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Bibliografia generale

1. AMBITO STORICO CULTURALE


RÉMONDON, R., La crisi dell’Impero romano da Marco Aurelio ad Anastasio, Milano
1975. Opera interessante per quanto si riferisce alla crisi religiosa del paganesimo nel
IV secolo.
DODDS, R., Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia. Aspetti dell’esperienza
religiosa da Marco Aurelio a Costantino, Firenze 1970. La prospettiva è diversa da
quella di Momigliano.
MOMIGLIANO, (a cura di), Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel IV secolo,
La Nuova Italia, Firenze 1975. È una raccolta di saggi.

2. AMBITO STORICO ECCLESIASTICO


GAUDEMET, J., L’Eglise dans l’Empire romain, Paris 1958 (traduzione italiana La
Chiesa nell’Impero romano).
BARBERO, Il pensiero politico cristiano, Torino, 1962.

3. AMBITO PIÙ PROPRIAMENTE TEOLOGICO


KELLY, J.N.D., Il pensiero cristiano delle origini, Bologna 1972.
STUDER, B., La riflessione teologica nella Chiesa imperiale (sec. IV-V),
Augustinianum, Roma 1989.

4. AMBITO CRISTOLOGICO
GRILLMEIER, A., Jesus der Chrstus im Glauben der Kirche, 2 vol, Herder, Freiburg
1986 (traduzione. italiana Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, Brescia 1982, per il IV
sec., Vol. I, Parte II)
SIMONETTI, M. (a cura di), Il Cristo, Fondazione Lorenzo Valla Valla - Mondadori,
Milano 1986. Questo volume offre un ampia panoramica di testi.
R. A. MARKUS La fine della cristianità antica, Borla, Roma 1996.
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Introduzione

Il IV secolo vede il verificarsi di una separazione tra Oriente e Occidente, tra l’area di
lingua greca e quella di lingua latina. Abbiamo pertanto due “patrologie”, che
presentano una enorme fioritura di autori. Da ciò consegue un primo problema, ovvero
la necessità di individuare un metodo di studio. Altaner e Quasten hanno scelto di
utilizzare un criterio che divide gli autori in base alla loro area geografico-culturale; tale
metodo presenta però lo svantaggio di riunire autori che si sono occupati di tematiche
assai differenti tra di loro.
La Mara suggerisce invece un criterio tematico, che porterà a dividere il corso nei
seguenti capitoli:

1. QUADRO STORICO-POLITICO-CULTURALE della situazione del IV sec.,


indispensabile per contestualizzare i Padri e per cogliere il loro interagire con la cultura
e le idee della loro epoca. I Padri risentono della cultura ambiente, la utilizzano ed in
parte la trasformano.
Il IV sec. si presenta come l’inizio di grandi novità:

a) prima del 310 i Padri si collocano nel rispetto dell’autorità costituita (cfr. Rm),
ma la contestano a motivo delle persecuzioni e della rigida divisione in classi
sociali;
b) gli imperatori del IV secolo (tranne Giuliano l’apostata, 361-363) sono tutti
cristiani. I Padri devono quindi riflettere su come proporre ai cristiani il rapporto
Chiesa/impero. Si forma allora una teologia politica, ovvero una riflessione sulle
reciproche prerogative e limitazioni dei due poteri;
c) prima del IV secolo non si pensa a dare una storia delle comunità cristiane. Ma
nel pensiero del tempo un popolo senza storia è un non-popolo: si iniziano allora
a scrivere delle Cronologie (ovvero delle messe in parallelo degli avvenimenti
dell’impero e di quelli ecclesiali), cui fanno presto seguito delle Historiae vere e
proprie (a partire da Eusebio di Cesarea). Muta però il genere letterario: la storia
non si occupa più solo di generali, guerre e imperatori; entrano invece, come
soggetti storici, la plebe, le donne, i bambini, i martiri, i vescovi, gli apostati, i
fedeli;
d) in questo contesto è importante considerare come viene vista dai Padri la
progressiva decadenza di Roma (che nel 410 sarà messa al sacco dai Vandali):
per alcuni si tratta di un’enorme disgrazia, per altri si tratta semplicemente di un
passaggio storico.

2. LA CRONOGRAFIA, LA STORIOGRAFIA, L’AGIOGRAFIA: bisogna che le comunità


cristiane abbiano una propria storia. Nel momento in cui hanno un riconoscimento e una
3

legittimità giuridica si avverte questa esigenza. Per il mondo romano il popolo che non
ha storia è un non-popolo. Si avverte per le comunità cristiane l’esigenza di darsi e una
propria storia. Lo sforzo di molti Padri è di consegnare una storia alla comunità cristiana
e far si che la storia della salvezza non sia solo teologia ed esegesi, ma anche storia.
Nascono così tre generi letterari che già esistevano nel mondo pagano, ma che vengono
arricchiti di nuovi contenuti e forme cristianizzate:

a) I Cronografi: sono delle liste con un evento (una breve didascalia) e una data. I
cronografi romani si basano sulle vicende di imperatori, consoli, augusti… I
primi cronografi cristiani cercano di dare cittadinanza civile anche al fatto
cristiano, inserendo eventi del cristianesimo. Sembra semplice ma è di una
genialità unica.
b) La Storiografia. C’erano storiografie come quelle di Polibio, Tito Livio, Tacito,
ma erano semplicemente esaltazioni del forte e del vittorioso. Non c’era molta
attenzione sui fatti storici e l’avvenimento era solo un pretesto per elogiare
uomini illustri, eroi... Eusebio fa una rivoluzione perché, pur mantenendo tutti
canoni letterari della storiografia, non sono più i generali che fanno storia ma
uomini semplici, donne, vecchi, bambini, vinti.
c) Le Biografie e le Agiografie rappresentano il terzo genere letterario. Girolamo
nel De viris illustribus inserisce i cristiani come protagonisti del fatto storico e li
definisce “illustri” perché hanno acquisito una sapienza particolare. È la
testimonianza di una nuova coscienza dei cristiani di fare ed essere storia.

3. FENOMENI RELIGIOSI che si impongono nel IV secolo come proposte di salvezza per
l’uomo cui il cristianesimo deve rispondere: il manicheismo. Sorge la domanda
generale: come ci si salva? I pagani avevano l’imperatore, Pontifex Maximus, come
garanzia di salvezza per il suo popolo; gli ebrei avevano una certa sicurezza
nell’osservanza delle leggi, ma con la distruzione del Tempio finiva il culto. C’era
bisogno allora di una sicurezza.

4. CONSEGUENZE DELLA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO: nella Chiesa, soprattutto


africana, si rivitalizza un problema mai sopito: nasce così il donatismo. Vi è nella
Chiesa una esigenza di purezza, di ascesi, di impegno serio per l’essere cristiani.
Insieme al donatismo nasce anche il monachesimo, come risposta alle esigenze suddette.
Donatismo e monachesimo vogliono rispondere alla stessa domanda di “purezza”, ma
hanno esiti ben diversi. Atanasio, scrivendo la vita di Antonio, ha il grandissimo merito
di recuperare all’interno della Grande Chiesa la vita monastica, attenuandone la
caratteristica di rifiuto della gerarchia.

5. La POESIA CRISTIANA: nasce con lentezza nel IV secolo, segnata dal faticoso
tentativo di liberarsi dai pregiudizi tematici e formali che screditano la poesia pagana
agli occhi dei cristiani. La poesia pagana cantava la mitologia, e spesso gli amori osceni.
La poesia cristiana rischiava la monotonia per il fatto di cantare sempre la patria celeste
o il Cristo. La poesia non era un lusso, la poesia era il linguaggio usato dai pagani per
4

parlare con la divinità. Allora anche i cristiani sentono il bisogno di esprimersi con la
poesia.

6. Nel IV secolo nasce una riflessione sull’essere cristiani: la TEOLOGIA, ovvero un


discorso su Dio che si tenta a partire anche da categorie filosofiche. Tutto questo crea
non pochi problemi, come ad esempio l’arianesimo, gli pneumatomachi... La riflessione
della Chiesa su questi movimenti origina i grandi Concilii: Nicea (325),
Costantinopolitano I (381) e molti Sinodi locali.

7. Il grande numero di conversioni non rende più sufficiente l’istruzione


“personalizzata” che si basava sulla confessione di Gesù come Figlio di Dio e sulla
conoscenza della Bibbia. Nascono allora le CATECHESI, più sistematiche.

8. La novità del cristianesimo si spiega solo a partire dalla Bibbia: nascono così
moltissimi COMMENTARI BIBLICI. Dopo la fine dell’attesa della Parusia come
imminente, bisogna trovare un insegnamento che permetta ai cristiani di vivere i tempi
lunghi della storia. Abbiamo così, nel IV sec., moltissimi commenti al corpus paolino.
Contro le deviazioni dualiste bisogna difendere la bontà della creazione: si commenta
così moltissimo la Genesi.
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Capitolo Primo
Quadro storico-politico-culturale

1. Avvenimenti principali

303-5: persecuzione di Diocleziano.


311-13: editto di tolleranza di Galerio, Licinio, Costantino.
380: editto di Teodosio, rimasto unico imperatore; mette al bando il paganesimo e
proscrive ogni culto non cristiano. Travolge l’oriente perché era antiniceno.
391-2: due decreti di Teodosio che vietano ogni cerimonia pagana e proibisce tutti i
sacrifici divinatori (culto degli avi, culto privato familiare agli antenati).
Nell’arco di un secolo il cristianesimo diventa, da perseguitato che era, persecutore nella
figura dell’imperatore cristiano.
Cominciamo a considerare i 4 editti di persecuzione di Diocleziano1:

1. gennaio 303: proibizione del culto; confisca dei libri (Bibbia e liturgia) e dei
vasi sacri; confisca delle Chiese. È la prima volta che si confiscano i libri sacri.
Decio (250) e Valeriano (257) obbligavano ad un atto di culto. Nel 257 (muore
Cipriano) chi si professa cristiano deve rinunciare ai beni e viene incarcerato.
Diocleziano fa arrestare i capi delle comunità, e per la prima volta vede nel
possesso dei libri sacri l’elemento fondante dell’esistenza dei cristiani. I
cosiddetti traditores verranno poi considerati scomunicati dai donatisti, ed i
sacramenti celebrati da essi invalidi. Diocleziano comprende che, una volta tolto
ai cristiani il riferimento ai libri sacri (per noi: alla Rivelazione), essi non
avrebbero più avuto motivo di fare comunità.
2. Arresto dei capi delle Chiese.
3. Liberazione dei prigionieri che offrono libagioni e sacrifici2.
4. estate 304: come Decio, richiede a tutti i sudditi un atto di culto pagano.

Notiamo una escalation in questi editti, che hanno lo scopo di individuare i cristiani per
annientarli. Eusebio ci mostra, però, come gli ordini non fossero applicati ovunque con
la stessa severità. Nonostante questa persecuzione, il numero dei cristiani non diminuì,
bensì si accrebbe: di conseguenza, Diocleziano abdicò nel 305.

2. Avvenimenti politici

306: inizia la dinastia dei costantinidi (fino al 361).


1
Cfr. HE VIII di Eus., i martiri di Palestina.
2
Cfr. HE VIII, 6,10.
6

311: primo editto di tolleranza per l’Oriente di Galerio3: ogni suddito può adorare il dio
che preferisce.
312: Costantino sconfigge Massenzio sul ponte Milvio e resta unico Augusto
d’Occidente.
313: Licinio sconfigge Massimino e resta unico Augusto d’Oriente.
313 Editto di Milano: il cristianesimo diventa religio licita. Costantino restituisce gli
edifici di culto confiscati; mette a disposizione dei vescovi la corsa pubblica per
raggiungere più facilmente i luoghi per i sinodi (ciò porterà un grande svantaggio:
l’imperatore teneva sottocontrollo i vescovi); applica l’immunità ecclesiastica:
esenzione dal servizio militare; nel 3 giugno del 318: episcopalis audientia: il vescovo
deve farsi arbitro nell’applicazione delle leggi civili; infine, abbiamo l’intervento
imperiale disciplinare sugli eretici.
324: Costantino sconfigge Licinio ad Adrianopoli: resta unico Imperatore.
337: morte di Costantino.

3. Avvenimenti ecclesiali

311: inizi storici dello scisma donatista. Muore Ceciliano, vescovo di Cartagine e si
pone il problema della successione. Costantino restituisce le terre confiscate alla Chiesa
cattolica della Numidia, ma i vescovi donatisti si ribellano.
313: 1° Sinodo romano convocato per decidere quale sia la vera Chiesa a Cartagine
(“cattolica” o donatista), con papa Milziade.
314: Sinodo di Arles, con papa Silvestro, convocato per il medesimo motivo. Ceciliano
e Donato vengono condannati all’esilio, ma questi si rifiutano ed abbiamo lo sciama
della Chiesa in Africa.
325: Concilio ecumenico di Nicea.
330: Costantino fonda Costantinopoli.

4. Il contesto generale

Il problema dell’inizio della decadenza dell’Impero romano va collegato con il regno di


Diocleziano e la sua abdicazione: è questo il punto di arrivo di una lunga crisi dovuta
anche a delle trasformazioni della mentalità romana ed alle difficoltà conseguenti
all’enorme estensione dell’Impero4. Il problema della decadenza è anche dovuto alla
decadenza della religione dell’Impero. Il culto imperiale era stato inteso come l’unico
legame possibile per mantenere l’unità tra la pluralità di popoli e di regioni che
costituivano l’Impero. Lo stesso imperatore non è più solo proclamato figlio di una
divinità, ma è egli stesso divino. Così il titolo di pontifex maximus rappresenta
l’unificazione del potere religioso e di quello politico.
A questa divinizzazione si giunge perché essa viene considerata vantaggiosa per
l’Impero: porta pace ed unità nel bacino del Mediterraneo. Augusto aveva pensato di

3
Cfr. HE VIII,17,1; cfr. Latt., De mortibus persecutorum, 36.
4
Orazio dice: suis et ipsa Roma viribus ruit, ovvero: la stessa Roma cade a causa della sua estensione.
7

restaurare il costume per mezzo dell’idealità religiosa che stabiliva per tramite del culto
imperiale: con lui compare il titolo di Kyrios riferito all’Imperatore.
Più tardi, i Severi e Diocleziano accentuano il carattere orientalizzante del culto
imperiale: chiedono espliciti atti di culto, nella convinzione che il credere comune nello
stesso principio divino, superando le differenze religiose locali, accomuni tutti nel
riconoscimento di un principio superiore celeste rappresentato in terra dall’Imperatore.
Prima di ricorrere al culto imperiale per rafforzare la coesione dell’Impero, lo stesso
scopo era stato perseguito con altri mezzi. All’inizio ci si era serviti delle strade per
portare ovunque, come fattore unificante, il diritto romano; ben presto, però, ci si era
accorti che molti dei suoi principi si raccordavano a concezioni dell’uomo e della vita
difficilmente condivisibili in altri contesti culturali (notiamo a questo proposito come,
ad esempio, il concetto romano di giustizia si riconducesse fondamentalmente alla
difesa della proprietà privata, mentre per il cristianesimo tale impostazione era
inaccettabile, dacché costringeva alcuni a restare privi del necessario sostentamento.
Altri esempi potrebbero poi venire offerti dal diritto sepolcrale...). Il fallimento del
tentativo di unificazione basato sull’universalizzazione del diritto romano pone nella
necessità, dal momento che si vogliono evitare conflitti per motivi non essenziali quali
le controversie giuridiche, di trovare un altro fattore di coesione.

Si decide allora di puntare sulla religione: ad ogni popolo viene permesso di mantenere i
propri dei (che anzi sono accolti nel Pantheon di Roma), purché si accetti di porre, al di
sopra di essi, l’Imperatore, divinità suprema e fonte di unificazione. A questa regola non
possono sottostare i Giudei, che però rivestono un ruolo assai importante per l’economia
dell’Impero. Si fanno loro concessioni in questo senso, ma li si relega nei ghetti e si
proibisce loro di fare proseliti attivamente. Un simile trattamento sembra prospettarsi,
almeno al suo nascere, anche per il cristianesimo: la forte spinta missionaria che esso
presenta, però, non lo rende assimilabile al Giudaismo; prende così il via l’epoca delle
persecuzioni, seppur diverse nei tempi e nei modi. Si può allora notare quanto la
tolleranza che l’ideologia imperiale rivendicava come caratteristica della romanità (cfr.
la polemica di Ambrogio contro Simmaco, a proposito della risistemazione dell’ara
della Vittoria a Roma) fosse invece dettata unicamente dall’interesse politico-
economico.
L’abdicazione di Diocleziano segna l’acme del processo di decadenza che stiamo
considerando, dal momento che essa è gravida di conseguenze negative per la teologia-
ideologia politica imperiale. All’inizio dell’Impero è il valore militare a decretare la
scelta dell’Imperatore: un generale era proclamato Augustus dai propri soldati e
confermava questa investitura se riusciva a sconfiggere i concorrenti. Quando l’Impero
assume proporzioni enormi, Diocleziano opera un passaggio: l’investitura dell’autorità
non viene né dall’esercito né dal Senato, bensì dalla divinità. Ma proprio Diocleziano,
abdicando, mette in crisi questa concezione: come può una divinità abdicare? Il
fallimento della persecuzione è un vero e proprio scacco per la divinità; non resta che
l’abdicazione, parimenti incompatibile con lo “status” divino Costantino, mostrando un
abilissimo intuito politico, trasferisce il principio della divinità imperiale nella
discendenza.
8

5. L’ascesa al potere di Costantino

Nel 324, con abile mossa, Costantino rinuncia al titolo di pontifex maximus per
assumere quello di “vescovo di quelli che stanno fuori”, in contrapposizione ai vescovi
effettivi, che sono “vescovi di quelli che stanno dentro”. Con l’assunzione di questo
titolo egli inizia a stabilire una distanza tra la gerarchia cristiana ed il laicato,
affermando la propria autorità su quest’ultimo. Prova di questo cambiamento di titolo,
che per la prima volta contrappone stato e gerarchia ecclesiale, è una moneta coniata
dallo stesso Costantino: in essa si vede la colomba dello Spirito santo, i cui raggi vanno
a colpire la testa di Costantino, che si proclama figlio di Dio. Siamo di fronte ad una
“trasposizione” della scena del battesimo di Gesù nel Giordano.
Costantino si presenta così come il primo punto di riferimento di una politica imperiale
che tiene in considerazione il cristianesimo. All’elemento di debolezza del potere
politico-religioso imperiale costituito dall’abdicazione di Diocleziano, Costantino
oppone il concetto della figliolanza divina dell’Imperatore (cfr. una moneta del 323/4).
Intendeva essere un alter Christus? Costantino non esprime mai questa pretesa: si limita
ad assumere dal cristianesimo una serie di idee che gli permettono di sostituire alla
tetrarchia la monarchia, nella quale vuole mostrare e richiamarsi al monoteismo
cristiano. Così egli assume tutti i poteri nell’Impero: pensa ed attua un regime politico
di monarchia assoluta. Da Costantino prende l’avvio l’intervento degli imperatori
cristiani nei problemi dottrinali, a tal punto che in seguito la situazione della Chiesa sarà
condizionata dall’ascesa al trono di un imperatore ariano o niceno: gli imperatori niceni,
infatti, tenderanno a non intervenire nelle discussioni teologiche5.
Costantino è figlio di Costanzo Cloro e di Elena. In gioventù combatte valorosamente
contro i Persiani, e nel 306, alla morte del padre, è acclamato imperatore dalle sue
truppe. Nel 310 sconfigge presso Marsiglia Massimiano e nel 312 combatte contro
Massenzio e lo sconfigge a Ponte Milvio. In questa occasione, secondo una tradizione
già attestata dai contemporanei, Costantino, dopo aver avuto una visione, fa porre sugli
scudi dei suoi soldati il monogramma cristiano (XP) come segno e garanzia di vittoria.
La tradizione del simbolo posto sugli scudi è attestata unanimemente, mentre quella
della visione (accompagnata dalle parole “in hoc signo vinces”) è riportata solo da
Eusebio e Lattanzio. È legittimo chiedersi, dunque, se l’impiego del monogramma
cristiano (e della successiva “conversione”) fu davvero suggerito dalla visione, o se
dipendesse da un calcolo politico. Tale questione non è a tutt’oggi risolta: lo storico non
può fare altro che cercare ed esaminare gli eventuali “effetti” della visione. Dopo la
vittoria su Massenzio, in effetti, Costantino fu favorevole ai Cristiani. Eccone alcune
testimonianze storiche:
313: disposizioni di Costantino e Licinio sulla libertà di culto (il c.d. “editto” di Milano)
324: sconfitta di Licinio: Costantino resta unico imperatore, e traduce nella monarchia
universale terrestre, sul piano teologico-politico, la monarchia celeste dell’unico vero
Dio. Delle sue vittorie su Massenzio e Licinio, lo stesso Costantino si preoccupò di
5
Valentiniano dirà: “Laicus sum”; ma il suo socio Valente, filoariano, convocherà tre concilii per far
deporre Atanasio.
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fornire una spiegazione “teologica”, dichiarando che i due furono puniti per aver
perseguitato i cristiani di oriente.

AVVENIMENTI CIVILI AVVENIMENTI ECCLESIASTICI


306 Dinastia dei costantinidi (fino al 361).
308 Congresso di Carnuntum
310 Costantino occupa la Spagna Martirio di Panfilo.
05.05: muore Massimiano:
Licinio occupa Balcani, Pannonia e
Rezia
Massimino Daia occupa l’Asia
311 Tutti e quattro si considerano augusti Inizi storici dello scisma donatista.
Galerio: editto di Serdica, pubblicato a (309 secondo Barnes e Lancel)
Nicomedia: tolleranza nel culto.6 Massimino ordina a Sabino la fine della
Massenzio ordina la restituzione dei persecuzione dei cristiani
beni
312 Costantino sconfigge Massenzio a Ponte Costantino: direttive di politica
Milvio (28.10) ed è unico Augusto ecclesiastica
d’Occidente. Martirio di Luciano di Antiochia
Cartagine: morte di Mensurio, Ceciliano
e Maggiorino vescovi di Cartagine
(scisma consumato)
313 30.04: Licinio sconfigge Massimino e Gen.: immunità del clero
resta unico Augusto d’Oriente. Sett.: muore Maggiorino gli succede
Massimino ordina libertà per i Donato
cristiani. Ott.: Sinodo romano sotto papa Milziade,
Sett.: massacrati tutti i parenti di convocato da Costantino su richiesta
Massimino, Galerio e Diocleziano. di Donato sulla questione della vera
13.06: Litterae Licinii Chiesa a Cartagine.

314 Costantino sconfigge Licinio e si prende Sin. di Arles, sotto Silvestro, questione
l’Illirico donatista.

315 Esilio a Donato e Ceciliano (inefficace)


316 Condanna e persecuzione dei donatisti
324 Costantino sconfigge Licinio ad
Adrianopoli: resta unico Imperatore.

325 Concilio ecumenico di Nicea.


330 Costantino fonda Costantinopoli
337 Morte di Costantino

BIBLIOGRAFIA essenziale su Costantino


6
Cfr. nota 3.
10

A. PIGANIOL, L’Empereur Constantin, Paris 1932: tuttora insuperato per alcune


intuizioni politiche.
FARINA, L’impero e l’imperatore cr istiano in Eusebio di Cesarea: la prima teologia
politica del Cristianesimo, Zurigo 1966.
A. ALFOLDI, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Bari 1986.
A.H. JONES, Costantino e la conversione dell’Europa, 1948.
S. MAZZARINO, L’impero romano, Laterza, Bari 1973.
BONAMENTE, “Apoteosi e imperatori cristiani”, in AA.VV., I cristiani e l’impero nel
IV secolo, Atti del convegno all’Università di Macerata, 1988.
CALDERONE S., Teologia politica, successione dinastica e consacratio nell’età
costantiniana, in AA.VV., Le culte du souverain dans l’empire romain, Ginevra
1973.
MOMIGLIANO A (a cura di), Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel IV secolo,
Einaudi, Torino 1968. Molto importante l’articolo dei MOMIGLLANO, “Il
cristianesimo e la decadenza dell’impero romano”, pp.3-19: egli giudica determinante il
Cristianesimo nella decadenza dell’impero. PINCHERLE notava acutamente che in
ogni passaggio epocale c’è sempre continuità e frattura.
VOGT, “Pagani e cristiani nella famiglia di Costantino il Grande”, ibidem, 45-63.

6. Provvedimenti di Costantino a favore dei Cristiani

Si preoccupa di strutture che aiutino a conservare l’unità della Chiesa cristiana: cursus
publicus offerto ai vescovi (che avevano avuto i beni confiscati), che però diviene anche
un mezzo di controllo, poiché Costantino crede fermamente che l’unità della Chiesa sia
importante per l’unità dell’impero.
Provvedimenti in favore del clero: immunità ecclesiastica (prima esisteva solo per i
sacerdoti pagani); conferimento di valore civile alle sentenze emesse dai vescovi (che
però li fa entrare nell’amministrazione della giustizia civile).
Misure contro gli scismi e le eresie (314: decreti contro i Donatisti; in seguito contro gli
ariani), motivate dal fatto che Costantino vuole mantenere il favore della Chiesa
cattolica. Per l’imperatore tutto ciò che sta fuori dalla monarchia è come una “eresia”
politica: per questo egli è favorevole ai cattolici ma cerca di conquistarsi anche i pagani
(è interessante notare come per Orosio siano “eresie” tutti i popoli non nell’impero,
poiché sono al di fuori della monarchia terrestre, riflesso di quella celeste. Per questo
alcuni Padri identificano la caduta di Roma con quella del cristianesimo).
Costantino, inoltre, centralizza l’amministrazione statale e, con i titolo “vescovo di
quelli di fuori” accosta/oppone al potere dei vescovi sugli affari ecclesiali, il suo potere
sui laici.
Nel 330 Costantino celebra la dedicazione di Costantinopoli, nuova Roma, unendo nelle
cerimonie riti pagani e cristiani. Con la fondazione di Costantinopoli ha origine un
fenomeno religioso che creerà gravi problemi in seno alla Chiesa. Un canone del
Concilio di Costantinopoli (381) proclamerà questa città degna degli stessi privilegi
religiosi di Roma (pur lasciando a questa il primato di onore). Il canone 28 di
Calcedonia (451) ribadirà che Costantinopoli ha gli stessi privilegi di Roma perché è la
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nuova Roma, ma tale canone sarà approvato dal Papa solo con il Concilio Lateranense
II.7 Il discorso avviato da Costantino vuole sottolineare che Roma è capitale della
Cristianità solo perché è stata anticamente centro dell’impero, e quindi a suo parere non
ci sarebbero problemi a sostituirla con Costantinopoli quando l’antica Roma viene
invasa. Sarà la tesi propugnata poi da Fozio in vista dello scisma. Da questo modo di
pensare derivano poi anche tutte le difficoltà nei rapporti tra chiesa d’oriente e
d’occidente, e tra queste ed il potere politico (notiamo come l’allontanamento da Roma
abbia poi creato sempre chiese nazionali. Il primato di Roma si fonda invece su di un
motivo religioso: il martirio di Pietro e Paolo ed il primato della carità).
Negli ultimi anni della sua vita, Costantino si avvicinerà sempre più alle posizioni
ariane.

7. Influsso religioso di Costantino

Si manifesta soprattutto in due direzioni:


1. L’intervento contro i Donatisti. Costantino non comprende chiaramente quale sia la
vera chiesa in Africa, e chiede consiglio a papa Milziade. Convoca poi il sinodo di
Roma (313), che condanna Donato. Questi presenta appello, e si ha così il sinodo di
Arles (314): papa Silvestro vi manda dei legati, e viene ribadito il giudizio dato a Roma.
La scelta di Costantino in favore dei cattolici è quindi essenzialmente basata su motivi
politici: i donatisti provengono dalla Numidia, regione sempre ribelle verso il potere
imperiale, la cui chiesa ha pure caratteri antiromani. Così non avverrà per l’arianesimo:
quando l’imperatore lo vedrà diffuso ovunque, non avrà problemi nel preferirlo. Da
ricordare che i vescovi Donato e Ceciliano vengono condannati all’esilio, ma non ci
vanno. La Chiesa d’Africa in questo modo si divide dall’Occidente.
2. Il Concilio di Nicea: Costantino vi ha una parte predominante e come aveva fatto già
ad Arles, spingerà per l’unificazione della data della Pasqua per motivi politici.
Costantino si fa arbitro in questo concilio da lui stesso convocato e prende
provvedimenti davvero pesanti. Ma perché i vescovi dovevano rivolgersi all’imperatore
per convocare un concilio? Questo è il compromesso Chiesa/Impero che peserà fino
all’XI secolo, quando al concilio Lateranense fu il papa a prendere per la prima volta
l’iniziativa di convocarlo. Eppure Costantino non era competente circa gli argomenti
teologici, visto che in una lettera inviata al vescovo di Alessandria Alessandro, scrive:
“…ma è possibile che fate tutti questi problemi per un solo verbo?” (il verbo in
questione era  - creare o generare?).
Circa la data della Pasqua, Costantino voleva che fosse un’unica festa sia per l’Oriente
(dove le Chiese d’Asia, di fondazione giovannea, erano propense per il 14 di Nisan, a
ricordo del sacrificio dell’agnello), che per l’Occidente (dove si era d’accordo per la

7
Canone 5 del Concilio Lateranense IV (1215): Rinnovando gli antichi privilegi delle sedi patriarcali,
decretiamo che... dopo la Chiesa Romana, la quale per disposizione del Signore ha il primato della
potestà ordinaria su tutte le altre chiese.... la Chiesa di Costantinopoli abbia il primo posto, quella di
Alessandria il secondo, quella di Antiochia il terzo, quella di Gerusalemme il quarto. I quattro patriarchi
riceveranno così il pallio da Roma e ad essa presteranno “giuramento di fedeltà e obbedienza”.
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domenica). Nell’antichità la festa era un evento di grande importanza, perché era un


momento di aggregazione sociale e religiosa.

8. Eusebio di Cesarea

S’inserisce in questo periodo perché dedica all’imperatore Costantino degli scritti


importanti. Era sfuggito alla persecuzione di Diocleziano, che non aveva risparmiato
neppure il suo maestro Panfilo. Scrisse una Laus Costantini comprendente un trattato
sulla Basilica del Santo Sepolcro (voluto dalla mamma di Costantino, Elena) e due
panegirici in occasione del ventennale e del trentennale dell’ascesa al trono
dell’imperatore. Scrisse anche una Vita Costantini8, una biografia con evidenti fini
encomiastici. È una biografia sui generis perché segue la cronologia della vita di
Costantino (si può dire che è la prima agiografia che abbiamo, perché Costantino è
ritenuto santo in Oriente). In essa sono di notevole importanza 15 documenti (13 lettere
e 2 decreti), che mostrano la figura dell’imperatore come un eroe (idea pagana) del bene
cristiano, un uomo della provvidenza che ha con Dio un rapporto diretto (richiamo alla
divinità dell’imperatore). Eusebio non trova in lui alcun difetto de non quello della
generosità. In questa biografia si delinea una teologia politica tripartita:
a. regno del Padre: potestà universale (rappresentata da Costantino);
b. regno del Logos: esercizio della potestà universale;
c. regno di Cristo-Dio: avverrà alla fine dei tempi.
Dalle parole di Eusebio sembra quasi che sia Costantino a portare avanti il disegno di
salvezza.

9. La politica di Costanzo II (337-361)

Nel 337 muore Costantino. Prima di morire si fa battezzare da un vescovo filoariano,


Eusebio di Emesa. Costantino ebbe tre figli: Costante e Costantino II (di fede nicena);
Costanzo II, filoariano, eliminerà i due fratelli, rimanendo nel 351 unico signore
dell’Impero.
Costanzo II vuole unificare l’Impero sotto l’unica fede. Interviene direttamente sulle
questioni dottrinali, adoperandosi per la coesione dell’episcopato sulla base di formule
di compromesso fra Nicea e l’arianesimo. Dal 353 al 361 divenuto unico imperatore può
dare un colore filoariano alla politica religiosa imperiale. Convocò 4 concilii allo scopo
di trovare una formula che eliminando l’homoousios, potesse essere sottoscritta dagli
occidentali. La prima formula di Sirmio del 351 e la seconda del 357, in cui si toglie la
parola consustanziale, lasciano il posto al subordinazionismo secondo l’espressione
“subordiniamo il Figlio al Padre”. Non solo, con il Concilio di Arles (353), con il
Concilio di Milano del 355 (che apporta formule nuove che sostituiscono il simbolo di

8
Nota bibliografica:
ALFÖLDI, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Bari 1966
FARINA, L'impero e l'Imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del
cristianesimo, Zurigo, 1976. È un'opera fondamentale ancora insuperata.
13

Nicea) e con il Concilio di Beziérs, viene richiesta, esplicitamente nella persona di


Costanzo II, la condanna e la destituzione di Atanasio. Verranno poi esiliati i vescovi
che si opposero alla condanna di Atanasio tra i quali possiamo ricordare Lucifero di
Cagliari, Ilario e Papa Liberio.
Questi sono i quattro concilii:

353 Concilio di Arles: primo tentativo di discutere il Simbolo di Nicea.


355 Concilio di Milano: Costanzo II propone formule nuove che sostituiscono il
Simbolo.
356 Concilio di Beziers: viene richiesta la condanna e la destituzione di Atanasio.
357 Concilio di Sirmio: riprende la prima formula subordinazionista, parla della
superiorità del Padre e dichiara Cristo come creatore di tutte le cose.

10. Giuliano (361-363)

Poco prima della morte di Costanzo II (360) viene proclamato augusto Giuliano,
generale delle Gallie, che si scontra con lui nel 361 e ne esce vincitore. Giuliano vuol
far rivivere l’impero romano con la propria religiosità pagana. Notiamo in lui due linee
fondamentali:
a) una forte avversione nei confronti di qualsiasi tipo di scisma/eresia che possa
turbare la pace; per questo farà rientrare in sede i vescovi niceni esiliati da
Costanzo. Non gli interessano in alcun modo le dispute teologiche, ma ha il solo
desiderio di ristabilire l’ordine pubblico;
b) il desiderio di ristabilire un impero pagano, ovvero moralmente superiore a
quello cristiano.
Giuliano avvia la sua politica con il ristabilimento dell’educazione pagana nelle scuole,
e questa sua azione provoca oggi molte polemiche relative al suo effettivo significato.
La tradizione cristiana lo ha sempre ritenuto un persecutore 9, basandosi soprattutto sul
decreto di allontanamento dei cristiani dalle scuole. Abbiamo su questo due documenti:
1. La Constitutio de Magistris studiorum del 17.6.362 (Codex Theodos. XIII,3,5), che
stabilisce come gli insegnanti debbano eccellere per moralità di vita, eloquenza e
competenza scientifica. Stabilisce allora che la nomina dei professori nelle città
dell’impero passi attraverso due fasi: il placet delle curie municipali (sempre in mano ai
pagani) e la nomina personale dell’imperatore. Questa legge non fa un riferimento
specifico ai maestri cristiani, ma ad essa segue, dopo breve tempo, una lettera.
2. Lettera (ep.61) inviata dall’imperatore ai docenti cristiani dell’Oriente. Questa lettera
ha l’aspetto di una circolare che spiega la Constitutio, ed in essa Giuliano si esprime con
molta chiarezza. Egli dice che, per bene insegnare, vi è innanzitutto la necessità di una
assoluta coerenza tra gli insegnamenti e le personali convinzioni del docente, poiché
chiunque pensa una cosa e ne insegna un’altra è ben lontano tanto dalla genuina
educazione, quanto dall’onestà.
9
LUGARESI L. (a cura di ), Gregorio di Nazianzo contro Giuliano l'Apostata, Firenze, Nardini 1993;
GUIDA A., Teodoro di Mopsuestia replica a Giuliano imperatore, Firenze, Nardini 1994.
14

Ne consegue che una fondamentale esigenza di rigore morale impedisce agli insegnanti
di avere convinzioni personali inconciliabili con l’esercizio della professione. Ciò vale
in particolare per coloro che spiegano ai giovani i testi antichi: retori, grammatici,
sofisti. L’imperatore afferma che chi disprezza gli dèi degli autori classici, non può
validamente commentarne le opere. Per questo, gli insegnanti che vivono tale dicotomia
devono, per onestà, scegliere se rivedere le proprie posizioni o lasciare l’insegnamento,
tanto più che ora, cadute le leggi che limitavano il culto pagano, non ci si può più
nascondere dietro il pretesto di una carente libertà religiosa. Giuliano non abrogò,
dunque, la liceità del cristianesimo, ma ristabilì tutte le divinità pagane; non impedì
l’esistenza nell’impero di altre religioni, ma vietò l’insegnamento ai maestri cristiani. I
giovani cristiani, invece, potevano frequentare le scuole pubbliche, ma dovevano
accettare l’insegnamento pagano.
Scopo di Giuliano è anzitutto quello di difendere l’esercito e l’impero da quella che
ritiene una “moda” cristiana (tra il 325 ed il 360 vi era stato un boom del cristianesimo):
i barbari premono ai confini e l’impero non ha più una solida unità. La nuova unità
basata sul cristianesimo, che si era iniziata a costruire, era stata infranta dalle
controversie postnicene. Di fronte a questi problemi Giuliano non chiede per sé onori
divini, ma torna a proclamare la validità di un Impero pagano e tollerante, e punta alla
moralizzazione delle strutture pubbliche. C’erano state molte conversioni facili, a
motivo dei benefici accordati ai cristiani, che avevano portato ad una vasta corruzione;
Giuliano vede in questa razza di cristiani un pericolo per l’unità dell’impero: vuole
dunque riportare al paganesimo questa massa rapidamente “cristianizzata”.
Al presente, i due documenti di Giuliano sulla scuola vengono valutati diversamente: la
constitutio non menziona esplicitamente i cristiani, e la lettera 61 è sempre stata vista
come una circolare esplicativa. Recentemente è stata proposta una tesi, secondo la quale
Giuliano non aveva intenzione di perseguitare i maestri cristiani, dal momento che i due
documenti dovrebbero essere considerati separatamente. Se si fa della constitutio un
documento isolato, da essa risulta che scopo dell’imperatore era assicurare moralità e
competenza. La lettera 61, se staccata dalla constitutio, diventa allora una lettera privata
che richiama i maestri al loro dovere: non ci sarebbe quindi una legislazione
persecutoria. Questa è la tesi di S. Pricoco10.

10.1 Il parere della tradizione antica

Quale itinerario seguire in una critica storica? Si richiede innanzitutto la conoscenza


dello status quaestionis sugli studi relativi, ed uno studio sulle fonti e testimonianze
contemporanee (pagane e cristiane). Consideriamo allora le testimonianze degli scrittori
cristiani del IV secolo:
- Orationes IV-V di Gregorio di Nazianzo (Invectivae contra Iulianum, dell’inverno
363/364), che rimprovera a Giuliano di aver privato per legge i cristiani della parola.

10
L’editto di Giuliano sui maestri, in “Orfeus” 1 (1980), 362ss.
15

- Ambrogio (epp. 17-18, contro Simmaco, del 384) confuta la relatio di Simmaco
(prefetto di Roma) ricordandogli che Giuliano ha perseguitato i cristiani togliendo loro
l’insegnamento. Secondo Ambrogio, quindi, vi fu una legge giulianea di persecuzione
verso i maestri cristiani.
- Chronicon di Eusebio-Girolamo, anno 363. Riferisce le dimissioni dall’insegnamento
di un sofista cristiano (Proeresio, maestro di Basilio e Gregorio Nazianzeno), e dichiara
che le dimissioni furono dovute alle leggi di Giuliano. Proeresio aveva poi avuto una
concessione eccezionale dall’imperatore per continuare a insegnare.
- Agostino (Conf., VIII,5) riporta le dichiarazioni fattegli da Simpliciano, che gli
raccontò come Vittorino avesse dovuto lasciare l’insegnamento. Lo stesso Agostino, nel
386, prima di andare a Cassiciaco per prepararsi al Battesimo, cerca un modo “elegante”
per smettere l’insegnamento; aspetta allora la chiusura delle scuole per la vendemmia.
- Ammiano Marcellino (Rerum gestarum libri..., XXII). Si inserisce tra gli scrittori
pagani e parla dell’attività legislativa di Giuliano e accenna alla legge che proibisce
l’insegnamento ai professori cristiani.
Dall’esame delle testimonianze concludiamo come non sia sufficiente la conoscenza
della storiografia moderna, se non è unita alla lettura delle testimonianze
contemporanee.

11. Gioviano (363-364)

Giuliano resse l’impero per soli due anni (acclamato nel 360, diviene imperatore nel 361
e muore in combattimento contro i Persiani nel 363). Gli succede per breve tempo (un
anno) Gioviano, cristiano di fede nicena, che interrompe il processo di ripaganizzazione.
Ebbe però scarso peso politico: si limitò ad una attività di pace nei confronti dei
Persiani.

12. Valentiniano I (364-375)

Nel 364 viene acclamato imperatore un ufficiale dell’esercito che aveva combattuto in
Pannonia, Valentiniano, che regna fino al 375. Cristiano niceno, sente subito (365)
l’esigenza di far collaborare con sé il fratello Valente (ariano) cui affida la parte
orientale dell’impero, che viene così di nuovo diviso. La diversa fede dei due fratelli
augusti segna un periodo assai significativo nel costruirsi della frattura tra oriente ed
occidente.
Valentiniano I segue la grande linea degli imperatori romani, e non interviene nelle
discussioni teologico-dottrinali: si limita a ricercare anzitutto la pace dell’impero.
Cerchiamo ora di comprendere la sua politica. Sozomeno (HE, VI) ci dice che, richiesto
di un intervento antiariano, rispose: “Laicus sum. Come laico non mi è lecito giudicare
in questioni di fede”. Valentiniano I ratifica l’elezione episcopale di Ambrogio (374),
ma gli resta distante. Da parte sua, Ambrogio ebbe quasi timore di questo imperatore:
quando Valentiniano ripudia la prima moglie (madre di Graziano) per sposare la
filoariana Giustina, Ambrogio non dice una parola. Nell’epistola 21, Ambrogio fa il
panegirico di Valentiniano I, e ne esalterà il cristianesimo scrivendo al di lui figlio
16

Valentiniano II. Alla morte di Valentiniano I, Ambrogio prende posizione contro


Giustina, ma non le rinfaccerà mai il ripudio che le permise di sposare l’imperatore.
Caratteristica della politica di Valentiniano I è la sua presa di posizione contro i pagani.

13. Valente (375-378)

Regge l’impero dal 374-5 fino al 378. È filoariano, e la sua politica religiosa è assai
diversa da quella di Valentiniano I. Valente è pienamente interventista in campo
dottrinale: studia, si dice teologo, favorisce gli ariani in Oriente. Nel 365 emana un
editto con cui rimanda in esilio i vescovi niceni fatti rientrare da Giuliano. Basilio e
Gregorio di Nazanzio riferiscono che questo imperatore perseguitava chi non aderiva al
credo ariano. Sozomeno (VI, 14), Gregorio Nazianzeno (Orat. 25), Basilio (ep. 243)
denunciano la persecuzione di Valente contro i non ariani (365).
Nel 369, finita la guerra gotica, Valente inizia una nuova persecuzione contro i non
ariani. L’occasione gli è offerta dalla morte del vescovo ariano di Costantinopoli,
Eudosso, e dalla lotta per la sua successione.
Vi furono così fino al 392 trenta anni di netta separazione tra oriente e occidente, una
separazione di lingua e di terminologia teologica che portò a radicalizzare le posizioni
antiariane ed antinicene. L’occidente tenta una teologia politica che separa chiesa ed
impero, mentre in Oriente si accentua l’identificazione tra potere politico e potere
religioso: il Patriarca di Costantinopoli sarà per lungo tempo la longa manus religiosa
del potere imperiale. Si nota nello stesso tempo l’inizio della formazione delle chiese
nazionali. Quando Valente sostituisce i vescovi niceni con quelli ariani, egli si arroga un
diritto di nomina che era sempre stato delle Chiese e del popolo cristiano. Valentiniano
I, invece, si limiterà a ratificare l’elezione fatta dal popolo (cfr. il caso di Ambrogio). La
separazione oriente/occidente, ariani/niceni venne accentuata dal fatto che le catechesi
impartite dai vescovi creavano anche nel popolo le divisioni sulla fede.
L’unico punto comune tra Valentiniano I e Valente fu una politica fortemente
antipagana. Le conseguenze di questa linea politica si avranno con il successore di
Valentiniano I, Graziano.

14. Graziano (378-383)

Tenta di seguire la politica religiosa del padre (Valentiniano I), incentrata sulla
neutralità, ma si imbatte nella figura di Ambrogio, acerrimo nemico di Valente, che si fa
scegliere come precettore dottrinale dell’imperatore stesso. Ambrogio, quindi, incide
fortemente sul mutamento della posizione religiosa imperiale. Graziano aveva avuto una
raffinata educazione letteraria, ma era digiuno di teologia; Ambrogio gli dedica il De
Fide, ove mostra come la retta fede sia quella cattolica nicena. Sempre a Graziano è
dedicato il De Spiritu Sancto (cfr. nel 381 il Concilio Costantinopolitano I contro gli
Pneumatomachi), in cui dichiara in qualche modo la divinità dello Spirito Santo,
dicendolo uguale al Padre ed al Figlio. La terza opera dedicata a Graziano è il De Noë,
dove Ambrogio, in modo allegorico, esalta Graziano come uomo giusto.
17

Ambrogio ha dunque praticamente in mano sua Graziano. Nel 381 Teodosio convoca il
primo Concilio ecumenico di Costantinopoli. L’occidente sarà rappresentato solo da due
legati papali, perché nel frattempo Ambrogio ha ottenuto da Graziano di convocare il
Concilio di Aquileia (381). Il motivo della convocazione risiede nel fatto che nella zona
dell’Illiria confinante con l’impero di occidente vi erano tre vescovi ariani convinti di
cui Ambrogio voleva disfarsi. Ambrogio, infatti, sa che la rimozione dei vescovi niceni
operata da Valente è contro la retta fede, e teme che questi vescovi possano “inquinare”
anche l’occidente; d’altronde, egli non ha potere su di loro, ed allora chiede a Graziano
di farsi regalare da Teodosio quella porzione di Illirico. Teodosio accetta, ed allora
Ambrogio può servirsi di Graziano per convocare il Concilio di Aquileia, nel quale, poi,
agirà assolutamente in prima persona.
Dal 378 è imperatore d’Oriente Teodosio, cattolico convinto. Costui emana nel 380 un
editto che fa tremare la cristianità orientale: proclama che la fede dei suoi sudditi deve
essere quella di Pietro, perché vuole ingraziarsi il Papa ed i vescovi occidentali. Ma per
gli Orientali la fede trinitaria degli occidentali era gracile e differente dalla loro
tradizione teologica.
Ambrogio può quindi destituire rapidamente i tre vescovi ariani, dimostrando una non
comune intelligenza politica.
Nel 382 Ambrogio replica, chiedendo a Graziano di convocare un Concilio a Roma
contro i Priscillianisti. Priscilliano verrà poi ucciso, prima vittima di un omicidio fatto
dall’imperatore su richiesta della Chiesa: tutto fu causato dall’invidia di alcuni vescovi
spagnoli per la sua predicazione ascetica, che ne provocò la destituzione e l’uccisione.
Ambrogio ed il Papa protestarono contro questo delitto, ma d’altra parte Graziano aveva
promulgato (dietro l’influsso di Ambrogio) una legge che proscriveva l’eresia.11

15. Teodosio (378-395)

Succede dapprima a Valentiniano, imperatore d’oriente (378). Con il suo primo editto,
già ricordato, capovolge la politica religiosa in oriente, provocando sconcerto: alcune
espressioni di fede in lingua latina tendevano ad una forma di monarchia trinitaria,
sottolineando più l’unità che la trinità di Dio; l’Oriente, invece, sottolineava
maggiormente la distinzione tra le Persone divine.
381: Concilio Costantinopolitano I contro Pneumatomachi ed Eunomiani.
Codex Theod. XVI: prescrizioni contro eretici e pagani: ai primi vengono tolti i
luoghi di culto.
381: Editto contro gli eretici.
Due episodi sono fondamentali per comprendere il controverso rapporto tra Ambrogio e
Teodosio:
a) 389: Il vescovo cattolico di Callinico sollecita i fedeli a bruciare la sinagoga ed il
tempietto pagano dei Valentiniani. Teodosio interviene dicendo che anche Ebrei e
Valentiniani devono avere rispetto per il loro culto, dal momento che non sono eretici, e

11
cfr. il Codex Theodos. XVI, 5, 5.
18

multa il vescovo, intimandogli di ricostruire a sue spese sinagoga e tempietto.


Ambrogio interviene immediatamente, dicendo di assumersi personalmente tutta la
colpa del vescovo di Callinico ed invitando Teodosio a multare lui, invece di quello.
Secondo lo storico moderno questo intervento appare indiscutibilmente intollerante, ma
la nostra lettura deve andare oltre, considerando il valore politico del fatto. Alla fine
Teodosio stesso fa ricostruire, a sue spese, tempietto e sinagoga, ma questo evento
segnerà negativamente i suoi rapporti con Ambrogio.
Dobbiamo notare che Ambrogio e Teodosio erano ambedue cattolicissimi, ma ciascuno
di loro tende a limitare gli ambiti d’intervento del “rivale”. Di fatto, la “vittoria” di
Callinico segnerà l’inizio del declino in campo politico di Ambrogio. Dal 389 al 391
Teodosio isola Ambrogio, impedendogli la conoscenza delle notizie politiche.

b) 390: a Tessalonica si tengono i giochi del circo, ai quali doveva partecipare un


famosissimo auriga, che intratteneva però rapporti omosessuali con il suo cocchiere.
Tali rapporti erano stati proibiti da un editto di Teodosio, ed allora il prefetto impedisce
all’auriga di correre; questo provvedimento determina la rivolta della folla inferocita,
che assalta e mette a soqquadro la prefettura, mentre il prefetto è trascinato per strada
dagli esagitati. Teodosio, allora, escogita un tranello: facendo mostra di voler riprendere
i giochi fa riaprire il circo, ed entrare quanti avevano il biglietto valido per lo spettacolo
precedente (5000 persone ca.). Una volta che gli spettatori sono nel circo vengono
sprangate le porte, e si lascia libero spazio alla feroce vendetta dei soldati: auriga,
cocchiere e folla vengono trucidati fino all’ultimo uomo.
Ambrogio, venuto a sapere il fatto, scomunica Teodosio, e con questo atto praticamente
gli toglie l’assenso della popolazione cristiana, rimproverando all’imperatore di aver
commesso un peccato enorme (la strage) per farne evitare un altro (l’omosessualità).
Ambrogio ha pure buon gioco nel rinfacciare a Teodosio di averlo fatto isolare: dice
infatti di aver tentato di inviargli delle lettere per fermarlo, le quali però furono
intercettate prima di arrivare a destinazione dalla rete di controllo che lo stesso
Teodosio aveva fatto stendere intorno ad Ambrogio.
Teodosio si piega a chiedere perdono, ma nello stesso tempo applica gravi sanzioni ad
Ambrogio: gli toglie i benefici e le sovvenzioni, e mostra simpatie maggiori verso i
pagani. In effetti, la strage fu ordinata da Teodosio soprattutto per motivi politici: dare
soddisfazione alla rabbia delle truppe (ariane in massima parte) che avevano visto i loro
compagni uccisi dalla folla assetata di sangue. Lo stesso Ambrogio, poi, aveva sì
protestato contro l’uccisione delle vittime, ma nello stesso tempo aveva condannato
l’uccisione di cristiani niceni (la folla) da parte di ariani (le truppe).

16. Come i cristiani hanno visto l’impero?

La riflessione cristiana sul rapporto da mantenere con l’autorità civile nasce già nel II
secolo con Ireneo, Teofilo, Tertulliano ed Origene. Il loro punto di partenza è la
Scrittura, ed in particolare due serie di testi.
La prima serie di testi riconosce valore all’autorità ed alle istituzioni della società civile:
19

Sap 6,1-11:
Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra. Porgete
l’orecchio, voi che dominate le moltitudini e siete orgogliosi per il gran numero dei vostri
popoli. La vostra sovranità proviene dal Signore; la vostra potenza dall’Altissimo, il quale
esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo
regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge né vi siete comportati
secondo il volere di Dio. Con terrore e rapidamente egli si ergerà contro di voi poiché un
giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto. L’inferiore è meritevole di pietà, ma
i potenti saranno esaminati con rigore. Il Signore di tutti non si ritira davanti a nessuno, non ha
soggezione della grandezza, perché egli ha creato il piccolo e il grande e si cura ugualmente di
tutti. Ma sui potenti sovrasta un’indagine rigorosa. Pertanto a voi, o sovrani, sono dirette le mie
parole, perché impariate la sapienza e non abbiate a cadere. Chi custodisce santamente le cose
sante sarà santificato e chi si è istruito in esse vi troverà una difesa. Desiderate, pertanto, le mie
parole; bramatele e ne riceverete istruzione.

Tale testo si affianca ad altri tre testi:


Rm 13,1-7:
Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle
che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine
stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti
infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da
temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene.
Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio
per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per
timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i
tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a
ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il
timore; a chi il rispetto il rispetto.

Pr 8,15-16:
Per mezzo mio regnano i re e i magistrati emettono giusti decreti; per mezzo mio i capi
comandano e i grandi governano con giustizia.

1Tm 2,1-2:

Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e


ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché
possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità.

Il secondo filone di testi tende a distinguere tra la bontà dell’autorità e le persone


concrete che tale autorità incarnano:
Os 8,4:
Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa. Con il loro
argento e il loro oro si sono fatti idoli ma per loro rovina.

Già nella Scrittura, quindi, inizia una chiara distinzione tra l’autorità (che viene da Dio)
e le persone che rivestono questa autorità (che possono peccare e non essere gradite a
Dio).
20

Ha poi una grande importanza il brano evangelico di Mt 22,15-22 (Mc 12,13-17; Lc


20,21-25):
Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che
sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non
guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: É lecito o no pagare il tributo a
Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate?
Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro:
«Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro:
«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste
parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

L’interesse degli studiosi per questo loghion è testimoniato da un’abbondante


letteratura, di cui indichiamo alcuni esempi:
 il brano esprime un rimprovero di Gesù ai Giudei, che si occupano più degli
interessi terreni che di quelli di Dio (DIBELIUS, Roma e Cristo, 1941) -
interpretazione antigiudaica;
 Gesù riconosce il potere politico romano (STAUFER, 1952);
 Cristo assume una posizione neutrale rispetto ad un fatto essenzialmente politico (S.
MAZZARINO, 1973: si noti che tale studioso era di area comunista, e che il clima
politico italiano di quei tempi spingeva per una frammentazione dell’impegno
politico dei cattolici!);
 Il loghion vuole essere una pacifica rivoluzione nei confronti della concezione
teocratica del Giudaismo, che vedeva nel monarca un mediatore tra JHWH ed il
popolo (BARBERO, Il pensiero politico cristiano dai vangeli a Pelagio, Torino
1962).

L’esame dei commentatori moderni ci mostra come ogni interpretazione corrisponda ad


un filone ideologico seguito dagli esegeti!
Esaminiamo ora le interpretazioni precostantiniane di questo versetto. Notiamo che il
loghion assume un significato monocorde, ovvero quello di una catechesi sul rapporto
dei cristiani con il mondo, rappresentato dalla società civile. Tale rapporto si basa
innanzitutto sull’invito alla conversione, possibile se si toglie dall’uomo l’immagine di
questo mondo (= l’immagine di Cesare).

 IGNAZIO, Magn. 5,1: Dovete abbandonare la via che porta alla morte, quella degli
infedeli, per avere grazie a Cristo l’immagine del Padre. Per fare ciò bisogna
restituire al mondo tutto quanto porta l’effigie del mondo.
 IRENEO (AH): Mai i Profeti e gli Apostoli hanno chiamato Dio e Signore altri se
non il vero Dio. Questa affermazione va contro gli imperatori divinizzati, dacché
“si chiama Cesare, si confessa Dio come Dio.
 TERTULLIANO, Adv. Marc. IV, 38: è necessario restituire a Cesare le sue monete,
ovvero acquistare quella libertà che consente di restituire l’uomo al suo Creatore.
 CLEMENTE ALESS., Ecl. Proph. 24: bisogna abbandonare la figura dell’uomo
terrestre perché l’imago Dei che è in lui possa rivolgersi al Padre.
21

 ORIGENE, in Matth. Evang. 17,28: restituire a Cesare significa restituire al principe


di questo mondo, per rendere a Dio l’uomo che gli appartiene.

Notiamo dunque che i Padri dell’epoca precostantiniana hanno interpretato questo brano
evangelico soprattutto come riferentesi al singolo cristiano di fronte all’Impero.
I Padri del IV secolo, invece, sono partiti da queste affermazioni per proporre un
discorso sul rapporto tra il Cristianesimo ed il potere politico. Essi vivono in un’epoca
nella quale il cristianesimo è assecondato dal potere civile, ma questo non risolve le
difficoltà. Nel 356 il vescovo Ossio di Cordova scrive a Costanzo (filoariano - la lettera
è riportata da Atanasio, Historia Arianorum 44), affermando la sovranità dello Stato
sulle cose temporali, ma anche l’indipendenza della Chiesa dallo Stato in materia di
fede. Non si parla ormai più del singolo, ma della Chiesa in quanto comunità
riconosciuta, capace di stare di fronte all’Impero, e la riflessione dei Padri latini sarà
fortemente influenzata dal diritto romano (cfr. Ambrogio). In oriente il discorso si affina
con una distinzione in base alla quale per il potere accade come per le facoltà
dell’anima: vengono da Dio, ma se ne può fare un uso cattivo. in questo senso Basilio e
Gregorio Nazianzeno dichiarano lecito il non obbedire ad una autorità che a sua volta
non obbedisca alla giustizia divina.

17. L’Ambrosiaster

Una figura di particolare interesse, in questo campo, è l’Ambrosiaster, che presenta una
teologia politica con forti reminescenze giudaiche. Ci soffermiamo brevemente su di lui.
Questo scrittore fa derivare il suo nome dalla pseudoepigrafia dei suoi commentari a
Paolo, che erano traditi sotto il nome di Ambrogio. Nel XVI secolo, Erasmo da
Rotterdam, ed altri, dimostrano come lo stile delle quaestiones Novis et Veteris
Testamenti e dei Commentaria in Pauli epistolas sia assai diverso da quello di
Ambrogio. Sull’identità del loro autore vi sono varie ipotesi, tuttora non definitive: si va
dall’attribuzione ad un certo Isaac, ebreo romano convertito all’epoca di Damaso, che
avendo inutilmente appoggiato Ursino se ne va poi in Spagna e torna al Giudaismo (la
cui damnatio memoriae ne avrebbe colpito solo il nome, e non le opere). Per altri si
tratta di Simpliciano, pagano neoplatonico che ebbe un ruolo decisivo nella vita di
Ambrogio e di Agostino, ma tale ipotesi si basa solo sulla di lui passione per Paolo e
sulla mancanza di opere a lui ascritte.
L’Ambrosiaster commenta Mt 22,21 nel suo commentario alla lettera ai Romani: esorta
i cristiani a pagare le tasse come segno di sottomissione allo Stato gradita a Dio. Questo
Autore non parla di compenetrazione tra le autorità, ma commenta solo la prima parte
del loghion, valorizzando la sottomissione politica del cristianesimo: l’Imperatore è
quasi vicarius Dei. Afferma che si pagano le tasse perché i magistrati sono ministri di
Dio per tale compito, affinché gli uomini sappiano di agire sotto un’autorità voluta da
Dio. I principi sono soggetti a Do, che dona a chi vuole l’autorità.
La teoria del sovrano quasi vicarius Dei si trova anche altrove nell’Ambrosiaster, ed è
ritenuta talmente ovvia da non avere bisogno di spiegazioni. Tale concezione teocratica
dell’Ambrosiaster sarebbe indizio delle sue ascendenze giudaiche.
22

18. Ambrogio

Lo ricordiamo come il grande mediatore del pensiero teologico orientale in Occidente.


Non ha la vivacità intellettuale e la simpatia di Agostino, ma è attraverso di lui che al
grande Ipponate arriva la teologia di Giovanni Crisostomo e di Origene.
Ambrogio è il primo vescovo che riflette sui rapporti tra la comunità cristiana ed il
potere civile: constata che la Chiesa assume delle responsabilità in ambito civile, e si
chiede come formare in tale prospettiva i cristiani. La sua interpretazione di Mt 22,21 si
trova nel Sermo contra Auxentium, 30-33 (Aussenzio è il vescovo ariano chiamato da
Giustina imperatrice a Milano per la cura pastorale delle truppe e della corte imperale,
compreso l’imperatore Valentiniano II; Giustina chiede una basilica per gli ariani e
Ambrogio rifiuta). Rispondendo all’ordine dell’imperatore Ambrogio chiede se per
occupare la basilica questi può forse presentare una moneta con l’effigie di Cesare. Dice
di riconoscere nella Chiesa solo l’immagine del Dio invisibile che è il cristiano, e che
darà un luogo di culto, ma non la basilica. Ambrogio aggiunge di non rifiutare il tributo
all’imperatore, dal momento che i fondi economici della Chiesa sono soggetti al tributo
imperiale. Se le esigenze dei poveri esigessero anche la requisizione dei terreni della
Chiesa, questo non troverebbe obiezioni da parte sua. Come Cristo è obbediente
all’autorità, così è anche lui, Ambrogio, ma tale obbedienza non implica la
sottomissione totale della Chiesa a Cesare.
È da notare che le grandi eresie sorgono proprio all’interno dell’interpretazione del
rapporto Chiesa/Impero. Ireneo dice contro gli Gnostici che l’origine del potere non è
diabolica, anche se il potere è strettamente collegato con il peccato, reso necessario
dalla condizione post-lapsaria. Ambrogio conviene su questo quando afferma che la
sottomissione al potere politico ricorda continuamente all’uomo l’esistenza del peccato
originale.
Ambrogio commenta anche Rm 13,1-4 nella trattazione delle tentazioni di Cristo:
secondo Lc 4,5-6 sembra che il diavolo abbia il potere di dare a Gesù i regni della terra.
Ma ciò contrasta con l’affermazione di Paolo secondo cui ogni potere viene da Dio.
Ambrogio spiega: il potere che il diavolo esercita nel conferire l’autorità sta a
significare che il NT dichiara come ogni potere umano, nel suo esercizio, finisca col
soggiacere all’ambizione del peccato. Da Dio viene l’istituzione dell’autorità, non il suo
conferimento o uso: è proprio nell’uso del potere che possono intervenire le potenze del
male e l’ambizione personale. Solo chi usa bene del potere che viene da Dio è suo
ministro.
Ambrogio, dunque, sposta la valutazione sulle persone che incarnano l’autorità. In
questo senso, seppure con degli adattamenti, egli ripropone il pensiero dei Padri
cappadoci. Basilio (Omelia su Pr 8) afferma la legittima istituzione dell’autorità, ma
anche la stretta correlazione esistente tra il valore giuridico di questa e la giustizia con
cui opera. Gregorio di Nazianzo afferma la superiorità della Chiesa sullo stato in virtù
del parallelismo anima/corpo = Chiesa/Impero.
Concludendo, notiamo come il potere imperiale abbia visto nei cristiani uno strumento
per l’unità dell’impero; i cristiani, invece, hanno guardato all’imperatore dapprima
23

come a colui che ha autorità pur essendo necessario staccarsi da lui per convertirsi
realmente (il tema del distacco da Cesare); in seguito si è elaborata una differenziazione
del discorso, distinguendo tra l’origine (divina) del potere e coloro che lo incarnano
(soggetti al peccato)12.

19. Il problema priscillianista

Priscilliano è spagonolo, laico, che inizia la sua attività tra il 370/75. La fonte principale
che abbiamo è il Cronichon di Supplicio Severo (II, 46-51). Lo ritiene uomo colto,
sobrio, austero e di grande capacità e intelligenza. Ma poi lo accusa d’aver introdotto in
Spagna l’eresia gnostica e praticato arti magiche. Nella sua predicazione ebbe molto
successo e tanti discepoli. Due vescovi, Instanzio e Selviano, accolsero le sue dottrine e
lo fecero vescovo di Avila. Mentre altri due vescovi, Idacio e Itacio, furono suoi
acerrimi avversari. Verso il 382 Ambrogio chiede a Graziano la convocazione di un
concilio contro i priscillianisti.
Priscilliano aveva una predicazione molto convincente e rigorista, ma i vescovi lo
accusarono di manicheismo: rapporto negativo con la materia, contrarietà al
matrimonio, rigorismo morale per tutti i battezzati. Nel concilio vennero condannate le
idee di Priscilliano, ma non lui coi suoi discepoli. Itacio e Idacio pertanto s’erano rivolti
all’imperatore Massimo il cattolicissimo perché emettesse una condanna contro di lui.
Viene allora accusato a Treviri e poi Massimo nel 384 convoca un concilio a Bordeaux,
dove i due vescovi ottennero la condanna a morte di Priscilliano. Intervennero contro
questa condanna il vescovo di Roma e Ambrogio. Priscilliano, dunque, viene
condannato a morte per il troppo rigorismo. È la prima volta che si assiste ad una
condanna per un’ideologia cristiana (c’erano state in precedenza altre condanne a morte,
ma all’interno del donatismo, fazione contro fazione). I due vescovi ottennero la
condanna perché si appellarono al libro XVI del Codice teodosiano dove si decretava la
condanna a morte per tutti coloro che seguivano la dottrina eretica manichea.
L’opera più importante di Priscilliano è una raccolta di passi paolini su cui costruisce la
sua spiritualità. Gli studi su di lui furono fatti agli inizi del ‘900 (articolo del 1901 sul
n.4 di Studi tardo-antichi, offerti a Salvatore Calderoni) e nel’68, da parte di Antonio
Orbe (Rivista gregoriana n. 49 del 1968).

Quali furono le accuse contro di lui?


1. professione di dottrine gnostiche ed encratite (contro il monoteismo divisione
del Dio dell’AT da quello del NT; cristologia docetista: realtà apparente di
Cristo; condanna del matrimonio; pratiche magiche ed astrologiche).
2. monarchianismo: identificazione tra loro delle tre persone della Trinità con
l’aggiunta del quarto dio, quello dell’AT.

Ci sono pervenuti 12 scritti anonimi che furono attribuiti a Priscilliano da uno studioso
nei primi del ‘900. la raccolta di questi scritti comincia con il Liber apologeticus,
presentato molto probabilmente al concilio di Bordeaux per difendere le sue teorie.
12
Cfr. MARA M.G., Bibbia e storia nel IV secolo, Antichità Altoadriatiche 21.
24

Quest’opera si presenta come una professione di fede, in cui troviamo preziosissime


notizie riguardanti la condanna di alcune eresie quali la dottrina degli ariani, chiamati
anche binioniti, quella dei monarchiani, degli adozionisti, dei doceti e anche di pratiche
astrologiche. Abbiamo, dunque, tutto un elenco di quelle eresie che rimasero efficienti
fino al IV secolo.
C’è poi il Liber ad Damasum, di alto contenuto apologetico; il Liber de fide et
apocriphis, in cui si dice che non tutti i libri apocrifi (che significano segreti in questo
periodo) debbano essere tolti dal canone (ricordiamo che il canone non era stato ancora
del tutto chiuso; infatti, il libro dell’Apocalisse fu accolto definitivamente nel V secolo e
la Lettera di Giacomo fu accolta in Asia ancora più tardi).
25

Capitolo Secondo
La cronografia, la storiografia, l’agiografia

Ci chiediamo innanzitutto quali siano state le esigenze storico-religiose che hanno


portato allo sviluppo dell’interesse dei cristiani per queste opere, e che li hanno spinti a
dar vita a cronografie, storie della Chiesa, vite dei santi. Individuiamo quattro interessi:
1. Far conoscere la versione ebraico-cristiana della storia che i neofiti dovevano
imparare a considerare come la loro storia, luogo della storia della salvezza.
2. Mostrare l’antichità del cristianesimo, anzi, la sua anteriorità al paganesimo:
risale fin dalle origini della creazione. In seguito si assumerà un punto di
partenza più storico: la vicenda di Abramo (con Eusebio); ma sempre con lo
scopo di dimostrare che il cristianesimo non è un mito né una religio
novissima. Nessuno meglio di Agostino ha capito tanto l’interesse e la
lettura della Scrittura all’interno della storia della vita dell’uomo.
3. Presentare la storia in modo da farne trasparire la dimensione
provvidenziale: dare speranza ai cristiani mediante il rimando escatologico è
importante soprattutto in tempo di persecuzione.
4. Preoccupazione di stabilire di fronte alle deviazioni dottrinali (le eresie)
all’interno del cristianesimo come criterio di ortodossia la successione
apostolica. Eusebio si preoccuperà di fare una lista di vescovi di Roma per la
successione garante della fede.

1. La cronografia

Nasce prima del IV secolo: ne abbiamo esempi (ancora però non organici) in alcune
parti degli Stromata di Clemente Alessandrino, poi nelle Cronache di Sesto Giulio
Africano (intorno al 230), ed in Ippolito (234). La Cronaca di G.S. Africano è una
messa in parallelo della Bibbia con la storia greca, dalla creazione fino al 221. Questa
ed altre simili opere verranno poi impiegate da Eusebio, che nel 303 scrive la sua
Cronaca divisa in due parti: nella prima espone i sistemi cronologici di Caldei, Assiri,
Ebrei, Egiziani e Greci, mentre nella seconda dispone in tavole sincroniche gli
avvenimenti più importanti della storia universale e di quella sacra. Eusebio inizia da
Abramo, ovvero abbandona l’idea del prototipo storico-antropologico (Adamo), dando
alla sua opera una maggiore caratteristica di scientificità.
Abbiamo poi, nel 354, il Cronografo romano, attribuito a Dionisio Filocalo (calligrafo
di papa Damaso), dal contenuto vario. Serve da base ad altri scrittori, e riporta l’elenco
dei prefetti di Roma, dei martiri (con nome e data), dei papi da Pietro a Liberio (354) e
26

degli imperatori fino a Licinio (321). Contiene anche una descrizione di Roma divisa
per regioni.
Nel 380 Girolamo scopre a Costantinopoli la Cronaca di Eusebio, la traduce e la
accresce dei fatti avvenuti in Occidente, aggiornandola fino al 378. Abbiamo poi, nel
403, la Cronaca universale di Sulpicio Severo, che va dalla creazione fino al 400 d.C.

2. La storiografia

La cronaca costituisce il primo tentativo di dare cittadinanza agli eventi biblico-cristiani


mediante il confronto con le date, da tutti verificabili, della storia civile; essa però non
porta ancora alcuna forma di commento ai fatti.
La storia ecclesiastica è il passo successivo: partendo dai documenti, frequentemente
riportati (contro l’uso classico), si dà preminenza ai fatti cristiani, e le date degli
avvenimenti civili servono ormai solo da riferimento cronologico.
Il primo tentativo storiografico è quello di Lattanzio, De mortibus persecutorum (copre
gli anni da Diocleziano a Massimino, 303/313): Lattanzio vuole mostrare la
corrispondenza tra la cattiveria degli imperatori e la punizione divina, e presenta un Dio
tremendo e vendicativo.
Eusebio di Cesarea dà inizio, consapevolmente, ad un nuovo tipo di storia: dalle origini
della Chiesa alla sconfitta di Licinio (324). La sua opera nasce nel periodo in cui il
cristianesimo diventa un fenomeno dominante, e quindi scrive la storia di una nuova
nazione, celeste e divina, le cui guerre tendono non alle conquiste militari ma alla pace
spirituale ed i cui combattenti hanno di mira la difesa della verità contro le persecuzioni
e le eresie. Egli sostituisce alla retorica ed ai discorsi inventati una narrazione scarna e
piena di documenti, diventando il modello degli storiografi cristiani successivi.
Nel IV sec. abbiamo:
 Atanasio: scrive con intento storiografico le sue tre Apologie contro gli Ariani (una
quarta, pseudoepigrafa, non è sua, e Simonetti contesta l’autenticità anche della
terza), dirette a Costanzo II (357). Nel 358 porta a termine la Storia degli Ariani,
richiestagli dai monaci presso i quali era in esilio, che copre gli anni 335-357.
 Gelasio di Cesarea scrive alla fine del secolo una Storia ecclesiastica che è andata
perduta, e continuava l’opera di Eusebio. Pare che fosse usata da Rufino di Aquileia
che traduce Eusebio e continua fino al 395.
Tra gli altri continuatori di Eusebio ricordiamo Socrate (380). Teodoreto di Ciro scrive
le Storie dei monaci, prima opera storiografica che non ha per soggetti uomini di potere
e guerrieri.
Un posto a parte merita Girolamo, con il suo De viris illustribus. Egli vuole opporre alla
cultura pagana le grandi personalità del cristianesimo, e fa una storia per personaggi.
Riprende così una storiografia che Eusebio aveva abbandonato.
 Orosio è un personaggio ambiguo, che termina nel 417 le sue Storie, iniziate con le
origini ed aventi una apertura universale.

3. L’agiografia
27

La più antica forma della biografia cristiana è quella degli Atti e Passioni dei martiri: si
vogliono presentare alle comunità dei modelli, eroi ed atleti di Cristo. Alla loro
venerazione si associa presto quella dei vescovi e degli asceti, ed il passaggio alle loro
biografie è segnato da Ponzio, con la Vita di Cipriano.
Nel IV secolo non abbiamo più atti dei martiri: gli imitatori di Cristo proposti come
modelli sono gli asceti ed i monaci.
Atanasio scrive la Vita Antonii (357) per i monaci, presentando il suo personaggio come
modello di vita perfetta. Si ispira alle classiche biografie degli eroi e dei saggi, ma crea
un nuovo tipo di biografia. Il suo libro divenne un vero e proprio best-seller.
Nel 370 Evagrio Pontico traduce in latino la Vita Antonii, divulgando in Occidente
l’ideale della vita monastica. Gerolamo, sulla sua scia, scrive tre biografie: le vite di
Paola (376), Malco (390) ed Ilarione (391). Del 379 è la Vita di Macrina scritta dal
fratello Gregorio di Nissa, un gioiello della letteratura agiografica antica (presenta,
infatti, la sorella come modello di perfezione cristiana: primeggia l’amore per la lettura
della Bibbia, l’azione educatrice dei fratelli e il monastero).
Nel 397 Sulpicio Severo scrive la Vita di san Martino, che diventa un modello letterario
citato da Paolino di Milano (autore della Vita Ambrosii). Del 430 è la Vita Augustini di
Possidio, che riferisce fedelmente i fatti e cerca di togliere ogni elemento miracolistico.

4. Conclusioni

Queste tre forme di narrazione nascono tutte nell’Oriente di lingua greca: significa che
questo ambiente aveva una sensibilità storica che cercava di mediare l’attenzione
giudeocristiana per la linearità degli eventi con la ricerca delle cause propria dell’antica
storiografia classica. Rimane la linearità degli eventi nella considerazione della
Provvidenza, ma la descrizione degli avvenimenti e la presenza dei documenti
tradiscono la ricerca delle cause immediate e prossime, il coinvolgimento dell’uomo.
L’aspetto che merita maggior attenzione è lo spostamento dell’inizio, operato da Eu-
sebio, da Adamo ad Abramo, depositario delle promesse e padre della fede. In lui
prende inizio esplicito il piano salvifico di Dio, che porterà alla Nuova Alleanza
(Demonstratio evangelica e Praeparatio evangelica).
Girolamo e Rufino riprendono le istanze di Eusebio e le portano in Occidente, in-
serendovi le vicende del mondo latino (il primo fino al 378, il secondo fino al 395). Nel
De viris illustribus Eusebio è ancora il riferimento di Girolamo, poiché per molti
personaggi il vescovo di Cesarea rimane la sua fonte principale. Sotto c’è la comune
esigenza della Chiesa di avere dei viri illustres da celebrare e proporre, che non
pongono più la loro fama nelle armi. Vanno notate delle articolazioni nel concetto di
viri illustres. Per Eusebio vir illustris è il re, l’imperatore che sopprime l’ansia,
garantisce l’ordine e la pietà dell’impero, è attento alle parole e ai segni divini. Ecco
perché Eusebio scrivere la Vita Constantini e la Laus Constantini. Atanasio, Girolamo e
gli altri, che hanno colto gli interesse del loro ambiente culturale, spostano l’attenzione:
il primo sui monaci, il secondo sugli uomini di cultura. La statura religiosa promana ora
dalla vita di preghiera e dall’ascetismo, dalla mortificazione e dalla lotta contro il
demonio. Con Girolamo entrano tra i viri illustres gli esponenti del mondo culturale, dei
28

cristiani coltissimi. La cultura si affianca alla statura religiosa nella lotta contro il
demonio, perché la conoscenza permette di lottare contro l’imbroglio del falso (eresia).
Il vir illustris, il santo, è modello per il cristiano; ma può esserlo nella misura in cui
imita il santo per eccellenza, Cristo.
L’agiografia intende proporre il permanere della santità nella storia della Chiesa, che è
sempre lotta contro il demonio. La vita dei martiri culminava nella lotta contro il
demoniaco dell’idolatria; finite le persecuzioni, cambiano anche i modelli di santità: non
c’è più il martirio, ma c’è ancora un mondo da liberare dal demoniaco.
Epifanio lottò contro l’eresia. Ai suoi, si affiancano gli scritti antiariani di Atanasio e le
opere di Filastro di Brescia ((397). Questi lavori mostrano come anche l’evoluzione
eresiologica entri nel fare storia. La storia delle eresie infatti dimostra che se non vi
fossero state non sarebbe stato possibile approfondire alcuni aspetti della vita cristiana
(cf Agostino).

Il Cronografo Romano per noi rimane un mistero: probabilmente sta cogliendo lo sforzo
di autori precedenti e contemporanei di un confronto col paganesimo, riconoscendo la
compresenza di cristiani e pagani nello stesso mondo. Pertanto a fianco dei martiri ha
posto anche per i consoli, mutua elementi dal paganesimo ma li modella in un nuovo si-
gnificato: è forse il primo balbettio di una riflessione storica cristiana? Difatti c’è una
tendenza all’universalitas christiana, come esigenza storica. Questa riflessione storica
non poteva che nascere a Roma, proprio perché nella grande metropoli se ne vedevano
di tutti i colori e allora era possibile instaurare un dialogo (per quanto questo concetto
sia anacronistico nel secolo IV). Cartagine non poteva essere il luogo di nascita
dell’opera, perché aveva altri problemi da risolvere prima di avviare un confronto così
coraggioso.
29

Capitolo Terzo
Il Manicheismo

1. La revisione storiografica sul manicheismo

Il Manicheismo è stato conosciuto attraverso le opere dei Padri polemisti ed avversi a


questa dottrina. Nel Medioevo fu giudicata come una tremenda eresia, contro cui
avevano dovuto combattere i grandi padri e scrittori della Chiesa.
Il primo che riuscì a rompere questo luogo comune è stato Isaac DE BEAUSOBRE che
nel 1739 ha pubblicato la sua Histoire critique de Maniché et du Manicheisme.
Poco più tardi, nel 1753, lo storico Lorenzo MOSHEIM pubblicò le Institutions de
l’histoire de l’eglise, rilevando elementi comuni tra il manicheismo e lo gnosticismo. Lo
gnosticismo quando muore lascia delle eredità nel manicheismo. La differenza è che in
origine lo gnosticismo è monoteista e il dualismo è nella emanazione delle varie sigizie,
mentre il manicheismo vede il dualismo dall’origine tra luce e tenebre
Cento anni più tardi Ferdinand BAUR riprese i testi di Beausobre ed evidenziò come il
manicheismo sia stata una grande manifestazione storica, che nel III secolo si affiancò
allo gnosticismo e al cristianesimo.
Più tardi HARNACK vide, invece, il manicheismo come grande movimento contrapposto
al cristianesimo, al contrario di Baur che lo pose in parallelo con lo gnosticismo e il
cristianesimo stesso. Harnack lo vede come un’ alternativa al cristianesimo.
Per più di un secolo e mezzo gli studi hanno presentato il manicheismo come un
movimento suscettibile di diverse interpretazioni storiche filosofiche e religiose. Poi ci
furono delle scoperte importanti .

2. Le prime scoperte di scritti manichei

Fino alla fine del secolo scorso la nostra conoscenza del Manicheismo era solo quella
mediata dagli scrittori cristiani antichi, che presentavano Mani negativamente. Alla fine
dell’800 si scoprirono le opere dei grandi storici arabi, che parlano di Mani come di un
grande missionario. Si aggiunsero poi le scoperte, nel Turkestan cinese, di documenti
propriamente manichei:
il Frammento di Saburagan, testo dedicato da Mani a Shapur I (242-272 ca.);
il Trattato dogmatico;
un Formulario di confessione di fede manichea;
un Catechismo manicheo;
vari testi liturgici.
30

3. I riflessi sulle ricerche

Più tardi, nel nostro secolo, Prosper ALFARIK nei suoi due volumi Ecriture manicheèn
pubblicati a Cambridge nel 1925, fece notare che il manicheismo era il risultato
dell’assimilazione di diversi elementi appartenenti a diverse religioni orientali, religioni
del mondo greco e del cristianesimo.
Nel 1925, sempre a Cambridge fu pubblicato The Religion of the manicheans dallo
storico inglese BURKITT, in cui si avanzava la teoria che il manicheismo fosse una delle
forme nelle quali si è storicamente espresso lo gnosticismo (come già Moshein). Lui
lavorò molto in Siria e lo studiò alla luce dei movimenti religiosi presenti nel territorio,
e lì colse nel manicheismo siriano una forma di manicheismo cristiano. In Siria il
manicheismo aveva assorbito il sistema cristiano e questo si verificò per la sua capacità
di adattamento
Hans Enrich SCHADER sosteneva che bisognava distinguere tra l’aspetto originario del
manicheismo e l’aspetto successivo che lo ha traslato nei diversi popoli e culture.
L’origine di questa religione, dunque, non è solo orientale. Mani ha espresso la sua
gnosi prima nella forma persiana e poi in quella cristiana. Nella prima ha introdotto
nomi persiani e nella seconda ha dato un’importanza centrale a Cristo. Queste due
forme non furono opera dei suoi discepoli ma di Mani stesso.

4. Le scoperte in Egitto

Nel 1930 vi fu una seconda scoperta nel basso Egitto: circa 3000 fogli scritti in copto
relativi al manicheismo e datati dal IV secolo (se, come si pensa, Mani morì nel 277,
allora ci colpisce la vicinanza di questi testi relativi al personaggio):

- i Kephalaia, ovvero punti fondamentali della dottrina manichea; è un’opera


destinata alla difesa dottrinale dei manicheismo sulla base di detti attribuiti a
Mani. Tra questi anche il passo dove si presenta come il “Paraclito incarnato”, il
restauratore della Chiesa di Gesù, il rivelatore del suo ultimo messaggio, il
rivelatore di tutti i misteri.
- Lettere di Mani alle sue comunità, scritte nello stile delle lettere di Paolo.
- Notizie sulla storia dell’antica Chiesa di Mani (notare che si tratta di una Chiesa
parallela);
- 4 Omelie;
- parte del Commento di Mani al Vangelo vivente.

Il primo risultato delle ricerche fu l’affermazione del carattere universale che Mani volle
dare alla sua religione. Poi studi susseguiti e intensificati fino a F. DECRET, con una
ricerca durata 30 anni, affermarono che il manicheismo era una eresia cristiana. Negli
studi intermedi si era imposta la tendenza a considerare il manicheismo come religione
completamente lontana dal cristianesimo.

5. Il Codex Manichaius Coloniensis e la vita di Mani


31

Intorno al 1950 tra i Papiri di Ossirinco fu scoperta una vita di Mani del V secolo:
Codex Manichaius Coloniensis (CMC).
Grazie a queste scoperte si è passati dalla considerazione totalmente negativa di Mani e
del Manicheismo, data dagli eresiologi, ad una considerazione più storica che lo vede
come una grande ed antica religione. Restava però il problema di capire perché i Padri
definissero il Manicheismo una eresia cristiana, e non una religione autonoma. Il CMC
ci aiuta a capire quale sia il punto di contatto tra manicheismo e cristianesimo. Mani
viene presentato come il figlio di Patric e di Marian (forse nome usato in funzione
apologetica cristianizzante, e comunque confermato da una formula di abiura del
Manicheismo riportata in PG 1,1468), portato a 4 anni dal padre, giudeocristiano, a
vivere tra gli Elcasaiti, dai quali riceve una educazione legata alla pratica della Legge ed
al rifiuto di Paolo. A 12 anni, Mani ebbe la prima Rivelazione: il Re dei giardini della
luce gli mandò la rivelazione tramite un angelo. il cui nome significa “compagno” o
“gemello”. Mani tiene segreta questa rivelazione, e continua a vivere presso gli
Elcasaiti; ascolta però il Paraclito, e progressivamente si distacca dalla loro Legge. A 24
anni riceve la seconda Rivelazione, e rompe definitivamente con gli Elcasaiti: è il 24
aprile 240, data di nascita della Chiesa manichea, che coincide con l’ascesa di Shapur I
al trono di Persia. Tale coincidenza è probabilmente voluta per creare un parallelismo
con Gesù Cristo, la cui nascita viene fatta coincidere da Eusebio con l’epoca degli
Augusti. Mani si identifica con il Paraclito, anche se non è chiaro se ne sia la vera e
propria Incarnazione, o se solo il Paraclito parli per mezzo di lui. Mani si considera,
comunque, l’ultimo dei rivelatori, dopo Gesù Cristo e Paolo.
Dopo la seconda rivelazione, Mani lascia gli Elcasaiti e trova protezione per 30 anni
presso Shapur I: può così avere discepoli, scrivere, organizzare la sua Chiesa e i suoi
missionari. Nel 273 muore Shapur I, e gli succede il figlio Ormiz, che continua ad
appoggiare Mani fino al 274, quando viene sostituito dal fratello Vahran I, conquistato
dalla religione mazdaica. Mani viene allora perseguitato, e muore dopo 26 giorni di
prigionia il lunedì (giorno sacro per i Manichei) 26 febbraio 277.

6. Letteratura e dottrina manichea

Il Manicheismo è una religione “del libro”. Mani critica i suoi predecessori giacché
questi non hanno lasciato nulla di scritto, e quindi si preoccupa di redigere egli stesso i
testi fondamentali per la sua dottrina. Essi sono:

- il Saburagan (frammenti profetico-apologetici)


- il Vangelo vivente, opera posta dai discepoli di Mani all’inizio del loro Canone.
In questo libro Mani dichiara di essere il Paraclito annunciato da Gesù, ma
l’espressione non è chiara: Mani dice che il Paraclito è sceso su di lui, che parla in
lui. I discepoli, però, lo acclamano dicendo che è lui il Paraclito. Per questo
motivo i manichei rifiutano il libro degli Atti.
- Il Tesoro: forse la prima trattazione sistematica della teologia di Mani, redatta in
forma apologetica.
32

- I Pragmateia: ciclo di miti che offrono una spiegazione popolare degli inizi del
mondo, scritti imitando Paolo.
- Delle Lettere.
- Salmi e Preghiere.

La morale manichea prevede due codici, rispettivamente per gli eletti e per gli uditori.
Degli altri uomini, non manichei, non si parla mai. Per tutti si richiede l’osservanza dei
5 Comandamenti e dei 3 Sigilli (oris, manus, sinus).
Questi sono i Comandamenti:
1. La verità: proibisce la menzogna, intesa come ogni atteggiamento che
contraddice la fede religiosa manichea. Ma vengono ammesse le menzogne
dette per difendere la fede (per questo Agostino reagirà violentemente a tale
principio nel suo commento a Gal).
2. Non violenza. Collegato col sigillo della mano, proibisce ogni atto violento
che ferisca uno dei 5 elementi. Non è dunque possibile ferire od uccidere
piante o animali. Questo sigillo è solo per gli eletti, mentre gli uditori possono
infrangerlo per preparare loro il cibo.
3. Sigillo del seno: impone agli eletti la continenza sessuale, e proibisce ogni
contatto che provochi piacere. La ragione teologica di tutto ciò sta nel fatto che
la riproduzione ritarda la liberazione delle particelle luminose.
4. Purità della bocca - sigillo della bocca: vieta tutte le parole nocive: la bocca
dell’eletto deve proclamare solo la salvezza. Per gli eletti vi sono anche delle
prescrizioni alimentari che vietano carne, sangue ed alcool. Sono tenuti a molti
digiuni, e la salvezza cosmica si ottiene consumando in quantità legumi e
frutta (cfr. il gemito della creazione in Rm 8).
5. Beata povertà: l’eletto non può possedere nulla per se stesso, tranne che il
cibo per un giorno e le vesti per un anno. Ciò perché deve essere libero e
votato solo alla preghiera.

6. 1 Morale degli uditori

1. Rispettare i 5 comandamenti, che regolano la pratica della professione di fede.


2. Pregare 4 volte al giorno, per partecipare al sigillo della bocca.
3. Fare l’elemosina.
4. Fornire cibo agli eletti, partecipando così al sigillo della mano.
5. Digiuno ebdomadario ed annuale dal cibo, dai rapporti sessuali, dal lavoro mondano,
per partecipare al sigillo del seno.
6. Confessione dei peccati. Settimanale, il lunedì, ed annuale di fronte a tutta la
comunità (anche per gli eletti) dopo 30 gg. di digiuno.

7. Storia della salvezza secondo il Manicheismo

La ricaviamo dal Panarion di Epifanio, cap. 66.


33

1. All’origine del Manicheismo non c’è il monoteismo, ma un diteismo: il principio del


bene e quello del male. In questo modo vengono annullate la responsabilità personale
ed il libero arbitrio. I due principi sono coeterni, sussistenti da sé ed opposti.
2. Vi è una mescolanza ed una fusione dei due principi: le tenebre invadono il territorio
della luce.
3. Il principio del bene, per difendersi, emana dalla sua sostanza una Potenza, la Madre
della Vita, che a sua volta emana l’uomo primordiale ed i suoi 5 elementi. L’uomo
primordiale si riveste dei 5 elementi e va a combattere. Gli Arconti delle tenebre
mangiano la sua armatura, che è la sua anima, e lo fanno prigioniero.
4. Il principio del bene emana, per venire in aiuto all’uomo primordiale, una seconda
Potenza, che estrae il primo uomo dalle tenebre lasciando però la sua anima. Con
questa lo Spirito vivente crea le stelle, il sole e la luna (creature della luce), mentre la
materia crea le piante, gli animali e la terra (opere degli Arconti del male). La
materia plasma l’uomo secondo l’immagine dell’uomo primitivo e vi incatena
l’anima con la materia.
5. Il Padre invia il Figlio diletto per la salvezza dell’uomo, ed egli assume sembianza di
uomo. Compito del Figlio è reintegrare le particelle di luce. Questo è possibile
mediante un marchingegno da lui inventato, che alla fine ripristinerà ogni cosa come
era al principio, ovvero con la totale distinzione dei due principi.
Per il manicheismo non può esistere alcuna resurrezione dei corpi. Le differenze
fondamentali dal cristianesimo stanno dunque nella protologia (due principi opposti)
e nell’escatologia (ritorno puro e semplice alle origini). La storia della salvezza è
vista secondo un andamento ciclico.

8. Importanza del Manicheismo

Nella storia della Patrologia e nella riflessione cristiana del IV secolo il Manicheismo
riveste notevole importanza. Sono i Manichei a portare l’attenzione su Paolo, facendone
l’elemento portante della loro cultura. Ciò è dovuto al fatto che il ripudio
dell’educazione elcasaita spinge Mani a prendere come punto di riferimento Paolo.
Questo spiega la grande fioritura di commentari a Paolo cui assistiamo nel IV secolo 13:
sono ben 15, ai quali si aggiungono poi numerosi commenti alla Genesi, altro libro
fondamentale di riferimento (questa volta per rifiutarlo) per i manichei.
Nel CMC 18,12-15 Mani parla dell’inizio della sua missione sotto Shapur I. Descrive la
sua chiamata con la stessa formula di Gal 1,15, che poi usa altre 3 volte sempre in
riferimento a se stesso. Dice che il Padre celeste ha mostrato compiacenza per me,
separato fin dal seno materno, facendomi uscire dalla legge in cui ero cresciuto. Mani
colloca il proprio nome dopo quelli dei maestri della Rivelazione, da Adamo fino a
Paolo. Descrive poi il suo rapimento al terzo cielo con le parole di 2Cor 12,1-5, e cita
Gal 1,11-12 per descrivere la propria missione. Afferma che nella sua vocazione è
intervenuto il Paraclito che in lui parla/si incarna.

13
Betz esamina per primo i riferimenti a Paolo nel CMC; Köning studia il CMC per traslitterarlo; Mara,
Il ruolo di Paolo nella controversia antimanichea di Agostino, “Augustinanum” 1992.
34

Vi è dunque un chiaro intento di Mani nel presentarsi a somiglianza di Paolo. Anch’egli


scrive delle lettere, afferma che il Paraclito gli ha parlato rivelandogli il Mistero e
traduce questa rivelazione in una riforma della Chiesa di Gesù dopo i falliti tentativi dei
giusti (!!) Marcione e Bardesane. È dunque chiaro il suo intento di agire all’interno del
cristianesimo. Anche Mani muore vittima della propria missione: in Kephalaia si trova
un riferimento a Rm 9,2-3, e si afferma che anche Mani ha sofferto temendo
l’insuccesso della propria missione. Egli afferma anche che gli uomini non l’hanno
accolto, e come Paolo agisce in contrasto con la corrente dominante nel suo ambiente
(gli Elcasaiti) giudaizzante e ritualista. Sempre come Paolo, anche Mani è un visionario,
e riceve la propria missione e l’apostolato direttamente da Dio: è il più grande degli
Apostoli e ne chiude la serie. Egli dirige la propria Chiesa in vista della sua diffusione
ovunque (Kef. 154).
Non è dunque casuale l’interesse del IV secolo per Paolo: il Crisostomo ha ben 244
omelie su Paolo, Efrem lo commenta ampiamente. La grande Chiesa ha dunque la
preoccupazione di restituire Paolo alla dottrina comune, e di ristabilire una reale
cristologia, non doceta.
Nelle sue molte citazioni da Paolo (Gal 1,1;1,11-12;1,15; 2Cor 12,2-5), Mani inserisce
il titolo divino Padre della Verità: è un richiamo al principio della luce e della verità.
Tale titolo è stato dapprima spiegato in riferimento ad una religione non cristiana, fino a
quando lo si è ritrovato in 2 Clem. Pur “ricopiando” la biografia di Paolo, Mani ha
voluto inserire alcune varianti: l’intervento del Paraclito (cfr. Articolo di Decret in Aug
1992), e la terminologia non chiara sul fatto se egli sia l’incarnazione di esso o
semplicemente il mezzo attraverso cui parla. Insiste sul fatto che la venuta del Paraclito
promessa nell’Ultima Cena da Gesù si è avverata solo con lui, ripudiando così il testo di
At.

9. Riassunto schematico dei rapporti tra Mani e Paolo

1. Mani come Paolo si presenta come apostolo di Gesù Cristo (cfr. Gal 1,1);
2. Mani come Paolo ha conosciuto prigione e sofferenza prima della morte a causa
della sua missione;
3. Mani come Paolo ha provato il sentimento del fallimento della sua missione (Rm
9,2-3 cfr. con Keph . 66: sono venuto in questo mondo per predicare, ma gli
uomini non mi hanno dato agio di farlo e non mi hanno accolto);
4. Mani come Paolo è anticonformista, ovvero va contro la corrente dominante del
suo ambiente (Elcasaiti) ed il loro ritualismo.
5. Mani come Paolo è un visionario, e le sue visioni sono garanzia della rivelazione
ricevuta.
6. Mani, come e più di Paolo, chiude e sigilla la Rivelazione.
7. Mani, come Paolo, proclama l’universalità della Rivelazione.

Agostino, commentando i passi in cui Paolo afferma di essere Apostolo, sottolineerà


puntualmente che quelle affermazioni valgono solo per Paolo.
35

10. Cosa attrae del manicheismo?

a. spiegazione origine e destino del mondo;


b. spiegazione razionale di tutto fino a raggiungere la verità;
c. unde malum? Da dove nasce il male?
d. Mani ripropone La figura di Gesù Cristo dandogli alcuni titoli:
- Salvatore (solo dell’anima e non del corpo);
- Signore (Dominus);
- Gesù luce (Agostino lo usa frequentemente questo titolo).
36

Capitolo Quarto
Il Donatismo

Bibliografia

1. STUDI
A.PINCHERLE, L'ecclesiologia nella controversia donatista, in Ricerche Religiose 1
(1925);
ID., Note sul donatismo, in SMSR 33 (1962);
ID., Vita di s.Agostino, Bari 1980 cap.sul donatismo
G.NICOTRA, I sacramenti presso i donatisti, in Sc.Catt.1942
V.MONACHINO, Le origini del donatismo, in Rass.Sc.Filos, 1951
W.H.T.FREND, The Donatist Church. A mouvement of Protest in Roman North Africa,
Oxford 1952, 1971
J.P.BRISSON, Autonomisme et christianisme dans l'Afrique romaine de Septime Sévere à
l'invasion Vandale, Paris 1958
A. DELIA, La Scrittura nella controversia donatista. Florilegio Biblico-Donatista e
Biblico-Agostiniano, Roma 1964?
E.ROMERO POSE, Medio siglo de estudios sobre el donatismo (de Monceaux a nuestros
dias), in Salmanticensis XXIX 1982, pp.81-99
P.LANGA, Introduccion a las obras antidonatistas de s. Agustin, BAC
A. MARCUS, Donatism, the last phase, 1964. La ristampa è di Londra, 1983, nel volume
Da Agostino a Gregorio Magno: storia del cristianesimo nella tarda antichità.
Idem, Cristianesimo e dissenso nell’Africa Romana, 1991. Questo ultimo lavoro è stato
rifuso nell’introduzione delle opere antidonatiste fatte da Città Nuova (1998).
meno C. MAZZUCCO, Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive,
Bologna 1993
A. PINCHERLE, Da Ticonio a sant'Agostino, in Ricerche Religiose 1 (1925), pp.443-456
G.GAETA, Il Liber Regularum di Ticonio. Studio sull'ermeneutica scritturistica, ASE 5
(1988), pp.103-124; Id., Le "Regole" per l'interpretazione della Scrittura da Ticonio ad
Agostino, ASE 4 (1987), pp.107-116
P.C.BORI, La ricezione delle 'Regole' di Ticonio da Agostino a Erasmo, ASE 5 (1988),
pp.125-142.
P.CAMASTRA, Il 'Liber Regularum' di Ticonio. Contributo alla lettura, Roma 1998 (con
bibliografia aggiornata).

2. FONTI
OTTATO DI MILEVI, Adversus Parmenianum donatistam (CSEL vol.26 a cura di
C.Ziwaa 1893) o De schismate donatistarum (il titolo è incerto).
37

Le opere antidonatiste di AGOSTINO, edite nello CSEL, -51,52,53, a cura di M.


Petschenig 1908,1909,1910. È consigliata l’introduzione alle opere antidonatiste di P
Langa.
J.L.MAIER, Dossier du donatisme, (vol.I e II), Berlin 1987.
Atti dei Concili in G.D.MANSI, Sacrorum Conciliorum Collectio nova et amplissima.
Cfr. anche HEFELE, Histoire des Conciles, tradotta in francese e annotata da
H.LECLERCQ (perciò citata come Hefele-Leclercq).
1. Le interpretazioni

Il fenomeno del donatismo è certamente uno dei movimenti che hanno avuto più fortuna
all’interno del cristianesimo, anche se alla fine del IV secolo si era ormai chiaramente
definito come una Chiesa Cristiana contrapposta alla Chiesa Cattolica. Le valutazioni
date sul donatismo sono diverse.

PINCHERLE14: il donatismo è un problema religioso in cui convergono altri fattori. In


diversi interventi ha sottolineato la dimensione religiosa dei donatismo; questa
dimensione religiosa però non fu avulsa dal contesto sociale e politico: il donatismo è
una scelta dell’anima religiosa africana, naturalmente inserita in una specifica situazione
sociale. La dimensione religiosa risulta evidente nel fatto che, quando in Africa scoppiò
il problema dei traditores, si intendeva dar seguito alla linea di Cipriano.
FREND15 considera il donatismo come frutto di un’esigenza religiosa, esigenza di
integrità, purezza; ma aggiunge che a rendere meno chiaro questo discorso religioso vi è
il sovrapporsi di influenze nazionalistiche e antimperiali antiromane. Fenomeno
religioso che trova terreno propizio in una situazione di sfruttamento dell’?impero
romano. La riflessione religiosa cristiana è sempre incarnata, ci sono esigenze culturali
sociali che sollecitano le riflessioni per cu reciproco influsso di religione e politica
BRISSON16 si discosta da Frend e Pincherle pensa al donatismo come ad un fenomeno
prevalentemente politico sociale e accantona troppo l’elemento religioso.

2. Cause del donatismo e sua storia in breve

La causa immediata si ritrova nella persecuzione di Diocleziano (303-5). Alla fine di


essa ritorna il problema già emerso ai tempi di Decio (persecuzione del 249-250): non
tutti i cristiani sono rimasti integri nella prova, e vi sono i lapsi. Possono questi ultimi
essere riammessi nella Chiesa? Il peccato di apostasia può essere perdonato? Una
risposta è possibile a partire da una riflessione sulla comunità cristiana. Ai tempi di
Cipriano la struttura ecclesiale è fortemente percepita con valore, e ci si chiede se la
Chiesa può rimettere tutti i peccati. Se la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, posso
ammettere che vi siano peccati irremissibili? Se ve ne sono, allora è Cristo capo che non
può rimetterli, e la Chiesa viene considerata solo come una società umana, poiché viene
messa in discussione la presenza in essa del Cristo glorioso.
14
PINCHERLE A., Il donatismo, Roma 1960.
15
FREND W. H.C., The Donatist Church. A movement of protesa ín Roman North Africa, Ox ford 19522,
1971.
16
BRISSON, Autonomisme et Christianisme dans l'Afrique romaine, Paris 1958.
38

Al termine della persecuzione dioclezianea si ripresenta il problema dei lapsi, ed in più


si aggiunge la figura dei traditores dei libri sacri o liturgici, ovvero di coloro che
avevano obbedito al primo editto dioclezianeo. I donatisti offrono la loro soluzione
come diretta erede della riflessione ciprianea, e vantano così una ascendenza
pienamente ortodossa e di grande valore.
La persecuzione in Africa non fu né leggera né breve; richiese eroismo a molti gruppi di
cristiani, che continuarono a restare uniti celebrando l’eucaristia nonostante i molti
martiri (cfr. gli Acta Saturnini). Nel 311 Mensurio, vescovo di Cartagine, venne
accusato di essere un traditor, e gli si chiese di presentarsi a Roma per discolparsi. Dal
papa venne riconosciuto innocente, ma durante il viaggio di ritorno morì lasciando la
sede vacante.
Nel 312 Cartagine si presentava come un luogo di grande influsso romano (molti
senatori ed alti funzionari venivano da Roma a svernarvi), elevato al rango di provincia
per poter essere sfruttato economicamente. Le truppe di stanza vivono a spese dei
berberi, in gran parte cristiani, e la Numidia è una delle zone più oppresse. Nel 312 i
vescovi numidi sono già circa 100, fortemente legati al popolo ed avversi all’impero. A
Cartagine, invece, le famiglie romane sono molte, e desiderano un vescovo filoromano.
Alla morte di Mensurio, alcune famiglie filoromane e romane sostengono come vescovo
Ceciliano, arcidiacono della Chiesa di Cartagine ma avversato dai pastori numidi, che
viene eletto. Ceciliano era malvisto da una influente matrona, cui aveva impedito di
visitare i cristiani in carcere onde evitare problemi con le autorità imperiali. Costui
viene consacrato in fretta, senza attendere i vescovi numidi, al cui primate spettava per
tradizione la consacrazione del vescovo di Cartagine. Al loro arrivo, i vescovi numidi
dichiarano invalida la scelta di Ceciliano per due motivi: non ha rispettato la
consuetudine e si è fatto ordinare, tra gli altri, dal vescovo Felice di Aptungi, accusato di
essere stato traditor (lo stesso Ceciliano viene accusato di tale delitto). Ceciliano viene
allora deposto dai numidi, che eleggono al suo posto Maggiorino (lettore e cappellano di
Lucilla, la matrona avversa a Ceciliano), a loro legato. Alla fine del 312, così, vi sono a
Cartagine due Chiese cristiane: una cattolica, con a capo Ceciliano, ed una donatista
(così detta da Donato, che presto sostituirà Maggiorino).
Nel frattempo Costantino è rimasto unico padrone dell’occidente, e decide di restituire
ai cristiani i beni confiscati. Qui nasce il problema: a chi vanno restituiti i beni
confiscati precedentemente alla Chiesa di Cartagine? Costantino li restituisce a
Ceciliano, ma Maggiorino (e poi Donato) chiede all’imperatore di convocare un
Concilio, che stabilisca qual è a Cartagine la vera Chiesa. Costantino fa intervenire papa
Milziade (anch’egli africano e, secondo i donatisti, filoromano), che nel 313 dà ragione
a Ceciliano. I donatisti ricorrono in appello e chiedono un nuovo Concilio, lontano da
Roma e con vescovi non africani: viene così celebrato il Concilio di Arles (314), che
tenta dapprima di deporre ed esiliare ambo i contendenti per eleggere un nuovo vescovo
che riconcili gli animi. Questa disposizione viene però del tutto ignorata, e ne viene
emanata una seconda che si occupa dei presbiteri, chiedendo che vengano radiati
dall’ordine sacro e che non possano più celebrare quanti sono accusati, in modo
documentato, di essere traditores.
39

Abbiamo qui soggiacente una concezione dei Sacramenti, già di Cipriano, che fa
dipendere la loro validità dalla santità del celebrante. Sulla questione del Battesimo
degli eretici la Chiesa africana aveva acceduto, seppur con difficoltà, alla posizione
della Chiesa di Roma (papa Stefano); tale fatto però aveva creato una effettiva frattura
con quanti si richiamavano strettamente a Cipriano.
Nel 315 Felice di Aptungi è assolto dall’accusa di essere stato traditor. Nel 316
abbiamo un decreto costantiniano severissimo contro i Donatisti, che vengono anche
assaltati durante un’assemblea. Nel 320 il diacono Nundinarius di Cirta accusa i vescovi
donatisti di essere anch’essi traditores, mettendoli in seria difficoltà. Nonostante questi
fatti, la chiesa donatista continua a svilupparsi, e nel 336 Donato può convocare a
Cartagine un Concilio al quale prendono parte 270 vescovi donatisti (siamo a meno di
20 anni dalla nascita di Agostino), e Girolamo deve ammettere che il Donatismo è
ormai la religione di quasi tutta l’Africa.
Nel 347 Paolo e Macario, funzionari imperiali inviati da Costante, vengono in Africa
con il pretesto di fare elargizioni alle Chiese. In realtà hanno il compito di organizzare
una grande persecuzione antidonatista. Donato non li riceve, chiedendo loro cosa vi sia
in comune tra la Chiesa e l’impero, ma la loro opera, fatta di massacri e di violenze (cui
i Donatisti rispondono puntualmente), segna la rottura definitiva tra questa setta e
l’impero. In questa circostanza compaiono i circumcelliones, piccoli proprietari ed
agricoltori che integrano le loro magre entrate lavorando nei terreni delle famiglie
romane e della Chiesa cattolica: vengono accusati di violenze ed ubriachezza, e
diventano una sorta di “braccio secolare” del Donatismo, dedicandosi anche ad agguati
ed attentati contro i vescovi cattolici.
Tra i personaggi donatisti più importanti, ricordiamo Parmeniano vescovo (+ 392), che
dà una stabile struttura alla chiesa donatista. Alla sua morte si verifica uno scisma tra i
donatisti: due personaggi si contendono la sua successione, ovvero Primiano, numida
rozzo ed esasperato, e Massimiano, parente di Donato, uomo intelligente e moderato. Al
concilio di Bagài (nella Numidia del sud, anno 394) 310 vescovi numidi primianisti
scomunicano Massimiano, consumando lo scisma interno. La durezza di Primiano
provoca la reazione di Teodosio, che emana dei durissimi decreti antidonatisti. Ma
neppure essi possono impedire che negli anni 390-395 la chiesa donatista sia al suo
massimo splendore.

3. Dottrina donatista

Verte sulla natura della vera Chiesa, ed i donatisti si considerano i veri continuatori
della Chiesa d’Africa esistente prima di Diocleziano e rifacentesi all’autorità di
Cipriano. Sono conservatori nella liturgia, non accolgono le nuove festività,
mantengono la bibbia africana rifiutando la Vulgata. Rimangono fondamentalmente una
fraternitas, il cui compito principale è combattere il demonio. Aspirano al martirio,
anche volontariamente ricercato. La loro dottrina combina elementi della riflessione
tertullianea (sulla dimensione spirituale della Chiesa), della quale accettano anche le
espressioni per noi montaniste (il Montanismo non fu totalmente in conflitto con le idee
della grande Chiesa, e non venne subito individuato come dottrina deviante), e del
40

pensiero di Cipriano . Di questi condividono le opinioni circa l’importanza dell’integrità


della Chiesa, ed a lui si appellano per sostenere la loro teologia del Battesimo.
Secondo i donatisti le Chiese non africane, in comunione con Ceciliano, sono apostate,
ed il vero cristianesimo sussiste solo nella loro setta. Vedono la Chiesa come fons
signata, hortus conclusus, ed usano la Bibbia (soprattutto il Ct) per individuare le note
caratteristiche della vera chiesa. Ottato di Milevi affermerà poi che essi hanno capito
cosa sia la vera Chiesa, ma non l’ hanno saputa riconoscere storicamente.
Solo i sacramenti amministrati da un prete donatista sono validi, ed il Battesimo
conferito da non donatisti è come amministrato da un morto; per questo ribattezzavano i
cattolici che passavano dalla loro parte. Riprendono da Cipriano anche una solida
tradizione che dà grandissima importanza alla figura episcopale (quod nos [episcopi]
volumus, sanctum est): il vescovo è l’intermediario tra il popolo cristiano e Dio, è un
uomo biblico che ha sempre il vangelo sulla bocca ed il martirio nel cuore.
La separazione dai lapsi e la persecuzione da parte dell’impero erano considerate dai
donatisti come segno della loro retta fede, e costoro ricercavano attivamente il martirio.
La loro dottrina può essere riassunta in due affermazioni:

1. I peccatori pubblici, particolarmente i vescovi ed i preti, non appartengono alla


Chiesa.
2. Fuori della vera Chiesa i Sacramenti non possono essere amministrati validamente.

4. Donato

Nato a Casae Nigrae verso il 270, probabilmente vescovo della stessa cittadina verso il
303-305. Si oppose alla collaborazione con le autorità pagane e il 5 ottobre 313 fu
dichiarato colpevole al Concilio di Roma e da parte di papa Milziade per aver
ribattezzato i lapsi del clero17. Donato riteneva che il primo battesimo non fosse stato
conferito efficacemente perché amministrato da persone senza la grazia e indegne di
appartenere alla Chiesa cattolica e di essere chiamate cristiane. È ritenuto da Agostino
uno dei grandi cristiani dell’Africa e ai suoi tempi lo si riteneva il responsabile dello
scisma nel periodo di Mensurio18. Quando Ceciliano fu eletto, Donato coordinò
l’opposizione. Solo dopo la morte di Maggiorino, cappellano di Lucilla divenne
ufficialmente capo del movimento19. Numerosi cristiani dell’Africa del nord non erano
disposti a seguire il mutamento della politica ecclesiale, favorevole ai nuovi rapporti
con l’Impero. Si schierarono, quindi, con Donato vedendo in lui il rappresentante
dell’ideale di separazione tra Chiesa e Impero. Nonostante il definitivo verdetto di
Costantino in favore di Ceciliano20 e una persecuzione contro i seguaci del donatismo a
Cartagine nella primavera del 31721, Donato fu accettato da allora in poi come vescovo
di Cartagine dalla maggioranza dei cristiani nordafricani.

17
Ottato di Milevi, De schismate donatistarum, I,24.
18
Cfr. Breviculus Collationis cun Donatistis III, 12,24.
19
Gesta apud Zenophilum Ottato, De schiumate, app. I CSEL 26,185.
20
10 novembre 316; cfr. Agostino, Contra Cresconium, III, 71,82; Ad Donatista post collationem, 33,56.
21
Agostino, ep.105,9: “Tunc Constantinus prior contra partem Donati severissima legem dedit”.
41

Le notizie sul lungo governo (317-347) di Donato sono scarse e quelle poche che
abbiamo sono giunte attraverso i suoi avversari. Il suo prestigio personale era notevole
tra i suoi seguaci. Come era stato per Cipriano prima di lui, anch’egli univa le funzioni
sacerdotale e profetica22. durante la sua vita fu conosciuto come Donato di Cartagine.
Nel 336 riuscì a controarrestare gli sforzi di Gregorio, praefectus praetorio di
Costantino in Africa, che avrebbe voluto rimuoverlo 23 e, nello stesso periodo (335) riunì
a Cartagine un concilio di oltre 270 vescovi 24. In questa occasione si mostrò conciliante
con i problemi religiosi della Mauritania, dove il vescovo donatista Deuterio aveva
ammesso alla comunione con la chiesa donatista, senza ribattezzare, chi aveva ricevuto
il battesimo da un ministro in comunione con la chiesa donatista. Abbiamo visto come
si sia avanzata l’ipotesi che si fosse trattato di battezzati nella chiesa cattolica prima
dello scisma. Ma non è certo che sia così.
Nel 346, morto Ceciliano, a cui era succeduto come vescovo di Cartagine, di parte
cattolica, Grato, Donato aveva chiesto all’imperatore Costante di essere riconosciuto
quale unico vescovo di Cartagine25. Costante inviò una commissione composta di due
notari imperiali, Paolo e Macario, con doni e istruzioni. Essi, però, si schierarono dalla
parte di Grato. Per cui, quando finalmente contattarono Donato, questi disse loro: Quid
est imperatori cum ecclesia?26.
Non ci è giunta alcuna opera teologica di Donato. Pare che avesse scritto verso il 336
una Epistola de baptismo, andata perduta. Alcune sue opinioni si ricavano da Agostino,
che le riporta nel Contra epistolam Parmeniani per difendere Ticonio. Girolamo ricorda
un’opera di Donato dal titolo De Spiritu Sancto, dicendola ariana27; Agostino, invece, la
identifica, col titolo di De Trinitate. Anche se per i donatisti lo Spirito Santo aveva un
ruolo notevole sulla Chiesa, come già avveniva nella dottrina di Tertulliano, le
concezioni di Donato ricordano quelle di Cipriano: sono concentrate su di una versione
cristiana della dottrina del “resto”. Senza abbandonare l’idea che la chiesa dovrebbe
essere universale, afferma che, in quel particolare momento, essa è un piccolo corpo di
salvati circondato da falsi cristiani. A questi ultimi si potrebbe applicare la parabola
della zizzania, che seminata dal nemico, rischia di soffocare il grano. Il numero di questi
falsi cristiani è aumentato perché la chiesa fuori dell’Africa ha mantenuto la comunione
con Ceciliano. Solo la chiesa africana rimaneva il campo di Dio28. Egli non
abbandonava però l’idea di una universalità finale. Verso il 314 Donato aveva mandato
a Roma Vittore di Garba, perché voleva mantenere in questa città la vera successione
agli apostoli29 e, dopo il 343, nel concilio di Serica, mise in contatto la chiesa donatista
con il partito orientale30. Per Donato, come per gli altri capi donatisti, per provare il
cattolicesimo, il criterio dell’integrità precedeva quello dell’universalità. Donato fu un
22
Cfr. Ottato, De schismate III, 3 e Agostino, In Ioannis Ev., tract. XIII, 17.
23
Ott. III,3.
24
Cfr. Agostino, ep. 93,43; è del 407-408, indirizzata al vescovo scismatico Vincenzo, capo dei Rogatisti,
donatisti dissidenti.
25
Ott. III,1.
26
ibid. III,3.
27
De vir. Ill.,93.
28
Cfr. Agostino, Contra ep. Parmeniani II,2,5. Riporta il pensiero di Donato e la sua confutazione.
29
Ott. II,4.
30
Agostino, ep. 44, 3.6 e Contra Cresconium III, 34,38 e IV 44,52.
42

capo importante nel suo tempo. Agostino lo associa frequentemente a Cipriano tra le
“pietre preziose” dell’Africa del nord31. Rappresentò le nuove forze del cristianesimo
popolare che emergevano dopo il trionfo della chiesa sotto Costantino32.

5. Parmeniano

Tra i grandi personaggi del donatismo si ricorda il vescovo Parmeniano. Di origine


gallica, aderì alla causa di Donato quando questi era esule in Gallia; verso il 362 gli
successe. Diede una stabile struttura alla chiesa donatista, a cominciare dal tempo in cui
i donatisti godevano dell’appoggio di Giuliano. Riuscì a sottomettere alla disciplina
ecclesiastica perfino il Vicarius Africae Flaviano (377). Agostino ed Ottato lo
rispettavano e temevano. Riuscì a controllare in Mauritania le attività dei
circumcelliones e lo scisma di Rogato. Costui aveva rotto con Firmo, seguace di
Parmeniano, e si era rivolto a Giuliano per reclamare i propri diritti. Poi si alleò con i
massimianisti. Non riuscì a reprimere lo scisma claudianista che colpì i donatisti a
Roma nel 385. Verso il 380 entrò in conflitto con Ticonio, teologo donatista laico, che
avversava la giustificazione dello scisma (l’universalità) e l’insistenza a ribattezzare i
convertiti. Dopo aver cercato di convincerlo, lo fece condannare in un sinodo dei 385
ca. La fermezza usata gli diede ragione perché non ne nacque un altro scisma.
Scrisse contro i cattolici un trattato, Adversus ecclesiam proditorum (conservatoci dalle
citazioni di Ottato di Milevi), per dimostrare l’invalidità dei sacramenti che essi
celebravano (“l’olio dell’empio non profumi il mio capo...” : Sal 141,5). Con i suoi
Salmi, semplici e popolari, diffuse la dottrina donatista nell’Africa dei nord. Grazie a
Parmeniano, negli anni 390-395, nonostante lo scisma di Primiano e Massimiano, la
chiesa donatista toccò l’apogeo del suo splendore.
Abbiamo visto le opere di Donato: una epistula de baptismo, scritta intorno al 336, e
De Spiritu sancto (secondo Girolamo) o De trinitate (secondo Agostino), non ci sono
giunte. Ma colpisce anche il fatto che non sia giunto nulla della replica, da parte
cattolica, alle opere di Donato.
Una documentazione scritta da parte donatista ha inizio con Parmeniano. Di lui che
resse la chiesa donatista dal 355 al 391/2, e fu vescovo di Cartagine dal 362 al 391/92,
sappiamo che ha scritto i Tractatus, 5 libri composti tra il 362-363, dei quali, pur
essendo andata perduta l’opera, è stato ricostru1to il contenuto fondamentale attraverso
la confutazione fattane da Ottato (De catholica ecclesia / De ecclesiae unitate adversus
traditores).
Il contenuto dei 5 libri è, in sintesi, il seguente:

Primo libro: Unicità del battesimo: una esposizione ortodossa del battesimo, ma
accompagnata da una posizione non ortodossa della carne di Cristo (cfr.
1,6) .Affermando che l’acqua del Giordano purificò dai peccati la carne di Cristo, ha
affermato, errando, che la carne di Cristo era anch’essa peccatrice, mentre essa, santa,
ha purificato le stesse acque del Giordano. Inoltre il battesimo di Cristo, così come lo
31
Serm. 37,3.
32
Agostino, Contra ep. Parmeniani II,2.5; Monceaux V,104 ss.
43

intende Parmeniano sarebbe battesimo di tutto il genere umano, il che non è. È invece
battesimo che consente ad ognuno di essere battezzato nel nome di Cristo non nella
carne di Cristo (cfr.1,7).
Parmeniano confonde eretici e scismatici. Ottato chiarisce la differenza. Ritiene i
donatisti scismatici, non eretici.

Secondo libro: La vera chiesa: è unica; la sua santità deriva dai sacramenti; è sposa di
Cristo (cfr.2,1). Già Cipriano aveva parlato di “chiesa unica” , intendendo l’ “unità”
come l’unicità della chiesa; per Ottato l’essere unica corrisponde all’unione, all’unitas,
con la chiesa affidata da Cristo a Pietro. Si tratta di due diverse concezioni del
conferimento del primato a Pietro. Per Cipriano, si tratta “di una priorità cronologica più
che giuridica, essendo l’investitura apostolica e episcopale uguale negli altri apostoli e
successori”. Per Ottato quella preminenza è il perno su cui ruota il concetto dell’unica
chiesa (cfr.2,3) (questo aspetto sarà poi sviluppato da Ottato nel 1.VII del De catholica
ecclesia). Ottato aggiunge all’unicità anche l’apostolicità e la cattolicità della vera
chiesa.
Per Parmeniano sono sei le dotes della vera chiesa: cathedra (cfr.2,2 per la successione
apostolica e cfr.2,3 per la successione dei vescovi di Roma esposta da Ottato, in
contrapposizione alla serie dei vescovi donatisti con sede a Roma cfr.2,4); l’angelus
( colui che siede sulla cattedra, cfr.2,2); lo Spiritus (cfr.2.7); il fons (cfr.2,8); il siqillum
o simbolo, con cui è segnata la fonte (cfr.2,8); l’altare, sacerdozio ordinato
regolarmente (cfr.2,8).
Per la confutazione, da parte di Ottato, delle doti esposte da Parmeniano cfr.da 2,10 a
2,20. È concetto fondamentale quanto dichiara Ottato a 2,10: non sono le doti a generare
la vita, le doti sono “ornamenti”; ma la vita è generata dai sacramenti, dalla fede dei
credenti e dalla loro professione nella Trinità.

Libro terzo: storia della controversia: Parmeniano accusava i cattolici di essere i


responsabili dello scisma e delle persecuzioni che subivano i donatisti. Ottato fa presenti
le violenze dei circoncellioni (cfr.3,4) e l’uso improprio che i donatisti facevano del
titolo di “martire” (cfr.3,8) .

Libro quarto: le sofferenze dei donatisti causate dai cattolici. Ottato dichiara che si
tratta di falsità. I donatisti offendono Dio reiterando il battesimo (4,6). Errata
interpretazione donatista del Salmo 141,5 (cfr.4,7). Errata interpretazione dei profeti da
parte di Parmeniano (cfr.4,9).

Libro quinto: Passi biblici prodotti da Parmeniano a dimostrazione che la chiesa


cattolica era stata già oggetto di condanna da parte dei profeti. Dopo aver
accennato nel 1.1 all’unicità del diluvio e della circoncisione, in cui si
adombrava l’unicità del battesimo, Parmeniano aveva parlato di due acque (battesimi),
una vera e una falsa: l’acqua vera, cioè il battesimo vero, apparteneva ai donatisti,
quella falsa ai cattolici (cfr.5,1). Alla contraddizione di Parmeniano, (un diluvio, una
44

circoncisione, un battesimo prima e poi due battesimi), Ottato risponde che il diluvio si
è realizzato una sola volta (cfr. Gen 8, 8 ss.). E, a conferma che il battesimo non dipende
dalla persona che lo amministra, né dalla chiesa a cui il ministro appartiene, afferma:
“La sola vera acqua è quella che non deriva da un luogo o da una persona, ma venne
concessa dalla Trinità” (5,1). Parmeniano lega alla sola chiesa donatista il valore e
l’efficacia della invocazione alla Trinità. Per mostrare che il battesimo non può essere
reiterato Ottato cita Gv 13,10, Ef 4,5 (cfr.5,3).
Parmeniano fa del ministro il fulcro del conferimento del battesimo (cfr.5,4). Ottato
dichiara che nel battesimo concorrono tre fattori: l’invocazione della Trinità, la fede del
battezzato, il ministro. I primi due non mutano e sono fondamentali, il terzo è mutabile e
secondario (cfr.5,4). Sono citati passi scritturistici da cui appare che la purificazione, il
lavacro, è operata da Dio non dagli uomini. All’ interpretazione di Gv 1,33; 3,26; 4,2;
4,13; Mt 28,19;11,12; Atti 19,2-4 è dedicato 5,5.
Al valore della fede di colui che riceve il battesimo è dedicato 5,8, dove abbondano le
citazioni scritturistiche in cui è lodata la fede.
Alla parabola dell’ invitato al banchetto senza veste nuziale e quindi condannato
(applicata da Parmeniano ai cattolici), Ottato risponde con Gal 3,27: “quanti foste
battezzati in Cristo, avete rivestito il Cristo”. Da dove deduce che la veste nuziale non è
l’appartenenza alla chiesa donatista ma è Cristo stesso (cfr.5,l0) .

A Parmeniano si attribuiscono anche inni, che non ci sono giunti. Ad essi allude
Agostino (ep. 55,18.34). Anche l’Epistola ad Tyconium, scritta verso il 378, non ci è
giunta. Abbiamo notizie del suo contenuto dal Contra epistulam Parmeniani, opera in
tre libri, (tra la redazione dei primi due e quella del terzo sarebbe passato qualche
tempo), scritta da Agostino probabilmente nel 399. In Retract.2,17 Agostino sintetizza
così il contenuto dell’opera: “Nei libri contro la lettera di Parmeniano, vescovo di
Cartagine per i Donatisti e successore di Donato, si affronta e risolve una questione
nuova: se, nell’unità e nella comunione degli stessi sacramenti, i cattivi contaminano i
buoni e perché non li contaminano”.
Nell’opera, Agostino denuncia l’essenza del contrasto sorto tra Parmeniano e Ticonio
(cfr. 1,1). Ticonio, dopo la lettura di diversi passi della Scrittura, aveva affermato che la
chiesa di Cristo era stata predetta universale. Egli confutava così la tesi donatista della
non-universalità geografica della chiesa; sosteneva anche che nessun peccato, per
quanto grave, poteva annullare la promessa di Dio sulla universalità della sua chiesa
(cfr. 1,1). Sulla tesi della universalità Ticonio e Parmeniano si muovono su due piani
diversi: Ticonio su quello teologico delle promesse di Dio, per cui afferma che queste si
realizzano nella storia e non mutano a causa del peccato dell’uomo. Da questa
affermazione trae quindi la conseguenza che i cattivi, pur vivendo nel mondo accanto ai
buoni, non potevano contaminarli. Parmeniano preferisce accentuare il piano della
storia, dove constata che le promesse sono state cancellate dal delitto di tradimento, di
cui si era reso responsabile il mondo cattolico accettando la convivenza di buoni e
cattivi; questi ultimi avevano così contaminato gli altri. Essi avevano alterato la natura
della chiesa, che deve essere santa e immacolata. La promessa divina, cioè Cristo, era
45

scomparsa dal mondo ed era rimasta solo nella chiesa donatista, l’unica santa, l’unica
che aveva il vero battesimo e poteva darlo ( cfr. l, 2 ; l, 2 .3).
Nella sua confutazione, Agostino cerca di coniugare teologia e storia. A livello
teologico conferma l’universalità della chiesa, universalità che non può essere messa in
discussione come testimoniano diversi passi della Scrittura (e forse non veniva messa in
discussione nemmeno da Parmeniano, anche se taciuta); a livello storico Agostino
riprende i dati, già utilizzati da Ottato, sulle origini dello scisma e del peccato di traditio
presente sia nella cattolica che nella donatista. Confuta inoltre l’affermazione che la
chiesa non possa essere permixta, ricordando la parabola della zizzania in Mt 13,30-39
(cfr.1,14.21). Non è dunque vero che le promesse siano state vanificate dal fatto che i
cattivi contaminino i buoni; se così fosse, anche nella chiesa donatista non vi sarebbe la
realizzazione delle promesse perché la stessa comunione donatista era contaminata da
malvagi palesi e nascosti, da dissidenti e partiti contrapposti.
Nel secondo e nel terzo libro Agostino confuta, ripetutamente, l’interpretazione dei
passi scritturistici che Parmeniano utilizza per dimostrare che la presenza dei malvagi
contaminerebbe la vera chiesa di Cristo (cfr.2,22.42), dandone altre interpretazioni e
presentando anche altri passi.
Altri temi trattati nell’opera devono essere ricordati:
- il battesimo: l’interpretazione agostiniana di Fil 1,1518 (cfr. il mio articolo sulla
interpretazione del passo nella chiesa africana) (cfr.2,11) .Gli scismatici non
perdono il battesimo ricevuto nella chiesa, ne perdono il diritto di darlo (cfr.
2,13.27.28) .Il battesimo impartito da un laico cristiano (cfr.2,13.29) o da un non
cristiano o da un peccatore (cfr. 2,13.30.31). Confutando la dottrina di
Parmeniano secondo il quale il mediatore è il vescovo, non Cristo, per cui è dal
ministro che dipende la validità del sacramento, Agostino afferma che il
battesimo viene da Cristo non dagli uomini (cfr.2,15-23 con nuovo riferimento a
Mt 13,26);
- la verità sul martirio cristiano: Agostino confuta l’equazione persecuzione-
martirio (cfr. 3,6.29) (ricordiamo la massima di Agostino: martyrem non facit
poena sed causa);
- sulla tolleranza: intesa come invito alla pazienza (cfr. 3,2.15, con la parabola
del grano e della zizzania), da non confondersi con indifferenza e permissività
(cfr. 3,3.19) ;
- rapporto tra santità e battesimo: Parmeniano sorta Ticonio a rimanere nella
chiesa donatista (cfr. 3,28-29).

6. Ottato

Vescovo di Milevi in Numidia (oggi Mila in Algeria) e morto circa il 390. di lui
abbiamo notizia da Girolamo33. Il titolo dell’opera di Ottato non è sicuro: Adversus
33
De vir. Ill. 110 : Optatus, afer, episcopus Milevitanus, ex parte catholica scripsit Valentiniano et Va-
lente principibus adversum Donatae partis calumniam libros sex, in quibus asserit, crimen Donatianorum
in nos falso retorqueri.
46

Donatianae partis calumniam (Girolamo), o Adversus Parmenianum Donatistam; Libri


septem ad Parmenianum scismaticum; Sancti Optati Milevitani libri septem (è questo il
titolo preferito da Pincherle).
La prima edizione dell’opera in sei libri viene collocata tra il 364 – 367 da molti
studiosi; Simonetti propende per il 370 – 374; Pincherle riteneva che potesse collocarsi
già nel 363.
Il VII libro fu aggiunto dallo stesso Ottato nella seconda edizione dell’opera, verso il
385. apparterrebbe alla seconda edizione anche la raccolta di documenti sulla storia
dello scisma riportata parzialmente da solo uno dei manoscritti, il Parisinus 1711. Tali
documenti riportati da Carolus Ziwsa (CSEL 1893) sono: Gesta apud Zenophilum
(verbale dell’inchiesta giudiziaria contro Silvano - 320); Acta purgationis Felicis
episcopi Autumnitani (verbale dell’inchiesta giudiziaria contro Felice di Aptungi -
315); Epistula Constantini ad Aelafium (314); Concilium episcoporum Arelatense ad
Silvestrum papam (314); Epistula Constantini ad episcopos catholicos (314 ca.);
Epistula Constantini ad episcopos partis Donati; Epistula Constantini ad Celsum
vicarius Africae (316 ca.); Epistula Petronii ad Celsum vicarium Africae; Epistula
Constantini ad catholicam (324); Epistula Constantini de basilica catholicis erepta;
Lettera di Costantino ai vescovi cattolici numidi (330). Sono ben sei le lettere di
Costantino.
Abbiamo altre opere che sono state falsamente attribuite a Ottato:
- un sermone In natale sanctorum Innocentium, ritenuta da Pincherle l’opera di un
donatista, forse Ottato di Thamugadi;
- tre sermoni pseudoagostiniani sull’Epifania;
- due sermoni pasquali.

6.1 Contenuto principale dell’opera antidonatista di Ottato:

1) Storia delle origini dello scisma fino al concilio di Roma presieduto da


Milziade (313): cerca di precisare i fatti storici contenuti nelle accuse di
Parmeniano (cfr. 1,7), mettendo in luce le colpe dei donatisti; sottolinea la
distinzione tra eresia e scisma (cfr. 1,10).
2) Sull’unicità della chiesa cattolica: confuta l’affermazione di Parmeniano che
solo la chiesa donatista sia la vera chiesa (cfr. 2,1); la cattolicità consiste nella
fede apostolica e nella sua diffusione universale; le sei doti della chiesa proposte
da Parmeniano (cfr. 2,2); confutazione della sesta dote indicata dai donatisti
(umbilicus, l’altare, ovvero il sacerdozio regolarmente ordinato, perché nasce
dalla chiesa, non è la chiesa) (cfr. 2,8 e 2,13); l’unità della chiesa è assicurata
dalla cattedra di Pietro (cfr. 2,2); segue l’elenco dei vescovi di Roma;
l’apostolicità assicurata dalla comunione con tutte le chiese (cfr. 2,6).
3) L’intervento imperiale: Ottato minimizza l’intervento di Macario, dichiarando
che non ne sono stati responsabili i cattolici; ma nel 1.VII ne dichiarerà la liceità
sulla base di episodi veterotestamentari (Es 32,28: l’uccisione di 23.000 uomini
da parte di Mosè; Num 25,11: dopo l’uccisione di un uomo, Finees meritò le
lodi di Dio; 1 Re 18,40: il profeta Elia uccise i falsi profeti di Baal). Abbiamo
47

poi la concezione di Ottato sui rapporti tra chiesa e impero, dove la dipendenza
della chiesa dall’impero è vista come conseguenza della sua cattolicità: non enim
respublica est in ecclesia, sed ecclesia est in respublica (cfr. 3,2).
4) Testimonia biblica: Ottato confuta i passi scritturistici addotti dai donatisti per
togliere il saluto ai cattolici e dichiarare invalidi i sacramenti amministrati dai
cattolici (cfr. 4,5: 1 Cor 5,11; 2 Gv 10; 2 Tim 2,17; 4,6: la rinnovazione del
battesimo è ingiuria fatta a Dio).
5) De baptismate: sulla validità del battesimo conferito dagli eretici se non
alterano la formula della fede; presso cattolici e donatisti una est ecclesistica
conversatio (cfr. 5,1); le tre componenti del battesimo: prima in Trinitate;
secunda in credente, tertia in operante.
6) Descrizione dell’ultima fase dello scisma: descrizione dei crimini più recenti
commessi dai donatisti: distruzione di chiese e altari cattolici (cfr. 6,1);
profanazione dei calici (cfr. 6,2), che distruggendoli, le accuse contro i cattolici
non hanno prove (cfr. 6,3); i donatisti hanno cambiato l’abito che le vergini
erano solite portare nella cattolica (cfr. 6,4); i donatisti lavavano anche le pareti
delle chiese tolte ai cattolici (cfr. 6,6). Descrizione del danno spirituale creato
dalla propaganda dei donatisti.
7) Sulle intemperanze dei donatisti e sull’operato di Macario (libro scritto circa
20 anni dopo): apologia di Macario, legato imperiale del 347 (cfr. 7,2);
confutazione della chiesa formata di soli perfetti; ritorno sul tema dell’unità,
considerato come il bene più grande da preferire alla stessa perfezione. L’unità
della chiesa è manifestata dalla cattedra di Pietro che gli apostoli non
abbandonarono nemmeno quando ebbe rinnegato il Signore. Afferma che le
colpe dei padri non sono imputabili ai figli e che in ogni modo la traditio non è
peccato così grave come vuole Parmeniano (cfr. 7,3), essa non implica
necessariamente l’apostasia: non est unum lex et deus (cfr. 7,1). La chiesa, una,
estesa per tutto il mondo è come il campo coltivato, di cui parla la parabola di
Mt 13,24 ss. Compare per la prima volta in questa polemica un argomento già
usato da papa Callisto, 34 che neppure agli apostoli fu permesso di separare,
prima del tempo, il grano dalla paglia: vi sono semi diversi e gli autori di essi
sono due, ma unico è il padrone del campo, Dio (cfr. 7,2).

L’elaborazione dell’ecclesiologia è il dono che le comunità d’Africa, travagliate da tanti


dissidi, fanno alla chiesa universale. Di questa elaborazione la crisi donatista ha favorito
il processo, soprattutto dopo che la politica di Giuliano ha favorito il ricostruirsi di
comunità donatiste e che queste, mosse da naturali preoccupazioni apologetiche, ebbero
sentito il bisogno di teorizzare le ragioni del loro dissenso.35

34
Cfr. Ippolito, Philosophumena IX,12.
35
Pncherle, L’ecclesiologia nella controversia donatista, p. 35.
48

7. Ticonio36

Agisce in Africa tra il 370-390. È donatista laico dissidente, di vasta cultura, era
convinto che la dottrina ecclesiologica e battesimale del donatismo era in
contraddizione con la Sacra Scrittura. Perciò, verso il 378-80, Parmeniano gli aveva
scritto per invitarlo a ritrattare la sua interpretazione ecclesiologica che era in contrasto
con quella donatista. La lettera di Parmeniano a Ticonio fu motivata da due opere dello
stesso Ticonio: De bello intestino e espositiones diversarum causarum. Nella prima
Ticonio espone il suo pensiero, mentre nella seconda difende le sue tesi affermando
l’universalità come carattere costitutivo della vera chiesa, e contestando la pretesa dei
donatisti di costituire la chiesa dei perfetti. Per confermare questa tesi faceva notare
come nel seno stesso della chiesa donatista c’erano buoni e cattivi. Verso il 370, il
vescovo donatista Rogato di Cartenna, al tempo di Parmeniano era entrato in conflitto
formando la setta dei Rogatisti. Questi si erano rivolti a Giuliano rivendicando la vera
chiesa consegnata a loro da Donato.
Ticonio sosteneva che l’efficacia del battesimo non poteva dipendere dalla condizione
morale del sacerdote che l’amministrava. Di lui c’è giunto interamente il Liber
regularum o delle sette regole, composto attorno il 372, noto come il più antico manuale
di ermeneutica biblica. Agostino si richiamerà a quest’opera negli ultimi capitoli del III
libro del De doctrina christiana.
Il Pincherle dice che è un’opera di ecclesiologia e non di ermeneutica biblica. È
un’opera che, attraverso la Scrittura, vuole permettere d’individuare quale sia la vera
chiesa. I donatisti si riferiscono alla stessa Scrittura, professano una stessa fede, hanno
gli stessi sacramenti, ma sono separati dall’appartenenza ad una propria chiesa, che
ognuno dice di essere la vera chiesa di Cristo. E poiché per individuare questa vera
chiesa di Cristo sia i donatisti sia i cattolici fanno riferimento alla Scrittura e spesso agli
stessi passi, Ticonio propone che l’interpretazione dei passi scritturistici utilizzati sia
fatta alla luce delle sette regole proposte:

1. De Domino et corpore eius (sul corpo del Signore) :è l’immagine di Chiesa che
utilizza S. Paolo nelle sue lettere.
2. De Domini corpore bipartito: la chiesa è formata da buoni e cattivi.
3. De promissionis et lege: le contraddizioni del valore della legge: quale rapporto
tra l’osservanza della legge e le promesse?
4. De specie et genere: Israele carnale o Israele spirituale.
5. De temporibus: nella Scrittura ci sono brani che potrebbero sembrare
contradditori.
6. De recapitulatione (Mt 24,15-18): l’ultima ora che durerà fino alla fine.
36
Su Ticonio furono pubblicati molti studi fino al 1970 ca.; c'è poi un vuoto di oltre 15 anni, dopo il quale
segnaliamo tre studi:
G.GAETA, Le regole per l'interpretazione della Scrittura da Ticonio ad Agostino, in “Annali di storia
dell'esegesi” 4 (1987) 107-116. IDEM, Studio sul Liber reguiarum di Ticonio, ASE 5 (1988) 103-124.
P.C. BORI, La reazione delle regole di Ticonio da Agostino ad Erasmo, ASE 5(1988) 125ss.
Fondamentali: A. PINCHERLE, Alla ricerca di Ticonio, in “Studi storico religiosi” 28 (1982) 59-75.
IDEM, L'ecclesiologia nella controversia donatista, in “Ricerche religiose” 1 (1925) 134-148.
49

7. De diabulo et corpore eius.

8. Agostino antidonatista (397-406)

Nel 397 scrive Contra partem Donati libri II. Del 400 è il De Baptismo contra
Donatistas libri VII, opera fondamentale che riassumiamo. Agostino dice che la Chiesa
non ha dato ancora tutte le soluzioni sul Battesimo, e allora offre le sue (VII, 101-102):

a) L’intenzione del ministro non è richiesta per la validità del Battesimo, sia
amministrato nella Chiesa che amministrato dagli eretici.
b) L’intenzione del soggetto non è richiesta quando il Battesimo viene ricevuto
nell’ambito di una comunità cristiana (cfr. il caso del pedobattesimo).
c) Nel caso il Battesimo sia conferito fuori da qualsiasi Chiesa, si dovrebbe
chiedere a Dio una rivelazione per sapere se accettarlo o no.

Agostino difende anche il fatto che una cosa è non avere il Battesimo, altro è non averlo
utilmente. Nel Contra Cresconium 4,16,19, troviamo la sintesi agostiniana: il Battesimo
è tale non per merito di coloro ai quali è amministrato, ma per virtù e santità propria e di
Colui che l’ha istituito. Commentando Gv 6, Agostino afferma: ... battezzi pure Giuda:
è Cristo che battezza. Nel De Baptismo, 4,17,24, Agostino fa sua l’espressione di
Cipriano “extra Ecclesiam nulla salus”; e in 5,27 dice: nella ineffabile prescienza di Dio
molti che sembrano fuori sono dentro, e quelli che sembrano dentro sono fuori.
Aggiunge, poi, che vanno prima definiti i confini della Chiesa. Ci sono infatti vari modi
di appartenenza alla Chiesa:
a. il modo della piena comunione: essere compaginati nell’unità e
possedere la carità;
b. il modo della comunione non piena: unità senza carità (peccatori); carità
senza unità (i giusti fuori dalla Chiesa).

Vi è una caratteristica della Chiesa, infatti, che la rende allo stesso tempo storica e
metastorica (escatologica), visibile ed invisibile.
L’errore fondamentale dei Donatisti sarebbe allora quello di non aver compreso che non
è possibile verificare la santità del singolo o della Chiesa solo a partire dai dati visibili
esternamente.

9. Sintesi dell’ecclesiologia donatista

1. I donatisti sono la Chiesa santa e pura, la vera Chiesa. L’errore fondamentale


dei donatisti è sempre di natura ecclesiologica. Per loro il concetto di integrità è
sempre stato più importante di quello di universalità.

2. Il donatismo è la Chiesa dei martiri. Si appoggiano sul Vangelo dicendo che


la vera Chiesa è quella che soffre persecuzione. Essi concepiscono il Martirio come
50

segno della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa (cfr. Tertulliano, Apologeticum
50, 13: “Sanguis Martyrum, semen Christianorum”). I donatisti si dicono eredi
diretti della Chiesa dei martiri (Cfr. Cipriano, Ep. 81).

3. Il donatismo è la Chiesa santa e pura. Consapevoli delle due tesi anteriori il


loro discorso si sviluppa sulla scia di Cipriano: “Extra Ecclesia nulla salus” (De
Unitate, VI), d’accordo con Paolo per il quale la Chiesa, sposa di Cristo, non deve
avere né macchia, né ruga (Ef 5, 27). Occorre allora distinguere l’ecclesiologia di
Ticonio. Per lui la Chiesa è bipartita. Agostino correggerà il ‘bipartita’ di Ticonio
con il ‘permixta’. Per Ticonio la Chiesa è bipartita con la chiara distinzione: santi -
peccatori. Differenziando un corpus di Cristo e un corpus diabuli. I ministri secondo
Pietro e i ministri secondo Giuda. È una ecclesiologia centrata sulla universalità e
non sulla integrità, come voleva la ‘pars donati’ e come radicalizzerà Primiano. Ci
sono dunque i buoni e i cattivi e sono separati, ma S. Agostino dice che non è
sempre facile distinguere buoni e cattivi. Ticonio contro Donato e Parmeniano
afferma che la Chiesa d’Africa non può essere l’unica Chiesa perché questo è contro
l’universalità. Secondo Parmeniano la Chiesa si riconosce per il fatto di possedere
sei doti.
51

Capitolo Quinto
La poesia cristiana

1. Sguardo d’insieme

La poesia cristiana nasce tardi rispetto agli altri generi letterari. Il cristianesimo, infatti,
guardava con sospetto i modelli poetici pagani, dominati dalla mitologia e
dall’immoralità. I temi principali della poesia classica erano la patria, l’eroismo, l’onore
e l’amore visto come eros passione. Il cristiano non poteva cantare l’amor di patria
come un pagano perché il cristiano è cittadino del mondo; gli eroi non sono più i
guerrieri, ma i martiri (e la letteratura martiriale attingeva agli aridi atti processuali ... ).
D’altra parte per i cristiani il cantare la patria ma solo quella nel cielo rischiava la
ripetitività, così come l’amore a Dio. Donde le difficoltà a rinvenire un’anima propria
alla lirica cristiana, che avesse anche dei temi propri da cantare. Il genio di queste
persone anche se può risultare maldestro, e oggi può non piacere, è stato quello di
adattare la lirica a un tema cristiano.
I primi impulsi alla poesia cristiana vennero:
 dai legami originari con la liturgia sinagogale: inni, salmi, cantici spirituali (Ef
5,19).
 dalla facilità con cui si memorizzano i testi poetici. Chiunque volesse propagandare
la propria dottrina poteva ricorrere a questo mezzo: Ario, Parmeniano, Ambrogio,
Agostino, composero canti popolari a questo scopo.
 perché la poesia poteva raggiungere sia le classi popolari che amavano i
omponimenti ritmici ma anche i fedeli colti: tutta la cultura classica infatti esprimeva
il suo sentimento religioso con una linguaggio poetico. Quindi anche il cristianesimo
doveva fare ricorso a questa forma letteraria se voleva esprimere la propria religiosità
in termini accessibili ai pagani.
 inoltre la Bibbia, strumento principale di diffusione dei cristianesimo, esisteva in
traduzioni latine rozze e sgrammaticate, difficilmente accettabili dai colti: il
procedere sintattico di tipo semitico, quasi incomprensibile ed inaccettabile alle
52

orecchie latine, le parabole si cercò di fare parafrasi poetiche della scrittura per
togliere la rudezza delle versioni latine della scrittura.

2. Breve panorama sui principali autori

AUTORI GRECI
Apollinare di Laodicea: Parafrasi dei Salmi.
Gregorio di Nazanzio: vuole dimostrare che la cultura cristiana non è inferiore a quella
pagana (questo discorso l’abbiamo già visto con la storiografia e la biografia: De viris
Illustribus di Girolamo); vuole divulgare la dottrina ortodossa della chiesa per evitare
che le idee eretiche circolino sotto il mantello della poesia.
Sinesio di Cirene: è filosofo e vescovo. Compone 10 Inni, in cui il misticismo neopla-
tonico esalta la divinità di Cristo.

AUTORI SIRIACI
Efrem il Siro: importante la sua esegesi. Afferma che per comprendere bene la Scrittu-
ra bisogna prima individuare l’autore e poi le sue intenzioni. Fa un commento alle opere
di Paolo.
Cirillona: compose 6 canti sull’Ultima Cena e sull’Eucaristia. Applica per la prima vol-
ta il linguaggio poetico al quotidiano, parlando di invasione di locuste e alludendo
all’invasione degli Unni.

POESIA CRISTIANA LATINA


Commodiano37: è incerta la sua collocazione cronologica tra III e il IV secolo. È
considerato il primo poeta della lingua cristiana. Le sue opere sono il Carmen
Apologeticum e l’Instructiones .
Le Instructiones sono due "cammini preferenziali" (fuga dall’idolatria e vita retta)
tracciati per chi vuole incontrare il cristianesimo: rivolte ai pagani, hanno scopo
apologetico.
Il Carmen Apologetico giunto incompleto ha la forma di apocalisse descrive la
creazione dell’Universo e la storia della salvezza fino a Cristo. Commodiano che si
considera un pagano convertito e tracciando un panorama della storia della salvezza e
confuta idee pagane e giudaiche contro la divinità di Cristo. Sono presenti idee
escatologiche millenaristiche.
Giovenco: nato in Spagna intorno al 329. È il primo poeta che crea un genere epico
cristiano. Traspose poeticamente i 4 Vangeli nell’opera Evangeliorum libri IV. Non è
solo una versio, ma soprattutto una translatio, che prende come base Matteo con un
occhio anche su Luca e Giovanni. Presenta il vangelo al lettore colto, all’aristocrazia
ancorata a Virgilio, per invitarla alla meditazione e alla preghiera. Il risultato sono 3211
esametri con infiniti suggerimenti liturgici e spirituali. L’opera è importante anche come
testimone di una Vetus Latina (Itala) che segue fedelmente, in senso letterale, salvo nei
passi oscuri in cui concede qualche chiarimento.

37
J. FONTAINE, Naissance de la poésie dans l'occident chrétiens cristiane, Paris 1981.
53

I CENTONI
Petronia Faltonia Proba: attorno al 360, una patrizia della gens petronia, moglie di
Clodio Celsino Adelfio, prefetto di Roma nel 351, scrisse il Kentron (= centone di varie
stoffe), che raccoglie e riformula passi del dell’AT (1-332) e del NT (333-694): in 694
esametri fonde la forma virgiliana con il contenuto biblico. Riprende come forma
metrica Virgilio perché molto in auge in quello periodo e ritiene più facile attraverso
Virgilio diffondere il messaggio cristiano. L’opera fu molto letta ma fu condannata nel
decreto gelasiano. È interessante che questa patrizia si muova tra i due poli della fede
biblica e di una fedeltà a Virgilio, che rimaneva il formatore dei giovani aristocratici
romani. D’altra parte testimonia il desiderio dell’aristocrazia di avere un ruolo da
protagonista nell’opera di evangelizzazione.
Sedulio: De incarnatione verbi, 111 versi che narrano l’incarnazione di Cristo.
Pomponio: Versus ad gratiam Domini, è un inno a Cristo attinto dallo stile di Virgilio.

EPIGRAFI
Papa Damaso (384): principale esponente delle poesia epigrafica. Scrive in distici
elegiaci sul modello dell’elogium funebre classico. Si tratta di distici elegiaci, modellati
sull’elogium funebre classico che per gli aristocratici si faceva in versi. I suoi
epigrammi erano posti in prossimità delle tombe dei martiri avevano la funzione di
perpetuare le gesta dei martiri aiutando e orientando la preghiera dei fedeli. Da notare
che in tutti i suoi epigrammi si ha un’espressione laudatoria della sede romana.
Ausonio (310-394): fu un grande maestro. Compose la Oratio Matutina, 85 versi dove
è esposta la preghiera di adorazione e la professore di fede, e l’Oratio domestica, 31
versi di una preghiera rivolta a Dio in occasione del pasqua.
Prundenzio (348-405): è il grande poeta della cristianità.38 Nato a Caiagurris in Spagna
nel 348, probabilmente in una famiglia cristiana di aristocratici cresciuti sotto Teodosio;
infatti fu anche consigliere proximus dell’imperatore. La sua vera conversione avvenne
però nel V secolo, quando si ritirò dopo la morte di Teodosio; allora si diede
all’ascetismo e alla poesia. Nelle sue poesie si avvertono forti reminiscenze classiche:
Seneca, Ovidio, Virgilio e Orazio, mescolate a ormai un secolo di produzione cristiana.
Queste furono le sue opere:
 Kathemerinon: 12 inni alle ore della giornata e altri 6 dedicate alle feste cristiane.
 Apotheosis: poemetto con 1085 esametri con 2 prefazioni. Vuole essere una
celebrazione dei trionfo della natura umana di Cristo nella creazione, nella creazione
dell’uomo, nella vittoria sul male.
 Harmatigenía, ossia l’origine dei male in 966 esametri. È un’opera indirizzata contro
i marcioniti, che ancora nel V sec. imperversavano, forse assimilati dai manichei. È
una polemica contro l’assurdità del dualismo marcionita.
 Psichomachia: è un’opera di genere epico contro i marcioniti che descrive, con forti
immagini allegoriche, la battaglia nell’animo del cristiano per difendere la libertà
contro lo spirito del male.
 Contra Symmacum: violenta satira della religione pagana.
 Perì stephanon: 14 inni per i martiri cristiani.

38
Detto il “principe”. Per lui Isidoro di Siviglia farà incidere sulla sua biblioteca: “dolce Prudenzio dalla
bocca senza pari, così grande e così famoso per i suoi diversi componimenti poetici”.
54

 Ditochaeon: 49 strofe, per descrivere altrettante scene e personaggi biblici.

Paolino di Nola (353- 431): ci sono arrivate due raccolte: una di Epistole e una di 33
Carmi tra i quali 14 carmina natalicia in onore del martire S. Felice. A parte tre carmi
che sono parafrasi di salmi e di uno per San Giovanni Battista, si serve dei generi
letterari dei tempo (epitalamio, natalicio, consolatorio ... ) riveduti in senso cristiano.
Carmi spesso prolissi e oratori, che sfigurano un po’ a confronto con quelli di
Prudenzio.
Ilario di Poitiers: compose l’inno ante saecula imanes inno abecedario in 19 strofe
sviluppa temi trinitari e soprattutto le relazioni Padre e Figlio.
Ambrogio: è il fondatore dell’innologia liturgica. 39 Ci sono rimasti 4 inni per le ore
liturgiche, 3 sulle grandi feste (Natale, epifania, Pasqua), 7 in onore di martiri milanesi e
romani. Questi inni erano una risposta all’arianesimo. Durante l’occupazione della
basilica ponziana gli inni dovevano sostenere il popolo nella resistenza contro la
decisione imperiale di dare la basilica agli ariani.
A Niceta di Remisiana si attribuisce l’inno Te Deum laudamus.
Agostino: abbiamo il Psalmus abecedario contra partem donati poemetto contro il
donatismo. Composti in versi facile da imparare a memoria, utile per istruire i fedeli
cristiani meno colti.

La poesia diventa un prolungamento della Lectio divina, e la relazione tra attività


poetica ed esercizio ascetico è proporzionale.

39
Alcuni titoli: Deus surgitur a tertia, Intende regis Israel.
55

Capitolo Sesto
Il Monachesimo

1. Introduzione

L’etimologia della parola greca “monachòs” deriva da “monos”, solo, unico. Ricorre
non frequentemente e poi quasi sempre come aggettivo nella letteratura greca ed
ellenistica e nella Bibbia dei LXX e in Filone. Compare anche negli scrittori gnostici e
in quelli ortodossi del cristianesimo antico. Già nel Vangelo di Tommaso, scrittore
apocrifo del II secolo, sono riportati alcuni “lòghia” di Gesù in cui il termine
“monachòs” indica “l’eletto”, colui che entrerà nella stanza nuziale e, secondo
l’interpretazione che ne ha dato Puech, ‘colui che in sé ha ridotto all’unità la dualità;
ecco in realtà chi è il monaco! Non è esatto che il monaco viene da “uno solo”, “unico”
e abbia quindi il significato di “celibe”, colui che sta solo. Egli è invece colui che ha
ricomposto in sé l’unità. È solo, è unico perché dei due ha ricomposto in sé l’unità. È
proprio la vita dei santi che ha mantenuto il significato originale delle parole (perché S.
Francesco parla con gli animali? Perché Antonio Abate ferma le montagne? Perché
hanno ricomposto l’unità, l’armonia). Dove c’è frattura nell’uomo, l’uomo porta la
frattura tra gli uomini con gli animali e con la natura. Dove l’uomo ricompone in sé
l’unità, l’armonia, l’uomo porta l’armonia non solo dentro di sé, ma nella storia degli
uomini. Si dice che l’uomo è un pacifico e un pacificatore; ma questa espressione non
può essere detta con leggerezza. Poi riporta anche l’armonia con la natura.
Nella letteratura ecclesiastica e nel significato tecnico tradizionale, il primo che ha usato
il termine “Monachos” è Eusebio di Cesarea. E tra gli occidentali, la prima volta che
troviamo il termine “Monacus” è a partire da Girolamo. La tradizione vuole che la fuga
dal mondo sia in relazione con la terribile persecuzione dell’imperatore Decio nel 250.
Fu la prima persecuzione per editto. Lo stesso Cipriano è fuggito, ha lasciato Cartagine,
si è rifugiato altrove. I rigoristi Novaziano e Novato gli rimproveravano di non aver
saputo dare testimonianza e ragione della propria fede. E lui risponde: “Non era il mio
tempo; dovevo badare al gregge”. Tant’è vero che sette anni dopo, nel 257 muore,
martire, nella persecuzione di Valeriano. Questo è importante: il cristiano non deve
cercare la morte, né il martirio (questo lo faranno i donatisti). Uno è martire non perché
56

se lo sceglie, ma perché Cristo Dio lo chiama al martirio e lo unisce a sé. È proprio uno
sfasamento teologico cercare il martirio. Primo, perché si creano degli omicidi e un
cristiano non può mai volere che un fratello diventi un omicida; perché Agostino, a
proposito del martire dirà: “Martirem non facit poena sed causa”, “Uno è martire non
per la pena che ha subito, ma per la causa per cui è morto”? Durante la persecuzione di
Decio molti cristiani sono fuggiti, soprattutto egiziani, perché il fenomeno monastico
comincia in Egitto per lo meno le notizie che noi abbiamo sono sempre più intense in
quella zona. I cristiani egiziani fuggirono dalle città e dai villaggi e si rifugiarono nelle
solitudini del deserto. Terminata la persecuzione non tutti tornarono nel luogo da cui
provenivano e si fermarono nel deserto che era diventata ormai la loro dimora. Quando
più tardi la pace di Costantino e la conversione in massa del mondo pagano fecero
calare il tono eroico dell’antica vita cristiana, cioè di quella adesione totale a Cristo per
cui la santità era data dal Battesimo, che era un morire e risorgere con Cristo, non
occorrevano altri stati di perfezione. Era l’essere battezzati che già richiedeva la santità.
Le condizioni esterne, le persecuzioni erano già un vaglio della verità; uno sapeva che
se si faceva battezzare doveva morire e risorgere con Cristo, doveva affrontare la
persecuzione, perdere i beni, non fare carriera, rischiare la morte. Il vaglio della verità di
questa adesione c’era già; gli eventi storici lo portavano con sé. Finite le persecuzioni,
dopo l’epoca costantiniana, è chiaro che ci troviamo di fronte una situazione dove
l’essere cristiani non solo è facile, ma è un vantaggio. Se ci si fa battezzare si rimane nei
posti statali. Però il tono della adesione a Cristo diminuisce. E allora molti fedeli
raggiunsero coloro i quali stavano nel deserto. Si allontanarono dalle città perché
volevano mantenere il livello di fede ereditato dai Padri, soprattutto il livello di fede
dell’era dei martiri. Sono questi i cristiani che verranno chiamati “monaci”, anche se
originariamente la voce “Monaco” indicava l’eremita, l’anacoreta, la scelta del cristiano
che vive da solo nel deserto, nell’’éremos’. Presto, fin dagli inizi del IV secolo il
termine “Monachos” passò ad indicare il ‘cenobita’, colui che fa vita comune, cioè
l’asceta che vive insieme ad altri asceti (cenobio = koinòs + bìos = comune + vita).
L’asceta che vive insieme ad altri asceti animati dallo stesso ideale di solitudine
riunendosi solo per determinate circostanze liturgiche. L’importanza che il fenomeno
monastico è venuto acquistando dalle sue origini fino ai nostri giorni si spiega vedendo
gli studi che sono stati dedicati alle origini del fenomeno monastico e del suo sviluppo.
Studi che partendo da presupposti ideologici diversi, hanno offerto letture particolari del
fenomeno monastico.

Occorre vedere:
- l’origine del fenomeno monastico,
- le varie interpretazioni che sono state date in epoca moderna, del fenomeno
monastico, a seconda delle varie ideologie da cui queste interpretazioni 40
partivano ;

40
Veingarten Reizenstein, Lobos, Mazza, Bonaiuti, Festugiere, fino all’interpretazione di Colombas, che
intelligentemente è voluto ritornare a studiare le origini del fenomeno monastico, partendo da ciò che i
monaci dicevano di se stessi. Abbandonate il problema delle origini del fenomeno monastico, Brown ha
tentato di vedere quale era il ruolo che si chiedeva al santo monaco, dal IV secolo in poi.
57

- il passaggio dagli Atti dei martiri che veicolavano il modello da seguire a quello


veicolato dalle biografie e dalle agiografie41.

2. Storiografia sul monachesimo

WEINGARTEN (1877) individuava le origini dei monachensimo nel paganesimo


egiziano: il suo giudizio ci pare però influenzato dalle scoperte archeologiche dell’epoca
e da un certo revival dei paganesimo che si ebbe nella seconda metà dell’800.
REITZENSTEIN42 pubblicò la Historia monachorum e la Historia lausiaca (Göttingen,
1916); individuava le origini dei monachesimo in una sintesi tra l’ideale evangelico e le
idee filosofico-religiose nei secoli II-IV. L’Autore, studioso di egittologia e dei mondo
classico, scoprì dei parallelismi con il culto di Iside, come anche la permanenza di
alcuni elementi della filosofia antica e dell’ascetismo ad essa correlato; risentiva delle
teorie di Harnack sull’elienizzazione dei cristianesimo, per cui veniva trascurato
l’influsso dell’AT sul cristianesimo.
BUONAIUTI43 (1928), giudicato modernista,44 vide le origini dell’ascetismo cristiano
nell’assunzione dell’etica paolina.
Tra gli STORICI MARXISTI45 è diffusa l’opinione che individua le origini dei
monachesimo in una particolare situazione socioeconomica venutasi a creare
nell’impero dei IV secolo.
La riflessione protestante, particolarmente la SCUOLA DI TUBINGA, riportò le origini
dei monachesimo all’interno di un discorso ecclesiale.
Per VON HARNACK, l’origine dei monachesimo era un problema legato all’ecclesiologia
ed alla teologia dogmatica. I riformati considerano sufficiente alla santità il battesimo,
per cui il fenomeno monastico sembra loro una contestazione al modo di intendere la
struttura gerarchica e gli stati di vita nella Chiesa46. Questa critica ci pare un po’
anacronistico.
In Inghilterra la riflessione sulle origini del monachesimo coincide con l’esigenza di far
rinascere l’ascetismo delle origini.

41
Uno dei motivi per i quali il fenomeno monastico si afferma è quello di voler tornare ai modelli del
cristianesimo antico, ossia una contestazione del ruolo avuto dall’episcopato nell’accoglienza dell’era
costantiniana (Quell’alleanza postcostantiniana tra impero e Chiesa, che di fatto ha reso più facili le
conversioni e meno problematico vivere il battesimo).. Grazie all’opera, Vita Antoni, Atanasio è riuscito a
far rientrare il fenomeno monastico di contestazione della alleanza tra impero e Chiesa, nell’alveo della
grande Chiesa cattolica, propagandando, esortando alla imitazione della Vita Antoni.
42
WEINGARTEN, Le origíni dei monachesimo, Gotha 1877.
43
BUONAIUTI, Le origini dell'ascetismo cristiano, 1928.
44
Le origini del modernismo nascono nel dialogo con la cultura del tempo. Per esempio ritiene diversa dal
vangelo e segnata da un pessimismo sull'uomo e il mondo mondo per il dominio del peccato . Gesù è il
buono per eccellenza poi Paolo inserisce il discorso etico per il tempi lunghi della storia.
45
VOLTER, Der Ursprung der Mönchtum,- Tübingen 1900. GONZALES LOBO, in Spagna; per l'Italia
V. MAZZA, in “Studi storici”, 1980.
46
Cfr. VON HARNACK, i Monaci, il loro ideale e la loro storia, 1907
58

Così CHADWICK muove nella sua riflessione da Giovanni Cassiano (Cambridge,


1930).
FESTUGIÈRE con un bellissimo intervento 47 ha sottolineato come le origini dei
monachesimo siano da ricercare all’interno della Chiesa, nella contrapposizione tra chi
ricerca la santità nell’allontanamento radicale dalla cultura e dal mondo profano e chi la
vuole trovare nel dialogo con esse.
PETER BROWN, autore geniale anche se non sempre perfettamente storico, giudica
impossibile cercare una sola ragione per l’origine dei monachesimo; si interroga quindi
sul ruolo e la funzione dell’uomo santo nel mondo tardo-antico. Mette a fuoco il
mutamento avvenuto tra il III ed il IV secolo nel modo di vivere il rapporto tra l’uomo
ed il trascendente (questo secolo è “un’epoca di angoscia” ... ): prima questo ruolo di
intercessore era riconosciuto ai martiri; ora la mediazione con il divino diventa funzione
dei santo monaco ed i pellegrinaggi alle tombe dei martiri vengono sostituiti da quello
presso gli anacoreti.
Girolamo non fa mistero di questa equivalenza tra martirio e monachesimo laddove
presenta l’ascesi come secondo battesimo: schema già applicato al martirio.
COLOMBASS ha aggiunto un contributo nuovo e importante attraverso l’esame dei testi
dei monaci del IV e V che riflettono sulle loro origini. Cambio di prospettiva cercando
di vedere cosa i monaci dicevano di se stessi. Al suo sorgere così come lo conosciamo
dai testi a nostra disposizione è un fenomeno laico e una contestazione alla struttura e al
comportamento dei vescovi nei grossi centri culturali in rapporto al potere politico.
Per esempio il discorso di Antonio fatto da Atanasio. Il vescovo di Alessandria ha
recuperato Antonio che altrimenti sarebbe rimasto ai margini della grande Chiesa

Il IV secolo segna il momento dell’esplosione (non della nascita!) del fenomeno


monastico: è evidente che c’era la domanda di un cristianesimo esigente. Sono
cambiate le condizioni di vita, il cristianesimo è divenuto fenomeno di massa. Il
monachesimo manifesta l’esigenza dei ritorno all’ideale dei cristianesimo nascente:
un’istanza nostalgica che era già presente nel donatismo e nella Chiesa meleziana.
Il modello monastico, nato come contestazione verso la Chiesa, divenne coi tempo la
risposta cercata alle esigenze della vita cristiana. Nascono le biografie degli anacoreti,
di Antonio, di Paolo di Tebe, di llarione... Poi modelli di santità si ritrovano nelle figure
dell’anacoreta fedele al vescovo ed alla gerarchia; infine nel santo vescovo. E allora
compaiono molte biografie di vescovi: la Vita Ambrosii di Paolino, la Vita Augustíni di
Possidio, la Vita Martiní…
Si passa cioè da un discorso originario sulla santità possibile per tutti nel proprio stato
di vita, rispondendo alle esigenze di Dio, alla consapevolezza che esiste uno stato più
perfetto che veicola verso la santità.
Questi modelli interpretativi vennero infine completati da Colombas, che ha cercato
cosa i monaci stessi abbiano detto sulle proprie origini. Fino ad allora si era ignorata
l’incidenza della Scrittura nelle opere monastiche e patristiche; con Colombas vediamo
che la Bibbia è il vero modello dei monaci (i primi interpreti non l’avevano neanche
sognata questa osservazione).
47
FESTUGIERE, Les moins d'Orient Culture et sainteté, Paris 1961.
59

M. G. MARA condivide la tesi secondo cui il fenomeno monastico risponde alle mutate
situazioni storico-politiche del momento. Vi è una nostalgia per il cristianesimo delle
origini che spiega come si sviluppi dappertutto la diffusione del fenomeno monastico
con la stessa esigenza di abbandonare la città, dove c’è il culto, il benessere, la
possibilità di vivere, con la ricerca dei luoghi più lontani dalla città, il che significa la
privazione ed anche la povertà. La scelta principale non è la povertà; la povertà è la
conseguenza della scelta che si è fatta (cfr. S Francesco che scelse gli emarginati e come
conseguenza rimase povero).
REMO CACITTI48 vede l’origine del monachesimo nella comunità dei terapeuti di
Alessandria, cui accenna Eusebio nella sua Historia Ecclesiastica II,17, riportando la
testimonianza di Filone.
Nel brano di Eusebio troviamo una sorta di protesta a favore della veridicità storica
della memoria di Filone, che era stato abbandonato dai giudei dopo la sua conversione
al cristianesimo. Si passa poi alla descrizione dei terapeuti: rinunciavano alle loro
facoltà, cedevano i loro beni ai parenti, lasciavano le città per andare a vivere nei campi
in solitudine e nei giardini, cercavano di imitare la vita dei profeti con fede molto
sincera e fervente. Abbiamo un altro elemento importante, il riferimento alla primitiva
comunità di Gerusalemme, dove tutti i discepoli degli apostoli, venduti i loro beni e le
loro sostanze, ne dividevano il ricavato in base alla necessità di ciascuno, perché
nessuno tra loro rimanesse nel bisogno. Eusebio descrive anche come erano fatte le loro
abitazioni e poi fa capire che questi terapeuti erano un gruppo di giudeo-cristiani simili
agli Esseni. Discorrendo si parla dei momenti di preghiera della comunità e alla fine si
accenna alle donne, alla loro verginità e castità, e alla loro funzione all’interno della
stessa: spiegano allegoricamente le Sacre Scritture.

3. La diffusione del monachesimo

Il IV secolo presenta diversi modi di contestazione della posizione sociale della Chiesa
e come alcuni rimangono nell’alveo della grande Chiesa cattolica e anzi il fenomeno
monastico sarà poi la struttura portante della Chiesa per tutto il medio-evo, mentre altri
fenomeni si collocheranno al margine della Chiesa, pur essendo nati dalla stessa
esigenza di ritorno alle origini, per esempio il donatismo. Mentre il fenomeno monastico
rimane nell’alveo della grande Chiesa cattolica e anzi animerà la vita della Chiesa con
modalità diverse e sorprendente capacità di adattamento alla storia, il donatismo
eccederà e sarà lo scisma. Poi segue un terzo fenomeno che sarà totalmente fuori dalla
grande Chiesa, il manicheismo, che è una proposta di salvezza per l’uomo in un periodo
di disorientamento per l’alleanza col potere e l’emarginazione dal potere, con degli
errori dottrinali in partenza.
Questi tre fenomeni accostati mostrano come in questa epoca storica, esigenze analoghe
hanno portato aldilà di ciò che era richiesto dalla stessa esigenza da cui sono nati.
La rapida diffusione del fenomeno monastico, tra IV e V secolo, a partire dall’Egitto,
dove sorge e si diffonde, sino alla Siria, alla Cappadocia, alla Palestina, all’Italia, alle
Gallie, all’Africa, di per sé è eloquente di quanto fosse estesa la domanda di un’esigente
48
I terapeuti di Alessandria nella vita spirituale protocristiana, Milano 2001.
60

vita cristiana. Non si potrebbe infatti spiegare diversamente l’estensione e la diffusione


così rapida del fenomeno monastico se non rispondesse a delle esigenze che vanno
dall’Egitto, alla Siria, alla Cappadocia, alla Palestina, all’Italia, alle Gallie, all’Africa.
Questa rapida diffusione consente di cogliere quali siano stati gli elementi comuni
fondanti del fenomeno monastico e quali siano stati gli elementi di inculturazione (detto
con linguaggio moderno), ossia cosa non muta mai nel fenomeno monastico e cosa
invece si adatta alle culture delle varie regioni ed ai momenti storici diversi, ai
cambiamenti epocali.
Il fine è costante e comune: la realizzazione della teandrìa49, ed i mezzi per
raggiungerlo. Questa ricerca della teandrìa, che costituisce il fine specifico della vita
monastica, è contro il dualismo ontologico50 (gnostico e manicheo), non è mai proposto
come bene esclusivo e proprio solo di una categoria di uomini, ma il fenomeno
monastico è un fenomeno laicale51.
La preoccupazione dei grandi Padri del IV secolo era quella di non lasciare intendere il
fenomeno monastico come un’altra forma di dualismo, cosa che con il passare dei
secoli, poi di fatto si verifica 52. Per cogliere bene questo aspetto è da considerare il
quadro storico politico: quando la situazione era di persecuzione, il battesimo era di per
sé un elemento che costituiva uno stato di perfezione, le conseguenze che ne derivavano
erano tali da mettere in crisi chiunque non fosse convinto di portare fino in fondo le
conseguenze del battesimo, ma quando la vita politico-sociale civile è diventata tutta
favorevole ai cristiani, molti si battezzano per convenienza.
I mezzi per conseguire la teandrìa riguardano la preghiera, il digiuno, la penitenza in
generale, ed il lavoro come elementi che si articolano in modo diverso. Al suo nascere il
fenomeno monastico è caratterizzato da una sua laicità, dall’emarginazione e
dall’allontanamento dalla città (per non compromettersi con l’ufficialità della Chiesa),
con la conseguenza diretta della povertà53. Le forme cambiano a seconda delle
esigenze54: preghiera, lavoro, penitenza sono i tre elementi comuni, cioè i mezzi per
giungere alla teandrìa, anche se vissuti in diversi modi; per alcuni i digiuni sono
lunghissimi, per altri, a seconda dei tempi, sono meno rigidi; per alcuni sarà importante
che i monaci dedichino tempo alla cultura55, mentre altri centrano più l’interesse quasi
49
La teandrìa : la presenza di Dio nell’uomo, lo spazio da lasciare al divino nell’uomo, mediante
l’imitazione di Cristo. Questa ricerca della teandrìa è il fine costante, lo si trova nella Vita Antoni :
Antonio vuole che il suo cuore sia realmente abitato da Dio; lo si trova in Basilio, che darà al fenomeno
monastico un’impronta diversa; lo si trova negli anacoreti, in Evagrio, che sembrerebbe l’opposto di
Antonio, nelle Gallie in Martino di Tour, in Africa etc. è realmente la preoccupazione fondamentale.
50
Che considera l’esistenza di due nature : del bene e del male.
51
Il fenomeno monastico evita dunque il dualismo che dividerebbe le persone in coloro che sono
battezzati e coloro che vogliono essere santi, la divisione è data dal modo in cui si vive il battesimo, non
dallo stato in cui si vive.
52
Perché si considera una vita di perfezione, quasi che la vita battesimale nel mondo, non lo fosse.
53
Basilio che aveva fatto esperienza, che era stato monaco ed aveva condotto vita anacoretica, per primo
stabilirà la vita in città e la dedizione alla carità ai bisognosi. Già Pacomio aveva avvertito l’esigenza che
per la teandrìa fosse necessaria la vita cenobitica, per l’esercizio della carità col fratello. Agostino creerà i
cenobi episcopali, Eusebio di Vercelli sarà il primo a creare la vita monastica in episcopio.
54
Per esempio il fatto che i laici sono più colti dei preti, per cui l’esigenza di una vita monastica per i preti
che predicheranno la Parola di Dio. Il cenobio di Agostino diverrà fucina di vescovi.
55
Cf. Evagrio, Basilio, Benedetto, Cassiodoro, padri che inseriscono nel lavoro la elaborazione e
trasmissione della cultura (cfr. la trasmissione di codici)..
61

esclusivo per la Scrittura56. È costante nella proposta monastica del IV secolo l’esigenza
di tradurre quella sequela Christi, che prima era data dal martirio. A tale riguardo il
corpus paolino diviene il testo principale, il cotidie morior: come il martire moriva per
seguire Cristo fino all’ultimo momento della sua vita con l’effusione del sangue, che
allora significava la sua professione di fede, così rimane chiara la sequela Christi, che è
già inclusa nel battesimo.
Dapprima dunque erano gli Atti dei martiri che veicolavano il modello da seguire (quasi
tutti con riferimento a Stefano, primo martire, modello dell’unico grande martire Cristo,
con i vari elementi comuni) adesso il modello è veicolato dalle biografie, dalle
agiografie: Vita Antoni, Vita Malchi, Vita Ilarioni, Vita Martini, Vita Severi etc.

La preghiera nella vita monastica è innanzitutto biblica anche se la troviamo in forme


molto diverse57. In questo senso il testo principe 58 è Lc 18,1: È necessario pregare
sempre; a questo segue Lc 21,36: Pregate in ogni tempo; infine, abbiamo 1Ts 8,17:
Pregate senza interruzione.

4. Chi erano i monaci?


Anacoreti, ovvero separati dal mondo, che vivevano soli o in coppia e partecipavano
alle sinassi liturgiche ed alle conferenze spirituali; eremiti (vivevano nel deserto).
Costoro venivano spesso dalle classi più semplici ed umili della società copta. Antonio
era di famiglia contadina agiata, e non conosceva il greco. Macario il grande era stato
cammelliere, Macario di Alessandria un modesto commerciante, e Mosè un ladro. La
vita monastica si configura quindi come l’espressione della misericordia di Dio nei
confronti di ciascuno. Proprio la condizione umile dei monaci fa sottolineare ad alcuni
studiosi le origini socioeconomiche del monachesimo. Solo Evagrio e Palladio
provenivano da classi medie e colte, e proprio essi ci hanno lasciato delle testimonianze
scritte.
Negli Apophtegmata (5) si dice che molti monaci venivano da un mondo rozzo ed
ignorante: conoscevano solo il copto, ed erano diffidenti nei confronti della riflessione
teologica.
Antonio vive non lontano da Alessandria; è illetterato, ma ha nel cuore il luogo della
biblioteca: la Bibbia non va studiata, ma imparata a memoria. Questa affermazione, che
si legge nella Vita Antonii, è forse una presa di posizione di Atanasio contro la scuola di
Alessandria: vuole dimostrare che anche una vita illetterata può condurre alla santità.
56
Cf. Agostino, Ambrogio (che sarà uno dei più grandi protettori del fenomeno monastico dell’Italia
centrale)..
57
Cf. gli Apoftegmata patron sono brevissime esclamazioni. riprese per lo più dai Salmi. Cfr. la
trasposizione nella vita liturgica.
58
Nell’interpretazione dei passi della Scrittura, ci sono delle devianze, un esempio classico è quel
fenomeno che pervade e serpeggia per molti ambienti monastici, il messalianismo o messalianesimo : gli
“euchiti” ritengono che la preghiera sia l’elemento principale della vita monastica, richiamandosi a quei
passi evangelici in cui Gesù dice che questo genere di demoni non si scaccia altro che con la preghiera e il
digiuno, per insegnare la forza della preghiera e del digiuno nella lotta contro il demoniaco; sono contrari
a Paolo che nella 2Ts dice “chi non vuole lavorare neppure mangi”, che interpretano in modo “spirituale”
in modo tale da far dire a Paolo : “chi non vuole lavorare spiritualmente, neppure mangi il pane
eucaristico”, ma Paolo sta parlando in un contesto di concreto lavoro fisico.
62

Non lontano da Alessandria è Evagrio, che però intende la penetrazione della Parola di
Dio come opera fondamentale nella vita dei monaci: abbiamo quindi diversi modelli di
santità che vogliono rispondere alle domande provenienti da ambienti diversi.
Gli Apophtegmata non sono discorsi teologici: parlare della fede e leggere trattati
prosciuga la devozione del monaco.
Possedere dei libri era considerato un grave peccato, con l’eccezione della Bibbia:
norma di vita e codice della lotta contro il demonio. Siamo di fronte ad una sua lettura
fondamentalista. Era importante vivere la perfezione piuttosto che riflettere sui suoi
stadi. Molti anacoreti erano semplici laici: assistiamo così ad una rivalutazione del
Battesimo. Spesso i monaci rifiutano gli Ordini, che comportavano la rinuncia alla
solitudine in quanto sono una diakonia al servizio del popolo di Dio.
Occorreva trovare un padre, in grado di iniziare alla nuova esperienza, che insegnasse la
vita nel deserto e la lotta contro il demonio e le passioni. L’insegnamento era impartito
con la parola e più spesso con l’esempio. L’anziano doveva parlare solo se interrogato
dal discepolo.
Gli Apophtegmata sono insieme la condanna ed il castigo dell’anacoretismo del deserto:
i logia divennero presto parte di una codificazione legale, e persero il loro valore
carismatico. La parola dell’anziano era pronunciata per quel discepolo ed in quella
situazione: non era una teorizzazione, ma un insegnamento inseparabile dall’esempio
concreto. Nell’orario dell’anacoreta un posto privilegiato veniva riservato per la
preghiera e per il lavoro manuale.

5. Quadro generale del fenomeno monastico


EGITTO

Il monachesimo egiziano si caratterizza per tre filoni:


1. L’eremitismo e l’anacoretismo (cfr. Antonio). Si fonda su tre aspetti di vita: la
preghiera (basata sulla Bibbia, da imparare a memoria e da applicare
letteralmente, con una lettura integralista); il lavoro (per il proprio
sostentamento e per offrire mezzi per la carità); l’ascesi (come lotta contro i
demoni). Prende come esempio la vita di Gesù.
2. Il cenobitismo. Il Corpus Pacomiano propugna la vita comune sull’esempio della
primitiva comunità apostolica (cfr. At 2; 4). Ogni gesto deve essere “normato”
dalla Bibbia.
3. Il monachesimo di stampo origenista, fortemente intellettuale sviluppatosi per
opera di Evagrio Pontico.
Questa varietà di modelli rappresenta la risposta ad esigenze diverse. Se Antonio si
oppone all’intellettualismo della scuola di Alessandria, Evagrio si preoccupa invece di
non perderne il patrimonio di riflessione della tradizione alessandrina e della sua scuola.
In tutti e tre i filoni monastici è comunque fondamentale la Bibbia.
Evagrio Pontico (354-399)
Propone un monachesimo di stampo origenista, fortemente intellettuale. La lettura della
Bibbia è compiuta secondo un’esegesi spirituale: importante è l’opera Antirretikos (libri
63

VIII), nella quale si riportano dei passi scelti della Scrittura che forniscono un aiuto per
combattere i vari spiriti maligni preposti ai differenti peccati.
Pacomio
È ritenuto il fondatore del cenobitismo. Nacque verso il 290 in una famiglia pagana,
nella Tebaide superiore. Militare, si convertì, venne battezzato e si mise alla scuola
dell’anacoreta Palmone. Dopo 7 anni di "noviziato" divenne monaco e si stanziò sulla
riva destra del Nilo, dove presto lo raggiunsero numerosi discepoli.
Il motto: “è volontà di Dio che tu ti metta a servizio degli uomini per riconciliarli con
Dio”.
Le sue Regole sono divise in 4 sezioni:
a. Precetti ai novizi;
b. Precetti e norme;
c. Precetti e leggi;
e. Precetti sulle sei orazioni vespertine e sulla riunione nelle singole case.
L’organizzazione pacomiana, molto centralizzata, rifletteva in parte la sua esperienza di
vita militare. Tutti i monasteri dipendevano da un unico superiore, ed ogni monastero
era diviso in famiglie di 20-30 monaci; tre o quattro famiglie formavano una tribù. Ogni
famiglia aveva una sua occupazione ed il monastero, composto da vari nuclei, era simile
ad un villaggio.

SIRIA E PALESTINA

Troviamo forme che variano dall’anacoretismo con rigidissimi stili di vita, alle colonie
eremitiche fino ai cenobi domestici.

L’anacoretismo di Teodoreto di Cirro


Nella Historia Monachorum Teodoreto di Cirro descrive tre tipi di vita anacoretica:
1. stazionari, che restano sempre in piedi per periodi lunghissimi;
2. stiliti, il più famoso dei quali è Simeone;
3. dentriti, che vivono sugli alberi.
Di fronte alla rigidità della disciplina di queste forme monastiche Teodoreto di Cirro
avverte: "Il lettore sappia non sono da imitare ma sono da stupirsi per le meraviglie che
Dio opera in loro".

Efrem Siro ed Afraate


Efrem Siro ed Afraate portano ad una unificazione della cultura e della ascesi: mediano
tra il modello di Antonio e quello di Evagrio.
Efrem (306-372) visse dapprima alla scuola di Edessa. Poi venne in contatto con
anacoreti del deserto. Importanti sono i suoi commentari a Paolo.
In Persia è famoso Afraate, detto “il saggio persiano”: dapprima eremita poi superiore
vescovo di un monastero. Non impose regole, ma lasciava i suoi monaci liberi nelle
pratiche di ascesi, e li volle assai vicini al popolo.
64

Giovanni Crisostomo
Ad Antiochia Giovanni Crisostomo propugnava l’ascetismo domestico (presente anche
a Roma e diffuso soprattutto tra il 350 ed il 450 ca.). Si basava sulla ricerca della
solitudine interiore, possibile anche tra le pareti di casa e si alimenta alla meditazione
della Bibbia. E il modello che prevarrà largamente tra coloro che provengono da
ambienti culturali e che spesso vengono scelti come vescovi.
Palladio
In Palestina spicca la figura di Palladio, autore della Historia Lausiaca. Costui visse
alcuni anni come monaco vicino a Gerico, un importante centro di vita monastica,
legato spiritualmente ai Luoghi santi e dedito anche all’assistenza dei pellegrini.
Monasteri famosi della Palestina furono quelli della Giudea, di Gerusalemme, di
Betiemme (fondato da Girolamo).

CAPPADOCIA

Basilio
Abbiamo scarse notizia anteriori al 350. Sappiamo che Basilio (329-379) si separò dal
maestro Eustazio nel 373, quando lo scopra su posizioni pneumatomache. Visse in Siria
e Palestina e redasse le sue Regole. Il movimento basiliano si contraddistingue per uno
studio sistematico dei NT, che produce le regole morali, divise in ampie e brevi. Le
regole ampie sono scritte in forma di dialogo, un genere letterario assai diffuso. Quelle
brevi si presentano come risposte date ai monaci (cfr. come poi Agostino riprenderà
questo modello letterario nella sua opera De diversis quaestionibus octoginta tribus).
I problemi vertevano principalmente sul rapporto tra la Bibbia e la sapienza profana (un
problema molto sentito da Basilio, che aveva frequentato in giovinezza le migliori
scuole "laiche" dei tempo).
Note caratteristiche di questa forma di monachesimo sono la ricerca di una armonia tra
il lavoro manuale (che andava valorizzato per contrastare la cultura ambiente che lo
disprezzava) e quello intellettuale (che correva il rischio, in certi contesti monastici, di
essere disprezzato e ritenuto inutile); la ricerca di una sintesi tra la vita solitaria e
l’esigenza di una presenza caritatevole nella comunità cristiana. Per questo motivo
Basilio fonda Basiliade, una "città della carità" che cerca di rispondere alle emergenze
dei tempo: orfani, bambini esposti, fanciulle da marito (che rischiavano di essere ridotte
in schiavitù), viandanti (per i quali non esistevano luoghi attrezzati di sosta), ospedali.
Basilio apre cosi il fenomeno monastico alla dimensione della carità nei confronti dei
fratelli bisognosi abitanti o transitanti nella sua Diocesi.
Vuole che i monasteri non siano lontani dalla città, bensì ad essa vicini, per poter
praticare la carità. Tutto questo segna un’evoluzione nel monachesimo, che prima
tendeva soprattutto a contestare il rapporto Chiesa/Impero ed il rilassamento della vita
cristiana. Nella prima metà del III secolo si assiste ad una conversione di massa: questo
richiede che al Battesimo si affianchi la pratica della carità, per continuare a
testimoniare le esigenze della vita cristiana che prima venivano dettate dal solo
Battesimo.
65

Nel De Baptismo dello Pseudo-Basilio troviamo per la prima volta un parallelismo tra le
tappe dell’iniziazione battesimale e quelle della vita monastica.
Lo schema monastico basiliano subirà in seguito una duplice evoluzione: sempre più
monaci saranno chiamati all’episcopato, ma proprio questi esporteranno il monachesimo
creando dei cenobi episcopali nei quali il vescovo conduce vita comune insieme ai
presbiteri. Un’altra testimonianza della grande capacità di adattamento dell’ideale
monastico alle diverse situazioni.
Il monachesimo basiliano si diffuse in Asia Minore, nell’Armenia romana, nella Siria
settentrionale, nel Caucaso.

Gregorio di Nazanzio
Afferma che è necessaria la comprensione e la valorizzazione di tutte le diverse forme
di vita cristiana: anacoretismo, cenobitismo, ascetismo domestico vanno accolti perché
dipendono dalla convinzione che solo dal Battesimo deriva la divinizzazione dei
cristiano. Da ciò consegue che la santità non è legata ad uno stile di vita riservato a
pochi: le varie forme della vita cristiana sono i modi di traduzione concreta della realtà
battesimale (= santità ed elezione), e l’itinerario cristiano è possibile a tutti.

Gregorio Nisseno
Si caratterizza come il grande contemplativo, che lotta affinché la spiritualità monastica
sia intesa come conforme al vangelo e non come una forma di vita filosofica propria di
persone con una notevole forza di volontà. È la fede che salva, non il volontarismo.
Nella Vita Moysis, Mosè diventa il modello della vita monastica.
Il Nisseno è preoccupato di insistere sul valore dei lavoro manuale e spiega, quindi,
come vada inteso il precetto della preghiera continua (cfr. 2 Ts) combinato con
l’obbligatorietà del lavoro. Agisce in questo modo per combattere una tendenza che si
stava diffondendo nei vari ambienti monastici: i gruppi di messaliani o euchiti. Costoro
sostenevano che gli unici compiti dei monaco erano la preghiera ed il digiuno. Ma in
questo modo scaricavano su altri tutto il lavoro, creando due categorie nettamente
separate di monaci: i contemplativi ed i lavoratori.

Nell’ambito orientale si avverte già il problema dei rapporti tra i monaci e l’autorità
imperiale. Le forti posizioni dei monaci non potevano essere trascurate dal potere civile,
che spesso erano beneficiari di sovvenzioni statali; d’altra parte queste recavano con sé
anche una soffocante ingerenza imperiale. In nuce appare già il problema della Chiesa
imperiale e delle Chiese nazionali ortodosse.

ITALIA

La Vita Antonii era già letta a Milano intorno al 360-365, ma probabilmente le prime
forme di esperienza monastica erano sorte già da prima. Comunque vennero consolidate
dalla conoscenza del monachesimo egiziano.

PRICOCO sostiene che il monachesimo in Italia sia nato da questi fattori:


66

a. stimolazione da un modello orientale;


b. tendenza a fiorire in città, diversamente da eremi e deserto;
c. rapporto con la gerarchia ecclesiastica;
d. coinvolgimento delle classi medio-alte.

Una forma particolare di monachesimo occidentale, che non trovava riscontro in


Oriente, fu quella dei cenobi episcopali, cui sono legati i nomi di Eusebio di Vercelli,
Zenone di Verona, Gaudenzio di Novara e Massimo di Torino, che propugnavano un
severo ascetismo: il servizio alla Chiesa, la riflessione intensa sulla Parola.

Ambrogio
Fu un grande sostenitore della vita monastica. Portando nell’attività episcopale la
conoscenza del diritto romano e delle sue lacune, critica fortemente il giuridismo e le
raccomandazioni in campo giudiziario. Scrisse il De officiis ministrorum, opera
importantissima, ma che contribuisce a quella separazione dei precetti morali, e
distingue i precetti per chierici e quelli per i laici.
L’Italia del IV secolo non ha grossi centri teologici, ma la conoscenza della parola era
diffusa anche tra i laici. Il cenobio di Agostino nasce per i laici. Successivamente si fa
strada l’esigenza di avere dei pastori teologicamente competenti, ed a loro che si
rivolgono prevalentemente le istituzioni monastiche.

GALLIE

Il monachesimo si sviluppò soprattutto nella zona meridionale. Suo modello fu Martino


di Tours. La forma prevalente è quella dei monasteri guidati da monaci vescovi,
provenienti da ambienti culturalmente elevati. È molto marcata anche la dimensione
missionaria.

AFRICA

Agostino
Non è l’inventore del monachesimo africano, ma le varie forme già esistenti ricevono da
lui forma ed impulso. Importante è il suo scritto De opere monachorum, dove parla del
lavoro e della preghiera continua (commenta i brani in questione di 2 Ts), contro i
messaliani che erano ivi assai diffusi. In Agostino riveste grande importanza il
passaggio dal cenobio dei laici (Tagaste) a quello episcopale riservato ai chierici
(Ippona). Ciò implicò l’affermarsi della concezione del cenobio come servizio pastorale
alla Chiesa, fondato sulla comune ricerca biblica.

6. Conclusioni

Da notare che nonostante la varietà della forme e delle esperienze rimangono comuni i
tre cardini fondamentali del monachesimo: lavoro, preghiera, ascetismo. Vi è inoltre un
67

forte cristocentrismo: ogni tipo di monachesimo vuole essere una proposta di imitatio
Christi che sostituisce il modello precedente del martirio.

Capitolo settimo
L’Arianesimo

1. Introduzione

Nella controversia ariana, che è insieme trinitaria e cristologica, è in gioco la essenza


stessa della Rivelazione cristiana. Come avevano ben compreso i grandi Padri del IV
secolo, se Cristo non è Dio vana è la fede, ma se Cristo è Figlio di Dio incarnato, allora
in una sola divinità ci sono diverse persone. Come può avvenire questo secondo un
criterio razionale ed una conoscenza filosofica? Nella mente umana una persona
corrisponde una natura. Allora ci vuole un linguaggio capace di tradurre concetti non
altrimenti comprensibili. Ci vuole un linguaggio capace di dire il mistero che non vuol
dire definire il mistero. La controversia si origina innestando sulla tradizione più antica
della Chiesa un linguaggio che vuole spiegare ed utilizzare, quindi, dei termini
filosofici, su quello che prima era semplicemente un linguaggio biblico, scritturistico
che di suo richiedeva un’accoglienza di fede, ma non richiedeva una spiegazione
razionale. La formula di Mt 28, “Battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo”, non è la formula più arcaica: essa è, però, il frutto della riflessione
liturgica della prima comunità cristiana. Ed il frutto della prima comunità cristiana, che
è anche apostolica, ha recepito questa formula come propria del pensiero di Gesù Cristo,
indispensabile per amministrare il battesimo. È proprio questo tipo di annuncio che i
Padri del IV secolo sono stati chiamati ad approfondire e in qualche modo a spiegare,
perché non si è mai sentito dire che uno è allo stesso tempo uno e tre. Si accetta il
mistero, ma si vuole intuire la possibilità di tale mistero, dal momento che si capisce
come non si tratti di una triplice divinità, ma di una sola divinità che si presenta e si
rivela come tre persone.
C’è un diverso modo di esprimere il mistero trinitario tra oriente e occidente pur
rimanendo nella stessa fede. I Padri orientali che partecipano a questo grande dibattito
sono Alessandro di Alessandria, Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio di
Nissa, Giovanni Crisostomo, Cirillo di Gerusalemme, Luciano di Antiochia, Eustazio,
Eusebio di Cesarea, Eusebio di Nicomedia, mentre quelli occidentali sono Ilario, Mario
68

Vittorino, Ambrosiaster, Ambrogio, Agostino, Lucifero di Cagliari, Girolamo, Gregorio


di Elvira ed Eusebio di Vercelli.

2. Antecedenti della controversia ariana

a) Presupposto dottrinale:
- La concezione origeniana
I presupposti del problema ariano erano presenti già nel III secolo. Senza poter
approfondire la cristologia del III secolo propongo un semplice schema che
radicalizzato porterà all’arianesimo.
Il grande Origene è preoccupato di dire che il Dio dei cristiani è uno e trino esprimendo
un tenue subordinazionismo verticale che si può rendere così:

Padre

Figlio

Spirito Santo

Si tratta di un’unica natura divina con tre persone. Tutte e tre le persone sono divine. Si
ha in questo caso un subordinazionismo che è mentale e non ontologico. Mentre si sa
che cosa è, non si riesce contemporaneamente a dire che cosa è. Ma perché? Perché
mentre si dice una cosa, il passato diventa presente ed il futuro diventa presente. Allora
si può dire che il mistero non si definisce, perché definirlo significa delimitarlo: al
massimo si può dare una definizione aperta del mistero.59

- La concezione "occidentale"
A differenza di Alessandria a Roma e nell’Occidente in genere, si sviluppa una
descrizione della trinità che tenda a evidenziare maggiormente l’unità, rappresentando
la relazione tra le persone in modo orizzontale:

Padre  Figlio  Spirito Santo

Mentre lo schema che rispecchia il pensiero alessandrino, ha il rischio di un


subordinazionismo, quello occidentale di Roma comporta il rischio di un
monarchianismo, di un modalismo. Questo fa si che prevalga il concetto dell’unità della
divinità sulla distinzione delle Persone. Una delle ragioni per cui sussiste questa forma
di modalismo tre modi di essere di Dio non tre persone unite dall’unica natura divina
ma distinte può essere anche di natura politica.60

59
Questo ci fa capire che rimane impossibile esprimere l’eternità. Si deve dunque usare il concetto di
tempo, come anche il grande Agostino cfr. Confessioni X.
69

- Lo schema ariano

PADRE (sfera della divinità)


Figlio (sfera della creaturalità)



Spirito Santo

Questo schema è una radicalizzazione del pensiero di Origene (che non ci aveva mai
pensato). L’unico pienamente Dio è il Padre. Figlio e Spirito Santo sono in un ambito
intermedio tra la sfera della divinità e quella della creaturalità fungendo di mediazione
tra le due ma propendendo più per l’ambito creaturale. Il Figlio è creatura del Padre
(anche se la più eccelsa) lo Spirito Santo a volte è definito one creatura del Figlio.
L’errore ariano risiede nel far coincidere la nozione di divinità con quella di
ingenerazione (l’unico ingenerato anche per i cattolici è il Padre e quindi, secondo Ario
l’unico Dio è il Padre).

b) La polemica tra i due Dionigi

Ai prodromi della controversia ariana c’è la controversia tra i due Dionigi. Nel 257 un
gruppo di fedeli di Alessandria presentò un’accusa al vescovo Dionigi di Roma, a
proposito di alcune affermazioni fatte dal vescovo Dionigi di Alessandria, sul Figlio di
Dio. Dionigi di Alessandria avrebbe affermato che il Figlio di Dio era una creatura
(poiema).
Papa Dionigi contesta le affermazioni del vescovo di Alessandria del Figlio come
creatura e anche l’esistenza di tre ipostaseis che potrebbe far pensare a un politeismo.
Dionigi di Roma scrive a Dionigi di Alessandria "o ritratti le tre ipostasi o sei fuori
della comunione della Chiesa".
Dionigi di Alessandria risponde "Non posso ritrattare sulle tre ipostasi. Se non sono tre,
togliamo allora la fede nella trinità!". Ma ritrattò le affermazioni del Figlio poiema,
chiarendo che si trattava di un espressione per controbattere i sabelliani. Dionigi di
Alessandria specifica che Padre Figlio Spirito Santo sono un’unica divinità parlando di
60
Alberto Pincherle si domandava come mai Roma fosse così centrata su un monarchianesimo con il
rischio di cadere nel modalismo e nel patripassianismo. La risposta sta nel fatto che Roma essendo la
capitale dell’Impero ha tutta l’esperienza di non volere di non avere un triumvirato politico, ma tende a
far si che ci sia un unico imperatore. Se la storia umana è quella che in un qualche modo mi aiuta a
pensare il divino, è chiaro che quello che si vuole del modello umano è poi quello che poi si trasferisce
nell’ambito del pensiero teologico. Ma cosa ci conferma nella bontà di questo influsso politico in una
riflessione trinitaria? Il fatto che Costantino in un primo momento difende la cattolica contro
l’arianesimo, convocando il Concilio di Nicea, porta Ario a radicalizzare la sua posizione tanto che egli
dirà che il Figlio è assolutamente dissimile dal Padre. Sarà proprio un vescovo ariano, Eusebio di
Nicomedia, a battezzare Costantino. Ciò significa che quel tipo di soluzione adottato da Ario ritornerà
nello schema politico imperiale.
70

una gradatio puramente mentale esistente con le tre persone e si comincia a pensare a
una sola ousia con tre ipostaseis.

c) La vicenda di Paolo di Samosata

Tra il 264-68 alcuni vescovi di Siria, Palestina e Asia Minore mettono sotto accusa il
vescovo di Antiochia Paolo per le sua dottrina adozionista. Egli faceva di Cristo un
mero uomo dotato di particolari carismi divini (in abitazione del Logos in Cristo). Il
Logos era considerato una facoltà operativa di Dio e non una ipostasi. Di fronte a questo
tipo di adozionismo di stampo monarchiano v’è la reazione degli origenisti, che
sostengono una teologia del Logos/ e non del Logos/.

d) Luciano di Antiochia

Fu prete a capo di una scuola ad Antiochia. Allontanato dalla sua chiesa fu riammesso
prima della persecuzione di Diocleziano e morì martire. Fu maestro di Ario, di
ispirazione dottrinale origeniana esasperata.

e) Melizio di Licopoli

Lo scisma meliziano fu conseguenza dell’ultima persecuzione che durò in Egitto dal


303 al 312. Durante questo periodo, mentre il vescovo di Alessandria Pietro era in
prigione con altri vescovi, Melizio cominciò a ordinare vescovi in sedi rimaste vacanti. I
meliziani si organizzarono in una loro chiesa agguerriti e numerosi. Il loro scisma è
paragonabile a quello del donatismo.

3. ARIO

Nasce in Libia nel 262 ed è discepolo di Luciano di Antiochia. Compagno di studi di


Eusebio di Nicomedia (che gli darà rifugio dopo la scomunica di Nicea), diventa poi
diacono ad Alessandria nel 308, e gli viene affidata la chiesa più importante della città.
Per la sua non comune intelligenza e facondia, alcuni lo vorrebbero vescovo di
Alessandria, ma ragioni di convenienza gli fanno preferire Alessandro, sul quale
convergono anche i voti del partito di Ario: proprio per questo motivo Alessandro
tarderà a denunciarne la predicazione. L’arianesimo è una eresia trinitaria che coinvolge
la cristologia. Le sue radici si trovano nella controversia dei due Dionigi (riguardante,
come abbiamo visto, l’uso del termine hypostasis). Ario si richiamava ad una cristologia
in qualche modo adozionista (cfr. Paolo di Samosata), che per salvare il monoteismo
assoluto negava la vera divinità di Cristo. Intorno al 320 Ario è il prete più influente di
Alessandria, ma il suo insegnamento, che accentua il subordinazionismo della scuola
alessandrina per cercare di “razionalizzare” il Mistero, solleva delle critiche. Dire che
tra Padre e Figlio c’è un rapporto di generazione significa che il Figlio, in quanto
generato, non può essere eterno. Ario concepisce la generazione come una creazione
speciale e non come una generazione dall’essenza. Questo era il problema principale di
71

Ario: la generazione non può venire dall’essenza del Padre, altrimenti lo divide e si
darebbe luogo a due principi. Sulla base del brano di Prov 8,22-25 (“Il Signore mi ha
creato, inizio delle sue opere…”) afferma che il Logos è una creatura creata per la
creazione e prima del tempo. Il Figlio di dio è diverso da tutte le altre creature perché è
stato fatto per la creazione del mondo.
Alessandro invita Ario a non predicare pubblicamente e a non diffondere i suoi canti
“dottrinali”, ma è costretto ad intervenire più incisivamente a causa delle critiche dei
monarchiani. Nel 318 Alessandro convoca le parti in causa per discutere, ma non si
approda a nulla. Allora indice il primo concilio regionale, al quale prendono parte 100
vescovi egiziani: Ario e i suoi partigiani vengono scomunicati. Nel 325, in seguito al
continuare della polemica, abbiamo il Concilio di Nicea.

Brani scritturistici su cui fonda la sua teologia:

- Gv 14,28: Il Padre è più grande di me.


- Sull’unicità del Padre: Deut 6,4; 1 Tim 2,5; Gv 17,3; Mc 10,18.
- I poteri dati a Cristo dal Padre: Gv 3,35. 5,22; Lc 10,22.
- Origine di Cristo: Eb 1,4. 3,1-2; Col 1,15.
- Sulle passioni di Cristo: episodio samaritana al pozzo e morte di Lazzaro.

4. Gli Scritti di Ario

Thalia, banchetto festività convito. Opera composta dopo il 320, durante il soggiorno di
Ario a Nicomedia.. I frammenti di questo scritto ci sono stati riferiti da Atanasio:61 si
tratta di una miscellanea di versi e prosa, contenente molti canti che presentavano la
dottrina di Ario in forma metrica perché questo era il modo di diffondere la sua dottrina.
Lettera ad Eusebio di Nicomedia la conosciamo attraverso la Historia Ecclesiastica
colonna 912 di Teodoreto di Cirro:“Siamo perseguitati perché abbiamo detto: il Figlio
ha avuto un inizio, ma il Padre è senza inizio. Siamo pure perseguitati perché abbiamo
detto: Egli è tratto dal nulla…Non è una parte di Dio…”.
Lettera ad Alessandro62 che vuole essere professione di fede per essere riammesso nella
comunità i Alessandria: "Dio è unico è il solo ingenerato eterno senza principio
veramente Dio (...) questo Dio assoluto non saprebbe comunicare il suo essere e
sostanza perché supporrebbe che egli sia divisibile cioè un corpo. Un Dio generato è
contraddizione in termini" Solo Dio è ingenerato. Ario fa l’equivalenza ingenerato =
divinità.
Come scritti post-niceni abbiamo la Lettera a Costantino63.

5. La teologia di Alessandro vescovo di Alessandria

61
Atanasio Apologia contro gli ariani I capitoli 5-6 PG 26 coll 21-24.
62
E’ conservata nel De Synodis 16 di Atanasio e da Epifanio sulle eresie, la 69,78: in questa lettera vi è
una esposizione della fede di Ario.
63
Fu scritta dopo il Concilio di Nicea. In questa lettera Ario cerca di difendere la sua ortodossia presso
l’Imperatore.
72

Atanasio salvaguarda l’eredità più valida della teologia di Origene e riesce a descrivere
la condizione di Cristo vero Figlio di Dio e vero Dio. Secondo Origene il Figlio non
procede dal Padre per via di divisione ma nella stessa maniera con cui la volontà deriva
dalla ragione con un atto spirituale Poichè in Dio tutto è eterno anche questo atto di
generazione è eterno. Il Figlio è generato dal Padre ab aeterno. Sulla scia di Origene
concepisce il Verbo come ipostasis e con la natura unica che opera la mediazione tra
Dio e la creazione non è però una creatura in quanto deriva dall’essere del Padre il quale
è ingenerato. Non fa coincidere il concetto di ingenerato con quello di divinità come fa
erroneamente Ario. Per essere non bisogna essere ingenerati altrimenti il Figlio non è
Dio perché generato dal Padre. Alessandro un origeniano moderato legato ad Ario dalla
comune affermazione che il Padre e il Figlio costituiscono due ipostasi ma nettamente
opposto a Ario nel presentare il rapporto tra le due ipostasi. per Ario solo il Padre è di
natura divina.
Sintetizzando la dottrina di Atanasio si individuano alcuni punti:
1. Dio è immateriale, ingenerato, eterno, immutabile.
2. La realtà di Dio è una e trina.
3. Il Figlio, è generato e non creato in un processo di generazione eterna e
non temporale.
4. Il Figlio pur essendo generato è della stessa sostanza divina del Padre.
5. Lo Spirito Santo è della stessa sostanza del Padre e del Figlio (è il primo
a fare questa affermazione).

6. Il Concilio di Nicea

Come documentazione storica abbiamo la Professione di fede, la Lettera sinodale e 2


lettere di Costantino (sulla data della Pasqua e disposizioni circa Ario). Non sono giunti
gli Atti del Concilio, ma abbiamo diverse fonti:
- Eusebio di Cesarea, testimone oculare, che parla del Concilio nella Vita Costantini e
nella lettera alla comunità di Cesarea.
- Teodoreto di Cirro, Historia Ecclesiastica I, che aggiunge qualche elemento che
proviene da Eustazio di Antiochia.
- Atanasio nell’epistola: De decretis Nicaenae Synodis (350-351).

A) Le posizioni dottrinali al Concilio di Nicea:

1) Estrema sinistra: Eusebio di Nicomedia che insieme ad altri seguaci di


Luciano di Antiochia (i Collucianisti) radicalizza la dottrina di Ario. Questi tolsero
dalla dottrina ariana l’espressione “dal nulla” perché troppo compromettente.
2) Centro sinistra: Eusebio di Cesarea il quale propone la formula biblica senza
alcuna innovazione di termini, per cui rimane inalterata l’espressione “Figlio dal
Padre, Dio da Dio, Luce da Luce”. Si ha in questo caso un subordinazionismo
moderato che vuole mantenere le espressioni bibliche così come sono. A questa
posizione si unirà anche Cirillo di Gerusalemme.
3) Centro: Alessandro, Atanasio, Ossio di Cordova, propongono come base la
formulazione di Eusebio di Cesarea, ma vanno oltre usando l’espressione “Dio
73

vero da Dio vero, generato e non fatto” (homoousios = consustanziale al Padre,


cioè uguale al Padre, da omos e ousia).
4) Estrema destra: Eustazio di Antiochia, insieme a Marcello di Ancira, Essi sono
attaccati al principio della monarchia tanto che cadranno nel modalismo, nel
sabellianismo, nel patripassianismo. La scuola asiatica della quale fanno parte è
contraria al pensiero di Origene.

Eusebio di Cesarea
La sua posizione era stata espressa già prima di Nicea. È fondamentale nel suo pensiero
il concetto di monarchia, sia nell’accezione teologica che in quella politica. Si
preoccupa che l’esistenza del Figlio non pregiudichi la monarchia divina, e tende a
sottolineare più la funzione del Logos (strumento del Padre per la creazione) che non i
suoi rapporti con il Padre. Afferma pure che il Figlio ha tutto dal Padre, ma non giunge
ad assimilare il Figlio ad una creatura. La dimestichezza di Eusebio con Costantino
aveva fatto intuire al vescovo che gli Imperatori avevano un rifiuto totale dell’idea del
triumvirato, conclusosi sempre tragicamente. Per Costantino era importante che la
posizione di Dio Padre fosse collocata in preminenza, chiaramente e senza perplessità.
Eustazio di Antiochia
Propugna un monarchianesimo asiatico di stampo moderato. Parla di tre prosopai per
definire l’individualità all’interno della natura divina. Polemizza con la cristologia
Logos-sarx, di tipo discendente, dove domina il Logos a scapito della piena umanità.
Parla dell’unione di divinità e umanità in Cristo nei termini dell’inabitazione del Logos
nell’uomo Gesù.
Marcello di Ancira
Radicalmente opposto ad Ario, afferma un monarchianismo economico: ammette le
distinzioni nella Trinità solo in relazione alle operazioni ad extra. Dio è una Monade
indivisibile, ed il Logos non ha sussistenza personale.
Ossio di Cordova
È il consigliere di Costantino, e di lui non ci rimangono scritti, anche se ebbe una parte
notevole al Concilio di Serdica, dove si approvò una professione di fede di stampo
monarchiano. Possiamo allora dedurre che a Nicea Ossio fu più vicino agli asiatici che
non alla Logostheologie di Alessandro.

B) Il Simbolo

Il credo niceno è stato redatto sulla falsariga di una formula di fede probabilmente
presente in una Chiesa orientale forse Cesarea di Palestina alle quali sono state aggiunte
precisazioni anti-ariane:
- homoousios è la più qualificante in senso antiariano. Il Figlio è consustanziale
col Padre contro gli ariani che lo definivano come la più eccelsa tra le creature.
- non divisione per cui il Figlio non sarebbe una parte del Padre.
Tutti i termini del simbolo hanno origine biblica, ad eccezione di  e o
74

1. Il primo articolo del Simbolo ripresenta la comune fede cristiana che fu


giudaica: Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente creatore di tutte le cose
visibile e invisibili.
2. Il secondo articolo continua: per noi uomini e per la nostra salvezza egli è
disceso dal cielo, si è incarnato e si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo
giorno, è salito nei cieli…(nel sec. IV ancora preoccupazioni antidocete). Il
termine  era centrale. Poteva dare l’impressione di una divisione
materiale della sostanza divina e poteva essere interpretato in senso sabelliano:
poteva allora indicare sia l’essenza individuale () sia
l’essenza comune agli esseri di uno stesso genere.
3. Il terzo articolo recita semplicemente così: Crediamo nello Spirito Santo. Manca
quasi del tutto la riflessione sullo Spirito Santo. Un rallentamento della
pneumatologia si può addebitare a prevenzioni indotte da Montano e da Mani.

I 4 anatematismi:

1. Ma quelli che dicono: “vi fu un tempo in cui egli non esisteva”,


2. “prima che nascesse non era”,
3. “è stato creato dal nulla”,
4. quelli che dicono che il Figlio di Dio è di un’altra sostanza o di un’essenza diversa
rispetto al Padre, o che il Figlio è sottomesso al cambiamento o all’alterazione
questi la chiesa cattolica ”.

C) Il decreto della Pasqua

L’imperatore Costantino si era impegnato in questo discorso perché voleva un’unica


data della festa di Pasqua per l’Impero, altrimenti si sarebbero create discrepanze a
livello religioso e sociale. Pertanto al Concilio Costantino impose la data per la festa di
Pasqua nella prima domenica dopo il 14 di Nisan con la sottolineatura teologica della
risurrezione (corrente alessandrina in contrapposizione a quella giovannea che
sottolineava l’immolazione dell’agnello, la morte di Cristo al 14 di Nisan).

7. Dopo Nicea (335-355)

Sotto la guida dei due Eusebii si crea un fronte antimonarchiano: Eusebio di Cesarea è
preoccupato che si imponga una teologia che sfuma troppo le differenze tra le Persone.
Eusebio di Nicomedia ha invece altre mire: trasforma la difesa antisabelliana del suo
omonimo cesariense nella sistematica eliminazione dall’oriente dei vescovi niceni; è
infatti convinto che omousios sia un termine che porta al monarchianesimo. L’oriente
sta dunque diventando ariano: filoariani sono i vescovi e gli imperatori (Costanzo II). Si
susseguono le destituzioni, condotte in piena armonia da Costanzo II ed Eusebio di
Nicomedia. Si giunge fino al Concilio di Tiro-Gerusalemme (latrocinio di Tiro) del 355,
che depone Atanasio (va in esilio prima a Treviri, ove scrive la vita Antonii). Il fronte
filoariano prevarrà in Oriente per circa un ventennio, ed i Concilii sarano dominati dagli
75

imperatori: 353 Arles; 355 Milano; 356 Beziers. Questi ed altri concilii (341-351)
giungono ad elaborare sette diversi simboli di fede, alla ricerca di una formula filoariana
che venga accettata dai niceni. Dopo questi sinodi solo in pochi restano fedeli a Nicea:
Lucifero di Cagliari, Ilario, papa Liberio, Ossio di Cordova, Eusebio di Vercelli.
Lucifero, Ilario ed Eusebio vengono esiliati in Oriente. Ilario ne approfitta per studiare a
fondo la terminologia teologica, e si convince che il termine omousios non è
l’espressione più esatta del rapporto Padre-Figlio (più tardi anche Atanasio converrà su
questo).
Si giunge così allo scontro frontale. L’arianesimo si radicalizza con il diacono Ezio di
Antiochia, che identifica tout-court l’essenza divina con la nozione di Ingenerato (Ario
non l’aveva fatto espressamente): allora il Figlio non è consustanziale, ma del tutto
diverso. Da qui il nome di anomei. Eunomio vescovo di Cizico aderisce alla dottrina di
Ezio. Contro gli Anomei si crea un fronte che cerca una formula capace di esprimere il
rapporto di somiglianza tra Padre e Figlio.
Le soluzioni proposte sono due:

1. Il Verbo è in tutto simile al Padre: non è della stessa sostanza, ma di una sostanza
simile. Questi sono gli omeusiani, il cui capo è Basilio di Ancira.
2. Gli omeusiani meno subordinazionisti dicono che il Figlio è simile al Padre secondo
le Scritture: sono gli omeisti.

Nel 337 muore Costantino, favorevole a Nicea. Gli succede Costanzo II, filoariano. Con
Giuliano (360) i niceni godranno di un periodo di tolleranza. Valentiniano (366-7),
imperatore di Occidente, è niceno ma non si interessa ai problemi teologici (“Laicus
sum”); Valente (364-378), imperatore di Oriente, è filoariano ed attivamente impegnato
nella soppressione dei vescovi niceni. Con l’avvento di Teodosio (379), spagnolo e
niceno, le sorti dell’arianesimo cadono. Nel 381, al Concilio di Costantinopoli, trionfa
la dottrina dei Cappadoci, mentre già nel 379 un proclama di Teodosio aveva imposto a
tutti i sudditi la stessa fede di Pietro. In Occidente Ilario e Ambrogio confermano la fede
nicena (restano solo alcune minoranze di origine gotica).
76

Capitolo Ottavo
La cristologia del IV secolo

1. Introduzione

La Scrittura è il punto di partenza per studiare la cristologia patristica e nella Scrittura


troviamo soprattutto le immagini del Nuovo Testamento che sono la fonte della
riflessione cristologica: l'essere divino, unigenito del Padre, immagine di Dio e anche il
Gesù che ha fame, è stanco e soffre. Per esempio 1Cor 1,24 Cristo viene presentato
come spirito e potenza di Dio; in Col 1,15 è il primogenito di tutto le creature;
Giovanni 4,6 presenta Gesù stanco al pozzo di Giacobbe.
Partendo dalla scrittura si cerca la risposta a due domande:
1. Se Cristo è Dio, come salvare il monoteismo? Il teologumenon dell'unicità di Dio
che è il fondamento della fede ereditata dai giudei.
2. Se Cristo è Dio come può essere anche uomo?
Si pongono quindi due ordini di problemi:
a. La divinità di Cristo e la sua uguaglianza con il Padre.
b. Come può una persona divina essere veramente uomo?

2. Il rapporto tra il Gesù della storia e il Cristo della fede

La cristologia nasce su questo sfondo biblico (cfr. l’introduzione del Grillmeier). Nel
secolo XIX, dietro l’influsso dell’illuminismo, si cerca di elaborare un ritratto storico di
Gesù mediante l’uso delle tecniche storiografiche, rifiutando metodologicamente il
dogma dell’Incarnazione, inattingibile dallo storico. Si cerca così di trattare la vita di
Gesù come quella di un uomo qualsiasi. Lo Schweizer (Tubinga 1906) esamina il
processo che va dalla storicizzazione in poi, analizzando come i vari secoli si sono
rapportati a Cristo e sottolineando i limiti dell’approccio storicistico.
77

Si torna così, in ambito protestante (Kaller, Lipsia 1892), alla riflessione teologica sui
dati neotestamentari, sostenendo la necessità di riconoscere come fatto storico che la
fede riconduce a Gesù di Nazareth, predicato dagli Apostoli come Cristo e Risorto. Si
parte dunque dalla fede degli uomini che hanno annunciato il vangelo.
Una terza via di approccio viene suggerita da Bultmann e Conzelmann: si tratta di una
interpretazione esistenziale, che ricerca cosa Cristo dice a me, e salvaguarda in questo
modo la dimensione di eternità del Risorto.
Questi tre modi di approccio sono chiamati ad integrarsi.
Ma Conzelmann, discepolo di Bultmann, rivede la posizione del suo maestro
riformulando il senso al rapporto tra il Gesù della storia e di quello della fede:

“Siamo abituati a ragionare partendo dalla frattura prodottasi tra il Gesù


storico e la comunità e segnata dalla sa morte insieme alle esperienze di
Pasqua partendo dalla distinzione tra parola-predicazione di Gesù sul regno
di Dio e il kerigma su Gesù. Differenza tra il Gesù predicatore e quello
predicato.”

3. La riflessione cristologica del IV secolo

La cristologia dei primissimi secoli si esprime in forme semplicissime, partendo da una


riflessione sui Nomi e sui Titoli cristologici (cfr. Danielou e Cullmann e l’opera di
Cirillo di Gerusalemme).
Le eresie cristologiche del II-III secolo (Ebioniti - Adozionisti) partono da una persona
umana che variamente viene considerata adottata da Dio o resa degna della presenza del
Logos. I Doceti estremizzano il ruolo del Logos, fino a rendere solo apparente l’umanità
di Cristo.
Nel IV secolo troviamo una esplicita riflessione con due grandi linee di pensiero in
cristologia:
2. lo schema Logos-sarx (cristologia dall’alto);
3. e quello Logos-anthropos (cristologia dal basso).

La tensione tra questi due mondi domina la cristologia da Origene al Concilio di Efeso.

3.1. Gli antecedenti della crisi del IV secolo

Vanno ricercati nelle dottrine di Paolo di Samosata, chiaramente adozionista, che


negava la verità dell’Incarnazione. Era rappresentante di una cristologia divisiva, che
sosteneva l’inabitazione del Logos nell’uomo Gesù. Secondo gli avversari di questo
personaggio, tutte le funzioni dell’anima di Cristo sono svolte dal Logos incarnato in un
corpo umano privo di anima (schema Logos-sarx). Questa cristologia era diffusa
nell’area origeniana (Egitto, Palestina, parte dell’Asia Minore) e teneva in secondo
piano l’umanità di Cristo. Ario porta questo tipo di cristologia a conseguenze estreme:
attribuisce al Logos le passioni umane che i Vangeli attribuiscono a Cristo, per
affermare l’inferiorità della natura divina del Logos rispetto al Padre.
Gli Apollinaristi posero il problema della completa umanità di Cristo, della sua unità:
per affermare la divinità di Cristo sminuivano la completezza della persona umana di
Gesù. Nello schema Logos-sarx proposto da Apollinare convergono due eresie ed un
78

propugnatore dell’ortodossia: l’arianesimo, l’apollinarismo ed Atanasio, che attribuiva


un ruolo secondario all’anima di Cristo. Secondo Atanasio, il Logos si è incarnato in un
corpo umano con un’anima morticina, non operante: ogni azione di Cristo viene
considerata unicamente divina.
Con la sconfitta dell’arianesimo e dell’apollinarismo questa corrente si attenua:
l’umanità completa di Cristo viene elevata ad articolo di fede: vero Dio e vero uomo.

3.2. La riflessione del IV secolo

La cristologia del IV secolo si orienta a riconoscere più idoneo lo schema Logos-


anthropos; si presenta però il problema della coesistenza delle due nature in Cristo.
In questo campo si scontrano per qualche decennio queste due cristologie: Eustazio,
niceno, afferma che il Logos dimora nell’uomo come in un tempio. Atanasio, a partire
da Gv 1,14, afferma che il Logos è divenuto uomo, non: è entrato nell’uomo. Il
problema di base è soteriologico: ciò che non viene assunto non viene sanato. Se il
Logos non diviene realmente uomo, l’uomo non è assunto e non può essere salvato.
Nello stesso tempo, solo Dio può salvare l’uomo, per cui il Verbo deve essere
assolutamente divino. L’Incarnazione del Verbo viene allora compresa come la
dimensione sponsale della natura umana con quella Divina: l’Incarnazione deve essere
completa per rendere possibile la salvezza.
Atanasio afferma che il Verbo dimora come in un tempio nel corpo che si è plasmato, e
che usa come organon, strumento. Il Verbo diviene carne, non: si trasforma in carne.
Egli vede il Logos come principio animatore del corpo.
Secondo Apollinare Dio abita nell’uomo, ma non è un uomo: la natura umana e
corporea di Cristo viene dalla Vergine, e diventa divina solo grazie all’unione della
divinità: Cristo è dunque un uomo celeste (cristologia angelica). Apollinare parla di una
compositio di Cristo, ma con una sola fysis e ousìa: il Logos, sorgente di vita, assorbe la
vita umana. Vi è un solo prosopon, e la natura umana di Cristo è incompleta: manca del
nous.
Eustazio di Antiochia oppone alla cristologia logos-sarx quella logos-anthropos: separa
talmente le due nature da giungere quasi a dividerle, affermandole ambedue come
complete. Anche di Nestorio si dirà poi che vuole fare due Cristi. Per Eustazio Cristo è
un uomo che porta Dio, non un Dio rivestito dell’uomo: non si può dire che Dio è
morto.
Marcello di Ancira utilizza lo schema logos-anthropos, ma si attira un’accusa di
adozionismo: Cristo è un uomo su cui, nel Battesimo, scende lo Spirito Santo.
Cirillo di Gerusalemme
Inquadra Cristo nella storia della salvezza. Preferisce parlare usando i termini riferiti a
Cristo presenti nella scrittura: porta, pecora, agnello, figlio, consolatore, santificatore,
redentore, mediatore. Pur avvertendo tutti i pericoli delle eresie ed afferma, invece, che
vuole parlare di Cristo come se ne parla nella Scrittura. Egli parla di Cristo attraverso i
titoli ed i nomi della Scrittura. Infatti dedica la X catechesi e tutta una cristologia sui
nomi di Cristo. La difficoltà che rimane è il timore di non riuscire a dirlo.
Basilio usa la terminologia tradizionale, ma si avvicina agli antiocheni, parlando della
carne di Cristo portatrice della divinità, resa santa dall’unione a quest’ultima. Afferma
la communicatio idiomatum, ovvero l’interscambio delle caratteristiche tra le due
nature.
79

Gregorio Nisseno e Gregorio Nazianzeno spostano il discorso sulle due nature di


Cristo: danno ormai per scontata la divinità del Salvatore. Cercano di spiegare unità e
distinzione delle nature con categorie stoiche: dottrina della mescolanza. Il Nisseno,
all’interno del tema dell’homo adsumptus, parla della morte di Cristo come della
separazione dell’anima dal corpo, e non della divinità dall’umanità (Gv 19: et emisit
spiritum). La divinità non abbandona l’umanità al suo destino.
Diodoro di Tarso
Diodoro di Tarso conserva l’orientamento cristologico di Antiochia, ma non si
conforma al tipo Logos-anthropos preferendo partire dai presupposti della cristologia
Logos-sarx. Si oppone ad affermare che l'incarnato sia un unica ipostasi e distingue il
Figlio di Dio dal Figlio di Davide, anche se vengono uniti nel culto.

Teodoro di Mopsuestia
Teodoro di Mopsuestia ha una cristologia che segue lo schema Logos-anthropos e che
suppone una natura umana completa, a volte indipendente, rischiando una dualità. Se in
Diodoro il Figlio di Dio e il Figlio di Davide sono due cose diverse, in Teodoro si
rischia di arrivare a due Cristi.

4. Le diverse impostazioni filosofiche

All'origine di tutta questa riflessione c'è la filosofia.


Ad Alessandria troviamo la concezione platonica che vuole salvare la divinità del Cristo
(Logo-sarx). Il punto di partenza è l'unica persona del Verbo che proviene da due
nature, in cui quella umana in qualche modo è menomata
La cristologia antiochena, invece, è di tradizione prevalentemente aristotelica perché
sottolinea la piena assunzione di un uomo perfetto (Logos-anthropos). Punto di
partenza sono le due nature che formano l’unione o persona comune delle due nature. Il
fondamento dell’unità è la natura divina del Verbo.

5. La riflessione cristologica in occidente

Ilario
Ilario preferisce essere più storico che teologo, preferisce, quindi, un approccio storico a
una visione statica delle due nature di Cristo. Riferendosi perciò alla storia della
salvezza distingue tre periodi:
1. la preesistenza
2. la kenosi
3. l'esaltazione
Per Ilario Cristo è la rivelazione del Dio trino e specialmente della filiazione in Dio.
Riconosce la piena umanità di Cristo e la sua vera divinità: "Cristo è sempre uno nella
dualità della divinità e della umanità". Nel De Trinitate attacca i tripartientes che
separano in Cristo il Logos, il corpo e l'anima.

Mario Vittorino
Il Logos assume l'uomo intero: corpo e anima. Il Logos assume il Logos dell'anima e il
Logos della carne, cioè non assume solo una natura corporale e spirituale individuale,
80

ma in Cristo il Logos assume l'umanità intera (anticipazione del Christus totus), assume
la totalità di tutte le anime e di tutti i corpi . Si va verso una visione cosmica.

Ambrogio
Il suo pensiero è forse il risultato della polemica. Dice che c'è distinzione in Cristo di
due nature e di due volontà, ma afferma anche la perfetta unità in Cristo. Cristo è unus e
per questo non è possibile distinguere la natura umana da quella divina (De Fide II, 7
De Inc.).
La passione di Cristo è il prezzo pagato al demonio per la salvezza degli uomini.

Agostino
Agostino non scrisse nessun trattato di cristologia, ma descrive il suo cammino per la
scoperta di Cristo e alcuni versetti scritturistici, che sono fondamentali in questo
percorso. Agostino dichiara di essere stato fotiniano, ha creduto cioè a una mera
umanità di Gesù, e che Alipio apollinarista ha scoperto chi è Gesù dalla lettura di Paolo
(Confessioni VII, 18,24). Tra i testi fondamentale è 1 Tim 2,5: "mediatore tra Dio e gli
uomini è l'uomo Cristo Gesù". Spesso cita Giovanni 1,14 con Filippesi 2,6-7.64

64
Importante lo studio di VERFINGEN L'hymne aux Philippiens et la Christologie augustinienne sul
commento Giovanni 47,6 De civ. Dei 12,2 il Cristo totus la sua fede cristologica.
81

Capitolo Nono
La Catechesi

1. Introduzione

Fino al IV secolo bastava confessare la fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo e
poi le condizioni sociali e l'ostilità imperiale, che spesso in tempo di persecuzione
comportava la perdita dei beni, del posto di lavoro e a volte della vita, garantivano la
sincerità delle persone che si facevano battezzare. Finite le persecuzioni e mutata la
condizione politica, che aveva fatto venire meno le ostilità degli imperatori verso i
cristiani, aumentò il numero delle conversioni. L’istruzione catechetica individuale e
personalizzata non sarà più sufficiente e si avvertirà la necessità di formare delle
catechesi più articolate e più sistematiche, che dovranno tracciare la pienezza della vita
cristiana, cioè la tensione verso la vita nuova che il battesimo comportava. L'editto di
Teodosio che faceva intendere ai non battezzati di non poter occupare posti di
funzionari pubblici comportò conversioni in massa. Da qui il bisogno di una seria e
lunga catechesi di preparazione al battesimo.
La catechesi è stata vista sempre come necessità di prolungare il Kerigma fin dai tempi
della Chiesa apostolica. Come prime guide abbiamo le diverse forme del simbolo
provenienti dalla liturgia. La catechesi della Chiesa allora era rivolta a tutti e ai singoli,
ma anche a gruppi (cfr. il catecumenato del II-III secolo). Famose erano le diverse
scuole catechetiche di Alessandria. I catechisti spiegavano in modo teologico i brani
della Scrittura. Nei tempi apostolici si trattavano prima gli argomenti morali e solo dopo
quelli teologici.
L’itinerario della catechesi nei primi secoli faceva sì che un catecumenato nei tempi
della persecuzione fosse legato ad uno stile di vita. Nel IV secolo la vita ecclesiale
cambia notevolmente e questo si ripercuote nella catechesi. Stato e Chiesa sono in
sintonia e moltitudini vogliono farsi battezzare.

2. La catechesi come preparazione al battesimo


82

Nel IV secolo il catecumenato si affievolisce, ma occorreva sempre insegnare a coloro


che volevano battezzarsi. La catechesi era divisa in due parti:
a. intellettuale (prima del battesimo);
b. mistagogica (dopo).
Cirillo di Gerusalemme aveva diviso così le sue catechesi: 19 ai competentes e 5 agli
illuminati.

3. Osservazioni

1. La catechesi ha stretto rapporto con l’omelia; anche se differiscono nel genere


letterario, si compenetrano vicendevolmente nella prassi. Nascono così le omelie
catechetiche battesimali (cfr. Zenone di Verona, morto nel 371).
2. La catechesi serve per la preparazione immediata al battesimo e tale
preparazione interessa anche la liturgia. La liturgia allora diventa oggetto di
catechesi, così i suoi simboli venivano spiegati con brani scritturistici con
riferimento alla teologia e alla vita dei fedeli (cfr. Ambrogio, De mysteris;
Giovanni Crisostomo spiegava l’esorcismo, le unzioni e il lavacro).
3. Disposizione degli argomenti nel IV secolo. Viene ribaltato lo schema
apostolico e nella catechesi si parla prima della teologia e poi della morale65.
4. La catechesi diventa anche insegnamento antieretico (cfr. il catechismo olandese
che prendeva in esame tutti gli errori del XX secolo). La catechesi diventa
annuncio calato nel contesto storico e non di dottrina asettico. Un esempio
interessante è la spiegazione del simbolo di Rufino d’Aquileia, in cui incarna il
credo in una certa situazione storica.
5. La catechesi verte su argomenti antieretici:
1. dottrina sulla creazione (contro i Manichei);
2. la Trinità;
3. la persona di Cristo.

4. La catechesi come insegnamento sistematico

Dice Grillmeier che il simbolo diventa una summa teologica partendo da una verità
fede. Essa non solo narra la storia della salvezza, ma cerca anche di presentare il
fondamento da cui sgorga, le connessioni logiche che collegano la narrazione e le
esigenze etiche. Quanto più ci si allontana dalla fonte tanto più c’è bisogno di chiarire
(tanto che nel 1500 Erasmo da Rotterdam scriverà l’Enchiridion, l’essenza
dell’Evangelo). Tutte queste specificazioni sono a livello intellettuale per cui
suppongono una preparazione colta.

65
Romano Guardini parla di precedenza del Logos sull’ethos.
83

Chiesa Orientale
- Cirillo di G. (315-38): Le Catechesi. La protocatechesi, seguita da 18 catechesi
rivolte ai competentes che interpretano il credo di Gerusalemme (si rifiutano
opinioni giudaizzanti, pagane ed eretiche); cinque catechesi mistagogiche agli
illuminati, dove si spiegano i misteri dei sacramenti in modo spirituale.
- Teodoro di Mopsuestia: offre esempi di omelie catechetiche (Antiochia 398).
Sono 16 omelie. Le prime 10 trattano della fede del simbolo di Nicea; le altre sei
spiegano il Pater, la liturgia battesimale e l’Eucaristia. Anche qui abbiamo la
divisione in catechesi battesimali e post battesimali.
- Gv Crisostomo (350-407): si conoscevano solo poche catechesi, ma si sono
scoperte altre 5: 2 parlano di iscrizione del nome da dare durante il battesimo e
le altre sono mistagogiche.
- Gregorio di Nissa (335-394): Oratio catechetica magna (385): costituisce una
summa della dottrina cristiana ed è indirizzata ai catechisti e alle persone colte.
Offre un’appurata esegesi della Scrittura: divisione tra teologia ed oikonomia. La
prima parte parla del mistero trinitario di Dio e dello Spirito Santo; la seconda
concerne la missione del Figlio attraverso la Chiesa e i sacramenti (oikonomia).
- Gelasio di Cesarea: la sua opera è andata perduta (spiegazione del simbolo).

Chiesa Latina
- Ambrogio di Milano (+ 397): De Abramo, de Elia et ieiuno, de symbolo, de
mysteris: spiegazione della storia della salvezza con l’unità dei due Testamenti.
Interpretazione ortodossa del simbolo. Approfondimento teologico dei riti
liturgici.
- Niceta di Remesiana (+ 415): ha scritto sei libri competentibus baptismi de
introductione. L’autore è capace di un attento senso didattico. Forse dipende da
Cirillo di Gerusalemme. Difende la fede cattolica contro ariani e macedoniani.
L’opera fu composta tra il 370-80.
- Rufino d’Aquileia: Spiegazione del simbolo (404): contiene il canone dei libri
scritturistici e un elenco delle eresie.
- Agostino. Importante per conoscere lo sviluppo della catechesi (nel De
catechizzandi sviluppa una teoria della catechesi). Descrive il metodo
d’insegnare la fede ad un uomo che ha il suo primo contatto con essa. Il genere
letterario che utilizza è la narratio degli episodi biblici per illuminare la storia
della salvezza. Nel 393 De fide et symbolo, a Cartagine per i vescovi : catechesi
antieretica. De agone christiano (395), è un manuale di vita cristiana per istruire
nella fede il popolo semplice: spiegazione del simbolo e gli errori da evitare.
Enchiridion: deve mostrare ai fedeli la via giusta in Dio grazie a Cristo. Quod
vult Deus, spiegazione del simbolo.
- Il viaggio di Eteria è un importante testo del IV secolo, perché fa conoscere
quale fosse la preparazione catechetica dei neofiti del IV sec. a Gerusalemme.

5. Le componenti della catechesi:

1. Aspetto rituale: nel IV sec. l’esorcismo rappresenta la parte centrale della


riunione domenicale riservata ai catecumeni; abbiamo poi gli scrutini.
2. Insegnamento dottrinale: spiegazione scritturistica e commento del simbolo.
84

3. Iniziazione alla preghiera: la consegna del Pater; la traditio del Salmo 22.
4. La preparazione spirituale: ritiro, preghiera, penitenza, conversione. A seconda
delle esigenze i vescovi spiegano a livello dottrinale o morale.
5. La catechesi mistagogica: i sacramenti sono degli eventi, degli avvenimenti e
non solo delle nozioni da imparare.

Capitolo Decimo
Questioni di pneumatologia

Introduzione

Rispetto alla cristologia, per la pneumatologia abbiamo una documentazione più scarsa.
Sulle ragioni di questo fatto vi sono posizioni diverse:
L’esistenza di una riflessione più binaria che trinitaria fino al IV secolo va attribuita al
fenomeno montanista, che ha fortemente condizionato la Grande Chiesa nella
riflessione sullo Spirito Santo. Dello Spirito Santo si parla fin dal NT e nei Padri
Apostolici.
Dopo il Montanismo si parla poco della presenza dello Spirito Santo a causa di un
processo importante: le comunità cristiane delle origini avvertono l’esigenza di
sottolineare ciò che esse già sapevano, ovvero che non si può fare dello Spirito Santo il
termine della fede. Lo Spirito Santo è semmai l’inizio della fede. Il montanismo aveva
prospettato la manifestazione dello Spirito Santo come il vero compimento della
rivelazione (Montano aggiunge al NT i suoi oracoli), e così pure aveva fatto il
manicheismo.
Nel IV secolo il panorama è cambiato: proprio la profonda riflessione sulla Trinità porta
a dover affrontare anche il discorso sullo Spirito Santo. Dai pochi frammenti che
possediamo apprendiamo che per Ario lo Spirito Santo non è altro che una ipostasi
totalmente dissimile sia dal Padre che dal Figlio: è la prima creatura creata dal Figlio nel
tempo.
85

La questione sullo Spirito Santo non si presenta con la stessa urgenza della questione
cristologica. Bisognava giustificare perché ci si chiamava cristiani ma allora chi è
Cristo? I grandi padri del IV secolo come vedremo svilupperanno invece la riflessione
sullo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è l'unico della Trinità che non ha un nome di persona e ci sono varie
immagini: colomba, soffio, dono ecc. Tertulliano ha cercato di riflettere sullo Spirito
Santo.

1. Macedonio di Costantinopoli e l'inizio della controversia pneumato-


logica

Secondo quanto dicono Socrate nella Historia Ecclesiastica, II, 45 e Sozomeno in


Historia Ecclesiastica, IV,27, all’origine della controversia pneumatologica e quindi
della seconda fase della crisi ariana, vi sarebbe un nuovo personaggio: Macedonio di
Costantinopoli. Prete in questa città verso il 335, appartenente alla corrente semi ariana
degli omeusiani. Macedonio venne eletto vescovo di Costantinopoli dal partito
filoariano e fu poi deposto dal Sinodo tenutosi a Costantinopoli nel 360.
Per Macedonio e i suoi seguaci lo Spirito Santo non è di natura divina, ma è inferiore al
Figlio, un ministro, un angelo, un servo. In tale questione si inseriscono ariani sia
moderati che radicali con Eunomio di Cizigo, che nella prima apologia tratta di questo
argomento. I macedoniani, che poi daranno origine ai pneumatomachi sono stati i primi
a sollevare il problema, perché dopo con gli ariani esso portò alla riflessione sul
rapporto tra lo Spirito Santo e il Figlio.

2. La dottrina macedoniana

I macedoniani partivano dall’assenza di una definizione esplicita dello Spirito Santo


come Dio. Se si fosse detto è lo Spirito è Dio non ci sarebbe stato problema. Qui il
lavoro dei grandi padri come Basilio. Nel trattato contro Eunomio dimostra che nella
scrittura si dicono le stesse cose del Padre e Figlio la sua gloria la sua capacità di
santificare consolare.
I macedoniani osservavano tra l’altro che se lo Spirito Santo fosse derivato dal Padre
sarebbe stato fratello del Figlio (di Cristo). allora come dire questi è il mio figlio
unigenito. Contraddirebbe la scrittura non più unigenito. Se derivasse dal Padre sarebbe
fratello di Cristo, se invece derivasse dal Figlio sarebbe stato figlio di Cristo. Lo Spirito
Santo viene posto come la creatura più eccelsa nel tempo, mentre il Figlio rimane la
prima creatura fuori dal tempo che crea tutte le cose.
I macedoniani sono quindi nella linea di Ario che nella sua radicalizzazione del
subordinazionismo origeniano (che era solo mentale e aiutava a capire le relazioni tra le
persone) lo Spirito Santo è ipostasi, ma dissimile dal Padre come lo è il Figlio. A volta
sembra dichiarare che lo Spirito è creatura del Figlio

3. La dottrina dei padri della Chiesa

Alla dottrina di Macedonio si opposero Atanasio nelle Lettere a Serapione, Didimo e


Basilio nella loro opere De Spiritu Sancto e altri autori. I problemi che questi autori si
trovarono ad affrontare sono fondamentalmente due:
86

1. la definizione dei criteri per stabilire la divinità dello Spirito Santo partendo dai
dati scritturistici, anche se essi non sono espliciti su questo punto. Atanasio fissa
due criteri fondamentali per affrontare la questione: lo Spirito Santo nella
Scrittura ha i caratteri della divinità propri del Padre e del Figlio; lo Spirito
Santo compie le stesse opere del Padre e del Figlio ed è a loro associato.
2. L’elaborazione teologica sull’origine dello Spirito Santo e la posizione nella
partecipazione alla vita divina accanto al Padre e al Figlio devono rispondere a
questa domanda: non essendo ingenerato in che modo derivi dall'unica arkè al
pari del Figlio?
Non essendo, lo Spirito ingenerato, in qual modo deriva dall’unica arché del
Padre? Se per il Figlio si è visto che l’origine dal Padre è la generazione, 66 per lo
Spirito Santo, quale la sua origine?

3.1. Posizioni in Oriente

Eusebio di Cesarea
È filoariano e segue uno schema subordinazionista. Lo Spirito Santo è una ipostasi,
sussistente ed esistente per se stesso. E’ il terzo della Triade, ma Eusebio non si esprime
troppo: utilizza in una gradazione di subordinazione l’interpretazione di Gv 1,3: lo
Spirito è la prima delle cose create dal Figlio.

Cirillo di Gerusalemme
È in una posizione di centro, e preferisce l’uso di formule bibliche anche a proposito
dello Spirito Santo. Sostiene che quest’ultimo rientra nella Trinità ed è il mezzo
attraverso il quale il Figlio partecipa alla Divinità del Padre. E’ agente di santificazione,
Essere divino ed ineffabile.

Atanasio
Offre l’elaborazione più completa: lo Spirito Santo è totalmente divino, consustanziale
al Padre ed al Figlio. Negli anni 358-60 deve prendere posizione contro gli “eredi” di
Ario (Pneumatomachi o Tropici [da tropos = figura]) dietro istanza di Serapione. I
Tropici precedono le posizioni degli Pneumatomachi.

Gregorio Nazianzeno
Nell’Orazione 31 ci offre un panorama delle varie dottrine devianti sullo Spirito Santo
fino al 380. Presenta gli Pneumatomachi/Macedoniani (da Macedonio, vescovo di
Costantinopoli), ed afferma che lo Spirito Santo è Dio, dichiarando la difficoltà di
parlare della sua origine in rapporto al Figlio. Al par. 5 dell’orazione citata afferma che
la difficoltà sta nell’affermare contemporaneamente la consustanzialità dello Spirito
Santo al Padre e al Figlio e la sua distinzione dal Verbo.

Gregorio di Nissa
Tentò di accogliere e di armonizzare quasi la riflessione di Basilio e dell’altro Gregorio.
Fa un maggior uso della filosofia platonica, è fedele a Basilio ma usa immagini più
originali e mistiche di Basilio (più organizzatore).
66
Tale generazione implica la stessa natura del Padre, a differenza della generazione umana dove
nell’uomo e nella donna è sempre un mutamento ed una perdita. Nella divinità il mutamento non è perdita
ma è già comprensivo della divinità stessa.
87

Approfondisce il rapporto ousia-ipostasi e, circa i rapporti di origine, dice che il Padre è


la causa prima il Figlio, causa procedente e della cui meseteia non è escluso lo spirito.
In qualche modo nel rapporto di divinità tra Padre e Figlio il mezzo è lo Spirito.

Basilio
Dapprima afferma di non poter parlare espressamente della Divinità dello Spirito Santo.
Parla di oikonomìa, o dispensatio, e preferisce la via negationis: lo Spirito Santo non è
una creatura. Nel De Spiritu Sancto dice che lo Spirito è uno con la natura divina, ma
non arriva a dirlo espressamente Dio.

Cirillo di Gerusalemme
Il vescovo di Gerusalemme coerente con ciò che fece per il Figlio (dedicò la decima
catechesi alla cristologia; preferiva parlare di Cristo attraverso i titoli scritturistici)
dedicò allo Spirito Santo due catechesi (XVI e XVII). Il metodo usato è questo: vuol far
parlare lo Spirito Santo e parlare dello Spirito solo attraverso le scritture. Ne affermò la
sua divinità e la sua sussistenza. Maggiore attenzione all'aspetto economico e salvifico.
Non solo lo Spirito rientra nella Trinità ed è secondo, ma è anche il mezzo attraverso il
quale il Figlio partecipa della divinità del Padre 67, agente di partecipazione, essere
divino e ineffabile.

Didimo il Cieco
Scriverà un trattato sullo Spirito Santo, che avrà grande influsso in Occidente (siamo in
piena tradizione alessandrina origeniana, in cui c’è grande erudizione scritturistica).
Afferma la divinità dello Spirito Santo mettendo in evidenza le proprietà e le operazioni
comuni al Padre e allo Spirito Santo. La personalità dello Spirito Santo è legata alla sua
origine ed è ipostasi; non è Figlio e procede dal Padre (accenna all'ekporesis,
processione).

Epifanio
Epifanio con l’Ancoratus ed il Panarion si presenta con un forte senso polemico (per la
sua ricerca di eresia). Lo spirito Santo è Dio in base alla scrittura, ma anche in base ad
argomenti teologici. Sottolinea l'unità e la trinità. Procede dal Padre e dal Figlio (mentre
gli altri padri dicono per mezzo del Figlio). Circa la personalità afferma la sussistenza e
ne parla come legame del Padre e del Figlio.

3.2. Posizioni in Occidente

Fino ad Agostino non abbiamo contenuti dottrinali innovativi sulla questione


pneumatologica. Ambrogio, nel De Fide, afferma che le Persone Divine sono un Unum.
Mario Vittorino parla di tre Persone, e definisce lo Spirito Santo copula e anello tra
Padre e Figlio: in qualche modo anticipa Agostino, ma ha una prospettiva ancora statica.
Agostino, nel De Trinitate, afferma che quanto si dice di Dio si deve di poter dire di
tutte e tre le Persone: esse hanno la medesima sostanza, ma si distinguono nell’ambito
intratrinitario. Agostino introduce così una dispensatio anche nella Trinità immanente. Il
Padre genera il Figlio, generato dal Padre, e lo Spirito è il dono comune del Padre e del
Figlio. Agostino assimila la processione al dono.

67
Agostino dirà poi che è l'amore del Padre e del Figlio.
88

Caio Mario Vittorino


Mario Vittorino nel suo Commento a S. Paolo, nell’Adversus Arium e negli Inni. Fa un
ampio uso della filosofia neoplatonica, il cui schema viene introdotto nella riflessione
trinitaria: esse, vivere, intelligere dove abbonda l'uso delle analogie metafisiche. Quelle
che la mente dell'uomo è riuscita a cogliere rimane sempre mistero e le parole servono
solo per dire e avvicinarsi al mistero. Affermò la divinità dello Spirito Santo, anche se a
volte sembrava identificarlo con il Figlio; infatti definisce Consolatore l’uno e l'altro.
Lo Spirito è necessario per la salvezza e opera il regressus (è il primo ad accennare
questo “ritorno”) al Padre. Il ritorno al Padre è affidato allo Spirito Santo. Usa
espressioni come ousia e ipostasi ma preferisce il termine prosopon persona.

Ilario di Poitiers
Altro grande è Ilario con il suo De Trinitate (355-356), già agli inizi della polemica
intorno al 356. Troviammo poca filosofia e grande apparato scritturistico. Fu esiliato in
Oriente da Costanzo, che dopo essersi pentito lo richiamò per paura che facesse da
legame tra Oriente e Occidente. Afferma la divinità dello Spirito Santo e introduce la
distinzione spirito-sostanza e Spirito Santo (quando si parla di spirito non sempre si
tratta dello Spirito Santo, c'è per esempio lo spirito dell'uomo che non è lo Spirito
Santo).
Distingue natura e persona, ousia e ipostasi, ma ha una certa riluttanza a chiamarlo
persona. È spirito del Padre e di Cristo; identifica processio e missio dal Padre e dal
Figlio. Preferì chiamare lo Spirito Santo coi titoli della Scrittura: donum, munus, etc.

Ambrogio
Ambrogio parlò dello Spirito Santo nel trattato De Fide ad Grazianum (380) e nel De
Spiritu Sancto (381). Manifesta spirito greco e dipende molto da Didimo. Fu mediatore
tra la tradizione alessandrina e quella dei Cappadoci. Elimina ogni resto di
subordinazionismo difendendo soprattutto l'unita divina. Approfondisce poco la
personalità dello Spirito e dichiara che l’opera propria dello Spirito Santo è quella della
grazia. Lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio.

Agostino
Agostino tratta dell'argomento nel De Fide et simbolo (393),68 nel De Trinitate (399-
420), nel Tractatus in Johannem e nel Sermone LXXI. Fonde la tradizione latina: da
Ambrogio riceve la difesa dell'unita inseparabilità delle operazioni; da Ilario la formula
trinitaria e l'immagine di donum; da Mario Vittorino e altri l'idea di communio e le
analogie metafisiche. Aggiunge a tutto questo la sua originalità: attraverso la scrittura
arriva alla dottrina dello Spirito carità e si soffermerà soprattutto sugli aspetti
ecclesiastici e quindi sulla vita comunitaria.

68
Lo Spirito Santo è chiamato “donum”, “Communio”, “dilectio”, “caritas”.
89

Capitolo Undicesimo
I Commentari biblici

Gli argomenti che interessarono la teologia del IV secolo furono la creazione, l’alleanza,
il peccato e la Pasqua, perciò troviamo nei Padri sia orientali che latini i numerosi
commenti ai libri della Genesi e dell’Esodo.

1. Ambito siriaco

S. Efrem il Siro(+373)
Rappresentante dell’esegesi, scrisse commenti alla Gn e all’Es. Fa un’interpretazione
letteraria in contrasto con l’allegorismo alessandrino, salvo per alcuni passi in cui
compie un’interpretazione tipologica. Accanto a lui troviamo altri autori che hanno
commentato i libri suddetti (Acacio di Cesarea, Diodoro di Tarso, Evagrio Pontico,
Teodoro di Mopsuestia), anche se oggi ci resta solo qualche frammento in greco.

Basilio
Prima del 370 fa delle omelie inerenti l’argomento: interpretazione letterale di Gn 1,27
in polemica contro pagani e manichei circa la creazione del mondo. Dice che la
grandezza del Creatore si manifesta proprio nell’aver compiuto la creazione.
90

Gregorio di Nissa
Scrive il De opificio hominis e una Explicatio apologetica in exemeron (379). Vuole
completare il lavoro di Basilio sulla creazione dell’uomo e corregge al fratello alcune
interpretazioni sbagliate di brani scritturistici. Nella Vita di Mosè traccia il modello di
esistenza virtuosa.

Giovanni Crisostomo
Abbiamo di lui due serie di omelie sulla Genesi:
1. 9 omelie tenute durante la Quaresima del 386, in cui commenta i primi tre libri
della Genesi;
2. 67 omelie, in cui interpreta integralmente il libro della Gn, fedele ai principi
esegetici letterari antiocheni.

Severiano di Gabala
Ci ha lasciato 6 orazioni sulla creazione del mondo pervenute sotto il nome di Gv
Crisostomo.

2. Ambito latino

Gregorio di Elvira
In lui abbiamo esempi di interpretazione allegorico-tipologica. Scrive il Tractatus de
arca Noe e la trattazione non è sistematica, è come un’antologia (è spinto da motivi
apologetici).
Zenone di Verona
Scrive un trattato sulla Genesi e sull’Esodo, dove commenta alcuni passi in chiave
cristologica.

Ambrogio
Naturalmente copia Basilio. Scrive l’Exameron (9 discorsi pronunciati tra il 386 e il
390), il De paradiso (commenta Gn 2,8 e 3,19 parlando di peccato sotto l’influsso di
Filone), il Caino e Abele (presenta la diversità di sacrifici di Caino e Abele), il De
Joseph (sermone del 387-390 che presenta la biografia del patriarca come esempio
dell’universalità salvifica di Cristo) e infine il De Isaac. Ambrogio accetta il triplice
senso letterale, morale e allegorico della Scrittura.

Girolamo
Scrive le Quaestiones ebraices in Genesi nel 392 e si sofferma sugli aspetti filologici e
letterari, facendo ricorso all’ebraico e a traduzioni in greco diverse dalla LXX.
Sicuramente Girolamo scrisse quest’opera mentre stava traducendo in latino la Vulgata.

Gaudenzio
Fu vescovo di Brescia verso la fine del IV secolo. Scrisse una serie di 10 omelie
pasquali, otto delle quali prendono spunto dal libro dell’Esodo con lettura tipologica.

Agostino
Per ben quattro volte ha avuto a che fare con il commento del libro della Genesi:
1. De Genesi contra manicheos: risponde ai manichei circa la dottrina della
creazione (fa esegesi allegorica;
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2. nel 393 commenta in modo letterale il primo capitolo della Gn, ma l’opera resta
incompiuta;
3. verso il 400 commenta alcuni versetti della Gn mentre si apprestava a scrivere il
XII e XIII libro delle Confessioni;
4. dal 401 al 415 scrive il Genesi ad litteram, in cui si propone di spiegare in senso
letterale l’intero libro della Genesi.

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