepotentemente in ambito
etico proponendo l'utilità sociale come metro di valutazione e come criterio stesso di
individuazione della virtù, ponendosi come origine di valori pur col rischio di esiti
relativistici, creando nuovi motivi per indurre a comportamenti corretti e nuovi strumenti per
impedire l'azione dannosa, spostando decisamente l'asse della morale dal piano
dell'intenzione a quello delle conseguenze. L'aspetto qualificante la morale sociale - aspetto
che inoltre la correla strettamente a quella naturale - consiste nella legittimazione delle
passioni, nata dalla constatazione della loro utilità sociale, del loro carattere di vere e proprie
molle della dinamica sociale. La loro rivalutazione è decisiva per la costruzione di una morale
dal contenuto naturale, cioè tale che tenga conto della natura umana nella totalità dei suoi
aspetti, passionali e razionali. Quando Mandeville svela il groviglio di passioni nascosto
dietro la prosperità della società, quando riduce le attitudini sociali dell'uomo e le sue 'virtù',
come la pietà, a puro egoismo e mostra il carattere relativo del cosiddetto bene e del
cosiddetto male, quando infine stabilisce l'incompatibilità del possesso della virtù col
benessere sociale, presuppone certamente una concezione austera secondo la quale la virtù è
fondamentalmente vittoria sulle passioni. Ma nello stesso tempo, nel definire sterile la virtù
e nell'ironizzare sul piacere puramente privato che essa procura o sulle qualità 'negative' che
talvolta ne sono il fondamento nascosto, Mandeville indica a chiare lettere una nuova scala
di valori. E infatti sufficiente porre l'equazione: contribuire al bonheur generale = essere
virtuosi, per avere la chiave di volta della morale sociale. Il passo successivo è una seconda
equazione che integra la prima: essere virtuosi, cioè contribuire al bonheur generale essere
felici, cioè contribuire al proprio bonheur, si ha così la chiave di volta dell'utilitarismo
morale elaborato nel Settecento maturo.

Tuttavia, anche prima della precisa teorizzazione dell'utilitarismo, si sente in modo sempre
più pressante l'esigenza di pensare a un'etica che correli la virtù dell'individuo col suo
bonheur, che non implichi quindi una lotta contro le passioni, i desideri e le aspirazioni
dell'uomo, ma si strutturi razionalmente su di essi: un'etica insomma che garantisca alla virtù
il suo 'premio'. Il significato di 'utilitarismo' può perciò essere allargato - e in questo studio

3
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

viene allargato -fino a comprendere ogni formulazione, precedente o successiva alla


teorizzazione dell'utilitarismo vero e proprio, di etica "utilitaria , cioè di etica che sostenga la
funzione strumentale della virtù nei confronti del bonheur, comunque esso sia inteso.

Se molti sono i punti di contatto delle tre direzioni del processo di laicizzazione, altrettanti
sono gli elementi di contrapposizione. La morale razionale, per esempio, intesa nel suo
significato primario a prescindere dalle coincidenze con gli altri due ambiti, è austera ed
elitaria, e in quanto tale oggetto di critica da parte dei fautori di una morale 'a misura d'uomo'.
Al suo carattere autonomo inoltre, guardano con sospetto quanti pensano invece a un
orientamento eteronomo fondato su sanzioni, sociali e politiche se non più ultraterrene.
Analogamente, l'esito frequentemente relativistico della morale sociale non può accordarsi
con la convinzione dell'oggettività dei valori propria della linea platonizzante.

Non sembrino scontate e superflue queste osservazioni: è nell'articolazione interna della


morale laica infatti che può essere rintracciata la chiave per comprendere l'atteggiamento di
sostanziale rifiuto nei confronti delle ipotesi di ateo virtuoso e di società di atei. È evidente
anzitutto che solo all'interno del processo di laicizzazione della morale è pensabile la
questione se l'ateo possa essere un individuo morale e un affidabile soggetto sociale. Infatti,
riconoscere l'esistenza e la validità di un'origine, di contenuti, di motivazioni della morale
diversi da quelli religiosi non poteva non sollevare la prima questione, mentre l'estensione
del significato di 'virtuoso' a quello di 'socialmente affidabile ' suscitava la seconda.

La laicizzazione della morale, oltre a costituire la condizione sine qua non perché
l'interrogativo si ponga, dovrebbe inoltre nel suo insieme autorizzare una risposta affermativa
ad esso in entrambi i punti. Una risposta in questo senso sarebbe logicamente coerente
quando si postula un codice morale indipendente dalla divinità e la cui fonte può essere la
ragione, la natura, la società, un codice che si può quindi cogliere autonomamente per via
razionale o grazie a un senso morale, o che si può leggere trascritto in regole di agire sociale.
La virtù dell'ateo sembrerebbe inoltre ammissibile una volta che il concetto stesso di virtù si
è profondamente trasformato, acquisendo una serie di connotazioni nuove, alternative a
quelle proposte dalla morale austera tradizionale e strettamente legate, sul piano individuale
e su quello sociale, con la fine della colpevolizzazione delle passioni. L'ateo infine dovrebbe
essere assolto una volta ammesso, riguardo alle motivazioni, che si può essere virtuosi o in
nome di una ragione che insegna il valore incondizionato della virtù, o per inclinazione, o
sulla spinta dell'interesse variamente inteso sia secondo lo schema del nascente utilitarismo
che in base al nesso con le sanzioni sociali o politiche.

La realtà storica però è sempre più complessa e meno lineare di quanto la logica sembra
richiedere e difficilmente si lascia inquadrare negli schemi che il pensiero reputa razionale
applicarle. Uno studio sulle posizioni sei-settecentesche in materia di ateo virtuoso infatti

4
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

mostra che alla teorizzazione di una morale laica non fa seguito né l'assoluzione dell'ateo
dall'accusa di immoralismo né l'asserzione che la società sia in grado di garantire la propria
sopravvivenza e il proprio ordine autonomamente senza il supporto dei principi e delle
istituzioni religiose. La laicizzazione della morale resta un progetto non condotto fino in
fondo, una premessa dalla quale non sono state tratte tutte le logiche conseguenze.

Ciò che è mancato nella maggior parte dei pensatori è una scelta laica relativamente a tutti gli
elementi della morale (origine-contenuto- motivo), una scelta che oltre tutto era resa più
agevole dalla possibilità di contaminazioni tra le diverse linee (razionale-naturale- sociale).
La mancanza di un'opzione totale in senso laico è stata invece sostituita dal ricorso all'ambito
religioso almeno per uno degli elementi. Così, nonostante le critiche anche violente, che i
teorizzatori di una morale laica muovono da varie angolazioni alla religione nei suoi diversi
aspetti, la prima resta debitrice della seconda o nella propria origine, o nei propri contenuti,
o nelle proprie motivazioni; e le note considerazioni di Cassirer (1932) e di Hazard (1946)
sul preteso ateismo del Settecento, come pure le riflessioni di Becker (1932), Gusdorf (1972),
Gay (1979) sulla consistenza dell'eredità cristiana nella filosofia dei lumi, mantengono intatta
la loro validità.

Non esiste dunque una linea netta che collochi su fronti opposti e rigidamente delimitati gli
alfieri di un'etica laica e i difensori di un'etica religiosa. Le diverse forme nelle quali si
manifesta la laicizzazione e il fatto che queste non sempre siano connesse tra loro ma possano
anzi presentare caratteri di reciproca alternatività, consente significativi tentativi, da parte
'devota', di inserimento nel processo in nome del possibile accordo dei valori laici col
cristianesimo. E vero:
si rintracciano sempre, con le loro inossidabili e inamovibili certezze, figure come Bossuet,
il quale respingeva ogni compromesso tra religione ed etica laica nella convinzione che la
sola e autentica morale fosse quella cristiana "fondata sui misteri del Cristianesimo" (Sermon,
1681, p. 475) e, persuaso dell'importanza sia dei principi religiosi che dell'istituzione
ecclesiastica per la moralità e la stabilità sociale, ribadiva la necessità della religione per tutti,
sovrani e sudditi, intellettuali e popolo (Op. cit., pp. 482-5; Politique, 1709, pp. 51 sgg.,
149sgg.). Per un Bossuet, però, ci sono tanti che invece cercano nei loro scritti la via del
dialogo e dell'incontro.

Sono interessanti in questo senso la prefazione di J. Butler ai suoi Fifteen Sermons (1726) e
i primi tre sermoni nel loro complesso. In essi infatti il vescovo anglicano, un apologeta
peraltro poco incline alle suggestioni razionalistiche proprie dei teologi liberali e latitudinari,
si ferma sulla 'naturalità' della virtù, e giudica passioni e istinti non necessariamente tutti
condannabili, ma in vario numero positivi purché egemonizzati dalla coscienza. Presta inoltre
grande attenzione al bonheur della società che considera perfettamente coincidente con
quello privato. Infine afferma che se è vero che il movente dell'azione buona non deve essere
egoistico, è altrettanto vero che essa viene qualificata moralmente come tale

5
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

indipendentemente dal fatto che sia disinteressata o meno, e che un calcolo perfetto
dell'interesse individuale porterebbe a compiere le stesse azioni comandate dalla coscienza.

Su una linea simile di compatibilità tra valori laici e valori religiosi si muove Levesque de
Pouilly (1747). Partendo, diversamente da Butler, dall'ambito laico, egli traccia una teoria
dei sentimenti agréables che giungerebbe "per vie differenti" alle stesse conclusioni della
teologia morale, ma che avrebbe su questa "il vantaggio che, nello stabilire le stesse leggi, le
fa [...] accettare dall'amor proprio" (pp. 12-3). Levesque de Pouilly insiste sui
carattere agréable della virtù: i movimenti dello spirito che l'accompagnano sono piacevoli
come è piacevole lo spettacolo delle qualità e delle azioni morali in noi stessi e negli altri;
essa inoltre concilia il nostro bonheur con quello altrui facendo del nostro bene personale il
bene comune; naturalmente triste invece è l'uomo malfaisant. "Siamo giusti e benefici -
conclude l'autore - la Morale ce lo ordina: la teoria dei sentimenti ce lo suggerisce" (pp. 200-
1).

La stessa lotta secolare tra giansenisti e gesuiti presenta interessanti elementi di contatto col
processo di laicizzazione. Se la linea giansenista era operante per altri versi sullo spirito
filosofico laico in genere perché accentuando il taglio fideistico favoriva, al di là dei propri
intenti, l'estensione del campo d'azione della riflessione scettica, d'altro canto il lassismo
gesuita - quando non si trattava addirittura di pelagianesimo - con la sua polemica contro la
severità giansenista e la sua difesa di una felicità che non fosse solo dell'altro mondo, non era
certo distante da proposte provenienti dall'area laica.

Il segno dei persistere nella morale laica di tratti 'religiosi' è dato, come si è accennato, dalle
reazioni innescate dalle tesi di Bayle e più tardi da quelle di Holbach. All'affermazione di
Bayle, secondo il quale l'ateo, nonostante sia tale, può essere virtuoso e buon cittadino, segue
quella di Holbach secondo il quale l'ateo, in quanto tale, deve essere virtuoso e buon
cittadino. Nel Seicento la posizione di Bayle fu contestata come un paradosso, benché si
fondasse sull'assunto della non consequenzialità della condotta dalle opinioni e quindi
riproponesse in fondo la connotazione moralmente e socialmente negativa dell'ateismo. Il
Settecento non si spinse generalmente oltre la linea di Bayle, anzi raramente la recepì
integralmente, e gridò allo scandalo davanti all'immagine dell'ateo proposta da Holbach.

Il confronto con questi due pensatori diventa il luogo nel quale i nodi della laicizzazione della
morale devono essere sciolti. Nell'affidare alla ragione la funzione di cogliere o elaborare
norme etiche, la morale laica sconta la doppia ispirazione - cartesiana e libertina - del proprio
concetto di ragione: prerogativa di tutti gli uomini, certamente, ma capace del proprio ruolo
in ambito etico solo se cultivée. In quanto razionale, la morale laica assume dunque carattere
aristocratico ' e postula la religione per gli 'altri'. Nel fondarsi invece sulla natura, la morale
laica paga il prezzo della doppia valenza - positiva e normativa - del concetto di natura,
riferibile indistintamente al piano della realtà e a quello del dover essere. In quanto naturale,

6
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

la morale laica comporta quindi un tendenziale rovesciamento nell'im-moralismo e


nell'impossibilità di garantire la convivenza sociale, e apre perciò la strada al recupero della
religione. Ancora, la direzione platonizzante della laicizzazione raramente è separata da una
visione religiosa del cosmos, e il senso o istinto morale è generalmente inteso come dono di
Dio. In quanto sociale infine, la morale laica, oltre a riservare anche a questo livello alla
ragione coltivata la capacità di 'sentire' il valore della società, tende a perdere la propria
specificità confondendosi col diritto. L'esito della morale nella dimensione sociale è insomma
la rilegittimazione dell'uso politico della religione o la sostituzione di questa istanza
eteronoma con quella - ugualmente tale - delle sanzioni sociali e politiche.

Questo è quanto emerge dall'analisi del dibattito sull'ateo virtuoso e sulla società atea,
dibattito che si articola in varie fasi. Infatti se prima di Bayle l'interrogativo è solo abbozzato,
l'originale risposta bayliana diventa invece l'occasione per un confronto preciso che, a partire
dall'immediata pubblicazione delle Pensées sur la comète, si svolge in modo continuo e
pressante fino a che il Système de la nature porrà i pensatori del Settecento davanti al
problema in maniera più inquietante, costringendoli talvolta ad arretrare rispetto alle stesse
posizioni bayliane. Il dibattito, nel fare emergere portata e limiti del processo di laicizzazione
della morale, non arriva insomma ad assolvere, moralmente e socialmente, l'ateo. Nei casi in
cui l'assoluzione invece si verifica, ciò avviene o alla maniera limitativa di Bayle, o al prezzo
della riduzione della dimensione morale a dimensione politica, secondo una direzione
presente in Holbach.

Sono questi i temi sviluppati in questo studio che chiaramente non è esaustivo del dibattito,
non ne ha l'intenzione né tanto meno la pretesa. In altri termini, i pensatori presi in esame
hanno valore esemplificativo, rappresentano i tipi di risposte che l'interrogativo sulla moralità
e integrabilità sociale dell'ateo ha avuto nel Seicento e soprattutto nel Settecento. Da ciò
deriva dunque sia la scelta dei nomi, con l'eccezione di Bayle e di Holbach in quanto referenti
obbligati del confronto, sia la tendenza a limitare il discorso relativo ai vari autori, specie
quelli di più ampia levatura, alla loro posizione sui temi in questione. Il maggior spazio
dedicato al Settecento, in particolare francese, è invece legato a motivi, per così dire, storici:
èinfatti nella Francia del XVIII secolo che il dibattito raggiunge le più alte punte di diffusione
e di interesse.

All'esposizione dei primi esempi di come la presenza di alcune istanze laiche in ambito etico
non sia sufficiente ad una giustificazione morale e sociale dell'ateo per il persistere di
parallele componenti religiose (capitolo I), segue l'analisi degli stimolanti argomenti bayliani
in materia e il tentativo di individuare le complesse matrici di fondo che li ispirano, insieme
a un breve spaccato delle prime reazioni che le tesi di Bayle, più o meno fedelmente recepite
e comprese, hanno provocato (capitolo Il). Un cenno all'anomala posizione di Meslier è
l'occasione per affrontare il discorso sulla peculiarità delle tematiche holbachiane (capitolo
III) cui segue una rassegna delle scontate reazioni ad esse da parte 'devota' tra le quali si

7
La Frusta Letteraria. Rivista di critica culturale on line
http://lafrusta.homestead.com/riv_bayle_holbach.html

stacca, per la sua anomalia, la confutazione di Deschamps (capitolo IV), e di quelle, meno
scontate e tanto più significative, da parte dei 'laici' (capitolo V). Se lo studio delle concezioni
per esempio di Meslier e di Deschamps indica la presenza di una profonda tensione religiosa,
e se l'esame dell'atteggiamento critico verso Holbach da parte dell'ambiente laico lascia
intravedere i nodi irrisolti della morale laica, tutto ciò emerge con più chiarezza e profondità
quando si sposti l'attenzione verso i pensatori settecenteschi di maggiore spessore filosofico.
Così il capitolo VI mostra come la riflessione sul sistema holbachiano abbia costretto Voltaire
a rivedere la propria adesione alla soluzione bayliana, spingendolo ad esplicitare la profondità
del proprio problema religioso e i conflitti insiti nella propria visione del mondo. Il capitolo
VII trova nelle considerazioni di Rousseau in materia di ateo virtuoso la conferma di una
concezione che cerca di coniugare le spinte laiche con una sentita convinzione religiosa. La
complessa indagine di Diderot in campo etico, tra influenze bayliane e suggestioni
holbachiane, è interpretata nel capitolo VIII in termini di piena consapevolezza di alcuni dei
più gravi equivoci latenti nella morale laica. Infine, i possibili, e socialmente indesiderati,
esiti della morale laica, già chiari in La Mettrie e in Diderot, diventano espliciti in Sade il cui
progetto di 'morale', insieme a quelli, speculari al suo, di Naigeon e di Maréchal, è visto come
alternativa perdente in un momento come quello rivoluzionario nel quale, sulla scia di
Holbach ma soprattutto di Helvétius, si opta per la completa riduzione della moralità a
legalità (capitolo IX).

Potrebbero piacerti anche