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Ponzio

vita di CIPRIANO
Paolino
vita di AMBROGIO
Possidio
vita di AGOSTINO
Traduzione introduzione e note
a cura di Manlio Simonetti

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. La biografia cristiana

1. Le prime comunità cristiane vivevano e operav


nella gioiosa ed esaltante consapevolezza che per mezzo
di loro e in loro operava lo Spirito santo, la cui effusione
i profeti avevano presentato come fatto caratterizzante
dell'età messianica e che Gesù Cristo, il redentore risorto
e asceso alla destra del Padre, aveva inviato nella chiesa
per continuare e perfezionare l'opera da lui svolta per la
redenzione e la salvezza degli uomini. In tale atmosfera,
tutta pervasa e condizionata dal senso della presenza
divina, tutti si consideravano strumenti della volontà e
dell'agire divini. In tal senso uno dei motivi conduttori
degli Atti degli apostoli tende proprio a far vedere come,
al di là della limitatezza e della insufficienza dello stru­
mento umano, lo Spirito divino porta sempre a compi­
mento il suo piano salvifico.
Eppure, nonostante questa pur prevalente sensibi­
lità, per tempo alcune personalità, qualcuna già in vita
ma per lo più dopo la morte, cominciarono a godere
particolare considerazione nella chiesa fino al punto di
diventare oggetto di una certa forma di venerazione.
Questa tendenza, destinata a diventare sempre più forte
col passare del tempo, si affermò su una duplice diret­
8 Introduzione

tiva. In primo luogo si imposero all'ammirazione e quindi


alla venerazione dei fedeli i discepoli immediati di Cristo,
soprattutto gli apostoli, le colonne della chiesa. Una gran­
de fioritura di Atti apocrifi, di largo sapore leggendario,
dedicati al racconto delle gesta di Pietro, Paolo, Giovan­
ni, Tomaso, Filippo, ecc., rimontanti al II I e in qualche
caso al I I secolo, sta a testimoniare l’importanza che
questi personaggi avevano assunto nella coscienza della
comunità. Accanto a costoro assunsero subito particolare
rilievo i martiri (e va considerato che tutti gli apostoli
erano stati o comunque venivano considerati martiri):
colui che confessava col sangue, spesso fra i tormenti, la
sua fede in Cristo, ne prolungava in sé la passione e ne
realizzava la perfetta imitazione, già nella seconda metà
del I I secolo fu considerato degno di particolare vene­
razione. Di lui si celebrava il dies natalis, cioè la ricor­
renza della sua morte terrena, che gli aveva dischiuso la
vera vita, quella celeste. In tale contesto fu avvertita
l’esigenza di fissare per iscritto la testimonianza resa dal
martire, cioè il racconto della sua confessione davanti ai
magistrati romani e della sua morte: ebbe cosi inizio e
raggiunse presto grande sviluppo tutta una letteratura di
Atti e Passioni dei martiri.
Sia gli Atti aprocrifi degli apostoli, sia gli Atti dei
martiri non possono essere ricondotti al genere biogra­
fico come lo intendevano gli antichi e come lo intendiamo
anche ai nostri giorni: ma è fuor di dubbio che la valo­
rizzazione dell’elemento umano nella vita e nell’autoco­
scienza della chiesa preparava il terreno adatto alla com­
posizione di vere e proprie biografie. Fu decisivo in tal
senso il martirio di Cipriano, vescovo di Cartagine al­
l’inizio della seconda metà del II I secolo. Si trattava in­
fatti di una personalità ragguardevolissima sotto l’aspet­
to sia pastorale sia letterario, si che la sollecita redazione
degli Atti del suo martirio non sembrò sufficiente ad
esaurire il racconto e il ricordo dei suoi meriti. Perciò
un diacono cartaginese, di nome Ponzio, pensò di far
Introduzione 9

precedere il racconto del martirio da un breve racconto


che ragguagliasse il lettore anche sull’opera di Cipriano
come vescovo e come scrittore. Per quanto embrionale
e informe fosse riuscito questo primo tentativo, era sorta
con esso la biografia cristiana.
Non sembra che in un primo momento l’innovazione
di Ponzio abbia avuto grande fortuna: mentre dilagava
il culto dei martiri e si moltiplicavano a dismisura Atti
e Passioni, bisogna attendere la metà circa del TV secolo
per incontrare un'altra biografia, questa volta in am­
biente di lingua greca: si tratta della vita deU’eremita
Antonio scritta da Atanasio, vescovo di Alessandria. Per
tempo tradotta in latino, questa biografia ebbe fortuna
enorme e impose un tipo di opera molto più complessa
del semplice abbozzo di Ponzio: un tipo di biografia a
chiara tendenza edificante e propagandistica dell'ideale
monastico, tutta basata sull'esaltazione della forza del­
l’eremita nel resistere alle continue tentazioni diaboliche,
in un continuo susseguirsi di fatti straordinari e mira­
colosi. Fra le tante imitazioni, nell’ambito latino che a
noi qui interessa, basterà ricordare non tanto alcuni
brevi schizzi di Girolamo (Vite di Paolo, Malco, Ila-
rione), quanto la Vita di S. Martino scritta da Sulpicio
Severo, un letterato di chiara fama. Anche quest’opera
ebbe immenso successo e contribuì a imporre il cliché
già proposto da Atanasio nella sua biografia, anche al
di là dell’ambito delle biografie dedicate specificamente
a monaci ed eremiti. Per i testi che più direttamente ci
riguardano, tale influsso, poco avvertibile nella Vita di
Agostino scritta da Possidio, è invece ben chiaro nella
Vita di Ambrogio scritta da Paolino.

2. Ponzio, Atanasio e gli altri biografi cristiani s


nutriti, com’è naturale, dallo studio della sacra scrittura,
il cui spirito pervade e dà senso cristiano ad ogni loro
pagina. D’altra parte, per quanto riguardava più speci­
ficamente la struttura da dare alle loro biografie, i bio­
10 Introduzione

grafi cristiani trovavano poca materia d ’ispirazione e


imitazione nel testo sacro, al di là della generica ten­
denza di alcuni a presentare i loro eroi nel quadro della
imitatio Christi. Invece la letteratura classica, sia greca
sia romana, aveva largamente praticato il genere bio­
grafico e anche altri che con esso potevano avere qualche
rapporto: fu perciò naturale che i nostri autori, che quasi
tutti nutrivano più o meno scoperte ambizioni di carat­
tere letterario, chi più chi meno abbiano guardato a certi
prodotti di questa fioritura letteraria pagana, traendone
spunti e suggestioni.
A tal proposito, per orientare il lettore, basterà ri­
cordare che gli antichi conoscevano due modi di scrive­
re la biografia, un genere letterario a sé, che si legava
alla filosofia, o se vogliamo alla narrativa dei nostri
giorni: uno di origine peripatetica, che tendeva a pre­
sentare lo sviluppo del carattere del personaggio attra­
verso il progressivo cronologico dispiegarsi delle sue
azioni, secondo un procedimento affine a quello delle
biografie moderne. L’influsso di questo tipo di biografia
è ravvisabile nelle Vite parallele di Plutarco e nell’Agrì­
cola di Tacito. L’altro tipo di biografia, iniziato dai gram­
matici alessandrini del II I secolo, aveva carattere soprat­
tutto erudito e tendeva ad affastellare più fatti possibili
su un dato personaggio. Tali fatti, inquadrati da cenni
iniziali sulla nascita e la giovinezza del personaggio in
oggetto, e dal cenno finale sulla morte, erano ripartiti in
sezioni distinte per argomento e perciò senza preoccupa­
zioni di carattere cronologico: fatti concernenti la vita
pubblica del personaggio, la vita privata, il suo carat­
tere e i suoi costumi; fatti positivi e fatti negativi. Le
biografie di Suetonio sono, in area latina, il principale
esempio di questo tipo di biografia, che per sua natura
ben si prestava anche al racconto dell'aneddoto e del
pettegolezzo.
Un tipo di composizione che gli antichi distingue­
vano accuratamente dalla biografia ma che pure ai nostri
Introduzione 11

occhi ha attinenza con essa, era l’encomio, una composi­


zione oratoria tendente ad esaltare un dato personaggio.
L'encomio, che seguiva un determinato e ben preciso
schema narrativo, programmaticamente metteva in luce
solo gli aspetti positivi del personaggio celebrato; pre­
diligeva un tipo di composizione che evitava dati precisi
(nomi di persone e luoghi, date, fatti molto particola­
reggiati), propri del genere biografico, a vantaggio di una
narrazione tenuta su toni generici, ritenuti più idonei a
presentare le virtù — si badi bene, non la personalità
storica — del celebrato.
3. Non si esauriscono qui i tipi di composizione
il biografo cristiano poteva richiedere qualche suggestio­
ne per la struttura della sua opera: ma i pochi cenni
sopra presentati sono sufficienti per introdurre qualche
cenno più specifico alle biografie cristiane di cui presen­
tiamo la traduzione italiana: si tratta della Vita di S.
Cipriano, Scritta da Ponzio, della Vita di S. Ambrogio,
scritta da Paolino di Milano, della Vita di S. Agostino,
scritta da Possidio.
Perché la nostra scelta si sia concentrata su questi
tre testi è presto detto: si tratta di un gruppo omogeneo
di biografie sia per l’ambiente, ch’è latino, sia per i rap­
porti che legarono fra loro questi personaggi: Agostino
fu in contatto con Ambrogio e fu grande ammiratore del
conterraneo Cipriano, da lui considerato modello esem­
plare di vescovo cristiano e largamente citato in molti
suoi scritti. Soprattutto va tenuto presente che si tratta
di tre vescovi, tutti e tre molto importanti sotto diversi
aspetti; e se Ambrogio e Agostino furono variamente
influenzati dagl'ideali monastici tanto divulgati al loro
tempo, però neppure loro, e tanto meno Cipriano, rien­
trano specificamente nell'ambito della letteratura bio­
grafica di tipo monastico.
Basterà solo aggiungere che per tradurre i tre testi
mi sono fondato sulle edizioni critiche di M. Pellegrino
12 Introduzione

(quella di Ponzio edita ad Alba nel 1955, quella di Pos­


sidio anche ad Alba nel 1955, quella di Paolino a Roma
nel 1961 ). L'introduzione, traduzione e commento di cui
sono fornite tutte e tre le edizioni di Pellegrino ci sono
stati di aiuto in più punti della nostra opera.

2. Ponzio

1. Ben poco sappiamo dell’autore della Vita Cypria-


ni, e questo poco si ricava pressoché completamente
dalla Vita stessa: infatti di qui risulta che l’autore fu
molto vicino al vescovo cartaginese, anche se non pro­
prio dai primi tempi dell’episcopato (2, 3; 4, 1). Fu in­
sieme con lui durante l’esilio (12, 3) e ne fu testimone
oculare della morte. Il nome Ponzio non risulta da nes­
sun passo del testo e non è tramandato neppure dal­
l’incipit dei manoscritti più antichi. La sola in form azion e
in proposito è di Girolamo, il quale ha dedicato il c. 68
del De viris illustribus a Ponzio, diacono di Cipriano,
suo compagno di esilio ed autore della biografia. Nessuna
notizia ci informa sulle vicende della vita di Ponzio dopo
la morte di Cipriano. In complesso, quindi, ben poco:
ma non c’è motivo di dubitare, come qualche studioso
moderno ha fatto, dell’attendibilità di questi dati e pen­
sare ad una falsificazione più tarda. Vedremo sotto come
si possono spiegare gli apparenti lim iti di in form azion e
dell’autore nei confronti del suo personaggio, si che
manca ogni valido argomento per negare che l’opera sia
quel che dice di essere, cioè la testimonianza di persona
molto vicina a Cipriano.

2. Abbiamo sopra accennato che, per spiegare l’in­


novazione portata da Ponzio nella letteratura biografica
e agiografica cristiana, bisogna tener presente l’eccellen­
Introduzione 13

za del personaggio di cui egli intese scrivere. L’autore in


proposito è molto esplicito: non soltanto Cipriano è il
primo vescovo africano che ha meritato la corona del
martirio ( 19, 1 ), ma si è illustrato anche grandemente
nel campo delle lettere e nell'opera pastorale (1, 1). Le
affermazioni di Ponzio sono tu tt’altro che esagerate: nel
suo breve episcopato (250 ca. - 258) Cipriano dovette
affrontare ben due persecuzioni di particolare asprezza,
quella di Decio (250) e quella di Valeriano (257-258), e
dopo la prima ebbe il suo da fare per riportare ordine
nella comunità sconvolta dalle conseguenze della perse­
cuzione: infatti i moltissimi che avevano abiurato o co­
munque non avevano tenuto contegno fermo dinanzi al
pericolo, i cosiddetti lapsi, desideravano rientrare nella
comunità e in tal senso si adoperavano con ogni mezzo;
e non era facile fissare un preciso modus operandi nei
loro confronti fra gli opposti estremi di un lassismo e
un rigorismo entrambi esagerati. Ci si aggiunga una gra­
vissima pestilenza, che sconvolse tutta l’Africa e pose
problemi non indifferenti sia all'interno della comunità
sia nel rapporto con i pagani. Da ultimo va ricordata la
controversia fra Cipriano e il vescovo di Roma, Stefano,
circa la validità del battesimo amministrato ai pagani
da cristiani eretici.
In tutte queste difficili circostanze Cipriano rivelò
elette doti di governo: fu severo, ma non inflessibile coi
lapsi, accordando loro la possibilità del perdono dopo
rigida ed esemplare penitenza; fu fermo nel difendere
contro l’invadenza di Stefano le prerogative della tradi­
zione della chiesa d'Africa; fu umanissimo e pervaso dal
più autentico spirito evangelico nello spingere i cristia­
ni a prestar soccorso ai pagani durante la pestilenza;
seppe tenere la giusta misura nel ricordare ai cristiani
troppo timorosi di perdere la vita e i beni terreni che
per loro la vera vita e i veri beni non erano di questa
terra; fu spietato nel combattere i costumi corrotti e i
14
Introduzione

peccati che devastavano la vita morale, soprattutto


l avarizia.
Ricordiamo ancora l’alta condizione familiare, ben
ricavabile anche da vari spunti della Vita (2, 2. 7; 14,
' e 1°· sua attività di scrittore a completo ser­
vizio dell impegno cristiano. Ce n era a sufficienza per
*Cipriano una figura di assoluto risalto nel campo
dell episcopato africano, che fino allora non sembra fosse
stato illustrato da personalità di rilievo. Si spiega cosi
intenzione di Ponzio di non limitare il suo racconto al
martirio del vescovo e di allargarlo per trattare, sia pur
summatim ( 1, 2), di una vita tanto ricca ed esemplare.
Accanto a questo generico scopo dì celebrazione ed
esalta.zione è facile individuare un collaterale piti speci­
fico intento perseguito da Ponzio col suo scritto, quello
apologetico, in relazione ad alcuni fatti dell'episcopato
i Cipriano che avevano suscitato critiche e malumore.
In primo luogo tali critiche erano state provocate dal-
elezione stessa di Cipriano a vescovo, dato che — come
si ricava dal nostro testo (5, 1-6) — egli fu eletto a que­
stadignità soltanto poco tempo dopo la sua conversione,
e ad alcuni questo poco tempo sembrò troppo poco. Altro
motivo dì critiche fu la decisione, presa da Cipriano, di
evitare nel 250 le misure persecutorie dì Decio ritiran­
dosi in luogo nascosto e sicuro vicino Cartagine e con­
tinuando di qui a governare la comunità. Era consigliato
a cristiano sottrarsi, se poteva, con la fuga alla perse­
cuzione (cf. Mt. 10, 23), per evitare, nei limiti del pos­
sibile, una prova di cosi drammatica durezza. Nel caso
si trattasse di vescovi, la prudenza era vieppiù consiglia­
’ perché la chiesa non rimanesse priva di capi in mo­
menti molto difficili Ma è fuor di dubbio che ai rigoristi
Questo atteggiamento prudenziale non risultava accetta­
bile, e cosi anche Cipriano fu oggetto delle loro critichel.

1 Alcuni anni prima, col De fuga in persecutìone, Tertul-


ìano aveva sostenuto che non era perm esso al cristiano sot-
Introduzione 15

Ponzio difende il suo vescovo da ambedue le criti­


che: dalla prima ricordando l'eccellenza delle sue doti e
dei suoi meriti e la fiducia a lui accordata dalla gran
maggioranza della comunità (5, 1-3); dalla seconda alle­
gando il volere della provvidenza che riserbava Cipriano
ad alte mete e perciò non poteva permettere una fine
troppo rapida della sua opera episcopale e letteraria
(c. 7), e soprattutto non poteva privare della sua guida
la chiesa cartaginese percossa da tante calamità (c. 8). Il
fatto stesso che nella successiva persecuzione Cipriano
aveva affrontato con esemplare coraggio il martirio stava
a dimostrare post eventum che il suo atteggiamento du­
rante la persecuzione del 250 non era stato suggerito da
timore (7, 13).

3. Abbiamo già più volte rilevato come l’innovaz


di Ponzio sia consistita nell’innestare nel già fiorente fi­
lone della letteratura martirologica un’ampia apertura
sulle gesta e le virtù del futuro martire. Il suo scritto ri­
sente profondamente, nella struttura, di tale contingenza:
infatti esso si divide perfettamente in due parti di uguale
lunghezza, la prima dedicata ad illustrare l’attività di
Cipriano vescovo (e prima prete), la seconda a descri­
verne il martirio. Esaminiamo un po’ più da vicino que­
ste due parti.
La prima parte tratta rapidamente di Cipriano neofi­
ta e prete, mettendone in luce le doti elette; poi della
elezione a vescovo e delle virtù che egli mise in evidenza
nel suo ministero (cc. 2-6). Poi lo difende per essersi sot­
tratto alla persecuzione di Decio con la fuga, e in questo
contesto passa in rassegna i suoi scritti e ne descrive
l’azione durante e dopo la persecuzione (cc. 7-8). Infine
descrive la sua opera, durante la pestilenza, per rincorare

trarsi con la fuga alla persecuzione. L’intento edificatorio per­


seguito da Ponzio spiega il suo completo silenzio sul contrasto
fra Cipriano e il vescovo di Roma Stefano.
16 Introduzione

i cristiani a soccorrere anche i pagani (cc. 9-10). Il carat­


tere della narrazione che balza subito agli occhi è il tono
di estrema genericità con cui tutti i fatti sopra accennati
sono presentati. In gran parte noi conosciamo tali fatti
dall'epistolario di Cipriano e anche da alcuni suoi scritti;
e soprattutto le lettere ci forniscono una quantità di det­
tagli, anche minutissimi: nulla di tutto ciò è rimasto nella
narrazione di Ponzio, che pure conosce e nomina l’episto­
lario ciprianeo. Non si fanno nomi di persone2, ai dram­
matici contrasti verificatisi durante la questione dei lapsi
si allude con poche frasi generiche, e altrettanto dicasi
dell’azione esplicata dal vescovo durante la pestilenza.
Trattando dell'attività letteraria del vescovo, Ponzio ne
ricorda le opere non semplicemente con i loro titoli, ma
in modo più caratteristico, alludendo ad ogni scritto con
una breve perifrasi che ne descrive il contenuto (7,3-11).
Da questa constatazione ci sentiamo autorizzati a
ipotizzare che Ponzio, dovendo introdurre una novità nel­
la letteratura martirologica, abbia cercato ispirazione, per
la forma della sua opera, non nelle vere e proprie bio­
grafie classiche, ma piuttosto in quella composizione re­
torica che abbiamo ricordato sotto il nome di encomio:
e del resto la sua esposizione vuole essere soprattutto,
oltre che difesa, glorificazione del vescovo e martire. Sa­
rebbe infatti semplicistico spiegare la genericità soprari­
cordata adducendo una scarsa conoscenza dei fatti della
vita di Cipriano da parte dell'autore, considerato — se­
condo quanto pretende la tesi sopra esposta — notevol­
mente posteriore al vescovo. Infatti, anche a voler ammet­
tere questa seriorità, bastava scorrere l'epistolario cipria-
neo per aver a disposizione dettagli di ogni sorta: insom­
ma, la genericità della biografia non deriva da stato di ne­
cessità per carenza di fonti ma è stata espressamente vo­
luta, in ossequio alle rigide norme che regolavano la com­

2 L’unico nome di persona che si fa è quello del prete


Ceciliano al c. 4.
Introduzione 17

posizione dell’encomio. Né vale obiettare che Ponzio tra­


scura nel suo scritto di parlare della famiglia del suo eroe
e della sua attività profana, elementi caratteristici dell’en­
comio: questi dati sono stati volutamente trascurati —
per esplicita testimonianza dell’autore (2, 1-2) — per­
ché le azioni dell'uomo di Dio non debbono essere valu­
tate se non a partire dal momento del battesimo, che lo
ha generato alla vera vita. Ponzio da una parte si è ispi­
rato, nelle linee fondamentali della sua opera, all’enco­
mio pagano, ma programmaticamente se n'è distaccato
là dove ha ritenuto opportuno sottolineare con forza che
il personaggio da lui celebrato era un cristiano. Insomma,
cogliamo qui uno dei tanti casi di tensione caratteristica,
nei letterati cristiani, fra l’aderenza formale ai moduli
della letteratura pagana e la consapevolezza d ’innovare
profondamente tali moduli, immettendovi un contenuto
nuovo, di prorompente originalità rispetto ai vecchi
schemi.
Quanto alla seconda parte della biografia, quella de­
dicata alla descrizione del martirio di Cipriano, a comin­
ciare dall'esilio del 257 fino al secondo processo e alla
decapitazione, è evidente che la sua stesura è stata condi­
zionata dalla esistenza di Atti del martirio, particolar­
mente ben fatti e ricchi di particolari. Ponzio non ha
voluto fare un doppione, ha dato per scontata la cono­
scenza di questo testo, che piti volte ricorda, ed ha prefe­
rito fermare la sua attenzione su dati che li non erano
riferiti o erano appena accennati. Si veda, p. es., il par­
ticolare della visione di Cipriano: gli Atti vi alludono solo
di passaggio; invece Ponzio descrive l'avvenimento nei
minimi dettagli (12, 3-9) e lo commenta minutamente
(c. 13). È evidente, in questa parte del racconto ponzia-
no, la tendenza a presentare la passio di Cipriano come
la perfetta imitazione della passione di Cristo (18, 1. 3),
e ancor più evidente la tendenza ad interpretare ogni par­
ticolare, anche del tutto secondario, in funzione della
18 Introduzione

glorificazione del martire: si veda, p. es., il particolare


del panno di lino a 16, 6. Il confronto con la nuda sempli­
cità degli Atti nuoce a questa parte dello scritto di Pon­
zio: ma ne va sottolineato il tono di evidente, commossa
partecipazione alla vicenda del vescovo, che forse più di
quanto non appaia nel resoconto ufficiale qui si presenta
come vicenda che interessa globalmente tutta la chiesa di
Cartagine: la testimonianza di Cipriano è insieme testi­
monianza dell’autore e di tutto il popolo dei fedeli.

4. Per introdurre la lettura degli Atti del martirio di


Cipriano, che abbiamo riportato dopo il testo di Ponzio,
il quale ripetutamente vi allude, basterà ricordare che
essi rappresentano uno dei più genuini prodotti di que­
sto genere. Si tratta di un testo composito, in perfetta
aderenza alla vicenda vissuta dal martire. Inizia col reso­
conto di un primo processo, tenuto nel 257 e concluso,
secondo le disposizioni emanate allora da Valeriano,
con l'invio del vescovo in esilio a Curubi. Segue un passo
di raccordo, che tratta brevemente dell'esilio, del richia­
mo l'anno successivo e della presentazione al magistrato
per un nuovo processo. Abbiamo quindi il resoconto del
secondo processo che, in base alle nuove, più dure norme
emanate dall'imperatore, si conclude con la condanna a
morte di Cipriano. Segue e conclude il testo la descrizione
della morte e della sepoltura del martire. È fin troppo
evidente che il testo, che ci è giunto in varie redazioni leg­
germente diverse fra loro, fu originariamente composto
solo pochi giorni dopo la morte del martire, utilizzando
materiale di prim'ordine, tutto derivato da testimoni ocu­
lari. La nostra traduzione si fonda sul testo di Pellegrino
(in appendice alla Vita Cypriani), a sua volta aderente,
ma con qualche lieve modifica, a quello di Hartel
(CSEL 3, 3).
Introduzione 19

3. Paolino

1. Gran parte di quanto sappiamo su Paolino, si ri­


cava dalla sua Vita di Ambrogio. Infatti di qui appren­
diamo che egli fu per vario tempo, pur se non dal primo
momento, a fianco del vescovo milanese con l'incarico di
notarius, cioè una specie di segretario incaricato di met­
tere per iscritto quanto Ambrogio dettava e di altre man­
sioni di questo genere. Sempre dalla biografia appren­
diamo che egli fu a Milano anche per qualche tempo dopo
la morte di Ambrogio, ma successivamente si trasferì al­
trove, e precisamente in Africa. Da altre fonti sappiamo
che a Milano fu diacono, probabilmente solo dopo la
morte di Ambrogio, e in Africa ebbe l’incarico di ammi­
nistrare i beni che la chiesa milanese possedeva laggiù.
Durante la permanenza in Africa ebbe parte di primo pia­
no nel denunciare gli errori di Celestio, il discepolo di
Pelagio, in argomento di grazia e libero arbitrio: fu pro­
prio lui a sostenere l'accusa contro Celestio durante il
concilio di Cartagine dell'inizio del 412, ma lo fece in
modo del tutto insufficiente. Ancora contro Pelagio e Ce­
lestio ebbe occasione di scrivere qualche anno dopo una
lettera a Zosimo, ribadendo l'esigenza di condannare i
due. Dopo il 417 non abbiamo più notizie di Paolino.

2. All'inizio della sua biografia Paolino dichiara


esplicitamente di aver composto l'opera per invito di
Agostino. Tale invito non meraviglia affatto chi consideri
quanto Ambrogio avesse influito sulla crisi decisiva e sul­
la formazione cristiana di Agostino e quanta ammirazione
Agostino abbia sempre nutrito per il vescovo milanese.
In un momento in cui il grande successo ottenuto dalla
Vita di Antonio scritta da Atanasio e dalla Vita di S. Mar­
tino, scritta da Sulpicio Severo, richiamava l’attenzione di
ogni persona colta su questo nuovo genere letterario, è
20 Introduzione

fin troppo naturale che Agostino abbia sentito l'oppor­


tunità di uno scritto del genere dedicato ad Ambrogio,
né martire né monaco ma protagonista di vicende anche
drammatiche della storia della chiesa negli anni imme­
diatamente precedenti e operoso nei più diversi campi di
attività. Basterà ricordare l’impegno nella lotta contro
gli ariani, sostenuti nell'Italia settentrionale dall’appoggio
della imperatrice Giustina; i ripetuti conflitti con la corte
e con l’imperatore Teodosio; le molteplici missioni di ca­
rattere politico che gli furono affidate; i suoi tentativi, per
altro falliti, di mettere ordine nelle cose d'Oriente, pro­
fondamente turbate dagli ultimi strascichi della contro­
versia ariana. E ancora l’attività più propriamente pasto­
rale, svolta anche al di là dei limiti della chiesa milanese,
esplicata soprattutto con una continua predicazione, suc­
cessivamente rielaborata in scritti di carattere esegetico
parenetico e disciplinare; le innovazioni di carattere litur­
gico, di cui fanno fede soprattutto gl’inni detti appunto
ambrosiani; un continuo impegno in ambito sociale per
lenire in qualche modo le piage del pauperismo, in un
continuo richiamo a praticare la beneficenza ed a fug­
gire l’avarizia.
Non era certo cosa agevole fissare per iscritto un’at­
tività cosi poliedrica: era soprattutto necessario disporre
di una persona che possedesse su Ambrogio copia di in­
formazioni dirette e possibilità di procurarsi notizie sup­
plementari. Quando Agostino entrò in contatto con Pao­
lino in Africa, conosciutine i rapporti diretti con Ambro­
gio, pensò di aver trovato l’uomo adatto. Di qui la richie­
sta, cui Paolino non si sottrasse. La composizione del­
l'opera va fissata con buona probabilità intorno al 420,
cioè più di un ventennio dopo la morte di Ambrogio.

3. In un esordio particolarmente elaborato dal p


to di vista dello stile, Paolino ha cura di presentare la
solidità della documentazione su cui è fondato il suo
Introduzione 21

scritto: sono ricordi personali, cioè di un testimone ocu­


lare, integrati da fatti appresi da persone che erano state
a stretto contatto con Ambrogio, fra cui la sorella Mar-
cellina, fonte precipua per le notizie sulla giovinezza del
futuro vescovo. Le notizie posteriori alla morte di Am­
brogio e provenienti da regioni lontane derivano da co­
municazioni epistolari. Questa precisione documentaria
ci porta lontano dal tipo dell’encomio, che abbiamo visto
seguito da Ponzio, e ci introduce nella vera e propria let­
teratura biografica. In tal senso è tutto il procedimento
narrativo, attento a particolari minuti, a fare nomi di per­
sone e luoghi, a proporre anche, sia pur con non molta
precisione, qualche determinazione cronologica.
La disposizione del materiale narrativo segue uno
schema che avvicina la Vita Ambrosii al tipo di biografia
che abbiamo definito di origine alessandrina, quella di
Suetonio, per intenderci. Si comincia con le notizie sulla
gioventù e si termina con la morte e i prodigi ad essa suc­
cessivi: in questa larga cornice i fatti, a partire dall’ele­
zione a vescovo, si ripartiscono in due grandi sezioni,
dedicate rispettivamente al racconto dei gesta di Am­
brogio (6-37) e dei mores (38-41). Nella larga sezione de­
dicata ai fatti di Ambrogio è possibile ravvisare, ma solo
a grandi linee, qualche ulteriore ripartizione: p. es., sono
abbastanza raggruppati fatti riferentisi alla lotta contro
gli ariani (11-13; 15-18; 20) e ai contrasti con Teodosio
(22-24).
Ma la trama dell'esposizione è continuamente in­
frammezzata dal racconto di prodigi operati da Ambro­
gio o comunque connessi con la sua attività; e la stessa
predilezione è evidente in ogni parte della biografia, a
cominciare dalla prima infanzia di Ambrogio, col mira­
colo delle api (c. 3), per finire coi prodigi che dopo la
morte testimoniano la fama e le virtù taumaturgiche del
santo (49-54). In tal senso, ogni particolare, anche insi­
gnificante (cf., p. es., c. 4), è interpretato in funzione
22 Introduzione

della predilezione di Dio per questo suo servo. È proprio


questa chiara predilezione, insieme con quella tendente a
valorizzare le numerose traslazioni di salme di martiri
operate dal Vescovo a seguito di più o meno prodigiosi
ritrovamenti, che distingue il testo di Paolino rispetto a
quelli di Ponzio e Possidio. Era stata la biografia di tipo
monastico a valorizzare l’elemento miracoloso nel rap­
presentare la lotta fra l’asceta e il demonio; esso era il
più atto a colpire l’attenzione del pubblico, e Paolino lo
ha considerato elemento di base della sua opera. È sinto­
matico rilevare come nel raccontare certi fatti storica­
mente importantissimi l’attenzione del biografo si sia
soffermata pressoché esclusivamente sulla componente
miracolosa: è il caso della drammatica elezione di Anemio
a vescovo di Sirmio, fatto molto importante della lotta
contro l’arianesimo e che Paolino rileva esclusivamente
per raccontare il fatto prodigioso della vergine ariana che
cerca di far violenza ad Ambrogio e muore di li a poco
(c. 1 1 ).
Il lettore moderno non può non rilevare il totale di­
sinteresse per l’attività letteraria esplicata da Ambrogio,
che Agostino tanto apprezzava, il silenzio completo su
fatti importanti dell'episcopato, come il tentativo di met­
tere ordine nelle chiese d’Oriente e il concilio di Roma
del 382, la superficialità con cui è descritta occasional­
mente l’attività del vescovo come messaggero personale
dell'imperatore. Non manca, come nel testo di Ponzio,
neppure in Paolino l'intento apologetico: il vescovo mila­
nese aveva lasciato dietro di sé anche una scia di risen­
timenti. Ma mentre vediamo Ponzio in tale contingenza
entrare nel merito delle critiche che venivano mosse a
Cipriano e confutarle, Paolino si limita a rammentare la
misera fine di due detrattori di Ambrogio, duro monito
per ogni calunniatore (53-54).
Noi moderni siamo inclini a considerare un certo
lasso di tempo utile, anzi indispensabile, perché lo sto­
Introduzione 23

rico possa focalizzare con maggiore precisione l’argomen­


to di cui intende trattare. Ma nel caso di Ambrogio e Pao­
lino, il notevole iato di tempo intercorso fra la morte del
primo e l’opera del secondo servi soltanto a consolidare
la fama del vescovo milanese come grande taumaturgo,
circonfondendola già dell'alone della leggenda. D’altra
parte lo schema biografico di Paolino che vuol essere edi­
ficatorio favoriva l’inserzione di aneddoti di vario genere
nel tessuto narrativo. Da ultimo, è fin troppo evidente
che Paolino non era in grado di penetrare a fondo la com­
plessa personalità e la multiforme opera di Ambrogio, e
il suo gusto personale era per il particolare aneddotico e
soprattutto prodigioso. Da tutto ciò è risultata un’opera
che si presenta come una serie di racconti di fatti mira­
colosi, inseriti in una larga cornice cronologica. In altre
parole, Paolino ha, si, ammirato in Ambrogio lo strenuo
difensore dei diritti dell’ortodossia di fronte agli eretici,
e della chiesa dì fronte all'imperatore, il fustigatore dei
vizi, il promotore di una più intensa vita ascetica: ma in
lui ha visto soprattutto il grande taumaturgo, strumento
visibile del continuo e provvidenziale operare divino nel
mondo a favore della chiesa contro i suoi avversari. Pro­
prio sotto questa prospettiva, cioè di una testimonianza
di fede popolare nel grande uomo di Dio, dobbiamo leg­
gere e apprezzare lo scritto di Paolino.

4. Possidio

1. Fu tra gli amici intimi di Agostino e quasi t


quanto sappiamo di lui è in connessione con quello 3. Si
formò cristianamente nel monastero che Agostino aveva

3 Infatti quasi tutti i dati della vita di Possidio a nostra


conoscenza derivano da lettere di Agostino.
24 Introduzione

fondato accanto alla chiesa, ad Ippona, e li visse per al­


cuni anni, finché, intorno al 400, fu eletto vescovo di Ca-
lama, città della Numidia. In tale veste fu, insieme con
Alipio, Evodio e qualche altro, uno dei luogotenenti più
fidati e capaci di Agostino, si che lo troviamo di frequen­
te partecipe degli avvenimenti che contraddistinsero la
controversia con i donatisti e poi quella con i pelagiani.
Basterà ricordare la sua partecipazione ai concili antido­
natisti di Cartagine del 403 e 407, e soprattutto alla gran­
de conferenza tenuta nel 411 a Cartagine fra cattolici e
donatisti, ove a rincalzo di Agostino ebbe modo di far
sentire più volte la sua voce. Per tale attività fu partico­
larmente inviso ai donatisti, che in una occasione lo sot­
toposero a gravi violenze4. Anche da parte dei pagani cor­
se gravi rischi per contrasti insorti a Calama.
Prese ancora parte ai concili antipelagiani di Milevi
nel 416 e di Cartagine nel 419, e fu incaricato anche di
due missioni ufficiali in Italia presso l'imperatore (409
e 410). Attem po dell’invasione vandalica, nel 428 Calama
fu devastata dai barbari e Possidio si rifugiò ad Ippona,
presso Agostino che viveva allora le sue ultime ore. Potè
cosi assistere al trapasso del suo maestro ed amico, che
con tanta commossa partecipazione descrive negli ultimi
capitoli della biografia. Dopo l'incendio di Ippona ebbe
modo di tornare a Calama, ma solo per poco: infatti nel
437 Possidio fu tra coloro che resistettero all’ordine di
Genserico che voleva imporre la fede ariana nei suoi do­
mini, e perciò fu scacciato dalla sua sede. Dopo questo
fatto non abbiamo più notizie di lui.

2. Se Paolino aveva scritto di Ambrogio perché s


to da Agostino, Possidio non ebbe bisogno dell'invito di

4 Possidio riferisce il fatto nel c. 12 della biografia, ma


senza fare il suo nome. Più esplicito è Agostino in ep. 105, 4,
e in C. Cresc. I li, 50-52.
Introduzione 25

alcuno che gli proponesse di scrivere di Agostino. Co­


me egli stesso osserva nella prefazione della sua opera
(Prefaz., 2), ormai era divulgato l'uso di scrivere bio­
grafie di cristiani che in qualche modo si fossero santa­
mente messi in luce; e non ν'era alcun dubbio che Agosti­
no si fosse illustrato in modo del tutto singolare. Se la
santità della sua vita si faceva apprezzare soprattutto da
quelli che erano vissuti a contatto con lui, la continuità
e l’energia della sua azione in difesa della chiesa cattolica
contro gli eretici e gli scismatici ne aveva fatto la figura
di spicco della chiesa africana; e la sua straordinaria ca­
pacità in campo filosofico, teologico ed esegetico lo aveva
per tempo qualificato come il massimo luminare della
chiesa d ’Occidente.
Data la statura dell’uomo, veniva quasi naturale ad
un suo discepolo ed amico di buona capacità, che per
tanti anni aveva vissuto al suo fianco e aveva collaborato
con lui, sentire il desiderio, direi l’esigenza, di fissare per
iscritto una quantità di ricordi, di riflessioni, di osserva­
zioni fatte durante i tanti anni vissuti in familiarità; in
tal modo anche chi non avesse conosciuto personalmente
quell’uomo di Dio avrebbe potuto in qualche modo cono­
scerne le opere e apprezzarne le virtù. Possidio è ben
consapevole che Agostino nei suoi scritti più volte ha
avuto occasione di trattare di sé (Pref., 5), ma è altret­
tanto consapevole che la mole degli scritti è tale (18, 9)
che chi volesse di qui apprendere la vita di Agostino si
troverebbe in grave difficoltà. Ecco perciò che si presenta
l’opportunità di scrivere una breve biografia che, senza
costringere il lettore a grave sforzo5, presenti un profilo
del grande vescovo sufficientemente completo. Occasio­

5 Si veda in proposito il c. 1 della V ita Am brosii di Pao­


lino, ove esplicitam ente l’autore adduce la brevità del suo
scritto come caratteristica che avrebbe invogliato i lettori ad
accostarvisi.
26 Introduzione

nalmente Possidio ha sentito anche la necessità di difen­


dere il suo maestro: a proposito della fusione dei vasi
sacri per soccorrere chi versava in grave difficoltà (24,
15-16); a proposito della non perfetta regolarità della
consacrazione episcopale (8, 3-6 ). Ma si tratta di intendi­
menti del tutto collaterali e marginali: scopo fondamen­
tale per cui Possidio ha scritto la biografia di Agostino è
stato quello di far conoscere al maggior numero possibile
di persone i dati fondamentali della vita e dell'opera di
un uomo che a ragione egli considerava di eccezionale
rilievo nella chiesa del suo tempo. La stesura della bio­
grafia va collocata qualche anno dopo la morte di Ago­
stino, senza possibilità di maggiore precisione.

3. Per il suo scritto Possidio ha scelto lo sche


biografico di tipo suetoniano: non soltanto era racco­
mandato dal precedente di Paolino ma soprattutto era il
più adatto a descrivere con un certo ordine un’attività
continua e tumultuosa con continue sovrapposizioni e
accavallamenti. Di tale schema Possidio pur mirando alla
edificazione si è servito in maniera molto più organica
di quanto non avesse fatto Paolino.
La biografia si apre con un ragguaglio sulla nascita
(luogo, famiglia) e la giovinezza di Agostino: è un cenno
del tutto essenziale perché Possidio non aveva alcuna in­
tenzione di far concorrenza alle Confessioni fPrefaz., 5).
Molto più particolareggiato è invece il racconto della
morte di Agostino, a chiusa del libro, racconto per noi
prezioso perché derivante da un teste oculare. Il corpo
della biografia si ripartisce, come nella Vita Ambrosii, in
due grandi sezioni, la prima destinata ad esporre le res,
i gesta di Agostino (1-18); la seconda a descriverne i mo-
res (19-27). All’interno di queste vaste sezioni Possidio
dispone la materia in modo ben più ordinato di quanto
non avesse fatto Paolino. Nella prima sezione, i fatti ven­
gono inizialmente presentati in ordine cronologico: atti­
Introduzione 27

vità da laico, consacrazione presbiterale, attività anti­


manichea, primi scritti e consacrazione episcopale (3-8).
Poi l’attività di Agostino vescovo è disposta per argo­
mento, con criterio cronologico solo in modo molto im­
perfetto: attività antidonatista (9-14), antimanichea (15­
16), antiariana (17), antipelagiana (18). Nella seconda
sezione si parla prima dell’attività ordinaria di Agostino
come vescovo ( 19-21 ), e poi del suo modo di vita (22-27).
In questa trama cosi ordinata c’è però verso la fine
una specie di grossa digressione che la turba profonda­
mente: giunto a parlare degli ultimi giorni di Agostino e
perciò della invasione vandalica, che ne rappresentò il
fatto saliente, Possidio riporta (30) la lunga lettera che
Agostino, ormai prossimo a morire, aveva scritto al ve­
scovo Onorato, che gli aveva chiesto come il clero si do­
vesse comportare durante l’invasione: cioè, se fosse pro­
prio necessario che vescovi e preti restassero al proprio
posto a rischio di una morte in definitiva inutile, ovvero
non fosse più utile per la chiesa che il clero si sottraesse
con la fuga ai pericoli dell’invasione per aver modo di
continuare ad esercitare altrove il proprio ministero. Ago­
stino risponde: se tutto il popolo dei fedeli abbandona il
proprio paese, si che l’opera in situ del clero diventa inu­
tile, è permesso al vescovo e ai preti di seguire nella fuga
il popolo; ma se anche pochi restano, è dovere impre­
scindibile del clero restare, perché nessuno resti privo
dell'assistenza religiosa, particolarmente indispensabile
in circostanze tanto luttuose. Perché l’attento Possidio
ha introdotto per intero questa lettera, a costo di tur­
bare la regolare trama del suo scritto? Si è detto che
Possidio l'ha fatto perché questa lettera, l’ultima di Ago­
stino, non fu pubblicata direttamente dal suo autore, si
che solo in tal modo Possidio poteva farla conoscere. Ma
anche senza respingere tale spiegazione, vien piuttosto
da pensare che Possidio, che scriveva durante l’occupa­
zione vandalica, abbia voluto a bella posta inserire il lun-
28 Introduzione

go testo agostiniano nella sua biografia perché a tutti i


lettori, soprattutto chierici, fosse ben chiaro come ci si
dovesse comportare in un caso del genere, un caso che
la presenza dei barbari rendeva sempre di attualità.
Abbiamo rilevato la complessità e l'ordine della tra­
ma dell’opera di Possidio rispetto a quella di Paolino.
Va ancora aggiunto che Possidio, pur sehza riuscire ad
abbracciare la totalità dell’opera agostiniana6, è molto
più completo di Paolino; sa giustamente apprezzare l'at­
tività letteraria del suo maestro; ne ha intuito l’impor­
tanza sia sul piano ascetico sia su quello pastorale e po­
litico. Mentre l'ammirazione di Paolino è quella di uno
che è come abbacinato dalla grandezza del personaggio
di cui si occupa e perciò ne sa apprezzare solo l’aspetto
più appariscente, quello taumaturgico, Possidio nutre,
si, per Agostino la stessa ammirazione di Paolino per
Ambrogio, ma sa anche scrutare addentro nell’opera del
suo eroe e individuare ben più solidi motivi di gran­
dezza. Non si fa distrarre dal particolare aneddotico, pre­
sta ben poco interesse ai fatti miracolosi: e questo è un
punto che merita di essere rilevato a pieno merito di
Possidio, data la prorompente tendenza dell’epoca ad
esaltare proprio questo aspetto sia nei martiri sia negli
eremiti. Insomma, il suo Agostino è più uomo come noi,
rispetto all’Ambrogio di Paolino, anche se predestinato
(Prefaz., 1) da Dio ad essere strumento eletto della sua
azione in difesa e propagazione della chiesa. Sotto tale
luce Possidio ha apprezzato Agostino: e, date le idee cor­
renti in quel tempo, sarebbe antistorico se noi volessi­
mo pretendere di più da lui.

6 Va ricordata l’assenza di ogni riferimento al De civitate


Dei ed alle drammatiche circostanze (sacco di Roma da parte
di Alarico) che ne avevano provocato la composizione.
Introduzione 29

5. Considerazioni conclusive

Qualche lettore moderno a leggere le tre biografie


di cui ci occupiamo si aspetta forse di trovare la presen­
tazione di personalità complesse e forti, con le loro aspi­
razioni e passioni, col loro faticoso travaglio, anche coi
loro limiti e i loro difetti. Gli sembra invece di vedersi
proporre figure prive di vera e propria personalità, mo­
delli di perfezione cristiana, circonfusi di un'aureola di
santità che offusca completamente il loro sentire e agire
di uomini come noi. E se può sembrare incongruo ricer­
care in un testo antico, espressione di un modo di ve­
dere ben diverso dal nostro, ciò che corrisponde più in­
timamente alle esigenze del nostro tempo, il paragone
con biografie di personaggi pagani del tempo antico, con
le opere di Plutarco e di Tacito, sta li a dimostrare che
anche gli antichi conoscevano l'arte di presentare l'uo­
mo, certo nella sua grandezza, ma anche nella sua pas­
sionalità e nel suo travaglio, nelle sue vittorie ma anche
nei suoi fallimenti.
Va qui subito osservato che anche i più dotati fra
i biografi cristiani, un Possidio — per quelli che ci ri­
guardano direttamente — e poi un Atanasio o un Sulpicio
Severo, presentano capacità ben circoscritte. Essi sulla
trama della narratio evangelica cercano i punti di con­
vergenza del Cristo col personaggio che trattano. I passi
del Nuovo Testamento fanno da sostegno a tutta la bio­
grafia. Possidio non vede Agostino nella sua autonomia
di uomo che cerca di realizzare se stesso, bensì lo vede
in funzione della economia divina in ordine al sempre
maggiore progresso e perfezionamento della chiesa.
In tale dimensione non c'è spazio per ciò che ri­
guarda l'uomo nella sua mera umanità e mondanità, ma
tutto è visto, sin dalla nascita e dalla giovinezza del per­
sonaggio, in funzione del suo inserimento nella vita del­
30 Introduzione

la chiesa. Egli interessa soltanto in quanto ì suoi mores


e i suoi gesta hanno giovato alla vita della chiesa e alla
sua prosperità, in quanto egli è stato lo strumento di
cui la provvidenza divina si è servita per realizzare i suoi
fini in ordine alla sempre maggiore prosperità della chie­
sa. Inseriti in tale dimensione, i vari eroi cristiani ope­
rano ognuno secondo le sue inclinazioni, le sue capacità
personali e con esiti e risultati diversi, in relazione ai
diversi contesti in cui si trovano ad agire: le opere di
Agostino non sono quelle di Cipriano o di Ambrogio,
e anche nella presentazione dei mores ci può essere, ma
in misura molto esigua, il tratto che distingue uno dal­
l’altro. Ma tutto ciò non basta a caratterizzare effetti­
vamente una personalità, cosi come l'intendiamo noi
oggi, nella sua piena autonomia e individualità, pur nei
vari condizionamenti imposti dall’ambiente: essi restano
soprattutto, come ho detto, strumenti privilegiati del-
l’agire divino nella chiesa. I gesta Cypriani, Ambrosii,
Augustini sono in realtà i gesta Dei per Cyprianum, Am-
brosium, Augustinum.
Bisogna apprezzare i nostri testi per quello che essi
hanno effettivamente inteso proporre al lettore: la ri­
nunzia totale di tutte le aspirazioni dell’uomo nel mon­
do per un impegno altrettanto totale al servizio della
chiesa; un'azione infaticabile e multiforme che traeva
alimento da una ricchissima vita interiore e che perciò,
anche nei momenti più critici, non disperava mai del
successo, eh'è di Dio e non dell’uomo; una totale traspo­
sizione di tutti i valori della vita in nome di un ideale
che si alimentava ancora ad una tensione escatologica
vivissima. In tal senso, tutto ciò che il mondo apprezza
perde significato per chi aspira alla perfezione cristiana,
a tutto vantaggio di ciò che il mondo disprezza e ch’è
invece autentico e genuino acquisto nella prospettiva del­
la vera patria e della vera vita, che il cristiano sa di
non poter attendersi in questo mondo.
Introduzione 31

Visti sotto questa luce, i mores di Cipriano, Ambro­


gio ed Agostino ed il loro appassionato impegno di to­
tale dedizione alla chiesa sono proposti non per susci­
tare un senso di ammirazione per la grandezza umana
di questi eroi, ma proprio come segno di quanto vera­
mente grande può diventare l’uomo quando rinuncia ai
suoi ideali umani per abbracciare totalmente quelli che
gli propone Dio.

Nota: Non ho potuto tener conto del volume di Bastiaen-


sen relativo alle V ite di Cipriano, Ambrogio e Agostino, perché
quando è uscito [Fondazione Lorenzo Valla, 1975], il dattilo­
scritto del mio lavoro era stato già consegnato per la stampa.
Ponzio
Vita di Cipriano

Atti del martirio


Prefazione

1, 1. Cipriano, santo vescovo e glorioso testimone


di Dio, molto ha scritto per cui sopravviva la memoria
di un degno nome; e la grande ricchezza della sua elo­
quenza e della grazia di Dio si è tanto dilatata per ab­
bondanza di parola che forse non tacerà fino alla fine del
mondo: d’altra parte, poiché anche questo privilegio è
dovuto alle sue opere e ai suoi meriti, ho voluto met­
tere per scritto poche notizie in modo sommario, non
perché qualcuno anche dei pagani ignora la sua vita ma
al fine che anche ai nostri posteri sia proposta a me­
moria imperitura una testimonianza grande e incompa­
rabile: in tal modo essi, grazie a questo scritto, saranno
guidati sulla traccia del suo esempio *.
2. Dal momento che i nostri antenati, per la vene­
razione che portavano al martirio, ai fedeli e ai catecu­
meni che l'avevano conseguito, hanno attribuito tanto
onore da trascrivere molte notizie, o vorrei dire, quasi

1 In questo punto mi sono staccato dalla lezione accettata


da Pellegrino, per aderire più da vicino al testo tràdito dai
mss. più antichi.
36 Ponzio

tutte, certo perché ne avessimo notizia anche noi che


non eravamo ancora nati, sarebbe risultato intollerabile
che fosse passata sotto silenzio la passione di Cipriano,
vescovo e martire tanto importante (che anche senza il
martirio ebbe di che insegnare), e che non fosse cono­
sciuto ciò ch'egli operò durante la vita. 3. Queste opere
furono tante e tanto grandi e mirabili che ad osservarne
l'entità io resto spaventato e mi dichiaro impari al com­
pito di proporre un discorso adeguato all’onore che si
deve a quei meriti: non potrei perciò raccontare fatti
tanto insigni in maniera da rilevarne adeguatamente la
grandezza, se il loro stesso numero e la loro gloria non
fossero già di per sé sufficienti, senza che ci sia bisogno
della lode di altri.
4. A tutto ciò si aggiunge che voi volete app
dere molto di lui e addirittura, se è possibile, tutto, de­
siderando ardentemente conoscere almeno le sue gesta,
dal momento che la sua viva voce è stata messa a ta­
cere. 5. Se a tal proposito dirò che vengono meno le
risorse della mia eloquenza, dico poco: infatti l’eloquen­
za in persona mancherebbe di capacità adeguata a sod­
disfare con pienezza il vostro desiderio. 6. Cosi sono
messo in difficoltà da ambedue i lati: quello mi opprime
col peso delle sue virtù; voi mi affaticate col desiderio
di ascoltare.

Inizi di vita cristiana

2, 1. Da dove cominciare? Da dove dare inizio al


racconto dei suoi meriti, se non dal principio della fede
e dalla nascita celeste? Infatti non dobbiamo cominciare
a esporre le opere dell’uomo di Dio se non dal momento
in cui egli è nato a Dio. 2. Anche se egli si è dedicato
allo studio e si è applicato con passione alle arti libe­
rali, tuttavia lascio da parte tutto questo: infatti non ri­
Vita di Cipriano 37

guardava ancora se non ciò ch’è utile per il mondo. 3. Ma


dopo che apprese le sacre scritture e, dissipata la nube
del mondo, emerse alla luce della sapienza spirituale, se
di alcune sue opere fui testimone e altre appresi da per­
sone più anziane di me, queste io intraprendo a raccon­
tare: chiedo tuttavia che, qualsiasi cosa io dica meno di
quanto dovrei — ed è ineluttabile che io dica di meno —,
ciò sia riportato alla mia ignoranza piuttosto che de­
tratto alla sua gloria.
4. All’inizio dell'istruzione nella fede null’altro
dette degno di Dio se non osservare la continenza: al­
lora infatti l’intelletto e il sentimento sarebbero stati
pienamente capaci di accogliere la verità, se egli fosse
riuscito a comprimere la concupiscenza della carne gra­
zie alla pratica strenua e costante della castità. 5. Chi
mai ricorda prodigio tanto grande? Non ancora la se­
conda nascita aveva illuminato l’uomo nuovo con tutto
lo splendore della luce divina, e già il solo approssimarsi
della luce vinceva le antiche tenebre di prima. 6. Inol­
tre — ciò ch'è ancora più meraviglioso —, avendo ap­
preso dalla lettura delle sacre scritture in proporzione
non già della sua condizione di novizio ma del suo en­
tusiasmo per la fede, subito fece suo ciò che apprese
essere giovevole per aver merito di fronte al Signore.
7. Distribuiti i suoi beni per sovvenire l’indigenza
di molti, grazie a tale distribuzione egli ottenne insieme
due effetti positivi: imparò a disprezzare l’ambizione del
mondo, della quale nulla è più dannoso, e cominciò a
praticare la misericordia, che Dio preferisce anche ai sa­
crifici che gli vengono offerti e che non era riuscito a
realizzare neppure colui che aveva affermato di aver os­
servato tutti i precetti della legge (Mt. 19, 20). Cosi,
grazie allo zelo della sua pietà, con celerità quasi comin­
ciò ad essere perfetto prima di aver appreso a diventarlo.
8. Chi, di grazia, fra gli antichi si è comportato cosi?
Chi degli anziani nella fede, le cui menti e i cui orecchi
per molti anni sono stati martellati dalle parole divine,
38 Ponzio

ha compiuto qualcosa pari a quello che costui, ancora


agl’inizi nella fede e tale che forse non gli si prestava
neppur credito, ha realizzato con mirabili e gloriose ope­
re, superando le prerogative dell’età anziana? 9. Nessu­
no miete subito dopo aver seminato, nessuno raccoglie
l'uva dalle fosse scavate da poco, nessuno cerca frutti
maturi da arboscelli piantati allora allora. 10. Invece in
lui tutto incredibilmente è stato rapido: la trebbiatura
ha preceduto, se cosi si può dire — infatti la cosa sem­
bra incredibile —, ha preceduto — dico — la semina,
la vendemmia ha preceduto i tralci, i frutti hanno prece­
duto la radice.

3, 1. Le lettere degli apostoli prescrivono che i neo­


fiti debbono essere lasciati da parte (1 Tim. 3, 6 ) 2, al
fine di evitare che la loro fresca inesperienza li faccia pec­
care in qualcosa contro Dio, poiché la stoltezza del pa­
ganesimo è radicata nei loro sensi non ancora ben fon­
dati nella fede: Cipriano invece fu il primo e — credo —
solo esempio che si può progredire più rapidamente con
la fede che col tempo. 2. In tal senso, anche se negli
Atti degli apostoli (8, 27 s.) è presentato l'eunuco che
credette con tutto il suo cuore e fu subito battezzato
da Filippo, il paragone non è pertinente. Infatti quello
era anche giudeo e venendo dal tempio del Signore leg­
geva il profeta Isaia e sperava in Cristo, anche se era
convinto che non fosse ancora venuto: invece Cipriano,
provenendo da pagani ignoranti, ebbe fin dall'inizio fede
cosi matura come forse l'hanno pochi quando giungono
al termine del loro progresso. 3. Infatti non ci fu indu­
gio nel venire incontro alla grazia di Dio, né dilazione.
Ho detto poco: subito ricevette l'ordinazione presbitera­
le ed episcopale. Chi infatti non avrebbe affidato tutti
i gradi della dignità a uno che credeva con tali senti­
menti?
2 Paolo qui si riferisce alla scelta dei capi della comunità.
Vita di Cipriano 39

4. Molte opere compì quando era ancora un s


plice fedele, molte quando era già prete; e molte son le
prove che forai d’integrale sentimento religioso, nell'imi-
tare gli esempi degli antichi giusti per farsi meriti al
cospetto di Dio. 5. A tal riguardo era solito esprimersi
cosi: se leggeva (nella sacra scrittura) che qualcuno
era stato esaltato dalla lode di Dio, spingeva a ricercare
per quali opere quello fosse riuscito gradito. 6. Poiché
varie testimonianze esaltano la gloria di Giobbe (1, 8;
2, 3, ecc.), vero adoratore di Dio e tale che in terra nes­
suno gli poteva stare a confronto, Cipriano insegnava
che bisognava fare ciò che prima Giobbe aveva fatto:
cosi, poiché anche noi operiamo nello stesso modo, pro­
vochiamo pari testimonianza da parte di Dio nei nostri
confronti. 7. Diceva cosi3: « Giobbe, non considerando
affatto la perdita del patrimonio familiare, progredì tan­
to nella pratica della virtù da non risentire neppure le
afflizioni temporanee che colpirono il suo amore pater­
no. Non lo prostrò la povertà, non il dolore; non lo
piegò la suadente parola della moglie, non lo abbatté
la crudele pena del suo corpo. 8. La virtù rimase ferma
al suo posto e la sua pietà fondata su profonde radici
non cedette ad alcun assalto del diavolo tentatore: che
anzi egli benediceva con grata fede il suo Signore anche
fra le avversità. 9. La sua casa era aperta a chiunque
venisse; nessuna vedova fu mandata via a mani vuote;
nessun cieco mancò della sua guida; nessuno zoppo fu
privo del suo sostegno; nessun indigente restò sprovvi­
sto della sua protezione nei confronti della mano del
potente. Così debbono comportarsi — egli diceva — co­
loro che vogliono esser graditi a Dio ». 10. Così passando
in rassegna le testimonianze di tutti i buoni, coll'imitare

3 Non si può escludere che il passo riportato qui di seguito


derivi effettivamente da una predica di Cipriano, pur libera­
mente adattata da Ponzio.
40 Ponzio

sempre i migliori, si rese egli stesso oggetto di imita­


zione.

4, 1. Quando era ancora neofita, Cipriano era in


grande familiarità con Ceciliano, uomo giusto e di glo­
riosa memoria, che allora era presbitero per età e di­
gnità4. Questi lo aveva distolto daH’errore del mondo e
lo aveva avviato alla conoscenza del vero Dio. 2. Cipria­
no lo amava con tutta venerazione e rispetto e pronta­
mente gli obbediva, considerandolo non amico con cui
trattare come con un coetaneo ma come colui che lo ave­
va generato alla nuova vita. 3. Ceciliano fu tanto colpito
da cosi grandi manifestazioni di rispetto e di affetto che
nel momento di lasciare il mondo, in punto di morte, gli
affidò sua moglie e i suoi figli: come lo aveva fatto par­
tecipe della sua confessione religiosa, cosi successivamen­
te lo lasciò erede dei suoi affetti familiari.

Cipriano vescovo

5, 1. Sarebbe troppo lungo scendere nei particolari


e faticoso ricordare tutte le sue azioni. A riprova delle
sue buone opere sarà sufficiente ricordare soltanto che
per giudizio di Dio e favore del popolo fu eletto all'uf­
ficio di sacerdote e alla dignità di vescovo quando era
ancora neofita e, come si pensava, cristiano novello. In­
fatti fin dai primi giorni della sua fede e già all'inizio
della vita spirituale la sua generosa indole rifulgeva a
tal punto da risplendere, anche se non ancora del ful­
gore dell'ufficio, certo del fulgore della speranza, e in
tal modo presentava sicura garanzia per il sacerdozio

4 Si ricordi che p resb yter ( = prete) propriamente signifi­


cava anziano. Ponzio gioca sul doppio valore del nome, quello
usuale e quello specifico che esso aveva ricevuto nella comu­
nità cristiana.
Vita di Cipriano 41

imminente. 2. E non passerò sotto silenzio neppure que­


sto bel gesto: mentre il popolo, ispirato da Dio, in ma­
niera pressante gli manifestava il suo affetto e lo desi­
gnava alla dignità episcopale, egli umilmente si fece in­
dietro, lasciando il posto ai più anziani: si riteneva inde­
gno dell’onore di dignità tanto importante, proprio per
diventarne maggiormente degno: infatti diventa più de­
gno colui che rifiuta ciò che merita.
3. Ardente allora di grande zelo, il popolo rumoreg­
giava, bramando con desiderio spirituale di avere in Ci­
priano non soltanto il vescovo, come poi dimostrò la sua
morte: infatti in colui che allora richiedeva in tal modo
spinto dall’occulto presagio di Dio, il popolo ricercava
non soltanto il sacerdote ma anche il futuro martire.
4. In gran numero i fratelli assediavano le porte della
casa e con sollecitudine sorvegliavano tutti gl'ingressi.
Allora forse si sarebbe potuto verificare ciò che era ac­
caduto all’apostolo ed egli avrebbe voluto: cioè, di farsi
calare giù attraverso una finestra (Atti, 9, 25), se già
allora egli avesse dovuto imitare l'apostolo anche nel­
l’onore dell'ordinazione. 5. Era possibile vedere tutti che
aspettavano il suo arrivo con animo sospeso e ansioso,
e lo accolsero con immensa gioia.
6. Lo dico contro voglia, ma è necessario dirlo
cuni gli si opposero, proprio perché egli potesse ripor­
tare la vittoria. E tuttavia con quanta dolcezza e pa­
zienza, con quanta benevolenza li trattò, con quanta cle­
menza li perdonò, considerandoli successivamente come
particolarmente amici e fra le persone più intime, fra la
meraviglia di m olti5! Chi infatti non avrebbe tenuto in
conto di miracolo la dimenticanza di una mente tanto
forte nella memoria?
5 Di questi avversari si ricorda Cipriano in ep. 43, 1, scritta
durante l’esilio, ma senza accennare alla successiva riconcilia­
zione. Se non si deve pensare ad una amplificazione di Ponzio,
la riconciliazione va collocata immediatamente prima della
morte del vescovo.
42 Ponzio

6, 1. Chi è in grado di raccontare come egli si com­


portò a partire da quel momento? Quale fu la sua pietà,
quale la forza, quanta la misericordia, quanta la seve­
rità! Tanta santità e grazia risplendevano nel suo volto
da confondere quelli che lo guardavano. 2. Lo sguardo
era insieme grave e lieto, né severo fino alla tristezza
né però troppo affabile, ma un misto di ambedue gli at­
teggiamenti si che si restava incerti se egli dovesse es­
sere più amato o temuto, se non ch’egli meritava di es­
sere insieme amato e temuto. 3. Il suo modo di vestire
non discordava dall'atteggiamento del volto, anch’esso
temperato in modo giusto. Non in lui il gonfiore della
superbia mondana ma neppure lo squallore di una po­
vertà troppo affettata, perché non è da meno della iat­
tanza un modo di presentarsi improntato a tale osten­
tata m iseria6. 4. Come avrebbe dovuto agire nei con­
fronti dei poveri il vescovo che già tanto li amava quan­
do era ancora catecumeno? Se la vedano i maestri di
pietà, sia che li abbia attrezzati a ben fare il modo di
vita proprio della loro dignità sia che li abbia obbligati
a praticare la carità il comune vincolo della religione:
Cipriano fu tale di per sé, non lo rese tale il seggio epi­
scopale 7.

6 Un eccessivo zelo ascetico poteva spingere ad usare un


abbigliamento volutamente dimesso al di là dei lim iti imposti
dalla stessa decenza. Vedremo anche Agostino evitare tali ec­
cessi.
7 Non si può escludere che questo passo abbia di mira
qualche critica m ossa a Cipriano: forse quella che la sua libe­
ralità sarebbe stata provocata dal desiderio di acquistare su­
bito grande popolarità nella comunità cristiana.
Vita di Cipriano 43

Gli scritti di Cipriano

7, 1. Ben presto in ricambio di tali meriti ottenne


anche la gloria della proscrizione8. Infatti non altro do­
veva accadere se non che colui, che nell'intimo della pro­
pria coscienza ardeva di cosi grande zelo per la fede,
fosse esaltato anche pubblicamente dalla voce dei paga­
ni. 2. Certo con la celerità con la quale aveva sempre
conseguito ogni cosa, avrebbe potuto affrettarsi anche a
conseguire la dovuta corona del martirio, soprattutto
perché i pagani insistentemente richiedevano che egli
fosse gettato ai leoni: ma egli doveva giungere al coro­
namento della sua opera solo dopo essere passato attra­
verso ogni genere di gloria, e d’altra parte l’imminente
calamità richiedeva l'opera di un ingegno cosi ricco.
3. Ammetti pure che egli allora fosse passato all'al­
tra vita, fatto degno del martirio: ch i9 avrebbe mostrato
il guadagno che deriva dalla grazia che progredisce per
mezzo della fede? 4. Chi avrebbe raffrenato, servendosi
della sacra scrittura quasi come di un freno, le vergini
spingendole ad un tenore di vita che fosse in armonia
col pudore e ad un modo di vestire degno della santità?
5. Chi avrebbe insegnato la penitenza a coloro che era­
no caduti, la verità agli eretici, l’unità agli scismatici, la
pace e i precetti della preghiera evangelica ai figli di

8 Cioè, fu ricercato durante la persecuzione, come risulta


anche da ep. 58, 6 e 66, 4. Più giù Ponzio riferisce la richiesta
dei pagani di gettare Cipriano ai leoni.
9 Nel passo che segue (par. 3-11) Ponzio ricorda le opere
di Cipriano per mezzo di perifrasi. Nel par. 3 accenna àlYAd
Donatum; nel par. 4 al De habitu virginum ; nel par. 5 al De
lapsis, al De catholicae ecclesiae unitate, al De dominica ora-
tione; nel par. 6 all’^ii Demetrianum; nel par. 7 al De mortali-
tate-, nel par. 8 al De opere et eleemosynis e al De borio patien-
tiae; nel par. 9 al De zelo et livore; nel par. 10 alM d Fortu-
natum. Non è ben certo a quale scritto ciprianeo Ponzio alluda
nel par. 11: si è pensato ad ep. 76.
44 Ponzio

Dio? 6. Da chi i pagani blasfemi sarebbero stati vinti,


e ritorte contro di loro le accuse che portavano contro
di noi? 7. Da chi con la speranza dei beni futuri sareb­
bero stati consolati i cristiani di sentimenti troppo sen­
sibili riguardo alla perdita dei loro familiari e, ciò ch'è
più grave, di fede troppo fiacca? 8. Da chi avremmo ap­
preso la misericordia, da chi là pazienza? 9. Chi avrebbe
raffrenato con la dolcezza di rimedio salutare il livore
derivante dalla invidia velenosa e malvagia? 10. Chi
avrebbe sorretto tanti martiri con l'esortazione della pa­
rola divina? 11. Chi infine avrebbe incoraggiato col suo­
no della tromba celeste tanti confessori segnati in fronte
con la seconda iscrizione10 e conservati in vita come
esempio di martirio?
12. Fu veramente un beneficio derivante da Dio il
differimento del martirio di un uomo indispensabile per
tante e tanto buone opere. 13. Volete conoscere perché
il suo ritiro non fu provocato da paura? Per tralasciare
altri argomenti, egli successivamente sopportò il marti­
rio, e ovviamente l’avrebbe evitato, se anche in prece­
denza l'avesse voluto evitare. 14. Per certo quello fu ti­
more, ma timore giusto, timore che teme di offendere
Dio, timore che preferisce obbedire ai comandi divini11
piuttosto che conseguire cosi il martirio: infatti l'animo
di Cipriano, in tutto dedicato a Dio e spinto da una fede
totalmente disponibile agli ammonimenti divini, credette
che, se non avesse obbedito al Signore che allora coman­
dava di nascondersi, avrebbe peccato anche nel patire
il martirio.

8, 1. Ritengo infine opportuno fare ancora qualche


considerazione circa il differimento del martirio, anche

10 II riferimento è ad Ap. 7, 3. I due segni vanno forse iden­


tificati col segno del battesim o e col marchio del condannato.
11 Riferimento a Mt. 10, 23: « Quando vi perseguiteranno in
una città, fuggite in un’altra ».
Vita di Cipriano 45

se abbiamo già detto sommariamente qualcosa. Se infatti


osserviamo ciò che successe appresso, risulta chiaro che
il ritiro di Cipriano non fu ispirato da pusillanimità di
uomo, ma fu veramente voluto da Dio. 2. Aveva deva­
stato il popolo dei fedeli una dura persecuzione che in­
furiava in modo crudele e nuovo; e poiché l'astuto ne­
mico non poteva trarre in inganno tutti con una sola
frode, dovunque il milite incauto lasciava il lato sco­
perto, là quello colpiva e abbatteva uno per uno con
vario modo di incrudelire e devastare.
3. Era perciò necessario che ci fosse uno che col
rimedio della medicina celeste potesse di volta in volta
o amputare o curare, in relazione al tipo di ferita, chi
era stato ferito e colpito in vario modo dal nemico che
incalzava. 4. Fu preservato quest’uomo che, oltre tutto,
era anche di indole temperata in modo provvidenziale,
perché potesse indirizzare con ben equilibrata guida la
chiesa su una via intermedia fra gli opposti flutti degli
scismi che cozzavano fra lo ro 12. 5. Non sono questi dise­
gni ispirati da Dio? Sarebbe potuto accadere tutto ciò
senza il volere di Dio? Se la vedano quanti ritengono
che tutto ciò sarebbe potuto accadere anche fortuitamen­
te. La chiesa risponde a costoro con chiara voce e dice:
« Io non ammetto, non credo che uomini tanto necessari
siano stati preservati senza il volere di Dio ».

La p este

9, 1. Ad ogni modo mi sembra opportuno accennare


anche agli altri avvenimenti. Tempo appresso scoppiò
una crudele pestilenza che infuriò con paurosa violenza
e di giorno in giorno invase una per una le case della

12 Allusione generica ai contrasti fra lassisti e rigoristi in


materia di riammissione dei lapsi nella chiesa (cf. Introdu­
zione 2, 2). Tali contrasti provocarono lo scisma di Novato.
46 Ponzio

gente in preda al terrore, strappando con violenza innu­


merevoli le persone dalle loro abitazioni. 2. Tutti inorri­
divano, piangevano, cercavano di evitare il contagio, em­
piamente abbandonavano i loro cari, quasi che uno po­
tesse tener lontano, insieme con colui che stava per mo­
rire di peste, anche la stessa morte. 3. Intanto giacevano
a terra per tutta la città, quartiere per quartiere, non
già corpi bensì cadaveri innumerevoli e sembravano chie­
dere per sé la misericordia di coloro che passavano, con
la visione della comune sorte. 4. Nessuno si occupava di
altro se non di guadagni crudeli, nessuno si spaventò al
pensiero che una tale sciagura poteva capitare anche a
lui, nessuno fece ad un altro ciò che avrebbe voluto che
fosse fatto a sé.
5. Sarebbe ora delittuoso passare sotto silenzio c
si sia comportato in tale contingenza il pontefice di Cri­
sto e di Dio, che aveva superato i pontefici di questo mon­
do tanto più per pietà quanto più per verità di religione.
6. Innanzitutto, riuniti i fedeli, li istruisce sui beni della
misericordia e con esempi tratti dalla sacra scrittura in­
segna quanto giovino le opere di pietà per guadagnar
meriti presso Dio. 7. Aggiunge poi che non era cosa da
ammirare se noi trattavamo col dovuto amore soltanto
i nostri confratelli: poteva invece diventare perfetto chi
avesse fatto qualcosa di più rispetto al pubblicano ed al
pagano, chi vincendo il male col bene e uniformandosi
all’esempio della clemenza divina avesse amato anche i
nemici, chi avesse pregato per la salvezza di quelli che
lo perseguitavano, come ci ammonisce ed esorta il Si­
gnore 13: 8. « Egli che fa sorgere sempre il suo sole e
dopo invia le piogge per nutrire le sementi, tutti questi
13 Per il passo che segue vale quanto abbiamo osservato
a n. 3. A tal proposito Pellegrino (p. 132) fa rilevare che l’at­
teggiamento di Cipriano va tanto più considerato in quanto i
pagani accusavano proprio i cristiani di essere responsabili, a
causa della loro empietà, dell’ira degli dèi che aveva scatenato
la pestilenza.
Vita di Cipriano 47

beni non concede soltanto ai suoi: e chi dichiara di es­


sere anche lui figlio di Dio, non imiterà l’esempio del
padre? 9. Bisogna che noi ci comportiamo come esige
la nostra nascita: coloro che sono rinati per grazia di
Dio non debbono essere degeneri ma piuttosto debbono
dimostrare con l'emulazione della bontà che nella prole
è passato il seme del buon padre ».

10, 1. L'esigenza di non allungare il libro non per­


mette di esporre con discorso troppo prolisso molti altri
ed importanti fatti. Di essi basterà dire soltanto che se
i pagani li avessero appresi dalla tribuna degli oratori,
forse si sarebbero subito convertiti. 2. Che cosa avrebbe
dovuto fare il popolo cristiano, il cui nome deriva dalla
sua fede? Subito furono distribuite le incombenze in re·
lazione alle attitudini e alle condizioni delle persone.
Molti che a causa della povertà non potevano offrire da­
naro, offrivano più del danaro, fornendo con la propria
fatica una mercede più preziosa di tutte le ricchezze.
3. E chi, sotto guida cosi efficace, non si sarebbe affret­
tato a trovare il modo di partecipare a tale milizia per
cui sarebbe riuscito gradito a Dio padre, a Cristo giu­
dice, e per il momento al vescovo? 4. Perciò grazie a
questo sovrabbondante adoperarsi in opere buone si
provvedeva al bene non soltanto dei fratelli di fede e cosi
si realizzava qualcosa che superava ciò che è scritto ri­
guardo alla incomparabile pietà di Tobia. 5. Ci perdoni
costui, ancora ci perdoni e più volte ci perdoni: ovvero,
a dire il vero, voglia ammettere che, se fu possibile far
molto bene prima di Cristo, ancor di più è possibile fare
dopo la sua venuta, con cui si è realizzata la pienezza
dei tempi: infatti Tobia raccoglieva soltanto i suoi con­
nazionali che il re aveva fatto uccidere e gettare nella
strada.
48 Ponzio

In esilio
11, 1. Mentre era occupato in opere cosi buone e
pie, sopravviene l’esilio; infatti l’empietà dà sempre que­
sto contraccambio: rendere il male in luogo del bene.
Ciò che il sacerdote di Dio rispose al proconsole che
l’interrogava, è riferito negli Atti. 2. Per il momento vie­
ne escluso dalla città colui che aveva bene operato per
la salvezza della città, colui che si era affaticato perché
gli occhi dei vivi non sopportassero l’orrore dell'inferno,
colui — dico — che vigilando con zelo pietoso aveva
provveduto, con bontà contraccambiata — ahimè — da
ingratitudine, che la patria e lo stato non rimanessero
abbandonati e deserti a causa deH’allontanarsi di molti,
poiché tutti cercavano di abbandonare la triste vista
della città. 3. Ma di questo se la veda il mondo, che fra
le pene conta pure l’esilio. A quelli infatti la patria è fin
troppo cara e il nome è in comune con i genitori: invece
noi rinneghiamo anche i genitori se ci spingono contro
Dio; per quelli è grave pena vivere fuori della loro città:
invece per il cristiano tutto questo mondo è una sola
casa. 4. Perciò, anche se sarà stato relegato in un luogo
nascosto e fuori di mano, colui ch’è unito alle cose del
suo Dio non può considerare questo un esilio. Aggiungi
invece che, essendo integralmente al servizio di Dio, egli
è forestiero anche nella sua città: poiché infatti si astiene
castamente da desideri carnali per ispirazione dello Spi­
rito santo e depone il modo di vita dell’uomo vecchio,
egli è estraneo alla vita terrena anche quando si trova
fra i suoi concittadini e, vorrei dire, addirittura fra gli
stessi genitori. 5. Si aggiunge ancora il fatto che l’esilio,
anche se in altri casi può sembrare pena, invece in cause
e sentenze di tal genere, che noi sopportiamo come prove
che esercitano la nostra virtù, non è pena perché è glo­
ria. 6. Ma sia cosi: mentre per noi l’esilio non è pena,
però per quelli che infliggono agli innocenti ciò ch’essi
ritengono pena, esso è delitto capitale, misfatto gravis­
Vita di Cipriano 49

simo che è loro rimproverato anche dalla testimonianza


della propria coscienza.
7. Non voglio ora descrivere l’amenità del luog
lascio da parte tutto l'apparato di delizie 14. Immaginia­
mo un luogo brutto per posizione, squallido per aspetto,
che non ha acque salubri né verde ameno né una spiag­
gia vicina, ma grandi rupi silvestri fra le fauci inospi­
tali di una solitudine assolutamente deserta, nascosto in
una parte inaccessibile del mondo. Anche se il luogo
ove venne Cipriano, il sacerdote di Dio, era tale, avrebbe
esso potuto avere il nome di esilio? se fosse mancato
l’aiuto degli uomini, non lo avrebbero aiutato gli uc­
celli, come Elia (1 Re, 17, 4 ss.), o gli angeli, come Da­
niele (Dan. 14, 32 ss.)? 8. Ma non sia mai che uno creda
che anche al più piccolo dei cristiani, purché confessi il
nome di Cristo, possa mancare qualche cosa. A maggior
ragione non poteva mancare l'aiuto di uomini buoni al
pontefice di Dio che sempre aveva operato il bene con
misericordia.

12, 1. Ma ritorniamo ora, con rendimento di gra­


zie, a quella possibilità che avevo proposto come secon­
da: per volere di Dio fu predisposto all’uomo dall'animo
tanto grande un luogo ameno e conveniente, un posto
appartato secondo il suo volere, e gli fu fornito tutto ciò
che era stato prima promesso a coloro che cercano il
regno e la giustizia di Dio (Mt. 6, 33). 2. E volendo
omettere le frequenti visite dei fratelli e le manifesta­
zioni di affetto degli stessi cittadini, che gli restituivano
tutto ciò di cui sembrava fosse stato privato, non però
14 A proposito di questo passo di Ponzio è stato notato un
certo imbarazzo nell'autore, costretto ad ammettere che il luo­
go assegnato come esilio a Cipriano era dotato di ogni como­
dità. Cipriano era cittadino di alta condizione sociale e da
tutto il racconto del martirio risulta evidente che fu trattato
con tutte le prerogative che spettavano ad un uomo del suo
rango.
50 Ponzio

tralascerò la mirabile visita che gli fece Dio: con essa


egli volle che il suo vescovo in esilio fosse sicuro del
martirio che l'attendeva, si che Curubi, nella piena fidu­
cia deirimminente martirio, ospitasse non solo l'esule ma
anche il martire. 3. Nel giorno stesso in cui fummo nel
luogo dell’esilio — anche me egli nel suo affetto aveva
voluto scegliere come esule volontario fra i familiari che
lo avevano accompagnato: e avesse voluto il cielo che
mi fosse stato possibile essergli vicino anche nella pas­
sione — : « Mi apparve — egli disse — mentre non era
ancora sopraggiunto il sonno, un giovane di statura mol­
to superiore alla misura umana: e poiché egli era in at­
teggiamento di condurmi al pretorio, a me sembrò di
essere stato tradotto davanti al tribunale del proconsole.
4. Quando questi mi vide, cominciò subito a scrivere sul­
la tavoletta la sentenza che io non conoscevo, perché
non mi aveva interrogato al modo solito. Ma quel gio­
vane, che si era posto alle spalle del proconsole, lesse
come persona molto curiosa tutto ciò ch'era stato scrit­
to. 5. E poiché di li non mi poteva parlare, con un chiaro
gesto mi fece sapere ciò ch'era stato scritto nella sen­
tenza di quella tavoletta: infatti con la mano aperta e
diritta a mo' di spada imitò il colpo della usuale puni­
zione capitale, e cosi quasi con chiara parola mi comu­
nicò ciò che voleva ch'io sapessi: compresi infatti che
ci sarebbe stata una sentenza di morte. 6. Allora comin­
ciai a pregare e chiedere che mi fosse concessa la dila­
zione almeno di un giorno, onde io potessi provvedere
alle mie cose come voleva la legge. 7. Dopo che io avevo
più volte ripetuto la richiesta, quello di nuovo cominciò
a scrivere non so che nella tabella: tuttavia dal volto se­
reno del giudice compresi che egli era stato convinto del­
la giustezza della richiesta. 8. E del resto quel giovane,
che poco prima col gesto in luogo della parola mi aveva
indicato la sentenza di morte, ugualmente con un gesto
nascosto mi fece subito capire che era stata concessa la
dilazione che avevo richiesto per il giorno dopo, intrec-
Vita di Cipriano 51

dando le dita all'indietro 1S. 9. Io, benché la sentenza


non fosse stata letta, mi ridestai col cuore in gran gioia
perché la dilazione era stata accettata, tuttavia nell’in­
certezza della interpretazione ero tanto spaventato che
il timore che m e ra restato faceva battere ansiosamente
il cuore, che pur ancora esultava ».

13, 1. Che cosa più chiara di questa rivelazione, che


cosa più fausta di questa degnazione? In anticipo gli fu
predetto tutto ciò che poi si verificò. 2. Niente andò
perso delle parole di Dio, niente fu sottratto a promessa
tanto santa. Esaminate infatti uno per uno i particolari,
secondo che sono stati indicati. 3. Cipriano chiede la di­
lazione di un giorno, allorché si trattava la sua condanna
a morte, chiedendo di poter ordinare le sue cose in quel
giorno che aveva ottenuto. Questo unico giorno indicava
l’anno che egli avrebbe ancora trascorso nel mondo do­
po la visione. 4. Infatti, per dirlo più chiaramente, egli
fu coronato col martirio dopo che fu trascorso un anno
dal giorno in cui aveva avuto la visione. Anche se non
leggiamo nella sacra scrittura che un giorno del Signore
indica un anno, tuttavia interpretiamo in tal senso il
tempo dovuto per la promessa dei beni futuri. 5. Perciò
non fa differenza se ora sotto l'indicazione di un giorno
è stato indicato un solo anno: infatti ciò ch'è più impor­
tante deve impegnare più tem po16. 6. Quanto poi al fatto

15 II segno della loquela digitorum per indicare l’uno (il mi­


gnolo abbassato mentre le altre quattro dita rimanevano di­
ritte) obbligava il giovane che era apparso a Cipriano, a por­
tare la mano dietro la nuca. Diversamente con la mano in avan­
ti il gesto sarebbe risultato provocatorio.
16 Ponzio è qui in difficoltà perché, in ragione dello svol­
gimento dei fatti, deve interpretare il giorno indicato nella vi­
sione come indicativo di un anno, ma non trova alcun appog­
gio in proposito nella sacra scrittura: perciò osserva generica­
m ente che questo spazio di tempo è richiesto per l’adempi­
m ento delle promesse divine. Pellegrino (p. 158) pensa che
52 Ponzio

che l'indicazione fu data col cenno e non con la parola,


ciò fu perché l'uso della parola era riservato al momento
in cui sarebbe sopraggiunto il tempo fissato: infatti si
suole indicare con la parola una cosa nel momento in
cui ciò che viene annunziato si realizza. 7. In realtà nes­
suno avrebbe compreso perché ci fosse stata questa vi­
sione, se non perché egli subì il martirio successivamente
proprio nel giorno in cui aveva avuto la visione. 8. Non­
dimeno nel tempo intermedio tutti sapevano per certo
che la passione era imminente: ma il giorno preciso ve­
niva taciuto da tutti in quanto certo essi l'ignoravano.
9. Anche nelle scritture trovo qualcosa del genere. In­
fatti il sacerdote Zaccaria, cui per mezzo dell'angelo era
stato promesso un figlio, poiché non credette diventò
muto (Le. 1, 5 ss.): perciò dovendo scrivere, anziché pro­
nunciare, il nome del figlio, col gesto chiese la tavoletta.
10. Ben a ragione anche nel nostro caso il messaggero di
Dio, indicando col gesto piuttosto che con la parola l'im­
minente martirio del vescovo, richiamò la fede e rin­
francò il sacerdote. 11. Il motivo della richiesta della
dilazione dipendeva dalla necessità di ordinare le proprie
cose e di disporre le proprie volontà. Ma quale cosa,
quale volontà egli doveva disporre se non la situazione
della chiesa? 12. L'estrema dilazione fu accettata perché
venisse predisposto tutto ciò che bisognava stabilire per
l’ultima volta circa gli aiuti da dare ai poveri: e ritengo
che per nessun’altra ragione, anzi soltanto per questa,
egli ottenne condiscendenza da parte di coloro che lo
avevano esiliato e che l’avrebbero messo a m orte17, cioè

Ponzio avesse qui in mente Gen. 17, 21; 18, 10; 21, 2, ove si
parla della promessa d'un figlio fatta da Dio ad Abramo e Sara
e avveratasi dopo un anno.
17 Si ricordi che le vicende dell’arresto e del martirio di
Cipriano si spiegano in funzione delle modalità della persecu­
zione di Valeriano: infatti l'editto del 257 comminava ai vescovi
solo la pena dell'esilio, mentre quello dell'anno dopo decretava
la condanna a morte.
Vita di Cipriano 53

perché di sua presenza egli somministrasse ai poveri pre­


senti gli ultimi, e per dirlo più esattamente, tutti i da­
nari di questa estrema distribuzione. 13. Avendo egli or­
dinato cosi piamente le sue cose e stabilite le sue vo­
lontà, s'avvicinava il domani.

14, 1. Già da Roma era venuta la notizia di Sisto,


buono e pacifico vescovo e per questo beatissimo m arti­
re 18. 2. Si attendeva ormai di momento in momento
l’arrivo del carnefice che avrebbe colpito il collo consa­
crato a Dio del santo martire; e cosi tutti quei giorni
trascorrevano nella quotidiana attesa della morte, si che
a ognuno di essi poteva essere assegnata la corona del
martirio. 3. Frattanto venivano a visitarlo molte perso­
ne ragguardevoli per famiglia e condizione, appartenenti
anche alla nobiltà del mondo: essi per l'amicizia che
avevano per lui gli consigliavano di nascondersi subito
e perché il consiglio non restasse meramente astratto,
gli mettevano anche a disposizione il posto dove nascon­
dersi 19. 4. Ma quello ormai non si curava più del mondo,
avendo la mente fissa al cielo, e non acconsentiva a quei
consigli allettanti. Forse anche allora20 avrebbe finito per
fare ciò che gli veniva consigliato pure da moltissimi fe­
deli, se ne avesse ricevuto anche il comando di Dio.
5. Non bisogna lasciare senza lode neppure questo su­
blime motivo di gloria di tanto grande uomo: poiché i
pagani si facevano sempre più minacciosi, e forti del­
l'appoggio degl'imperatori anelavano ad assalire i cri­
stiani, egli, come che gli si offriva l'occasione, istruiva i

18 Sisto fu decapitato il 6 agosto 258.


19 Questo particolare non va considerato fittizio, ma va
m esso in relazione con quanto abbiamo osservato alla n. 14
circa l'alta condizione sociale di Cipriano, per cui egli doveva
avere amici anche fra i pagani di alta condizione.
20 Come già aveva fatto durante la persecuzione di Decio,
quando si era sottratto alla persecuzione col nascondersi in
luogo sicuro.
54 Ponzio

servi di Dio con le esortazioni del Signore e li rincorava


perché disprezzassero le passioni di questo tempo nella
contemplazione della gloria che stava per sopraggiunge­
r e 21. 6. Certo era grande il suo desiderio di predicare
ed egli avrebbe desiderato che il martirio tanto atteso si
compisse in modo tale che egli fosse ucciso proprio men­
tre parlava di Dio.

Il martirio

15, 1. Passava cosi le sue giornate il sacerdote de­


stinato ad essere vittima gradita a Dio, quand'ecco per
ordine del proconsole arrivare improvvisamente alla sua
villa il capo di polizia con la sua milizia — parlo della
villa che Cipriano da poco diventato cristiano aveva ven­
duto e che per compiacenza di Dio gli era stata resti­
tuita: certamente egli l'avrebbe di nuovo venduta per
soccorrere i poveri se non avesse dovuto evitare l'odiosità
derivante dalla persecuzione — 22. Arrivò improvvisamen­
te il capo di polizia, anzi, per dir meglio, credette di es­
sere arrivato improvvisamente. Infatti come avrebbe po­
tuto essere sorpreso da un improvviso assalto un animo
sempre preparato? 2. Allora Cipriano si fece avanti, or­
mai sicuro che si stava realizzando ciò che tanto a lungo
era stato ritardato: si fece avanti con animo eretto e
teso verso l’alto, gioioso nel volto e forte nel cuore.
3. Ma rimandato al giorno dopo tornava dal pretorio alla
casa dell'ufficiale, allorché subito si sparse per tutta
Cartagine la voce che ormai era stato arrestato Tascio,

21 Si veda, p. es., l'ep. 55 di Cipriano.


22 Quanto qui dice Ponzio è poco chiaro, in riferimento a
c. 2, 7, ove è detto che, fattosi cristiano, Cipriano aveva ven­
duto tutti i suoi beni per dam e il ricavato ai poveri. Si è pen­
sato che egli si fosse riservato l’uso di una piccola parte di
questi beni, ovvero che la villa in questione fosse stata riscat­
tata da qualcuno in favore di lui.
Vita di Cipriano 55

colui che, oltre alla rinomanza di cui godeva nell’opi­


nione generale, tutti anche conoscevano per il ricordo
delle sue insigni opere. 4. Da ogni parte accorrevano
tutti allo spettacolo, per noi glorioso in forza della de­
vozione della fede, e doloroso anche per i pagani23.
5. Ospitato nella casa dell’ufficiale, egli per una n
fu tenuto sotto discreta sorveglianza, si che noi che gli
eravamo intimi e familiari potemmo stare con lui secon­
do il costume. Frattanto tutto il popolo, per timore che
di notte si facesse qualcosa che sfuggisse alla sua cono­
scenza, vegliava davanti alle porte dell'ufficiale. 6. A lui,
che ne era veramente degno, la divina bontà concesse
allora che il popolo di Dio vegliasse anche durante la
passione del vescovo. 7. Qualcuno vorrà forse ricercare
il motivo per cui Cipriano dovette tornare dal pretorio
alla casa del capo di polizia? E alcuni sostengono che
allora il proconsole non volle celebrare il processo per
suoi motivi. 8. Ma non sia mai che io lamenti la pigrizia
e l’indisposizione del proconsole in fatti che avvenivano
per volontà divina; non sia mai che io ammetta nell'in­
timo del mio animo religioso questa cattiva supposizio­
ne, che il rutto di un uomo giudicasse in merito ad un
martire tanto santo24. In realtà quel domani, che la
bontà divina aveva predetto l’anno prima, doveva esse­
re veramente domani.

16, 1. Spuntò finalmente il giorno seguente, quello


stabilito, quello promesso, quello divino, che se pure il
tiranno avesse voluto differire non ci sarebbe riuscito,
giorno gioioso per la coscienza del futuro martire e, cac-

23 II comportamento di Cipriano e dei cristiani durante la


pestilenza, cui sopra si è accennato, aveva attirato m olte sim­
patie alla comunità cristiana da parte dei pagani.
24 Cioè, qui Ponzio si prospetta, per scartarla, l’ipotesi che
il proconsole avesse fatto indigestione e per questo avesse ri­
mandato il processo al vescovo. In realtà, come appare dagli
A tti del martirio, il proconsole era malandato in salute.
56 Ponzio

date via le nubi da tutto il mondo, illuminato dal sole


splendente. 2. Usci dalla casa dell’ufficiale egli, ufficiale di
Dio e di Cristo, e da ogni parte fu stretto dalle schiere
di una frammista moltitudine. 3. Cosi alla scorta si uni­
va un esercito infinito, quasi che si venisse in schiera
a debellare la morte. 4. Durante il percorso passarono
a fianco dello stadio. Ciò avvenne opportunamente e
quasi a bella posta, si che colui che, portata a termine
la lotta, correva alla corona di giustizia (2 Tim. 4, 7 s.),
passasse accanto al luogo dove si svolgeva una gara
somigliante25.
5. Quando si giunse al pretorio, poiché il procon
non veniva ancora, Cipriano fu posto in un luogo inter­
no. 6. Li, poiché egli sedeva tutto sudato per il lungo
cammino — e il sedile per un caso fortuito era coperto
da un panno bianco, si che anche sotto il colpo mortale
egli potesse godere dell’onore dell'episcopato —, uno dei
tesserari26, che ima volta era stato cristiano, gli offerse
i suoi indumenti, perché Cipriano volesse cambiare i suoi
vestiti umidi con altri asciutti — ma in realtà con questa
offerta il soldato a nient'altro m irava se non a venire
in possesso del sudore del martire che ormai andava a
D iov . 7. A costui Cipriano rispose: « Vogliamo usare
riguardi per fastidi che oggi forse non ci saranno più? ».
È da meravigliarsi se tenne in nessun conto i fastidi del
corpo colui che nel suo animo non teneva in alcun conto

25 Lo stadio sta quasi a simboleggiare il cimento di Cipria­


no contro i persecutori.
26 Si chiamava cosi un sottufficiale incaricato di ricevere e
trasmettere ai soldati la parola d’ordine, scritta su una tavolet­
ta (tessera).
27 II militare, rimasto cristiano nell'animo, mirava ad en­
trare in possesso di una reliquia del martire: si veda in pro­
posito l’episodio raccontato alla fine degli A tti, relativo ai fe­
deli che gettavano fazzoletti e bende sul luogo ove sarebbe
stato decapitato Cipriano, perché s’imbevessero del suo sangue.
È già cominciato il culto delle reliquie dei martiri.
Vita di Cipriano 57

la morte? 8. A che più parole? In quel momento fu


annunciato l'arrivo del proconsole. Cipriano viene intro­
dotto, presentato, interrogato sul suo nome. Rispose chi
era, e l'interrogatorio fini q u i28.
17, 1. A questo punto il giudice legge dalla tavo­
letta la sentenza che tempo prima, nella visione, non
aveva letto, sentenza spirituale da non pronunciare teme­
rariamente, sentenza degna di tale vescovo e tale testi­
mone, sentenza gloriosa, nella quale Cipriano era defi­
nito « vessillifero della setta » e « nemico degli dèi »
e « che sarebbe stato di esempio ai suoi » e che « col
suo sangue avrebbe cominciato ad essere sanzionata la
disciplina » 29. 2. Niente più pienamente rispondente al
vero di questa sentenza: infatti tutto ciò che vi fu detto,
anche se fu detto da un pagano, era ispirato da Dio.
Né di questo ci si deve stupire, dato che anche i pon­
tefici son soliti profetare circa la passione 3. Era stato
vessillifero poiché insegnava a portare il segno di Cristo,
nemico degli dèi poiché comandava di distruggere gli
idoli; fu di esempio ai suoi poiché per primo nella pro­
vincia dedicò le primizie del martirio ai molti che in
pari modo l’avrebbero seguito. Anche la disciplina aveva
cominciato ad essere sanzionata col suo sangue, cioè la
disciplina dei martiri, che emulando il loro maestro con
l'imitazione di pari gloria sanzionarono essi pure col
proprio sangue la disciplina del loro esempio.
28 II racconto di Ponzio è qui abbreviato, per non costi­
tuire ripetizione di quello degli Atti. Da questi ricaviamo tutto
il testo del breve interrogatorio.
29 Si veda negli Atti, che facciamo seguire, il testo completo
della sentenza. Qui con disciplina il magistrato intende l’auto­
rità della legge: ma Ponzio nel suo commento adopera il ter­
mine in riferimento alla condotta dei martiri a testimonianza
della propria fede.
30 Si veda Gv. 11, 49 s., ove Caifa, il sacerdote giudeo, pre­
dice la morte di Cristo, secondo una prerogativa che i giudei
attribuivano al loro sommo sacerdote.
58 Ponzio

18, 1. Mentre usciva fuori dal pretorio, lo accom­


pagnava gran quantità di soldati e, perché nulla man­
casse alla sua passione31, centurioni e tribuni gli sta­
vano a fianco. 2. Il luogo dove subì il martirio è in
una valle ed offre un bello spettacolo con alberi adden­
sati da ogni parte. 3. Poiché l’ampiezza del luogo e il
troppo accalcarsi della folla disordinata impedivano la
vista, alcuni dei fedeli erano saliti sui rami degli alberi,
perché a Cipriano neppure questo fosse negato, di essere
visto dall’alto degli alberi, come aveva fatto Zaccheo
(Le. 19, 1 ss.). 4. Dopo essersi bendato gli occhi con
le mani, Cipriano spingeva il carnefice ad affrettarsi,
mentre quello, il cui ufficio è adoperare il ferro, lasciata
cadere la destra, stringeva a malapena la spada con le
dita tremanti. Finalmente, giunta l’ora della glorifica­
zione, perché si compisse la morte di quell’uomo di va­
lore, una forza concessa dall’alto restituì vigore ed effi-
cenza alla mano del carnefice. 5. Beato il popolo della
chiesa, che partecipò alla passione di tale suo vescovo
parimenti con gli occhi e i sentimenti e, ciò ch’è più
importante, con la voce aperta32: così anch’esso, come
spesso aveva udito da lui che predicava, fu coronato da
Dio giudice. 6. Infatti, anche se non si potè realizzare
ciò che tutti si auguravano, cioè che tutto il popolo
patisse il martirio partecipando a pari gloria, tuttavia
ognuno che volle patire neiranimo sotto gli occhi di Cri­
sto che osservava e in presenza del vescovo che ascol­
tava, in qualche modo mandò a Dio il suo messaggio per
mezzo di un valido testimone del suo voto.

19, 1. Terminata cosi la passione, avvenne che Ci­


priano, come era stato esempio di ogni buona opera,
31 Abbiamo qui e sotto nel par. 3, col ricordo di Zaccheo,
due tratti che tendono a presentare la passione di Cipriano
come imitazione di Cristo.
32 Si veda negli A tti la richiesta del popolo, che chiede di
essere decapitato insieme col vescovo.
Vita di Cipriano 59

cosi fu anche il primo vescovo che in Africa consegui


la corona del martirio, il primo che fu tale dopo gli
apostoli. Infatti dal tempo in cui si fa decorrere a Car­
tagine l'ordine dei vescovi, non si ricorda che alcuno
mai di essi, pur se eccellente, sia giunto al martirio.
2. E benché la devozione al servizio di Dio in uomini
a lui dedicati sia computata alla pari del martirio, Ci­
priano tuttavia, grazie a Dio che realizzò l'opera, pro­
gredì anche a tal culmine di perfezione che in quella
città, nella quale aveva vissuto e per primo aveva com­
piuto molte gloriose azioni, egli per primo illustrò anche
col sangue glorioso le insegne del sacerdozio celeste.
3. Che fare a questo punto? L'animo mio è diviso fra
la gioia della sua passione e il dolore di essere rimasto
in vita, e un duplice sentimento affligge il cuore troppo
angusto. Mi dorrò di non essergli stato compagno? Ma
si deve celebrare la sua vittoria. Celebrerò la vittoria?
Ma mi dolgo di non essergli stato compagno. 4. A voi
tuttavia confesserò in tutta semplicità ciò che del resto
voi già sapete, che questo è stato il mio pensiero: esulto
molto, moltissimo per la sua gloria, tuttavia ancora di
più mi dolgo d'essere rimasto in vita.
ATTI DEL MARTIRIO DI CIPRIANO

1 ,1 . Essendo consoli l'imperatore Valeriano per la


quarta volta e Gallieno per la terza, il terzo giorno pri­
ma delle calende di settembre (30 agosto 257), nell’aula
del tribunale il proconsole Paterno disse al vescovo Ci­
priano: « I santissimi imperatori Valeriano e Gallieno
si sono degnati inviarmi una lettera con la quale coman­
dano che tutti coloro che non osservano la religione
romana debbono però riconoscere i riti romani. Allora
ho indagato sul tuo nome: che cosa mi rispondi? ».
2. Il vescovo Cipriano disse: « Sono cristiano e vesco­
vo; non riconosco altri dèi se non l’unico e vero Dio
che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che
qui si trova. Questo Dio noi cristiani serviamo, questo
preghiamo giorno e notte per noi e per tutti e per la
salute degli stessi imperatori ». 3. Il proconsole Paterno
disse: « Allora perseveri in questo proposito? ». Il ve­
scovo Cipriano rispose: « Un buon proposito, per il
quale si conosce Dio, non può essere mutato ». 4. Il
proconsole Paterno disse: « Potrai allora, secondo l’or­
dine di Valeriano e Gallieno, andare in esilio nella città
di Curubi? ». Il vescovo Cipriano disse: « Parto » 33. 5. Il
proconsole Paterno disse: « Gl’imperatori si sono de­
gnati scrivermi non soltanto riguardo ai vescovi, ma

33 Cf. quanto abbiamo osservato sopra a n. 17.


62 Ponzio

anche riguardo ai preti. Voglio sapere da te chi sono


i preti che stanno in questa città ». Il vescovo Cipriano
rispose: « Bene e opportunamente avete disposto con le
vostre leggi che non ci debbano essere delatori. Perciò
costoro non possono essere scoperti e deferiti da me. Ma
li troverete nelle loro città ». 6. Il proconsole Paterno
disse: « Oggi stesso farò fare ricerche su questa gente ».
Il vescovo Cipriano disse: « La nostra religione proibisce
che uno si presenti spontaneamente, e questo non è gra­
dito neppure alla tua autorità: perciò essi non si possono
presentare. Ma se li cercherai, li troverai ». 7. Il pro­
console Paterno disse: « Li troverò », e aggiunse: « Vie­
ne anche ordinato che (i cristiani) non si riuniscano
da qualche parte e non entrino nei cimiteri. Perciò, se
qualcuno non avrà osservato questa disposizione cosi
opportuna, sarà condannato a morte ». Il vescovo Ci­
priano rispose: « Fa’ ciò che ti è stato ordinato ».
2, 1. Allora il proconsole Paterno comandò di de­
portare in esilio il santo vescovo Cipriano. E mentre
egli a lungo risiedeva là, al proconsole Aspasio Paterno
successe il proconsole Galerio Massimo: questi ordinò
che gli fosse condotto il vescovo Cipriano, che era stato
richiamato dall’esilio. 2. Cipriano, il santo martire elet­
to da Dio, essendo tornato per disposizione deH'autorità
da Curubi, ove era stato mandato in esilio per disposi­
zione di Aspasio Paterno che allora era proconsole, se
ne stava nella sua villa e ogni giorno sperava che lo
venissero a prendere, come gli era stato rivelato. 3. Men­
tre stava li, improvvisamente alle idi di settembre del
consolato di Tusco e Basso (13 settembre 258) vennero
da lui due ufficiali, un capo della polizia del proconsole
Galerio Massimo, che era succeduto ad Aspasio Paterno,
e un ufficiale della stessa polizia preposto alla custodia
dei prigionieri. 4. Essi fecero salire Cipriano in una
vettura, lo collocarono in mezzo a loro e lo condussero
alla villa di Sesto, dove il proconsole Galerio Massimo
Martirio di Cipriano 63

si era ritirato, in convalescenza. 5. Allora il proconsole


Galerio Massimo ordinò che Cipriano gli fosse presen­
tato il giorno appresso. In questo frattempo il beato
Cipriano, condotto alla casa del capo di polizia del pro­
console Galerio Massimo, uomo illustrissimo, si ritirò e
li rimase con l'ufficiale nella sua abitazione, nel quar­
tiere detto di Saturno, fra le porte Venerea e Salutarla.
6. Li si radunò tutta la folla dei fratelli. Quando il beato
Cipriano lo seppe, dette disposizione di proteggere le
giovani, perché tutti rimasero in quel luogo davanti alla
porta della casa dell'ufficiale.

3, 1. Il giorno dopo, diciottesimo prima delle ca-


lende di ottobre (14 settembre) di mattina si radunò
molta folla nella villa di Sesto a seguito dell'ordine del
proconsole Galerio Massimo. 2. In quel giorno il pro­
console Galerio Massimo ordinò che gli fosse presentato
Cipriano, mentre egli sedeva nell’atrio Sauciolo. 3. Quan­
do gli fu presentato, il proconsole Galerio Massimo disse
a Cipriano: « Tu sei Tascio Cipriano? ». Il vescovo Ci­
priano rispose: « Si ». 4. Il proconsole Galerio Massimo
disse: « Tu ti sei fatto capo di uomini di sacrilega inten­
zione? ». Il vescovo Cipriano rispose: « Si ». 5. Il pro­
console Galerio Massimo disse: « I santissimi impera­
tori ti hanno comandato di sacrificare ». Il vescovo
Cipriano disse: « Non lo faccio ». Il proconsole Galerio
Massimo disse: « Pensa a te ». Il vescovo Cipriano
rispose: « Fa’ come ti è stato comandato. In una que­
stione cosi giusta non c’è bisogno di pensarci su ».

4, 1. Galerio Massimo, dopo essersi consultato con


i membri del tribunale a stento e a fatica34 emanò la
sentenza con queste parole: « A lungo hai vissuto in

34 Si ha l’impressione che il redattore degli A tti con que­


ste parole (vix et aegre) abbia voluto presentare l’atteggia­
mento del proconsole come quello di uno che controvoglia è
64 Ponzio

modo sacrilego ed hai unito a te molti uomini di empio


intendimento e sei diventato nemico degli dèi romani
e della sacra religione né gl'imperatori pii e santissimi
Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo
Cesare ti hanno potuto richiamare all'osservanza dei
loro riti. 2. Perciò, poiché sei stato convinto reo e ini­
ziatore di gravissimi crimini, tu sarai di esempio a
quelli che col tuo delitto hai unito con te. Col tuo san­
gue sarà sanzionata l’osservanza della legge ». 3. Dopo
aver detto questo, lesse il decreto dalla tavoletta: « Si
ordina di decapitare Tascio Cipriano ». Il vescovo Ci­
priano disse: « Siano rese grazie a Dio ».

5, 1. Udita questa sentenza, la folla dei fratelli di­


ceva: « Decapitate anche noi insieme con lui ». Perciò
sorse disordine fra i fratelli, e gran folla lo accompagnò.
2. Cosi Cipriano fu condotto nella campagna di Sesto;
li si tolse la sopravveste, si inginocchiò e si prostrò in
preghiera al Signore. 3. Poi si spogliò della dalmatica,
che affidò ai diaconi, e rimasto con la tunica di lino,
cominciò ad aspettare il carnefice. 4. Quando questi
venne, disse ai suoi che gli consegnassero 25 monete
d'oro. Intanto i fratelli gettavano davanti a lui panni e
fazzoletti35. 5. Quindi il beato Cipriano di sua mano si
bendò gli occhi; e poiché non poteva legarsi da sé le
fasce ai polsi, gliele legarono il prete Giuliano e il sud­
diacono dello stesso nome. 6. Cosi il beato Cipriano subì
il martirio, e il suo corpo, a causa della curiosità dei
pagani, fu sepolto li vicino. Poi di notte fu tolto via e,
con accompagnamento di ceri e fiaccole, fu portato nel
cimitero del procuratore Macrobio Candidiano, che è

costretto a condannare il cristiano, perché forzato dalla legge.


Ma si tenga presente che il proconsole era in cattiva salute:
può semplicemente derivare di qui il suo atteggiamento di fa­
tica e difficoltà.
35 Cf. quanto abbiamo rilevato sopra a n. 27.
Martirio di Cipriano 65

lungo la via di Mappalia presso le piscine, con preghiere


e gran folla di gente. 7. Dopo pochi giorni il proconsole
Galerio Massimo mori

6. Il beatissimo Cipriano subì il martirio il gio


diciottesimo prima delle calende di ottobre (14 settem­
bre), sotto gl'imperatori Valeriano e Gallieno, ma re­
gnando il Signore nostro Gesù Cristo, cui è onore e
gloria nei secoli dei secoli. Amen.

36 Con questa notazione finale il redattore degli A tti vuole


forse implicitamente rilevare che il proconsole fu punito da
Dio per aver condannato il martire. Lo sviluppo di tale atteg­
giamento porterà alla concezione, divulgata nel De m ortibus
persecutorum di Lattanzio e altrove, che i persecutori dei cri­
stiani avevano meritato una misera fine. Nel nostro contesto
si ricordi ancora lo stato di cattiva salute del proconsole.
Paolino
Vita di Ambrogio
Prefazione

1. Mi spingi, venerabile padre Agostino, a scri


anch’io la vita del beato Ambrogio, vescovo della chiesa
milanese, cosi come i beati Atanasio vescovo e Girolamo
prete scrissero le vite dei santi eremiti Paolo e Antonio,
e come anche il servo di Dio Severo in splendida forma
ha raccontato la vita di Martino, venerabile vescovo della
chiesa di Tours. Io so bene di non reggere il confronto
con uomini cosi grandi, mura della chiesa e fonti d'elo­
quenza, né per meriti e neppure per capacità di stile:
e d'altra parte ritengo inconcepibile rifiutare ciò che tu
mi dici di fare. Perciò tutto ciò che ho appreso da per­
sone degne di massima fede, che furono a fianco di quel­
l’uomo, soprattutto dalla sua venerabile sorella Marcel-
lina, e ciò che io stesso ho visto stando al suo fianco,
e ho saputo da persone che dicono di averlo visto dopo
la sua morte in diverse province, e ciò che gli è stato
scritto quando non si sapeva ancora ch'era morto: tutto
questo metterò per iscritto, sorretto dalle tue preghiere
e dai meriti di tanto grande uomo, pur se in forma non
elegante e in modo rapido e sommario. Cosi, anche se
lo stile offenderà il buon gusto del lettore, la brevità
70 Paolino

l'inviterà a leggere. E del resto non voglio occultare la


verità dietro i lenocini della forma, per evitare che il
lettore, cercando una pomposa eleganza, trascuri la cono­
scenza di tante virtù: infatti questi conviene che osservi
non tanto gli orpelli delle parole e l'ornamento del di­
scorso quanto la sostanza delle cose e la grazia dello
Spirito santo. D'altra parte sappiamo che i viandanti
quando sono assetati gradiscono l'acqua che stilla da
una piccola vena più di quella che scaturisce in grande
abbondanza da una fonte, perché non possono trovare
tale abbondanza quando sono assetati; e il pane d'orzo
riesce dolce a chi è solito ruttare a causa delle cento
portate del suo pranzo d'ogni giorno; e chi ammira le
bellezze del giardino sa gradire anche le erbe del campo.

2. Perciò rivolgo questa preghiera a voi tutti, n


cui mani passerà questo libro: vogliate credere che è
vero ciò che ho scritto, e nessuno pensi che io abbia
introdotto qualche notizia spinto più dall'affetto che dal­
l'esigenza di fedeltà. Infatti sarebbe meglio non dire af­
fatto che proporre alcunché di falso, perché sappiamo
che dovremo render conto di tutte le nostre parole.
E non ho dubbi che, anche se non tutti sanno tutte le
cose, diverse persone sanno cose diverse, si che alcuni
sanno fatti che io non ho potuto né vedere né apprendere.
Inizierò il mio racconto dal giorno della nascita,
perché si conosca di quale grazia fu dotato quest’uomo
fin dalla culla.

Infanzia e giovinezza

3. Ambrogio nacque quando suo padre Ambro


era a capo della prefettura delle Gallie. Un giorno men­
tre il bambino, posta la culla nel cortile del pretorio,
dormiva a bocca aperta, improvvisamente sopravvenne
uno sciame di api e riempi tutta la sua faccia, a tal
Vita di Ambrogio 71

punto che le api entravano e uscivano dalla bocca. Il


padre, che stava passeggiando li vicino insieme con la
madre e la figlia, impedì alla schiava, addetta alla cura
del bambino, di cacciar via le api timorosa che quelle
gli facessero male, e pur nel suo affetto di padre, volle
aspettare di vedere come si concludesse quell'evento mi­
racoloso. E dopo un po’ quelle volando si sollevarono a
tanta altezza da sottrarsi allo sguardo dell’uomo. Atter­
rito da quell’evento, il padre disse: « Se questo bim-
betto vivrà, diventerà qualcosa di grande ». Infatti già
allora operava il Signore nell’infanzia del suo servo,
perché si realizzasse ciò ch’è scritto: Favi di miele sono
le buone parole (Prov. 16, 24). Quello sciame di api ci
avrebbe generato i favi dei suoi scritti, che avrebbero
annunziato doni celesti e avrebbero innalzato le menti
degli uomini dalle realtà terrene al cielo.

4. In seguito, essendo cresciuto, visse a Roma in­


sieme con la madre vedova e la sorella, che già aveva
fatto professione di verginità e aveva come compagna
un’altra vergine, la cui sorella Candida, vergine anche
essa, ora ormai vecchia vive a Cartagine. Ambrogio, ve­
dendo che la domestica della sorella e della madre era so­
lita baciare la mano ai sacerdoti, per gioco anch’egli le
presentava la destra, dicendo ch’essa doveva fare lo stes­
so anche con lui, che affermava sarebbe diventato vesco­
vo. In lui infatti parlava lo spirito del Signore, che l'edu­
cava al sacerdozio. Ma quella rifiutava considerandolo
un ragazzo che non sapeva quel che diceva.

5. Dopo che fu istruito nelle discipline liberali, lasciò


Roma e professò l’avvocatura nell’aula della prefettura
del pretorio. Perorava le cause in maniera cosi eccel­
lente che l'illustre Probo, allora prefetto del pretorio, lo
scelse come consigliere. In seguito consegui le insegne
consolari per governare le province Liguria ed Emilia,
e venne a Milano.
72 Paolino

Ambrogio vescovo

6. In quel tempo era morto Aussenzio, vescovo della


setta eretica degli ariani \ che aveva oppresso quella
chiesa dopo che era stato mandato in esilio Dionigi,
confessore di beata memoria. Poiché il popolo suscitava
tumulti nel richiedere il nuovo vescovo, Ambrogio che
si dava cura di sedare il tumulto per impedire che il
popolo provocasse una situazione pericolosa per la città,
andò in chiesa. Mentre li parlava al popolo, si dice che
aH’improwiso la voce di un bambino acclamò, in mezzo
al popolo, Ambrogio vescovo. Tutto il popolo si volse
verso questa voce e acclamò vescovo Ambrogio: cosi
coloro che prima discordavano fra loro nel più grande
disordine, perché sia gli ariani sia i cattolici desidera­
vano che fosse ordinato un vescovo della loro parte,
cercando di superarsi a vicenda, improvvisamente si tro­
varono d'accordo su questo solo nome con meravigliosa
e incredibile concordia.

7. Vista questa situazione, Ambrogio usci dalla


chiesa e si fece preparare il tribunale: egli che fra breve
sarebbe diventato vescovo, saliva a più alta dignità; e
allora, contro la sua consuetudine, fece mettere alcune
persone alla to rtu ra 2. Ma mentre ciò avveniva, nondi­
meno il popolo gridava: « Il tuo peccato ricada sopra

1 II prete alessandrino Ario era stato condannato dal con­


cilio di Nicea del 325 perché professava una dottrina che in­
firmava la reale divinità di Cristo, ridotto al rango di creatura
o poco più. Nonostante la condanna, l’eresia, variamente favo­
rita dal potere politico, aveva avuto vasta diffusione e solo
intorno al 380 il suo declino era diventato definitivo. L’ariano
Aussenzio, eletto vescovo di Milano nel 355 coll’appòggio di Co­
stanzo II, mori nel 374.
2 Tenendo tale condotta Ambrogio voleva dar a vedere di
essere indegno del conferimento dell’episcopato. Cosi dicasi per
il comportamento descritto nel resto del capitolo.
Vita di Ambrogio 73

di noi ». Ma quel popolo allora gridò non come il po­


polo dei Giudei: quelli infatti con le loro parole fecero
spargere il sangue del Signore, dicendo: Il sangue di
costui ricada sopra di noi (Mt. 27, 25); invece costoro,
sapendolo catecumeno, con voce di fede gli promette­
vano la remissione di tutti i peccati mercé la grazia del
battesimo. Allora Ambrogio, tornato a casa turbato, volle
far professione di filosofia, egli che sarebbe stato filosofo
ma vero filosofo di Cristo e, disprezzate le glorie del
mondo, avrebbe seguito le orme dei Pescatori, i quali
avevano raccolto popoli per Cristo non con l'alletta­
mento delle parole, ma con discorso semplice e dottrina
di vera fede; mandati senza bisaccia e senza bastone,
avevano convertito anche gli stessi filosofi (Mt. 10, 10).
Ambrogio, distolto dal dedicarsi a tale attività, aperta­
mente fece entrare a casa sua alcune prostitute, ma solo
al fine che il popolo, a questa vista, abbandonasse il suo
proposito. Ma il popolo vieppiù gridava: « Il tuo peccato
ricada sopra di noi ».

8. Allora quello, vedendo che non riusciva a re


zare il suo proposito, preparò la fuga: uscito di notte
dalla città, mentre credeva di dirigersi al Ticino, a mat­
tina fu trovato presso la porta di Milano, detta Romana:
infatti Dio, che preparava per la sua chiesa cattolica un
muro contro i suoi nemici e innalzava la torre di Davide
contro Damasco (2 Sam. 8, 5 ss.; Cant. 4, 4; 7, 4), cioè
contro la perfidia degli eretici, impedì la sua fuga. Tro­
vato e vigilato dal popolo, fu mandata una richiesta al
clementissimo imperatore, che allora era Valentiniano I,
il quale con gran gioia accettò che un giudice da lui
inviato fosse richiesto per l’episcopato. Si rallegrava an­
che il prefetto Probo, perché le sue parole si erano rea­
lizzate in Ambrogio: infatti mentre dava disposizioni a
quello che partiva, com’è usanza, gli aveva detto: « Va’
e agisci non come un giudice ma come un vescovo ».
74 Paolino

9. Mentre era in corso la richiesta, Ambrogio cercò


di fuggire una seconda volta e per qualche tempo restò
nascosto in una proprietà di Leonzio, un uomo di alta
condizione. Ma quando giunse la risposta alla richiesta,
egli fu consegnato proprio da Leonzio: infatti il vicario
aveva ricevuto ordine di portare a termine quell’affare e
cosi, per eseguire l'ordine, con un editto aveva avvisato
tutti che, se volevano provvedere a sé e alle proprie
cose, dovevano consegnare Ambrogio. Consegnato e por­
tato a Milano, poiché comprendeva di non poter più
a lungo resistere alla volontà di Dio a suo riguardo,
chiese di non essere battezzato se non da un vescovo
cattolico: si guardava infatti con cura dalla perfidia de­
gli ariani. Una volta battezzato, dicono che adempì a
tutti i doveri ecclesiastici, e otto giorni dopo fu ordinato
vescovo, con sommo consenso e gioia di tu tti3. Alcuni
anni dopo la sua ordinazione, andò a Roma, sua patria,
e lì trovò quella santa giovane di cui sopra abbiamo
parlato, alla quale era solito presentare la mano, che
stava a casa sua con sua sorella, come l'aveva lasciata,
mentre sua madre era morta. E mentre quella gli ba­
ciava la destra, egli sorridendo le disse: « Ecco, come
ti dicevo, tu baci la mano di un vescovo ».

10. In quella circostanza, mentre invitato presso


una matrona di alta condizione al di là del Tevere offriva
in casa il santo sacrificio, una donna addetta al bagno,
che giaceva a letto paralitica, seppe che c’era lì un sa­
cerdote del Signore; allora si fece portare in lettiga nella
casa ove quello era stato invitato e, mentre il vescovo
pregava e le imponeva le mani, ne toccò le vesti. Mentre

3 Ricevuto il battesimo, Ambrogio nel giro di pochi giorni


ricevette successivamente tutti gli altri ordini ecclesiastici, fino
all’ordinazione episcopale. Tale procedura era stata espressa­
m ente proibita da vari concili: ma nel caso di Ambrogio pre­
valse il motivo di forza maggiore.
Vita di Ambrogio 75

le baciava, improvvisamente riacquistò la salute e comin­


ciò a camminare. Si realizzarono cosi le parole del Si­
gnore agli apostoli: Se crederete nel mio nome, farete
prodigi anche più grandi di questi (Gv. 14, 12). Questa
miracolosa guarigione fu tanto meravigliosa che non ri­
mase nascosta: infatti io l’appresi proprio nello stesso
luogo molti anni dopo, quando mi trovai a Roma, per­
ché me la riferirono alcuni santi uomini.

Ambrogio e gli ariani

11. Allorché si recò a Sirmio per ordinare vescovo


Anemio, Giustina allora imperatrice, valendosi della sua
potenza, e la moltitudine li radunata cercavano di cac­
ciarlo dalla chiesa perché vi fosse ordinato non da lui
ma dagli eretici un vescovo ariano. Mentre stava seduto
nell’abside non preoccupandosi del tumulto provocato
dalle donne, una delle vergini ariane, più sfacciata delle
altre, sali sull’abside e, afferrata la veste del vescovo,
10 voleva trascinare dove stavano le donne perché fosse
da queste battuto e cacciato dalla chiesa. Allora — come
egli poi era solito raccontare — disse alla donna: « An­
che se io sono indegno di un sacerdozio tanto elevato,
tuttavia non è conveniente che tu, che hai fatto tale
professione, metta le mani addosso a un qualunque sa­
cerdote: perciò devi temere il giudizio di Dio, che non
ti succeda qualcosa ». L’esito confermò le parole: infatti
11 giorno dopo la donna mori e Ambrogio l’accompagnò
al sepolcro, ricambiandole bene in luogo dell’offesa. Que­
sto fatto provocò non poca paura negli avversari e pro­
curò grande tranquillità alla chiesa cattolica nell’ordi­
nazione del vescovo.

12. Ordinato il vescovo cattolico, Ambrogio tornò a


Milano e li fu oggetto di innumerevoli insidie di Giu­
stina, che cercava di eccitare il popolo contro il santo
76 Paolino

uomo offrendo doni e cariche. E gli animi dei deboli


venivano allettati da tali promesse: prometteva infatti
tribunati e diverse altre cariche a quelli che fossero
riusciti a rapirlo dalla chiesa ed a portarlo in esilio.
Molti tentarono l'impresa ma per la protezione di Dio
non riuscirono a portarla a buon esito. Uno più scia­
gurato degli altri, di nome Eutimio, fu spinto a tale
grado di pazzia da procurarsi una casa vicina alla chiesa
e da collocare li una carrozza, si che potesse più facil­
mente rapirlo e, postolo sulla vettura, portarlo in esilio.
Ma la sua malvagità ricadde sulla sua testa (Sai. 7, 17):
infatti l’anno dopo, proprio nel giorno in cui aveva pen­
sato di rapire Ambrogio, posto sulla stessa vettura, da
quella stessa casa fu inviato in esilio: riconobbe perciò
che per giusto giudizio di Dio la situazione si era inver­
tita, si che egli andava in esilio su quella vettura che
aveva preparato per il vescovo. E il vescovo offri a que­
st'uomo non poco conforto, dando una somma di danaro
e altre cose che erano necessarie.

13. Ma tale confessione dell’uomo non repress


furore della donna né la pazzia degli sciagurati ariani.
Anzi, spinti da demenza ancor più grande, cercavano di
occupare la basilica Porziana: anche una milizia armata
fu mandata a custodire le porte della chiesa, perché nes­
suno osasse entrare nella chiesa cattolica4. Ma il Signo­
re, ch'è solito far trionfare la chiesa sui suoi avversari,
converti i cuori dei soldati per farne protezione alla sua
chiesa: cosi essi, voltati gli scudi, custodivano le porte
della chiesa e non permettevano di uscire, ma non im­
pedivano affatto alla comunità cattolica di entrare in
chiesa. Né si limitarono a questo i soldati ch’erano stati

4 La basilica era stata richiesta dagli ariani per il proprio


culto. I fatti qui narrati, che si svolsero nei primi mesi del 386,
sono esposti in maniera più diffusa nell’ep. 20 di Ambrogio
alla sorella Marcellina e nel Serm o centra Auxentium.
Vita di Ambrogio 77

inviati, ma addirittura insieme col popolo acclamarono


la fede cattolica. In questa occasione per la prima volta
si cominciarono a cantare nella chiesa milanese antifone
ed inni ed a celebrare le vigilie: uso che, praticato devo­
tamente, sussiste tuttora non solo in questa chiesa, m a
in quasi tutte le province d’Occidente.

14. Proprio in questo tempo si rivelarono al vesco­


vo i santi m artiri Protasio e Gervasio. Infatti essi erano
stati sepolti nella basilica nella quale ora sono conser­
vati i corpi dei martiri Nabore e Felice: ma i santi mar­
tiri Nabore e Felice erano visitati e venerati con grande
frequenza di gente; invece dei martiri Protasio e Ger­
vasio erano sconosciuti sia i nomi sia la sepoltura, a
punto tale che passavano sopra i loro sepolcri tutti quelli
che volevano arrivare fino ai cancelli che proteggevano
i sepolcri di Nabore e Felice da ogni profanazione. Ma
quando i corpi dei santi martiri furono tirati fuori e
posti su lettighe, si racconta che furono guarite le ma­
lattie di molti. Anche un cieco di nome Severo, che tut­
tora presta piamente servizio nella basilica detta Ambro­
siana nella quale furono trasportati i corpi dei martiri,
appena toccò la loro veste subito riacquistò la vista.
Anche alcuni oppressi da spiriti malvagi furono guariti
e tornarono alle loro case con gran rendimento di gra­
zie. E a causa di tali benifici arrecati dai martiri, di
quanto aumentava la fede della chiesa cattolica, di tanto
diminuiva la setta eretica degli ariani.
15. Infatti a partire da questo tempo cominciò a
diminuire la persecuzione provocata dal furore di Giu­
stina, con lo scopo di cacciare il vescovo dalla chiesa.
Tuttavia nel palazzo reale numerosi ariani, che stavano
presso Giustina, deridevano tanta grazia di Dio, che il
signore Gesù si era degnato donare alla chiesa cattolica
per i meriti dei suoi martiri: essi dicevano che il vene­
rabile Ambrogio grazie al danaro si era procurato uomi­
78 Paolino

ni i quali falsamente affermavano di essere tormentati


da spiriti maligni e cosi dicevamo d'essere tormentati sia
dai m artiri sia da quello. Tanto affermavano gli ariani
con parole degne dei Giudei, in quanto erano loro pari:
quelli infatti dicevano che il Signore cacciava i demoni
in nome di Beelzebub, principe dei demoni (Le. 11, 15);
questi riguardo ai m artiri e al sacerdote di Dio anda­
vano dicendo che gli spiriti maligni non venivano cac­
ciati dalla grazia di Dio, che operava per loro mezzo,
ma quegli uomini affermavano falsamente di essere tor­
mentati perché avevano ricevuto danaro. Infatti i de­
moni gridavano: « Sappiamo che siete martiri »; e in­
vece gli ariani dicevano: « Non sappiamo che siete m ar­
tiri ». Leggiamo ciò anche nel Vangelo, ove i demoni
dicono al Signore Gesù: Sappiamo che sei il Figlio di
Dio (Le. 4, 34; Me. 1, 24); invece i Giudei dicono: Costui
non sappiamo donde venga (Gv. 9, 29). Qui noi non
accogliamo una testimonianza dei demoni ma una con­
fessione: si che son più miserabili di loro gli ariani e
i Giudei, in quanto negano ciò che confessano i demoni.

16. Ma Dio, eh e solito far abbondare sempre


di grazia la sua chiesa, non sopportò che i suoi santi
fossero più a lungo ingiuriati dagli eretici. Cosi uno di
questo gruppo di ariani, assalito improvvisamente da
uno spirito maligno, cominciò a gridare che, come egli
veniva tormentato, cosi sarebbero stati torm entati co­
loro che non avessero riconosciuto i m artiri o non cre­
dessero nell'unità della Trinità, che Ambrogio insegnava.
Ma confusi da queste parole, essi che avrebbero dovuto
convertirsi e far penitenza degna di tale confessione,
immersero quell'uomo nella piscina5 e cosi l'uccisero:
a tale degno risultato li condusse lo stato di necessità
nel quale si trovavano. Invece il beato Ambrogio, per­

5 Per cercare di liberarlo dal suo male.


Vita di Ambrogio 79

fezionandosi nell'umiltà, conservava la grazia che Dio


gli aveva donato e cresceva di giorno in giorno in fede
e amore davanti a Dio e davanti agli uomini (Le. 2,51).

17. In quello stesso tempo c’era un ariano, fin trop­


po abile nel discutere e tenace si da non poter essere
convertito alla fede cattolica. Un giorno che stava in
chiesa mentre il vescovo predicava vide (come dopo
riferì egli stesso) un angelo che parlava all'orecchio del
vescovo, mentre questo predicava, sì che sembrava che
il vescovo ripetesse al popolo le parole dell’angelo. Con­
vertito da questa visione, quell’uomo cominciò a difen­
dere egli stesso la fede che prima combatteva.

18. Circa in quel tempo, due ciambellani dell’impe­


ratore Graziano, che erano ariani, proposero una que­
stione al vescovo che predicava, e promisero che si sa­
rebbero presentati il giorno dopo alla basilica Porziana
per ascoltare la risposta: la questione riguardava l'in­
carnazione del Signore. Ma il giorno successivo, quei
miserabili, gonfi di superbia, non vollero tener fede alla
promessa, disprezzando Dio nel suo vescovo, e non ten­
nero conto dell’offesa che facevano al popolo che atten­
deva, dimentichi perfino delle parole del Signore: Chi
avrà scandalizzato uno di questi piccoli, bisogna che gli
si leghi al collo una macina da mulino e sia gettato nel
profondo del mare (Mt. 18, 6). Saliti su un cocchio,
uscirono dalla città come per fare una passeggiata, men­
tre il vescovo e il popolo aspettavano in chiesa. Inorri­
disco a riferire quale fu la fine di quest’atto di protervia:
infatti sbalzati d’improvviso dal cocchio, morirono e i
loro corpi furono seppelliti. Dal canto suo, il beato Am­
brogio, ignaro di ciò ch’era successo e non potendo più
a lungo trattenere il popolo, salì sulla cattedra e iniziò
a trattare della questione che era stata proposta, con
queste parole: « Desidero, fratelli, pagare il mio debito,
ma non vedo i miei creditori di ieri », ecc., secondo
80 Paolino

quanto è scritto nel libro che si intitola Sull’incarna­


zione del Signore.

Ambasciata presso Massimo

19. Quando fu ucciso l’imperatore Graziano,


brogio intraprese la seconda ambasceria presso Massi­
m o 6 per recuperare il corpo di quello. Chi vorrà cono­
scere con quanto coraggio egli abbia trattato presso
Massimo, ne avrà prova leggendo la lettera che Ambro­
gio scrisse a Valentiniano II in merito aH'ambasceria7.
Mi è sembrato fuori di luogo inserirla qui, per evitare
che la sua lunghezza annoi il lettore. Poi Ambrogio
allontanò Massimo dalla comunione dei fedeli, esortan­
dolo a far penitenza per avere ucciso il suo signore,
che — cosa più grave — era innocente, se voleva prov­
vedere alla sua salvezza presso Dio. Ma quello, di animo
superbo, rifiutò la penitenza, e cosi perse la salvezza:
non solo quella futura ma anche quella presente, e quasi
vinto da timore femmineo depose il regno che mala­
mente aveva usurpato, in quanto dichiarò di essere stato
procuratore dello stato, non im peratore8.

6 Massimo era stato eletto imperatore dalle truppe di Bri-


tannia e Gallia. Ambrogio fu incaricato di due ambascerie da
parte di Teodosio, che cercava di prender tempo per provve­
dere alla difesa dell'Italia. La seconda ambasceria si svolse
neU’estate-autunno del 386.
7 Si tratta dell’ep. 24.
8 Questo atteggiamento di Massimo era ispirato dal desi­
derio di trovare un punto d’intesa con Teodosio, al fine di evi­
tare la soluzione violenta del contrasto. Ma Teodosio preferì
proprio questo tipo di soluzione, e Massimo fu sconfitto e uc­
ciso ad Aquileia nell’estate del 388.
Vita di Ambrogio 81

Altri prodigi

20. Dopo la morte di Giustina, un aruspice, Inno­


cenzo di nome ma non di fatto, mentre veniva sotto­
posto alla tortura dal giudice in una causa di maleficio,
cominciò a confessare altro da ciò che gli veniva richie­
sto: gridava infatti che tormenti più grandi gli erano
inflitti dall’angelo che custodiva Ambrogio, poiché al
tempo di Giustina egli era salito sul tetto della chiesa
a mezzo della notte e li aveva sacrificato per eccitare
l'odio del popolo contro il vescovo. Ma quanto maggiori
erano l’insistenza e la sollecitudine con cui compiva
quelle opere maligne, tanto più cresceva l'attaccamento
del popolo per la fede cattolica e il sacerdote del Signore.
Confessava di aver mandato anche dei demoni ad ucci­
derlo: ma quelli avevano riferito che non si erano potuti
avvicinare non soltanto a lui, ma neppure alle porte
della casa dove abitava il vescovo: infatti un fuoco insu­
perabile difendeva tutto quell’edificio, si che essi bru­
ciavano anche stando lontano. Perciò i demoni avevano
desistito dagli artifici che ritenevano poter avere qualche
effetto ai danni del sacerdote del Signore. Un altro uomo
armato di spada giunse fino alla camera da letto per
uccidere il vescovo. Ma quando aveva alzato la mano
con la spada sguainata, era rimasto con la destra irri­
gidita. Quando poi aveva confessato di essere stato in­
viato da Giustina, il braccio che aveva disteso con mal­
vagia intenzione fu guarito dalla confessione.

21. Circa in quel tempo l’illustre Probo aveva inviato


al vescovo un suo servo, un segretario, che era crudel­
mente tormentato da uno spirito maligno. Allorché que­
sti usci da Roma, il diavolo lo abbandonò, temendo di es­
sere condotto dal sant’uomo. Cosi fin tanto che il servo
restò a Milano presso il vescovo, non apparve alcuna ma­
nifestazione di dominio del diavolo su di lui. Ma quando
andò via da Milano e arrivò vicino a Roma, lo stesso
82 Paolino

spirito maligno, che prima lo aveva posseduto, di nuovo


cominciò a tormentarlo. Interrogato dagli esorcisti per­
ché non si fosse manifestato in quel servo per tutto il
tempo che quello era stato a Milano, il diavolo confessò
di aver avuto paura di Ambrogio: perciò momentanea­
mente si era allontanato ed era rimasto in attesa nel
posto in cui aveva abbandonato il servo, finché quello
fosse tornato, e in quel momento aveva ripreso possesso
dell'involucro che aveva prima abbandonato.

Ambrogio e Teodosio

22. Dopo la morte di Massimo, mentre l'impera


Teodosio stava a Milano e invece il vescovo Ambrogio
ad Aquileia, in un borgo d’Oriente9 i cristiani dettero
fuoco alla sinagoga dei Giudei e ad un luogo sacro dei
Valentiniani, perché Giudei e Valentiniani deridevano i
monaci cristiani: infatti l'eresia dei Valentiniani venera
30 dèi. In merito a questo fatto il conte d'O riente10
inviò una relazione all'imperatore: questi, ricevutala,
dette disposizione che il vescovo del luogo ricostruisse
la sinagoga e che venissero puniti i monaci. Ma quando
tali disposizioni vennero a conoscenza del venerabile
Ambrogio, poiché egli allora non poteva accorrere di
persona, indirizzò all'imperatore una lettera, con la quale
gli chiedeva di revocare ciò che aveva stabilito e di riser­
vargli un'udienza: che se egli non era degno d ’essere
ascoltato dall'imperatore, tanto meno era degno d'essere
ascoltato dal Signore mentre intercedeva per l'impera­
tore e ne raccomandava le preghiere e i voti. Per tale
affare egli era pronto ad affrontare anche la morte, pur

9 Si chiamava Callinico.
10 Per comodità, qui e altrove rendiamo com es con conte:
si trattava di un alto funzionario deH’amministrazione impe­
riale.
Vita di Ambrogio 83

di non indurre in peccato l’imperatore col suo silenzio,


dato che quello aveva dato disposizioni cosi ingiuste
contro la chiesa.

23. Dopo che fu tornato a Milano, un giorno che


l’imperatore stava in chiesa, Ambrogio predicò su que­
sto argomento. Nella predica introdusse a parlare la
persona del Signore che diceva airimperatore: « Io ti
ho innalzato dall'ultimo posto fino a farti imperatore,
io ho messo nelle tue mani l’esercito del tuo nemico,
io ti ho consegnato i rifornimenti che quello aveva pre­
parato contro di te per il suo esercito, io ho ridotto in
tuo potere il tuo nemico, io ho posto la tua stirpe sul
trono regale, io ti ho fatto trionfare senza fatica: e tu
fai trionfare su di me i miei nemici? ». Mentre discen­
deva dalla cattedra, l'imperatore gli disse: « O vescovo,
oggi hai predicato contro di noi ». Ma quello rispose di
aver parlato non contro l’imperatore bensì in suo favo­
re. Allora l'imperatore: « Per vero — disse — ho dato
dure disposizioni contro il vescovo riguardo alla rico­
struzione della sinagoga; ma i monaci debbono essere
puniti ». E cosi dicevano anche gli alti funzionari che
allora erano presenti. A costoro il vescovo disse: « Io
ora ho a che fare con l’imperatore e nulla debbo trat­
tare con voi ». Cosi ottenne che fossero revocate le pre­
cedenti disposizioni. Né volle accostarsi all’altare se non
dopo che l’imperatore ebbe attestato che il vescovo do­
veva offrire il sacrificio sulla sua fede. A lui il vescovo:
« Allora offro sulla tua fede ». Rispose l’imperatore:
« Offri sulla mia fede ». Ripetuta la promessa, ormai
sicuro il vescovo compì i misteri divini. Tutto ciò sta
scritto nella lettera che Ambrogio scrisse a sua sorella,
e in essa inserì la predica che tenne in quel giorno sul
bastone di noce, che il profeta Geremia racconta d’aver
visto (Ger. 1, 11) u.

11 C f. ep. 41.
84 Paolino

24. In quel tempo, a causa della città di Tessalo-


nica il vescovo si trovò in gravi angustie, quando seppe
che la città era stata quasi distrutta. Infatti l’imperatore
gli aveva promesso che avrebbe perdonato i cittadini di
quella c ittà 12: ma a seguito di un abboccamento segreto
di alti funzionari con l'imperatore, all’insaputa del ve­
scovo, la città fu abbandonata alla strage per tre ore
e molti innocenti furono uccisi. Quando il vescovo lo
seppe, interdi all'imperatore l’ingresso in chiesa, e non
lo giudicò degno di partecipare all'assemblea della chie­
sa e alla comunione delle cose sante prima di aver fatto
pubblica penitenza. L'imperatore gli obiettava che Davi­
de aveva commesso insieme adulterio ed omicidio. Ma
subito gli fu risposto: « Tu che lo hai seguito nel pec­
cato, seguilo nella correzione ». Ad udir ciò il clemen­
tissimo imperatore venne in tal disposizione d'animo da
non rifiutare la penitenza pubblica: e il beneficio di que­
sta correzione gli valse la seconda vittoria13.

25. Sempre in quel tempo due persiani molto po­


tenti e nobili, conosciuta la fama del vescovo, vennero
a Milano recando seco molte questioni con le quali met­
tere alla prova la sapienza di Ambrogio. Con lui discus­
sero, per tramite di un interprete, dall'ora prima del
giorno fino all’ora terza della notte, e pieni di ammira­
zione presero congedo da lui. E per render ben chiaro
che essi non erano venuti per altro motivo se non per
conoscere più da vicino l’uomo di cui avevano appreso
la fama, il giorno successivo salutarono l’imperatore e
partirono per Roma: volevano li conoscere la potenza

12 Essi si erano resi colpevoli dell’uccisione di alcuni fun­


zionari imperiali a causa di una sommossa.
13 La prima era stata quella riportata contro Massimo
(cf. sopra n. 8); la seconda fu quella riportata contro l'usur-
patore Eugenio, di cui Paolino parla variamente infra.
Vita di Ambrogio 85

dell’illustre Probo; e conosciutala, tornarono alla pro­


pria terra.

L’ara della Vittoria

26. Quando Teodosio si allontanò dall'Italia e si


stabili a Costantinopoli, mentre Valentiniano Augusto
stava in Gallia, Simmaco, ch’era allora prefetto dell'Urbe,
gl’inviò a nome del senato un'ambasceria per richiedere
l'ara della Vittoria e le spese per le cerimonie14. Quan­
do il vescovo lo venne a sapere, richiese per lettera
all'imperatore che gli fosse inviata copia della richiesta,
perché egli potesse rispondere per quanto era in lui.
Ricevuta copia della richiesta, scrisse quello splendido
documento, contro il quale Simmaco, che pure era uomo
molto eloquente, non osò mai rispondere. Ma dopo che
Valentiniano di augusta memoria mori nella città di
Vienne (che è in Gallia), diventò imperatore Eugenio15.
Dopo non molto che questi cominciò a comandare, Fla-
viano, che allora era prefetto, e il conte Arbogaste richie­
sero l'ara della Vittoria e le spese per le cerimonie: e
ciò che Valentiniano di augusta memoria, pur ancor
giovane, aveva rifiutato a chi glielo aveva chiesto, Euge­
nio invece concesse, dimentico della sua fede14.
27. Appresa questa notizia, il vescovo lasciò Milano,
dove Eugenio si dirigeva d'urgenza, e si spostò a Bologna

14 Nel 382 Graziano, nel contesto di alcuni provvedimenti


contro i culti pagani, aveva fatto togliere l’ara dalla Curia.
15 Era un funzionario dell’amministrazione imperiale, che
Arbogaste fece nominare imperatore dopo la morte di Valenti­
niano II. Eugenio era cristiano, ma si appoggiò soprattutto ad
elementi pagani, che tentarono un’ultima reazione contro il
cristiano Teodosio.
16 II gesto di Eugenio si spiega alla luce delle considera­
zioni fatte sopra nella n. 15.
86 Paolino

e di qui giunse fino a Faenza. Trascorsi qui alcuni giorni,


per invito dei Fiorentini discese fino in Toscana, evi­
tando la vista dell'uomo sacrilego più che temendo l’of­
fesa di chi aveva il comando. Infatti gl'inviò una lettera,
nella quale lo poneva di fronte alla sua coscienza17: fra
i molti passi ho ritenuto opportuno riportare questi:
« Anche se è grande la potenza imperiale, tuttavia con­
sidera, imperatore, quanto grande è Dio. Scruta i cuori
di tutti, interroga il più profondo della coscienza, cono­
sce tutte le cose prima che avvengano, conosce l'intimo
del tuo animo. Voi non sopportate d'essere tratti in in­
ganno, e volete tenere Dio all’oscuro? Nulla t'è venuto
in mente a questo proposito? Se quelli hanno agito con
tanta insistenza, non sarebbe stato tuo dovere, o impe­
ratore, per la venerazione che si deve al Dio sommo ve­
ro e vivo, resistere a quelli che insistevano, e negare
ciò che recava offesa alla legge divina? ». E ancora:
« Perciò, poiché sono tenuto a rispondere delle mie pa­
role presso Dio e presso gli uomini, ho compreso che
non posso e non debbo fare altro che provvedere a
me stesso, poiché non ho potuto provvedere a te ».

28. A Firenze, mentre egli abitava nella casa di


cenzio, una volta uomo ragguardevole e — ciò che vai
di più — cristiano, il figlio di questi, di nome Pansofio,
che era molto piccolo, era tormentato da uno spirito
maligno e fu guarito dalla frequente preghiera e dalla
imposizione delle mani del vescovo. Ma alcuni giorni
dopo, colpito da improvvisa malattia, il bambino mori.
Sua madre, che era molto pia e piena di fede e di timor
di Dio, lo fece portar giù dalla parte superiore della casa
in quella inferiore e lo adagiò nel letto del vescovo, men­
tre quello era assente. Ambrogio, che in quel tempo era
stato fuori di casa, tornò e trovò il bambino morto nel

È ì’ep. 57.
Vita di Ambrogio 87

letto: allora, commiscrando la madre e osservando la


sua fede, simile ad Eliseo (2 Re, 4, 34) si dispose sopra
il corpo del bambino e con la preghiera ottenne di ren­
dere vivo alla madre quello che aveva trovato morto.
A questo bambino dedicò anche un lib ro !e, perché leg­
gendo venisse a conoscere ciò che per la giovanissima
età non aveva potuto sapere. Tuttavia nei suoi scritti
non ha fatto menzione di questo fatto: quale che sia
il sentimento che l’abbia spinto a questa omissione, non
spetta a noi giudicare.

29. In questa città costruì anche una basilica, ove


depose le reliquie dei m artiri Vitale e Agricola, i cui
coipi aveva esumato a Bologna: infatti i corpi dei mar­
tiri erano stati collocati in mezzo alle salme dei Giudei,
e i cristiani non ne sarebbero venuti a conoscenza se
i santi martiri non si fossero rivelati al vescovo di quella
città. Quando i corpi furono deposti sotto l’altare che
sta nella basilica, ci fu gran gioia ed esultanza di tutta
la comunità dei fedeli, e gran pena per i demoni costretti
a confessare i meriti dei martiri.

30. In quel tempo il conte Arbogaste fece guerra


contro la sua nazione, cioè quella dei Franchi: in batta­
glia ne sbaragliò un gran numero e con i restanti fece
pace. Durante il banchetto, interrogato dai re della sua
gente se conoscesse Ambrogio, egli rispose di conoscerlo,
di essere amato da lui, e di esser solito pranzare spesso
con lui. E allora si sentì dire: « Tu vinci, o conte, per­
ché sei caro a quell'uomo che dice al sole: 'Fermati, e
il sole si ferma’ » (Gios. 10, 12 s.). Ho riferito questo
episodio perché i lettori apprendano quanto grande fama
ebbe quel santo uomo anche presso i barbari. Infatti io
l’ho appreso perché me lo ha riferito un giovane del

18 Questo scritto non ci è pervenuto.


88 Paolino

seguito di Arbogaste, molto religioso, che allora era pre­


sente: infatti nella circostanza in cui furon dette queste
cose egli era coppiere.

Intervento di Ambrogio presso Teodosio

31. Lasciata la Toscana, il vescovo tornò a Mil


donde era già uscito Eugenio per dirigersi contro Teo­
dosio; e li attendeva l’arrivo dell’imperatore cristiano,
sicuro che la potenza di Dio non avrebbe abbandonato
agli ingiusti un uomo che credeva in lui, e non avrebbe
permesso che lo scettro dei peccatori gravasse sulla sorte
dei giusti, affinché i giusti non stendessero le loro mani
a mal fare (Sai. 124, 3). Infatti, uscendo da Milano, il
conte Arbogaste e il prefetto Flaviano avevano promesso
che, tornati vincitori, avrebbero fatto una stalla nella
basilica della chiesa di Milano e avrebbero mandato i
chierici sotto le armi. Ma i miserabili, mentre empia­
mente prestavano fede ai loro demoni e aprivano la loro
bocca per bestemmiare Dio (Ap. 13, 6), si precludevano
ogni speranza di vittoria. Motivo di questa collera fu
il fatto che i doni dell'imperatore sacrilego venivano
respinti dalla chiesa né a quello veniva accordata comu­
nione di preghiera con la chiesa. Ma il Signore, che pro­
tegge la sua chiesa, dall'alto saettò il suo giudizio (Sai.
75, 9) e accordò completa vittoria al pio imperatore
Teodosio. Morti Eugenio e i suoi collaboratoriI9, quan­
do Ambrogio fu informato daH'imperatore, sua maggior
cura fu di intervenire presso coloro che risultavano col­
pevoli. Prima pregò l’imperatore con una lettera inviata
per mezzo di un diacono; poi mandò Giovanni, che allora
era tribuno e notaio ed ora è prefetto, a proteggere quelli
che si erano rifugiati in chiesa; egli stesso si diresse ad
Aquileia per intercedere in favore di costoro. Per essi

19 Furono sconfitti presso Aquileia il 6 settembre 394.


Vita di Ambrogio 89

facilmente ottenne il perdono, perché l’imperatore cri­


stiano gettatosi ai piedi del vescovo, affermava di essere
stato salvato dai suoi meriti e dalle sue preghiere.

32. Tornando da Aquileia, precedette a Milano di


un solo giorno l’imperatore. Né Teodosio, imperatore di
clementissima memoria, visse molto più a lungo, dopo
che i figli furono ricevuti nella chiesa e furono affidati
al vescovo. Questi sopravvisse alla morte dell'imperatore
per circa tre anni. In questo tempo fece esumare il corpo
del santo martire Nazario, che era stato seppellito in un
giardino fuori di città, e lo fece trasferire alla basilica
degli apostoli, che è vicino a porta Romana. Nel sepol­
cro in cui giaceva il corpo del martire — che a tu tt’oggi
non sappiamo quando subì il martirio —, io ho visto
il suo sangue cosi fresco, quasi che fosse stato sparso
in quello stesso giorno. E il suo capo, che gli empi ave­
vano reciso, era rimasto cosi intatto e incorrotto, con
i capelli e la barba, che ci sembrò essere stato lavato
e composto nel sepolcro proprio nel giorno in cui fu
esumato. E che c'è da meravigliarsi, dal momento che
il Signore ha già promesso nel Vangelo che neppure un
capello della loro testa andrà perduto (Le. 21, 18)? Fum­
mo anche pervasi da un profumo cosi forte da vincere
la dolcezza di tutti gli arom i.
33. Esumato e composto in una lettiga il corpo del
martire, subito ci dirigemmo dal santo martire Celso,
che era sepolto nello stesso giardino, per pregare insie­
me col santo vescovo. Sappiamo che mai egli aveva pre­
gato in quel luogo: ma il segno che il martire si era
rivelato era proprio questo, che il santo vescovo andasse
a pregare in un posto dove prima non era mai stato.
Venimmo anche a sapere dai custodi di quel luogo che
i genitori avevano loro raccomandato di non allonta­
narsi mai di li per ogni generazione e progenie, perché
in quel luogo erano stati deposti grandi tesori. E vera­
90 Paolino

mente grandi tesori sono quelli che né ruggine né tarlo


corrodono né i ladri scavano e rubano (Mt. 6, 19 s.),
perché Cristo ne è custode e la corte celeste è il luogo
di coloro per i quali Cristo fu vita e morire un guada­
gno (Fil. 1, 21). Trasferito il corpo del martire nella
basilica degli apostoli, dove prima eremo state deposte
con somma devozione di tutti le reliquie dei santi apo­
stoli, mentre il vescovo predicava, uno del popolo in­
vaso da uno spirito malvagio, cominciò a gridare di
essere tormentato da Ambrogio. Ma quello, rivolto a
lui, gli disse: « Sta' zitto, diavolo, perché ti tormenta
non Ambrogio ma la fede dei santi e la tua invidia:
infatti vedi questi uomini salire là donde tu sei disceso.
Ma Ambrogio non s’inorgoglisce ». A queste parole quel­
lo che gridava zitti e cadde a terra, né emise più voce
tale che potesse fare strepito.

34. Nello stesso tem po20, mentre Onorio celeb


il suo consolato a Milano offrendo giochi di belve libi­
che alla moltitudine che era li accorsa, il conte Stilicone,
per invito del prefetto Eusebio, inviò alcuni soldati a
portar via dalla chiesa un tal Cresconio. Questi si rifugiò
presso l’altare del Signore e il santo vescovo con i chie­
rici che allora si trovavano là lo circondarono per difen­
derlo 21. Ma il numero dei soldati, i cui capi erano eretici
ariani, prevalse sui pochi: cosi, portato via Cresconio,
tornarono esultanti all’anfiteatro, avendo arrecato non
piccolo lutto alla chiesa: infatti il vescovo, prostrato da­
vanti all’altare del Signore, lungamente pianse l’accadu­
to. Ma appena i soldati ritornarono e riferirono a coloro
da cui erano stati inviati, alcuni leopardi, ch’erano stati

20 Questa espressione (p er idem tem pus) è adoperata spes­


so da Paolino, ma con significazione molto generica.
21 Era già invalsa la consuetudine di non portar via con la
violenza dall’altare i ricercati che li si fossero rifugiati. Am­
brogio perciò tenta ora di far rispettare questa consuetudine.
Vita di Ambrogio 91

lasciati liberi, con rapido balzo salirono nel luogo ove


sedevano quelli che avevano trionfato sulla chiesa e li
lasciarono gravemente mutilati. A veder ciò il conte Sti-
licone fu mosso a pentimento e rese soddisfazione al ve­
scovo con una lunga penitenza. Rinviò senza fargli male
colui ch’era stato portato via dalla chiesa; poiché era reo
di crimini gravissimi e non si poteva fare altrimenti a
meno di punirlo, lo mandò in esilio, ma non molto tempo
dopo gli condonò la pena.

35. In questo stesso tempo, un giorno che andava al


palazzo imperiale ed io lo seguivo in ragione del mio uffi­
cio, un tale casualmente inciampò con un piede e stava
giù a terra, provocando l'ilarità di Teodoro, che allora
era notaio e che in seguito resse con grande merito la
chiesa di Modena. Allora il vescovo, rivolto a lui: « Ma
tu che stai in piedi, sta' attento a non cadere ». Appena
dette queste parole, quegli che aveva riso della caduta
dell'altro, dovette dolersi della sua.

36. Ancora in questo tempo, Fritigil, regina dei Mar-


comanni, apprese la fama di Ambrogio da un cristiano
che dall'Italia era arrivato fino a lei, e credette in Cristo,
di cui aveva riconosciuto in quello un servo. Insieme con
l'invio di doni alla chiesa per mezzo di legati essa chiese
ad Ambrogio di essere istruita con qualche libro sulla
materia della sua fede. Egli le rispose con una bella let­
tera scritta in forma di catechismo; in essa le raccoman­
dava anche a convincere suo marito ad affidarsi col suo
popolo ai Romani. Essa, essendo poi andata a Milano,
molto si dolse di non aver trovato il santo vescovo, dal
quale si era recata con tanta sollecitudine: infatti egli
aveva già lasciato questa vita.

37. Al tempo di Graziano — per tornare un po’ in­


dietro —, poiché si era recato alla residenza di Macedo­
nio, che allora era maestro degli uffici, per intercedere
92 Paolino

in favore di un tale, per ordine di quel funzionario trovò


le porte chiuse e non gli fu data possibilità di entrare.
Allora disse: « Ma tu pure verrai in chiesa e, pur non tro­
vando le porte chiuse, non riuscirai ad entrare ». Avven­
ne proprio cosi: infatti dopo la morte di Graziano, Ma­
cedonio fuggì verso la chiesa; ma pur essendo le porte
aperte, non riuscì a trovare l’ingresso.

Carattere e virtù di Ambrogio

38. Il venerando vescovo praticava grande astine


e si dedicava a molte vigilie e fatiche, macerando il corpo
col continuo digiuno: infatti non era solito pranzare se
non nei giorni di sabato e domenica o quando ricorresse
il giorno natalizio di martiri molto famosi. Pregava con­
tinuamente giorno e notte. Non rifuggiva la fatica di
scrivere di propria mano i suoi libri, se non quando il
suo corpo era afflitto da qualche m alattia22. Era molto
sollecito per tutte le chiese (2 Cor. 11, 28), anche assiduo
e costante nell’intervenire. Nel celebrare le sacre funzioni
era molto resistente, al punto che quanto egli era solito
fare da solo nella celebrazione dei battesimi, dopo la sua
morte a stento lo facevano cinque vescovi. Era fin trop­
po sollecito in favore dei poveri e dei prigionieri: infatti
allorché fu ordinato vescovo, dette alla chiesa e ai poveri
tutto l’oro e l'argento di cui disponeva allora. Donò alla
chiesa anche le proprietà che aveva, riservandone l'usu­
frutto per sua sorella, per seguire come soldato nudo e
senza impedimenti Cristo Signore, che da ricco che era
si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi
con la sua povertà (2 Cor. 8, 9).

22 Si tenga presente che questo costum e era m olto raro.


Di norma chi voleva scrivere qualcosa dettava ad un segreta­
rio; e Paolino, fra le varie incombenze, aveva anche questa.
Vita di Ambrogio 93

39. Gioiva con quelli che gioivano e piangeva con


quelli che piangevano: infatti ogni volta che uno gli con­
fessava i suoi peccati per ricevere la penitenza, egli pian­
geva al punto tale da spingere pure quello a piangere, e
sembrava essere caduto in peccato egli stesso insieme
con quello ch’era caduto. Ma dei peccati che gli venivano
confessati, non ne parlava con nessuno se non soltanto
col Signore, presso il quale intercedeva: lasciò cosi buon
esempio ai vescovi successivi, perché fossero intercessori
presso Dio piuttosto che accusatori presso gli uomini.
Infatti, secondo quanto dice l’apostolo, con un uomo sif­
fatto si deve dar prova d’amore (2 Cor. 2, 8), perché egli
è accusatore di se stesso e non aspetta l’accusatore ma
lo previene per alleggerire il suo peccato con la confes­
sione e perché il suo nemico non abbia più di che accu­
sarlo. Per questo dice la scrittura: Il giusto quando co­
mincia a parlare, accusa se stesso (Prov. 18, 17). Infatti
cosi toglie la parola all’avversario e con la confessione
dei suoi peccati quasi rompe i denti preparati a ghermi­
re la preda, vittima di una spietata accusa; e insieme dà
onore a Dio, cui tutte le cose sono manifeste e che vuole
la vita più che la morte del peccatore (Ebr. 4, 13; Ez. 18,
23; 33, 11). Infatti a colui che si pente non è sufficiente
la sola confessione, se non segue la correzione di ciò che
ha fatto: cosi il penitente non farà più azione di cui deb­
ba pentirsi e umilierà anche la sua anima, come il santo
Davide. Questi infatti, dopo che il profeta gli disse: « Ti
è stato rimesso il tuo peccato », diventò più umile nella
correzione del suo peccato, al punto da mangiare cenere
come pane e da mescolare la sua bevanda con le lacrime
(2 Sam. 12, 13; Sai. 101, 10).

40. Piangeva amaramente anche quando gli veniva


annunziata la morte di qualche santo vescovo, a punto
tale che noi cercavamo di consolarlo, ignorando il pio
sentimento dell’uomo e non comprendendo per qual mo­
tivo piangesse cosi. Ed egli ci rispondeva in tal modo:
94 Paolino

egli non piangeva perché se n’era andato colui di cui era


stata annunziata la morte, ma perché questo lo aveva
preceduto e perché era difficile trovare una persona che
potesse essere ritenuta degna dell'episcopato. Egli poi
predisse in anticipo la sua morte: che sarebbe stato con
noi fino a Pasqua. Con le preghiere rivolte al Signore
meritò di essere liberato più presto da questa vita.

41. Si addolorava profondamente a vedere che l’


rizia, radice di tutti i mali, non diminuiva né per l’ab­
bondanza né per la miseria, e invece aumentava sempre
di più fra gli uomini, soprattutto in coloro che avevano
posti di comando; ed era gravissima fatica per lui inter­
venire presso costoro, perché tutto si vendeva per dana­
ro. Questo malcostume provocò prima ogni malanno al­
l'Italia e d’allora tutto precipita al peggio. E che dire del
fatto che esercitano la loro avidità persone siffatte, che
mettono avanti il pretesto dei figli e dei parenti per tro­
vare scuse al loro peccato (Sai. 140, 4), dal momento che
tale avidità ha contagiato anche molti celibi, sacerdoti e
leviti, la cui parte è Dio (Sai. 118, 37), e anch’essi desi­
derano ricchezze? Guai a noi miseri, perché neppure la
fine del m ondo23 ci spinge a liberarci da un giogo cosi
grave, che ci sprofonda fin nel profondo dell'inferno (Is.
7, 11), si da farci amici con la mammona d'iniquità, che
ci accolgano nelle tende eterne (Le. 16, 9). Beato invece
colui che, una volta convertito, rotti i legami e gettato
il giogo di tale dominazione, afferrerà e sbatterà i figli
di lei alla roccia (Sai. 136, 9): cioè, tutti gli stimoli del­
l'avidità sbatterà contro Cristo, che secondo l'apostolo è
la roccia (1 Cor. 10, 4) che uccide tutti quelli che sbat­

23 Nei primi secoli dell’età cristiana era diffusa l’opinione


della prossima fine del mondo. Al tempo di Ambrogio tale cre­
denza era alimentata dalla considerazione delle immani scia­
gure che travagliavano l’impero, la cui fine facilmente s ’identi­
ficava con la fine stessa del mondo.
Vita di Ambrogio 95

tono contro di lei: essa invece resta inviolabile e non


rende colpevole colui che su di lei avrà sbattuto i cattivi
figli di un ventre malvagio, bensì lo rende innocente. E
questo sicuro potrà dire: Il Signore è la mia parte (Sai.
118, 57). Infatti di chi non possiede nulla nel mondo, la
sua parte è Cristo; e chi avrà disprezzato il poco rice­
verà molto, e inoltre possiederà anche la vita eterna
(Mt. 19, 29).

Ultimi giorni di Ambrogio e morte

42. Pochi giorni prima di essere costretto a le


mentre dettava il commento al Salmo 43 ed io scrivevo e
osservavo, improvvisamente un fuoco non grande ricopri
il suo capo a mo' di scudo e a poco a poco entrò attra­
verso la sua bocca come un abitante nella sua casa. Dopo,
il suo volto diventò bianco come la neve; infine tornò
al suo aspetto abituale. Mentre ciò avveniva, io preso
dallo stupore m’irrigidii, e non potei scrivere ciò che
egli diceva se non dopo che ebbe fine la visione. Allora
infatti egli stava citando un passo della sacra scrittura,
che io conoscevo benissimo24. Quel giorno egli fini di
scrivere e dettare, e così non potè portare a termine il
commento al salmo. Dal canto mio, subito riferii ciò che
avevo visto al diacono Casto, uomo onorevole cui ero
sottoposto. E quello, pieno della grazia di Dio, mi spiegò
sulla base della lettura di un passo degli Atti degli Apo­
stoli (2, 3) che io avevo visto venire in Ambrogio lo
Spirito santo25.

24 Paolino vuol dire che egli riuscì a colmare la lacuna pro­


vocata dalla sua distrazione, perché in quel momento Ambrogio
stava citando un passo della scrittura, si che il segretario, che
lo conosceva bene, ebbe possibilità d'integrare di suo.
25 II riferimento è al fam oso episodio della discesa dello
Spirito santo sugli apostoli a Pentecoste.
96 Paolino

43. Qualche tempo prima, un servo di Stilicone, che


allora era conte, che era stato travagliato dai demoni,
ormai sanato, per raccomandazione del suo padrone era
rimasto al servizio della basilica ambrosiana. Ma corre­
va voce che costui, che era molto caro a Stilicone, fal­
sificava lettere per conferire il tribunato; e per questo
erano state arrestate molte persone che si recavano a
questo servizio. Ma quando Stilicone identificò la perso­
na del suo servo, non lo volle punire. Per intervento del
vescovo, lasciò liberi gli uomini che erano stati ingan­
nati, e si lamentò del servo con Ambrogio. Il sant’uo­
mo, mentre il servo stava uscendo dalla basilica, lo fece
prendere e condurre a sé. Interrogatolo e trovatolo auto­
re di si grande misfatto, disse: « Bisogna che costui sia
consegnato a Satana per rovina della carne (1 Cor. 5, 5),
perché non osi più commettere tali azioni in futuro ». Il
vescovo non aveva ancora finito di parlare, ed ecco che
in quel momento uno spirito malvagio aggredì il servo
e cominciò a straziarlo. A tale vista fummo pervasi da
grande timore e ammirazione. E in quel giorno vedem­
mo molti risanati dagli spiriti maligni grazie al vescovo
che imponeva le mani e dava il comando.

44. In quel tempo, mentre un tal Nicezio, già tri­


buno e notaio, che era tanto afflitto dalla podagra da
farsi vedere raramente in pubblico, si avvicinava all'alta­
re per ricevere il sacramento, casualmente il vescovo gli
pestò un piede. Quello gridò ma si sentì dire: « Va’, e
d'ora in avanti starai bene ». E nel tempo in cui il santo
vescovo passò da questa vita, fra le lacrime questi dichia­
rava che il piede non gli aveva fatto più male.

45. Dopo questo tempo, ordinato il vescovo della


chiesa di Pavia, Ambrogio cadde malato. Poiché fu co­
stretto a letto per molti giorni, è fama che il conte Stili­
cone abbia detto che la rovina sovrastava l’Italia, dal
momento che moriva un tale uomo. Perciò, convocati a
Vita di Ambrogio 97

sé alcuni nobili milanesi che sapeva cari al vescovo, in


parte con minacce in parte con lusinghe li spinse ad an­
dare dal vescovo per consigliargli di richiedere per sé al
Signore altro tempo di vita. Ma quando udì la loro richie­
sta, Ambrogio rispose: « Non ho vissuto fra voi in ma­
niera tale da dovermi vergognare di vivere: ma neppure
temo di morire, perché abbiamo un buon Signore ».

46. In questa circostanza, mentre giaceva all’estre­


mità del portico26, Casto Polemio Venerio e Felice, che
allora erano diaconi, stando lì tutti insieme discutevano
fra loro a voce bassa, sì che a malapena si sentivano l'un
l’altro, chi dovesse essere ordinato vescovo dopo la mor­
te di Ambrogio. Avendo essi fatto il nome di Simplicia­
no, Ambrogio che pur giaceva lontano da loro, in tono
di approvazione ripetè tre volte: « Vecchio, ma buono ».
Infatti Simpliciano era avanti negli anni. Ad udir quella
voce, i diaconi spaventati si allontanarono in fretta; e
tuttavia, morto Ambrogio, non gli succedette altri nel­
l'episcopato, se non quello che egli tre volte aveva defi­
nito buon vecchio. A Simpliciano succedette Venerio, che
sopra abbiamo nominato. Felice poi regge tuttora la
chiesa di Bologna; invece Casto e Polemio, educati da
Ambrogio, buoni frutti di buona pianta, ricoprono an­
cora l'ufficio di diaconi nella chiesa di Milano.

47. Nello stesso luogo in cui giaceva (come ho ap­


preso dal beato Bassiano, vescovo di Lodi, che a sua
volta aveva udito da Ambrogio), mentre pregava insie­
me con questo vescovo, aveva visto venire a sé il Signore
Gesù e sorridergli: pochi giorni dopo ci fu tolto. E quan­
do passò da noi al Signore, circa dall'ora undicesima
fino al momento in cui rese lo spirito vitale, pregò con
le mani aperte a mo' di croce: noi vedevamo muoversi

26 Probabilmente Ambrogio era stato adagiato li per stare


in luogo più areato.
98 Paolino

le sue labbra, ma non ne udivamo la voce. Onorato, ve­


scovo della chiesa di Vercelli, mentre riposava nella
parte superiore della casa, per tre volte udì la voce di
uno che lo chiamava e gli diceva: « Alzati, presto, perché
sta per morire ». Disceso, porse al santo il corpo del Si­
gnore. Appena lo prese e lo deglutì, rese lo spirito, por­
tando con sé il buon viatico. Cosi la sua anima, rifocil­
lata dalla virtù di quel cibo, gode ora della compagnia
degli angeli, secondo la cui vita egli visse in terra, e della
compagnia di Elia: infatti, alla pari di Elia, Ambrogio
non ebbe timore di parlare ai re e alle potestà terrene
come lo ispirava il timor di Dio.
48. Nell'ora molto mattutina in cui mori, la
salma fu portata di li alla chiesa maggiore e li rimase la
notte in cui celebrammo la vigilia di Pasqua. In quella
circostanza molti bambini che erano stati battezzati, ve­
nendo via dal fonte battesimale, lo videro: alcuni dissero
di averlo visto sedere sulla cattedra, altri col dito lo mo­
strarono ai loro genitori mentre passeggiava. Ma gli adul­
ti non lo potevano scorgere, perché non avevano gli oc­
chi purificati. Molti poi raccontavano di vedere una stel­
la sopra il suo corpo. Quando risplendette il giorno del
Signore, mentre il suo corpo, terminate le funzioni divi­
ne, veniva sollevato per essere portato dalla chiesa alla
basilica Ambrosiana, dove fu sepolto, una turba di de­
moni gridava cosi forte di essere tormentata da lui, che
il loro gridare non poteva essere sopportato. Questa gra­
zia operata dal vescovo dura a tu tt’oggi non solo in quel
luogo ma anche in molti altri. Gran folla di uomini e
donne gettavamo fazzoletti e cinte per poter in qualche
modo toccare la salma del santo. C’era infatti al funerale
una folla strabocchevole, di ogni condizione sesso età:
non solo cristiani ma anche giudei e pagani: andavano
innanzi, per maggiore dignità, la schiera di quelli che
erano stati battezzati.
Vita di Ambrogio 99

49. Il giorno in cui Ambrogio mori apparve ad al­


cuni santi uomini, pregò con loro e impose loro le mani.
Attesta quest’apparizione una lettera inviata dall’Oriente
e ricevuta dal successore di Ambrogio, il venerabile Sim­
pliciano, ma che era stata indirizzata a quello, come se
fosse ancora vivo fra noi. Essa è tuttora conservata a Mi­
lano in un monastero. La lettera reca l’indicazione del
giorno in cui fu spedita, e noi al leggerla notammo che
quello era il giorno in cui Ambrogio mori.

50. Nella Toscana a Firenze, ove ora è vescovo il


beato Zenobio, poiché aveva promesso a taluni, che glie­
lo richiedevano, che sarebbe andato spesso a visitarli, fu
visto più volte in atteggiamento di preghiera presso l’al­
tare della basilica Ambrosiana, che egli stesso aveva edifi­
cato. Ho appreso questa apparizione proprio dal beato
vescovo Zenobio. Poi, nel tempo in cui Radagaiso asse­
diava quella c ittà 27, mentre ormai i cittadini disperava­
no della loro salute, Ambrogio apparve ad un tale proprio
nella casa in cui aveva abitato quando aveva evitato
l’incontro con Eugenio. Promise di portare salvezza ai
cittadini il giorno successivo; e quest’apparizione subito
riferita rinfrancò l’animo dei cittadini. Il giorno succes­
sivo giunse il conte Stilicone con l’esercito e riportò vit­
toria sui nemici. Appresi questo fatto da Pansofia, pia
donna, madre del giovane Pansofio.

51. Quando Mascezel ormai disperava della salvezza


sua e deH’esercito che conduceva contro Gildone28, Am·
brogio gli apparve di notte tenendo in mano un bastone;
e mentre Mascezel si gettava ai piedi del sant’uomo, il
vecchio percuotendo tre volte la terra col bastone cui

27 Siamo nel 406.


28 Questo Mauro, com es della diocesi dell’Africa, si era ri­
bellato ad Onorio nel 398. Stilicone gli oppose Mascezel, che di
quello era fratello.
100 Paolino

s'appoggiava (gli era apparso in tale aspetto), disse:


« Qui, qui, qui », indicando il posto. Dette cosi modo a
quell'uomo, che aveva ritenuto degno della sua appari­
zione, di capire che egli nel luogo in cui aveva visto il
santo vescovo del Signore, avrebbe riportato, tre giorni
dopo, la vittoria. Cosi quello ormai sicuro attaccò bat­
taglia e vittoriosamente la concluse. Io ho appreso que­
sto fatto quando stavo a Milano, e fu proprio Mascezel
a riferirlo. Ma anche in questa provincia ove ora mi tro­
vo e scrivo Mascezel lo ha riferito a molti vescovi, ed
essi me l’hanno comunicato: cosi rassicurato di ciò che
anch’io avevo saputo, ho ritenuto opportuno inserire
l’episodio in questo libro.

52. Stavamo accogliendo con gran devozione a M


no le reliquie dei martiri Sisinnio, Martirio e Alessan­
dro, che avevano conseguito la palma del martirio in
Anaunia30 ai nostri giorni, cioè dopo la morte del beato
Ambrogio, a causa della persecuzione dei pagani: ed ecco
che arriva un cieco e riferisce di aver recuperato la vista
proprio in quel giorno, avendo toccato la bara in cui
erano trasportate le reliquie dei santi. Egli raccontò che
in una visione notturna aveva visto avvicinarsi alla costa
una nave, sulla quale c’era una moltitudine di uomini
biancovestiti. Mentre questi scendevano a terra, egli ave­
va chiesto ad uno di loro chi fossero quegli uomini, e si
era sentito rispondere che era Ambrogio con i suoi com­
pagni. Ad udir questo nome, aveva chiesto di recuperare
la vista e si era sentito dire da quello: « Va’ a Milano e
fatti incontro ai miei fratelli che stanno per arrivare là
(e indicò il giorno), e recupererai la vista ». Quell’uomo,
per sua affermazione, era della costa della Dalmazia né

29 Cioè, in Africa.
30 Corrispondente all’odierna Val di Non, nel Trentino. In
quel tempo le valli alpine erano ancora in massima parte pa­
gane.
Vita di Ambrogio 101

era venuto mai in città prima di essere andato incontro


alle reliquie dei santi per la via giusta, benché ancora
non ci vedesse: ma toccata la bara, aveva cominciato a
vedere.
53. Riportati questi fatti, non credo che sembrerà
cosa grave se mi distacco un po' dal mio proposito per
far vedere come si sia adempiuto ciò che il Signore ha
detto per bocca dei santi profeti: Colui che sedeva con­
tro il fratello e di nascosto lo calunniava, io lo persegui­
tavo (Sai. 49, 20; 100, 5), e altrove: Non amare la ca­
lunnia, per non essere sradicato (Prov. 20, 13). Cosi,
chiunque per avventura ha questa abitudine, leggendo
come sono stati puniti coloro che osarono calunniare il
beato Ambrogio, impari a correggersi in altre circostanze.

54. Un certo Donato, africano di origine ma prete


nella chiesa di Milano, stando un giorno a pranzo insie­
me con alcuni militari, uomini pii, cominciò a calunnia­
re la memoria del vescovo. Mentre i soldati davano se­
gno di disprezzare quella lingua malefica e si allontana­
vano da lei, Donato fu preso improvvisamente da un
colpo e, sollevato dagli altri dal posto in cui stava, fu
collocato in una lettiga, e di li fu condotto al sepolcro.
A Cartagine, un giorno che ero andato a pranzo dal dia­
cono Fortunato, fratello del venerando vescovo Aurelio,
insieme con Vincenzo, vescovo di Colossitano, con Mu­
rano, vescovo di Bolita, e con altri vescovi e diaconi, in
quella occasione Murano cominciò a calunniare il san­
t’uomo. Allora io gli riferii la morte del prete che ho
sopra ricordato: e Murano con la sua rapida fine dimo­
strò che ciò che era stato detto di un altro valeva come
oracolo per lui. Infatti, colpito improvvisamente da un
grave accidente, fu portato dalle mani degli altri dal luo­
go ove stava su un letto e di qui fu ricondotto alla casa
in cui aveva avuto ospitalità: qui mise fine al suo ultimo
giorno. Tale fu la fine dei calunniatori di Ambrogio, e i
102 Paolino

presenti che vi assistettero ne furono grandemente me­


ravigliati.

55. Perciò scongiuro ed esorto ogni uomo, che leg­


gerà questo libro, ad imitare la vita di quel sant'uomo, a
lodare la grazia di Dio e ad evitare le lingue dei calun­
niatori, se preferisce essere in compagnia di Ambrogio
nella resurrezione alla vita, piuttosto che subire il sup­
plizio insieme con quelli che lo calunniano: il che ogni
persona saggia cerca di evitare.

56. Prego poi la tua beatitudine, o padre, perché ti


degni di pregare per me, Paolino umilissimo peccatore,
insieme con tutti i santi che con te invocano in verità il
nome del Signore nostro Gesù Cristo: cosi, dato che
non son degno di ottenere la grazia di trovarmi in com­
pagnia di tale uomo, conseguito il perdono dei miei pec­
cati, sia per me premio l'aver scampato il supplizio.
Possidio
Vita di Agostino
Prefazione

1. Per ispirazione di Dio creatore e reggitore del­


l’universo, memore del proposito di servire nella fede,
per grazia del Salvatore, la Trinità divina e onnipotente,
e già da laico e ora nell'ufficio episcopale desiderando
giovare all’edificazione della santa e vera chiesa cattolica
di Cristo Signore con tutto ciò che ho ricevuto d’ingegno
e di parola, non ho voluto passare sotto silenzio ciò che,
della vita e dei costumi di Agostino, predestinato e a
suo tempo rivelato ottimo vescovo, in lui vidi e da lui
udii. 2. Infatti avevo letto e appreso che anche prima di
me questo era stato fatto da pie persone appartenenti
alla santa madre chiesa: essi, ispirati dallo spirito divi­
no, con la lingua e lo stile di cui ognuno era fornito fe­
cero sapere sia a voce sia per iscritto, a quanti fossero
desiderosi di apprendere tali cose sia con gli orecchi sia
con gli occhi, quali e quanti uomini avessero meritato
di vivere e di perseverare nel mondo fino alla morte se­
condo la grazia del Signore che è comune a tutti. 3. Per­
ciò anche io, ultimo di tutti i ministri, con la fede non
simulata (1 Tim. 1, 5) con la quale i fedeli debbono
servire e riuscire graditi a Dio e a tutti i buoni, ho intra-
106 Possidio

preso a narrare, secondo che Dio me lo concederà, la


nascita, il progresso e la meritoria fine di quel venerabile
uomo, esponendo quanto ho appreso e constatato pro­
prio da lui, poiché per molti anni sono stato a suo stretto
contatto. 4. E prego la somma maestà di poter perse­
guire e portare a termine questo compito che ho intra­
preso, in maniera da non offendere la verità del padre
delle luci (Giac. 1, 17) e da non deludere per qualche
parte la carità dei buoni figli della chiesa.
5. Non racconterò tutte quelle notizie che lo ste
beato Agostino ha esposto nei suoi libri delle Confessioni
riguardo a se stesso, quale egli sia stato prima di ricevere
la grazia e come viva dopo averla ricevuta. 6. Egli agi
cosi, come dice l’apostolo (2 Cor. 12, 6), perché nessuno
avesse di lui stima superiore a quanto sapeva di lui o da
lui aveva appreso. Cosi egli, secondo il suo costume, non
veniva meno alla santa umiltà, cercando la gloria non
sua ma del suo Signore per la propria liberazione e per
i doni che già aveva ricevuto e chiedendo le preghiere
dei fratelli per quelli che desiderava ricevere. 7. In ve­
rità, come è stato affermato daH'autorità dell'angelo, è
bene tener celato il segreto del re, ma è lodevole manife­
stare e glorificare le opere del Signore (Tob. 12, 7).

Vita di Agostino fino al battesimo

1, 1. Nacque nella provincia d'Africa, nella città di


Tagaste, da genitori dell'ordine dei c u r i a l i d i onesta
condizione e cristiani. Fu da loro allevato ed educato con
ogni cura e anche con notevole spesa, e fu inizialmente
istruito nelle lettere profane, cioè in tutte quelle discipli-

* I curiali erano membri del consiglio municipale della


città, responsabili di fronte alFamministrazione imperiale. I
dati di questo c. 1 sono in buona parte ricavati dalle Confes­
sioni di Agostino.
Vita di Agostino 107

ne, che chiamano liberali. 2. Cosi insegnò prima gram­


matica nella sua città e poi retorica a Cartagine, capitale
dell'Africa. Successivamente insegnò anche al di là del
mare, a Roma e a Milano, dove allora risiedeva la corte
deH’imperatore Valentiniano II. 3. In questa città era
allora vescovo Ambrogio, uomo eccellente fra i migliori e
sommamente gradito a Dio. Questi predicava molto fre­
quentemente la parola di Dio nella chiesa, e Agostino
seduto in mezzo alla gente lo stava a sentire con la mas­
sima attenzione. 4. In effetti, tempo prima quando era
ancora giovane a Cartagine, Agostino era stato sviato dal­
l’errore dei Manichei2: perciò assisteva alle prediche di
Ambrogio con più attenzione degli altri, per vedere se
fosse detta qualcosa a favore o contro queH’eresia. 5. E
per clemenza di Dio liberatore, che ispirò il cuore del suo
sacerdote, avvenne che certe questioni riguardanti la
legge fossero risolte in senso avverso all’errore dei Mani­
chei; cosi Agostino gradualmente fu istruito, e a poco a
poco per benevolenza divina quella eresia fu cacciata dal
suo animo. In poco tempo fu confermato nella fede cat­
tolica e in lui nacque l'ardente desiderio di progredire
nella religione per ricevere l’acqua della salvezza nei gior­
ni della Pasqua che erano prossimi. 6. Cosi, grazie al­
l’aiuto divino, per opera di un vescovo di tale levatura
quale era Ambrogio, Agostino ricevette la dottrina della
chiesa cattolica, apportatrice di salvezza, e i sacramenti
divini.

2 I manichei, seguaci del persiano Mani (III sec. d.Cr.),


professavano una religione accentuatamente dualista, che con­
globava elementi cristiani, ebraici e orientali. Il mondo mate­
riale e la carne erano considerati intrinsecamente cattivi, in
quanto derivati dal principio del male (tenebre), irriducibil­
m ente opposto al principio del bene (luce). I manichei erano
abbastanza diffusi in Africa e in altre regioni dell’impero, no­
nostante fossero stati ripetutamente condannati dal potere po­
litico, a partire da Diocleziano.
108 Possidio

2, 1. Subito nel più intimo del cuore abbandonò


ogni speranza che aveva riposto nel mondo, senza più
ricercare moglie né figli della carne né ricchezza, né onori
mondani, ma deliberò di servire Dio insieme con i suoi,
studiandosi di essere di quel gregge, cui il Signore si
rivolge con queste parole: Non temete, piccolo gregge,
perché il Padre vostro ha voluto dare a voi il regno. Ven­
dete ciò che possedete e fate elemosina: fatevi borse che
non invecchiano, un tesoro che non viene meno nei cieli,
ecc. (Le. 12, 32 s.). 2. Quel santo uomo desiderava fare
anche quanto dice ancora il Signore: Se vuoi essere per­
fetto, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai
un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi (Mt. 19, 21). Deside­
rava edificare sul fondamento della fede: non legna fieno
e paglia, ma oro argento e pietre preziose (1 Cor. 3, 12).
3. Aveva allora più di 30 anni e gli restava solo la ma­
dre: essa stava sempre con lui e gioiva del proposito che
egli aveva intrapreso di servire Dio più che se avesse
avuto nipoti carnali. Suo padre infatti era morto. 4. Co­
municò perciò agli scolari, cui faceva lezione di reto­
rica, che si provvedessero un altro maestro, poiché egli
aveva stabilito di servire a Dio.

Al servizio di Dio

3, 1. Ricevuta la grazia, insieme con altri concitta­


dini e amici che ugualmente servivano a Dio, volle tor­
nare in Africa, alla sua casa e ai suoi campi. Tornato,
vi rimase circa tre anni; e dopo aver ceduto quei beni,
insieme con quelli che gli erano vicini viveva per Dio,
con digiuni preghiere buone opere, meditando notte e
giorno la legge del Signore. 2. E tutto ciò che Dio fa­
ceva comprendere a lui che meditava e pregava, egli fa­
ceva conoscere a presenti e assenti con discorsi e lib ri3.

3 Agostino, che era stato battezzato nell’aprile 387, tornò


Vita di Agostino 109

3. In quel tempo uno di coloro che sono chiamati agenti


d’affari, che risiedeva ad Ippona, un buon cristiano timo­
rato di Dio, ebbe conoscenza della buona fama di cui
Agostino godeva e della sua dottrina, e desiderò arden­
temente di poterlo vedere, avanzando la promessa che,
se avesse meritato di ascoltare la parola di Dio dalla
bocca di quello, avrebbe potuto disprezzare tutte le cu­
pidigie e le lusinghe di questo mondo. 4. Poiché questo
fu fedelmente riferito ad Agostino, egli desiderando che
un’anima fosse liberata dalle insidie di questo mondo e
dalla morte eterna, senza indugiare andò subito in quella
città, vide quell'uomo e gli parlò molte volte e lo esortò,
per quanto Dio gli concedeva, a mettere in pratica il
voto che aveva fatto a Dio. 5. Quello prometteva di farlo
di giorno in giorno, ma non lo mise in pratica allora,
quando Agostino stava li. Ma certamente non potette ri­
manere inutile e senza effetto ciò che la divina provvi­
denza operava in ogni luogo per mezzo di un tale stru­
mento puro e onorevole, utile al Signore e adatto per
ogni opera buona (Rom. 9, 21; 2 Tim. 3, 17).

4, 1. In quel tempo esercitava l’ufficio di vescovo


nella comunità cattolica di Ippona il santo Valerio. Men­
tre egli un giorno parlava al popolo di Dio circa la scelta
e l'ordinazione di un prete e l’esortava in proposito, per­
ché cosi richiedeva la necessità della chiesa, frammisto
in mezzo al popolo assisteva Agostino, sicuro e ignaro di
ciò che stava per succedere: infatti egli era solito — co­
me ci diceva — non frequentare soltanto le chiese che
sapeva prive di vescovo4. 2. Allora alcune persone, che

in Africa alla fine dell’estate del 388 e prolungò questo primo


periodo della sua attività in Africa fino ai primi mesi del 391,
allorché fu ordinato prete.
4 Agostino, che non aspirava alla carriera ecclesiastica, con
questo prudenziale atteggiamento voleva evitare di essere or­
dinato vescovo contro il suo volere, come talvolta poteva ac­
cadere a persone che si fossero particolarmente messe in luce
110 Possidio

conoscevano la dottrina di Agostino e i suoi propositi,


gettategli le mani addosso, lo tennero fermo e, come suo­
le accadere in casi del genere, lo presentarono al vescovo
perché fosse ordinato, mentre tutti unanimi in quel pro­
posito chiedevano che cosi si facesse. Mentre insisteva­
no con grande entusiasmo e clamore, egli piangeva a
calde lacrime: alcuni — come egli stesso ci riferì — in­
terpretarono tali lacrime come manifestazione di super­
bia e cercavano di consolarlo dicendo che certo egli era
degno di maggiore onore, ma che comunque Tesser prete
lo avvicinava alla dignità episcopale. 3. Invece l’uomo
di Dio — come ci disse — osservava la cosa più a fon­
do e gemeva prevedendo i molti e grandi pericoli che
sarebbero derivati alla sua vita dal governo e dall'am­
ministrazione della chiesa: per tal motivo piangeva. Ma
infine la cosa si compì secondo quanto voleva il deside­
rio del popolo.

5, 1. Fatto prete, subito istituì un monastero accan­


to alla chiesa e cominciò a vivere con i servi di Dio se­
condo il modo e la norma stabiliti al tempo degli apo­
stoli 5. Soprattutto, in quella società nessuno doveva ave­
re alcunché di proprio ma tutto per loro doveva essere
in comune, e ad ognuno doveva esser dato secondo le
proprie necessità: proprio questo egli aveva già fatto
precedentemente, allorché era tornato d'oltre mare a
casa sua. 2. Il santo Valerio, che lo aveva ordinato, co­
m'era uomo pio e timorato di Dio, esultava e rendeva
grazie a Dio di aver esaudito le sue preghiere. Diceva
che molto spesso aveva pregato che per volontà divina
gli fosse concesso un uomo che fosse in grado di edifi­
care la chiesa di Dio con la parola di Dio e con retta
dottrina: infatti egli si riconosceva poco adatto a questa

per zelo religioso: e questo era proprio il caso di Agostino.


5 Qui il riferimento è ai passi degli A tti degli apostoli in
cui si parla della vita comunitaria dei primi cristiani (4, 34 ss.).
Vita di Agostino 111

incombenza, in quanto era greco ed era poco versato


nella lingua e nelle lettere latine. 3. Egli affidò al suo
prete l'incarico di spiegare in chiesa il Vangelo alla sua
presenza e di predicare frequentemente, contro quella
che è la consuetudine delle chiese d ’Africa6: per tal mo­
tivo alcuni vescovi lo criticavano. 4. Ma quell’uomo vene­
rabile e previdente, ben sapendo che nelle chiese d’Orien­
te cosi si faceva comunemente e provvedendo all'utilità
della chiesa, non si curava delle critiche dei detrattori,
purché fosse compiuto dal prete ciò ch’egli sapeva non
poter esser fatto da lui vescovo. 5. In tal modo la lam­
pada accesa e ardente, posta sul candelabro, dava luce a
tutti coloro che stavano nella casa (Gv. 5, 35; Mt. 5, 15).
La fama di questo fatto si diffuse rapidamente, e alcuni
preti, seguendo il buon esempio e ottenutane facoltà dai
loro vescovi, cominciarono a predicare al popolo in pre­
senza del vescovo.

Prima attività contro gli eretici

6, 1. In quel tempo ad Ippona la peste dei manichei


aveva infettato e contagiato molti sia cittadini sia stra­
nieri, sviati e tratti in errore da un prete della setta, di
nome Fortunato, che li risiedeva ed operava. 2. Allora
alcuni cristiani, cittadini di Ippona e stranieri, sia catto­
lici sia anche donatisti7, vanno dal prete Agostino e gli

6 Secondo tale consuetudine, la predicazione era affidata


soltanto al vescovo. In Oriente c'era in proposito maggiore
libertà.
7 I donatisti, cosi chiamati da Donato, uno degl’iniziatori
del movimento, costituivano una setta scismatica che in Africa
si era separata dalla chiesa cattolica nei primi anni del IV se­
colo a causa di dissidi sorti per motivi disciplinari a seguito
della persecuzione di Diocleziano. Il movimento aveva avuto
l’appoggio di molti cristiani d’Africa che non ritenevano com­
patibile il regime di collaborazione fra impero e chiesa inau-
112 Possidio

chiedono d’incontrare quel prete manicheo, ch’essi cre­


devano dotto, e di discutere con lui intorno alla legge.
3. Quello, che — com’è scritto — era pronto a rispon­
dere ad ognuno che gli chiedesse spiegazioni intorno alla
fede e alla speranza ch'è rivolta a Dio e ch’era in grado
di esortare con sana dottrina e di confutare chi con­
traddiceva (1 Pt. 3, 15; Tit. 1, 9), non si sottrasse;
chiese però se anche quello fosse d’accordo. 4. Allora
quelle persone riferirono subito ciò a Fortunato, chie­
dendo ed insistendo che neppure egli rifiutasse. Infatti
Fortunato aveva già conosciuto a Cartagine il santo Ago­
stino, quando questo era ancora implicato nel suo stesso
errore, e temeva di entrare in discussione con lui. 5. Tut­
tavia costretto soprattutto dalle insistenze dei suoi e spin­
to da un senso di vergogna, promise d’incontrare Ago­
stino e di venire a discussione con lui.
6. S’incontrarono nel giorno e nel luogo stabil
dove si erano radunati molti che erano interessati alla
questione e gran folla di curiosi: gli stenografi aprirono
le tavolette e cominciò la discussione nel primo giorno
per concludersi nel successivo. 7. In essa il dottore ma­
nicheo — come riferiscono gli atti — 8 non fu in grado
di confutare la posizione cattolica e non riuscì a confor­
tare con argomenti validi la dottrina manichea. Alle ul­
time battute si ritirò, dichiarando che avrebbe discusso
insieme con i suoi superiori gli argomenti che non era
riuscito a confutare: se neppure essi ci fossero riusciti,
egli avrebbe provveduto alla sua anima. In tal modo tutti

gurato da Costantino. In tal senso il movimento ebbe anche


carattere antiromano. I donatisti erano molti e ben organizzati,
nonostante le condanne loro inflitte anche dagli imperatori.
Essi impegnarono a fondo l’attività di Agostino, che riuscì a
risollevare le sorti della chiesa cattolica d’Africa, seriamente
pregiudicate dall’attività e dalle violenze di questi scismatici.
8 Ci sono restati fra le opere di Agostino: Acta contra For-
tunatum Manichaeum.
Vita di Agostino 113

coloro che lo ritenevano capace e dotto, giudicarono che


egli non aveva avuto alcuna efficacia nel difendere la sua
setta. 8. Fortunato, pieno di vergogna, successivamente
parti da Ippona e non vi fece più ritorno. Cosi, grazie
a questo uomo di Dio, quell’errore fu cacciato via dagli
animi di tutti coloro che o erano stati presenti o assenti
erano venuti a conoscenza di quel che si era svolto, men­
tre veniva confermata e rafforzata la veritiera dottrina
cattolica.

7, 1. Agostino insegnava e predicava, in privato e in


pubblico, in casa e in chiesa, la parola di salvezza (Atti,
13, 26) con piena fiducia contro le eresie che erano fio­
renti in Africa, specialmente contro i donatisti, i mani­
chei e i pagani. Faceva ciò sia scrivendo libri sia improv­
visando discorsi, circondato da indicibile ammirazione
e lode dei cristiani, che tutto ciò non tacevano, ma appe­
na potevano lo divulgavano. 2. Cosi per dono divino la
chiesa cattolica cominciò in Africa a risollevare il capo
che per lungo tempo aveva avuto oppresso a terra, svia­
ta e pressata dal vigoreggiare degli eretici, soprattutto
perché i partigiani di Donato ribattezzavano grandi folle
di Africani9. 3. Questi suoi libri e discorsi, che scaturi­
vano e derivavano da mirabile grazia divina ed erano
sorretti sia da abbondanza di argomenti razionali sia dal­
l’autorità delle sacre scritture, gli stessi eretici correva­
no ad ascoltarli insieme con i cattolici, spinti da intenso
ardore: chiunque voleva e ne aveva possibilità, si valeva
di stenografi che trascrivevano ciò che veniva detto. 4. E
ormai di qui si diffondevano e si mettevano in evidenza
per tutta l'Africa l’insigne dottrina e il soavissimo odore
di Cristo (2 Cor. 2, 15; Ef. 5, 2); venuta a sapere tutto
questo, ne godeva anche la chiesa di Dio al di là del

9 I donatisti consideravano non valido il battesim o ammi­


nistrato nella chiesa cattolica, i cui ministri essi ritenevano
indegni.
114 Possidio

mare: infatti, come quando patisce un solo membro, in­


sieme patiscono tutte le membra, cosi quando un mem­
bro viene glorificato, gioiscono insieme tutte le membra
(1 Cor. 12, 26).

Agostino vescovo

8, 1. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più de­


gli altri esultava e rendeva grazie a Dio per avergli con­
cesso quello speciale beneficio, considerando quale sia
l’animo umano, cominciò a temere che Agostino fosse ri­
chiesto come vescovo da qualche altra chiesa rimasta
priva di pastore, e cosi gli fosse tolto. E ciò sarebbe già
accaduto, se il vescovo, che era venuto a sapere la cosa,
non lo avesse fatto trasferire in un luogo nascosto, si
che quelli che lo cercavano non riuscirono a trovarlo.
2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole
di essere ormai molto indebolito per le condizioni del
corpo e per l'età, scrisse in modo riservato al primate di
Africa, il vescovo di Cartagine: faceva presente la debo­
lezza del corpo e il peso degli anni e chiedeva che Ago­
stino fosse ordinato vescovo della chiesa d'Ippona, si da
essere non tanto suo successore sulla cattedra bensì ve­
scovo insieme con lui. Di risposta ottenne ciò che desi­
derava e chiedeva insistentemente. 3. Qualche tempo do­
po, essendo venuto Megalio, vescovo di Calama e allora
primate della Numidia, per visitare dietro sua richiesta
la chiesa d'Ippona, Valerio, senza che alcuno se l’aspet­
tasse, presenta la sua intenzione ai vescovi che allora
si trovavano lì per caso, a tutto il clero d'Ippona ed a
tutto il popolo. Tutti si rallegrarono per quanto aveva­
no udito e a gran voce e col massimo entusiasmo chie­
sero che la cosa fosse messa subito in atto: invece il
prete Agostino rifiutava di ricevere l'episcopato contro
il costume della chiesa, mentre era ancora vivo il suo
vescovo.
Vita di Agostino 115

4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo


quel modo di procedere era d'uso comune e richiaman­
do esempi di chiese africane e d'oltremare a lui che di
tutto ciò era all’oscuro: infine, pressato e costretto, Ago­
stino acconsenti e ricevette l'ordinazione alla dignità
maggiore. 5. Successivamente egli affermò a voce e scris­
se che non avrebbe dovuto essere ordinato mentre era
vivo il suo vescovo, perché questo era vietato dalla deli­
berazione di un concilio ecumenico, che egli aveva ap­
preso soltanto dopo essere stato ordinato10: perciò non
volle che fosse fatto ad altri ciò che si doleva essere stato
fatto a lui. 6. Di conseguenza si adoperò perché da con­
cili episcopali fosse deliberato che coloro che ordinavano
dovevano far conoscere a coloro che dovevano essere or­
dinati o anche erano stati ordinati tutte le deliberazioni
episcopali: e cosi fu fatto n.

Attività antìdonatista
9, 1. Diventato vescovo. Agostino predicava la pa­
rola di salvezza eterna (Atti, 13, 26) con più insistenza
ed entusiasmo e con autorità maggiore, non più soltan­
to in una regione ma dovunque gli chiedevano di venire,
con alacrità e diligenza, mentre la chiesa del Signore si
sviluppava e fioriva sempre di più. Egli era sempre pron­
to a dare spiegazione a chi lo richiedesse sulla fede e
sulla speranza in Dio; e le sue parole e gli appunti presi
soprattutto i donatisti d’Ippona e dei paesi vicini li ri­
ferivano ai loro vescovi. 2. Costoro ascoltavano e talvolta
cercavano di replicare qualcosa: ma o venivano confu­
tati proprio dai loro seguaci ovvero le risposte erano
riportate ad Agostino. Questi, quando le apprendeva,
con pazienza e dolcezza e — com'è scritto (Fil. 2, 12) —

10 II riferimento è al canone 3 del concilio di Nicea del 325.


L’elezione di Agostino a vescovo avvenne nel 395 o 396. ^ — .
11 Nel concilio cartaginese del 397, canone 3.
116 Possidio

con timore e tremore provvedeva alla salvezza di quegli


uomini, dimostrando che quei vescovi non erano riusciti
a confutare proprio niente e che invece era veritiero e
manifesto ciò che crede e insegna la fede della chiesa
di Dio. In tal modo egli si adoperava costantemente, gior­
no e notte. 3. Scrisse anche lettere private ad alcuni ve­
scovi eminenti di quella setta ed a laici, dando spiega­
zioni e esortando ed ammonendo che o si emendassero
da quell'errore ovvero venissero a discussione. 4. Ma
quelli, che non avevano fiducia nella loro causa, non vol­
lero neppure rispondere ma presi dall'ira e dal furore
dicevano che Agostino era seduttore e ingannatore di ani­
me. Gridavano cosi in pubblico e in privato e afferma­
vano anche nelle loro prediche che quello doveva essere
ucciso come un lupo per la difesa del gregge, e che senza
dubbio bisognava credere che Dio avrebbe rimesso tutti
i peccati a quelli che fossero riusciti in tale impresa, sen­
za timore di offendere Dio e di doversi vergognare da­
vanti agli uomini. Allora Agostino si dette da fare perché
tutti venissero a conoscere che quelli diffidavano della
loro stessa causa e che, invitati ad un pubblico dibattito,
non avevano avuto il coraggio di presentarsi.

10, 1. In quasi tutte le loro chiese i donatisti ave­


vano un genere di uomini incredibilmente perversi e vio­
lenti, che solevano andare in giro facendo professione di
continenza. Si chiamavano circumcellioni e si trovavano
in numero molto ingente in quasi tutte le regioni d’Afri­
ca 1Z. 2. Essi, istruiti da malvagi dottori, con sfrontata
audacia e illecita temerarietà non avevano riguardo né
per i loro compagni di setta né per gli estranei: contro
ogni diritto impedivano alla gente di procedere nelle
cause giudiziarie, e se qualcuno non obbediva, gli arre­
cavano danni gravissimi e violenza. Armati con armi di

12 Si trattava di bande di contadini fanatici, accesamente


anticattolici e antiromani, pronti ad ogni violenza.
Vita di Agostino 117

diverso genere, imperversavano per le campagne e i vil­


laggi e non temevano di arrivare fino allo spargimento
di sangue. 3. Cosi, mentre la parola di Dio era predicata
con zelo e si trattava di pace con coloro che avevano
odiato la pace, costoro senza ragione facevano violenza
a quanti parlavano di queste cose. 4. E poiché la verità
si faceva sempre più forte contro la loro dottrina, quanti
dei donatisti avevano volontà e possibilità si staccavano
in maniera più o meno manifesta dalla loro setta e ade­
rivano alla pace e aH’unità della chiesa con quanti dei
loro potevano convincere. 5. Perciò i circumcellioni, ve­
dendo diminuire gli aderenti al loro errore e invidiando
l’incremento della chiesa, accesi ed esaltati da ira gran­
dissima, cominciarono a fare intollerabili persecuzioni
contro quelli che aderivano all'unità della chiesa: aggre­
divano di notte e di giorno gli stessi vescovi cattolici e
i ministri della chiesa e distruggevano ogni cosa. 6. Cosi
ridussero a mal partito molti servi di Dio con le per­
cosse, ad alcuni gettarono negli occhi calce con aceto,
altri uccisero. Per tal motivo questi donatisti che erano
soliti anche ribattezzare vennero in odio perfino ai loro.

11, 1. Progredendo intanto l'insegnamento divino,


coloro che nel monastero servivano a Dio sotto la gui­
da del santo Agostino e insieme con lui, cominciarono ad
essere ordinati preti della chiesa di Ippona. 2. Cosi di
giorno in giorno s’imponeva e diventava più evidente la
verità della predicazione della chiesa cattolica, e cosi an­
che il modo di vita dei santi servi di Dio, la loro conti­
nenza e assoluta povertà: perciò dal monastero che quel
grande uomo aveva fondato e fatto prosperare con gran
desiderio (varie comunità) cominciarono a chiedere e
ricevere vescovi e chierici, si che allora prima ebbe ini­
zio e poi si affermò la pace e l'unità della chiesa13. 3. In­

13 Ovviamente il riferimento è alla chiesa d'Africa soltanto.


L’affermazione di Possidio non è esagerata, perché soltanto con
118 Possidio

fatti circa dieci uomini santi e venerabili, continenti e


dotti, che io stesso ho conosciuto, il beato Agostino, ri­
chiesto, dette a diverse chiese, alcune anche molto im­
portanti. 4. D’altra parte costoro, che dal loro santo mo­
do di vita venivano a chiese di Dio diffuse in vari luo­
ghi, si dettero ad istituire monasteri, e poiché cresceva
lo zelo per l’edificazione della parola di Dio, preparavano
a ricevere il sacerdozio fratelli, che furono messi a capo
di altre chiese. 5. Pertanto progrediva per mezzo di molti
e in molti la dottrina di fede salutare, di speranza e di
carità insegnata nella chiesa, non solo in tutte le parti
d ’Africa ma anche nelle regioni d’oltremare: infatti con
la pubblicazione di libri, tradotti anche in greco, grazie
a quel solo uomo, con l’aiuto di Dio, tutto il complesso
della dottrina cristiana venne a conoscenza di molti.
6. Allora — com’è scritto — il peccatore a veder que­
sto s’adirava, digrignava i denti e si struggeva (Sai. I l i ,
10); invece i tuoi servi — secondo quanto sta scritto —
erano in pace con quelli che odiavano la pace e quando
parlavano erano combattuti da quelli senza motivo (Sai.
119, 7).

12, 1. Alcune volte circumcellioni armati tesero in­


sidie lungo le strade al servo di Dio Agostino, quando
egli richiesto andava a visitare, istruire, esortare le co­
munità cattoliche, il che egli faceva molto di frequente.
2. Una volta avvenne che quei sicari persero l’occasione
in questo modo: successe, certo per provvidenza divina
e comunque per errore dell’uomo che faceva da guida,
che il vescovo insieme con i suoi compagni arrivarono
per altra strada al luogo ove erano diretti, e grazie a
questo che dopo seppe essere stato un errore sfuggi alle
mani degli empi e insieme con tutti gli altri rese grazie
a Dio liberatore. E quelli secondo il loro modo di fare

l’attività sviluppata da Agostino la chiesa cattolica d’Africa


riuscì a fronteggiare con una certa efficacia i donatisti.
Vita di Agostino 119

non risparmiavano né laici né chierici, come testimonia­


no i documenti ufficiali.
3. A tal proposito non si deve passare ora sott
lenzio ciò che a gloria di Dio fu fatto contro questi do­
natisti ribattezzatori grazie all'attività di si illustre uo­
mo nella chiesa e al suo zelo per la casa di Dio. 4. Uno
di coloro 14 che egli dal suo monastero e dal suo clero
aveva dato a varie chiese come vescovi, visitava la dio­
cesi della chiesa di Calama affidata alle sue cure e pre­
dicava ciò che aveva appreso contro l’eresia donatista in
favore della pace della chiesa. In tale occasione, egli du­
rante il cammino cadde neH’insidia dei circumcellioni che
lo assalirono insieme con i suoi compagni e, derubatili
degli animali e delle loro cose, lo coprirono di ingiurie
e di gravissime percosse. 5. Perché il progresso della
pace nella chiesa non fosse ostacolato da avvenimenti di
tal fatta, il difensore della chiesaIS, che aveva la legge
dalla sua, non passò il fatto sotto silenzio. Allora Crispi­
no, ch’era il vescovo donatista nella città e nella regio­
ne di Calama, uomo conosciuto e dotto e di età avanza­
ta, fu condannato a pagare una multa stabilita dalle
leggi contro gli eretici. 6. Ma quello presentò opposizio­
ne e al cospetto del proconsole disse di non essere ere­
tico: allora, poiché il difensore della chiesa si era riti­
rato, si presentò la necessità per il vescovo cattolico di
fare opposizione e dimostrare che quello era proprio ciò
che aveva negato di essere. Se infatti quello fosse riu­
scito a nasconderlo, addirittura avrebbero potuto cre­
dere eretico il vescovo cattolico, poiché quello negava
di essere ciò che era, e cosi da questa trascuratezza sa­
rebbe potuto derivare ai deboli motivo di scandalo. 7. Al­

14 Si tratta di Possidio stesso, come risulta dai passi di


Agostino indicati a n. 4 dell'Introduzione.
15 II defensor (o advocatus) ecclesiae era per lo più un
laico, che rappresentava ufficialmente la chiesa in questioni
trattate dinanzi alla magistratura imperiale.
120 Possidio

lora, grazie alle insistenze pressanti del vescovo Agosti­


no di beata memoria, i due vescovi di Calama ebbero
una pubblica discussione e per tre volte parlarono l'un
contro l'altro sulle divergenze della loro fede, mentre
grande era l'attesa dell’esito da parte di tutte le comu­
nità cristiane a Cartagine e neH'intera Africa: per sen­
tenza scritta del proconsole Crispino fu dichiarato ere­
tico. 8. Il vescovo cattolico intercesse per lui perché non
pagasse la multa, e la sua richiesta fu esaudita. Ma poi­
ché quell'ingrato si era appellato all'imperatore, que­
sti dette alla richiesta la dovuta risposta: di conseguenza
fu ordinato che in nessun luogo dovevano esserci eretici
donatisti e contro di essi dovevano aver vigore tutte le
leggi che erano state emanate contro gli eretici. 9. Per­
ciò il giudice, il tribunale e Crispino stesso furono con­
dannati a pagare al fisco dieci libbre d'oro ciascuno, poi­
ché non si era preteso il pagamento della m u lta16. Ma
subito allora i vescovi cattolici, e soprattutto Agostino
di beata memoria, si dettero da fare perché quella con­
danna fosse rimessa dalla generosità del principe, e con
l'aiuto del Signore ci riuscirono. Di questa sollecitudine
e di questo santo zelo la chiesa si giovò molto.

13, 1. Per tutto ciò che Agostino operò in difesa del­


la pace della chiesa il Signore qui gli concesse la palma
e presso di sé gli riservò la corona di giustizia (2 Tim.
4, 8). Cosi, con l'aiuto di Cristo, di giorno in giorno sem­
pre di più aumentava e si diffondeva l'unità della pace

16 Per comprendere bene questo episodio, si tenga presente


che c'era tutta una legislazione ufficiale antidonatista, che però
facilmente veniva trascurata dai magistrati, data la gravità
della situazione africana, che consigliava una certa prudenza.
Nel nostro caso il ricorso imprudente del donatista all’impe­
ratore m ette in movimento tutta la procedura ufficiale, anche
a carico dei magistrati colpevoli di aver trascurato di punire
precedentemente lo scismatico.
Vita di Agostino 121

e la fratellanza della chiesa di Dio. 2. Questo si verificò


soprattutto dopo la conferenza che tutti i vescovi catto­
lici tennero a Cartagine insieme con i vescovi donatisti,
per ordine del gloriosissimo e religiosissimo imperatore
Onorio, che per tale incombenza aveva mandato come
giudice in Africa dalla sua corte il tribuno e notaio Mar­
cellino 17. 3. In questo dibattito i donatisti, completamen­
te confutati e convinti di errore dai cattolici, furono con­
dannati dalla sentenza del giudice; e dopo il loro appello
la risposta del piissimo imperatore condannò quegli ini­
qui come eretici. 4. Per questo motivo vescovi donatisti
col loro clero e col loro popolo entrarono più del solito
in comunione con i cattolici, e aderendo alla pace catto­
lica sopportarono molte persecuzioni da parte dei loro,
fino all'amputazione delle membra e all'uccisione. 5. E
tutto quel bene, come ho già detto, ebbe inizio e si rea­
lizzò per opera di quel santo uomo, con cui erano d ’ac­
cordo e cooperavano gli altri nostri vescovi.

14, 1. D’altra parte, anche dopo la conferenza che


fu tenuta con i donatisti, non mancarono alcuni di co­
storo i quali affermarono che ai loro vescovi non era
stato permesso di esprimersi con completezza in difesa
della loro parte presso l’autorità che aveva presieduto la
causa, perché il giudice in quanto cattolico favoriva la
sua parte. 2. Ma essi, dopo la sconfitta, avanzavano que­
sto argomento come un pretesto, poiché gli eretici anche
prima della controversia sapevano che il giudice era cat­
tolico, e quando erano stati invitati da lui con atto pub­
blico a presentarsi alla discussione, invece di accettare,

17 Fu in ottimi rapporti con Agostino, che gli dedicò alcune


sue opere. La conferenza cui accenna Possidio fu tenuta dal-
Γ1 all’8 giugno 411 e fu effettivamente avvenimento di grande
portata. Dagli Acta in nostro possesso risulta la parte decisiva
che vi ebbe Agostino.
122 Possidio

avrebbero potuto rifiutare l'incontro, poiché ritenevano


quello non imparziale.
3. Tuttavia la provvidenza di Dio onnipotente
si che tempo dopo Agostino di beata memoria si tro­
vasse a Cesarea, città della Mauretania, dove lo aveva
fatto andare, insieme con altri vescovi, una lettera della
sede apostolica, per provvedere ad alcune necessità della
chiesa. 4. In tale circostanza Agostino ebbe occasione
di vedere Emerito, il vescovo donatista di quel luogo che
nella conferenza era stato importante difensore della sua
setta, e con lui discusse pubblicamente sempre sullo
stesso argomento, in chiesa alla presenza di apparte­
nenti alle due comunità. Poiché (i donatisti) sosteneva­
no che Emerito nella conferenza non aveva potuto dire
tutto, Agostino richiamandosi agli atti ufficiali, lo invitò
a non aver esitazione a parlare in quella occasione, in cui
non c’era divieto da parte della pubblica autorità, e a
non rifiutare di difendere con coraggio la sua parte pro­
prio nella sua città, alla presenza di tutti i suoi concitta­
dini. 5. Ma né questa esortazione né la pressante insi­
stenza dei parenti e dei concittadini lo convinsero ad
accettare: eppure quelli gli promettevano di ritornare
nella sua comunione, anche a rischio dei loro beni e
della loro salute temporale, purché egli riuscisse ad aver
la meglio sulla posizione cattolica. 6. Ma quello non vol­
le né fu capace di dir di più di quanto è contenuto in
quegli atti, se non solo questo: « Ormai gli atti conten­
gono ciò che i vescovi hanno fatto a Cartagine, se ab­
biamo vinto ovvero siamo stati vinti ». 7. E un’altra vol­
ta, poiché il notaio lo spingeva a rispondere, disse: « Fa'
tu »; e poiché taceva e cosi fu a tutti evidente la sua sfi­
ducia, da tutto ciò la chiesa di Dio risultò aumentata e
rafforzata. 8. Chi poi vorrà conoscere più a fondo la sol­
lecitudine e l'operosità di Agostino di beata memoria in
difesa della condizione della chiesa di Dio, potrà esami­
nare il resoconto di quei fatti: troverà qui quali argo­
menti Agostino abbia proposto, e con quali abbia invi­
Vita di Agostino 123

tato e spinto il suo avversario, dotto eloquente e rino­


mato, a dire ciò che volesse in difesa della sua parte, e
riconoscerà come quello sia stato vinto 1S.

Attività antimanichea

15, 1. Ricordo ancora, non solo io ma anche altri


fratelli che allora vivevano con noi nella chiesa d’Ippona
insieme con quel santo uomo, che una volta mentre era­
vamo insieme a tavola, egli disse: 2. « Vi siete accorti
come oggi in chiesa la mia predica, dall’inizio alla fine,
si sia svolta contro quella ch’è la mia abitudine, perché
non ho spiegato completamente il tema che avevo pro­
posto, ma l'ho lasciato in sospeso? ». 3. Gli rispondem­
mo: « Infatti ricordiamo di esserci meravigliati in quel
momento ». E lui: « Credo — disse — che proprio per
mezzo della mia dimenticanza e del mio errore il Signo­
re abbia voluto ammaestrare e risanare qualcuno del
popolo che è nell’errore, poiché nelle sue mani siamo
noi e le nostre parole. 4. Infatti, mentre trattavo alcuni
punti della questione che avevo proposta, con una digres­
sione mi sono inoltrato in un altro argomento, e cosi,
senza spiegare fino in fondo quella questione, preferii
terminare la predica polemizzando contro l'errore dei
manichei, piuttosto che continuando a trattare l'argo­
mento che avevo iniziato ». 5. Uno o due giorni — se
non sbaglio — dopo questi fatti si presenta un commer­
ciante di nome Fermo e alla nostra presenza si getta ge­
mendo ai piedi di Agostino che stava nel monastero: fra
le lacrime scongiurò il vescovo di pregare insieme con i
santi il Signore per i suoi peccati, confessando di aver
seguito la setta dei manichei e di essere vissuto in quella
per molti anni. Per di più aveva versato inutilmente forti

18 Tutti questi fatti sono riferiti, con maggiori particolari,


nel Centra Em eritum di Agostino.
124 Possidio

somme di danaro ai manichei, soprattutto a quelli che


essi definiscono gli eletti. Ma trovandosi poco prima in
chiesa, per misericordia divina, era stato richiamato sul­
la retta via dalla predica di Agostino ed era diventato
cattolico.
6. Allora il venerabile Agostino in persona e noi
eravamo li presenti gli chiedemmo di indicarci con pre­
cisione quale punto soprattutto di quella predica avesse
fatto effetto su di lui; e mentre egli riferiva e tutti noi
richiamavamo alla mente la trama del discorso, ammi­
rammo con stupore il misterioso disegno di Dio per la
salvezza delle anime, glorificammo il suo santo nome e
benedicemmo colui che opera la salvezza delle anime
quando vuole, donde vuole e come vuole, per mezzo di
strumenti consapevoli e inconsapevoli. 7. Da quel momen­
to quell'uomo abbracciò la norma di vita dei servi di
Dio e lasciò il commercio. Poiché si segnalava per i suoi
progressi fra i membri della chiesa, mentre era in un'al­
tra regione, per volere di Dio richiesto e pressato di­
ventò prete, conservando e custodendo la sua santa nor­
ma di vita. E forse egli, che si è stabilito in un paese
oltre mare, è ancora vivo.

16, 1. A Cartagine poi alcuni manichei, di quelli che


chiamano eletti ed elette, furono sorpresi da Orso, pro­
curatore della casa imperiale, ch’era di fede cattolica, e
tradotti in chiesa da lui stesso, furono interrogati dai
vescovi alla presenza degli stenografi19. 2. Fra i vescovi
c’era anche Agostino di beata memoria, che più degli al­
tri conosceva quella nefanda setta: perciò gli riuscì di
mettere in luce i loro riprovevoli errori con citazioni trat­
te dai libri che i manichei hanno in uso, e così li indusse

19 Si tenga presente quanto abbiamo accennato sopra a


c. 1 n. 2 sulla legislazione in atto contro questi eretici, in forza
della quale Orso procede contro di loro.
Vita di Agostino 125

a confessare le loro bestemmie. Quegli atti ufficiali mi­


sero altresì in luce, per confessione di quelle donne, co­
siddette elette, le pratiche indegne e turpi che essi se­
condo il loro perverso costume erano soliti commettere.
3. Cosi lo zelo dei pastori procurò incremento al gregge
del Signore e lo difese in maniera adeguata contro i la­
dri e i predoni. 4. Agostino ebbe anche una pubblica di­
sputa nella chiesa d’Ippona con un certo Felice, del nu­
mero di quelli che i manichei chiamano eletti, alla pre­
senza del popolo e degli stenografi che trascrivevano ciò
che veniva d etto 20. Dopo il secondo o il terzo dibattito
quel manicheo, vedendo confutati la vanità e l’errore del­
la sua setta, si converti alla nostra fede e passò alla no­
stra chiesa, come risulta anche dalla lettura degli atti.

Attività antiariana

17, 1. Provocato da un certo Pascenzio e poiché lo


richiedevano persone di alta condizione, Agostino ebbe a
Cartagine una pubblica discussione con costui. Era que­
sti un conte della casa imperiale, di fede ariana, esattore
molto severo del fìsco, che si valeva del suo potere per
contrastare duramente e sistematicamente la fede catto­
lica, e con le sue spiritosaggini e la sua autorità tormen­
tava e maltrattava molti sacerdoti di Dio un po’ sempli­
ciotti nella loro fede. 2. Ma l'eretico rifiutò in modo as­
soluto che si portassero le tavolette e lo stilo, che il no­
stro maestro richiese con grande insistenza prima e du­
rante il dibattito. Quello negava, sostenendo che per ti­
more delle leggi dello sta to 21 non voleva mettersi a ri­

20 II resoconto della discussione è conservato nei De actis


cum Felice Manichaeo libri duo.
21 Pascenzio si richiama alla legislazione in atto contro gli
ariani. Nella sua veste di funzionario ufficiale egli doveva es­
sere prudente per non prestare il fianco ad accuse. Ma, accanto
126 Possidio

schio con questa trascrizione: tuttavia Agostino vedendo


insieme con altri vescovi che erano presenti che quel mo­
do di fare era accetto a coloro che assistevano, cioè che
si disputasse in modo privato senza che alcunché fosse
messo per iscritto, accettò il dibattito. Predisse comunque
ciò che poi si verificò: che, terminata la riunione, cia­
scuno, in assenza di documentazione scritta, sarebbe sta­
to libero di sostenere di aver detto ciò che non aveva
detto e di non aver detto ciò che aveva detto. 3. Discusse
con Pascenzio: sostenne la sua dottrina, ascoltò ciò che
sosteneva l'avversario, con valido ragionamento e con
l’autorità delle scritture insegnò e dimostrò i fondamenti
della nostra fede, dimostrò poi che le proposizioni di Pa­
scenzio non erano suffragate da alcuna evidenza né dal­
l'autorità della sacra scrittura e le confutò.
4. Ma quando le due parti si divisero, quello an
più adirato e furente andava diffondendo molte menzo­
gne per sostenere la sua fede erronea, vantandosi che
Agostino, da tanti esaltato, era stato sconfitto da lui.
5. Poiché queste vanterie erano ormai divulgate, Ago­
stino fu costretto a scrivere a Pascenzio, pur senza fare
i nomi di quelli che avevano disputato per riguardo al
timore che aveva Pascenzio, e nelle lettere espose fedel­
mente ciò che le due parti avevano detto e fatto: se quello
avesse negato, egli a comprovare i fatti aveva molti te­
stimoni, cioè quelle persone di alta condizione che erano
state li presenti. 6. Alle due lettere che gli erano state
indirizzate, a stento quello ne inviò una sola di rispo­
sta, nella quale era solo capace di insultare piuttosto
che dare dimostrazione della sua dottrina. Tutto ciò può
esser provato a chi vuole e sa leggere22.

a questo motivo, è facilmente ipotizzabile il desiderio di non


rendere pubblica una discussione, la cui difficoltà certo a Pa­
scenzio non sfuggiva.
22 Le lettere di Agostino sono la 238 e la 239.
Vita di Agostino 127

7. Ancora con un vescovo ariano, di nome Mass


no, che era venuto in Africa con i Goti, Agostino ebbe
una pubblica discussione ad Ippona, per desiderio e ri­
chiesta di molti, alla presenza di persone importanti: ciò
che le due parti esposero, sta scritto23. 8. Se gl'interes­
sati vorranno leggere con attenzione, senza dubbio esa­
mineranno sia ciò che afferma l'astuta e irragionevole
eresia per sviare ed ingannare, sia ciò che professa e in­
segna la chiesa cattolica sulla divina Trinità. 9. Ma quel­
l'eretico, tornato da Ippona a Cartagine, in forza della
grande loquacità di cui aveva dato prova nel dibattito,
si vantava falsamente di essere uscito di qui vincitore.
E poiché tutto ciò non poteva essere esaminato e valu­
tato facilmente da persone non versate nelle sacre scrit­
ture, più tardi Agostino ricapitolò per iscritto tutto quel
dibattito, presentando una per una le obiezioni e le ri­
sposte. Fu cosi messo in chiaro che quello non aveva sa­
puto rispondere alle obiezioni di Agostino, e furono fatte
pure alcune aggiunte, poiché nel ristretto tempo del di­
battito Agostino non aveva potuto dire e far trascrivere
tutto. Infatti quell'uomo perfido aveva fatto in modo che
il suo ultimo intervento, protratto molto in lungo, occu­
passe tutto lo spazio di tempo che rim aneva24.

23 Ed è compreso nelle opere di Agostino, col titolo Collatio


cum Maximino Arianorum episcopo.
24 Tutto quanto qui espone Possidio trova conferma negli
Acta. Agostino, non avendo avuto tempo di replicare all'ultimo
lungo intervento dell’ariano, fece verbalizzare che egli si riser­
vava il diritto di replicare per iscritto, il che fece puntual­
mente con i Centra Maximinum libri duo.
128 Possidio

Attività antipélagiana

18, 1. Anche contro i pelagiani25, nuovi eretici del no­


stro tempo, abili polemisti che con arte sottile e no­
civa scrivevano e parlavano ovunque potevano, in pub­
blico e nelle case private, Agostino ebbe a che fare per
circa 10 anni: a tal riguardo scrisse e pubblicò molti
libri e molto spesso predicò in chiesa al popolo su que­
sto errore. 2. Poiché questi perversi con grande attività
cercavano di attirare alla loro perfidia anche la sede
apostolica, in maniera pressante anche concili di vescovi
africani si adoperarono perché i papi della città santa,
prima il venerabile Innocenzo e dopo il beato Zosimo
suo successore, si convincessero quanto quella dottrina
dovesse essere respinta e condannata dalla fede catto­
lica 26. 3. Quei vescovi di sede tanto importante in tempi
diversi condannarono i pelagiani e li separarono dalle
membra della chiesa, e con lettere inviate alle chiese
d’Africa, d'Oriente e d’Occidente, stabilirono che quelli
dovevano essere condannati ed evitati da tutti i catto­
lici27. 4. Anche il piissimo imperatore Onorio, informa­
to di questo giudizio emanato contro i pelagiani dalla
chiesa cattolica di Dio, si uniformò ad esso e con alcune
sue leggi li condannò e decretò che quelli dovevano es­
sere considerati eretici28. 5. Per cui alcuni di loro, che

25 I seguaci del monaco brettone Pelagio sostenevano una


dottrina, secondo la quale la salvezza dell’uomo deriva sostan­
zialmente dal suo sforzo di ascesi personale, solo marginal­
mente coadiuvato dalla grazia divina. In polemica con costoro
Agostino invece rilevò al massimo l’apporto della grazia.
26 Possidio si riferisce soprattutto ai concili di Cartagine
e Milevi del 416 e al concilio di Cartagine del 418.
27 II testo di condanna di Innocenzo è compreso nell'episto­
lario di Agostino come ep. 182. Quello di Zosimo, la cosiddetta
epistula tractoria, scritta nel 418, ci è giunta solo frammen­
tariamente.
28 Si tratta dell’editto del 9 giugno 419, riportato come
ep. 201 nell’epistolario di Agostino.
Vita di Agostino 129

si erano allontanati dal grembo di santa madre chiesa,


vi sono ritornati e altri ancora vi ritornano, mentre si
fa strada e prevale sempre di più contro quel detesta­
bile errore la verità della retta fede.
6. Quell’uomo memorabile era un importante mem­
bro del corpo del Signore, sempre sollecito e vigile per
tutto ciò che riuscisse utile alla chiesa universale. 7. Per
volontà divina gli fu concesso di godere già in questa
vita il frutto delle sue fatiche, innanzitutto nella regione
della chiesa d'Ippona, cui specificamente egli era a capo,
e anche nelle altre parti d’Africa: infatti vedeva che sia
per opera sua sia di quelli che egli stesso aveva dato
come vescovi la chiesa del Signore si era amplificata e
incrementata, e godeva che manichei donatisti pelagiani
e pagani in gran parte erano venuti meno e si erano
uniti alla chiesa di Dio. 8. Favoriva gli studi e i pro­
gressi di tutti i buoni e se ne rallegrava, e piamente e
santamente tollerava certe mancanze di disciplina dei
fratelli, mentre s’addolorava della malvagità dei cattivi,
sia di quelli nella chiesa sia fuori della chiesa; gioiva
sempre, come ho detto, di ciò che recava giovamento
alle cose del Signore e s’addolorava per ciò che recava
loro danno. 9. Molti libri furono da lui composti e pub­
blicati, molte prediche furono tenute in chiesa, trascritte
e corrette, sia per confutare i diversi eretici sia per in­
terpretare le sacre scritture ad edificazione dei santi figli
della chiesa. Queste opere furono tante che a stento uno
studioso ha la possibilità di leggerle e imparare a cono­
scerle. 10. D’altra parte, per non defraudare di nulla chi
ha brama di parole di verità, ho stabilito con l’aiuto di
Dio di allegare alla fine di questo libro anche l’indice
di quei libri, prediche e lettere29. Una volta che lo avrà
letto, chi ama più la verità di Dio che le ricchezze tem­

29 L’indice è tramandato dai manoscritti in appendice alla


biografìa possidiana.
130 Possidio

porali potrà scegliersi l'opera che vorrà da leggere e


conoscere e potrà chiederne copia anche alla biblioteca
d ’Ippona, dove troverà esemplari più corretti, ovvero
cercherà dove potrà. Cosi trascriverà e conserverà le
opere che avrà trovato e senza gelosia le darà da trascri­
vere anche a chi glielo chiederà.

Altre attività di Agostino

19, 1. Agostino seguiva anche il consiglio dell'apo­


stolo che dice: Chi di voi ha una lite con un altro, oserà
appellarsi al giudizio degl’infedeli e non dei santi? Igno­
rate forse che i santi giudicheranno il mondo? E se voi
giudicherete il mondo, non siete capaci di giudicare cose
dappoco? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Ma
allora non giudicheremo tanto più le cose del mondo?
Perciò, se giudicherete fra di voi cose del mondo, met­
tete a presiedere coloro che nella chiesa contano di me­
no. Vi parlo cosi per vostra vergogna. Non c’è fra di
voi qualche persona saggia, che possa giudicare fra i
suoi fratelli? E invece il fratello viene a giudizio col fra­
tello, e questo davanti agli infedeli? (1 Cor. 6, 1 ss.).
2. Richiesto perciò da cristiani e da persone di ogni reli­
gione, ascoltava le cause con religiosa attenzione “ : ave­
va sempre presente l'affermazione di uno che diceva che
preferiva giudicare fra persone sconosciute piuttosto che
fra amici: infatti mediante un equo giudizio di uno sco­
nosciuto si poteva fare un amico, mentre invece avrebbe
perso l'amico, cui avesse dovuto dar torto nel giudizio.
3. Con continuità ascoltava le cause e giudicava, talvolta
fino all'ora di colazione, altre volte per l'intera giornata

30 Una serie di disposizioni, emanate da Costantino e dai


suoi successori, accordava al vescovo la facoltà di giudicare i
suoi diocesani in questioni anche non a sfondo esclusivamente
religioso, soprattutto in casi di arbitrato.
Vita di Agostino 131

rimanendo a digiuno; e in quest’attività considerava il


valore delle anime cristiane, quanto ciascuno progredisse
nella fede e nei buoni costumi, ovvero regredisse. 4. Sa­
peva cogliere il momento opportuno per spiegare alle
parti la verità della legge divina e l’inculcava in loro,
insegnando e rammentando il modo di conseguire la
vita eterna. Da coloro per i quali attendeva a quest'atti­
vità non richiedeva altro se non l’obbedienza e la devo­
zione cristiana, che è dovuta a Dio e agli uomini, e
riprendeva i peccatori alla presenza di tutti, perché gli
altri ne avessero timore. 5. Svolgeva tale attività quasi
come sentinella stabilita dal Signore alla casa d’Israele
(Ez. 3, 17; 33, 7), predicando la parola e insistendo a
tempo debito e non debito, riprendendo esortando rim­
proverando con ogni pazienza e dottrina (2 Tim. 4, 2),
dedicandosi soprattutto ad istruire quelli che erano
adatti ad insegnare anche agli altri. 6. Richiesto anche da
alcuni di occuparsi di loro questioni temporali, manda­
va lettere a varie persone. Ma riteneva un peso questa
occupazione che lo distoglieva da attività più importanti:
infatti gli era gradito discutere sempre delle cose di Dio,
sia in pubblico sia in discussione fraterna e familiare.

20, 1. Sappiamo anche che egli, pur richiesto da


persone a lui molto care, non scrisse lettere di racco­
mandazione alle autorità civili: a tal proposito soleva
dire che si doveva osservare la massima di un sapiente,
del quale è scritto che, in considerazione del suo buon
nome, non aveva concesso molto agli amici; e di suo
poi aggiungeva che per lo più il potente che concede
qualcosa preme per il contraccambio. 2. Quando poi,
pregato, vedeva che era necessario intercedere, lo faceva
cosi dignitosamente e discretamente che non soltanto
non risultava fastidioso o molesto, ma addirittura era
oggetto d’ammirazione.
Cosi una volta, presentatasi la necessità, egli scrisse
a suo modo ad un vicario d’Africa, di nome Macedonio,
132 Possidio

per raccomandare un postulante; e il vicario, dopo aver


esaudito la richiesta, gli rispose cosi: 3. « Ammiro mol­
tissimo la tua sapienza sia nei libri che hai pubblicato
sia in questa lettera che non hai ritenuto gravoso inviar­
mi per intercedere a favore di chi si trovava in strettezze.
4. Infatti quelli contengono tanto acume, scienza e san­
tità che nulla vi è di superiore ad essi; la lettera poi
è scritta con tanta discrezione che, se non accordassi ciò
che chiedi, dovrei ritenere che la colpa è mia e non
dipende dalla difficoltà della questione, signore merita­
tamente venerabile e padre degnissimo. 5. Infatti tu non
insisti, come fanno quasi tutti quelli di qui, per otte­
nere ad ogni costo ciò che chiede l’interessato; ma ciò
che ti sembra opportuno chiedere ad un giudice stretto
da tante preoccupazioni, questo tu chiedi con quella de­
licatezza che fra i buoni è la più efficace per ottenere
cose difficili. Perciò ho accordato ciò che chiedevano le
persone che hai raccomandato: del resto già prima avevo
dato loro motivo di sperare ».

21, 1. Quando poteva, prendeva parte ai concili epi­


scopali celebrati nelle diverse province31, ricercando in
essi non il suo interesse ma quello di Gesù Cristo (Fil.
2, 21), perché la fede della santa chiesa non riportasse
danno e perché alcuni vescovi e chierici, scomunicati a
ragione o a torto, fossero assolti oppure rimossi. 2. Nelle
ordinazioni dei vescovi e dei chierici riteneva che si do­
vessero seguire il consenso della maggior parte dei fedeli
e la consuetudine della chiesa.

31 Possidio qui si riferisce non a concili convocati per cir­


costanze straordinarie, bensì ai concili ordinari che si tenevano
con una certa periodicità nelle varie province religiose per
trattare casi di normale amministrazione, soprattutto in ma­
teria di disciplina ecclesiastica.
Vita di Agostino 133

Modo di vita

22, 1. Le sue vesti, i calzari, la biancheria da letto


erano di qualità media e conveniente, né troppo di lusso
né di tipo troppo scadente: infatti a tal proposito gli
uomini son soliti o far troppa esibizione oppure vestirsi
troppo poveramente, ricercando in ambedue i casi il pro­
prio vanto, non l’utile di Gesù Cristo (Fil. 2, 2 1 )32.
2. Invece Agostino, come ho detto, teneva una via di
mezzo, non eccedendo né da una parte né dall'altra
(Num. 20, 17). Usava di una mensa frugale e parca,
che però fra la verdura e i legumi aveva qualche volta
anche la carne, per riguardo agli ospiti o a qualcuno
che non stava bene, e aveva sempre il vino: infatti Ago­
stino conosceva e ripeteva le parole dell'apostolo: Ogni
creatura di Dio è buona e niente bisogna rifiutare di quel
che si accetta con rendimento di grazie: infatti questo
viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera
(1 Tim. 4, 4 s.). 3. E lo stesso beato Agostino dice nelle
Confessioni: « Non temo l’immondezza del cibo, ma l'im­
mondezza della cupidigia. So che a Noè fu permesso di
mangiare ogni genere di carne che potesse servire da
cibo (Gen. 9, 2 ss.), che Elia fu rifocillato con la carne
(1 Re, 17, 6), che Giovanni, la cui astinenza era oggetto
di meraviglia, non fu contaminato dagli animali che gli
servivano da cibo, cioè le cavallette (Mt. 3, 4). So in­
vece che Esaù fu sedotto dal desiderio di lenticchie
(Gen. 25, 29 ss.), che Davide si rimproverò per il desi­
derio dell’acqua (2 Sam. 23, 15 ss.), e che il nostro re
fu tentato non con la carne ma col pane (Mt. 4, 3).
E anche il popolo nel deserto meritò di essere rimpro­
verato non perché aveva desiderato carne ma perché per

32 Si veda quanto abbiamo osservato nella Vita Cypriani,


c. 6 n. 6. Al tempo di Agostino certi eccessi di trascuratezza
nel vestire erano ispirati anche dagli ideali di carattere mo­
nastico.
134 Possidio

desiderio di carne aveva mormorato contro il Signore


(Num. 11, 1 ss.) » (Conf., X, 46), 4. Quanto al bere vino,
l’apostolo scrive cosi a Timoteo: Non bere soltanto
acqua, ma fa’ uso anche di un po’ di vino per il tuo
stomaco e le tue frequenti malattie (1 Tim. 5, 24).
5. Usava d'argento soltanto i cucchiai, ma il va
lame per portare i cibi a tavola erano o di terracotta
o di legno o di marmo, e ciò non per povertà ma di
proposito. 6. Fu sempre molto ospitale. E durante il
pranzo aveva più cara la lettura o la discussione che
non il mangiare e il bere. Contro quella pessima abitu­
dine degli uomini teneva qui questa iscrizione:
Chi ama calunniare gli assenti,
sappia di non esser degno di questa m ensa33.
Ammoniva cosi ogni invitato ad astenersi da chiac­
chiere superflue e dannose. 7. Una volta che alcuni
vescovi che gli erano molto amici si erano dimenticati
della scritta e parlavano in maniera contraria ad essa,
Agostino indignato li riprese aspramente, dicendo che o
quei versi dovevano essere cancellati dalla mensa o che
egli si sarebbe alzato in mezzo al pranzo e se ne sarebbe
andato in camera sua. Possiamo testimoniare questo epi­
sodio io ed altri che prendevamo parte a quel pranzo.

23, 1. Si ricordava sempre dei compagni di povertà


e dava loro attingendo a quel che serviva per sé e per
coloro che abitavano insieme con lui, cioè dalle rendite
dei beni della chiesa e anche dalle offerte dei fedeli.
2. Per evitare che questi beni — come di solito avviene —
fossero fonte di odiosità nei confronti dei chierici, egli
soleva dire al popolo di Dio che avrebbe preferito vivere
delle loro offerte piuttosto che sobbarcarsi la cura e l’am­
ministrazione di quei beni: perciò egli era pronto a ce­
derli ai fedeli, si che tutti i servi e i ministri di Dio
vivessero cosi come nel Veccho Testamento si legge che

33 Non sappiamo di chi fossero questi versi.


Vita di Agostino 135

chi serviva all'altare, aveva parte del medesimo (Deut.


18, 1 ss.; 1 Cor. 9, 13). Ma i laici non vollero mai accet­
tare quella proposta.

24, 1. Delegava e affidava a turno ai chierici più


abili ramministrazione e tutti i beni della casa annessa
alla chiesa, senza tenere per sé né chiave né anello34, e
quelli che erano stati preposti alla casa segnavano tutte
le entrate e le uscite. Il rendiconto gli veniva letto alla
fine di ogni anno, perché egli sapesse quanto si era
ricevuto e quanto si era distribuito o rimanesse da distri­
buire. Ma in molti affari dava fiducia all’amministratore
piuttosto che verificare i conti precisi e documentati.
2. Non volle mai comprare casa, campo o villa, ma se
qualcuno spontaneamente donava qualcosa di tale alla
chiesa o lo affidava a titolo di deposito, non rifiutava
ma diceva di accettare. 3. Sappiamo però che rifiutò
alcune eredità, non perché sarebbero state inutili ai po­
veri ma perché riteneva giusto ed equo che esse venissero
in possesso dei figli o dei parenti o dei genitori dei de­
funti, ai quali quelli morendo non le avevano voluto
lasciare. 4. Un tale fra i cittadini d’Ippona di alta con­
dizione, che viveva a Cartagine, volle donare una pro­
prietà alla chiesa d’Ippona, e fatto il documento, mentre
tratteneva per sé l’usufrutto, lo mandò senz’altro ad
Agostino di beata memoria. Egli accettò volentieri l’of­
ferta, rallegrandosi con quello perché provvedeva alla
sua salvezza eterna. 5. Ma dopo alcuni anni, mentre io
mi trovavo per caso presso di lui, ecco che il donatore
manda per mezzo di suo figlio una lettera con la quale
pregava di restituire a suo figlio il documento di dona­
zione, mentre diceva di distribuire ai poveri 100 soldi.
6. Quando il santo venne a conoscenza della lettera, si
addolorò che l’uomo o aveva simulato la donazione ov­

34 L'anello serviva come chiave per piccoli forzieri e come


sigillo per assicurare l’integrità di plichi, ecc.
136 Possidio

vero si era pentito della buona opera, e tutto quanto


potè e Dio suggerì al suo cuore, addolorato per questa
resipiscenza, disse a rimprovero e correzione di quello.
7. Subito restituì il documento che quello aveva man­
dato spontaneamente e che non era stato né desiderato
né richiesto, rifiutò la somma di danaro e con la lettera
di risposta riprese e rimproverò come .si doveva quel­
l’uomo, ammonendolo a dare umilmente soddisfazione a
Dio per quella ch’era simulazione o iniquità, per non
uscir di vita con un peccato cosi grave.
8. Spesso diceva anche ch'è più sicuro per la ch
ricevere legati di defunti piuttosto che eredità che pote­
vano riuscire fonti di preoccupazioni e danni, e che i
legati dovevano essere piuttosto offerti che non richiesti.
9. Egli non accettava alcun deposito, ma non lo proibi­
va ai chierici che volessero accettarli. 10. Non si appli­
cava con zelo e passione ai beni che la chiesa aveva in
proprietà o in possesso, ma era maggiormente interes­
sato e dedito alle realtà più importanti dello spirito,
anche se talvolta si distoglieva dalla meditazione delle
cose eterne per dedicarsi a quelle temporali. 11. Ma dopo
averle disposte ed ordinate, lasciatele da parte come cose
noiose e moleste, riportava l’animo alle realtà interiori
e superiori, sia che meditasse neH’indagine delle realtà
divine sia che dettasse qualcosa che avesse già trova­
to in argomento sia che correggesse ciò ch’era stato
già dettato e trascritto. Per far questo, lavorava di gior­
no e vegliava di notte. 12. Egli era come quella piissima
Maria, ch’è simbolo della chiesa celeste: di lei è scritto
che sedeva ai piedi del Signore intenta ad ascoltare la
sua parola; e poiché la sorella si lamentò di lei perché
non l'aiutava mentre essa era occupata in gran da fare,
si senti dire: Marta, Marta, Maria ha scelto la parte
migliore, che non le sarà tolta (Le. 10, 39 s.). 13. Non
ebbe mai interesse a nuove costruzioni, evitando di ap­
plicare in questioni del genere l’animo che voleva aver
Vita di Agostino 137

sempre libero da ogni molestia temporale. Non impe­


diva però coloro che volessero costruire, purché non in
maniera troppo lussuosa. 14. Talvolta, quando mancava
danaro alla chiesa, comunicava al popolo dei fedeli che
egli non aveva di che distribuire ai poveri. 15. Per aiutare
prigionieri e gran quantità di poveri, fece spezzare e
fondere alcuni vasi sacri e distribuì il ricavato a chi ne
aveva bisogno. 16. Non avrei ricordato questo episodio,
se non sapessi che esso contrasta l'opinione di alcuni
uomini che pensano secondo la carne. Del resto anche
Ambrogio di venerabile memoria ha detto e scritto che
in tali strettezze senz’altro si deve fare così. 17. Talvolta
Agostino, parlando in chiesa, ricordava che i fedeli tra­
scuravano la cassa dei poveri e quella della sacrestia,
dalla quale si provvede ciò ch’è necessario per l'altare:
a tal proposito una volta mi riferì che, mentre egli era
presente, anche il beato Ambrogio aveva trattato in
chiesa lo stesso argomento.
25, 1. I chierici stavano sempre con lui nella stessa
casa e venivano nutriti e vestiti con una sola mensa e
con spese comuni. 2. Perché nessuno, troppo proclive a
giurare, incorresse anche nello spergiuro, predicava su
questo argomento in chiesa al popolo e ai suoi intimi
aveva proibito di giurare, anche a tavola. Se uno avesse
mancato, perdeva una bevanda di quelle stabilite: infatti
era prefissato il numero dei bicchieri di vino per quelli
che vivevano e pranzavano con lui. 3. Mancanze di disci­
plina e trasgressioni dei suoi dalla regola retta e onesta
tollerava e rimproverava quanto conveniva ed era neces­
sario: a tal proposito insegnava specialmente che nes­
suno doveva piegare il suo cuore a parole cattive per
cercare scuse ai suoi peccati (Sai. 140, 4).
4. Ammoniva pure che se uno offriva il suo d
all’altare e lì si fosse ricordato che un suo fratello aveva
qualcosa contro di lui, avrebbe dovuto lasciare il dono
all'altare e andare a riconciliarsi col fratello e solo allora
138 Possidio

sarebbe dovuto tornare all'altare e offrire il dono (Mt.


5, 23 s.)· 5. Se poi uno aveva qualcosa contro un suo
fratello, lo doveva trarre da parte: se quello gli avesse
dato ascolto, avrebbe guadagnato quel suo fratello; in
caso contrario, avrebbe fatto ricorso ad una o due per­
sone. Se poi quello non avesse tenuto in alcun conto
neppure costoro, si sarebbe fatto ricorso alla chiesa: se
quello non avesse obbedito neppure a questa, sarebbe
stato per lui come un pagano e un pubblicano (Mt. 18,
15 s.). 6. Aggiungeva anche che al fratello che peccava
e chiedeva perdono bisognava rimettere il peccato non
sette volte ma settanta volte sette, come ciascuno chiede
ogni giorno al Signore di perdonarlo (Mt. 18,21 s.; 6,12).

26, 1. Nessuna donna frequentò mai la sua casa né


vi rimase per qualche tempo, neppure la sua sorella ger­
mana, che vedova consacrata a Dio per molto tempo
fino al giorno della sua morte fu preposta alle serve del
Signore, e neppure le figlie di suo fratello ch’erano pari­
mente consacrate a Dio: eppure i concili episcopali ave­
vano fatto eccezione per queste persone. 2. Affermava
a tal proposito che certo non poteva sorgere alcun so­
spetto a causa della sorella e delle nipoti che fossero
vissute insieme con lui; però, poiché quelle non avreb­
bero potuto vivere insieme con lui senza la compagnia
di altre donne loro amiche e sarebbero venute a visi­
tarle anche altre donne di fuori, a causa di queste pote­
va nascere motivo di scandalo per i più deboli (1 Cor.
8, 9; Rom. 14, 13). Infatti qualcuno di quelli che sta­
vano insieme col vescovo o con qualche chierico pote­
vano cedere a tentazioni umane a causa di tutte quelle
donne che abitavano insieme o usavano recarsi li, ov­
vero inevitabilmente sarebbe stato diffamato dai mal­
vagi sospetti degli uomini. 3. Perciò affermava che mai
donne debbono vivere nella stessa casa con i servi di
Dio, anche castissimi, per evitare — come ho detto —
che tale esempio costituisse motivo di scandalo o di
Vita di Agostino 139

offesa per i deboli. Egli poi, se veniva invitato da qual­


che donna a visitarla e salutarla, non si recava mai da
quella senza la compagnia di chierici, e mai parlò con
esse da solo a sole, neppure se si doveva trattare qual­
che questione riservata.

27, 1. Nel visitare seguiva la norma stabilita dal­


l'apostolo (Giac. 1, 27), di non visitare se non gli orfani
e le vedove che si trovavano in strettezze. 2. Se poi
veniva richiesto dai malati di pregare per loro il Signore
in loro presenza e di imporre loro le mani, si recava
senza indugio. 3. Non visitava monasteri femminili se
non in caso di urgente necessità. 4. Diceva che nella vita
e nei costumi dell'uomo di Dio si dovevano seguire i
consigli che egli aveva appreso da Ambrogio di santa
memoria: non cercare moglie per nessuno, non racco­
mandare chi vuole fare la carriera militare, stando al
proprio paese non accettare inviti a pranzo. 5. Spiegava
cosi i motivi di ognuno di questi consigli: per evitare
che i coniugi, venuti a lite, maledicessero colui per la
cui opera si erano uniti (perciò il sacerdote doveva
limitarsi ad intervenire richiesto dai due che erano già
d’accordo, per confermare e benedire il loro accordo);
per evitare che, comportandosi male colui che era stato
raccomandato al servizio militare, la colpa ricadesse su
chi l’aveva raccomandato; per evitare infine che uno,
frequentando troppo i banchetti nel suo paese, smarrisse
la misura della temperanza.
6. Ci disse anche di aver udito una risposta quanto
mai sapiente e pia di quell'uomo di beata memoria che
si trovava alla fine della vita, e molto la lodava e ma­
gnificava35. 7. Quell’uomo venerabile giaceva nella sua
ultima malattia e alcuni fedeli di alta condizione, che
stavano intorno al suo letto e lo vedevano sul punto di

35 Questo episodio è raccontato anche nella Vita Am brosii


di Paolino, al c. 45.
140 Possidio

passare dal mondo al Signore, si lamentavano che la


chiesa restasse priva dell’opera di un tale vescovo sia nel­
la predicazione sia nell’amministrazione dei sacramenti e
lo pregavano fra le lacrime che chiedesse al Signore un
prolungamento della vita. Ma quello rispose loro: « Non
ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di
vivere fra voi: ma neppure temo di morire, perché ab­
biamo un buon Signore ». 8. In tale risposta il nostro
Agostino ormai vecchio ammirava ed approvava la pon­
deratezza e l’equilibrio delle parole. Infatti le parole di
Ambrogio « ma neppure temo di morire, perché abbia­
mo un buon Signore » dovevano essere intese nel senso
che non si doveva credere che egli, perché fiducioso
nella sua purezza di costumi, prima aveva detto: « Non
ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di
vivere fra voi ». Aveva detto cosi in riferimento a ciò
che gli uomini possono conoscere di un uomo; ma in
riferimento all'esame della giustizia divina confidava so­
prattutto nel buon Signore, al quale anche nella orazione
quotidiana da lui insegnata diceva: Rimettici i nostri
debiti (Mt. 6, 12).
9. Riferiva anche di frequente una risposta su
sto argomento, data da un suo collega di episcopato a
lui molto amico: mentre quello era sul punto di morire,
Agostino era andato a visitarlo; quello con la mano
aveva fatto un gesto per indicare che stava per uscire
dal mondo ed Agostino gli aveva risposto che per la
chiesa era necessario che egli potesse ancora vivere:
allora quello, perché non si credesse che era trattenuto
dal desiderio di questa vita, aveva replicato: « Se mai,
bene. Ma se una volta, perché non ora? ». 10. E Ago­
stino ammirava e lodava questa risposta, che era stata
data da un uomo certo timorato di Dio ma nato e cre­
sciuto in campagna e che non aveva fatto molte letture.
11. Certo costui era in contrasto con i sentimenti di quel
vescovo, di cui riferisce cosi il santo martire Cipriano
nella lettera che scrisse sulla pestilenza: « Poiché uno
Vita di Agostino 141

dei nostri colleghi di episcopato, prostrato dalla malat­


tia e turbato daH'awicinarsi della morte, chiedeva per
sé un prolungamento della vita, mentre pregava cosi
ed era quasi morto gli si presentò un giovane venerabile
per dignità e maestà, di alta statura e di aspetto splen­
dente. Era tale che vista umana a stento poteva osser­
varlo con gli occhi carnali mentre stava vicino a colui
che stava per uscire dal mondo; ma invece proprio costui
lo poteva scorgere. E quel giovane con voce che fremeva
per l'indignazione dell'animo disse: "Avete paura di
soffrire, non ve ne volete andare: che cosa farò per
voi?” » (Cipr., Mort., 19).

28, 1. Poco tempo prima della morte fece una revi­


sione dei libri che aveva composto e pubblicato, sia
quelli che aveva scritto ancora da laico appena si era
convertito, sia quelli che aveva composto quando era
prete e vescovo: tutto quello che in essi notò che era
stato scritto in difformità della regola di fede, quando
egli non era ancora bene al corrente delle norme della
chiesa, tutto ciò fu da lui rivisto e corretto. Perciò egli
scrisse anche due libri, che si intitolano Revisione dei
libri36. 2. Si lamentava anche che alcuni libri gli erano
stati portati via da certi fratelli prima che egli li avesse
accuratamente corretti, anche se poi li aveva corretti in
un secondo tempo 31. Sorpreso dalla morte, lasciò incom­
plete alcune opere. 3. Poiché voleva essere utile a tutti,
a quelli che possono leggere molti libri e a quelli che
non possono, dal Vecchio e dal Nuovo Testamento
estrasse passi contenenti precetti e divieti e, premessa
una prefazione, li raccolse in un volume: cosi chi volesse

36 II titolo usuale dì quest’opera non è De recensione libro-


rum, come cita Possidio, ma Retractationes.
37 Possidio si riferisce ai primi 12 libri del De Trinitate,
sottratti all’autore da ammiratori troppo zelanti e fatti cono­
scere prima che Agostino vi avesse dato l'ultima mano.
142 Possidio

leggerlo, vi avrebbe riconosciuto quanto fosse obbediente


a Dio o disobbediente. Volle intitolare questa opera
Specchio3S.

L’invasione dei Vandali - Ultimi giorni di Agostino

28, 4. Poco tempo dopo, per volontà e disposizione


divina avvenne che un grande esercito, armato con armi
svariate ed esercitato alla guerra, composto dai crudeli
nemici Vandali e Alani, cui s'erano uniti Goti e gente
di altra stirpe, con le navi fece irruzione dalle parti tra­
smarine della Spagna in Africa. 5. Gl'invasori attraverso
tutta la Mauretania passarono anche nelle altre nostre
province e regioni, e imperversando con ogni atrocità e
crudeltà saccheggiarono tutto ciò che potettero fra spo­
gliazioni, stragi, svariati tormenti, incendi e altri innu­
merevoli e nefandi disastri. Non risparmiarono né sesso
né età, neppure i sacerdoti e i ministri di Dio, neppure
gli ornamenti, le suppellettili e gli edifici delle chiese.
6. Tali crudelissime violenze e devastazioni quell’uomo
di Dio vedeva e pensava che esse fossero avvenute ed
avvenissero non come pensavano gli altri uomini: ma
poiché le considerava in modo più profondo e vi ravvi­
sava soprattutto il pericolo e la morte delle anime (in­
fatti sta scritto: Chi aggiunge scienza aggiunge dolore,
e un cuore intelligente è un tarlo per le ossa [Eccli. 1,
18; Prov. 14, 30; 25, 20]), ancor più del solito le lacrime
furono il suo pane giorno e notte ed egli ormai nella
estrema vecchiaia conduceva e sopportava una vita ama­
ra e luttuosa più degli altri. 7. Infatti l’uomo di Dio
vedeva le città distrutte, e nelle campagne insieme con

38 Questa compilazione è indicata con le parole iniziali spe-


cùlum Quis ignorai, per distinguerla da altre tre opere intito­
late anch’esse Speculum, che sono state attribuite falsamente
ad Agostino.
Vita di Agostino 143

gli edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o fug­


giti e dispersi, le chiese prive di sacerdoti e ministri, le
vergini consacrate e i continenti dispersi da ogni parte:
di costoro alcuni eran venuti meno fra le torture; altri
erano stati uccisi con la spada; altri ridotti in schiavitù,
persa ormai l'integrità e la fede deH’anima e del corpo,
servivano i nemici con trattamento duro e cattivo.
8. Nelle chiese non si cantavano più inni e lo
Dio; in molti luoghi le chiese erano state bruciate; erano
venuti meno nei luoghi a ciò consacrati i sacrifici solen­
ni dovuti a Dio; i sacramenti divini o non venivano ri­
chiesti oppure non potevano essere amministrati a chi
li richiedeva, perché non si trovava facilmente il mini­
stro. 9. Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane
e in grotte e caverne o in altro riparo erano stati alcuni
sopraffatti e catturati, altri erano privi di mezzi di sosten­
tamento a punto tale da morire di fame. I vescovi e i
chierici che per grazia di Dio o non avevano incontrato
gl’invasori o erano riusciti a sfuggir loro, spogliati di
ogni cosa mendicavano nella miseria più nera, né era
possibile aiutarli tutti in tutto ciò di cui abbisognavano.
10. Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre
grazia di Dio non sono state distrutte, quelle di Carta­
gine, Cirta e Ippona, e restano in piedi le loro città,
protette dal presidio divino e umano (ma dopo la morte
di Agostino anche Ippona, abbandonata dagli abitanti,
fu incendiata dai nemici). 11. E Agostino, in mezzo a
tali sciagure, si consolava con la sentenza di un sapiente
che dice: « Non sarà grande colui che ritiene gran cosa
il fatto che cadono alberi e pietre e muoiono i mor­
tali » 39. 12. Era molto saggio, e perciò piangeva ogni
giorno a calde lacrime tutte queste sciagure. Si aggiunse
ai suoi dolori e ai suoi lamenti il fatto che i nemici
vennero ad assediare Ippona, che fino allora era rimasta

39 Citazione di Plotino, Enneadi I, 4, 7. Si tratta comunque


di concetto comune nella letteratura dell’epoca.
144 Possidio

indenne, poiché si era occupato della sua difesa l'allora


conte Bonifacio con un esercito di Goti alleati. I nemici
l’assediarono strettamente per quasi 14 mesi e le chiu­
sero anche la via del mare. 13. Qui mi ero rifugiato
anch’io insieme con altri colleghi d'episcopato e fummo
insieme con lui per tutto il tempo dell'assedio. Molto
spesso parlavamo fra noi e consideravamo che davanti
ai nostri occhi Dio poneva i suoi tremendi giudizi, e
dicevamo: Sei giusto, Signore, e retto è il tuo giudizio
(Sai. 118, 137). Tutti insieme addolorati, gemendo e
piangendo, pregavamo il Padre della misericordia e Dio
di ogni consolazione (2 Cor. 1, 3) perché si degnasse
confortarci in quella tribolazione.
29, 1. Un giorno, mentre pranzavamo con lui e par­
lavamo di questi argomenti, egli ci disse: « Sappiate
che in questi giorni della nostra disgrazia ho chiesto
a Dio questo: o che si degni di liberare la nostra città
dall’assedio dei nemici; o, se la sua volontà è diversa,
che renda forti i suoi servi per poter sopportare questa
volontà; ovvero che mi accolga presso di sé, uscito dal
mondo ». 2. Cosi diceva e ci istruiva, e quindi, insieme
con lui, noi tutti e tutti quelli che stavano in città pre­
gavamo allo stesso modo il sommo Dio. 3. Ed ecco, du­
rante il terzo mese dell'assedio si mise a letto con la
febbre e questa fu l’ultima malattia che l’afflisse. Né il
Signore negò al suo servo il frutto della sua preghiera:
infatti egli ottenne a suo tempo ciò che con preghiere
miste a lacrime aveva chiesto per sé e per la città.
4. Venni anche a sapere che, quando era prete e vesco­
vo, egli era stato richiesto di pregare per alcuni energu­
meni che soffrivano, ed egli fra le lacrime aveva pregato
Dio, e i demoni si erano allontanati da quegli uomini.
5. Parimenti, mentre era malato e stava a letto, venne
da lui un tale con un suo parente malato e lo pregò di
imporre a quello la mano perché potesse guarire. Ago­
stino gli rispose che, se avesse avuto qualche potere per
Vita di Agostino 145

tali cose, in primo luogo ne avrebbe fatto uso per sé.


Ma quello replicò che in sonno aveva avuto un’appari­
zione e gli era stato detto: « Va’ dal vescovo Agostino
perché imponga a costui la sua mano, e sarà salvo ».
Appreso ciò egli non indugiò a fare quel che si chiedeva,
e il Signore subito fece andar via guarito quel malato
dal suo letto.

30, 1. A tal proposito non debbo passare sotto si­


lenzio che, mentre sovrastava la minaccia dei nemici,
Onorato, santo uomo nostro collega di episcopato nella
chiesa di Tiabe, per lettera chiese ad Agostino se, quan­
do i Vandali si avvicinavano, i vescovi e i chierici doves­
sero allontanarsi dalle loro chiese oppure no. E con la
sua risposta Agostino mise in evidenza ciò che si dovesse
soprattutto temere da quei distruttori del mondo roma­
no. 2. Ho voluto inserire questa lettera nel mio scritto:
infatti è molto utile e necessaria perché i sacerdoti e i
ministri di Dio sappiano come comportarsim.
3. Al santo fratello e collega nell'episcopato O
rato, Agostino augura salute nel Signore.
( 1) Avendo mandato alla tua carità una copia della
lettera che avevo scritto al fratello Quodvultdeus, nostro
collega nell’episcopato41, credevo di aver soddisfatto alla
richiesta che mi avevi fatto col chiedermi consiglio su
che cosa dobbiate fare in questi pericoli che sono so­
praggiunti ai nostri giorni. 4. Infatti, anche se quella
lettera che scrissi era breve, ritengo di non aver omesso
alcunché, che possa essere sufficiente scrivere da parte
di chi risponde e leggere da parte di chi chiede. Dissi
infatti che non si doveva imporre divieto a coloro che, se
possono, desiderano trasferirsi in luoghi fortificati, ma

40 Sull’inserzione di questa lunga lettera nella trama del


racconto possidiano si veda quanto abbiamo osservato nell'In­
troduzione, 4, 3.
41 Questa lettera non ci è pervenuta.
146 Possidio

che non si dovevano spezzare i legami del nostro mini­


stero, con i quali ci ha legati l'amore di Cristo, si che
non dovevamo abbandonare le chiese, alle quali dobbia­
mo prestare servizio. 5. Ecco come scrissi in quella let­
tera: « Poiché il nostro ministero è cosi necessario al
popolo di Dio che esso non deve rimanerne privo, nel
caso che una parte anche piccola di esso rimanga dove
siamo noi, a noi non resta che dire al Signore: Sia Dio il
nostro protettore e la nostra difesa (Sai. 30, 3) ».
(2) 6. Ma questo consiglio non ti soddisfa, se —
me scrivi — tu temi di operare in contrasto col coman­
do del Signore che ci dice che bisogna fuggire di città in
città; ricordiamo infatti le sue parole: Quando vi perse­
guiteranno in una città, fuggite in un’altra (Mt. 10, 23).
7. Ma chi può credere che con questo consiglio il Signore
abbia inteso che restasse privo del necessario servizio,
senza il quale non può vivere, il gregge che egli si è acqui­
stato col suo sangue? 8. Non ha fatto cosi egli stesso
quando ancor fanciullo, portato dai genitori, fuggì in
Egitto? Ma egli non aveva ancora radunato chiese che
noi possiamo dire essere state da lui abbandonate. 9. Che
forse l’apostolo Paolo non fu calato attraverso una fine­
stra in una cesta, per non essere preso dal nemico, e
cosi riuscì a sfuggirgli? Ma rimase forse priva del neces­
sario servizio la chiesa che stava li e non fu fatto quanto
era necessario dai fratelli che lì rimanevano? Infatti
l’apostolo agì così proprio perché lo volevano i fratelli,
per conservare alla chiesa se stesso, che il persecutore
cercava specificamente. 10. Perciò i servi di Cristo, mi­
nistri della sua parola e del suo sacramento, agiscano
come egli ha comandato o permesso. Fuggano senz’altro
di città in città, quando qualcuno di loro è cercato no­
minativamente dai persecutori, in maniera tale che la
chiesa non sia abbandonata dagli altri che non sono ri­
cercati allo stesso modo, ma questi somministrino nu­
trimento ai loro conservi, che essi sanno non poter vivere
Vita di Agostino 147

altrimenti. 11. Ma quando il pericolo è comune per tutti,


vescovi chierici e laici, coloro che hanno bisogno degli
altri non siano abbandonati da quelli di cui essi hanno
bisogno. Perciò o si trasferiscano tutti insieme in luoghi
fortificati, ovvero coloro che debbono necessariamente
rimanere non siano abbandonati da coloro che debbono
loro fornire quanto è necessario alla vita religiosa: so­
pravvivano allo stesso modo o patiscano allo stesso mo­
do ciò che il Padre di famiglia avrà voluto ch'essi pa­
tiscano.
(3) 12. Se poi alcuni soffrono di più e altri meno,
ovvero tutti allo stesso modo, sempre si potrà vedere
chi sono coloro che soffrono per gli altri, quelli cioè che,
pur potendosi sottrarre con la fuga a questi mali, hanno
preferito restare per non abbandonare gli altri nelle ne­
cessità. In tal modo si dà soprattutto prova di quell’amo­
re che l'apostolo Giovanni raccomanda con queste paro­
le: Come Cristo ha dato per noi la sua vita, cosi anche
noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv. 3, 16).
13. Infatti coloro che fuggono ovvero non possono fuggi­
re perché impediti da qualche loro necessità, se sono
presi e soffrono, soffrono per sé stessi, non per i loro
fratelli. Invece coloro che soffrono perché non hanno
voluto abbandonare i fratelli che avevano bisogno di
loro per la salvezza in Cristo, questi senza dubbio danno
la loro vita per i fratelli.
(4) 14. Quanto poi alle parole che abbiamo udito
da un vescovo: « Se il Signore ci ha comandato di fug­
gire in quelle persecuzioni in cui si può ottenere il frut­
to del martirio, non dobbiamo tanto più fuggire i pati­
menti che non danno frutto, quando c’è un'incursione di
barbari ostili? »: consiglio vero e accettabile, ma solo da
parte di chi non è vincolato da un ufficio della chiesa.
15. Infatti se uno, pur potendo fuggire, non fugge dinan­
zi alle stragi dei nemici per non abbandonare il ministero
di Cristo senza il quale gli uomini non possono né di­
148 Possidio

ventare cristiani né vivere come tali, questo mette in pra­


tica l'amore, più di colui che fugge pensando a sé e non
ai fratelli e che pur poi preso non nega Cristo e ottiene
il martirio.
(5) 16. Che cosa è poi quel che hai scritto nella
prima lettera? Dici infatti: « Se poi dobbiamo rimanere
nelle chiese, non vedo in che cosa gioveremo a noi o al
popolo nel vedere gli uomini cadere davanti ai nostri
occhi, le donne violentate, le chiese incendiate, noi stessi
venir meno sotto i tormenti, quando cercano da noi ciò
che non abbiamo ». 17. Dio può prestare ascolto alle pre­
ghiere della sua famiglia e tener lontani i midi che noi
temiamo: ma a causa di questi mali, che sono incerti,
non deve esser certo l’abbandono del nostro ministero,
senza il quale è certa la rovina del popolo nelle cose non
di questa vita ma di quell’altra, di cui ci dobbiamo pren­
der cura in maniera incomparabilmente più attenta e
sollecita. 18. Infatti se fosse cosa certa che questi mali
che temiamo sopravvengono nei luoghi nei quali ci tro­
viamo, di qui fuggirebbero prima tutti coloro a causa
dei quali noi dobbiamo rimanere e cosi ci libererebbero
dalla necessità di rimanere. Nessuno infatti sostiene che
i ministri di Dio debbono rimanere là dove non c’è nes­
suno cui prestare la propria opera. 19. In tal senso alcuni
vescovi sono fuggiti dalla Spagna, poiché il popolo in
parte si era disperso nella fuga, in parte era stato ucciso,
in parte era morto durante l'assedio, in parte era stato
disperso in servitù. Ma molti di più sono stati i vescovi
che, poiché rimanevano nelle loro sedi coloro a causa
dei quali essi pure dovevano rimanere, sono restati an-
ch'essi esposti agli stessi innumerevoli pericoli. E se al­
cuni hanno abbandonato i loro fedeli, proprio questo
noi diciamo che non si deve fare. Infatti costoro non so­
no stati ispirati dall'autorità divina ma sono stati o tratti
in inganno da errore umano o sopraffatti da umano
timore.
Vita di Agostino 149

(6) 20. Come mai infatti essi ritengono che si deb­


ba ubbidire fedelmente al comando divino, quando leg­
gono che si deve fuggire da una città nell'altra, ma invece
non hanno in orrore il mercenario che vede venire il
lupo e fugge, perché non si preoccupa delle pecore (Gv.
10, 12)? Perché mai queste due sentenze, che sono pro­
prio del Signore, quella che permette e comanda la fuga,
e quella che la rimprovera e la condanna, essi non cer­
cano di interpretarle in modo che non risultino fra loro
in contraddizione, come effettivamente non lo sono?
21. E in che modo questo può farsi se non facendo at­
tenzione a ciò che ho già detto sopra? Cioè che, se la
persecuzione minaccia i luoghi nei quali siamo, i mini­
stri di Dio debbono fuggire, quando o li non ci siano più
fedeli, cui prestar servizio, ovvero il necessario servizio
può essere espletato da altri che non hanno lo stesso
motivo per fuggire. 22. Cosi fuggì l'apostolo, come so­
pra ho ricordato, calato in una cesta, perché proprio lui
era ricercato dal persecutore, mentre non si trovavano
in tale necessità gli altri, che perciò si guardarono bene
dall'abbandonare il servizio della chiesa. Cosi fuggì il
santo Atanasio, vescovo di Alessandria, poiché l'impera­
tore Costanzo desiderava catturare proprio lui e la co­
munità cattolica che rimaneva ad Alessandria non veni­
va abbandonata dagli altri ministri. 23. Ma quando il
popolo resta e invece fuggono i ministri e finisce il ser­
vizio, che cosa sarà quest’azione se non la riprovevole
fuga dei mercenari, che non si danno cura delle pecore?
Infatti verrà il lupo, non un uomo ma il diavolo, che
spesso ha persuaso ad apostatare i fedeli cui mancava la
quotidiana amministrazione del corpo del Signore. Così,
a causa non della tua scienza ma della tua ignoranza,
fratello, perirà il debole per il quale è morto Cristo.
(7) 24. Per quanto poi riguarda coloro che in tale
distretta non sono tratti in fallo dall'errore ma sono vinti
dalla paura, perché piuttosto essi, con l'aiuto del Signo­
150 Possidio

re misericordioso, non combattono coraggiosamente con­


tro il loro timore? Cosi eviteranno che tocchino loro
mali incomparabilmente più gravi, che perciò sono molto
più da temere. 25. Ciò avviene dove arde l'amore di Dio
e la cupidigia del mondo non esala il suo fumo. Dice
infatti l’amore: Chi è debole ed io non son debole? Chi
viene scandalizzato ed io non brucio? (2 Cor. 11, 29).
Ma l'amore viene da Dio: preghiamo che ci sia concesso
da colui da cui viene comandato. Perciò temiamo che le
pecore di Cristo siano colpite nell'animo dalla spada del­
lo spirito del male più che siano uccise dal ferro nel
corpo, che — quando che sia e come che sia — dovrà
morire. 26. Temiamo che, corrotto il senso interiore,
venga meno la purezza della fede, più che le donne ven­
gano violentate nella carne: infatti la pudicizia non vie­
ne violentata dalla violenza, se si conserva nell'anima,
perché neppure la carne è violentata se la volontà di chi
subisce non gode turpemente della sua carne, ma senza
acconsentire sopporta ciò che fa un altro. 27. Temiamo
che, a causa del nostro abbandono, si estinguano le pie­
tre vive, più che alla nostra presenza vengano incen­
diate le pietre e la legna degli edifici materiali. Temiamo
che, prive dell’alimento spirituale, siano uccise le mem­
bra del corpo di Cristo, più che le membra del nostro
corpo siano oppresse e tormentate dall’aggressione del
nemico. 28. Non perché questi malanni non debbano
essere evitati, quando è possibile: ma perché debbono
piuttosto essere sopportati, quando non possono essere
evitati senza empietà. A meno che uno non voglia soste­
nere che non è empio il ministro, che sottrae il servizio
necessario alla pietà proprio allora quando è più ne­
cessario.
(8) 29. O forse, quando si arriva a questo estr
pericolo e non c’è possibilità alcuna di fuggire, non
pensiamo quanta gente di ogni sesso e di ogni età si ri­
fugia in chiesa: alcuni che chiedono il battesimo, altri la
Vita di Agostino 151

riconciliazione, altri anche l'azione penitenziale42, e tutti


conforto e celebrazione e distribuzione dei sacramenti?
30. E se qui mancano i ministri, quanta rovina colpisce
coloro che escono da questa vita o non rigenerati o non
assolti? Quanto sarà il dolore dei fedeli per i loro cari
che non potranno insieme con loro godere il riposo della
vita eterna? Quanto infine il pianto di tutti, e quante
bestemmie da parte di alcuni, per l'assenza del servizio
e dei ministri? 31. Osserva quali effetti produca la paura
dei mali temporali e quanto facilmente essa sia causa di
mali eterni. Se invece ci sono i ministri, si viene incontro
alle necessità di tutti secondo le capacità che Dio conce­
de: alcuni sono battezzati, altri riconciliati, nessuno è
privato della comunione col corpo del Signore, tutti sono
consolati edificati esortati a pregare Dio, il quale può
tener lontani tutti i mali che uno teme: tutti pronti ad
ambedue le sorti, si che, se non può passare da loro que­
sto calice, si compia la volontà di colui che non può vo­
lere alcunché di male (Mt. 26, 42).
(9) 32. Certamente ormai tu vedi ciò che scriv
di non vedere, cioè quanto bene venga al popolo cristia­
no, se nei mali che ci affliggono non gli manca la pre­
senza dei ministri di Dio; e vedi anche quanto nuoccia
la loro assenza, quando essi cercano il loro vantaggio,
non quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21), e non hanno
quell’amore del quale è stato detto: Non cerca ciò eh’è
suo (1 Cor. 13, 5), e non imitano colui che ha detto:
Non cercando ciò eh'è utile a me ma ciò eh’è utile a molti,
perché siano salvi (1 Cor. 10, 33). 33. Questo non si sa­
rebbe sottratto alle insidie del principe persecutore, se

42 Si tratta della penitenza pubblica, per peccati particolar­


mente gravi, che doveva essere richiesta dal colpevole. Essa,
dopo un periodo di tempo da determinarsi in base alla gravità
dei peccati, veniva conclusa dalla riconciliazione. Questa po­
teva essere anticipata in caso di pericolo di morte del peni­
tente, e proprio questa evenienza ha qui di mira Agostino.
152 Possidio

non avesse voluto conservarsi in vita per gli altri, ai quali


egli era necessario. Per questo dice: Sono stretto da due
parti, desiderando andarmene ed essere con Cristo: sa­
rebbe infatti molto meglio; ma è necessario rimanere
nella carne a causa di voi (Fil. 1, 23).
(10) 34. A questo punto uno potrebbe osservare
che, aH'approssimarsi di tali sciagure, i ministri di Dio
debbono fuggire per conservarsi all'utilità della chiesa
nell’attesa di tempi più tranquilli. Giustamente alcuni
fanno cosi, quando non mancano altri che possano atten­
dere al servizio ecclesiastico in vece loro, si che il ser­
vizio non venga abbandonato da tutti: abbiamo detto so­
pra che cosi agi Atanasio. Quanto infatti egli sia stato
necessario per la chiesa e quanto a questa abbia giovato
il fatto che quello sia restato in vita, lo sa bene la fede
cattolica, che dalla parola e dall’abnegazione di quell'uo­
mo fu difesa contro gli eretici ariani. 35. Ma quando il
pericolo è di tutti, e c’è più da temere che, se uno fa
cosi, ciò venga attribuito non all'intenzione di provvede­
re alla chiesa ma alla paura di morire, e col cattivo esem­
pio della fuga uno nuoce di più di quanto potrebbe gio­
vare col sopravvivere per il servizio, allora assolutamente
non ci si deve comportare cosi. 36. Infatti, per evitare
che fosse estinta, come sta scritto, la luce d'Israele, il
santo Davide non si espose ai pericoli della battaglia (2
Sam. 21, 17), ma agi cosi perché fu pregato dai suoi,
non di propria iniziativa. Altrimenti avrebbe spinto ad
imitarlo nella viltà molti, i quali avrebbero pensato che
egli agiva cosi non in considerazione dell'utilità degli
altri, ma solo perché turbato per il suo pericolo.
(11) 37. Qui ci si presenta un’altra questione, che
non va tralasciata. Abbiamo visto che non è da trascu­
rare l’opportunità che alcuni ministri di Dio fuggano al-
l’approssimarsi di qualche devastazione, al fine che siano
salvi quelli che possano prestare il servizio a quanti
dopo il flagello potranno trovare superstiti: ma allora
Vita di Agostino 153

come ci si deve comportare nel caso che si preveda la


morte di tutti, se qualcuno non fugge? 38. Che cosa di­
remo se quel flagello imperversa soltanto col fine di per­
seguitare i ministri della chiesa? Dovrà forse essere ab­
bandonata dai ministri che fuggono quella chiesa che pur
sarebbe lasciata in abbandono da quelli miseramente
periti? Ma se i laici non sono ricercati a morte, essi in
qualche modo possono nascondere i loro vescovi e i loro
chierici, secondo che li aiuterà colui in cui potere è ogni
cosa, che può con la sua mirabile potenza salvare anche
quelli che non fuggono. 39. Ma noi ricerchiamo che cosa
dobbiamo fare, proprio perché non si creda che atten­
dendo miracoli divini in ogni cosa tentiamo il Signo­
re. Certo questa tempesta, in cui è comune il pericolo
di laici e chierici, non è come quella che minaccia co­
mune pericolo ai marinai e ai commercianti che stanno
su una nave. Non voglio pensare che questa nostra nave
sia considerata cosi dappoco che la debbano abbandona­
re tutti i marinai, e perfino il nocchiero, se si possono
salvare passando su una scialuppa o anche a nuoto.
40. Per coloro infatti che temiamo periscano per il nostro
abbandono, noi temiamo non la morte temporale, che
quando che sia sopravverrà, ma la morte eterna, che
può venire, se uno non sta attento, ma può anche non
venire, se uno sta attento. 41. Nel comune pericolo di
questa vita perché dobbiamo credere che, dovunque ci
sarà un’incursione di nemici, li moriranno tutti i chierici
e non anche tutti i laici, si che finiscano di vivere insieme
anche coloro cui i chierici son necessari? Ovvero, per­
ché non dobbiamo sperare che alla pari di alcuni laici
resteranno in vita anche alcuni chierici, che potranno am­
ministrare a quelli il necessario servizio?
(12) 42. Eppure, volesse il cielo che fra i min
di Dio ci fosse gara per chi di loro debbano rimanere e
chi di loro debbano fuggire, perché la chiesa non resti
deserta o per la fuga di tutti o per la morte di tutti!
154 Possidio

Certo tale gara ci sarà fra loro se tutti ardono di amore


e tutti sono graditi all’Amore. 43. Che se questa contesa
non potrà esser risolta in altro modo, io credo che coloro
che debbono restare e coloro che possono fuggire vada­
no estratti a sorte. Infatti coloro i quali diranno che essi
preferiscono fuggire o sembreranno pavidi, perché non
hanno voluto sopportare la sciagura incombente, o pre­
suntuosi, perché hanno giudicato sé stessi più necessari,
si da dover esser salvati. 44. D’altra parte, forse proprio
i migliori sceglierebbero di dare la vita per i fratelli, e
cosi con la fuga si salverebbero quelli la cui vita è meno
utile, perché minore è la loro abilità nel consigliare e
nel dirigere. Proprio questi ultimi, se sapessero ragiona­
re piamente, si dovrebbero opporre a coloro che sarebbe
opportuno restassero in vita e che invece preferiscono
morire piuttosto che fuggire. 45. Perciò, com’è scritto, il
sorteggio mette fine alle contestazioni e decide fra i po­
tenti (Prov. 18, 18). È meglio infatti che in tali incer­
tezze decida Dio piuttosto che gli uomini, sia che voglia
chiamare al frutto del martirio i migliori e risparmiare i
deboli, sia che voglia rendere costoro più forti per sop­
portare i mali e sottrarli a questa vita, perché la loro
vita non può essere utile alla chiesa quanto la vita di
quelli. Certo si metterà in opera un mezzo poco usato,
se si farà questo sorteggio: ma se si farà cosi, chi oserà
biasimarlo? Chi non lo loderà adeguatamente, a meno
che non sia inetto o invidioso? 46. Se poi non si vuol
fare una cosa di cui non c’è esempio, nessuno con la sua
fuga deve privare la chiesa del servizio necessario e do­
vuto soprattutto in cosi grandi pericoli. Nessuno consi­
deri tanto se stesso quasi che eccella per qualche gra­
zia, e dica di esser più degno della vita e perciò della
fuga. Chi infatti la pensa cosi ama troppo se stesso; e
chi lo dice pure, risulta odioso a tutti.
(13) 47. Alcuni poi ritengono che vescovi e chie
non fuggendo in tali pericoli ma rimanendo dove sono,
Vita di Agostino 155

inducano in inganno i fedeli: questi infatti non fuggono


perché vedono che restano i loro capi. 48. Ma è facile
evitare tale rimprovero e l’odiosità che ne potrebbe risul­
tare, parlando ai fedeli in questo modo: « Non vi tragga
in inganno il fatto che noi non fuggiamo di qui. Infatti
rimaniamo qui non per noi ma proprio per voi, per non
mancare di amministrarvi ciò che sappiamo essere neces­
sario alla vostra salvezza, ch'è in Cristo. Anzi, se vorrete
fuggire, liberate anche noi da questi vincoli che ci lega­
no qui ». 49. Ritengo che cosi si debba parlare, quando
sembra veramente utile trasferirsi in luoghi più sicuri.
Può accadere che, udite queste parole, qualcuno dica:
« Siamo nelle mani di colui, la cui ira nessuno sfugge,
dovunque vada, e la cui misericordia può trovare, dovun­
que sia », e non vuole andare, sia perché impedito da
certe necessità sia perché non vuole affaticarsi a cercare
un incerto rifugio non per metter fine ai pericoli ma solo
per cambiarli: certamente costoro non debbono esser
lasciati privi del servizio della religione cristiana. Se
invece, all'udir quelle parole, preferiranno andar via,
allora non debbono restare neppure quelli che restavano
a causa loro, perché ormai li non ci son più persone per
le quali essi dovrebbero restare.
(14) 50. Insomma: chiunque fugge in condiz
tali che la sua fuga non lasci la chiesa priva del necessa­
rio servizio, questi fa ciò che il Signore ha comandato
o permesso. Ma chi fugge e cosi sottrae al gregge di
Cristo gli alimenti che lo nutrono spiritualmente, que­
sti è il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché
non gl'interessa delle pecore (Gv. 10, 12). 51. Ecco ciò
che ho risposto, fratello carissimo, alle tue richieste, se­
condo quanto ho ritenuto vero e ispirato da sicuro amo­
re: ma se tu troverai di meglio, non faccio obiezione al
tuo pensiero. D’altra parte, non possiamo trovare me­
glio da fare in tali pericoli, se non pregare il Signore Dio
nostro, perché abbia pietà di noi. Proprio questo, per
156 Possidio

dono di Dio alcuni uomini prudenti e santi hanno meri­


tato di volere e di fare, cioè di non abbandonare le chiese,
e non vennero meno al loro proposito a causa della lin­
gua dei calunniatori.

Morte di Agostino

31, 1. Quel sant’uomo, nella lunga vita che Dio gli


aveva concesso per l'utilità e il bene della santa chiesa
(infatti visse 76 anni, e circa 40 anni da prete e vescovo),
parlando con noi familiarmente era solito dire che, rice­
vuto il battesimo, neppure i cristiani e i sacerdoti più
apprezzati debbono separarsi dell corpo senza degna e
adatta penitenza. 2. In tal modo egli si comportò nella
sua ultima malattia: fece trascrivere i salmi davidici che
trattano della penitenza43 — sono molto pochi — e fece
affiggere i fogli contro la parete, cosi che stando a letto
durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e
piangeva ininterrottamente a calde lacrime. 3. Perché
nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci
giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo,
di non far entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in
cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da
mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in
tutto quel tempo stette in preghiera.
4. Fino alla sua ultima malattia predicò in ch
la parola di Dio ininterrottamente, con zelo e con forza,
con lucidità e intelligenza. 5. Conservando intatte tutte
le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre noi
eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli — co­
me fu scritto — si addormentò coi suoi padri, in prospe­
ra vecchiaia (1 Re, 2, 10) 44. Per accompagnare la deposi-

43 Possidio si riferisce a qualcuno dei salmi penitenziali (6,


31, 37, 50, 101, 129, 142) senza precisarlo.
44 II 28 agosto 430.
Vita di Agostino 157

zione del suo corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in no­


stra presenza, e poi fu sepolto. 6. Non fece testamento,
perché povero di Dio non aveva motivo di farlo. Racco­
mandava sempre di conservare diligentemente per i po­
steri la biblioteca della chiesa con tutti i codici. Quel
che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti, affidò al
prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione
della casa annessa alla chiesa. 7. Né durante la vita né
al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli
dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel modo
consueto nel mondo. Quando viveva, dava a costoro, se
era necessario, quel che usava dare agli altri, non per­
ché avessero ricchezze ma perché non fossero poveri e
non lo fossero troppo. 8. Lasciò alla chiesa clero abbon­
dante e monasteri di uomini e donne praticanti la conti­
nenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti
libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali si
può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua
grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano
sempre vivo. In tal senso un poeta pagano, disponendo
che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed
elevato, dettò questa epigrafe: ■
Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la
[morte?
Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la m ia 45.
9. Dai suoi scritti risulta manifesto, per quan
dato di vedere alla luce della verità, che quel vescovo
caro e gradito a Dio visse in modo retto e integro nella
fede speranza e carità della chiesa cattolica; e ciò pos­
sono apprendere quelli che traggono giovamento dalla
lettura di ciò ch'egli scrisse intorno alla divinità. Ma io
credo che abbiano potuto trarre più profitto dal suo
contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando

45 Anche questi versi non si sa da chi siano stati composti.


158 Possidio

di persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che


ebbero pratica della sua vita quotidiana fra la gente.
10. Infatti fu non solo scriba dotto in ciò che riguarda
il regno dei cieli, che tira fuori dal suo tesoro cose nuove
e vecchie (Mt. 13, 52), e commerciante che, trovata una
perla preziosa, vendette ciò che aveva e la comprò (Mt.
13, 15 s.): ma fu anche uno di quelli di cui è stato scritto:
Cosi parlate e cosi fate (Giac. 2, 12), e di cui dice il Sal­
vatore: Chi avrà fatto e insegnato cosi agli uomini, que­
sto sarà detto grande nel regno dei cieli (Mt. 5, 19).
11. Prego ardentemente la vostra carità, voi che
gete questo scritto, che insieme con me rendiate grazie
a Dio onnipotente e benediciate il Signore, che mi ha
concesso l'intelligenza (Sai. 15, 7) per volere e avere la
capacità di trasmettere queste notizie alla conoscenza
di uomini vicini e lontani del nostro tempo e di quello a
venire. E pregate insieme con me e per me affinché, do­
po esser vissuto, per dono di Dio, in dolce familiarità
con quell'uomo per quasi 40 anni senza alcun contrasto,
possa emularlo e imitarlo in questa vita, e in quella
futura godere insieme con lui delle promesse di Dio on­
nipotente.
INDICE SCRITTU RISTICO

Antico Tobia Ecclesiastico


Testamento 12, 7 : 106 1, 18 : 142
Genesi Giobbe Isaia
9, 2 ss. : 133 1, 8 : 39 7, 11 : 94
17, 21 : 52 2, 3 : 39
18, 10 : 52 Ezechiele
21, 2 : 52 Salmi
25, 29 ss. : 133 3, 17 : 131
7, 17 : 76 18, 23 : 93
N umeri 15, 7 : 158 33, 7 : 131
30, 3 : 146 33, 11 : 93
11, 1 ss. : 134 49, 20 : 101
20, 17 : 133 75, 9 : 88 Daniele
100, 5 : 101
Deuteronomio 101, 10 : 93 14, 32 ss. : 49
18, 1 ss. : 135 111, 10 : 118
118, 37 : 94 Nuovo
118, 57 : 95
Giosuè 118, 137 : 144 Testamento
10, 12 s. : 87 119, 7 : 118
124, 3 : 88 M atteo
2 Samuele 136, 9 : 94
140, 4 : 94, 137 3, 4 : 133
8, 5 ss. : 73 4, 3 : 133
12, 13 : 93 Proverbi 5, 15 : 111
21, 17 : 152 5, 19 : 158
23, 15 ss. : 133 14, 30 : 142 5, 23 s. : 138
16, 24 : 71 6, 12 : 138, 140
1 Re 18, 17 : 93 6, 19 s. : 90
18, 18 : 154 6, 33 : 49
2, 10 : 156 20, 13 : 101 10, 10 : 73
17, 4 ss. : 49 25, 20 : 142 10, 23 : 44, 146
17, 6 : 133 13, 15 s. : 158
Cantica 13, 52 : 158
2 Re 18, 6 : 79
4, 4 : 73 18, 15 s. : 138
4, 34 : 87 7, 4 : 73 18, 21 s. : 138
160 Indice scrltturistico

19, 20 : 37 Romani 1 Timoteo


19, 21 : 108
19, 29 : 95 9, 21 : 109 1, 5 : 105
26, 42 : 151 14, 13 : 138 3, 6 : 38
27, 25 : 73 4, 4 s. : 133
1 Corinti 5, 24 : 134
Marco
3, 12 : 108 2 Tim oteo
1, 24 : 78 5, 5 : 96 3, 17 : 109
6, 1 ss. : 130 4, 2 : 131
Luca 8, 9 : 138 4, 7 s. : 56
9, 13 : 135 4, 8 : 120
1, 5 ss. : 52 10, 4 : 94
2, 51 : 79 10, 33 : 151 Tito
4, 34 : 78 12, 26 : 114
10, 39 s. : 136 13, 5 : 151 1, 9 : 112
11, 15 : 78
12, 32 s. : 108 2 Corinti Ebrei
16, 9 : 94
19, 1 ss. : 58 1, 3 : 144 4, 13 : 93
21, 18 : 89 2, 8 : 93
2, 15 : 113 Giacomo
Giovanni 8, 9 : 92 1, 17 : 106
11, 28 : 92 1, 27 : 139
5, 35 : 111 11, 29 : 150 2, 12 : 158
9, 29 : 78 12, 6 : 106
10, 12 : 149, 155 1 Pietro
11, 49 s. : 57 E fesini
14, 12 : 75 3, 15 : 112
5, 2 : 113
A tti 1 Giovanni
F ilippesi 3, 16 : 147
2, 3 : 95
4, 34 ss. : 110 1,21 : 90 Apocalisse
8, 27 s. : 38 1, 23 : 152
9, 25 : 41 2, 12 : 115 7, 3 : 44
13, 26 : 113, 115 2, 21 : 132, 133, 151 13, 6 : 88

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