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Gli apologisti

Gli apologisti, con la Ioro identificazione di Cristo con il Logos della filosofia antica,
posero le basi dell'umanesimo cristiano.

Tutto ciò che di grande ed universale e stato creato dalla cultura classica, l'idealismo
di Platone, la teologia spiritualistica dell'eclettismo, la morale stoica, e anche le arti
dello spirito, la grammatica, la retorica, che affinano il pensiero e danno energia e
precisione all'espressione, è accolto nella cultura cristiana non come un elemento
estraneo, ma come un bene proprio, che soltanto nell'ambito della verità cristiana
riceve il suo pieno valore.

Ma l'identificazione della ragione con Cristo sollevava un problema: se il Logos e


immediatamente noto a tutti gli uomini, come mai è stato per tanto tempo
disconosciuto? Come mai le filosofia si contraddicono tra loro? Come mai, al suo
apparire, Cristo è stato respinto e crocifisso? La risposta degli apologisti e che la
mente umana e stata fuorviata dai demoni, cioè è turbata dal peccato, e secondo che
pongono l’accento su questa perturbazione, o sulla universale presenza del Logos,
gli apologisti insistono maggiormente sulla denuncia della corruzione della cultura
pagana, (che non ha scoperto nulla, perché ogni luce viene dai barbari, cioè dai
Giudei, e Platone ha imparato da Mose), inaugurando cosi l'apologia del pugno
chiuso; come è stata definita, in cui eccellono tra i greci Taziano l'Assiro, e tra i latini
Tertulliano; o preferiscono inversamente sottolineare le consonanze e l'armonia del
cristianesimo con la cultura, come Giustino e gli Alessandrini. Ma nella esigenza
centrale concordano: la cultura ha bisogno di purificazione e di redenzione, per
essere resa capace di riconoscere in Cristo il suo Signore.

La discussione dei problemi della cultura condusse i primi scrittori cristiani ad


occuparsi largamente anche delle varie correnti interne del cristianesimo, le
cosiddette «eresie». La gnosi, in particolare, poneva in maniera molto urgente il
problema dei rapporti tra il cristianesimo e la spiritualità ellenistica. Essa era una
forma di assimilazione che implicava l'allineamento del cristianesimo sul piano del
sincretismo, e la perdita della sua originalità. La Chiesa senti il bisogno di reagire alla
gnosi, e non lo fece soltanto elaborando il triplice canone del Credo, della Scrittura e
dell'episcopato; ma intraprese anche la discussione sul piano delle idee. Giustino
scrisse un Syntagma contro tutte le eresie, purtroppo perduto. I principali scrittori
antieretici del II secolo sono Ireneo e Ippolito Romano.

Tertulliano

II più significativo tra gli antichi dottori latini della chiesa fu Tertulliano, figlio di un
centurione pagano di Cartagine (intorno all'anno 200).

Da principio egli faceva l'avvocato, poi fu guadagnato al cristianesimo, in servizio del quale,
benché rimanesse laico, dedico le sue brillanti qualità letterarie. Tertulliano è il primo
cristiano, dopo Paolo, della cui vita interiore noi possediamo dati significativi. Egli era una
personalità vigorosa sopra il comune, ricca di contradizioni, portata ai maggiori eccessi di
pensiero. Teso verso Ia più rigida severità di costumi, si staccò infine, sotto l’influenza del
montanismo, dalla chiesa cattolica, secondo lui moralmente corrotta, e formò con i suoi
seguaci una setta. Egli ha avuto una profonda influenza sulla chiesa dell'occidente come
creatore del latino ecclesiastico.
Quinto Settimio Florenzio Tertulliano nacque verso il 155, e la sua conversione risale al 195
circa: egli getto, come si esprime, la toga giuridica per prendere il pallio filosofico.
L'affermazione di Girolamo che, Tertulliano fu sacerdote, è contraddetta da una sua esplicita
dichiarazione, in cui rivendica, per sé, soltanto il sacerdozio universale: «Nonne et laici
sacerdotes sumus?”. La sua opera, del resto, per il suo contenuto, e quella di uno scrittore
laico al servizio della fede. La sua conversione al montanismo e del 213, e segna nelle sue
operette morali un crescendo di rigorismo, che lo conduce alla rottura nel 220. Mori verso il
240-250 senza essere stato mai apparentemente molestato per la sua fede.

II capolavoro di Tertulliano è l’Apologetiium (verso il 200), nobile e irruente difesa del


cristianesimo sul piano giuridico e morale. Tertulliano ironizza l'incoerenza della procedura
romana (il rescritto di Traiano), denuncia come enormi assurdità le accuse di infanticidio e
incesto che circolavano nel popolino, confuta l’accusa di ateismo, dichiarando che i cristiani
professano il monoteismo dei filosofi, a cui l’anima “naturalità Christiana» rende
testimonianza nelle sue espressioni più spontanee; afferma la lealtà dei cristiani come sudditi
dell'Impero, poiché, se rifiutano di pregare l'imperatore, pregano Dio per l'imperatore, e
assolvono ai loro doveri civili, mentre potrebbero, con una secessioni pacifica, creare guai
considerevoli; e conclude con una fiera rivendicazione della potenza del martirio: «Semen est
sanguis, christianorum»!

L'esigenza della libertà di coscienza trova la sua prima chiara espressione nella Epistola ad
Scapulam (proconsole dell'Affrica, 212). L'argomentazione di Tertulliano ricorre a due
principii: l'idea (stoica) del diritto naturale, e una coscienza, evidentemente cristiana, della
interiorità della fade: nemmeno gli dei amano i sacrifici coatti e insinceri!

Come scrittore antignostico, Tertulliano e soprattutto celebre per lo scritto: De praescriptione


haereticorum. La legge delle XII Tavole decretava che chiunque avesse goduto per due anni
del possesso incontestato di un terreno ne diventava proprietario legittimo, e ogni reclamo
doveva venire «prescritto».

Tertulliano afferma che la Chiesa e Ia sola legittima proprietaria della Bibbia, perché la
possiede fin dalle origini del cristianesimo e perché l'ha ricevuta legittimamente attraverso la
successione apostolica: perciò gli «eretici» non hanno alcun diritto di attingere nella Bibbia
armi per combattere Ia Chiesa, e la loro pretesa di discutere deve essere rifiutata
preliminarmente: cioè deve essere «prescritta». Le opera polemiche più note sono: Adversus
Marcionem e Adversus Praxean.

Tra gli scritti di natura dottrinale merita speciale menzione un gruppo di trattati che
definiscono la concezione dell'uomo: De anima, De carne Christi, De resurrectione carnis.
Tertulliano e agli antipodi dello spiritualismo della scuola di Alessandria. Mentre Origene
sogna una vita disincarnata, e aspira alla liberazione definitiva dai vincoli del corpo,
Tertulliano spera una risurrezione integrale dell'uomo, corpo e anima: poiché la carne e la
fedele compagna dell'anima, lo strumento delle sue elevazioni ascetiche, ed è la carne che
soffre nel martirio: come dunque non dovrebbe condividere la ricompensa dell'anima?

Una serie di scritti morali e ascetici tratta di alcune questioni vive nella Chiesa all'inizio del
III secolo: De cultu foeminarum, De virginibus velandis, De spectaculis, De idololatria. In
quest'ultimo scritto, composto sotto l'influenza montanistica, enumerando le professioni e i
mestieri che un cristiano non può esercitare, Tertulliano viene quasi a proporre praticamente
quella secessione cristiana dalla vita secolare, che aveva esclusa nell'Apologetico.
Lo scritto De corona militis sostiene l'incompatibilità dell'uso delle armi con la fede cristiana,
sia perché il cristianesimo rifugge dalla violenza (Gesù, insegna a morire, non ad uccidere!)
sia perché Ia milizia e continuamente associata a cerimonie del culto pagano.

Nei tre libri Ad uxorem, De exhortations castitatis, De monogamica, Tertulliano combatte con
rigore crescente l'idea delle seconde nozze, che proibite ai membri del clero dovrebbero essere
per lo meno sconsigliate anche ai laici (che sono anche sacerdoti!); la conclusione recisa
dell'ultimo trattato «Unum matrimonium novimus, sicut unum Deum!» Analoga
accentuazione rigoristica troviamo negli scritti De jejunio a De fuga in persecutione. I
cristiani consideravano legittima la fuga, per evitare la tentazione di rinnegare il Signore;
Tertulliano, che ha per lungo tempo condiviso questa prudenza, al termine della sua vita
consiglia di non sottrarsi alla persecuzione; infatti, che sai tu se rinnegherai? Confida in Dio, e
resisti.

San Giustino è considerato il più importante tra i primi Padri apologisti greci, l’esponente più
convinto di una linea di incontro e dialogo con la filosofia, vista come preparazione parziale
al Vangelo che è la rivelazione piena del Logos divino. Infatti, Giustino considerava il
cristianesimo risultato ultimo di un processo alla formazione del quale concorrevano la storia
della cultura e la ragione.

ADRI APOLOGISTI
 IL RAPPORTO DEI PADRI APOLOGISTI CON LA FILOSOFIA

La letteratura cristiana del II secolo presenta caratteristiche nuove e peculiari


rispetto a quella dell’età apostolica e sub-apostolica. Questo è dovuto
principalmente a tre fattori:

1. coloro che si convertono al cristianesimo per la maggior parte


appartengono al mondo pagano e sono di cultura e formazione greca.
2. tra di essi non pochi sono quelli provenienti dall’ambiente colto e
intellettuale.
3. i cristiani sono spesso accusati ingiustamente, circondati da false dicerie,
criticati e derisi senza essere, però, adeguatamente conosciuti

Tutto questo fa nascere all’interno della Chiesa il bisogno da un lato di iniziare a


“sistematizzare” la propria fede e la propria dottrina e, dall’altro lato, di entrare
in dialogo e di confrontarsi con la cultura greca. Nascono così le prime opere,
più ampie ed esplicative di quelle del I secolo, finalizzate a tracciare una
immagine della religione cristiana più aderente alla verità. Due sono le modalità
espressive:
1. il discorso o lo scritto difensivo, usato principalmento nel rivolgersi ai
pagani.
2. il dialogo, intessuto di polemica, nel rivolgersi ai giudei.

Il tema principalmente trattato è quello di Gesù di Nazareth, Messia, in cui si


compiono le profezie dell’AT.

Altre tematiche molto ricorrenti:

1. dimostrazione della falsità delle dicerie circa la licenziosità dei costumi


dei cristiani, l’empietà e la non-partecipazione alla vita pubblica
2. esposizione positiva del nucleo di verità della religione cristiana, del
costume e dell’etica
3. critica della credenza pagana  negli dei e nei relativi miti
4. dimostrazione di come la ricerca religiosa di alcuni pensatori greci trovi
compimento proprio nel cristianesimo
5. critica ad alcune caratteristiche della cultura greca.

Molti gli autori:

1. QUADRATO, ateniese. Indirizza una “Apologia” all’imperatore Adriano,


tra il 120 e il 130. A noi è però pervenuto un solo frammento dell’opera,
contenuto nella “Storia Ecclesiastica” di Eusebio (4,3,1-2).

1. ARISTIDE,  anch’egli ateniese, contemporaneo di Quadrato e, come lui,


scrive rivolgendosi ad Adriano. La finalità della sua opera è quella di
dimostrare che ai barbari, ai greci e ai giudei manca il giusto concetto di
Dio, posseduto invece dai cristiani. Per far ciò, tenta di usare il linguaggio
della filosofia contemporanea; non conoscendola, però, in modo
adeguato e approfondito, risulta molto evidente la non-padronanza della
materia e perciò la debolezza delle sue argomentazioni. Migliore è invece
la parte in cui espone la vita quotidiana dei cristiani. E’ il primo autore a
sostenere che solo il cristianesimo porta all’umanità la salvezza.

Anche la sua opera è giunta a noi tramite Eusebio (”Storia Ecclesiastica 4,3,3)

1. GIUSTINO, di Flavia Neapolis (Palestina), di origine pagana. Appassionato


ricercatore della verità, si accosta alle Scuole filosofiche più valide del
tempo, venendo a stretta contatto con  lo stoicismo, il peripatetismo, il
pitagorismo e il platonismo. Trova pace, però, solo dopo l’incontro con il
cristianesimo, a cui si converte, forse a Efeso, nel 130 circa. Passa poi a
Roma ove fonda una scuola mirata all’annuncio e alla difesa del
cristianesimo. Qui si attira le ire del cinico Crescente, il quale lo denuncia
come cristiano. Muore martire nel 165.

Tre sono le opere giunte fino a noi, due dirette ad Antonino Pio e al figlio Marco
Aurerlio e una all’amico ebreo Trifone.

1. l’“ Apologia”, del 150 circa, è il primo tentativo cristiano di trovare un


terreno di intesa tra cultura pagana e dottrina cristiana; la base è ciò che
di veritiero c’è nella filosofia greca e che anche i cristiani possono
accogliere con libertà. Secondo Giustino, infatti il Logos è il principio di
razionalità universale diffuso in tutto il mondo; è perciò questi che ha
ispirato ai filosofi greci la conoscenza della verità, anche se in modo
parziale e limitato ( II Apologia 13, 2 ss). Solo con l’incarnazione, però, il
Logos ha rivelato la pienezza della verità; grazie a ciò, ora è possibile
rintracciare i “semi” presenti nelle dottrine precedenti e valutare con
realtà chi è stato empio (cioè chi è vissuto prima di Cristo, ma non
secondo il Logos) e chi, invece,  non lo è stato ( I Apologia 42,4). Tipico
esempio di questo è, secondo Giustino, Socrate, il quale, messo a morte
dai suoi concittadini, può essere letto come anticipazione di Cristo ( II
Apologia 10).

Tratta anche del Battesimo e, soprattutto, dell’Eucaristia (par.65-67); non ricusa


di trattare anche quegli argomenti uratanti la sensibilità greca, quali il mistero
della croce, la morte redentiva di Gesù, Figlio di Dio e la risurrezione della
carne.

1. il “Dialogo con il giudeo Trifone”, di carattere autobiografico, nel quale


Giustino narra il suo peregrinare tra le filosofie alla ricerca della verità
(2,1-7) e il suo approdare al cristianesimo, grazie all’intervento di un
venerando saggio, il quale lo convince circa l’insufficienza della ragione
umana per giungere alla verità suprema – e dunque la necessità della
rivelazione-; tale convincimento passa attraverso un filosofare di gusto
platonico (3,1-5,6), per approdare poi alle Scritture e ai profeti (7,1-2) e,
infine, all’annuncio di Cristo, Figlio di Dio Padre (7,3).

Di Giustino si sa anche che prende posizione contro le eresie del tempo e tratta
in modo ampio alcuni temi quali la risurrezione, la sovranità universale di Dio,
l’anima, ecc., ma queste opere non sono giunte a noi.

A questo punto mi pare si possa ben affermare che, con Giustino, si ha un


evidente salto di qualità, sia dal punto di vista dell’approfondimento della
dottrina all’interno della Chiesa, sia nel dialogo-confronto-scontro con il
contesto culturale del mondo greco-romano. Con lui inizia un nuovo periodo
della storia, in cui la fede chiede di essere formulata senza escludere la
riflessione razionale su di essa, senza rinnegare la matrice intellettuale del
credente, ma anche senza rimanere imbrigliata nelle ambiguità che ogni cultura
e ogni filosofia comunque presenta.

1. TAZIANO, di origine orientale, nasce intorno al 125 in Mesopotamia o in


Siria. Per questi suoi natali, presenta un acceso nazionalismo antiellenico,
anche se all’ellenismo deve tutta la sua formazione culturale. Intorno al
160, a Roma, si converte e si fa discepolo di Giustino. Come il maestro, è
anch’egli esponente di primo piano della teologia del Logos, ma non in
subordinazione; al contrario, presenta una evidente autonomia di
rielaborazione. Due sono le opere a noi giunte:
2. il “Diatessaron”, che è una sorta di sintesi evangelica. Venne usato come
libro liturgico nella Chiesa di Siria fino al V secolo.
3. il “Discorso ai Greci”, unica sua opera giunta a noi per intero. Scritto
fortemente apologetico, si presenta come una violenta accusa alla
cultura greca. Secondo Taziano, infatti, essa non porta i tratti della
originalità, ma avrebbe le sue radici nel modo “barbaro”, in primo luogo
nell’ebraismo. Secondo questo autore, infatti, Omero –considerato il
“fondatore” della cultura greca- si sarebbe recato in Egitto e qui sarebbe
venuto a conoscenza della vicenda di Mosè, a cui avrebbe poi
ampiamente attinto; suffraga questa sua posizione con anche tutta una
serie di calcoli cronologici (“Discorso 36”). Questa identica posizione
verrà assunta poi anche da Teofilo (“Ad Autolico 3”), a sostegno della
“antiquitas” della dottrina cristiana. Anche alla cultura egiziana  e
babilonese, poi, il mondo greco sarebbe debitore, soprattutto per quanto
riguarda l’astronomia e lo studio delle scienze esatte. Ai greci Taziano
riconosce una sola paternità: quella della filosofia. Di essa fa uso per
dimostrare come, però, essa altro non sia che un insieme di empietà, di
errori e di contraddizioni ( par.2-3); vi contrappone, invece, la semplicità
della dottrina cristiana del Logos. Questo Logos, come per Atenagora e
Teofilo, è eterno, immanente in Dio, sua sapienza e ragione impersonali;
in vista della creazione viene generato come entità personale, al fine di
provvedere alla creazione e al .governo del mondo (par.5). Egli  -il Logos-
è creatore non solo della materia e dell’uomo, ma anche degli angeli; a
questo punto, nel par. 7, Taziano parla della caduta dell’uomo, che
divenne mortale, e della schiera degli angeli trasgressori, divenuti
demoni. Nel par. 6, invece, polemizzando con gli stoici, tratta il tema
della risurrezione.
Globalmente, si può dire che con Taziano si ha un regresso in quanto a dialogo
con la cultura greca, a causa da un lato del suo eccessivo e troppo pungente
spirito polemico e, dall’altro, per la sua non adeguata conoscenza della stessa
filosofia (non di rado, infatti, si riferisce a miti e tradizioni antifilosofiche, più
che al pensiero puro dei filosofi). Anche la sua teologia non è eccellente, perché
lacunosa e frammentaria. Poco approfondisce la figura di Cristo e la sua opera.
Spicccato è invece il suo estremismo, al punto tale che nel 172 circa esce dalla
Chiesa e fonda la setta degli “eucratiti”.

1. ATENAGORA, filosofo di Atene, intorno all’anno 177 invia a Marco


Aurelio e al figlio Commodo una supplica (“Supplica di Atenagora filosofo
cristiano di Atene, a proposito dei cristiani”) nella quale respinge le
calunnie lanciate contro la cristianità, chiede parità con la filosofia
pagana e auspica tolleranza. In questo autore si nota un elevato tocco
nei riguardi della filosofia, là dove scorge in essa la tendenza al
monoteismo; espone anche la dottrina cristiana, toccando in particolare i
temi di Dio Uno e Trino, la morale (contro le accuse di incesto e di
pedofagia) e l’angeologia (10,5). Con Atenagora l’argomentazione
filosofica ha certamente guadagnato di qualità e quella teologica di
profondità. Rispetto a Giustino, ad esempio, la trattazione del tema di
Dio unico, creatore e reggitore del mondo è più analitica (8,1-9,3), c’è un
continuo riferirsi a testi poetici e a concetti filosofici greci (par. 5-7) e una
tendenza a continuamente dimostrare come la conoscenza greca sia
vera, ma parziale, mentre la completezza –e dunque la verità- sia solo
nella rivelazione cristiana (7,2). Grande attenzione è riservata anche a
Cristo, Logos divino generato dal Padre per operare la creazione del
mondo, in contrasto con la mitologia greca (il Verbo, o ragione, era in
Dio, mente eterna, fin dal principio; la sua generazione è in vista della
creazione; lo stesso si dice dello Spirito Santo: 10,1-5).

1. TEOFILO, colto ellenista, capo della comunità di Antiochia, dopo la sua


conversione al cristianesimo avvenuta intorno al 180 a seguito della
lettura delle Scritture (1,14), scrive, in attraente greco, “Tre libri ad
Autolico”, opera indirizzata all’amico pagano nella quale vuole
dimostrargli come l’AT è superiore per priorità, contenuto filosofico e
religioso al pensiero greco (I libro). Espone anche la dottrina cristiana, in
particolare per quanto riguarda il tema della creazione (II libro; il
Vescovo commenta Gen.1, in contrapposizione ai miti pagani e alle
inesattezze dei filosofi: 2,12; l’esegesi è, globalmente, di tipo letterale,
anche se non mancano tratti allegorizzanti, come i primi tre giorni della
creazione a simbolo della Trinità: 2,15). Al riguardo mi pare importante
rilevare come Teofilo sia il primo autore a usare il termine “trias” ,
intendendo con esso  Dio-Logos-Sophia; in particolare, per quanto
riguarda il Logos, Teofilo scandisce, usando una terminologia di origine
stoica, il rapporto col Padre in due tempi: il primo è immanente ed è
quello antecedente la creazione, il secondo è la sua profusione, in vista
della creazione. Nel III libro, infine, con una serie di calcoli, Teofilo
dimostra come Mosè è anteriore ai greci, rappresentati dal capostipite
Omero. Viene qui toccato un tema di fondamentale importanza, cioè
quello della “antiquitas”. Per la mentalita greca, infatti, ha valore solo ciò
che è antico; il nuovo è sospettabile proprio per il suo stesso essere
“novità”, se essa non si fonda su qualcosa che la storia ha già vagliato e
messo alla prova. Dunque per Teofilo provare che Mosè è anteriore a
Omero significa fornire al paganesimo una ulteriore prova della
eccellenza del cristianesimo non solo sulle altre religioni, ma persino su
tutta l’intera filosofia greca.

 LA RIFLESSIONE DEI PADRI APOLOGISTI SUL DIO TRINITARIO E


CREATORE

Quello della Trinità è un dogma che, nella Chiesa, è stato affermato con
chiarezza  solo nel  381, nel Concilio di Costantinopoli.. Il tempo intercorrente
tra l’incarnazione e la proclamazione solenne del dogma può essere definito
come quello della presa di coscienza intellettuale di ciò che, da subito, è stato
intuito.

Il concetto di pluralità delle persone divine è infatti ben radicato nella tradizione
apostolica e nella fede popolare: lo prova il NT, la liturgia e la catechesi. Le
formule con cui viene espressa sono praticamente fisse: le ritroviamo infatti
senza sostanziali differenze in IGNAZIO di Antiochia (Ad E. 18,20; Ad Tral. 9;
A Smirn. 1,1s) , nella DIDACHE’ (7,1-3), nel “Martirio di Policarpo (14,3) e nel
rito del Battesimo ( rif. a Mt 28,19). Il II secolo si pone come fase pre-riflessiva
e pre-teologica della fede cristiana rispetto al dogma della Trinità. Le citazioni
della “norma di fede” sono sempre più specifiche e si assiste al passaggio dal
cosiddetto “schema diadico” (Padre- Gesù Cristo Signore) allo “schema
triadico” (Padre creatore- Figlio Gesù Cristo- Spirito Santo). Una testimonianza
per tutte è quella di GIUSTINO (Apol. 21,1; 31,7; 61,10-13; 65; Dial. 63,1;
126,1).

Dunque più che di Trinità, mi pare più corretto parlare di “triade divina” per
quanto riguarda il II secolo.
Il primo problema che i Padri apostolici all’inizio e gli apologisti
successivamente si trovano a dover affrontare è quello della definizione di un
solo Dio creatore. Tale fede poggia sulla idea monoteista fondata nella religione
di Israele e viene a essere la linea di separazione fra la Chiesa e il paganesimo.

Per ERMA Dio è creatore, stabilisce le cose e le porta dalla non-esistenza


all’esistenza; per CLEMENTE Dio è padre e creatore del cosmo intero; per
BARNABA e la DIDACHE’ Dio è il nostro fattore. Agli occhi dei Padri
apostolici, dunque, Dio si presenta come Onnipotente ( controllore e sovrano
sulla realtà, tutto pervade) e come Padre (è creatore e autore di tutte le cose).
Tali idee derivano sia dalla Bibbia sia dal tardo giudaismo; rare sono le eco della
filosofia contemporanea (qualche citazione di stampo tardo-stoica in Clemente).

L’infiltrazione del pensiero laico si fa molto più evidente nei Padri apologisti.

In ARISTIDE troviamo, ad esempio, la dimostrazione schematica dell’esistenza


di Dio basata sul ragionamento aristotelico del movimento, unitamente a una
forte critica del panteismo stoico (Apologia 1;4).

In GIUSTINO l’unità, la trascendenza e il ruolo di Dio creatore sono affermati


con un linguaggio stoico-platonizzante (Apologia 15,3); il racconto della Genesi
viene affiancato , in quanto a contenuto, al “Timeo“ di Platone (Apologia 59),
mentre da quest’ultimo si dissocia nel considerare non eterna la materia.
Giustino, infatti, sostiene che è Dio che crea e sostiene l’universo tramite il
Logos (Apologia 59; 64).

Che Dio ha creato le cose tramite il Verbo è affermato anche da Taziano


(Discorso ai Greci 5,1-3) e da Atenagora (Supplica 4,2). Anche Teofilo sostiene
con forza che Dio ha creato tutto ciò che ha voluto e quando ha voluto (Ad
Autolico 2,4).

Nel pensiero dei Padri apologisti Dio si presenta perciò come trascendente,
senza principio perché increato, immutabile perché immortale, Padre perché
creatore, onnipotente perché tutto sostiene, altissimo perché sopra tutte le cose.

Che Dio è unico, Padre e creatore è dunque sfondo e premessa indiscutibile. Il


problema sta nell’integrare, dal punto di vista intellettuale, questi dati (eredità,
come già detto, del giudaismo) con quelli più recenti della rivelazione
specificamente cristiana: 1) Dio si è fatto conoscere in Gesù, Messia, Risorto dai
morti; attraverso di Lui ha offerto la salvezza a tutti gli uomini. 2) ha effuso lo
Spirito Santo sulla Chiesa.

I Padri apostolici si presentano più come testimoni della fede tradizionale che
interpreti che cercano di comprenderla (si potrebbe quasi parlare di uno sviluppo
inconscio della teologia!).
Secondo CLEMENTE ROMANO Cristo è preesistente rispetto alla
incarnazione, ha parlato per mezzo dello Spirito Santo nei Salmi, ed è la via,
mentre lo Spirito Santo sarebbe l’ispiratore dei profeti di Dio, anche quelli
dell’AT. Non tocca, però, il problema della relazione reciproca tra i Tre.

Nel II CLEMENTE troviamo che Gesù Cristo è Dio, Figlio del Padre, che è
prima di tutto spirito (per questo ci ha salvati) che poi si è fatto carne (così ci ha
chiamati).

BARNABA afferma che lo Spirito è l’ispiratore dei profeti e che la carne di


Cristo è un vaso dello Spirito Santo, mentre Cristo sarebbe preesistente.

Secondo IGNAZIO lo Spirito Santo è il principio del concepimento verginale di


Cristo, il mezzo attraverso il quale Cristo stabilisce e conferma i pastori della
Chiesa e il dono mandato dal Salvatore. Cristo, invece, sarebbe il pensiero del
Padre e la sua parola, è Dio incarnato, unito in spirito al Padre, preesistente e
ingenerato; la sua figliolanza divina inizia con l’incarnazione.

ERMA ,infine, tanto preoccupato della penitenza e della sovranità di Dio, uno e
creatore, parla solo due volte della persona di Gesù: prima dell’incarnazione, il
Figlio coincideva con lo Spirito Santo, altro dal Padre; dopo l’incarnazione, al
Padre si è affiancato il Figlio diletto (lo Spirito Santo) e il servitore (Gesù);
Erma presenta anche l’angelo Michele, superiore agli altri, figlio di Dio.

Riassumendo, mi pare si possa schematizzare il pensiero dei Padri apostolici in


cinque punti:

1. Cristo è preesistente
2. Cristo ha un ruolo nella creazione e nella redenzione (in riferimento
anche al ruolo della sapienza nel tardo giudaismo)
3. in Cristo è presente un elemento divino: è spirito preesistente, una
specie di angelo supremo (in riferimento alla angeologia giudaica)
4. non c’è nessun accenno alla dottrina della Trinità in senso stretto
5. la formula triadica della Chiesa ha lasciato però ovunque la sua impronta.

I primi che tentano una strutturazione intellettualmente soddisfacente del


rapporto tra Cristo e il Padre sono i Padri apologisti.

Due le loro fondamentali affermazioni:

1. Cristo, preesistente, è il pensiero o la mente del Padre


2. Cristo, manifestato nella creazione e nella redenzione, è l’espressione di
questo pensiero.

Tali immagini non sono estranee né al tardo giudaismo né allo stoicismo.


Per GIUSTINO la ragione è ciò che unisce gli uomini a Dio e dona la possibilità
di conoscerlo. Prima della venuta di Cristo, gli uomini erano in possesso solo dei
semi del Logos, perciò erano in grado di arrivare solo alla conoscenza di aspetti
frammentari della verità (I Apol. 32,8; 2 Apol. 8,1; 10;; 13,3). In Gesù Cristo
il :Logos, intelligenza e pensiero razionale del Padre, distinto da lui per nome e
per numero, si incarna. Le prove sono contenute nello stesso AT: 1) Abramo alle
querce di Mamre; 2) Gen 1,23; 3) Sapienza, come ad esempio in Prov.8,22s. Le
funzioni del Logos sono fondamentalmente tre:

1. l’incarnazione
2. è agente del Padre nella creazione e nell’ordinamento dell’universo (I
Apol.59; 64,5; II Apol. 6,3)
3. è rivelazione della verità a tutti gli uomini (I Apol. 5,4; 46; 63,10; II Apol.
10,1ss).

Circa la sua natura, Giustino afferma che:

1. è progenie di Dio (I Apol. 21,1; Dial. 62,4)


2. è figlio di Dio (Dial. 125,l)
3. è figlio unico (Dial. 105,1)

Mi pare importante sottolineare che l’autore non si riferisce all’origine ultima


del Logos, ma alla sua emanazione ai fini della creazione e della rivelazione.
Non vi è separazione tra Padre e Figlio; la distinzione numerica del Padre e del
Figlio non comporta infatti alcuna divisione dell’essenza.

Per  TAZIANO il Logos è esistente nel  Padre in quanto sua razionalità,


generata dal Padre stesso per un atto della sua volontà (Discorso 5,1). In perfetta
armonia con Giustino, anche Taziano ritiene che vi è unità essenziale tra il Padre
e il Logos; rispetto al suo maestro, però, sottolinea con maggior vigore il
contrasto esistente tra le due condizioni successive del Logos: prima della
creazione Dio è solo, perché il Logos è immanente in Lui come sua potenzialità
per creare le cose, mentre con la creazione il Logos esce dal Padre come sua
“opera primordiale”, dopo di che si fa strumento del Padre per creare e
governare l’universo (Disc. 6,7,1ss).

TEOFILO di Antiochia non segue linee molto diverse. Fa però uso di termini
tecnici di matrice stoica. Come Giustino, anch’egli ritiene che le teofanie
dell’AT siano apparizioni del Logos.

ATENAGORA presenta una formulazione più completa..  Per questo autore:

1. Dio, non originato, invisibile, crea e abbellisce per mezzo del Verbo
l’universo che realmente governa.
2. il Verbo è Figlio di Dio, Parola di Dio nell’idea e nella realizzazione. Egli è
progenie del Padre ma che mai viene all’essere in modo reale, perché
Dio, che fin dal principio è intelligenza eterna, ha in sé il suo Verbo
eternamente razionale. Il Verbo, dunque, esce fuori nel mondo della
materia informe come idea archetipa e forza creatrice (si può trovare
una assonanza con Prov. 8,22).

Riassumendo, mi pare si possa perciò dire che, nel pensiero dei Padri apologisti:

1. “Dio Padre” non è la prima persona della SS. Trinità, bensì l’unica
divinità, autore di tutto ciò che esiste.
2. il Logos diventa Figlio non al momento della sua origine nell’essere della
divinità, ma al momento della sua emanazione ai fini della creazione,
della rivelazione  e della redenzione. Il fine però non è quello di
subordinare il Logos al Padre, ma di difendere il monoteismo. Il Logos è
uno nell’essenza col Padre, inseparabile da Lui nel suo essere
fondamentale, sia prima sia dopo la sua generazione.

Per quanto riguarda lo Spirito Santo i Padri apologisti ne hanno parlato molto
poco, sebbene come è già stato detto, lo schema della fede fosse triadico.

GIUSTINO coordina le tre persone, citando le formule prese dal Battesimo o


dall’Eucaristia, ma resta molto confusi il rapporto tra le funzioni del Logos e
quelle dello Spirito Santo. Non manca di gettare ponti verso la cultura greca,
tentando di trarre dagli scritti di Platone la testimonianza dell’esistenza dello
Spirito Santo come terzo essere divino, distinto (I Apol.60,6ss).

Secondo TAZIANO, invece, lo Spirito Santo non è in tutti, ma discende solo su


quelli che vivono in modo retto, si unisce alle loro anime e annuncia il futuro
nascosto. (Discorso 13,3).

Per ATENAGORA lo Spirito Santo è l’ispiratore dei profeti (Suppl.7,2;  9,1), è


emanazione di Dio, da Lui fluisce e a Lui ritorna (Suppl.10,3).

TEOFILO, infine, fa coincidere lo Spirito Santo con la Sapienza ed entra in


gioco insieme al Logos nella creazione (si può confrontare con il salmo 33,6).

Riasssumendo, si può affermare che il compito e la condizione dello Spirito


Santo è per tutti i Padri apologisti ancora fondamentalmente vago. Certamente
per tutti ha, come funzione principale, quella di ispirare i profeti (cfr.Is.11,2).
Con la venuta di Cristo la profezia cessa nel popolo ebraico per passare in quello
cristiano.. Lo Spirito Santo, dunque, è la fonte di illuminazione che fa del
cristianesimo la “filosofia” suprema. Inoltre tutti i Padri riconoscono che lo
Spirito Santo è Dio, che condivide con il Verbo la natura divina e che all’interno
della triade non vi è subordinazione.
Parola e Spirito si sono manifestati nel tempo e nello spazio, ma,
contemporaneamente, sono rimasti all’interno del Padre, senza spezzare la loro
sostanziale unità con Lui.

Personalmente mi pare che in questa fase della storia della teologia rispetto al
dogma della Trinità vi sia una ormai chiara percezione di essa, che in Dio c’è,
contemporaneamente, unità e molteplicità, ma ancora siano rudimentali sia le
riflessioni sia gli strumenti intellettuali usati per l’indagine;  il I e il II secolo
possono, a mio avviso, essere definiti come il tempo della gestazione del grande
dogma della Trinità.

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Ma lo scrittore che diede più ampio sviluppo all'apologetica e che si diffuse più
dettagliatamente nell'esposizione della dottrina cristiana, è senza dubbio
Giustino. Tra il 152 e il 154, indirizzata anche questa ad Antonino Pio,
comparve la sua Apologia, seguita da una seconda o Appendice, come si è
convenuto oggi di chiamarla. Contro i giudei, tra il 155 e il 160, scrisse poi il
Dialogo con l'ebreo Trifone. Di Giustino è celebre soprattutto la teoria del λόγος
σπερματικός, secondo la quale la rivelazione divina, comparsa nella sua
pienezza con l'incarnazione del Verbo, fu sempre direttamente diffusa in mezzo
agli uomini mediante la ragione, che per sé stessa è sufficiente all'intuizione
della verità. In tal modo Giustino ammette che la filosofia pagana, formante la
base della cultura del suo tempo, abbia un valore, e avvia l'apologetica verso una
tendenza conciliativa, che renderà accessibile il cristianesimo anche alle classi
colte. Importanti sono anche i tentativi di Giustino di determinare i rapporti tra
Padre e Figlio, mediante la formula "luce da luce", che sarà poi accolta nel
simbolo niceno. Fu discepolo di Giustino ed emerse per l'originalità del pensiero
non estraneo a influenze gnostiche Taziano, che verso il 155 scrisse un Discorso
ai Greci molto apprezzato nell'antichità, e quindi conservatoci, benché l'autore
abbia nell'ultimo periodo della sua vita esulato dalla tradizione ortodossa per
farsi encratita: il valore del Discorso consisteva, per gli antichi, nella
dimostrazione cronologica dell'anteriorità dei racconti mosaici rispetto a tutte le
storie profane. Nonostante l'intonazione fieramente ostile al paganesimo, e ai
filosofi "dalla voce di corvi", Taziano risente molto dell'intellettualismo
filosofico dei suoi avversarî. Porta un contributo notevole alla determinazione
dei rapporti tra Padre e Figlio, e alla teoria antropologica, riconoscente
nell'uomo cristiano il tempio dello Spirito divino.

Atenagora d'Atene, autore anche di un trattato sulla resurrezione, indirizzò tra il


177 e il 180 una Supplica per i Cristiani a Marco Aurelio e Lucio Commodo; è
uno spirito equilibrato e sereno, che porta nella polemica una tendenza
conciliativa, mantenendosi tipicamente riservato nell'esposizione delle dottrine e
degli usi cristiani. Teofilo, vescovo di Antiochia intorno al 169, è autore di 3
libri indirizzati ad Autolicum; avrebbe un posto di secondaria importanza, se la
sua formula sul λόγος ἐξδιάϑητος, o in potenza, e sul λόγος προϕορικός, o
pronunziato, non segnasse un progresso nella determinazione dei rapporti tra
Padre e Figlio. Tra gli scritti apologetici del sec. II possiamo anche includere il
Protreptico di Clemente Alessandrino, benché esso faccia parte di una trilogia
(Protreptico, Pedagogo, Stromati) il cui fine complessivo non è solamente
apologetico.

Giungiamo così agli albori del sec. III e ci incontriamo subito con la grande
figura di Tertulliano, che apre nuove vie all'apologetica. Dopo avere scritto due
libri Ad nationes, in cui ritorce sui pagani le accuse d'immoralità rivolte ai
cristiani, nell'Apologetico, composto verso il 197, il grande cartaginese impernia
sopra un motivo giuridico la difesa del cristianesimo e sferra un attacco vigoroso
contro le autorità persecutrici, scoprendo l'illogicità della loro procedura: se i
Cristiani sono colpevoli, perché non vengono sottoposti a regolare processo? se
innocenti, perché sono condannati? Infine nel De testimonio animae fa appello
alla diretta testimonianza delle facoltà innate dell'anima umana, per dimostrare
le verità divine. L'Adversus Iudaeos, dialogo tra un cristiano e un ebreo, si può
annoverare fra le opere di apologetica antigiudaica. Un gioiello letterario di
mirabile eleganza, che ha potuto conquistare al cristianesimo un numero di
proseliti non minore di quel che abbiano fatto altri scritti di dottrina più
profonda, è il dialogo Ottavio di Minucio Felice, sulla cui priorità o dipendenza
da Tertulliano si discusse e discute moltissimo; a nostro avviso, esso dipende
dall'Apologetico e fu scritto durante il periodo di tranquillità intercorso tra la
persecuzione di Caracalla del 213 e quella di Decio del 250. Nello stile l'autore
imita i dialoghi di Cicerone. Per il contenuto è ammirevole la semplicità e il
candore della descrizione delle virtù cristiane.

Tra gli scrittori di apologie del sec. III alcuni annoverano anche Origene, benché
l'opera Contro Celso, scritta tra il 244 e il 249, difenda il cristianesimo dal punto
di vista puramente dottrinale e non contenga quindi tutti i motivi fondamentali
dell'apologia. Arnobio di Sicca, scrittore dell'epoca dioclezianea, convertitosi in
tarda età, scrisse per dimostrare la buona fede della sua conversione una
voluminosa opera, Adversus nationes, dalla quale per altro appare evidente che
la forma mentis dello scrittore è rimasta quella del retore pagano, e nella quale si
cercherebbe invano, al di fuori dalle polemiche contro la mitologia, una chiara
idea delle credenze cristiane. Ben più importante è Lattanzio. Nelle Institutiones
divinae egli tenta felicemente una trasposizione del concetto della grandezza
giuridica delle istituzioni romane alle divine leggi del cristianesimo. L'autore
appare dominato dall'idea della magnifica sovranità romana, e chiude così, alla
vigilia della conciliazione tra l'impero e il cristianesimo, la serie degli apologeti
antichi. Non è probabile, infatti, che sia vissuto al tempo di Giuliano l'Apostata
(benché così abbiano pensato critici valorosi) Commodiano, l'autore del Carmen
apologeticum; né possiamo considerare qui come semplici apologeti gli scrittori
che combatterono le eresie trinitarie e cristologiche, i quali contribuirono
positivamente allo sviluppo teologico, e nemmeno un S. Agostino, il cui De
civitate Dei, opera di apologia contro le accuse che i pagani superstiti movevano
al cristianesimo (di aver causato la decadenza dell'impero, ecc.) ha anche, per
tanti riguardi, il carattere di un contributo positivo alla teologia cristiana e si
salda ben strettamente con le varie parti del sistema agostiniano. Può invece
essere posto in questa categoria il Διαδυρμὸς τῶν ἔξω ϕιλοσόϕων (Irrisio
philosophorum) di Ermia, sulla cui età (secondo alcuni, sec. II-III; secondo altri,
sec. V-VI) come sulla relazione di priorità o di dipendenza con la Cohortatio
dello pseudo-Giustino si discute tuttora.

Siamo così in grado di seguire, attraverso questa letteratura apologetica antica, i


varî stadî di sviluppo della Chiesa; gli scritti degli apologisti l'accompagnano
attraverso i difficili periodi delle persecuzioni, la difendono dai nemici esterni e
interni: il volgo diffidente, le autorità persecutrici, gli eretici, contro i quali era
necessario costruire un saldo edificio teologico. Trovandosi necessariamente a
diretto contatto con l'ambiente degli avversarî, gli apologeti ne risentirono essi
stessi l'influsso, e furono costretti ad atteggiamenti conciliativi in cui qualche
volta il cristianesimo assunse forse anche troppo il carattere di una filosofia, e
perdette qualche cosa dell'ardore mistico delle origini. Pur tuttavia essi
costituirono una delle più importanti correnti del pensiero cristiano, e
contribuirono grandemente alla conciliazione dei due mondi avversi, che
culminò nel riconoscimento ufficiale della Chiesa.

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