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Castellion
Maria D’Arienzo, Giappichelli, 2008
1. TOLLERANZA E LIBERTÁ
Il dibattito sulla tolleranza che si è sviluppato negli ultimi anni, ha evidenziato la funzione positiva che tale concetto
assume nell’accezione di rispetto reciproco e di volontà di dialogo. Tuttavia, se da un lato esso ha acquisito la valenza
positiva di modus vivendi nella società democratica moderna, dall’altro conserva il carattere etimologico di
sopportazione. Tale ambivalenza di significato rispecchia l’evoluzione storica del concetto di tolleranza nel lungo e
tortuoso cammino che ha portato all’affermazione dei diritti di libertà dell’individuo. La tolleranza è considerata come
un concetto negativo in relazione alla libertà: si tollera ciò che non si considera giusto ma che si sopporta per
evitare un male peggiore. Se io tollero considero comunque quella cosa non giusta (e il diritto non tollera, o ammette o
non ammette). E’ una concessione che l’autorità fa ai suoi sudditi e che, per sua natura, può essere revocata. Al
contrario, il diritto di libertà sarebbe l’evoluzione naturale del concetto in principio giuridico concernente in primo
luogo gli individui e i loro diritti soggettivi. In tal senso, nel suo significato giuridico e politico, la tolleranza
costituirebbe un minus rispetto al concetto di libertà (Ruffini, Storia dell’idea). Nella società contemporanea il
principio di tolleranza acquista una valenza positiva rispetto al “diritto alla differenza”, riacquistando il significato
originario di origine umanistica di rispetto della diversità. Gli studi sulla storia della tolleranza hanno messo in evidenza
la portata innovatrice di contro-potere rispetto al potere costituito, insito nella rivendicazione della libertà di coscienza
da parte di chi è ritenuto eretico dall’ortodossia ecclesiastico-politica. In tal senso, l’affermazione di un diritto è il frutto
di un percorso che non è stato solo ideologico, ma soprattutto ha rappresentato il risultato dei rapporti di forza fra la
difesa del proprio potere da parte dell’autorità e le istanze sovversive. L’idea di fondo di progresso lineare che ha
ispirato molti lavori sulla questione della tolleranza e della libertà di coscienza, ha evidenziato come la cosiddetta
“Riforma radicale” ha avuto un ruolo importante di anticipazione di principi ormai consolidati, la cui affermazione è
stata il frutto di una lotta rispetto a forze oscurantiste. Ma il concetto di tolleranza non è solo il frutto di una lotta
politica, ma nasce come esigenza morale e come teologia della rifondazione della vera Chiesa di Cristo, come
contrapposizione all'intolleranza religiosa delle autorità spirituali, non solo delle autorità civili.
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Protestantesimo ebbe tante realtà, diverse confessioni (confessio fidei), il cui elemento unificante fu la reazione alla
Chiesa Romana. Ai tempi c’erano i tribunali dell’inquisizione, che decidevano sull’ortodossia di una dottrina o sulla sua
ereticità: l’eresia (il diverso da una verità religiosa) oltre che un peccato era un crimine civile punito con la messa al
rogo, la cui esecuzione la faceva lo Stato, che eseguiva quanto stabilito dal potere religioso.
5. LA LICEITA' DEL DUBBIO RISPETTO A CIÓ CHE NON É POSSIBILE CONOSCERE CON
CERTEZZA
Il pensiero della libertà di coscienza dell’umanista Castellion trova nell’ultima opera, il “ De arte dubitandi et
confidenti, ignorandi et sciendi”, la sua sistemazione più compiuta. Dall’analisi delle sue opere legate alla vicenda del
processo Serveto, non emerge una reale evoluzione o costruzione progressiva di un pensiero, ma si coglie una continuità
ed una riaffermazione delle medesime posizioni in merito alle tematiche centrali della polemica, a difesa dell’impunità
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degli eretici. Perciò, appare significativa una lettura unitaria dell’opera castelloniana, scritti di carattere “polemico”.
Sulla scia di Erasmo, l’umanista distingue, all’interno della Scrittura, parti chiare ed evidenti e passaggi oscuri di
difficile comprensione, delineando una impostazione nettamente contrapposta alla concezione teologica dei riformatori
di Ginevra. Alla Scrittura quale fonte ultima della conoscenza della volontà di Dio che assicura all’uomo la salvezza,
viene contrapposto un criterio non dogmatico e formalistico di ricerca della verità. La causa dei contrasti dottrinali e
dell’intolleranza dell’errore in materia di fede è legata, per Castellion, al fatto di credere alle cose dubbie e dubitare
delle cose certe. L’obiettivo del De arte dubitandi et confidenti… è quello di distinguere quali siano le cose dubbie di
cui si deve dubitare, quali siano le cose certe che devono essere credute, quali sia lecito ignorare e quali devono
sapersi. Castellion indica un metodo di interpretazione delle Scritture differente da quello strettamente letterale. Per
risolvere le questioni controverse bisogna ricercare i punti certi in cui la verità sia così evidente da non dar luogo a
interpretazioni diverse e contrarie l’un l’altra. Il fondamento del Cristianesimo và basato su quei pochi principi
sicuramente certi e non fraintendibili (da tutti comprensibili e non in discussione attraverso gli strumenti naturali
dell’uomo, che sono il senso e l’intelletto), che per Cast. sono i due precetti/comandamenti che Cristo dà, cioè: “ama
Dio e il prossimo tuo come te stesso”.
In opposizione alla concezione calvinista della comprensibilità di tutti i passaggi del testo sacro e della sua
indubitabilità, Castellion distingue all’interno delle Scritture ciò che è necessario conoscere ai fini della salvezza e ciò
che non lo è. Per lui tutto ciò che è necessario viene indicato in modo chiaro e sentito come manifesto evidente e
naturale da tutti gli uomini dotati di ragione, mentre l’oscurità di alcuni passaggi delle Scritture non significa che
questi non possano essere compresi, ma che la loro comprensione costituisce solo una supposizione di scienza.
Attraverso l’interpretazione della Scrittura, l’uomo può esercitare e sviluppare le sue facoltà raziocinanti, giungendo a
distinguere quali delle proposizioni contenute nelle Scritture siano certe, indubitabili e chiare a tutti e quali, invece,
necessitano di una sottigliezza di pensiero e di una preparazione teologica, senza le quali resterebbero oscure. L’attacco
di Castellion è contro il metodo logico-filosofico di Calvino e dei suoi seguaci che, identificava la fede con la
conoscenza certa. Infatti, credere significa avere fiducia nelle parole vere o false che siano, mentre sapere significa
conoscere ciò che è vero, ma la scienza, cioè la conoscenza, non è una virtù, in quanto non aiuta l’uomo a raggiungere
la beatitudine come fa la fede. Il criterio di certezza della fede è, per Castellion, identificato dalle capacità razionali
dell’uomo, per cui è il giudizio della ragione che prevale sulle interpretazioni contrastanti.
I passi nelle Scritture non sono oggetto di 1 unica interpretazione, ma possono essere soggette a critica: riguardo alle
parti che non sono chiare ed evidenti, Castellion distingue tra cose supra sensus e quella contra sensus. A quanti
sostengono che la fede consiste sempre nel credere contro i sensi, egli replica che la fede attiene alle cose che non
possono essere percepite dai sensi o che, pur essendo percepibili, non si manifestano nella vita; mentre sono da
respingere, in quanto false, tutte le cose che contrastano palesemente con l'esperienza dei sensi. La fede non consiste nel
credere passivamente anche a ciò che è irrazionale e contrario ai sensi, ma nell’assentire, attraverso l’uso della volontà a
ciò che non sia in contrasto con le facoltà umane.
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L’irenismo è l’attitudine pacificatrice adottata con l’intento di arrivare all’unione delle varie chiese. Per Cast. la fede
non è mera scienza delle cose sacre ma è la conoscenza interiore di ciò che è bene e fiducia che scegliendo il bene,
ovvero obbedendo ai precetti divini iscritti nel proprio cuore e riconoscibili attraverso la ragione, si possa vivere e
operare come Cristo e cancellare le opere dei diavoli (i peccati). La relativizzazione dell’essenzialità dei dogmi ai fini
della salvezza, nel pensiero di Castellion, è espressione di un concetto attivo e perfettibile di fede che consiste non tanto
nel credere, ma soprattutto nell’obbedire, o nell’agire in modo concreto, trasfondendo nella vita e nelle relazioni con
l’altro la regola di carità dettata ad ognuno. La differenza tra essentialia (gli elementi necessari alla salvezza) e i non
essentialia (verità non necessarie, c.d. adiaphora o cose indifferenti, su cui è lecito dubitare) è il mezzo per individuare
ciò che unisce i cristiani. Come afferma nel De hereticis, an sint perseguendi, per evitare le dispute dottrinali, fonte dei
profondi dissidi fra cristiani, occorre trovare nella religione una moneta d’oro che abbia valore in tutti i paesi,
indipendentemente dal suo aspetto esteriore. Tale moneta in materia religiosa, valida ovunque, consiste nel credere in
Dio padre, figlio e spirito santo e nei precetti di pietà che sono nelle Scritture. Tale concezione irenistica di
Castellion risente dell’influsso del pensiero di Erasmo, anche se diversi sono l’obiettivo di fondo, e la matrice teologica
dell'irenismo castelloniano rispetto alle pretese irenistiche dei rappresentanti delle Chiese riformate. Mentre per Erasmo
la riduzione dei dogmi, ovvero l'adozione di pochi e fondamentali articoli di fede, è un mezzo per ristabilire la pace al
fine di salvare l’istituzione ecclesiastica cattolica. Il relativismo dogmatico di Castellion è conseguenza della sua
concezione umanistica di libera ricerca della verità. In tal senso, la sua posizione appare strettamente connessa con le
istanze tipiche dello spiritualismo religioso, per il quale il raggiungimento della verità è frutto di un percorso di
“illuminazione” dello Spirito divino già presente nell’uomo.
Alla Chiesa come organizzazione, fondata sull’unità di fede e sul principio di autorità, egli contrappone la Chiesa come
comunità, fondata non sull’identità del credere, ma sull’identico operare per la conversione dei cuori. Mentre
all’intolleranza della Chiesa dogmatica, al di fuori della quale non ci può essere salvezza, contrappone una comunione
ecclesiastica fondata sulla libertà di coscienza. E’ proprio nella sua concezione della Chiesa come comunità e non come
organizzazione, che si rinviene la sostanza di quella che fu definita eresia, da suoi oppositori. Infine, al concetto
tradizionale di religione intesa come corpus di verità in cui credere, Castellion contrappone un’idea di religiosità
fondata sulla rivelazione interiore dello spirito divino.
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9. ILLEGITTIMITÁ DELL’INTOLLERANZA RELIGIOSA
La rivendicazione della non perseguibilità dell’eresia viene svolta dal Castellion, oltre che mediante la ricostruzione del
concetto di tolleranza come obbedienza alla legge divina, anche attraverso la confutazione di tutte le argomentazioni a
difesa dell’intolleranza. Vengono attaccati tutti i principali fondamenti teologici e giuridici su cui poggia la
giustificazione delle persecuzioni: l’equiparazione dell’eretico al blasfemo ed all’idolatra (=colui che fa sacrifici ad altri
dei e non esclusivamente al Signore), ma soprattutto il dovere dell’autorità civile di tutelare la fede religiosa dei
cittadini. Per lui la giustificazione dell’intolleranza dell'errore in materia di fede è la conseguenza di una lettura ed
interpretazione delle fonti non corrette sul piano logico e metodologico. Infatti, venivano citati solo i passi del Vecchio
e del Nuovo Testamento che giustificavano lo spargimento di sangue, mentre venivano omessi tutti quelli che
indicavano chiaramente che la battaglia di Cristo andava combattuta con la parola spirituale e non con il ferro ed il
fuoco. I fautori dell’intolleranza trovavano nella legge mosaica l'ordine di uccisione degli idolatri, dei falsi profeti, dei
bestemmiatori ed estendevano agli eretici tale punizione come se voluta dalla volontà divina. Castellion determina la
rottura dell’equiparazione concettuale dell’eretico al falso profeta o al bestemmiatore, e l’impossibilità di applicare a
fattispecie caratterizzate da caratteri diversi la medesima pena. Non essendo prevista in nessuna parte delle Scritture
l’uccisione dell’eretico: applicare la pena di morte, citata nel Vecchio Testamento solo per casi specifici, sarebbe infatti
un’interpretazione arbitraria. Infatti, l’eretico non può essere considerato come idolatra poiché questo non crede né
esorta altri a credere in un Dio straniero, ma allo stesso Dio di Mosè, né può essere assimilato al falso profeta (=chi
interpreta male le Scritture distogliendo gli altri dal vero culto), perché chi pur errando nella comprensione delle
Scritture costruisce sulle fondamenta di Cristo si salverà grazie alla sua fede (lettera di Paolo ai Corinzi). Neppure
l’eretico può essere equiparato al blasfemo: per i medioevali l’eresia caparbia e la perseveranza nell’errore costituivano
un oltraggio all’onore di Dio e, quindi, la più grave bestemmia, mentre per Castellion la vera bestemmia non è la
convinzione ostinata di ciò che si ritiene giusto, ma l’ipocrisia e la negazione nelle azioni e nei comportamenti di ciò
che si professa a voce. La fedeltà a quanto si crede, anche se frutto di errore, può essere considerata solo come
ignoranza della verità, non come oltraggio alla divina maestà di Dio. La vera bestemmia è la menzogna dei difensori
dell’intolleranza che uccidono chi non vuole essere ipocrita e mostrare un’adesione formare ed esteriore a ciò a cui non
si crede.
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la pertinacia, cioè un vizio spirituale, essa può essere combattuta solo con armi spirituali, non con la spada corporale,
come si comprende dalla lettura del Nuovo Testamento. Nel Vecchio Testamento la spada è la parola di Dio, così come
insegna Cristo quando ordina a Pietro di rifoderare il gladio carnale e di impugnare quello spirituale, e che le uccisioni
ordinate nella Bibbia sono da intendersi come uccisioni spirituali, ossia come morte dell’anima, allontanamento dalla
salvezza in Dio. Confondere la spada corporale con la parola significa, per Castellion, confondere le due sfere, spirituale
e terrena, di competenza del “pastore” e del magistrato; cosa non possibile visto che il potere temporale non può
sconfinare in ambito spirituale, così come quello spirituale non ha competenze in quello civile. E’ Cristo che dice “ il
mio regno non è di questo mondo” stabilendo la differenza tra mondo temporale e spirituale.
All’eretico non va applicata perciò la pena di morte, ma semmai la pena “spirituale”, ossia (al massimo)
l’allontanamento dalla società.
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L’antidoto per la spirale di violenza è la tolleranza. Per Castellion la causa vera delle lotte religiose è il coinvolgimento
delle istituzioni politico-giuridiche quali “braccio secolare” della Chiesa, poiché il legame organico tra potere civile ed
autorità ecclesiastica alimenta il fanatismo religioso e, coartando la libertà di fede e di pensiero degli individui, tradisce
la missione terrena dello Stato di garantire la pace sociale tramite la tolleranza. E’ la coscienza individuale, lo spirito di
tolleranza, che demarca il confine tra sfera etica-spirituale dell’uomo e la sfera sociale-politica. La tolleranza non è
attuabile dalle istituzioni ecclesiastiche finché restano arroccate in difesa del loro esclusivismo dottrinario o alla
conquista del potere. Spetta perciò al potere civile farsi garante del rispetto della libertà di coscienza dei propri
consociati, rifiutando il loro appoggio secolare all'intolleranza delle Chiese/istituzioni ed utilizzando piuttosto la
tolleranza come strumento politico per realizzare i fini divini. La soluzione auspicata da Castellion si compone di 2
momenti che riflettono i 2 ambiti di riferimento del concetto di tolleranza i quali, pur essendo indipendenti, si
compenetrano: tolleranza come disposizione interiore, afferente all’atteggiamento mentale e comportamentale
dell'individuo rispetto all’altro ed alla collettività, e tolleranza pratica come astensione dalla costrizione delle
coscienze, relativamente al sistema sociale-politico della collettività rispetto all’individuo. Nel riconoscere la libera
formazione del percorso di ricerca spirituale all’altro, anche se erroneo, l’uomo conosce il proprio percorso di libertà
interiore, ovvero di liberazione dall'amore di sé e dalle passioni, il che rappresenta il vero significato religioso della vita
umana. Le azioni ispirate dalla fede religiosa che, però, implicano una lesione dell’uguale libertà dell’altro di vivere la
propria religiosità sono dei veri crimini civili, in quanto tali ricadenti sotto la giurisdizione penale del magistrato
secolare.
E’ interessante analizzare la diversità di posizione tra Castellion e Michel de l’Hospital il quale, nel discorso
pronunciato all’assemblea di Saint Germani en Laye, sottolineò l’esigenza di distinguere l’ambito politico da quello
religioso, indicando come interesse primario da raggiungere l’unificazione politica nazionale e definendo la tolleranza
civile come un rimedio provvisorio per salvaguardare l’unità del regno. La sua teorizzazione della tolleranza civile non
mirava all’affermazione della libertà di coscienza, ma indicava uno strumento politico per evitare disordini e conflitti e
salvaguardare l’esistenza dello Stato. Per de l’Hospital, la politica in materia religiosa comportava da un lato un
processo di deconfessionalizzazione del potere politico e giuridico, dall’altro diveniva uno strumento di legittimazione
della religione protestante per cui la coesistenza confessionale da lui teorizzata converge con le richieste dei protestanti
francesi.
Per Castellion invece non è il fine dell’unificazione politica nazionale a rendere necessaria l’indifferenza dello Stato per
le scelte religiose dei cittadini. L’unica possibilità per ristabilire la pace e l’unità nella comunità consiste nel creare le
condizioni per realizzare il significato religioso, che è a fondamento della libertà dell’uomo. Quindi, il fine cui la società
cristiana deve tendere è realizzare attraverso la libertà dell’individuo la pace religiosa, ovvero la pace tra gli uomini
senza distinzione di credo, non tra fedeli di confessioni diverse. La scissione della sfera politica da quella religiosa è
teorizzata da Castellion non ai fini della coesistenza delle due confessioni sullo stesso territorio o della legittimazione di
un altro culto a fianco della Chiesa tradizionale, ma perché permette di realizzare la vera Chiesa di Cristo, fondata sul
principio di separazione dell’attributo spirituale da quello terreno e temporale. Il fondamento della tolleranza civile e
politica è per lui la tolleranza ecclesiastica poiché il suo vero intento consiste nella rifondazione della comunità cristiana
e dell’istituzione religiosa.