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Paola Marone
1. Introduzione
Tra i Padri della Chiesa Agostino sicuramente è stato quello che per
primo e in maniera più approfondita si è dedicato a studiare il concetto
dell’uomo imago Trinitatis, fino a dimostrare che nel profondo del nostro
essere del nostro pensiero e del nostro amore c’è un’immagine della
Trinità, nella quale può essere colta sia l’unità della sostanza divina che la
diversità delle persone del Padre del Figlio e dello Spirito Santo1.
Certamente Agostino non pensò mai che fosse possibile comprendere
totalmente il mistero della Trinità. Del resto avvertì esplicitamente che il
suo intento era quello di testimoniare la sua credenza nella Trinità, in modo
che i suoi lettori «non si sentissero per così dire burlati», ma potessero
constatare «che la fede doveva precedere ogni richiesta di spiegazione»2. E,
se da una parte invitava a scoprire con l’introspezione l’imago Trinitatis
impressa nella propria essenza, dall’altra metteva in guardia dal «non
illudersi» di potere scoprire con essa «l’Essere che sovrasta immutabile il
mondo, che immutabilmente esiste, immutabilmente sa e immutabilmente
1
Sul concetto dell’uomo imago Trinitatis sviluppato nella produzione letteraria di
Agostino cfr. C. Boyer, L’image de la Trinité. Synthèse de la pensée augustinienne, in
«Gregorianum» 27 (1946), pp. 173-199 e pp. 333-352; F. Cayré, Les images de la Trinité, in
«L’Année Théologique Augustinienne» 13 (1953), pp. 363-365; H. Somers, Image de Dieu et
illumination divine. Sources historiques et élaboration augustinienne, in Augustinus Magister I,
Études Augustiniennes, Paris 1954, pp. 451-462; G. Bortolaso, Teologia dell’immagine in
Sant’Agostino e San Tommaso, in «La Civiltà Cattolica» 3 (1967), pp. 371-380; T.J. Van Bavel,
The Anthropology of Augustine, in «Louvain Studies» 5 (1974), pp. 34-47; V. Grossi,
L’antropologia agostiniana. Note previe, in «Augustinianum» 12 (1982), pp. 457-467; G.
Bonner, Augustine’s Doctrine of Man, in «Louvain Studies» 13 (1988), pp. 41-57; G. Madec,
La méditation trinitaire d’Augustin, in «Communio» 24 (1999), pp. 79-102.
2
Aug., Trin. I,2,4, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 31.
vuole»3. Egli era pienamente consapevole dei limiti della conoscenza
umana e ammetteva che ogni similitudo della Trinità era inevitabilmente
una similitudo dissimilis4. Dunque scelse la via dell’interiorità, spingendo a
cercare in sé le tracce della presenza della Trinità, solo per rendere in
qualche modo più accessibile un concetto che di per sé era impenetrabile. E
attraverso la via dell’interiorità, che pure era inadeguata per stabilire un
rapporto tra il sé e l’essenza divina, elaborò una nuova chiave di lettura dei
contenuti della fede5.
Potendo contare sulla speculazione filosofica di Mario Vittorino, il
vescovo di Ippona approfondì il tema dell’immagine in vista della
definizione del dogma, che nel IV secolo coinvolgeva i principali interpreti
del Cristianesimo6. Tuttavia la sua trattazione non era finalizzata solamente
alla definizione del dogma, visto che a cominciare dall’esegesi della Genesi
chiamò in causa diverse questioni, che riguardavano la filosofia la teologia
e l’ascesi. In questo contesto allora, avvalendoci dell’intera produzione
letteraria dell’Ipponate, si vuole presentare la dottrina dell’imago Trinitatis,
per considerarne innanzitutto i presupposti biblici e filosofici, e per
valutarne in un secondo momento le implicazioni teologiche e mistiche.
2. Presupposti biblici
3
Aug., Conf. XIII,11,12, ed. L. Verheijen, CCL 27, Turnhout 1981, p. 248. Cfr. P.
Courcelle, Rechèrches sur les Confessions de saint Augustin, Éditions de Boccard, Paris 1950,
p. 133.
4
Cfr. Aug., Ep. 169,2,6, ed. A. Goldbacher, CSEL 44, Wien 1897, p. 615.
5
Ciò che secondo G. O’Daly (La filosofia della mente in Agostino, [Augustiniana. Testi
e Studi 6], Palermo 1987, pp. 18-19) distingueva e caratterizzava il pensiero del vescovo
d’Ippona era proprio la trattazione delle attività percettive e conoscitive dell’uomo.
6
Cfr. P. Hadot, L’image de la Trinité dans l’âme chez Victorinus et chez Saint Augustin,
in «Texte und Untersuchungen» 81 (1962), pp. 409-442; N. Cipriani, La presenza di Mario
Vittorino nella riflessione trinitaria di Sant’Agostino, in «Augustinianum» 42 (2002), pp. 294-
295.
7
Su Rom. 11,33s cfr. Aug., Trin. I,6,10-12, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout
1968, pp. 39-42; e su Io. 14,15ss cfr. Aug., Trin. I,8,18-9,19, ed. W.J. Mountain, CCL 50A,
Turnhout 1968, pp. 52-56.
2
et volatilibus caeli, et bestiis, univeraeque terrae, omnique reptili, quod
movetur in terra. Et creavit Deus hominem ad imaginem suam…)8,
riconobbe un significativo punto di partenza per sviluppare tutto il suo
pensiero, tanto che a quelli che non erano «capaci di contemplare questa
immagine creata e non sapevano vedere nella loro mente quanto fossero
reali queste tre potenze che non sono tre persone», diceva: «perché non
credono a ciò che su quella somma Trinità, che è Dio, si legge nelle sacre
Scritture, piuttosto che chiedere che gli sia data una spiegazione
perfettamente chiara, che la mente umana tarda e debole non è in grado di
capire»9.
Allora fu sostanzialmente dal primo capitolo della Genesi che il
nostro autore capì che la creazione dell’uomo a immagine di Dio doveva
essere intesa propriamente come la creazione dell’uomo a immagine della
Trinità. A tale proposito egli sottolineava che in Gen. 1,26 Dio stesso disse:
«Facciamo l’uomo a nostra immagine», usando il plurale, «perché l’uomo è
stato fatto a immagine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo
Spirito Santo, ma della stessa Trinità»10. E per evitare che qualcuno
credesse che la Trinità fosse composta da tre dèi, chiamava in causa il
passo di Gen. 1,27, dove le parole: «e Dio fece l’uomo a immagine di
Dio»11, fugavano ogni dubbio sul senso del versetto precedente.
Ma secondo l’Ipponate, che nella sua esegesi era sempre attento
all’intero contesto biblico, non si doveva «neppure passare sotto silenzio il
fatto che la Scrittura, dopo aver detto che l’uomo era stato creato «a
immagine di Dio» (cfr. Gen. 1,27), soggiungesse immediatamente: «e abbia
dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli altri animali
privi di ragione (cfr. Gen. 1,28)»12. Questo doveva fare «intendere appunto
che l’uomo è fatto a immagine… in relazione alla facoltà per cui è
superiore agli animali», ovvero alla «ragione o mente o intelligenza»13.
8
Nel passo di Gen. 1,26 l’espressione imaginem et similitudinem riportata dalla Vetus
Latina è conforme alla traduzione dei Settanta ( α ' εἰ ό α ἡ ε έρα αὶ α ' ὁ οίω ),
ma non trova riscontro nel testo ebraico, che parla di «immagine somigliante» ()םָדָ ה ׂשֲעַ נ. A
questo proposito cfr. A. Rizzi, Dio a immagine dell’uomo? Il linguaggio antropomorfico e
antropopatico nella Bibbia, in «Rassegna di Teologia» 35 (1994), pp. 26-57; P. Merlo,
L’immagine di Dio, Maschio e femmina in Gn. 1,26-27 e nella figura di Dio, in «Anthropotes»
21 (2005), pp. 105-120; F. Manzi, “Dio creò l’uomo a sua immagine”. Lettura cristiana della
Genesi, in «Rivista Teologica di Lugano» 12 (2007), pp. 161-185; C. Dell’Osso, L’uomo,
immagine di Dio: temi di antropologia dei Padri greci, in «Rivista di Scienze religiose» 21
(2007), pp. 9-44.
9
Aug., Trin. XV,27,49, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 530.
10
Aug., Gen. imp. 16, ed. J. Zycha, CSEL 28/1, Wien 1894, p. 502.
11
Ibidem.
12
Aug., Gen. litt. III,20, ed. J. Zycha, CSEL 28/1, Wien 1894, p. 86.
13
Aug., Gen. litt. III,20, ed. J. Zycha, CSEL 28/1, Wien 1894, p. 87.
3
Perciò quando Agostino parlava dell’uomo immagine della Trinità, si
riferiva propriamente all’anima, e talvolta specificò anche di intendere la
parte più elevata dell’anima, ovvero la mente (mens) o «ciò che eccelle
nell’anima» (quod excellit in anima) e si comporta «come il suo occhio
interiore»14. Nell’anima infatti distingueva due rationes, quella inferior,
rivolta alle cose del mondo, e quella superior, rivolta alle verità eterne, e
solo in quella superior riconosceva propriamente un’imago Trinitatis
incorruttibile come Dio15.
Certamente l’Ipponate non si limitò a sostenere che Dio «fece
l’uomo, con la mente a sua immagine e somiglianza», appunto perché
«nella mente c’era l’immagine di Dio»16, ma puntualizzò chiaramente,
come indicava l’autorità dell’apostolo Paolo, che l’uomo era stato creato a
immagine «non secondo la forma del corpo, ma secondo la sua anima
razionale»17. E considerando che «ci rinnoviamo nella nostra anima
spirituale (cfr. Eph. 4,23) e l’uomo nuovo è colui che si rinnova nella
conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creato (cfr. Col.
3,10)», egli non aveva «alcun dubbio che non è secondo il corpo, né
secondo una qualsiasi parte dell’anima, ma secondo l’anima razionale che
può conoscere Dio, che l’uomo è stato fatto a immagine di Colui che l’ha
creato»18.
Così suffragata dall’autorità della Scrittura l’imago Trinitatis, oltre
ad avvicinare l’uomo alla sfera del sacro, si profilava come il tratto più
caratteristico ed essenziale dell’umanità, ovvero come l’elemento che più
di ogni altra cosa permetteva di cogliere la vera natura di ciascun individuo.
3. Presupposti filosofici
14
Cfr. Aug., Trin. XV,7,11, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 475. Al di
là dei pochi casi in cui parlò genericamente di animus (cfr. p.es. Aug., Trin. XV,1,1, ed. W.J.
Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 460), il vescovo di Ippona si servì sempre del termine
mens per indicare la parte superiore dell’anima.
15
Ibidem. Cfr. B. Mondin, Antropologia teologia, Storia, prospettive problemi, Edizioni
Paoline, Alba 1977, p. 104.
16
Aug., Symb. 1,2, ed. R. Vander Plaetse, CCL 46, Turnhout 1969, p. 186.
17
Aug., Trin. XII,7,12, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 366.
18
Ibidem. Cfr. anche Aug., Trin. IX,3,3, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968,
p. 295s. Sulla natura dell’anima e del corpo, secondo A. Trapè (Patrologia, III, a cura di A. Di
Berardino, Institutum Patristicum Augustinianum, Casale Monferrato 1978, p. 390), «Agostino
superò di molto lo spiritualismo di tipo ellenico, anche se continuò qua e là, specialmente nella
predicazione, ad usarne il linguaggio».
4
vista un’immagine della Trinità era impressa nella totalità delle cose create,
e già «Platone» aveva legittimato questa convinzione, sostenendo «che
soltanto Dio è autore di tutti gli esseri, datore dell’intelligenza e animatore
dell’amore con cui si vive nell’onestà e nella felicità»19. Tuttavia
propriamente nelle strutture naturali della persona l’Ipponate riconobbe
l’immagine della Trinità.
Egli era convinto che Dio fosse il fondamento ontologico della
conoscenza e utilizzò la dottrina platonica delle idee per spiegare la verità
ontologica di Dio20. Dio, in quanto creatore di tutte le cose, riassumeva
nella sua essenza le idee di ogni cosa e tutte le componenti dell’uomo
potevano essere viste come immagine della Trinità, per essere state create
in maniera conforme all’essenza divina. Ma la mente in particolare poteva
essere vista come immagine della Trinità, perché risultava formata da
esistenza conoscenza e amore. Non a caso in analogia con la fonte da cui
deriviamo, «noi esistiamo, conosciamo di esistere e amiamo questo nostro
essere e questa conoscenza» (sumus et nos esse novimus et id esse ac nosse
diligimus)21.
La teoria delle idee postulata inizialmente da Platone fu ripresa dal
nostro autore, che spesso parlò di “partecipazione” a proposito delle
relazioni di dipendenza delle creature dal Creatore, proprio perché tutto il
creato, ogni bontà, verità, bellezza, vita terrena, gli appariva come
partecipazione della Bontà, della Verità, della Bellezza e della Vita
infinita22. Però le idee, che di fatto costituivano gli archetipi con cui la
19
Aug., Civ. XI,25, ed. B. Dombart - A. Kalb, CCL 48, Turnhout 1955, p. 344.
Sull’illuminazione cfr. B. Jansen, Augustini theoria illuminationis, in «Gregorianum» 11
(1930), pp. 146-158; R. Jolivet, La doctrine augustinienne de l’illumination, in Mélanges
augustiniennes publiés à l’occasion du XVe centenaire de saint Augustin, a cura di F. Cayré et
al., M. Rivière, Paris 1931, pp. 52-172; I. Quiles, Para una interpretación de la iluminación
agustiniana, in «Augustinus» 3 (1958), pp. 255-268; F. Körner, Abstraktion oder Illumination?,
in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962), pp. 81-109; A. Sage, La dialectique de
l’illumination, in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962), pp. 111-123; F.-J. Thonnard, La
notion de lumière en philosophie augustinienne, in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962)
(1962), pp. 125-175; R.J. Connelly, Light and Reality in Saint Augustine, in «The Modern
Schoolman» 56 (1979), pp. 237-250; E. Gilson, Introduzione allo studio di Sant’Agostino, tr. it.
a cura di V. Venanzi, Marietti, Casale Monferrato 1983, pp. 87-120.
20
Sui punti di contatto che esistono tra Agostino e Platone cfr. R. Pozzi, Note sulla
presenza del Neoplatonismo nel pensiero filosofico di sant’Agostino, in «Euntes Docete» 55
(2002), pp. 107-131.
21
Aug., Civ. XI,26, ed. B. Dombart - A. Kalb, CCL 48, Turnhout 1955, p. 645. Sulla
triade mens notitia amor cfr. E. Bromuri, Le trinità analogiche secondo S. Agostino, Pontificia
Università Urbaniana, Roma 1958; Idem, Le analogie trinitarie di S. Agostino tra psicologia e
mistica, in Congresso Internazionale su S. Agostino nel XVI Centenario della Conversione,
Roma 15-20 settembre 1986, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1987, pp. 169-185.
22
Agostino valutò spesso il creato in termini trascendentali, ma si pronunciò
esplicitamente sulla dottrina platonica delle idee nel De diversis quaestionibus LXXXIII (q. 46,
5
mente divina aveva creato il mondo, le considerava non sussistenti in sé,
ma subordinate all’esistenza del mondo sensibile23. Di conseguenza la
mente umana, che era a immagine di Dio e partecipava dell’immagine per
eccellenza del Figlio, sarebbe stata immagine della Trinità, per
partecipazione, viceversa la seconda persona della Trinità, cioè il Figlio,
che costituiva l’esemplare divino secondo il quale era stata fatta qualsiasi
creatura, sarebbe stata immagine per essenza24.
Inoltre, secondo l’Ipponate, l’immagine della Trinità impressa
nell’uomo era legata in gran parte all’autocoscienza, che portava
l’individuo a guardarsi dentro e a scoprire in sé una verità che lo
trascendeva25, una verità a priori che era fonte di conoscenza26. Tutto
questo implicava un contatto diretto della mente umana con l’intelligibile,
senza passare per la conoscenza sensibile27. L’esperienza
dell’illuminazione, ovvero la scoperta di questa verità a priori, si
presentava come un attimo di autocoscienza in Dio, un attimo di verità
convergente con il Bene, che allineava la verità dell’uomo alla verità di
Dio, e come in una folgorazione gli faceva cogliere «la partecipazione del
Verbo, cioè di quella vita che è luce degli uomini (Io. 1,4)»28.
Per Agostino era impossibile contemplare direttamente le rationes
aeternae, come per Platone era impossibile avere una visione diretta delle
idee29. Per quanto l’anima fosse una realtà spirituale, all’uomo era precluso
di accedere totalmente alla verità e di avere una visione completa della
CCL 44A, pp. 70-73). Per un’esposizione d’insieme su questo tema cfr. H. Meyerhoff, On the
Platonism of St. Augustine’s Quaestio “De ideis”, in «The New Scholasticism» 16 (1942), pp.
16-45.
23
Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 46,2, ed. A. Mutzenbecher, CCL 44A, Turnhout
1975, p. 72s. Il termine “partecipazione” ha senza dubbio un’origine platonica, e va letto alla
luce della teoria delle idee, nell’ambito della quale esprime il rapporto che la realtà sensibile dei
singoli (concreti) ha con la realtà intelligibile universale (astratta). Sulla partecipazione nella
prospettiva agostiniana cfr. M. Marrocco, Partecipation in Divine Life in the “De Trinitate” of
St. Augustine, in «Augustinianum» 42 (2002), pp. 149-185.
24
Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 51,4, ed. A. Mutzenbecher, CCL 44A, Turnhout
1975, p. 81s; Idem, Trin. VII,6,12, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 265s.
25
Cfr. Aug., Ver. rel. 39,72, ed. K.-D. Daur, CCL 32, Turnhout 1962, p. 234.
26
Cfr. Aug., Civ. X,2, ed. B. Dombart - A. Kalb, CCL 48, Turnhout 1955, p. 274. G.
Santinello (Storia del pensiero occidentale, II: Dagli inizi del cristianesimo al sec. XIV,
Marzorati, Milano 1975, p. 199) ha messo in evidenza che, anche in ambito cristiano, la
presenza a priori di criteri di verità è stata fondamentale per pronunziare giudizi veri.
27
Cfr. S. Vanni-Rovighi, La filosofía patrística y medieval, in C. Fabro, Historia de la
filosofía, I, Rialp, Madrid 1965, p. 217
28
Aug., Trin. IV,2,4, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 163. Cfr. S.
Biolo, L’autocoscienza in S. Agostino, (Analecta Gregoriana, 172), Pontificia Università.
Gregoriana, Roma 2000, pp. 137ss.
29
Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 46, 2, ed. A. Mutzenbecher, CCL 44A, Turnhout
1975, p. 71s.
6
Trinità30. Come essere finito e limitato l’uomo non poteva abbracciare
qualcosa che per natura gli era completamente dissimile, ma tramite lo
specchio dell’immagine conosceva le rationes aeternae31 e riusciva a
intuire la Trinità che era riflessa in lui32.
Così vedere Dio, ovvero il responsabile dell’illuminazione, era un
vedere senza vedere, cioè un intuire33. Nel senso che l’uomo coglieva
indirettamente la fonte dell’illuminazione attraverso i suoi atti intellettuali,
visto che fin dalla sua nascita era imago Trinitatis, ma non ne era
consapevole34. Per cui la mente era finalizzata proprio a prendere coscienza
della fonte, a scoprire il Creatore, anche se mentre si incamminava sulla
strada della ricerca, incominciava a capire la verità da cui proveniva.
4. Implicazioni teologiche
30
Cfr. Aug., Trin. XV,23,44, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 521s.
Sulla stessa linea cfr. anche Aug., Tract. Ev. Io. XIV,1, ed. R. Willems, CCL 36, Turnhout
1954, p. 141.
31
Cfr. Aug., Trin. XV,23,44, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 522;
XV,25,45, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 523s.
32
Cfr. Aug., Serm. 23,15, ed. C. Lambot, CCL 41, Turnhout 1961, p. 317.
33
Cfr. Aug., Serm. 117,3,5, ed. J.P. Migne, PL 38, Paris 1845, c. 663. A tale proposito
l’Ipponate diceva nell’Ep. 147 (Ep. 147,6,18, ed. A. Goldbacher, CSEL 44, Wien 1897, p. 289):
«è qui presente, eppure non lo si vede», e anche (Ep. 147,21,9, ed. A. Goldbacher, CSEL 44,
Wien 1897, p. 295): «una cosa infatti è vedere, un’altra è percepire interamente con la vista:
poiché si vede ciò che si percepisce in qualche modo presente: ma si percepisce con la vista
nella sua interezza una cosa di cui nessuna parte sfugge a chi la guarda o di cui si possano
abbracciare con la vista i limiti». Cfr. anche M.F. Sciacca, Sant’Agostino, L’Epos, Palermo
1991, p. 267.
34
Cfr. Aug., Serm. Dom. II,3,14, ed. A. Mutzenbecher, CCL 35, Turnhout 1967, p.
103s.
35
Aug., Ver. rel. 55,113, ed. K.-D. Daur, CCL 32, Turnhout 1962, p. 259.
36
Aug., Solil. II,1,1, ed. W. Hörmann, CSEL 89, Wien 1986, p. 45.
7
imprescindibile la vita di queste tre facoltà, e come siano un’unica vita
un’unica intelligenza e un’unica essenza»37.
Le qualità principali dell’anima quali l’essere il conoscere e il
desiderare, che Agostino sintetizzò nella triade mens notitia amor,
riproducevano la struttura trinitaria di Dio38. Nella mente essere conoscenza
e amore erano tre realtà, ma costituivano una cosa sola e una sostanza
sola39. Tre realtà distinte «in modo mirabile», diceva Agostino,
«inseparabili le une dalle altre», e tuttavia ognuna di esse «sostanza»
(substantia) e tutte insieme «una sostanza o essenza» (una substantia vel
essentia) per le loro relazioni40. Del resto la mente generava la conoscenza,
e dalla mente, che si conosceva per mezzo della conoscenza, procedeva
l’amore, come nella Trinità il Padre generava il Figlio, e dal Padre e dal
Figlio procedeva lo Spirito Santo.
Mentre guardava all’interiorità dell’uomo, le operazioni immanenti
della mente fornivano al nostro autore un’immagine dell’unità e della
distinzione delle persone divine, e del loro reciproco essere l’una nell’altra,
infatti «quando la mente si conosce e si ama, in quelle tre realtà – la mente
la conoscenza e l’amore – resta una trinità; e non c’e né mescolanza né
confusione, sebbene ciascuna sia in sé, e tutte si trovino scambievolmente
in tutte, ciascuna nelle altre due, e le altre due in ciascuna. Di conseguenza
tutte in tutte»41. D’altra parte la certezza evidente dell’esistenza fondava
l’infallibilità della conoscenza dell’esistenza di sé42. Passando dalla
certezza dell’essere alla verità del conoscersi, Agostino affermava: «nel
conoscere di conoscermi esistente non mi inganno… e quando amo queste
due cose (l’essere e il conoscermi) aggiungo, in me conoscente, questo
stesso amore come elemento di non minor pregio. Né mi inganno sulla
realtà del mio amore, perché non mi inganno sulle realtà che amo…»43.
Focalizzando l’attenzione sulle operazioni immanenti della mente,
Agostino scopriva l’amore della mente per sé stessa, che insieme
37
Aug., Conf. XIII,11,12, ed. L. Verheijen, CCL 27, Turnhout 1981, p. 247.
38
Cfr. Aug., Trin. XV,3,5, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 463ss.
39
Cfr. Aug., Trin. IX,4,4, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 296s.
40
Cfr. Aug., Trin. IX,5,8, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 300s. Sulla
dialettica della coscienza una e molteplice cfr. G. Lettieri, La dialettica della coscienza nel “De
Trinitate”, in L. Alici, Interiorità e intenzionalità in S. Agostino. Atti del I e del II Seminario
Internazionale del Centro di Studi Agostiniani di Perugia, Istitutum Patristicum Augustinianum,
Roma 1990, pp. 145-176.
41
Aug., Trin. IX,5,8, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 300.
42
Secondo l’Ipponate (cfr. Trin. IX,3,3, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968,
p. 295s), proprio nel momento in cui il pensiero amava la mente, affermava naturalmente
l’esistenza della mente stessa, dato che la mente non avrebbe potuto amare se stessa senza avere
coscienza di sé, cioè senza avere la consapevolezza della propria esistenza.
43
Aug., Civ. XI,26, ed. B. Dombart - A. Kalb, CCL 48, Turnhout 1955, p. 346.
8
all’esistenza e alla conoscenza dava vita a una triade indissolubile a
immagine della Trinità44.
In questa immagine poi l’Ipponate riscontrava un’esemplificazione
della generazione e della processione delle persone divine45. Infatti se
nell’uomo la conoscenza era generata dall’essere, e l’amore procedeva allo
stesso tempo dall’essere e dalla conoscenza, ponendo in relazione l’essere e
la conoscenza46, nella Trinità il Figlio era generato dal Padre, e lo Spirito
Santo procedeva come dono dal Padre e dal Figlio, ponendo in relazione il
Padre e il Figlio47. Questa somiglianza, andava però congiunta a una grande
differenza48, dato che l’essere la conoscenza e l’amore erano nell’uomo, ma
non erano l’uomo49.
Ammettendo che l’uomo «tra gli esseri creati» è quello che per la sua
natura «si avvicina maggiormente a Dio»50, Agostino puntualizzava che
questa immagine della Trinità che è presente in noi «non è uguale a Dio,
anzi è immensamente distante da lui e non è coeterna a lui; e per dire tutto
in poche parole non è della stessa sostanza del modello (non eiusdem
substantiae cuius Deus est)»51, per cui se Dio è causa dell’essere del
conoscere e dell’amore, l’immagine della Trinità impressa in noi consiste
nel fatto che noi «esistiamo, conosciamo di esistere e amiamo questo nostro
essere e questa conoscenza»52. In sostanza nell’uomo l’essere la
conoscenza e l’amore si potevano intendere come facoltà, non a caso un
essere umano può dire di possedere «queste tre potenze», ma non di essere
«queste tre potenze», viceversa «in quella natura supremamente semplice
44
Agostino associò all’anima vari schemi ternari, in stretta analogia con la Trinità. Tali
schemi, ovvero esistenza-conoscenza-volontà (cfr. Trin. XI,5,9, ed. W.J. Mountain, CCL 50A,
Turnhout 1968, p. 344s), mente-conoscenza-amore (cfr. Trin. IX,4,4, ed. W.J. Mountain,
Turnhout 1968, p. 296s) e memoria-intelligenza-volontà (cfr. Trin. X,11,17-18, ed. W.J.
Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, pp. 329-331), secondo Hadot (L’image de la Trinité dans
l’âme chez Victorinus et chez Saint Augustin, cit., p. 441), avevano un significato puramente
psicologico, dato che non erano mai tradotti in termini ontologici o metafisici.
45
Stando a N. Cipriani (Il mistero trinitario nei Padri, in «Pontificia Academia
Theologica» 2 [2003], p. 66), Agostino era «pienamente consapevole di giungere a conclusione
di un lungo cammino percorso dalla teologia cattolica. Già nel De fide et symbolo del 393 aveva
fatto un primo e provvisorio bilancio della teologia precedente. A suo avviso, mentre del Padre
e del Figlio era stato detto molto, dello Spirito Santo restava ancora molto da dire: era stata
provata la sua divinità, era stato precisato che egli è il dono di Dio e che non procede per via di
generazione né dal Padre né dal Figlio, ma non era stata ancora indicata la sua proprietà
personale né chiarita la differenza tra generazione e processione».
46
Cfr. Aug., Trin. X,1,1-2,4, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 310ss.
47
Ibidem.
48
V. supra n. 4.
49
Cfr. Aug., Trin XV,7,11, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 474s.
50
Ibidem.
51
Aug., Civ. XI,26, ed. B. Dombart - A. Kalb, CCL 48, Turnhout 1955, p. 345.
52
V. supra n. 21.
9
che è Dio, sebbene vi sia uno solo Dio… il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo» si potevano vedere realmente come tre persone53.
5. Implicazioni mistiche
Descrivendo l’itinerario della mente verso Dio, l’Ipponate utilizzò
molti argomenti, che seguivano tutti lo stesso schema: dall’esteriorità
all’interiorità, e poi dall’interiorità alla trascendenza. A partire dalla
bellezza del mondo, l’uomo poteva riconoscere se stesso come essere che
esiste, che conosce e che ama, e di conseguenza poteva pervenire a Dio per
il cammino dell’essere della conoscenza e dell’amore. Per questo
l’Ipponate diceva: «non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita
nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi
anche te stesso. Ma ricordati che, quando trascendi te stesso, trascendi
l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della
ragione»54.
Per Agostino la Trinità era qualcosa di concreto, di vivo, qualcosa
che riempiva l’anima e condizionava tutte le sue facoltà. In tal senso egli
approfondì il concetto dell’uomo imago Trinitatis, mettendo in evidenza le
conseguenze che aveva per l’uomo essere l’immagine vivente, per quanto
lontana, della Trinità. Anche come mistico cercò di capire Dio, per amarlo
e riposarsi in Lui. La sua sete di Dio lo portò a studiare le relazioni intime
che ricollegavano ciascuna creatura al Creatore. Rivolto al Signore
esclamava: «ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non
riposa in te», perché era convinto che l’anima tendesse per la sua natura a
Dio, come l’occhio è fatto per la luce e tende alla luce, o come l’orecchio è
fatto per l’armonia e si apre all’armonia55.
Se in gioventù Agostino aveva scritto «l’uomo stesso… è rimasto
semplice creatura per aver perso, a causa del peccato, il sigillo
dell’immagine»56, tornando sull’argomento alla fine della sua vita, precisò
che «tali parole non andavano intese nel senso che l’uomo aveva perso
tutto ciò che possedeva dell’immagine di Dio»57. L’immagine di Dio gli
53
Aug., Trin. XV,23,43, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 520.
54
Aug., Ver. rel. 39,72, ed. K.-D. Daur, CCL 32, Turnhout 1962, p. 234. Cfr. L. Casini,
Agostino: fede e ragione, in Istituzioni di filosofia morale. Dalla morale universale alle etiche
applicate, a cura di L. Casini - M.T. Pansera, Meltemi Editore, Roma 2003, pp. 92-101.
55
Cfr. Aug., Conf. I,1, ed. L. Verheijen, CCL 27, Turnhout 1981, p. 1. Cfr. anche O. Du
Roy, L’intelligence de la foi en la Trinité selon saint Augustin. Genèse de sa théologie trinitaire
jusqu’en 391, Études Augustiniennes, Paris 1966, p. 453.
56
Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 67,4, ed. A. Mutzenbecher, CCL 44A, Turnhout 1975,
p. 167.
57
Aug., Retract. I,16,2, ed. A. Mutzenbecher, CCL 57, Turnhout 1984, p. 52.
10
appariva sempre indistruttibile, ma ammetteva che il peccato poteva
oscurarla, mentre l’azione dello Spirito Santo andava a rinvigorirla.
Evidentemente, dal suo punto di vista, l’azione dello Spirito Santo
non trasformava solo le anime dei fedeli, ma vivificava tutto il corpo di
Cristo, cioè tutta la Chiesa. Come in seno alla Trinità lo Spirito Santo era
«una specie d’ineffabile comunione tra il Padre e il Figlio, e forse era
chiamato così proprio perché questa stessa denominazione poteva
convenire al Padre e al Figlio», indicando «la loro reciproca comunione»58,
nella Chiesa questo Spirito univa i fedeli fra loro e con la Trinità, facendo
di tutti una cosa sola, dal momento che il Padre e il Figlio avevano voluto
«che noi si entrasse in comunione tra noi e con loro per mezzo di Colui che
è loro comune, e ci hanno raccolto nell’unità per mezzo di quel dono che è
comune ad entrambi, cioè per mezzo dello Spirito Santo, Dio e dono di
Dio»59.
Poi valutando l’effetto che produceva lo Spirito Santo sull’immagine
della Trinità presente nell’uomo, Agostino si confrontò con il
rinnovamento interiore prodotto dall’ascesi, che costituiva uno dei momenti
fondamentali della giustificazione della creatura davanti al Creatore. Allora
notava che quando l’uomo rivolge tutte le funzioni della sua mente, vale a
dire l’esistenza la conoscenza e l’amore, esclusivamente a Dio, anche
l’immagine della Trinità viene rinnovata, e si avvicina sempre di più alla
fonte all’arricchirsi della memoria, all’accrescere della conoscenza e al
rafforzarsi dell’amore60.
Certamente per l’Ipponate non era facile contemplare l’immagine
della Trinità. La mente doveva ingaggiare una vera e propria lotta con le
passioni terrene61, e una volta superato lo scoglio del mondo sensibile,
subito si doveva misurare con la difficoltà di penetrare nella profondità del
mistero di Dio62. Per questo nel percorso graduale di conversione che
doveva portare alla consapevolezza di essere parte del mistero divino 63,
bisognava obbligare la mente a sforzarsi di contemplare le rationes
aeternae. La scoperta della sapienza di Dio avrebbe permesso all’uomo di
riconoscersi immagine della Trinità e gli avrebbe fatto capire non la verità,
58
Aug., Trin. V,11,12, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 219.
59
Aug., Serm. 71,12,18, ed. J.P. Migne, PL 38, Paris 1845, c. 454. Cfr. R. Tremblay, La
théorie psycologique de la Trinité chez saint Augustin, in Études et recherches. Cahiers de
théologie et de philosophie (Cahier VIII), Paris-Ottawa 1952, pp. 83-109.
60
Cfr. Aug., Trin. I,8,17, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 50ss. Sul
rinnovamento interiore inteso come progresso nella sapienza divina cfr. G. Santi, Dire l’essere:
La sapienza in Agostino, in «Doctor Seraphicus» 46 (1999), pp. 13-38.
61
Cfr. Aug., Tract. Ev. Io. XXXIV,10, ed. R. Willems, CCL 36, Turnhout 1954, p. 316;
Idem, Ver. rel. 35,65, ed. K.-D. Daur, CCL 32, Turnhout 1962, p. 229s.
62
Cfr. Aug., Solil. I,13,23, ed. W. Hörmann, CSEL 89, Wien 1986, p. 35.
63
Cfr. Aug., Trin. XV,6,10, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 472.
11
ma di essere in quella verità, con la quale il Padre aveva generato il
Figlio64.
Tuttavia la piena somiglianza dell’immagine era destinata alla vita
ultraterrena, vale a dire a quando l’uomo ormai immortale potrà essere
detto realmente simile al Figlio. In linea con 1 Io. 3,2, che dice «sappiamo
che quando Dio si sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo
come egli è», l’Ipponate sosteneva che solo nella vita ultraterrena si
realizzerà «la piena rassomiglianza di lui» (eius plenam similitudinem) e
«la piena visione di lui» (eius plenam visionem)65. In altre parole «la
somiglianza di Dio sarà perfetta, quando sarà perfetta la visione di Dio,
quella visione di cui parla l’apostolo Paolo» in 1 Cor. 13,12 («Ora vediamo
come in uno specchio, in un enigma; ma allora vedremo faccia a faccia»)66.
Quando vedremo Dio faccia a faccia, l’immagine della Trinità non sarà più
soggetta all’errore e sarà partecipe dell’eternità, ma anche allora,
nonostante la somiglianza che avrà raggiunto, sarà sempre diversa dal
Figlio, nel senso che sarà sempre una realtà formata e non una forma
pura67. Viceversa nel Figlio, ovvero della seconda persona della Trinità,
esisteva da sempre e in forma perfetta la somiglianza. Nel caso del Figlio la
somiglianza non poteva assolutamente comportare una differenza in alcuna
parte, «di conseguenza quando il Figlio è detto somiglianza del Padre…, da
nessun punto di vista il Figlio può essere dissimile dal Padre. Egli è dunque
uguale al Padre, solo che uno è Figlio e l’altro Padre, cioè uno è la
somiglianza e l’altro colui del quale il Figlio è la somiglianza; uno è
sostanza e l’altro sostanza, da cui risulta un’unica sostanza»68.
In questa prospettiva mistica Agostino cercava di condurre i fedeli
alla contemplazione del mistero trinitario come massimo gaudio della vita
cristiana69. Essere conoscere e amare doveva significare contemplare
l’immagine della Trinità presente nella propria interiorità70. Vivere con lo
scopo di contemplare questa immagine presupponeva di non fermarsi a una
64
Cfr. Aug., Gen. litt. XII,31,59, ed. J. Zycha, CSEL 28/1, Wien 1894, p. 425. Cfr.
anche G. Santi, Interiorità e verbum mentis, in Interiorità e Intenzionalità in S. Agostino. Atti
del I e II Seminario Internazionale del Centro di Studi Agostiniani di Perugia a cura di Luigi
Alici, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1990, pp. 133-143.
65
Aug., Trin. XIV,18,24, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 455.
66
Aug., Trin. XIV,17,23, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 455.
67
Cfr. Aug., Trin. XV,14,24-16,26, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, pp.
497-501. Sulla differenza tra l’immagine della Trinità presente nell’uomo e l’immagine della
Trinità presente nel Figlio cfr. P. Marone, Il silenzio e la parola in Agostino: dalla conoscenza
di sé alla conoscenza di Dio, in «Sapienza. Rivista di Filosofia e Teologia» 63 (2010), pp. 354-
361.
68
Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 23, ed. A. Mutzenbecher, CCL 44A, Turnhout
1975, p. 28.
69
Cfr. Aug., Trin. I,8,17, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 50ss.
70
Cfr. Aug., Trin. XV,20,39, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 516s.
12
conoscenza teorica di Dio, ma di sperimentare su se stessi la partecipazione
al mistero trinitario. I cristiani, affidandosi alla fede e riconoscendo in se
stessi l’immagine della Trinità, erano così incitati a progredire nella
somiglianza di Dio, in attesa di poterlo contemplare faccia a faccia dopo la
morte.
6. Conclusione
71
Cfr. Aug., Trin. XV,8,14, ed. W.J. Mountain, CCL 50A, Turnhout 1968, p. 480.
72
E. von Ivánka (Platonismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo
nella Patristica, trad. it. a cura di E. Peroli, Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 153s) ha ricondotto
la somiglianza divina alla volontà rivolta a Dio, all’amore di Dio, senza disconoscere che nella
concezione agostiniana, non sarebbe possibile dedizione a Dio, se l’amore e la conoscenza di
Dio non fossero già presenti nell’anima, sia pure in maniera inconsapevole.
73
A. Milano, Persona in teologia. Alle origini del significato di persona nel
cristianesimo antico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1984, p. 317.
13
immagine della Trinità, segnò un traguardo fondamentale nella riflessione
trinitaria74. Non a caso prima del V secolo, la principale similitudine
adoperata per spiegare la vita intratrinitaria era la creazione dell’universo
da parte di Dio: la luce con lo splendore e il raggio, il fuoco con la fiamma
e il calore, l’acqua con il fiume e la foce, l’albero con la radice e il frutto75.
Invece dopo il V secolo, questo modello cosmologico venne di fatto
sostituito da un modello antropologico. Per esemplificare la vita
intratrinitaria si preferì a quel punto la struttura interiore dell’uomo e Dio
cominciò a essere raffigurato, analogicamente, a partire dall’io umano76.
74
Sulla fortuna della dottrina agostiniana dell’imago Trinitatis cfr. N. Ciola, Immagine
di Dio – Trinità e socialità umana. Un’eredità e un compito per l’animazione cristiana
dell’Europa, in Idem, Cristologia e Trinità, Borla, Roma 2002, pp. 159-187; e in particolare
sull’utilizzazione della dottrina agostiniana dell’imago Trinitatis nell’ambito della teologia
contemporanea cfr. P. Sguazzardo, Sant’Agostino e la teologia trinitaria del XX secolo. Ricerca
storico-ermeneutica e prospettive speculative, Città Nuova, Roma 2006.
75
Cfr. H.A. Wolfson, La filosofia dei Padri della Chiesa. Spirito, Trinità, Incarnazione,
I, Paideia, Brescia 1978, pp. 269-273; 319-320.
76
Cfr. P. Henry, Saint Augustine on Personality, The Macmillan Company, New York
1960, pp. 13-15.
14