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«La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce», 32, 1934.

RICORDANDO E ANNOTANDO

Di Francesco Ruffini, che il 29 marzo ha chiuso in Torino la sua vita,


renderanno degna testimonianza primamente i non pochi che, nel corso
di u n cinquantennio, gli furono discepoli negli studi del diritto canonico
e che oggi insegnano nelle università italiane. Deila sua opera di storico
basti rammentare che alle sue originali ricerche si deve il maggiore im-
pulso agli sttidi sui riformati e riformatori religiosi italiani, particolar-
mente sui sociniani e i giansenisti, e su quel che dei loro concetti e
dei loro sentimenti passò i n uomini come il Cavour e il Manzoni. I1 suo
carattere politico (alla politica attiva partecipò assai tardi e per puro do-
vere di cittadino) piega alla riverenza gli stessi avversari, che egii fron-
teggiò con fermezza incrollabile, ma verso I quali fu scevro di odio e di
livore e, quanto potè, benevolo. Ma all'amico che ha perduto l'amico
sia lecito segnare una nota personale, e dire che cosa pii? saldamente
lo univa a lui. Non già, come potrebbe credersi, in prima linea la co-
munanza degli interessi e degli indirizzi mentali, se anche talvolta
essi due s'incontrassero a lavorare l'uno a fianco all'altro, con pari
amore e fervore, nel medesimo campo d'indagini. I1 Ruf3ni era fon-
damentalmente iin giurista, e alle formazioni dei principii ed istituti
giuridici andava sempre il suo occhio nella considerazione della storia;
l'amico, invece, più filosoficamente disposto, guardava alla storia del
pensiero, della fantasia, della molteplice anima umana. Onde il primo
si rifiutava a entrar nel vivo delle controversie teologiclze e metafisi-
che; antiponeva il socinianismo, preparatore del concetto della libertà
di coscienza e della tolleranza, all'ispido luterismo e al duro calri-
nismo; n o n indugiava sulle motivazioni speculative e religiose delle
idee politiche che pur formavano la sua stessa fede; o anche volentieri
prescindeva, i n Dante e in Manzoni, da quel che era poesia ed arte, e
via dicendo: laddove l'altro dava importanza primaria a tutte queste e
simili cose. Diligente e scrupoloso, il Ruffini n o n risparmiava fatiche per
leggere i testi, poniamo, delle dispute intorno all'eucarestia o alla tri-
nità; ma, nel mezzo di quelle letture, gli accadeva di maravigliarsi, al-
quanto volterianamerite, che gli uomini della Riforma spendessero inge-
gno e spargessero sangue per così strane sottigliezze. E nondimeno con
Francesco Kuffini l'amico si sentiva intimamente congiunto assai p i ì ~
che con altri coi quali aveva comuni concetti e metodi e più agevol.

© 2007 per l’edizione digitale: CSI Biblioteca di Filosofia. Università di Roma “La Sapienza” –
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mente s'intendeva nelle parti della teoria e della storia: conferma, se


fosse necessaria, che quel che davvero unisce gli esseri umani è qualcosa
di più profondo che n o n il cosiddetto consenso nelle idee: è il consenso
nel sentirnbento verso la vita vissuta. E qui Francesco Ruffini era mae-
stro, e q u i egli era all'amico sostegno e conforto. Questi ammirava i n
l u i la semplicità di risolutezza verso ciò che è il dovere: una risolutezza
che quasi escludeva il momento della perplessità, che quasi n o n lasciava
campo allci stessa v i r t ì ~del coraggio, perchè egli non sospettava neppure
che potesse fare altrimenti di quel che per diritta via faceva. E quando
talvolta l'anima, meno semplice e più tormentata, rlell'amico provava
men facile la risoluzioile e la calma, quando la nera ombra l'occupava
e premeva, dall!'immagine di quell'onesto volto sereno le rifluiva l'at-
teso vigore. A tu~:o ciò, con malinconia e con dolcezza, ripensa ora
che è tornato dall'avere accompagnato la salma di l u i alla sua terra na-
tale, a quel campestre cimitero di Borgofranco, nel cui recinto, tra co-
loro che lo amarono e che si erano colà radunati, si vedevano le rudi
e leali sembianze dei suoi montanari, di vecchi soldati e ufficiali degli
alpini, coi quali gli piaceva conversare: egli che f u veramente, nell'alto
sinso della parola, uomo dell'antizo Piemonte.
3 r tl-iarzo.

l11 Brunner, professore di teologia nell'universiti di Zurigo e uno


dei rappresentanti della teologia delta « dialettica n, ha tenuto una
conferenza al capitolo dei pastori di Zurigo (Der Staut cils Prsblem
der K i r c h e , nel I<irche??bote, 1933, n. S), per rammentare e ragionare
quale atteggiamento l'uomo cristiano debba prendere di fronte allo Stato
i n questi tempi di violente innovazioni statali: giacchè per fortuna (egli
dice) in Isrizzera C ' & ancora tempo da riflettere su questo argomento e
c'è ancora quella libertà di parola che la Germania ha perduta. Ecco un
sommario dei suoi concetti. I1 solo Stato, la sola cittadinanza del cri-
stiano, è i l cielo, verso il quale forma irrimissibile contrasto lo Stato po-
litico, p r o d o t t ~della forza; e il primo dovere del cristiano è n o n già di
accompagnarsi ad esso, ma di mantenere la distanza d a esso: i! che
troppo diil-ienticano i protestanti tedeschi, pronti a fondere nei loro atti
e ilelle loro parole Dio e patria, Dio e Stato. Nè è il caso di distinguere
tra stato pasano e stato cristiano; giacchè « stato cristiano è tale con-
tradizione in termini da suonare, secondo l'espressione tedesca, come ein ((

holzernes Eisen p], un ferro ligneo n . Farebbe onore alla Chiesa cat-
(I

tolica ( e altrettanta vergogna alla protestante) l'avere la prima mante-


nuta quella distanza N , se poi per regno di Dio sulla terra n il cat-
<i ((

tolicesimo non intendesse una molto massiccia srandezza giuridica, assai

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simile alla statale, la Chiesa papale, la cui protesta contro lo Stato sta
sempre sotto il sospetto della concorrenza e della rivalità. I1 secondo do-
vere del cristiano è di negare la pretesa di sssolutezza dello Stato: al-
d'opposto di ciò che fa l'idealismo di scuola hegeliana che n e divinizza
,questa perversione diabolica. Lo Stato non può pretendere all'assoluta
obbedienza che si deve solo a Dio (neppure alla Cl-iiesa i n quanto istì-
.~uzioneumana, nè alla Bibbia in quanto documento umano). Lo Stato,
non è neppure l'unica autorità nella sfera della vita mondana, perchè
deve rispettare la vita della famiglia, e l'autonomia della cultura, del-
l'arte, della scienza, e anche quella dell'econornia: il suo campo è sol-
tanto l'ordinamento giuridico, ma c o n può decidere sul vero e sul falso,
sul bello e sul brutto, e via. L o Stato non dà esso il senso alla vita e
perciò n o n può risolvere in sè l'individuo, del quale deve tutelare e non
.già succhiare la vita. Gli individui si uniscono tutti non nello Stato, ma
in Dio. Certo, lo Stato è d'istituzione divina, ma non perci6 è divino:
esso è la possibilità data da Dio ai peccatori, che sono gli uomini, di
-una vita pacifica e ordinata; e perciò qualsiasi Stato, anche il più tiran-
nico, va1 meglio Jell'anarchia. E può adempiere al suo fine solo mercè
d u e necessarii presupposti: che abbia la superiore forza fisica, e che a5-
bia autorità negli animi: forza e autorità che si condizionano l'una con
l'altra, giacchè la forza fisica cade senza quel consenso e il consenso non
si sostiene senza la forza. Se, dunque, negare l'assolutezza dello Stato è
dovere del cristiano, è suo dovere altresì riconoscere lo Stato come con-
dizione necessaria di ogni critica fruttuosa che si eserciti sopra uno Stato
storicamente dato. I1 male del presente è appunto la mancanza di ri-
spetto allo Stato, che mena per diritta via al suo opposto, all'assolutjz-
zamento dello Stato, la qual cosa non è un rimedio, ma una conseguenza
di quel male. Ora, da che cosa viene la decadenza dell'autorità dello
Stato? Dall'individualismo razionalistico, che non congiunge tra loro gli
uomini; ossia cialla mancanza di religio. Non che la religione possa mai
dare C( la buona forma dello Stato D , cosa impossit)ile, perchè non solo
esso esiste a cagion del male, ma il male appartiene alla sua stessa es-
senza. L,a questione si riduce nei semplici termini di vedere, nelle con-
dizioni date, quale forma statale meglio adeinpia il fine dello Stato, che
,è il diritto; e i n quale si abbia l'equilibrio tra la partecipazione del po-
polo al governo e la possibilità del governare. I,a democrazia non deve
soltanto far delle dittature il segno delle sue proteste, ma anche il mezzo
.del suo esame di coscienza e del suo ravvedimento. E se la Chiesa non
(può propugnare od oppugnare determinati programmi politici, il suo ob-
bligo politico nel presente è di mostrare il senso religioso della crisi po-
litica che oggi si vive. Non è il caso di cercare capri espiatorii nel giu-
~daismoe nel marxismo: il materialismo e l'ateismo non sono, in verità,
invenzione degli ebrei e dei marxisti, ma uno stato d'animo che da più
decennii gode una crescente predilezione, diffuso tra i nostri borghesi
.e tra i nostri contadini. La più profonda questione politica, quella che

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riguarda la vivente unità del popolo, i identica con la questione reli-


giosa.
Sarebbe facile tradurre i termini religiosi e cristiani di questo di-
scorso i n termini filosofici, sostituendo a religione « coscienza morale » ;
al carattere (i estraneo e opposto alla religione » dello Stato come mera
rr opera della forza »,la determinazione filosofica del momento C( utilita-
rio 1) o economico dello spirito; ali'« istituzione divina dello Stato che
non è divino » il suo carattere non « morale I), ma tuttavia seriamente
(1 spirituale ; e, così via traducendo, potremmo anche noi accettare il
discorso tenuto dal dottor Brunner al capitolo dei pastori di Zurigor
come senza bisogno di alcuna traduzione accettiamo quel che esso dice
circa gli atteggiamenti dei protestanti tedeschi e della Chiesa cattolica, e
contro la divinizzazione dello Stato, che nello Kegel ebbe un grave mo-
tivo storico e qualche storica giustificazione, e nei nuovi idealisti non
ha altro motivo e altra giustificazione che l a loro anima di servitori da
livrea. Piene di verità storica, non meno che filosofica, sono queste pa-
role del t1.r Brunner: « Se per il cristiano deve valere la proposizione
che il singolo ha valore e significato solo nel tutto, ciò ha luogo solo
col presupposto che il tutto è il regno di Dio. Fra questo tutto e il sin-
golo non vi sono istanze intermedie, nè u n a Chiesa nè uno Stato. Cia-
scuno sta come singolo in immediata relazione col regno di Dio, al modo
stesso che la Chiesa non è altro che la comunità di questi singoli cre-
denti, ma non già un'autorità intermedia che determini la fede dei sin-
goli. Appartiene all'idealismo romantico l'introduzione di una gerarchia
di enti collettivi che s'interpongono tra Dio e i singoli e vuol determ-i-
nare con quelli il valore del singolo uomo. Di siffatta gerarchia di tota-
lità soprordinate all' uomo la fede cristiana non sa nulla, e non porrebbe
saperne senza perdere sè stessa 1).

Non mi pare che, nei parecchi lavori recenti su Gioacchino di Fiore,


siil stato notato che i tre regni n, che, egli pose progressivi, del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo, tornano, pur senza un richiamo espresso a
lui, in Hegel. Noi possiamo distinguere - Hegel diceva - i tre periodi
(i tre periodi della storia medievale moderna o del mondo germanico 1))
come regno del Padre, del Figlio e dello Spirito. I1 regno del Padre è la
massa sostanziale e indistinta, in condizione di mero cangiamento, come
il dominio di Saturno, che divorava i suoi figli. I1 regno del Figlio è
l'apparizione di Dio solo i n rapporto all'esistenza mondana, verso la quale
appare come straniero. I1 regno dello Spirito è la conciliazione » (Philo-
sophie der Gesclzichte, ed. Lasson, p. 766).
B. C.

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