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Gli apologisti, con la Ioro identificazione di Cristo con il Logos della filosofia antica,
posero le basi dell'umanesimo cristiano.
Tutto ciò che di grande ed universale e stato creato dalla cultura classica, l'idealismo
di Platone, la teologia spiritualistica dell'eclettismo, la morale stoica, e anche le arti
dello spirito, la grammatica, la retorica, che affinano il pensiero e danno energia e
precisione all'espressione, è accolto nella cultura cristiana non come un elemento
estraneo, ma come un bene proprio, che soltanto nell'ambito della verità cristiana
riceve il suo pieno valore.
Tertulliano
II più significativo tra gli antichi dottori latini della chiesa fu Tertulliano, figlio di un
centurione pagano di Cartagine (intorno all'anno 200).
Da principio egli faceva l'avvocato, poi fu guadagnato al cristianesimo, in servizio del quale,
benché rimanesse laico, dedico le sue brillanti qualità letterarie. Tertulliano è il primo
cristiano, dopo Paolo, della cui vita interiore noi possediamo dati significativi. Egli era una
personalità vigorosa sopra il comune, ricca di contradizioni, portata ai maggiori eccessi di
pensiero. Teso verso Ia più rigida severità di costumi, si staccò infine, sotto l’influenza del
montanismo, dalla chiesa cattolica, secondo lui moralmente corrotta, e formò con i suoi
seguaci una setta. Egli ha avuto una profonda influenza sulla chiesa dell'occidente come
creatore del latino ecclesiastico.
Quinto Settimio Florenzio Tertulliano nacque verso il 155, e la sua conversione risale al 195
circa: egli getto, come si esprime, la toga giuridica per prendere il pallio filosofico.
L'affermazione di Girolamo che, Tertulliano fu sacerdote, è contraddetta da una sua esplicita
dichiarazione, in cui rivendica, per sé, soltanto il sacerdozio universale: «Nonne et laici
sacerdotes sumus?”. La sua opera, del resto, per il suo contenuto, e quella di uno scrittore
laico al servizio della fede. La sua conversione al montanismo e del 213, e segna nelle sue
operette morali un crescendo di rigorismo, che lo conduce alla rottura nel 220. Mori verso il
240-250 senza essere stato mai apparentemente molestato per la sua fede.
L'esigenza della libertà di coscienza trova la sua prima chiara espressione nella Epistola ad
Scapulam (proconsole dell'Affrica, 212). L'argomentazione di Tertulliano ricorre a due
principii: l'idea (stoica) del diritto naturale, e una coscienza, evidentemente cristiana, della
interiorità della fade: nemmeno gli dei amano i sacrifici coatti e insinceri!
Tertulliano afferma che la Chiesa e Ia sola legittima proprietaria della Bibbia, perché la
possiede fin dalle origini del cristianesimo e perché l'ha ricevuta legittimamente attraverso la
successione apostolica: perciò gli «eretici» non hanno alcun diritto di attingere nella Bibbia
armi per combattere Ia Chiesa, e la loro pretesa di discutere deve essere rifiutata
preliminarmente: cioè deve essere «prescritta». Le opera polemiche più note sono: Adversus
Marcionem e Adversus Praxean.
Tra gli scritti di natura dottrinale merita speciale menzione un gruppo di trattati che
definiscono la concezione dell'uomo: De anima, De carne Christi, De resurrectione carnis.
Tertulliano e agli antipodi dello spiritualismo della scuola di Alessandria. Mentre Origene
sogna una vita disincarnata, e aspira alla liberazione definitiva dai vincoli del corpo,
Tertulliano spera una risurrezione integrale dell'uomo, corpo e anima: poiché la carne e la
fedele compagna dell'anima, lo strumento delle sue elevazioni ascetiche, ed è la carne che
soffre nel martirio: come dunque non dovrebbe condividere la ricompensa dell'anima?
Una serie di scritti morali e ascetici tratta di alcune questioni vive nella Chiesa all'inizio del
III secolo: De cultu foeminarum, De virginibus velandis, De spectaculis, De idololatria. In
quest'ultimo scritto, composto sotto l'influenza montanistica, enumerando le professioni e i
mestieri che un cristiano non può esercitare, Tertulliano viene quasi a proporre praticamente
quella secessione cristiana dalla vita secolare, che aveva esclusa nell'Apologetico.
Lo scritto De corona militis sostiene l'incompatibilità dell'uso delle armi con la fede cristiana,
sia perché il cristianesimo rifugge dalla violenza (Gesù, insegna a morire, non ad uccidere!)
sia perché Ia milizia e continuamente associata a cerimonie del culto pagano.
Nei tre libri Ad uxorem, De exhortations castitatis, De monogamica, Tertulliano combatte con
rigore crescente l'idea delle seconde nozze, che proibite ai membri del clero dovrebbero essere
per lo meno sconsigliate anche ai laici (che sono anche sacerdoti!); la conclusione recisa
dell'ultimo trattato «Unum matrimonium novimus, sicut unum Deum!» Analoga
accentuazione rigoristica troviamo negli scritti De jejunio a De fuga in persecutione. I
cristiani consideravano legittima la fuga, per evitare la tentazione di rinnegare il Signore;
Tertulliano, che ha per lungo tempo condiviso questa prudenza, al termine della sua vita
consiglia di non sottrarsi alla persecuzione; infatti, che sai tu se rinnegherai? Confida in Dio, e
resisti.
San Giustino è considerato il più importante tra i primi Padri apologisti greci, l’esponente più
convinto di una linea di incontro e dialogo con la filosofia, vista come preparazione parziale
al Vangelo che è la rivelazione piena del Logos divino. Infatti, Giustino considerava il
cristianesimo risultato ultimo di un processo alla formazione del quale concorrevano la storia
della cultura e la ragione.
ADRI APOLOGISTI
IL RAPPORTO DEI PADRI APOLOGISTI CON LA FILOSOFIA
Anche la sua opera è giunta a noi tramite Eusebio (”Storia Ecclesiastica 4,3,3)
Tre sono le opere giunte fino a noi, due dirette ad Antonino Pio e al figlio Marco
Aurerlio e una all’amico ebreo Trifone.
Di Giustino si sa anche che prende posizione contro le eresie del tempo e tratta
in modo ampio alcuni temi quali la risurrezione, la sovranità universale di Dio,
l’anima, ecc., ma queste opere non sono giunte a noi.
Quello della Trinità è un dogma che, nella Chiesa, è stato affermato con
chiarezza solo nel 381, nel Concilio di Costantinopoli.. Il tempo intercorrente
tra l’incarnazione e la proclamazione solenne del dogma può essere definito
come quello della presa di coscienza intellettuale di ciò che, da subito, è stato
intuito.
Il concetto di pluralità delle persone divine è infatti ben radicato nella tradizione
apostolica e nella fede popolare: lo prova il NT, la liturgia e la catechesi. Le
formule con cui viene espressa sono praticamente fisse: le ritroviamo infatti
senza sostanziali differenze in IGNAZIO di Antiochia (Ad E. 18,20; Ad Tral. 9;
A Smirn. 1,1s) , nella DIDACHE’ (7,1-3), nel “Martirio di Policarpo (14,3) e nel
rito del Battesimo ( rif. a Mt 28,19). Il II secolo si pone come fase pre-riflessiva
e pre-teologica della fede cristiana rispetto al dogma della Trinità. Le citazioni
della “norma di fede” sono sempre più specifiche e si assiste al passaggio dal
cosiddetto “schema diadico” (Padre- Gesù Cristo Signore) allo “schema
triadico” (Padre creatore- Figlio Gesù Cristo- Spirito Santo). Una testimonianza
per tutte è quella di GIUSTINO (Apol. 21,1; 31,7; 61,10-13; 65; Dial. 63,1;
126,1).
Dunque più che di Trinità, mi pare più corretto parlare di “triade divina” per
quanto riguarda il II secolo.
Il primo problema che i Padri apostolici all’inizio e gli apologisti
successivamente si trovano a dover affrontare è quello della definizione di un
solo Dio creatore. Tale fede poggia sulla idea monoteista fondata nella religione
di Israele e viene a essere la linea di separazione fra la Chiesa e il paganesimo.
L’infiltrazione del pensiero laico si fa molto più evidente nei Padri apologisti.
Nel pensiero dei Padri apologisti Dio si presenta perciò come trascendente,
senza principio perché increato, immutabile perché immortale, Padre perché
creatore, onnipotente perché tutto sostiene, altissimo perché sopra tutte le cose.
I Padri apostolici si presentano più come testimoni della fede tradizionale che
interpreti che cercano di comprenderla (si potrebbe quasi parlare di uno sviluppo
inconscio della teologia!).
Secondo CLEMENTE ROMANO Cristo è preesistente rispetto alla
incarnazione, ha parlato per mezzo dello Spirito Santo nei Salmi, ed è la via,
mentre lo Spirito Santo sarebbe l’ispiratore dei profeti di Dio, anche quelli
dell’AT. Non tocca, però, il problema della relazione reciproca tra i Tre.
Nel II CLEMENTE troviamo che Gesù Cristo è Dio, Figlio del Padre, che è
prima di tutto spirito (per questo ci ha salvati) che poi si è fatto carne (così ci ha
chiamati).
ERMA ,infine, tanto preoccupato della penitenza e della sovranità di Dio, uno e
creatore, parla solo due volte della persona di Gesù: prima dell’incarnazione, il
Figlio coincideva con lo Spirito Santo, altro dal Padre; dopo l’incarnazione, al
Padre si è affiancato il Figlio diletto (lo Spirito Santo) e il servitore (Gesù);
Erma presenta anche l’angelo Michele, superiore agli altri, figlio di Dio.
1. Cristo è preesistente
2. Cristo ha un ruolo nella creazione e nella redenzione (in riferimento
anche al ruolo della sapienza nel tardo giudaismo)
3. in Cristo è presente un elemento divino: è spirito preesistente, una
specie di angelo supremo (in riferimento alla angeologia giudaica)
4. non c’è nessun accenno alla dottrina della Trinità in senso stretto
5. la formula triadica della Chiesa ha lasciato però ovunque la sua impronta.
1. l’incarnazione
2. è agente del Padre nella creazione e nell’ordinamento dell’universo (I
Apol.59; 64,5; II Apol. 6,3)
3. è rivelazione della verità a tutti gli uomini (I Apol. 5,4; 46; 63,10; II Apol.
10,1ss).
TEOFILO di Antiochia non segue linee molto diverse. Fa però uso di termini
tecnici di matrice stoica. Come Giustino, anch’egli ritiene che le teofanie
dell’AT siano apparizioni del Logos.
1. Dio, non originato, invisibile, crea e abbellisce per mezzo del Verbo
l’universo che realmente governa.
2. il Verbo è Figlio di Dio, Parola di Dio nell’idea e nella realizzazione. Egli è
progenie del Padre ma che mai viene all’essere in modo reale, perché
Dio, che fin dal principio è intelligenza eterna, ha in sé il suo Verbo
eternamente razionale. Il Verbo, dunque, esce fuori nel mondo della
materia informe come idea archetipa e forza creatrice (si può trovare
una assonanza con Prov. 8,22).
Riassumendo, mi pare si possa perciò dire che, nel pensiero dei Padri apologisti:
1. “Dio Padre” non è la prima persona della SS. Trinità, bensì l’unica
divinità, autore di tutto ciò che esiste.
2. il Logos diventa Figlio non al momento della sua origine nell’essere della
divinità, ma al momento della sua emanazione ai fini della creazione,
della rivelazione e della redenzione. Il fine però non è quello di
subordinare il Logos al Padre, ma di difendere il monoteismo. Il Logos è
uno nell’essenza col Padre, inseparabile da Lui nel suo essere
fondamentale, sia prima sia dopo la sua generazione.
Per quanto riguarda lo Spirito Santo i Padri apologisti ne hanno parlato molto
poco, sebbene come è già stato detto, lo schema della fede fosse triadico.
Personalmente mi pare che in questa fase della storia della teologia rispetto al
dogma della Trinità vi sia una ormai chiara percezione di essa, che in Dio c’è,
contemporaneamente, unità e molteplicità, ma ancora siano rudimentali sia le
riflessioni sia gli strumenti intellettuali usati per l’indagine; il I e il II secolo
possono, a mio avviso, essere definiti come il tempo della gestazione del grande
dogma della Trinità.
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Ma lo scrittore che diede più ampio sviluppo all'apologetica e che si diffuse più
dettagliatamente nell'esposizione della dottrina cristiana, è senza dubbio
Giustino. Tra il 152 e il 154, indirizzata anche questa ad Antonino Pio,
comparve la sua Apologia, seguita da una seconda o Appendice, come si è
convenuto oggi di chiamarla. Contro i giudei, tra il 155 e il 160, scrisse poi il
Dialogo con l'ebreo Trifone. Di Giustino è celebre soprattutto la teoria del λόγος
σπερματικός, secondo la quale la rivelazione divina, comparsa nella sua
pienezza con l'incarnazione del Verbo, fu sempre direttamente diffusa in mezzo
agli uomini mediante la ragione, che per sé stessa è sufficiente all'intuizione
della verità. In tal modo Giustino ammette che la filosofia pagana, formante la
base della cultura del suo tempo, abbia un valore, e avvia l'apologetica verso una
tendenza conciliativa, che renderà accessibile il cristianesimo anche alle classi
colte. Importanti sono anche i tentativi di Giustino di determinare i rapporti tra
Padre e Figlio, mediante la formula "luce da luce", che sarà poi accolta nel
simbolo niceno. Fu discepolo di Giustino ed emerse per l'originalità del pensiero
non estraneo a influenze gnostiche Taziano, che verso il 155 scrisse un Discorso
ai Greci molto apprezzato nell'antichità, e quindi conservatoci, benché l'autore
abbia nell'ultimo periodo della sua vita esulato dalla tradizione ortodossa per
farsi encratita: il valore del Discorso consisteva, per gli antichi, nella
dimostrazione cronologica dell'anteriorità dei racconti mosaici rispetto a tutte le
storie profane. Nonostante l'intonazione fieramente ostile al paganesimo, e ai
filosofi "dalla voce di corvi", Taziano risente molto dell'intellettualismo
filosofico dei suoi avversarî. Porta un contributo notevole alla determinazione
dei rapporti tra Padre e Figlio, e alla teoria antropologica, riconoscente
nell'uomo cristiano il tempio dello Spirito divino.
Giungiamo così agli albori del sec. III e ci incontriamo subito con la grande
figura di Tertulliano, che apre nuove vie all'apologetica. Dopo avere scritto due
libri Ad nationes, in cui ritorce sui pagani le accuse d'immoralità rivolte ai
cristiani, nell'Apologetico, composto verso il 197, il grande cartaginese impernia
sopra un motivo giuridico la difesa del cristianesimo e sferra un attacco vigoroso
contro le autorità persecutrici, scoprendo l'illogicità della loro procedura: se i
Cristiani sono colpevoli, perché non vengono sottoposti a regolare processo? se
innocenti, perché sono condannati? Infine nel De testimonio animae fa appello
alla diretta testimonianza delle facoltà innate dell'anima umana, per dimostrare
le verità divine. L'Adversus Iudaeos, dialogo tra un cristiano e un ebreo, si può
annoverare fra le opere di apologetica antigiudaica. Un gioiello letterario di
mirabile eleganza, che ha potuto conquistare al cristianesimo un numero di
proseliti non minore di quel che abbiano fatto altri scritti di dottrina più
profonda, è il dialogo Ottavio di Minucio Felice, sulla cui priorità o dipendenza
da Tertulliano si discusse e discute moltissimo; a nostro avviso, esso dipende
dall'Apologetico e fu scritto durante il periodo di tranquillità intercorso tra la
persecuzione di Caracalla del 213 e quella di Decio del 250. Nello stile l'autore
imita i dialoghi di Cicerone. Per il contenuto è ammirevole la semplicità e il
candore della descrizione delle virtù cristiane.
Tra gli scrittori di apologie del sec. III alcuni annoverano anche Origene, benché
l'opera Contro Celso, scritta tra il 244 e il 249, difenda il cristianesimo dal punto
di vista puramente dottrinale e non contenga quindi tutti i motivi fondamentali
dell'apologia. Arnobio di Sicca, scrittore dell'epoca dioclezianea, convertitosi in
tarda età, scrisse per dimostrare la buona fede della sua conversione una
voluminosa opera, Adversus nationes, dalla quale per altro appare evidente che
la forma mentis dello scrittore è rimasta quella del retore pagano, e nella quale si
cercherebbe invano, al di fuori dalle polemiche contro la mitologia, una chiara
idea delle credenze cristiane. Ben più importante è Lattanzio. Nelle Institutiones
divinae egli tenta felicemente una trasposizione del concetto della grandezza
giuridica delle istituzioni romane alle divine leggi del cristianesimo. L'autore
appare dominato dall'idea della magnifica sovranità romana, e chiude così, alla
vigilia della conciliazione tra l'impero e il cristianesimo, la serie degli apologeti
antichi. Non è probabile, infatti, che sia vissuto al tempo di Giuliano l'Apostata
(benché così abbiano pensato critici valorosi) Commodiano, l'autore del Carmen
apologeticum; né possiamo considerare qui come semplici apologeti gli scrittori
che combatterono le eresie trinitarie e cristologiche, i quali contribuirono
positivamente allo sviluppo teologico, e nemmeno un S. Agostino, il cui De
civitate Dei, opera di apologia contro le accuse che i pagani superstiti movevano
al cristianesimo (di aver causato la decadenza dell'impero, ecc.) ha anche, per
tanti riguardi, il carattere di un contributo positivo alla teologia cristiana e si
salda ben strettamente con le varie parti del sistema agostiniano. Può invece
essere posto in questa categoria il Διαδυρμὸς τῶν ἔξω ϕιλοσόϕων (Irrisio
philosophorum) di Ermia, sulla cui età (secondo alcuni, sec. II-III; secondo altri,
sec. V-VI) come sulla relazione di priorità o di dipendenza con la Cohortatio
dello pseudo-Giustino si discute tuttora.