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Ippolito

LE BENEDIZIONI
DI GIACOBBE
Traduzione introduzione e note
a cura di Manlio Simonetti

città nuova editrice


INTRODUZIONE

1. Ippolito

Sulla personalità ecclesiale e letteraria di Ippolito gli


studiosi del cristianesimo antico discutono da più di un
secolo; e se tali discussioni hanno permesso di accertare
una quantità di dati particolari, sulla ricostruzione d'in­
sieme i pareri sono più che mai discordi. Perciò, nelle
pagine che seguono, presenterò i dati essenziali della di­
scussione, a partire ovviamente dalle fonti per terminare
con i risultati e le ipotesi più recenti.
Eusebio di Cesarea fHist. eccl. VI,20.22), agl’inizi
del IV secolo, conosce un Ippolito capo di una comunità
cristiana non identificata agli inizi del III secolo, autore
di un calcolo cronologico sulla Pasqua e di un canone
pasquale di 16 anni a partire dal primo anno dell'impe­
ratore Alessandro Severo (222) Tra i vari scritti che si
conoscono di tale autore, Eusebio dice di conoscere:
S ull’Esamerone, Su ciò che segue l’Esamerone 2, Con­
tro Marcione, Sul Cantico, Su alcune parti di Ezechie­
1 C o m e noto, la d a ta d ella P asqua non ricorre in un giorno fisso
dell'an n o , va d eterm in a ta sulla base delle fasi lunari. Giò com ­
p ortò sem pre difficoltà n ella Chiesa antica: di qui u n fiorire di com ­
p u ti e di sistem i al fine di su p erare queste difficoltà. Quello rico rd a­
to d a E usebio com e di Ippolito è fra i più an tich i di cui a b b iam o no­
tizia.
2 Sull'Esam erone doveva essere u n ’in terpretazione del racconto
6 Introduzione

le, Sulla Pasqua, Contro tutte le eresie. Vari decenni


dopo, Girolamo (Vir. ili. 61) dice di non essere riuscito
ad accertare la sede di cui era vescovo Ippolito, e aggiun­
ge alcune altre opere a quelle già conosciute da Eusebio,
soprattutto opere di commento a libri della Sacra Scrit­
tura: Genesi, Esodo, Salmi, Isaia, Daniele, Apocalissi,
ecc. 3, e due trattati: De Antichristo e De resurrectione.
Nella I metà del V secolo, Teodoreto di Ciro cita fram­
menti di Ippolito tratti da interpretazioni di Salmi,
Isaia, e altri libri scritturistici. Nel IX secolo, il patriarca
di Costantinopoli Fozio ('Biblioth. 121) conosce di Ippo­
lito, discepolo di Ireneo, un Syntagm a contro tu tte le
eresie che trattava di 32 eresie, da Dositeo a Noeto, e
inoltre il Commento a Daniele e il De Antichristo. Nel
X IV secolo, lo scrittore siriaco Ebed-Jesu conosce di Ip­
polito, oltre ad altre opere, Capitoli contro Gaio e
un ’Apologià dell'Apocalissi e del Vangelo di Giovanni.
Teodoreto ed Ebed-Jesu definiscono Ippolito vescovo
e martire.
In effetti, la Depositio m artyrum , un documento ro­
mano del 336, registra al 13 di agosto la memoria dei
martiri Ippolito, sulla via Tiburtina, e Ponziano, nel ci­
mitero di Callisto; e il Catalogo Liberiano, di qualche
decennio posteriore, informa che nel 235 papa Ponziano
fu relegato in Sardegna insieme col prete Ippolito e li
mori il 28 settembre. Qualche anno dopo, Damaso, in
un epigramma (n. 35 dell'ediz. Ferrua), presenta Ippolito
come un prete romano, che dopo aver aderito allo sci­
sma di Novato (= Novaziano) sarebbe morto martire
della vera fede. Intorno alla fine del IV secolo, Pruden-

biblico della creazione del m ondo e dell'uom o in sei giorni; l’a ltra
opera com m entava i capitoli successivi della Genesi, non sappiam o
fino a che punto.
3 F ra tali opere G irolam o ricorda anche u n tra tta to De Saul et
Pythonissa, relativo a ll’episodio racco n tato in 1 Sam . 28.
Introduzione 7

zio, nel c. 11 del Peristephanon, dedicato appunto al


martire Ippolito, riporta una versione leggendaria del
suo martirio, da cui risulta che egli conosceva luoghi di
culto di Ippolito a Roma e a Porto (= Ostia). In effetti, a
partire da questo periodo si moltiplicano le notizie di ca­
rattere agiografico, occidentali e orientali, che conosco­
no Ippolito martire o di Roma o di Porto. Anche Girola­
mo ha occasione di ricordare il martire Ippolito e ripor­
ta un passo di una sua opera 4, ma senza metterlo in rap­
porto con lo scrittore Ippolito. Fonti orientali conosco­
no Ippolito, oltre che come martire, anche come vescovo
o di Roma o di Porto. Papa Gelasio, invece (fine del V se­
colo), lo dice vescovo di una città di Arabia.
Nel 1551, nell’ager Veranus vicino alla via Tiburti­
na, fu ritrovata una statua fortemente mutila, che con­
stava di un trono marmoreo e della parte inferiore di una
figura molto malridotta. Sui lati del trono è inciso un
computo pasquale che inizia col primo anno dell’impero
di Alessandro Severo, e sul retro sono incisi i titoli di al­
cune opere. Due titoli sono mutili; ecco gli altri: Sui Sal­
mi, Sulla pitonessa, Per il Vangelo di Giovanni e
l’Apocalissi, Tradizione apostolica sui carism i. Crona­
ca, Contro i Greci e contro Platone o Sull’universo
(Peri pantós), Esortazione a Severina, Dimostrazione
del tem po di Pasqua e tavola pasquale, Odi su tu tte le
Scritture, Su Dio e la risurrezione della carne, Sul
bene e donde viene il m ale 5. L'umanista Pirro Ligorio,

4 La trad u zione di questo passo segue, nel nostro libro, im m e­


d ia tam en te q uella de Le benedizioni di Giacobbe ed è contrassegna­
ta com e fram m ento 7.
5 Di questi titoli, non tenendo conto di Odi su tutta la Scrittura
perché troppo generico, soltan to la D imostrazione del tempo di Pa­
squa, ecc. tro v a riscontro n ell’elenco fornito da Eusebio; h anno ri­
scontro nella lista di G irolam o: S u i Salm i, Sulla Pitonessa-, il S u Dio
e la risurrezione della carne può corrispondere al De resurrectione;
più aleato ria risu lta invece la corrispondenza fra Per il Vangelo di
G iovanni e l'Apocalissi della sta tu a e il De Apocalypsi di G irolam o.
8 Introduzione

che curò il restauro e la sistemazione della statua, iden­


tificò subito il computo pasquale con quello di cui par­
lava Eusebio, ma solo dopo un intervallo di alcuni anni
fece restaurare la statua in forma maschile, facendone
cosi la statua di sant’Ippolito, che tuttora si ammira
all’ingresso della Biblioteca Vaticana.
Nel 1842, si ebbe conoscenza di un manoscritto del
Monte Athos contenente una Confutazione di tu tte le
eresie in 10 libri, mancante però dei prim i tre. Il primo
libro di questa opera era già conosciuto sotto il nome di
Origene, e tutta l’opera fu pubblicata nel 1851 col titolo
di Philosophoumena, autore Origene. Ma subito ci si
accorse che tale attribuzione non stava in piedi: infatti,
l’autore si dà a conoscere per un cristiano che vive a
Roma al tempo dei papi Zefirino e Callisto, cioè nei pri­
mi decenni del III secolo, acerrimo nemico di Callisto
per motivi dottrinali e disciplinari e per tal motivo usci­
to dalla comunità facente capo a Callisto, per organiz­
zarne una propria. Alcuni riferimenti interni dell’opera
trovano riscontro in opere conosciute come di Ippolito:
a 10,30,1, l’autore fa riferimento ad un suo Chronicon
che trova riscontro in quello indicato nella statua; a
10,32,4, rimanda ad un suo trattato Sull'essenza
dell’universo, che fa pensare al Peri pantós indicato
nella statua; nel prologo, ricorda una sua precedente
opera antieretica che è stata identificata col Syntagm a
conosciuto da Fozio.
Nel 1853,1. Dòllinger, mettendo insieme i dati relati­
vi al prete e martire romano di nome Ippolito, allo scrit­
tore Ippolito conosciuto da Eusebio, Girolamo, ecc., al
personaggio della statua e all’autore dei cosiddetti Philo­
sophoumena, proponeva 6 una ricostruzione che, pur
incontrando vivaci opposizioni, finiva per imporsi e

6 H ippolytus und Kallistus oder die R óm ische Kirche in der ersten


Hàlfte des dritten Jahrhunderts, R egensburg 1853.
Introduzione 9

fondare cosi /'opinio com m unis sul nostro personaggio


nella prima metà del nostro secolo. Secondo tale rico­
struzione, Ippolito sarebbe stato un cristiano di alta
condizione sociale, in contatto anche con la corte dei
Severi, prete a Roma nella comunità presieduta da Calli­
sto e autore delle opere, in gran parte perdute, ricondotte
a lui dalle varie fonti (Eusebio, Girolamo, statua, ecc.).
Entrato in contrasto con Callisto per i motivi sopra
accennati, egli sarebbe uscito dalla comunità cattolica
di Roma e sarebbe diventato « antipapa », cioè capo di
una comunità scismatica di Roma. Deportato in Sarde­
gna, a causa della fede, nel 235, insieme con papa Pon-
ziano, vi sarebbe morto e perciò sarebbe stato considera­
to martire della fede, si pensa in forza di una sua finale
riconciliazione con la comunità cattolica. I suoi segua­
ci gli avrebbero dedicato, ancora lui vivente, la statua
col computo pasquale e l’elenco di alcune opere, e la sua
memoria sarebbe stata venerata nel luogo ove la statua
stessa sarebbe stata rinvenuta, molti secoli dopo, presso
la via Tiburtina nell'ager Veranus.
Quando Dóllinger propose press’a poco questa rico­
struzione, ben poche opere si conoscevano delle tante ri­
cordate dalle varie fonti come d ’Ippolito. Ma col passare
del tempo parecchie altre sono state scoperte, qualcuna
nell’originale greco (Le benedizioni di Giacobbe), ma
soprattutto in traduzione in lingua orientale (Commen­
to al Cantico, Le benedizioni di Mosè, ecc.), mentre la
Tradizione apostolica veniva ricostruita sulla base di
altre opere successive che avevano incorporato quella
ippolitiana. Venivano inoltre portati alla luce una quanti­
tà di frammenti riportati nelle Catene7 o da altri autori.

7 Le Catene su Genesi, Esodo, Matteo, Marco, ecc. sono com m en­


ti ai lib ri della S acra S c rittu ra fatti m ettendo insiem e m ateriale
tra tto d a opere esegetiche di au to ri p iù antichi, si che p e r ogni v er­
setto del testo sacro si susseguono, spesso in form a riassuntiva, più
in terp retazio n i corred ate o gnuna d ai nom i dei singoli autori. Il ma-
10 Introduzione

In complesso, oggi, sotto il nome d'Ippolito f acciamo ri­


ferimento ad un blocco di opere di argomento esegetico
piuttosto compatto che per motivi di carattere interno si
riporta senza dubbio ad un unico autore: Sul Cantico,
Su Daniele, Su Davide e Golia, Le benedizioni di Gia­
cobbe, Le benedizioni di Mosè, De Antichristo 8. A tali
opere si aggiungono: i Philosophoum ena (o Confuta­
zione di tu tte le eresie)9, il Contra Noetum, la Tradi­
zione apostolica e la Cronaca, più numerosi frammenti
soprattutto di carattere esegetico, su Genesi, Salm i,
ecc., più alcuni frammenti derivati dal Peri pantós, da
un ’opera sulla risurrezione dedicata all'imperatrice Giu­
lia Mamea, ita//’Apologia dell’Apocalissi e del Vangelo
di Giovanni, e altri ancora 10.
Questa ricostruzione della figura e dell’opera di Ippo­
lito metteva insieme scritti che presentano fra loro diver­
genze anche notevoli di vario genere. Già nel suo Ippoli­
to di Roma, pubblicato a Roma nel 1925, A. Donini rile­
vava il contrasto fra le tendenze millenariste e gli spiriti
antiromani di opere come il Commento a Daniele e il

teriale esegetico tra tto dalle Catene va utilizzato con m olta cautela,
perché, a cau sa di om issioni e confusioni, non sem pre i nom i degli
au to ri u tilizzati nelle Catene sono atten d ib ili. Ciò nonostante, l’im ­
p o rtan z a di queste com pilazioni esegetiche è p er noi notevole, p e r­
ché solo da qui possiam o conoscere qualcosa di an tich i scritti ese­
getici an d a ti p erd u ti nel testo integrale. La p iù a n tica Catena che si
conosca fu fatta sui p rim i libri del VT da Procopio di Gaza nella p ri­
m a m età del VI secolo.
8 Anche q u est’u ltim a opera, p u r di c a ra tte re m onografico in
q u an to d ed icata a ll’A nticristo, in re a ltà è fondata su ll'in te rp re ta ­
zione di im a v asta silloge di passi del VT e NT p ertin en ti a questo
personaggio.
9 Q uest’op era viene c ita ta com unem ente com e Elenchos, cioè
Confutazione.
10 Del vasto m ateriale giunto a noi sotto il nom e di Ippolito, sia
alcune opere intere, com e Le benedizioni di Mosè, Sul Cantico, sia
vari fram m enti, ci sono pervenuti, com e a b b iam o già ricordato, sol­
ta n to grazie a traduzioni in lingue o rientali: arm eno, siriaco e a n ­
che arabo.
Introduzione 11

De Antichristo, e il tono antimillenarista di alcuni


frammenti: ma tale contrasto risolveva entro la trama
della ricostruzione vulgata del personaggio, supponendo
che Ippolito avrebbe mitigato i suoi sentimenti millena­
risti e antiromani, strettamente fra loro connessi, quan­
do a Roma entrò in contatto con l'ambiente sincretistico
che faceva capo alla famiglia imperiale dei Severi: la de­
dica di u n ’opera a Giulia Mamea potrebbe rappresentare
il segno evidente di questo accostamento.
Negli anni successivi, si ebbero contributi su punti
particolari dell’opera ippòlitiana, ma soltanto nel 1947
la discussione fu riaperta in grande stile da P. Nautin.
Q u esti11 mise in rilievo forti divergenze di carattere dot­
trinale e anche di formazione culturale fra il Contra
Noe tum e /'Elenchos, e notò discordanze in merito ai
dati cronologici della storia della salvezza fra la Cronaca
e il Commento a Daniele. Sulla base di questi e altri ar­
gomenti, Nautin distingueva le opere comunemente ri­
portate ad Ippolito in due blocchi: il primo costituito
ifa//’Elenchos, dai frammenti del Peri pantós e dalla
Cronaca, e di conseguenza dalle altre opere indicate nel­
la statua; l'altro blocco sarebbe costituito dalle opere
esegetiche Sul Cantico, Su Daniele, Su Davide e Golia,
Le benedizioni di Giacobbe e di Mosè, dal De Antichri­
sto, dalla Tradizione apostolica e dal Contra Noetum,
identificato con la parte finale del Syntagm a conosciu­
to da Fozio. L’autore di questo secondo blocco di opere
sarebbe un vescovo orientale, di nome Ippolito, vissuto
in una qualche sede orientale intorno alla metà del III
secolo. Per l'identificazione dell'autore del primo blocco
di opere, immortalato nella statua, Nautin propose il
nome di Iosepos (Giósippo), ricavato da alcune testimo­
nianze che riportano ad un autore di questo nome,

11 Hippolyte et Josipe. Contribution à l'histoire de la littérature


chrétienne du troisième siècle, Paris 1947.
12 Introduzione

usualmente identificato con lo scrittore giudaico Giu­


seppe Flavio, il Peri pantós, di cui ci è rimasto qualche
frammento. Questo Giosippo sarebbe stato un prete ro­
mano nemico di Callisto. Né l’uno né l’altro dei due per­
sonaggi avebbe avuto a che fare col martire romano Ip­
polito.
Questa tesi assolutamente rivoluzionaria suscitò
violentissime reazioni e quindi aspre polemiche fra Nau-
tin, da una parte, e Bardy, Richard, Botte, e altri, dall'al­
tra 12: il suo punto debole fu subito identificato in questo
fantomatico Giosippo, un autore che appariva scaturito
proprio dal nulla e sul quale i pochi dati a disposizione
si presentavano di ben fragile consistenza. Fra i molte­
plici contributi pubblicati in occasione di questa pole­
mica merita particolare risalto un articolo di dom Ca­
pette l3, che metteva in evidenza varie concordanze di
lingua e di stile fra le opere di ambedue i blocchi indivi­
duati da Nautin. Minore scalpore suscitò qualche anno
dopo questi fatti la pubblicazione di uno studio di J.M.
Hanssens 14, che nel contesto di uno studio di carattere
soprattutto liturgico degli scritti attribuiti ad Ippolito,
proponeva di ravvisare in questo personaggio, autore
delle svariate opere a lui attribuite, un prete di origine
probabilmente alessandrina, ma vissuto parecchio tem­
po a Roma e qui aderente allo scisma novaziano (metà
del III secolo).
Né questa tesi né quella ben più innovatrice di N au­
tin sembravano aver fatto breccia netta opinio com m u­
nis degli studiosi di patristica e di cristianesimo antico;
ma ormai la presentazione tradizionale del personaggio
non rivestiva più quel carattere apodittico con cui aveva

12 Per u n a bibliografia relativ a a queste polem iche cf. PO 27,


271s., e Vop.cit. a n. 15, p. 15.
13 Hippolyte de Rome, « Rev. Théol. Anc. M ed. », 1950, pp. 145 ss.
14 La liturgie d'Hippolyte. Ses docum ents, son titulaire, ses origi­
nes et son caractère, R om a 1959.
Introduzione 13

dominato la scena fino all’intervento di Nautin. Ma, per


far coagulare vecchie perplessità e nuove ipotesi in una
ennesima ripresa della discussione, bisognò attendere
due eventi di carattere archeologico.
Nel 1975, Margherita Guarducci, in una comunica­
zione presentata il 27 febbraio alla Pontificia Accade­
mia Romana di Archeologia, dimostrava che la statua
conosciuta come di sant’Ippolito, in realtà era stata
un'antica statua femminile, per la quale essa proponeva
il nome di Temista, un'autorevole rappresentante della
scuola di Epicuro. In effetti, come abbiamo sopra ricor­
dato, la statua allorché fu portata alla luce era ridotta
alla parte inferiore, si che non si era potuto riconoscere
se il personaggio seduto sul trono fosse di sesso maschile
o femminile. La ricostruzione di costui nelle fattezze di
Ippolito era stata ideata da Pirro Ligorio sulla base
dell’identificazione del computo pasquale inciso sui lati
del trono con quello che Eusebio riporta come di Ippoli­
to, il che aveva fatto pensare all’umanista che il perso­
naggio che sedeva originariamente sul trono non potesse
essere altri che Ippolito stesso. Peraltro, sopraluoghi
successivi all’intervento della Guarducci hanno confer­
mato in modo irrefutabile l'origine femminile della sta­
tua, si che ormai non si può più parlare di statua di
sant’Ippolito.
Questo evento, di per sé clamoroso, non incideva in
modo diretto sulla questione storico-letteraria, perché —
anche ormai ammessa l’origine femminile della statua
— restava il dato di fatto della convergenza del computo
del trono con quello eusebiano e di alcuni titoli delle ope­
re incise sul retro del trono con opere ormai comune­
mente ricondotte ad Ippolito. Rimaneva, inoltre, del tut­
to oscuro perché alcuni cristiani di Roma avessero avu­
to l’idea di incidere, nella seconda metà del III secolo, il
computo e titoli di opere d ’Ippolito su una statua di don­
na ch ’era stata scolpita un secolo prima. La Guarducci
14 Introduzione

ha proposto, come una possibile soluzione, che col pas­


sare del tempo si sarebbe perso l’originario significato
personale della statua (Temista), si che alcuni cristiani
ammiratori d ’Ippolito, prendendola per la personifica­
zione di qualche disciplina letteraria o scientifica, ne
avrebbero utilizzato il trono per incidervi le ben note
iscrizioni.
Più o meno nello stesso tempo in cui la Guarducci
faceva la sua clamorosa scoperta, una équipe dell’Istitu­
to di Archeologia Cristiana dell’Università di Roma, di­
retta da P. Testini, iniziava una serie di campagne di
scavo nell’Isola Sacra (Fiumicino) in una località in cui
esistono tuttora un campanile medievale e una fatiscen­
te cappellina sotto il nome di sant’Ippolito. Gli scavi
hanno portato alla luce una grande basilica, sotto il cui
altare è stato recuperato un sarcofago del Illsecolo con­
tenente frammenti ossei m isti a teira e, a mo' di autenti­
ca, una lastra di marmo con l’iscrizione, non anteriore
al IX secolo, hic requiescit beatus Ypolitus mar(tyr).
Ha trovato cosi conferma il dato emergente dal leggen­
dario racconto di Prudenzio sulla passione del martire
Ippolito, cioè che il culto di questo martire era celebrato
sia a Roma sia a Porto.
L ’interesse sollevato da queste scoperte archeologi-
che, pur interferendo solo marginalmente con la proble­
matica relativa alla personalità storico-letteraria di Ip­
polito, ha spinto alcuni studiosi italiani a riprendere in
esame anche questa questione. Cosi, il 23 ottobre 1976,
si è tenuta presso l’Istituto Patristico Augustinianum di
Roma una giornata di studi dedicati a fare il punto sulla
questione ippolitiana sotto l’aspetto archeologico, agio­
grafico, letterario e storico 15. Dal punto di vista storico­

15 I co n trib u ti p resen tati a questo convegno sono sta ti poi p u b ­


blicati in Ricerche su Ippolito, « A ugustinianum », R om a 1977. A
questo testo rinvio p e r u n ’inform azione p iù esau rien te sulla qu e­
stione ip p o litiana.
Introduzione 15

letterario, il convegno da una parte ha rilevato gli stretti


legami che collegano fra loro le superstiti opere esegeti­
che e che fanno gravitare in questo ambito anche il Con­
tra Noetum, dall'altra ha ribadito il forte divario che di­
vide fra loro i due gruppi di opere distinti da Nautin l6.
Sulla base di questi elementi e dei risultati delle recentis­
sime scoperte archeologiche, V. Loi ed io stesso abbiamo
proposto una ipotesi di lavoro che muove dalle intuizio­
ni di Nautin, ma le modifica in più di un punto impor­
tante: l) /'Elenchos e le opere incise sul lato della sta­
tua 17 appartengono ad uno stesso autore, Ippolito di
Roma, il prete avversario di Callisto e poi martire di cui
parlano le fonti antiche; 2) il blocco superstite di opere
esegetiche e il Contra N oetum sono da ricondurre ad un
vescovo e scrittore orientale operante qualche decennio
prima di Ippolito di Roma, a cavallo fra il II e il III se­
colo. I presentatori di tale ipotesi non hanno affatto sot­
tovalutato i riscontri di carattere linguistico e stilistico
che dom Capette ha trovato fra i due blocchi di opere, al­
cuni dei quali sono significativi; ma di fronte alle note­
voli divergenze che separano fra loro i due gruppi, hanno
ritenuto poco probabile che ambedue possano essere ri­
portati ad uno stesso autore che, come vuole Donini,
avrebbe subito nel corso della sua vita una profonda
evoluzione. Infatti, queste divergenze, oltre che di pen­
siero, sono anche di cultura e, vorrei aggiungere, di ca­
rattere: l'autore delle opere esegetiche, oltre che di spirito

16 R ispetto alla rip artizio n e o p era ta da N autin, La tradizione


apostolica sui carismi, è s ta ta sta cc ata dal blocco esegetico e inseri­
ta n ell’a ltro co stitu ito d a ll’Elenchos, ecc.
17 II fatto che VElenchos non com paia nella lista va spiegato
considerando che le incisioni sul trono della sta tu a furono fatte
poco dopo il 235, vivente ancora Ippolito, m entre la com posizione
dell'Elenchos, o m eglio, la fine della sua com posizione, va fissata
dopo, fra il 235 e il 236, anno in cui Ippolito fu d ep o rta to in S ard e­
gna. Va a tal proposito rilevato che 1'Elenchos p resen ta tracce di
u n a ste su ra non bene rifinita.
16 Introduzione

antiromano e di tendenza di fondo millenarista, è un


uomo tutto chiuso in un orizzonte culturale di tipo stret­
tamente ecclesiale, senza apertura di sorta per la cultura
classica; invece Ippolito di Roma, oltre che lealista e
non millenarista, è uomo di vasta cultura, in rapporto
con la corte imperiale, cui piace fare sfoggio della sua
erudizione e dei suoi interessi culturali e scientifici. Ecco
perché sembra preferibile pensare a due scritturi diversi
piuttosto che ad uno solo che avrebbe subito una pro­
fonda evoluzione interiore.
Per spiegare poi perché i due blocchi di opere siano
stati confusi insieme, sotto il nome di Ippolito, a partire
già da Eusebio, è stata proposta, con la massima caute­
la, l'ipotesi di due autori dello stesso nome, cosi come se
ne riscontrano altre in epoca patristica: si pensi ad Ori-
gene cristiano e Origene neoplatonico, perfettamente
contemporanei; ai due Gregori, addirittura amici fra
loro; a Leonzio di Bisanzio e Leonzio di Gerusalemme,
per secoli anch’essi confusi insieme e distinti soltanto in
base ai recenti studi di Richard l8.
Questa ipotesi di lavoro voleva essere soprattutto un
invito a riprendere in esame- l’intricata questione in

le A m m ettendo due au to ri dello stesso nom e, si risolvono non


soltan to alcune difficoltà inerenti le divergenze dei due blocchi di
opere am bedue tra m a n d a ti o com unque connessi col nom e d ’Ippo-
lito, m a anche quella in erente alla sede episcopale di Ippolito, che
fonti seriori indicano a R om a o a P orto, m en tre G irolam o d ich iara
di non essere riuscito a conoscerla, si che in tem pi m oderni si è ad ­
d irittu ra p en sato ad Ippolito com e a n tip a p a opposto a Callisto. È
ovvio che l’im barazzo in proposito sia sta to provocato in tem po
m olto an tico d alla connessione del m a rtire e scritto re Ippolito con
R om a e dalla identificazione di questo Ippolito con quello o rien ta­
le, che E usebio conosceva com e vescovo, p e r cui si pensò com e sua
sede sia R om a sia u n luogo vicino a R om a (Porto), sede di un culto
di Ip p o lito m a rtire . S eparando i due personaggi tu tto to m a a posto:
da u n a p a rte ab biam o l ’Ippolito orientale, vescovo di u n a sede non
determ inabile, e d a ll'a ltra l'Ip p o lito di R om a, scrittore, p rete, m a r­
tire, m a non vescovo.
Introduzione 17

modo più organico e completo di quanto non si sia fatto


finora, nella convinzione che soltanto un'analisi siste­
matica di tutto il materiale giuntoci sotto il nome di Ip­
polito, o comunque con lui collegato, può forse fornirci
qualche risultato meno aleatorio di quelli finora rag­
giunti. Basti pensare al cospicuo numero di frammenti
giuntici sotto il nome di questo scrittore e che andrebbe­
ro esaminati sistematicamente per accertare se confer­
mano, o no, la ripartizione delle opere ippolitiane fra due
diversi autori.
Sono già trascorsi alcuni anni dallo svolgimento di
questo convegno, ma non sembra che l’invito a riprende­
re in grande stile lo studio della questione ippolitiana
abbia finora riscosso grande successo. Varie sono state
le recensioni al volume in cui sono stati pubblicati i
contributi presentati al convegno, tutte genericamente
laudative ma tutte prive di prese di posizione critiche e
approfondite sull'argomento. In sostanza, la ricerca è
stata sporadicamente portata avanti solo in quegli am ­
bienti di studio, che avevano già fatto sentire la loro pre­
senza al convegno: e mentre Loi ha proposto di riportare
ad Ippolito di Roma l'omelia pseudo-crisostomica
In sanctum Pascha l9, altri contributi di carattere par­
ziale 20 confermavano in sostanza i risultati di fondo del
convegno, nel senso che, spingendo avanti la ricerca su
tempi specifici presenti nelle opere dei due blocchi, si
continuano a riscontrare, accanto a convergenze che
suggeriscono un contatto diretto fra le diverse opere, si­
gnificative divergenze che sembrano confermare l'ipote­
si di due autori diversi. La mia attuale impressione è che
anche questa ipotesi, se risolve molte aporie lasciate irri­

19 V. Loi, L ’omelia In sanctum Pascha di Ippolito di Roma, « Au­


g u stin ian u m », 1977, pp. 461 ss.
20 M.S. Troiano, A lcuni aspetti della dottrina dello Spirilo Santo
in Ippolito, « A ugustinianum », 1980, pp. 615 ss.; E. P rinzivalli,
Note sull’escatologia di Ippolito, « O rpheus », 1980, pp. 305 ss.
18 Introduzione

solte dalla opinione vulgata che riconosce un solo Ippo­


lito, non è sufficiente a risolverne altre: infatti, in qual­
che caso in cui si riscontrano divergenze anche profon­
de in scritti di argomento uguale, ci si può chiedere se,
piuttosto che pensare a opere di autori diversi, non sia
preferibile pensare ad una sola opera che in un secondo
tempo e da una seconda mano sia stata sottoposta ad
una radicale rielaborazione, anche se i motivi di tale rie-
laborazione ci sfuggono quasi del tutto. Il caso tipico di
questo genere ci è offerto proprio da Le benedizioni di
Giacobbe.

2. Genesi 49 e la sua interpretazione dal II al V secolo

Questo capitolo della Genesi ci presenta il patriarca


Giacobbe che, in punto di morte, raduna intorno a sé i
dodici figli, destinati a dividere gli eponimi delle tribù
d ’Israele 21, per rivolgere loro le sue ultime parole. Esse
furono conosciute come Le benedizioni di Giacobbe o
Le benedizioni dei patriarchi, in forza del v. 28: « Il
toro padre... li benedi ciascuno secondo la sua benedi­
zione ». Ma questo titolo non corrisponde alle parole ini­
ziali del patriarca: « Riunitevi affinché io vi annunci
ciò che accadrà nel tempo a venire », e tanto meno al ca­
rattere complessivo del brano, che in effetti è molto com­
posito. Infatti, di alcuni figli sono ricordate le gesta nar­
rate nei capitoli precedenti della Genesi; e se per Giusep­
pe questo ricordo si accompagna alla benedizione, di
Ruben, Simeone e Levi vengono rammentati fatti tu tt’al­
tro che edificanti, che per Simeone e Levi vengono colle­

21 Com'è noto, uno dei dodici figli di G iacobbe, G iuseppe, non


diventò eponim o di u n a trib ù , m a lo diventarono due suoi figli,
E fraim e M anasse, si che in ta l m odo il n um ero delle trib ù sale a
tredici. Anche Ippolito h a rilevato l’altern an z a 12/13 trib ù a scopo
esegetico: cf. n. 58 della traduzione.
Introduzione 19

gati con quello che sarebbe stato il destino delle tribù


omonime 21. In effetti, per la maggior parte dei casi, le
parole di Giacobbe fanno riferimento non ai figli, ma
alle tribù che da loro avrebbero tratto il nome, ricordan­
done lo stanziamento nella terra promessa e fatti della
loro storia.
In questo contesto, a Giuda viene predetta la supre­
mazia sulle altre tribù (w . 8-9), con evidente riferimento
ai fatti del regno di Davide e di Salomone; quindi, il te­
sto continua: « Non mancherà un principe da Giuda né
un condottiero dai suoi femori finché non giungerà co­
lui cui il comando è stato riservato 23, e questi sarà l’at­
tesa delle genti. Legherà alla vite la sua asina e al tralcio
il suo asinelio. Laverà nel vino la sua veste e nel sangue
dell'uva la sua sottoveste. I suoi occhi sono lucenti di
gioia per il vino e i suoi denti sono più bianchi del latte »
(w . 10-12). Qualche studioso moderno ha messo in dub­
bio il significato messianico di questo passo 24; ma a noi
qui interessa che tale significato sia stato comunemente
ammesso dai G iudei25 e di conseguenza recepito dai cri-

22 Per i dettagli, cf. infra i cc. 13 e 14 della traduzione e nòte re­


lative.
23 T raduco cosi, qui e altrove, p er chiarezza q uesta espressione
del testo greco dei LXX. Esso p resen ta qui due lezioni alternativ e,
che le tte ra lm e n te suonano cosi: « ...finché non giungerà colui per
cui è riserv ato », ovvero « ...finché non giungerà ciò che p e r lui è ri­
servato ». Cf. n. 24.
24 II passo da noi rip o rta to a n. 23 nel testo ebraico suona: « fin­
ché giungerà S hiloh ». Che cosa significasse Shiloh fu poco chiaro
agli an tich i e lo è ancora p e r noi (lo provano anche le due lezioni al­
tern ativ e dei LXX). Q ualche decennio fa il P. M oran h a proposto di
tra d u rre l ’in tero contesto: « finché il trib u to è p o rtato a lui e sua è
l'obbedienza del popolo », negando la significazione m essianica del
passo, che invece sarebbe allusivo a D avide e alla pace davidica: cf.
« B iblica », 1958, pp. 405 ss.
25 A m bedue le lezioni dei LXX sono eloquenti in proposito. Fra
le a ltre testim onianze ci sono anche testi di Q um ran: 4 Q Patr.
Bless. I, 1; 1 Q Ben. V, 27-29. Più ta rd i alcuni G iudei negarono la
20 Introduzione

stiarii, che considerano la profezia realizzata in Cristo.


In effetti, già nel N T compaiono allusioni al significato
messianico di Gen. 49,8-12: Ebr. 7,14 fa allusione a Cri­
sto come nato da Giuda, e Ap. 5,5 lo definisce come il
leone vittorioso della tribù di Giuda, con chiara allusio­
ne a Gen. 49,9. Quest’ultimo passo è molto importante
perché ci attesta che la significazione messianica della
benedizione di Giuda non era limitata ai w . 10-12, ip iù
espliciti in argomento, ma era stata estesa anche ai due
versetti precedenti, allusivi invece, nella significazione
originaria, al destino regale della tribù. Proprio in que­
sta forma ampliata, la benedizione di Giuda fu subito
considerata uno dei principali testi messianici del VT e
come tale fu ampiamente citata dagli scrittori cristiani a
partire dal II secolo (Giustino, Ireneo, Tertulliano, Cle­
mente, ecc.): infatti, sia il v.8, che esalta la vittoria di
Giuda sui suoi nemici, sia il v.9, che presenta il sonno
del leone vincitore, per vari rispetti si prestavano ad esse­
re interpretati cristologicamente, e gli antichi esegeti
poco si preoccuparono dell’aporia che deriva dal consi­
derare il patriarca Giuda prima simbolo di Cristo nei w .
8-9, e poi suo progenitore nel v. 10.
In effetti, i cristiani fin dai primordi della loro storia
si avvezzarono, sulle tracce di Paolo, a leggere il VT in
funzione cristologica, cioè come anticipazione profetica
e prefigurazione simbolica dei fatti di Cristo e della Chie­
sa: basti pensare al passaggio del Mar Rosso come sim ­
bolo del Battesimo, alla manna come typos 26 dell’Euca-

m essianicità del passo pro p rio p er far fronte a ll’am pio uso che di
esso facevano i cristian i in tal senso: cf. Orig. Prine. IV, 1,3.
26 E questo il term ine tecnico u sato dagli antichi esegeti p er in ­
dicare u n ’espressione del VT considerata sim bolo, prefigurazione
di u n fatto del NT. Perciò i m oderni, con tipologia, in terpretazio n e
tipologica, ecc. indicano il procedim ento esegetico che in te rp re ta
figure e fatti del VT com e typoi di figure e fatti del NT. Gli antich i
indicarono questo tipo d 'in te rp reta zio n e com e interp retazio n e spi-
Introduzione 21

restia, ecc. Questo tipo d ’interpretazione ebbe subito dif­


fusione rapidissima, anche per dimostrare, in polemica
contro gli Gnostici che rifiutavano il VT, la continuità e
la connessione fra VT e NT. Perciò, tenendo presente
questa attitudine esegetica, che diventò ben presto una
vera e propria form a m entis per l’interpretazione del VT,
comprendiamo agevolmente come la significazione mes­
sianica dei w . 10-12 della benedizione di Giuda sia sta­
ta estesa non soltanto ai vv. 8-9 di questa stessa benedi­
zione, ma addirittura a tutto il blocco delle altre undici
benedizioni.
La prima opera che ci attesti l’interpretazione cristo­
logica dell’intero Gen. 49 in forma sistematica, è il trat­
tato su Le benedizioni di Giacobbe d ’Ippolito, eh’è l’og­
getto specifico di questo nostro studio. Ma varie testimo­
nianze ci convincono che tale interpretazione era
senz’altro più antica di lui, almeno per alcune altre be­
nedizioni. Nel Testam ento dei dodici patriarchi, opera
che non può essere considerata posteriore ai primi de­
cenni del II secolo, nella sezione dedicata al testamento
di Levi, il patriarca morente predice che i suoi successo­
ri avrebbero profanato la loro dignità sacerdotale 21: fra
l’altro, avrebbero calunniato e ucciso l’uomo che rinno­
vava la Legge nella potenza dell'Altissimo; per questo,
sarebbero stati maledetti e dispersi fra le genti pagane
(Test. Levi, 16,1-5). Questo passo trova preciso riscon­
tro nell’interpretazione cristologica di Gen. 49,5-7 (bene­
dizione di Simeone e Levi) che leggiamo in Ippolito e in
altri testi dedicati all’esegesi di Gen. 49. Nel testamento
di Dan è detto che negli ultimi giorni i discendenti del
patriarca sotto la guida di Satana avrebbero insidiato
Giuda e Levi (Test. Dan, 5,6), cioè il Messia, considerato

ritu a le, m istica. Essi adoperano n orm alm ente, in questo caso, a n ­
che il term in e « allegoria ».
27 Si ricordi che i sacerdoti ebraici traevano origine dalla trib ù
di Levi.
22 Introduzione

in quest’opera discendente non soltanto da Giuda ma


anche da L e v i2S; anche questo testo si fonda su un’inter­
pretazione cristologica di Gen. 49,16-18 (benedizione di
Dan), e non è difficile addurre altre testimonianze di
questa interpretazione e di altre affini della benedizione
di Dan 29. Aggiungiamo ancora che il testamento di Be­
niamino interpreta Giuseppe come typos dell’Agnello di
Dio e Salvatore del mondo, che sarebbe morto per la sal­
vezza d ’Israele e di tutte le genti pagane (Test. Ben. 3,8);
e ricorda che Beniamino non sarebbe stato più chiama­
to lupo feroce, perché da lui sarebbe nato un uomo caro
al Signore che come un lupo avrebbe strappato la preda
ad Israele e l’avrebbe data alle genti pagane (Test. Ben.
11,1): questi concetti derivano dalla benedizione di Giu­
seppe (Gen. 49,22-26) comunemente interpretata assu­
mendo il patriarca come figura di Cristo, e dalla benedi­
zione di Beniamino (Gen. 49,27-28), ove tutti gli esegeti
vedono in Beniamino, lupo feroce che al mattino divora
la preda e alla sera distribuisce il bottino, proprio il ty­
pos dell’apostolo Paolo, cui appunto allude in modo tra­
sparente Test. Ben. 11,1 30. Da questi spunti si ricava
con chiarezza che già all’inizio del II secolo l’autore del
Testam ento dei dodici patriarchi era a conoscenza
dell’interpretazione in chiave cristologica ed ecclesiale
delle benedizioni di Gen. 49 relative a Levi, Simeone,
Dan, Giuseppe e Beniamino. Tale interpretazione per le
benedizioni di Dan, Simeone, Levi e Beniamino, trova
riscontro anche in altri testi anteriori o coevi a quello di
Ippolito 31. È chiaro che tutti questi testi derivano tali

28 Q uesta duplice origine del M essia è presa in considerazione


anche ne Le benedizioni di Giacobbe del nostro Ippolito: cf. n. 76 del­
la traduzione.
29 Cf. in proposito le nn. 96 e 161 della traduzione.
30 Anche questa interp retazio n e della benedizione di B eniam ino
trova risco n tro in Ippolito: cf. Bened. Giac. 28.
31 Per m aggiore inform azione su questi ulteriori riscontri (Teo-
Introduzione 23

interpretazioni da una fonte comune; e poiché è molto


difficile postulare un commento sistematico per iscritto
di Gen. 49 anteriore agl’inizi del I I secolo, è preferibile
pensare che tale fonte comune sia stata una tradizione
trasmessa per via orale in contesti presumibilmente ca­
techetici.
Ma nel corpo omogeneo di Gen. 49 soltanto la bene­
dizione di Giuda occupa un posto di rilievo a sé stante,
in forza del significato messianico da lungo tempo attri­
buito ad una parte del suo testo; invece, le benedizioni di
Dan, Beniamino, Giuseppe, ecc. non hanno caratteri pe­
culiari che possano aver favorito la loro interpretazione
cristologica a preferenza di altre, per esempio quella di
Ruben o di Aser. Perciò, la constatazione che già all'ini­
zio del II secolo, e forse anche un po’ prima, quelle bene­
dizioni venivano interpretate in senso cristologico, ci
spinge ad ipotizzare con buona probabilità che, a quella
data, già tutto il blocco di Gen. 49 fosse stato oggetto di
tale interpretazione. Abbiamo comunque parlato soltan­
to di tradizione orale: perciò, dobbiamo pensare ad una
tradizione tutt’altro che graniticamente rigida, ma piut­
tosto aperta e fluttuante, insistente su alcune tipologie
fondamentali, ma suscettibile di essere integrata in
modo diverso e personale nei dettagli, tanto più che al­
cune benedizioni, per esempio quella di Gad o di Issa-
car, non ispiravano u n ’interpretazione cristologica di
immediata evidenza 32 e perciò favorivano iniziative per­
sonali dei vari interpreti. Proprio ammettendo una tradi­
zione orale di questo tipo, cioè omogenea in alcune tipo­
logie di base, ma non molto precisa e ferma nei dettagli,

doto, T ertulliano) vedi q u an to ho scritto in « Annali della Facoltà di


L ettere di C agliari », 1960, pp. 409 ss. e in SCh 140, pp. 11 ss.
32 II testo di altre benedizioni era p iù o rientativo in senso cristo ­
logico: p er esem pio, la benedizione di Aser suggeriva il tem a di Cri­
sto p ane di vita, quella di N eftali il tem a di C risto vera vite, quella
di Z àbulon l ’estensione del m essaggio cristian o alle genti pagane.
24 Introduzione

ci spieghiamo agevolmente perché i testi a noi pervenuti


dedicati specificamente all'interpretazione di Gen. 49
siano omogenei quanto all’interpretazione cristologica
di base di quasi tutte le benedizioni, ma diversifichino
fortemente fra loro quanto ai dettagli.

Come abbiamo già accennato, Le benedizioni di


Giacobbe di Ippolito rappresentano il primo trattato a
noi giunto dedicato specificamente al commento di Gen.
49, né abbiamo notizia di altri composti in precedenza,
si che consideriamo Ippolito il primo scrittore che abbia
avuto l’idea di fissare per iscritto la tradizione orale già
esistente, relativa all’interpretazione cristologica di que­
sto importante capitolo della Genesi. Dei caratteri
dell’opera diremo più distesamente nella terza parte di
questa Introduzione: qui ci limitiamo a qualche cenno
in merito all'altra antica letteratura a noi nota, dedicata
all'interpretazione di questo testo scritturistico.
Per quanto a noi consta, non sembra che l’esempio
dato da Ippolito abbia suscitato subito emulazione. In ­
fatti, il testo latino conosciuto nel Medioevo, grazie a
numerosi manoscritti, come l’omelia X V II di Origene
sulla G enesi33 e contenente l’interpretazione tipologica
delle prime tre benedizioni (Ruben, Simeone e Levi, Giu­
da), è stato riconosciuto come parte dell’opera di Rufino
di cui ci occupiamo qui sotto. Bisogna cosi attendere gli
ultimi decenni del IV secolo perché Ambrogio, nella tra­
ma di u n ’impegnativa iniziativa esegetica dedicata
all’interpretazione delle storie dei patriarchi, accanto ad
opere dedicate ad Abramo, Isacco e Giacobbe abbia de­
dicato u n ’opera, il De patriarchis, anche all’interpreta­

33 Come tale, esso fu p u b b lic ato anche in an tich e edizioni s ta m ­


p a e perfino in PG XII.
Introduzione 25

zione di Gen. 49. Mentre per altri trattati di questa serie


Ambrogio ha avuto sott’occhio soprattutto Filone, per il
De p atriarchis si è ispirato in modo molto stretto all’in­
terpretazione di Ippolito. Di suo vi ha aggiunto aperture
di tono parenetico e morale, qualche spunto tratto
dall'etimologia dei nomi ebraici34 e spesso ha messo in
relazione il passo di Gen. 49 commentato di volta in vol­
ta con quello parallelo di Deut. 33,6ss. 35.
Ad Ippolito si è ispirato anche il vescovo spagnolo
Gregorio di Elvira (fine del IV sec.linizio del V) per il se­
sto dei Tractatus scripturarum , un'omelia dedicata
all'illustrazione tipologica delle prime tre benedizioni,
ma con maggiore libertà rispètto ad Ambrogio nell'illu­
strazione di dettaglio 36.
Di poco posteriore (408 c.) è il De benedictionibus
patriarch arum di Rufino di Aquileia, che contiene l'in­
terpretazione più completa che l'antichità ci abbia la­
sciato in argomento. Rufino cominciò a scriverla per ri­
spondere ad una richiesta di Paolino di Nola, relativa al
significato di alcuni particolari di Gen. 49,11 (ben. di
Giuda), e la risposta comportò l’interpretazione dell’in­
tera benedizione di Giuda; una successiva richiesta di
Paolino spinse Rufino a commentare le altre undici be­
nedizioni. L'opera perciò ci si presenta in due libri: il I
contiene l'interpretazione della benedizione di Giuda,
terza nell'ordine di Gen. 49; il libro II contiene l'inter­
pretazione delle prime due benedizioni e delle ultime
nove. Pur utilizzando Ippolito e altre fonti, non da noi
identificabili, Rufino ha fatto opera molto originale, in
perfetta aderenza ai moduli esegetici di Origene, di cui

u Su questo procedim ento erm eneutico cf. n. 103 della tra d u ­


zione.
35 Anche Ippolito, com e vedrem o m eglio appresso, ha m esso in
relazione Gen. 49 con Deut. 33, cui h a dedicato u n 'o p era appo sita
para llela alla nostra, Le benedizioni di Mosè. Il De patriarchis di Am­
brogio è p u b b licato in CSEL 32 (Schenkl).
36 Vedi l’edizione di q uesto testo in CCh 69 (B ulhart).
26 Introduzione

egli fu entusiasta ammiratore. Origene in De prine. IV,


2,4 e altrove, aveva fissato tre diversi livelli interpretativi
per il VT: letterale, spirituale e morale 37, anche se poi
nella pratica molto spesso si era limitato ad illustrare il
testo sacro con un solo tipo di interpretazione allegorica,
oltre all’interpretazione letterale. Rufino, come spesso
succede ai discepoli zelanti, è riuscito ad essere più ori-
geniano di Origene stesso, e per ogni benedizione ha for­
nito tre interpretazioni, di cui la letterale ha solo valore
propedeutico rispetto alle due allegoriche: di queste, la
spirituale ( = tipologica) segue, pur con grande libertà
nei dettagli, la tradizionale interpretazione cristologica
di cui ci siamo occupati finora; quella morale ( = psico­
logica), applica il testo sacro all'illustrazione della vita
interiore del cristiano, ripetendo e banalizzando concetti
cari ad Origene ed in genere alla tradizione alessandri­
na 38.
Di testi greci di questo tipo, cioè dedicati ad un'inter­
pretazione allegorica di Gen. 49 in senso cristologico,
possiamo ricordare soltanto l’ampia trattazione di Ciril­
lo d'Alessandria (inizio del V secolo) nel libro VII dei
G laphyra 39YPG 69,336ss.): la sua interpretazione è ti­
pologica e riprende le linee fondamentali della tradizione
che ormai ben conosciamo, ma con grande libertà, si
che non ci risultano evidenti le fonti di cui sì è servito. Il
suo commento è alla base dell’interpretazione di Gen. 49

37 Per in terp retazio n e sp iritu a le della S acra S c rittu ra s ’intende


quella che i m oderni definiscono u sualm ente in terp retazio n e tip o ­
logica: cf. sopra n. 26. L’interp retazio n e m orale, che i m oderni p re ­
feriscono definire psicologica, consiste n ell’in te rp re ta re il testo sa­
cro ap plicandolo alla re a ltà esistenziale e alla vita in teriore del sin­
golo cristiano.
38 Vedi l’edizione di questo testo in CCh 20 (Sim onetti), SCh 140
(id.).
39 Q uest’op era è u n a racco lta di passi scelti del P entateuco in ­
te rp re ta ti in senso tipologico.
Introduzione 27

nel florilegio esegetico di Procopio di Gaza (VI sec.) sulla


Genesi, integrato da quello di Ippolito e da altre inter­
pretazioni di tendenza letteralista (PG 87,489ss.).

I cristiani per lungo tempo lessero e apprezzarono il


VT in funzione cristologica, cioè come profezia e typos
dei fatti di Cristo e della Chiesa. Solo alcune sezioni par­
ticolari, come i primi capitoli della Genesi che descrivo­
no la creazione del mondo e dell’uomo e il peccato, furo­
no intesi spesso da loro in senso strettamente letterale; e,
in complesso, essi furono ben poco interessati alle vicen­
de storiche dei patriarchi, di Mosè, del popolo ebraico
considerate in sé e per sé, prescindendo dal loro signifi­
cato tipologico. Solo verso la metà del IV secolo nuove
condizioni ed esigenze di vita e di cultura e la reazione
contro l’eccessivo allegorismo degli Alessandrini favori­
rono soprattutto in ambiente antiocheno l’apprezza­
mento storico, perciò letterale, dei fatti raccontati nel
VT.
Avvertiamo con evidenza tale comportamento anche
in merito a Gen. 49: infatti, i testi esegetici che se ne oc­
cupano in senso letterale rimontano alla fine del IV se­
colo e oltre, e sono tutti opera di esegeti antiocheni, o in­
fluenzati da questo ambiente. Va da sé che, letto letteral­
mente, Gen. 49 non rivestiva un significato particola­
re 40 e non fu perciò oggetto di cure speciali: le interpre­
tazioni letterali che di esso ci sono pervenute, sono parti
di commenti più ampi, dedicati a tutta la Genesi o a
buona parte di essa.
Un caso a parte è rappresentato da Eusebio di Cesa­
rea. Nel libro V ili della D em onstratio evangelica, egli

-10 Ad eccezione ovviam ente di Gen. 49,10-12, dove, del resto, la


significazione m essianica scatu riv a d alla sola interp retazio n e le tte­
rale del testo.
28 Introduzione

intende dimostrare che nel VT era stato già vaticinato il


tempo della incarnazione di Cristo, e in tale contesto si
occupa lungamente di Gen. 49,8-12, in cui il v. 10 affer­
mava che non sarebbe mancato il principe da Giuda pri­
ma dell’avvento del Messia. Non sfugge però ad Eusebio
che da Mosè fino a Saul nessun capo originario della tri­
bù di Giuda aveva guidato il popolo ebraico: perciò egli
assume la profezia in senso collettivo, riferendola all'in­
tera tribù, che aveva sempre esercitato una funzione pre­
minente nella storia d ’Israele (Demonstr. evang.
VIII,1).
Passando a scritti dedicati all’intero Gen. 49, ricor­
diamo innanzi tutto un certo numero di superstiti fram­
menti 41 di Diodoro di Tarso (fine del IV secolo), il capo­
stipite della scuola esegetica di Antiochia. Egli assume
da Eusebio il criterio che la benedizione di Giuda stori­
camente si riferisce non ad un personaggio determinato,
bensì all'intera tribù, ed estende questo criterio a tutto il
corpo delle dodici benedizioni, che perciò interpreta in
modo rigorosamente letterale, in riferimento a fatti delle
tribù giudaiche relativi al loro stanziamento nella terra
promessa e alla loro successiva storia. Sono, di lui, par­
ticolarmente significativi alcuni spunti in cui combatte
l’interpretazione allegorica tradizionale (per esempio,
quella che nella benedizione di Beniamino vedeva un ty­
pos dell'apostolo Paolo) e manifesta chiaramente la sua
preferenza per l'interpretazione storica, cioè letterale. Di
testi giunti a noi integralmente, ricordiamo qui l'omelia
67 sulla Genesi di Giovanni Crisostomo, di poco poste­
riore a Diodoro, e, ancora di qualche decennio posterio­
re, la 110 delle Quaestiones sulla Genesi di Teodoreto di
Ciro, ambedue rappresentanti in senso stretto della

J1 Q uesti fram m enti, com e quelli di E usebio di E m esa e di Apol­


linare, che rico rdiam o qui sotto, sono ricav ati dalle Catene, su cui
cf. sopra, n. 7.
Introduzione 29

scuola di Antiochia. Ricordiamo ancora vari frammenti


di Eusebio di Emesa e di Apollinare di Laodicea, due au­
tori attivi in area siro-palestinese nel IV secolo già prima
di Diodoro, ma largamente aperti anch’essi all’interpre­
tazione letterale del V T 42. Quanto all'interpretazione
data in questi testi, basterà accennare che per lo più fa
riferimento alla vita delle tribù israelitiche e alla regione
da loro occupata nella terra promessa, anche là dove,
come nelle benedizioni di Ruben e Simeone e Levi, viene
riconosciuta l'allusione del testo sacro alle malefatte dei
tre fratelli43. Invece, per la benedizione di Giuseppe si
imponeva il riferimento ai fatti della storia del patriarca,
suggeriti in modo esplicito dalle parole di Giacobbe; e
anche la benedizione di Dan è per lo più riferita ad un
personaggio, Sansone, che era appunto di questa tri­
bù 44. Di solito, Apollinare e Teodoreto non sono rigoro­
samente letteralisti come Diodoro: cosi vediamo che per
la benedizione di Beniamino essi affiancano all’inter­
pretazione letterale 45 quella tipologica, che faceva riferi-

J2 I fram m enti di A pollinare e di E usebio in E m esa sono sta ti


editi d a Devreesse, in Les anciens com m entateurs grecs de l'Octateu-
che e des Rois, C ittà del V aticano 1959; quelli di D iodoro, da Deco-
ninck, E ssai sur la Chaine de l'Octateuche, Paris 1912; le opere del
Crisostom o e di Teodoreto sono pubb licate risp ettiv am en te in PG
54 e 80.
43 Nel senso che le trib ù avevano in vario m odo risen tito dei m i­
sfatti dei loro eponim i e delle m aledizioni loro indirizzate dal pad re
m orente. Per i dettagli vedi la p rim a delle opere cit. a n. 31.
44 Q uesta in terp retazio n e era corrente fra i G iudei. D iodoro, che
in te rp re ta le benedizioni in riferim ento alle trib ù e non a singoli
personaggi, h a in te rp re ta to la benedizione di D an riferendola alla
conquista della c ittà di Lais da p arte dei D aniti (Giud. 18). Ci m ?n-
ca la testim o n ianza di D iodoro relativ a alla benedizione di G iusep­
pe p e r vedere com ’egli avesse in te rp re ta to questo testo cosi c h ia ra ­
m ente allusivo al personaggio e non ad u n a trib ù .
45 In tal senso, gli esegeti cristian i in te rp re tan o questa benedi­
zione riferendola alla bellicosità della trib ù e in partico lare ai fatti
di G abaa e alle guerre che ne seguirono (Giud. 20-21).
30 Introduzione

mento all’apostolo Paolo, e Teodoreto, per la benedizione


di Dan, sembra addirittura respingere l'interpretazione
letterale a beneficio di quella tipologica di Ippolito, che
ravvisava in Dan il typos dell’Anticristo 46.

3. « Le benedizioni di Giacobbe » di Ippolito

Nel contesto della breve trattazione che abbiamo fat­


to sulla interpretazione patristica di Gen. 49, abbiamo
più volte avuto occasione di nominare quest’opera, la
più antica dedicata specificamente all’interpretazione
sistematica di questo passo biblico, e per comodità l’ab­
biamo ricordata come di Ippolito. Adesso, nel prenderla
in esame un p o ’ più dettagliatamente, in riferimento alla
questione ippolitiana, ricordiamo che questo trattato fa
parte del blocco di opere esegetiche comprendente anche
Le benedizioni di Mosè, Su Davide e Golia, Sul C anti­
co, Su Daniele, De Antichristo, tutte opere che per ca­
ratteristiche interne si rivelano scritte da un solo autore,
con ogni probabilità autore anche del Contra Noetum.
10 sono fra coloro che distinguono questo autore dall’Ip­
polito di Roma autore dell’Elenchos, della Cronaca e

46 Facciam o un rapido cenno a p a rte al com m ento alle Benedi­


zioni di Giacobbe opera dello sc ritto re siriaco E frem (IV secolo)
com e p arte di un più vasto com m ento alla Genesi (CSCO 152), p er­
ché b asato sul testo di Gen. 49 d ell’an tica traduzione del VT in lin ­
gua siriaca P eschitto e non sui LXX, com e invece tu tti gli scritto ri
greci e latin i di cui ci siam o fin qui occupati. D ato che la versione
siriaca differisce più volte dal testo dei LXX, anche l’in te rp re taz io ­
ne di E frem si distacca da quella usuale in am b ito greco. E ssa è p ri­
m a letterale e poi tipologica; la p rim a risente variam en te d ell’ese­
gesi giu d aica del testo; la seconda è im p o stata non sulla contrap p o ­
sizione R uben/G iuda, secondo il tem a del fratello m inore che scalza
11 m aggiore, a d o tta ta dai com m entatori greci e latin i, bensì in fun­
zione del peccato di A damo e perciò della opposizione Adamo/Cri­
sto tip icam en te paolina.
Introduzione 31

delle altre opere riportate sulla statua, lo collocano in


una sede d ’Oriente fra la fine del II e l’inizio del III seco­
lo e pensano che possa essersi chiamato Ippolito come il
romano.
Lasciando per un momento da parte la questione,
che dovremo riprendere ancora a proposito di vari fram­
menti su Gen. 49 giuntici anch’essi sotto il nome di Ip­
polito, e soffermandoci ad illustrare in breve i caratteri
de Le benedizioni di Giacobbe, rileviamo subito come
il loro autore abbia fatto precedere all’interpretazione di
Gen. 49 quella di altri tre passi biblici, tutti e tre in qual­
che modo connessi con Gen. 49: si tratta di Gen. 37, che
racconta le visioni di Giuseppe e l’azione dei fratelli ai
suoi danni; Gen. 27, che racconta l’inganno mediante il
quale Rebecca fa si che il vecchio Isacco benedica il fi­
glio minore Giacobbe in luogo del maggiore Esaù; e
Gen. 48,8ss., in cui Giacobbe adotta come suoi figli i
due figli di Giuseppe: Efraim e Manasse.
Nell’intraprendere l’interpretazione di Gen. 37, Ippo­
lito afferma (c.2) che è sua intenzione spiegare anche le
visioni di Giuseppe; e nell’accingersi all’interpretazione
di Gen. 27, egli comincia (c.3) a parlare in generale pro­
prio delle benedizioni di Giacobbe, cioè di Gen. 49, e
passa poi a trattare di Gen. 27, sulla base della conside­
razione che Isacco si era comportato con i figli allo stes­
so modo con cui successivamente si sarebbe comportato
Giacobbe. Di qui è chiaro che la parte centrale ed essen­
ziale dell’opera è costituita, secondo l’intenzione di Ip­
polito, proprio dalla interpretazione di Gen. 49, di cui le
trattazioni che precedono costituiscono solo un’integra­
zione e u n ’anticipazione. Perché poi Ippolito abbia vo­
luto premettere questa integrazione, lo si comprende age­
volmente dal contenuto stesso dei passi biblici e dall’in­
terpretazione che Ippolito ne fornisce: essi si prestavano
benissimo a sviluppare e integrare la tematica esegetica
relativa all’interpretazione di Gen. 49, una tematica cri­
32 Introduzione

stologica ed ecclesiale largamente centrata sul rif iuto dei


Giudei di accogliere Cristo e sulla loro sostituzione da
parte dei cristiani — minori rispetto a quelli, come Gia­
cobbe era stato minore di Esaù, Efraim di Manasse,
Giuseppe degli altri fratelli — quali destinatari delle pro­
messe divine contenute nel VT. In tal modo, Ippolito, fa­
cendo centro su Gen. 49, ha trattato organicamente una
serie di racconti relativi ai patriarchi e ne ha fatto un
tutt’uno assumendone come denominatore comune la
significazione cristologica 47.
Ma Ippolito non si è. fermato qui. Egli ha rilevato la
connessione fra Gen. 49 e Deut. 33 in cui anche Mosè
morente benedice le tribù d’Israele. Certamente, questo
lungo passo non doveva aver attirato l’attenzione dei
prim i cristiani alla pari di Gen. 49, perché in esso non
c ’erano espressioni di chiara significazione messianica
pari a Gen. 49,10-12. Ma una volta estesa l’interpreta­
zione cristologica a tutto il corpo delle benedizioni di
Gen. 49, la connessione di struttura e contenuto fra Gen.
49 e Deut. 33 indirizzava verso analoga interpretazione
anche di Deut. 33, in chiave cristologica ed ecclesiale. Si
spiega cosi la genesi de Le benedizioni di Mosè di Ippo­
lito, che si presentano come vero e proprio completa­
mento de Le benedizioni di Giacobbe: proprio Ippolito
vi fa riferimento in tal senso nel c. 15 di Ben. G iac.48.
Pochissimi frammenti ci sono pervenuti de Le bene­

47 Come p e r Gen. 49, cosi anche p e r gli a ltri racconti non dob­
biam o considerare l'in terp retazio n e cristologica di Ippolito del tu t­
to originale: essa h a u tilizzato tipologie già tradizionali, quali Giu­
seppe figura di Cristo, E sau e G iacobbe typoi dei G iudei e dei c ri­
stiani. L’ap p o rto di Ippolito va visto, o ltre che in ta n te osservazioni
di dettaglio, n ell’a d a tta re queste tipologie in senso p iù specifica-
m ente cristologico e nel collegarle insiem e a form are u n tu tto o rga­
nico.
^ Anche se non possiam o escludere che qualche passo di Deut.
33 fosse sta to già in te rp re tato cristologicam ente p rim a di Ippolito,
non possiam o certo pensare ad u n a tradizione in questo senso già
Introduzione 33

dizioni di Balaam di Ippolito 49, assolutamente insuffi­


cienti a darci u n ’idea precisa dell’interpretazione li for­
nita dall'autore. Ma a questo punto, il raffronto con le
opere similari ci permette di ipotizzare agevolmente
quella che deve essere stata l’intenzione dell’autore e il
contenuto, in generale, della sua interpretazione. Nel fa­
moso episodio di Num. 22-24, l’indovino Balaam, fra le
tante lodi d ’Israele che, suo malgrado, è costretto a fare
per ispirazione divina, nomina anche l’astro che spunte­
rà da Giacobbe, lo scettro che sorgerà da Israele, per di­
struggerne tutti i nemici (Num. 24,17-19). Questo passo
aveva avuto da parte dei cristiani applicazione cristolo­
gica non meno rapida di quella di Gen. 49,10-12. È age­
vole perciò supporre che, sulla base di questa antichissi­
ma applicazione cristologica, Ippolito abbia interpreta­
to tutte le profezie di Balaam secondo il modulo interpre­
tativo che abbiamo visto messo in opera nell’interpreta­
zione di Gen. 27,37,48,49 e di Deut. 33. In tal modo, ci si
palesa l’intero disegno interpretativo di Ippolito relativo
a questo gruppo di opere, un disegno veramente notevo­
le, dato il tempo antico in cui fu concepito: dare u n ’in­
terpretazione globale di un’intera serie di passi tratti dai
libri della Legge, che si prestavano ad essere interpretati
in senso cristologico ed ecclesiale, in modo da rilevare al
massimo grado il significato del VT come anticipazione
e prefigurazione profetica e tipologica del NT. Lo spunto
in tal senso era offerto ad Ippolito da una serie di tipolo­
gie già tradizionali in senso cristologico: Gen. 49 per to-

consolidata e generalizzata, com e l’abb iam o rilev ata p er Gen. 49:


nell’in terp retazio n e delle benedizioni di Mosè l’ap p o rto originale
di Ippolito deve essere sta to m olto più cospicuo.
45 E qualcuno ci è pervenuto sotto il nom e di Ireneo, com e del
resto è accad u to p er il testo greco di Le benedizioni di Giacobbe (cf.
il p ar. 4 di q u esta Introduzione): l’attrib u zio n e ad Ippolito è d a con­
siderarsi sicu ra anche sulla base del riscontro col resto della serie
di in terp retazioni ippolitiane delle benedizioni v etero testam en ta­
rie.
34 Introduzione

tum o quasi, Num. 24,17-19, Esaù e Giacobbe f igura dei


giudei e dei cristiani, Giuseppe figura di Cristo. Ma è
stata indubbia originalità di Ippolito l’aver organizzato
tutti questi spunti isolati di una trattazione organica,
l'averne dilatato la comprensione includendovi passi
fino allora trascurati, l'aveme aumentato lo spessore
esegetico spingendo l’interpretazione fino ai dettagli of­
ferti dal testo scritturistico.

A proposito della esegesi di Ippolito, Daniélou ha


parlato giustamente di estensione della tipologia: infatti,
l’interpretazione tipologica, che è a dire cristologica, del
VT, prima di lui utilizzata molto largamente, ma a fini
polemici e catechetici piuttosto che specificamente ese­
getici, è stata da lui applicata in modo sistematico all’il­
lustrazione di contesti anche molto vasti — come abbia­
mo già rilevato — del VT, e per la prima volta, almeno
nella Chiesa cattolica, come fine a se stessa e non per
servire la polemica o la catechesi50. È fuor di dubbio che
da u n ’applicazione dei tradizionali criteri tipologici tan­
to sistematica, comprensiva e approfondita fino al det­
taglio, si siano proposte all’esegeta questioni di metodo;
ma in nessuna delle opere esegetiche giunte a noi, Ippo­
lito ha presentato, anche solo in abbozzo, una teoria

50 Non voglio certo negare che queste opere esegetiche di Ippoli­


to venissero incontro anche ad esigenze polem iche e catechetiche
intese in senso lato, m a intendo soltanto rilevare la novità di tali
opere risp etto a quelle di G iustino, Ireneo, T ertulliano, ecc., che
p ratican o larg am ente l’esegesi, però in serita in u n contesto non
specificam ente esegetico, bensì polem ico-catechetico-apologetico,
e perciò d a tale contesto del tu tto condizionata. N ell'idea di scrive­
re opere dedicate in m odo specifico all'illu strazio n e di p a rti organi­
che della S acra S crittu ra, Ippolito e ra sta to preceduto dallo gnosti­
co E racleone, au to re di un im p o rta n te com m ento al V angelo di Gio­
vanni.
Introduzione 35

dell’esegesi veterotestamentaria, si che i criteri da lui se­


guiti debbono essere ricavati dall’interpretazione stessa.
Qui lo facciamo rapidamente soltanto per quanto attie­
ne all’opera che direttamente ci interessa.
Ippolito legge Gen. 27,37,48,49 in funzione esclusi­
vamente cristologica e perciò non è affatto interessato al
significato letterale dei fatti che interpreta 5I. Ovviamen­
te, ciò non vuol dire che Ippolito contesta la storicità di
tali fatti, dell’inganno di Giacobbe a danno di Esau o
delle violenze perpetrate dai fratelli a danno di Giuseppe;
ma tali fatti, per lui, si sono storicamente realizzati al
fine primario di costituire un'anticipazione, una prefi­
gurazione dei fatti di Cristo e della Chiesa; e quando di­
ciamo Cristo, intendiamo soprattutto il Cristo incarna­
to, perché Ippolito qui, come nelle altre opere esegetiche,
è ben poco interessato alla problematica relativa al Lo­
gos divino nei suoi rapporti col Padre 52; e arriva al pun­
to da modificare in funzione cristologica tipologie già
prima di lui affermate 53.
In alcuni punti, la sovrapposizione della significa­
zione cristologica a quella storica letterale, arriva al
punto che quest’ultima risulta indebolita, fino ad essere
addirittura messa in dubbio o negata senz’altro. È il
caso di alcune espressioni di tono profetico pronunciate
da Isacco e da Giacobbe, la cui immediata applicazione
storica viene da Ippolito contestata a beneficio di quella
cristologica. Solo per fare u n ’esempio, nel c.7, a proposi­
to della benedizione di Isacco a Giacobbe, egli osserva:

51 Altrove, p er esem pio nel Com m ento a Daniele che è da consi­


d erarsi an terio re, Ippolito non è a ltre tta n to d isinteressato al senso
letterale del testo biblico.
52 Per q ualche spunto in questo senso, con ch iara intenzione an-
tim o n arch ian a, cf. nn. 79,80,113,121 della traduzione. Q uesta p ro ­
b lem atica è sta ta tr a tta ta specificam ente da Ippolito nel Contra
Noetum.
53 Cf., per questo, n. 15 della traduzione.
36 Introduzione

« Se uno crede che questa benedizione si è realizzata in


Giacobbe, si sbaglia: infatti, proprio nulla di tutto ciò è
successo a Giacobbe ». E se per quest’affermazione egli
può trovare appiglio nella lettera del passo biblico che
interpreta 54, nel c. 26, commentando le parole indirizza­
te da Giacobbe a Giuseppe, cosi chiaramente allusive
alle sue avventurose vicende, apoditticamente afferma:
« Il .profeta ha benedetto Giuseppe più largamente che
non tutti i suoi fratelli, perché contemplava i misteri
che, prefigurati da lui, si sarebbero realizzati in Cristo:
perciò, egli lodava non Giuseppe bensì colui di cui Giu­
seppe rappresentava la prefigurazione », cioè Cristo. E
d’altra parte, proprio nell’applicazione di questi criteri
esegetici si avverte qualche sorprendente sfasatura: Ip­
polito, che è cosi deciso nel negare il pur cosi trasparente
riferimento delle benedizioni di Ruben e di Simeone è
Levi ai fatti di Gen. 35,22 e 34,25ss. 55, a beneficio di
u n ’interpretazione totalmente cristologica, invece
nell’interpretare la benedizione di Dan (c. 22) accetta,
anche se solo parzialmente, il riferimento di questo testo
a Sansone, pur tanto meno evidente secondo l’interpre­
tazione letterale 56.
Il criterio di rifiutare, a volte, il significato letterale
del testo commentato a beneficio totale di quello allego­
rico, è procedimento caratteristico dell’esegesi biblica
alessandrina: Filone se ne era ampiamete servito, per at­
tenuare ed eliminare la crudezza di certi antropomorfi­
sm i e racconti poco edificanti contenuti nel testo bibli­
co 57. Altro procedimento esegetico tipicamente alessan-

54 Per d ettàg li su questo p u n to cf. n. 33 della traduzione.


55 Cf. Bened. Giac. 13-14 e relative nn. 60,61,67,68.
56 Cf. anche n. 95 della traduzione.
57 Cioè quei partico lari, contenuti so p ra ttu tto nei p rim i libri del
VT, che i pagani colti consideravano indizio di u n a religione troppo
rozza e p rim itiv a. Tali pagani, so p ra ttu tto i filosofi stoici, avevano
provveduto a d epurare la loro m itologia dal m olto di im m orale che
Introduzione 37

drino era quello di far scaturire l'allegoria del testo com­


mentato dall’etimologia di qualche nome proprio di per­
sona o luogo in esso contenuto: anche questo procedi­
mento è attestato nella nostra opera, pur se una volta
sola, a riprova che Ippolito, pur di evidente formazione
asiatica, non è rimasto impermeabile all’influsso della
tradizione alessandrina, tanto diversa da quella. Di ori­
gine meno specifica, perché di vasta applicazione già nel
mondo giudaico e pagano, è il criterio di confortare l’in­
terpretazione di un dato passo con la citazione di altri
passi scritturistici con quello in qualche modo connes­
si 58. Per esempio, per avvalorare l’interpretazione di:
« Prendi la faretra e il tuo arco » (Gen. 27,3), detto da
Giacobbe ad Esaù, come indicativo della bellicosità del
popolo giudaico, Ippolito adduce a rincalzo Deut. 33,29:
« La spada è il tuo vanto » (c.3).
Ma neppure questo criterio è applicato con sistema­
ticità; e talvolta l’interpretazione allegorica che si propo­
ne di un dato particolare del testo commentato, appare
poco giustificata, sia per carenza di passi scritturistici
di sostegno sia per scarsa o non evidente rispondenza
fra il particolare del testo biblico e l’allegoria che se ne
propone. Sempre per rimanere nello stesso contesto
di Gen. 27, le parole di Giacobbe ad Esaù: « Va’ nella
pianura e cacciami della selvaggina » (Gen. 27,3) indi­
cano per Ippolito il vivere nel mondo, senza che questa
allegoria venga in qualche modo spiegata e giustificata
fibid.J. Altrove, l’interpretazione allegorica appare forza­
ta o comunque inadeguata rispetto alla difficoltà offerta
dal testo, o addirittura ignora tale difficoltà: è il caso di
Gen. 49,7: « Li dividerò in Giacobbe e li disperderò in

conteneva, facendo ap p u n to ricorso all'in terp reta zio n e allegorica


dei m iti. P roprio il loro esem pio fu seguito p rim a da Filone, e poi
dagli allegoristi cristiani in cam po scritturistico.
58 Si ricordi il principio della filologia alessandrina di in te rp re­
ta re O m ero con Omero.
38 Introduzione

Israele », dove la tipologia Israele-Giacobbe = Cristo,


spinge Ippolito a dare a in significato strumentale: di­
sperderò i Giudei per mezzo, per causa di Cristo, eh'è
solo un modesto ripiego (c. 14) 59; e la difficoltà proposta
dall’espressione di Gen. 49,24-25: « ...il Dio di tuo pa­
dre... il mio Dio » non viene neppure presa in considera­
zione 60.
Certo, la ratio esegetica di Ippolito più di una volta
appare approssimativa e anche difettosa, specie se rap­
portata a posteriori opere sullo stesso argomento, so­
prattutto a quella di Rufino: la stretta aderenza di questa
opera ai moduli esegetici origeniani fa avvertire la ca­
renza, in Ippolito, di una impostazione teorica adeguata
all’ampiezza delle iniziative di carattere esegetico da lui
intraprese. Ma nonostante queste carenze, inevitabili in
un iniziatore della letteratura esegetica di ampio respiro
quale fu Ippolito, Le benedizioni di Giacobbe suscita­
no tuttora il nostro interesse e — diciamolo pure — la
nostra ammirazione per l’organicità e la compattezza di
u n ’esegesi che, ravvisando in Cristo la ragion d ’essere e
il centro unificatore del VT, trova in questo concetto una
solida base e un vitale principio ermeneutico.

Ci siamo fin qui occupati del trattato di Ippolito Le


benedizioni di Giacobbe, giuntoci integralmente per
via diretta. Ma a questo punto dobbiamo aggiungere che
sotto il nome di Ippolito ci sono giunti per via catenaria
svariati frammenti relativi all’interpretazione di Gen.
49, e, grazie a Girolamo, u n ’ampia notizia sull’interpre­
tazione ippolitiana della benedizione di Isacco. Il con-

59 Cf. n. 71 della traduzione. Si tra tta v a com unque di un p a rti­


colare del testo non agevole d a in te rp re ta re secondo l’in te rp re taz io ­
ne allegorica.
60 Cf. n. 117 della traduzione.
Introduzione 39

fronto fra il trattato e questo materiale è del massimo in­


teresse ol. L ’interpretazione di base che T e F danno di
Gen. 49 è la stessa, quella che ormai ben conosciamo:
ma molto più significativa di questa convergenza, che
deriva da una tradizione anteriore ad ambedue i testi, è
la notevolissima divergenza che i due testi presentano
nell'interpretazione dei punti di dettaglio del passo bibli­
co. Ognuno se ne potrà accorgere mettendo a confronto
le traduzioni di T e F che presentiamo nelle pagine che
seguono; noi qui ci limitiamo a richiamare solo due
punti di particolare significato: a Gen. 49,11, T interpre­
ta un testo scritturistico che reca: « Legherà alla vite la
sua asina e al tralcio il suo asinelio », mentre F interpre­
ta una lezione del testo, molto più diffusa, che reca:
« Legherà alla vite il suo asinelio e al tralcio il piccolo
della sua asina ». Gen. 49,24-25: « Grazie alla benedi­
zione delle mammelle e dell’utero, alla benedizione di tuo
padre e di tua madre » è letto da T in modo forzato ed er­
roneo: « Grazie alla benedizione delle mammelle, alla be­
nedizione dell’utero di tuo padre e di tua madre », e pro­
prio da questa lettura del tutto singolare viene ricavata
un ’altrettanto singolare interpretazione. Invece F legge il
testo nell’accezione normale e su questa lettura imposta
un ’interpretazione del tutto diversa da quella di T 62. Ag­
giungeremo ancora, a proposito dei passi di Gen. 49,7.
24-25, in cui l’interpretazione di T ci è sembrata inade­
guata alle difficoltà del testo, che anche in questi punti
l’interpretazione di F è del tutto diversa e indipenden­
te 63. Possiamo concludere che le divergenze fra T e F

61 D 'ora in poi indicherem o con T il tra tta to d ’Ippolito e con F i


fram m enti.
62 Cf. nn. 120,121,177 della traduzione.
63 Cf. nn. 145 e 175 della traduzione. Rinvio globalm ente alle
note che ho apposto alla traduzione p er altri dettagli relativi alle
divergenze fra T e F, facendo però presente che non è sta ta m ia in ­
tenzione segnalarli in m odo sistem atico. Per divergenze di c a ra tte ­
re non so ltan to p artico lare cf. nn. 139 e 141.
40 Introduzione

non sono di minor conto di quelle che si avvertono fra


ognuno di questi due testi e un testo di altro autore dedi­
cato al medesimo tema.
Se poi passiamo alla notizia che Girolamo ci ha tra­
mandato della interpretazione di Gen. 27 (benedizione di
Isacco) riferendola come di Ippolito martire, la consta­
tazione è la stessa: questo testo e T concordano nell’in­
terpretazione di base e anche in qualche dettaglio signi­
ficativo, per esempio nell’interpretare le pelli di capretto
con cui Rebecca ricopre le braccia di Giacobbe (Gen. 27,
16) come simbolo dei peccati degli uom ini che Cristo ha
addossato su di sé per la nostra redenzione; ma diversifi­
cano in modo a volte radicale nell'interpretazione di
numerosi dettagli, e non solo nell’interpretazione dei det­
tagli: infatti, il testo che leggeva Girolamo sotto il nome
di Ippolito prolungava l’esegesi del passo biblico fino
alla fuga di Giacobbe in Mesopotamia, mentre T fa ter­
minare il commento prima, con le parole di conforto che
Isacco rivolge al deluso Esaù M. Concludiamo che Giro­
lamo leggeva un testo di Ippolito relativo all’interpreta­
zione di Gen. 27 diverso da quello che noi oggi leggiamo
in T.
Se riportiamo queste divergenze tra F e Girolamo, da
una parte, e T dall’altra, alla complessa tematica che ab­
biamo accennato a proposito della questione ippolitia-
na, di primo acchito esse sembrano quadrare bene con
la tesi che ripartisce le opere giunteci sotto il nome d ’Ip-
polito in due blocchi, e le attribuisce a due autori diver­
si: infatti Eusebio riporta come d ’Ippolito due scritti:
S ull’Esam erone e Su ciò che segue aH’Esamerone,
cioè di commento alla Genesi, si che alla seconda di
queste due opere si potrebbero ricondurre il passo di Gi­

64 Anche in m erito al confronto fra T e il passo rip o rtato da Gi­


rolam o, p er m aggiori dettagli rinvio alle note apposte alla tra d u ­
zione di G irolam o.
Introduzione 41

rolamo e i frammenti di F, e l'opera sarebbe da attribuire


a Ippolito di Roma, mentre T fa saldamente parte del
blocco di opere esegetiche che ci è apparso opera di un
autore da tener distinto da Ippolito di Roma. Ma se os­
serviamo tutto il complesso dei frammenti sulla Genesi
giuntici per varia via sotto il nome di Ippolito, consta­
tiamo che, ad eccezione di sei relativi ai prim i capitoli
del libro, essi si riferiscono tutti a Gen. 49 e a Gen. 27,
cioè coincidono strettamente con la materia trattata da
T. Assodato perciò che ben difficilmente il Su ciò che se- -
gue a ll’Esam erone era un commento di tutta la Gene­
si 65, risulta difficile ammettere che i nostri due autori
abbiano commentato ognuno per conto proprio gli stes­
si passi di quel libro, cioè quelli relativi alle benedizioni
di Isacco e di Giacobbe. Ma altrettanto, se non più diffi­
cile, risulta ammettere che uno stesso autore, secondo
l’opinione tuttora vulgata in merito ad Ippolito, sia tor­
nato due volte sugli stessi passi della Genesi con esiti
tanto diversi da una volta all’altra. Non ravviso soluzio­
ne di questa difficoltà: la mia impressione è che Le be­
nedizioni di Giacobbe siano state scritte originaria­
mente, nella forma in cui attualmente le leggiamo in T,
dall'autore che ha scritto anche le altre opere del blocco
esegetico 66; e che in un secondo tempo (quando lo scrit­
to è stato attribuito a Ippolito di Roma?) questa opera
sia stata sottoposta ad un radicale rimaneggiamento,
nel senso che non soltanto vi sono stati aggiunti molti
nuovi dettagli, ma sono stati anche modificati molti di
quelli originari67.

05 P robabilm ente, com e indica il titolo, si doveva tra tta re


d ell'in terp retazio n e dei capitoli della Genesi im m ediatam ente suc­
cessivi a quelli che tra tta n o della creazione del m ondo e deH’uom o.
66 E che, lo ripeto ancora, io considero diverso da Ippolito di
R om a.
67 A m m ettendo tale revisione, se si com prende facilm ente il m o­
tivo delle aggiunte al fine di rendere più partico lareg g iata l’inter-
42 Introduzione

Non m i nascondo la precarietà di questa mia im ­


pressione. C’è solo da augurarsi che il progredire degli
studi sulla questione ippolitiana riesca a far luce anche
sulle difficoltà relative alla tradizione di Le benedizioni
di Giacobbe.

4. Nota al testo di « Le benedizioni di Giacobbe »

Le benedizioni di Giacobbe ci sono state tramanda­


te nell'originale testo greco da un solo manoscritto, Me­
teore 573 del sec. X, sotto questo titolo ma con l’attribu­
zione ad Ireneo, sicuramente erronea. L ’attribuzione ad
Ippolito è confortata dall’autorità di u n ’antica versione
armena, sulla quale fu fatta una versione georgiana,
anch’essa pervenutaci. Testo greco, versioni armena e
georgiana e traduzione francese sono stati pubblicati nel
1954 in PO 27 a cura di Mariès, Mercier e Brière 68. Il
confronto con le versioni orientali ha consentito agli
editori di migliorare molto il testo del manoscritto greco,
ricco sia di aggiunte arbitrarie sia di numerose omissio­
ni. La mia traduzione è stata fatta sul testo di PO: solo ra­
rissime volte ho preferito la lezione del manoscritto
greco alle correzioni che vi sono state apportate 69. Le
note che corredano la traduzione, senza alcuna pretesa
di esaustività, si propongono soltanto di agevolare il let­
tore moderno nella lettura di un testo patristico ricchis­
simo di contenuto, ma composto secondo moduli

pretazione, resta oscuro il perché del cam b iam en to di m olti p a rti­


colari.
68 II testo greco dell'opera, non corredato dalle versioni arm en a
e georgiana, era sta to già edito da C. D iobouniotis, H ippolyts Schrift
ùber die Segnungen Iakobs (TU 38,1), Leipzig 1911.
69 Per la divisione in capitoli della m ia traduzione, mi sono u n i­
form ato alle indicazioni contenute nel m an o scritto greco, m odifi­
cando so ltan to l’inizio dei cc. 2 e 3 . 1 num eri posti fra parentesi in ­
d icano le pagine del testo greco di PO 27.
Introduzione 43

espressivi che possono riuscire non d ’immediata eviden­


za al giorno d’oggi.
Il testo di Girolamo e i frammenti delle Catene sono
stati tradotti sulla base dell’edizione di Achelis, Hippo-
ly t’s kleinere exegetische und hom iletische Schriften,
GCS Hippolytus Werke, 1,2, Leipzig 1897, e ne riportano
la numerazione.
Ippolito

LE BENEDIZIONI DI GIACOBBE
Prefazione

1(2). Sul punto di parlare delle benedizioni di


Giacobbe \ io stesso chiedo per me la benedizione da
parte del Signore. Infatti, chi m ai fra gli uom ini è ca­
pace di spiegare ciò c h ’è stato detto spiritualm ente 2,
se la Sapienza divina non presta aiuto a colui che p ar­
la? 3. Chi può interpretare ciò ch’è stato detto in

1 Lo scopo p rim ario d ’Ippolito fu l'in terp retazio n e di Gen. 49.


L'avervi fatto precedere l'in terp retazio n e delle visioni di G iuseppe
(Gen. 37) e delle benedizioni d ’Isacco (Gen. 27) fu da lui inteso solo
com e integrazione di q u esta o rig in aria intenzione. In ta l senso Ip ­
polito si esprim e anche nel c.3 e a ll’inizio del c.2, dove dice di voler
spiegare anche le visioni di G iuseppe.
2 In terp retazione « sp iritu ale » del VT, in correlazione e anche
in contrapposizione a ll’interpretazione letterale (cf. n. 7), è quella
che vede nei suoi fatti e nei suoi personaggi anticipazioni e sim boli
(typoi) dei fatti di Cristo e della Chiesa. In tal senso Ippolito subito
dopo p resen ta il rap p o rto fra VT e NT nel senso che lo stesso Logos
divino h a o p erato n ell’uno e n ell’altro, m a in quello copertam ente,
a ll’o m b ra della Legge m osaica, m entre in questo h a o perato in pie­
n a evidenza. In tal m odo risu lta subito ch iara la progressione dalla
vecchia alla nuova econom ia e la loro co n tin u ità in senso antig n o ­
stico.
3 Sapienza divina ovviam ente è C risto (1 Cor. 1,24). E convin­
zione com une nella Chiesa an tica che l’in terp rete della S crittu ra
debb a essere assistito dallo stesso S p irito divino che h a ispirato gli
au to ri dei libri sacri. In tal senso, poco più giù Ippolito dice che il
Logos d iv en ta in terp rete di se stesso, in q u an to isp ira a ll’interp rete
il significato dei fatti del VT in cui egli stesso aveva copertam en te
o perato tra m ite vari personaggi.
48 Ippolito

modo oscuro per parabole, per mezzo dei beati profe­


ti, se proprio il Logos non diventa interprete di se
stesso? Egli che anticam ente in Israele è rim asto n a­
scosto nella Legge come una lam pada sotto il moggio
(Mt. 5,15), per illum inare quelli che sotto la Legge ve­
nivano giustificati grazie alla circoncisione, ora inve­
ce si è m anifestato in piena libertà di parola sul legno
della croce come una lam pada a sette bracci sul can­
deliere, per chiam are le genti di lontano alla salvezza,
alla sua luce.

Visione di Giuseppe

2. Ci assista dunque proprio il Logos, fattosi in t


prete dei suoi m isteri, perché possiam o spiegare ai fe­
deli anche le visioni di Giuseppe. Infatti, non senza
motivo i suoi fratelli lo chiam avano visionario, se non
perché in potenza 4 antivedevano il Logos (4) che di­
m orava in lui. « Parlavano infatti l’uno a ll’altro di­
cendo: Ecco, viene il visionario. Suvvia, uccidiamolo,
e vediam o che sarà delle sue visioni » (Gen. 37,19-20).
Quali erano le sue visioni, figli di Giacobbe, ditelo:
« Egli vedeva alcuni covoni legati in una pianura, e il
suo covone stava diritto, invece i nostri erano caduti a
terra, e rivoltisi verso il covone di Giuseppe lo adora­
vano » (Gen. 37,7). In che cosa qui ha prevaricato Giu­
seppe, se h a annunziato ciò che vi sarebbe accaduto?
Perché invidiate e odiate il giusto, se Dio gli ha rivela­
to i suoi m isteri e gli ha m anifestato per mezzo di vi­
sioni ciò che si sarebbe realizzato negli ultim i gior-

J T raduco cosi dynamei del testo greco. Forse sarebbe sta to p re ­


feribile rendere: « inconsapevolm ente », in q u an to Ippolito qui
vuol dire che i fratelli di G iuseppe con le loro parole e le loro azioni
inconsapevolm ente p reannunciavano in G iuseppe la persóna e i fat­
ti di Cristo.
Le benedizioni di Giacobbe,2 49

ni? 5. Perché vi addolorate a vederlo cinto di una veste


variopinta (Gen. 37, 3-4), se il Padre giusto avendolo
am ato più di tu tti lo ha onorato, e lo ha inviato a visi­
tarvi (Gen. 37,13) come pastore dei pastori, e ha m an­
dato innanzi nel mondo un testim one fedele (Ap. 1,5;
3,14), e, covone della sua vecchiaia 6, come prim izia
ha risuscitato dai m orti un santo prim ogenito? Perché
vi indignate, se il sole, la luna e undici stelle lo adora­
vano (Gen. 37,9), cioè coloro che anticam ente erano
stati prefigurati? Infatti, Giacobbe e Rachele non si
chiam avano sole e luna, e le cose non si svolsero in
questo modo 7. Infatti, Rachele, già m orta, era stata
sepolta presso la via per i carri (Gen. 35,19; 48,7); e
Giuseppe, andato incontro a suo padre, si prosternò e
lo adorò (Gen. 46,29) affinché fosse conservato il signi­
ficato della figura e la S crittura apparisse (6) veritie­
ra. Ma dove m ai si sono realizzate le parole: « Che for­
se io, tu a m adre e i tuoi fratelli dovremo venire e ado­
rarti pro strati a terra? » (Gen. 37,10), se non quando i
beati apostoli e insieme Giuseppe e M aria vennero al

5 U ltim i giorni è locuzione corrente per indicare il tem po di Cri­


sto e della Chiesa. Qui Ippolito ricorda in blocco i fatti della vita
di G iuseppe p iù suscettibili di essere in te rp re ta ti com e anticipazio ­
ne e figura dei fatti della vita di Cristo, senza sofferm arsi a spiegarli
in dettaglio, d ato il c a ra tte re p relim in are (cf. η. 1) di questa p arte
d ell’opera.
6 Per l’in terpretazione spiritu ale, in riferim ento a C risto, di que­
sta espressione, alludente al fatto che G iuseppe era n ato a G iacobbe
q u an to questi era già vecchio (Gen. 37,3), cf., sotto, n. 26.
7 Ippolito, com e m olti altri antichi esegeti, avvalora l’in te rp re­
tazione cristologica di fatti del VT con la considerazione che quei
fatti, se intesi letteralm ente, p resentano qualche difficoltà di com ­
prensione. Nel caso in questione egli, sulla base di a ltri partico lari
della sto ria di G iacobbe e dei suoi figli, fa vedere che la visione di
G iuseppe si era p ienam ente realizzata non nella persona di questo
p a tria rc a m a soltanto in Cristo. In ta l m odo l’in terp retazio n e sp iri­
tu ale del VT tende a scalzare quella letterale. Per a ltri esem pi di
questo procedim ento, cf. nn. 33,61,68.
50 Ippolito

Monte degli olivi e adorarono Cristo? Giuda non era


insieme con loro. Infatti, neppure Giuseppe era Cri­
sto, perché non si credesse che ciò fosse avvenuto in
Egitto, m a era figura di colui che sarebbe venuto, e
che era appunto prefigurato da Giuseppe. Ci assista
dunque come interprete il vero e celeste Giuseppe 8,
perché appaia che egli interpreta nuovam ente ciò che
per opera sua è stato annunziato dai beati profeti. In­
fatti, la S crittura non ha taciuto a proposito di Giu­
seppe, m a lo ha presentato come interprete: egli era
l’interprete dei m isteri nascosti del Padre. E infatti la
S crittu ra dice: « Essi non sapevano che Giuseppe li
ascoltava: infatti, l’in te rp re te 9 stava in mezzo a
loro » (Gen. 42,23).
Che ci guadagnarono allora i suoi fratelli ad ucci­
dere un capretto e ad ingannare il loro (8) padre?
(Gen. 37,31-32). Ecco infatti che Giuseppe in Egitto
ebbe il titolo di re (Gen. 41,41). Perché avete m acchia­
to la veste variopinta col sangue del capretto m enten­
do (Gen. 37,31) e m al interpretando 10 ciò che da voi
stessi era stato fatto? Il padre riconobbe con voi che
quella era la veste del figlio e si rassegnò all’accaduto
(Gen. 37,33). Tu, Giuda, vendi Giuseppe (Gen.
37,26) ” , perché sei dom inato dalla concupiscenza del

8 Cristo e il « vero » G iuseppe in q u an to in lui si sono realizzati


in ogni dettag lio i fatti che quello aveva visto in sogno.
9 Gen. 42,23 allude al fatto che G iuseppe, p er celare la sua vera
id e n tità ai fratelli discesi in E gitto, p arla v a loro p e r m ezzo di un in­
terp rete. Ippolito h a di qui assunto so ltan to questo partico lare, lo
h a frainteso nel senso che G iuseppe stesso sarebbe sta to l’in te rp re­
te, e lo h a riferito a G iuseppe typos di Cristo. Q uesti è l’in terp rete
dei g ran d i m isteri del P adre nel senso che in lui si sono realizzate
profezie e typoi dèi VT.
10 Cf., sopra, n. 4 . 1 fratelli di G iuseppe in te rp re tan o m ale i loro
stessi m isfatti, in q u an to non sanno che questi erano, al di là della
loro re a ltà im m ediata, so p ra ttu tto prefigurazione dei m isfatti che i
G iudei avrebbero o perato a d anno di Cristo.
11 In questo contesto G iuda, il p a tria rc a fratello di G iuseppe, di-
Le benedizioni di Giacobbe,2-3 51

mondo (1 Gv. 2,17). Gli stranieri Ism aeliti lo com pra­


no perché egli sia condotto in Egitto (Gen. 37,27-28) e
li sia incatenato (Gen. 39,20) e per suo mezzo venga ri­
velato il significato delle visioni (Gen. 40,12-14.18-20)
ed egli sia m andato a chiam are dal Faraone (Gen.
41,14) e sia nom inato re d ’Egitto e sia ritenuto degno
di fiducia si da avere il secondo trono (Gen. 41,43) ,2; e
grazie alla sua opera fu raccolto m olto grano e conser­
vato nel deposito, si che, trascorsi sette anni, il popolo
affam ato fti nutrito (Gen. 41,25 ss.), ed egli fu adorato
dai fratelli e considerato da loro come un padre (Gen.
42,6).

Le benedizioni di Isacco

3. Come dunque non glorificherò il re celeste, c


ha rivelato per mezzo dei profeti i suoi m isteri? Ma
poiché ora si è d ata l’occasione di volgerci a ll’inter­
pretazione delle benedizioni (10), stiam o ben atten ti
ad osservare se effettivam ente le benedizioni pronun­
ciate da Giacobbe si sono realizzate come benedizioni
sui figli d ’Israele 13. Infatti constatiam o proprio il con­
trario: li a parole erano benedizioni, m a di fatto ne fu­
rono proprio la confutazione e per loro mezzo si è ri­
velata una grande profezia, che si è realizzata nei d i­

venta trasp a ren te typos di G iuda il trad ito re di Gesù. Ma uno stesso
personaggio non è sem pre p o rtato re di u n a m edesim a tipologia: v e­
drem o perciò, nell’interpretazione di Gen. 49, G iuda assunto com e
typos di C risto stesso.
12 Ippolito m odifica p e r m aggiore chiarezza la lette ra del passo
biblico, in cui è d etto che G iuseppe aveva il secondo cocchio, dopo
quello del re, com e distinzione onorifica.
13 Ippolito accenna al c a ra tte re com posito di Gen. 49, in cui si
fondono benedizioni, rim proveri, profezie, e se ne vale p e r avvalo­
rarn e l'in terp retazio n e tipologica. Q uesto p u n to è da lui m eglio svi­
lup p ato nel c.12.
52 Ippolito

scendenti che sarebbero nati dalla loro stirpe. Cosi il


beato Giacobbe parlava sul m om ento ai suoi figli, m a
ciò ch ’egli diceva si sarebbe realizzato negli ultim i
tem pi. Egli distingueva le benedizioni per quello che
profetava e le rivolgeva ai figli d ’Israele per dare la
prova delle loro prevaricazioni, e li m inacciava m an­
tenendosi estraneo a questo loro modo d ’agire (Gen.
49,6).
Ma troviam o che anche il beato Isacco si è com­
portato allo stesso modo 14 ed ha benedetto il figlio
più giovane, Giacobbe, e tu tto gli ha elargito in grazia
di Cristo, che sarebbe nato da lui secondo la carne
(Gen. 27,27-29) 15. Esaù invece, che prefigurava il p ri­
mo popolo {12), prevedendo in qualche modo il m al­
vagio pensiero del suo cuore (Gen. 27,41)16, non lo ha
benedetto ma, intendendo le parole nel loro preciso
significato, lo ha colpito con una profezia. Poiché le
cose stanno cosi, proprio la S crittura, una volta che
sia stata ben interpretata 17, ci spiegherà nel modo più

14 Ippolito p rem e tte a ll’interp retazio n e delle bendizioni di G ia­


cobbe q u ella delle benedizioni d ’Isacco perché anche queste assu ­
m ono p e r lui valore cristologico.
15 La contrapposizione E sau/G iacobbe era trad izio n alm en te as­
su n ta dai cristian i a sim boleggiare la contrapposizione G iudei/cri­
stian i, nel senso che com e G iacobbe, il m inore, aveva so p p ian tato
E sau nella p rim o g en itu ra e nella benedizione p atern a, cosi i c ristia ­
ni, venuti dopo i G iudei, li avevano so p p ia n ta ti quali d estin a tari
della prom essa divina (Ps. B arn. 13; Iren., Adv. haer. IV, 21,2). Inve­
ce, Ippolito accentua la significazione specificam ente cristologica
della tipologia vedendo in G iacobbe il typos pro p rio di Cristo, m en ­
tre conserva l’interp retazio n e trad izio n ale p e r E saù.
16 Siam o nella stessa linea esegetica che ab b iam o accennato a
nn. 4 e 10: Isacco benedice G iacobbe (= Cristo) p iu tto sto che E saù
(= popolo giudeo) perché in m odo oscuro e inconsapevole intuisce
il significato sim bolico e profetico del suo gesto.
17 Cf. n. 7: la benedizione d 'Isacco esprim e il suo pieno significa­
to so ltan to se trasfe rita dalla le tte ra a lla tipologia, da G iacobbe a
Cristo.
Le benedizioni di Giacobbe,3 53

chiaro ciò ch’era stato detto precedentem ente. Infatti


dice cosi: « Isacco chiam ò il suo figlio maggiore e gli
disse: Prendi le tue arm i, l ’arco e la faretra, va’ nella
pianura e cacciam i della selvaggina e preparam i un
buon piatto, come a me piace. E portam elo perché lo
m angi e la m ia anim a ti benedica prim a che io
m uoia » (Gen. 27,1-4). Il fatto che il profeta abbia o r­
dinato per sé il nutrim ento richiedendolo a Esaù indi­
ca la chiam ata del prim o popolo avvenuta per opera
del Logos 18, in quanto richiede da lui il frutto delle
opere di giustizia, che era considerata come n u tri­
m ento per il Padre (Gv. 4,32.34): infatti, le parole « v a’
nella pianura e cacciam i della selvaggina » indicano
il vivere nel mondo l9. Il fatto poi che gli dice: « Pren­
di la faretra e il tuo arco » indica che il popolo arro­
gandosi la sua gloria personale non sarebbe stato giu­
stificato per la fede, m a traendo vanto dalla guerra e
dalla spada avrebbe richiesto un tiranno come pro­
prio re (1 Sam. 8,9-20), come anche Mosè (14) gli dis­
se: « La spada è il tuo vanto » (Deut. 33,29) 20.

18 Secondo u n a concezione d om inante dal II al IV secolo, i cri­


stian i considerano il Logos, Figlio di Dio, com e l’effettivo p ro tag o ­
n ista dell'azione divina in ordine al governo del m ondo, in q u an to
unico m ed iato re fra Dio e gli uom ini: è lui, e non il Padre, che è a p ­
p arso ai p atriarch i, che ha d ato le leggi a Mosè, ecc. In tal senso Ip­
polito rip o rta a lui specificam ente, in q u an to in te rp re te della vo­
lon tà p atern a, l'elezione del popolo ebreo com e d ep ositario priv ile­
giato della prom essa divina.
19 Ippolito in te rp re ta allegoricam ente, in arm o n ia con la tipolo­
gia di base (Giacobbe = Cristo, E saù = Giudei), tu tti i partico lari
del racconto biblico, e non sem pre le sue in terp retazio n i di d e tta ­
glio riescono del tu tto evidenti. Possiam o p ensare che egli abbia as­
sunto la p ia n u ra a sim bolo del m ondo (in senso negativo) in q uan to
desertica e p opolata da anim ali feroci (= pericoli del mondo).
20 L ’esegeta antico di n orm a fa scatu rire l'in terp retazio n e alle­
gorica del passo che sta esam inando m ediante il rap p o rto con altri
passi sc rittu ristic i in qualche m odo rich iam a ti da quello. Nel no­
stro caso, le arm i di E saù sim boleggiano la fiducia dei G iudei nelle
54 Ippolito

4. « Allora Rebecca disse a Giacobbe, il suo fig


minore: Ecco, io ho udito tuo padre che parlava a tuo
fratello Esaù e gli diceva: Portam i della selvaggina e
fam m ene una pietanza, e dopo aver m angiato io ti be­
nedirò al cospetto del Signore. Perciò, figlio, s ta ’ a
sentire ora ciò che ti dico: vai al gregge e prendim i di
li due capretti teneri e belli; io ne farò delle pietanze
per tuo padre, come piacciono a lui, e tu le porterai a
tuo padre ed egli le m angerà, affinché tuo padre bene­
dica te prim a di m orire » (Gen. 27,6-10).
Dunque Rebecca, che portava l'im m agine della
Chiesa 21, già prefigurava ciò che si sarebbe realizzato
per opera del figlio minore. Infatti, gli dice: « V a’ al
gregge e prendim i di li due capretti teneri e belli »:
cosi Esau è m andato nella pianura, quasi a vivere da
straniero nel mondo, invece Giacobbe è m andato al
gregge, perché si realizzasse ciò ch’è stato detto dal
Signore: « Non sono stato m andato se non alle pecore
perdute della casa d ’Israele » (Mt. 15,24).
(16). Il fatto che essa dice: « Prendim i di li due ca­
pretti teneri e belli » indica le due chiam ate, che si
sono realizzate per mezzo del Vangelo 22: noi che da
loro ca p ac ità m ilita ri, a discapito della loro fede in Dio, in q uan to
collegate con la sp ad a di cui p arla Mosè e con la loro richiesta a S a­
m uele di u n re (= capo m ilitare).
21 Secondo l’in terp retazio n e tradizionale (cf. n. 15), che assum e­
va G iacobbe com e sim bolo del popolo cristiano, R ebecca agevol­
m ente veniva a sim boleggiare la Chiesa. In Ippolito q uesta tipo lo ­
gia d iv en ta m eno calzante, perché lo ab b iam o visto assum ere G ia­
cobbe com e figura di Cristo, si che in lui la Chiesa d iventa m ad re di
Cristo, m en tre trad izio n alm en te veniva con sid erata com e la sua
sposa. Si tenga però presente anche che più volte in testi dell’epoca
(per esem pio, nella cosiddetta I I Clementis) si p arla di Chiesa com e
e n tità p reesistente a ll’Incarnazione di C risto e sua sposa già da p ri­
m a d ella creazione del m ondo. In tal senso, q uesta Chiesa preesi­
stente, sposa del Logos Figlio di Dio, poteva anche assum ere il typos
di m ad re del Cristo incarnato.
22 Le due chiam ate sono quelle rivolte da C risto rispettivam en te
ai G iudei e alle genti pagane, i cosiddetti G entili.
Le benedizioni di Giacobbe,4-5 55

principio siam o capretti, in quanto siam o tu tti pecca­


tori 23, diventiam o teneri e belli con l’ubbidienza, per­
ché siam o giustificati dalla fede in Cristo, e perciò non
veniam o più condannati come capretti (Mt. 25,32),
m a siam o presentati a Dio come pecore, in odore di
soavità (Gen. 8,21), con sacrificio puro, e preparati
come cibo spirituale per il Logos, il quale, portando a
com pim ento col Vangelo le prefigurazioni, ha detto ai
discepoli: « Io ho da m angiare un cibo, che voi non co­
noscete » (Gv. 4,32).
5. « Allora Giacobbe disse a sua m adre Rebecc
Mio fratello è un uomo villoso, io invece sono senza
peli. Non accada che mio padre abbia a toccarm i e io
mi trovi innanzi a lui come se lo voglia schernire, e
cosi attirerò su di me la maledizione e non la benedi­
zione » (Gen. 27,11-12). Con quanta evidenza qui Gia­
cobbe ha m anifestato la sua accortezza. Sapendo in­
fatti ciò che era successo per colpa di Cam, che aven­
do visto Noè nudo aveva schernito la n udità del padre
e aveva attira to su di sé la maledizione (Gen. 9,22.25),
stette attento a che non si pensasse che anch’egli m et­
teva a prova suo padre, e (18) a non ricadere sotto la
m aledizione 24. Del resto, anche ciò ch’egli disse era

2J II capro, e anche il capretto, in q u an to considerato anim ale


rio tto so e lascivo, facilm ente veniva assunto com e sim bolo del pec­
cato e del peccatore, in contrapposizione alla docile pecora. Ippoli­
to conferm a q uesta sim bologia col passo evangelico relativo al giu­
dizio finale, in cui Gesù dice che separerà gli uni dagli altri com e il
p asto re separa i capri dalle pecore, e collocherà le pecore a d estra e
i cap ri a sin istra, in q u an to sim bolo degli uom ini peccatori.
24 II racconto della benedizione di Isacco, preso alla lettera, è
t u t t ’altro che edificante p er R ebecca e Giacobbe: pro p rio racconti
di questo genere suscitavano le perplessità e le critiche dei pagani
colti. L’in terp retazione di tipo allegorico, trasferendo la piena rea­
lizzazione d ell’episodio su C risto e la Chiesa, perm ettev a anche di
elim in are ciò che in esso v’e ra di poco m orale. P roprio perché esa­
m in a l’episodio sotto questo p u n to di vista, Ippolito ne v alu ta i p a r­
tico lari in m odo aderente all'in terp reta zio n e tipologica di base e
56 Ippolito

vero, che « Esau mio fratello è un uomo villoso », cioè


peccatore, « e io invece sono senza peli », il che indica
l’im m acolatezza e l’irreprensibilità della carne del Si­
gnore. Ma poiché i m isteri non si dovevano relizzare
nella persona di un altro 25, Rebecca gli dice: « Su di
me ricada, figlio, la tua m aledizione. Soltanto, sta' a
sentire ciò che ti dico, va' e portam i i capretti » (Gen.
27,13).
Infatti possiam o vedere che le parole dette da Re­
becca tanto tem po fa si sono era realizzate nella Chie­
sa: le parole « Su di me ricada, o figlio, la tu a m aledi­
zione » indicano che ora alcuni bestem m iano e oltrag­
giano la Chiesa, poiché essa venera il Crocifisso, e per
questo ci lanciano contro m aledizione e dileggio. In­
fatti, la Passione del Signore ricade come m aledizione
su quelli che non credono, m entre per quanti credono
è vita e pace (Rom. 8,6). Infatti, l'Apostolo dice: « Cri­
sto ci ha riscattati dalla m aledizione della Legge, fa­
cendosi egli stesso m aledizione per noi » (Gal. 3,13); e
proprio questo ha (20) realizzato ora il Salvatore ac­
cogliendo su di sé, col suo corpo, la m orte sul legno, e
in tal modo con la sua ubbidienza ha cancellato la

perciò ne capovolge l’apprezzam ento di c a ra tte re m orale. Cosi qui


e di seguito sistem aticam en te è v alu tato in m odo positivo l’operato
di G iacobbe e di R ebecca e in m odo negativo quello di E sau, m entre
l’apprezzam ento letterale dei fatti avrebbe com p o rtato valutazione
ben diversa.
25 Cioè, il m istero nascosto dietro la le tte ra dei fatti di Rebecca
e G iacobbe non si doveva realizzare in a ltri se non in Cristo. In qu e­
sto senso allegorico le parole di Rebecca, con cui essa si dich iara d i­
sposta a su b ire anche la m aledizione d ’Isacco p u r di favorire G ia­
cobbe contro Esau, che le tte ra lm e n te non h anno realizzazione, in ­
te rp re ta te cristologicam ente trovano il loro adem pim ento: Cristo
stesso è d iv en tato m aledizione, con riferim ento a Gal. 3,13, in q u an ­
to si è addossato i nostri peccati; e questa m aledizione è effettiva­
m ente rica d u ta su Rebecca = Chiesa, in q u an to q uesta è sta ta fatta
segno d ell’o stilità di pagani e G iudei. Il m otivo della persecuzione
com pare p iù volte nelle pagine di Ippolito.
Le benedizioni di Giacobbe,5-6 57

maledizione di Adamo, che era contenuta nella Legge:


« Sei terra e tornerai alla terra » (Gen. 3,19).
6. « Allora Rebecca prese la veste del suo fig
maggiore, quella bella, e ne rivesti suo figlio Giacob­
be, e pose intorno alle sue braccia pelli di capretti »
(Gen. 27,15-16) 26. Il fatto che Giacobbe indossi la ve­
ste indica che il Logos avrebbe rivestito la carne 27,
m entre il circondare le braccia con le pelli dei capret­
ti indica che egli si è addossato tu tti i nostri peccati,
distendendo le m ani e le braccia sulla croce. In tal
senso, anche Isaia ha detto: « Egli ha preso su di sé i
nostri peccati e si è caricato delle nostre m alattie »
(Is. 53,4-5).
Le parole di Giacobbe al padre: « Ho fatto secondo
quanto mi avevi detto » (Gen. 27,19), indicano che il
Logos è sem pre ubbidiente al Padre, come dice anche
in Ezechiele: « Ho fatto secondo quanto mi avevi co­
m andato » (Ez. 12,7).
(22). « Gli disse Isacco: Chi sei tu? Quello disse:
Sono Esaù, il tuo figlio prim ogenito » (Gen. 28,18-19).
Il profeta interroga Giacobbe non perché fosse
nell’ignoranza: infatti scorgeva in spirito il significato
di ciò che avveniva 28. Cosi anche Giosuè figlio di

2o Per capire lo svolgim ento letterale dei ta tti, prem essa alla
loro com prensione tipologica, si a b b ia presente che Isacco e ra allo­
ra quasi cieco, e su q u esta inferm ità Rebecca costruisce il suo raggi­
ro. Ippolito non ha occasione di ricordare questo p artico lare, p er­
ché lo riten ev a p erfettam en te conosciuto d ai p ro p ri lettori; p o tre m ­
m o anche aggiungere che esso non si p resta v a bene ad essere in te r­
p reta to allegoricam ente nella linea tipologica seguita dal nostro
auto re.
27 Q uest'allegoria era-sem plice e di im m ed iata com prensione:
nel linguaggio teologico dell'epoca, fino al V secolo, fu n o rm ale de­
finire l’incarnazione del Logos com e u n rivestire, assum ere la c a r­
ne. Le pelli dei c a p re tti sim boleggiano i peccati, in q u an to sono pe­
lose (cf. sopra: « E sau è u n uom o villoso, cioè peccatore ») e perché
ab b iam o visto che il c a p retto stesso è sim bolo del peccatore.
28 Ancora u n a volta qui e n ell'episodio di Giosuè, rico rd ato subi-
58 Ippolito

Naue, quando interrogava i Gabaoniti, non ignorava


il raggiro che quelli avevano escogitato, m a cosciente­
m ente vi acconsentiva, perché le genti pentendosi e
avendo fede in Giosuè e in Gesù 29, conseguissero la
salvezza (Gios. 9,3-27). Perciò, anche qui bisogna in­
tendere in questo modo.
« Avvicinati a me — gli dice Isacco — perché io ti
possa toccare, o figlio, per vedere se tu sei veram ente
il mio figlio Esaù oppure no. E Giacobbe si avvicinò a
lui. Quello, dopo averlo toccato, disse: La voce è voce
di Giacobbe, m a le m ani sono m ani di Esaù » (Gen.
27,21-22). Questo significa che il Logos, il quale in
Giacobbe prefigurava i m isteri, è diventato anche
voce dei profeti, in quanto è lui che in essi predice ciò
che avverrà 30. Q uanto alle sue m ani, son diventate
m ani di Esaù: infatti egli fu dato a m orte a causa dei
peccati del popolo 31.

to dopo, l'ap p rezzam ento allegorico del la tto tende a forzare il sen­
so letterale: cf., sopra, n. 7. Infatti, il valore tipologico d ato a tali
fatti non p erm etteva che Isacco e Giosuè fossero s ta ti effettivam en­
te in gannati.
29 Si tenga presente che in greco Gesù e Giosuè si scrivono allo
stesso m odo (Iesous), cosi com e in ebraico. P roprio questa id en tità
aveva favorito l’interp retazio n e cristologica dei fatti di Giosuè nel­
lo Ps. B arn ab a e in G iustino: Giosuè che introduce gli E brei nella
te rra prom essa è figura di C risto che introduce i suoi fedeli nella
vera te rra prom essa, cioè nella lib e rtà dal peccato e nella pienezza
della grazia.
30 j] VT p rean n u n cia e an ticip a il NT con i typoi, cioè con perso­
naggi e fatti che sim bolicam ente indicano personaggi e fatti del NT,
e con i logoi, cioè m ediante le p arole dei profeti che in m odo p iù im ­
m ediato p rean nunciano l ’econom ia neotestam en taria. Ma sia negli
uni sia negli altri è sem pre il Logos che opera. P roprio questo vuol
qui so ttolineare Ippolito, sfru ttan d o il riferim ento alla « voce » di
G iacobbe (= Cristo), facilm ente riferibile a ll'a ttiv ità profetica.
31 L’inganno in cui cade Isacco, che toccando le m ani e le b rac­
cia di G iacobbe ricoperte dalle pelli di capretto, le crede di Esaù,
p erm e tte ad Ippolito u n ’allegoria m olto raffinata: C risto è raffigu­
ra to d a G iacobbe, m a in q u an to si addossa i peccati degli uom ini si
Le benedizioni di Giacobbe,7 59

7 (24). « Allora Isacco gli disse: Avvicinati a me, fi­


glio, e baciam i; e Giacobbe si avvicinò e lo baciò. Allo­
ra Isacco senti il profum o delle sue vesti, lo benedisse
e disse... » (Gen. 27,26-27). Con ciò il profeta fa vedere
in tu tta evidenza che nessun uom o può offrire al Pa­
dre una bocca santa se non il Figlio prim ogenito nato
dalla Vergine 32. Infatti Giacobbe dice: « Io sono il tuo
figlio prim ogenito » (Gen. 27,19). A questo punto, il
profeta rivolge su di lui la sua benedizione e dice:
« Ecco, il profumo delle vesti di mio figlio è come il
profum o di un cam po ferace, che il Signore ha bene­
detto. E ti conceda Dio dalla rugiada del cielo e dalla
fertilità della terra abbondanza di grano e di vino. Sa­
ranno tuoi servi le genti e ti adoreranno i principi, e
diventa signore di tuo fratello e ti adoreranno i figli di
tuo padre. Chi ti maledice sia egli m aledetto, e che ti
benedice sia egli benedetto » (Gen. 27,27-29).
Se uno crede che questa benedizione si è realizzata
in Giacobbe, si sbaglia 33: infatti, proprio nulla di tut-

riveste anche della c a ra tte ristic a peculiare, cioè Tesser pelosi, che
faceva di E sau il sim bolo del peccato.
32 A differenza di altri autori a lui pili o m eno coevi (Giustino,
Ireneo, T ertulliano, ecc.), Ippolito riserva la qualifica di Figlio di
Dio al C risto in carn ato ed evita di estenderla al C risto preesistente,
che di n o rm a definisce soltanto Logos. A m aggior ragione, egli r i­
serva aH 'Incarnato la qualifica di P rim ogenito, d eriv a ta da Col. 1,
15, C risto p rim ogenito di tu tta la creazione, che la tradizione ales­
sa n d rin a rip o rtav a an c h ’essa al C risto preesistente.
33 A bbiam o qui un esem pio p artico la rm en te vistoso del proce­
d im en to erm eneutico illu strato sopra a n. 7. La benedizione che
G iacobbe riceve da Isacco presa alla le tte ra nei singoli partico lari
non si è realizzata in lui, che non avrebbe m ai raggiunto la posizio­
ne di grandezza preconizzatagli dal padre. In effetti la benedizione
aveva com e oggetto non G iacobbe in persona q u an to il popolo
ebreo che d a lui sarebbe disceso, e fa riferim ento alla posizione di
eccellenza che quel popolo avrebbe raggiunto al tem po di D avide e
Salom one. Ma Ippolito si fonda su un apprezzam ento strettam en te
letterale delle parole d'Isacco in q u an to rivolte al figlio, ne verifica
la non realizzazione in questo senso e perciò la trasferisce diretta-
60 Ippolito

to ciò è successo a Giacobbe. Lo troviam o dapprim a


in M esopotamia che serve per venti anni Labano
(Gen. 31,38) (26); poi, è proprio lui che si prosterna di­
nanzi a suo fratello Esaù e con doni si rende accetto al
suo cospetto (Gen. 33,3.8.10); ancora, dopo questi fat­
ti, discende in Egitto per non m orire di fame insieme
con i figli (Gen. 42,2; 46,3 ss.). E in chi si sono realizza­
te le parole: « Ecco, il profum o delle vesti di mio figlio
è come il profum o di un cam po ferace, che il Signore
ha benedetto »? 34. In nessun altro se non in Cristo, il
Figlio di Dio. Infatti, il cam po è il m ondo 35, e il profu­
mo delle sue vesti sono tu tti coloro che credono in lui,
secondo quanto dice l’Apostolo: « Noi siam o buon
odore di Cristo per quelli che si salvano e per quelli
che periscono: per questi, infatti, odore di m orte per

m ente a Cristo. In questo rifiu tare l’interp retazio n e letterale dèi


passo scrittu ristico, egli segue da presso Ireneo (A dv. haer. V, 33,3);
m a Ireneo in te rp re ta allegoricam ente il passo su lla base della tip o ­
logia G iacobbe = Chiesa, popolo cristiano, m entre Ippolito preferi­
sce la tipologia cristologica (cf. n. 15).
34 Ecco un chiaro esem pio del procedim ento, ai nostri occhi
p iu tto sto discutibile, che p erm e tte a ll’esegeta antico di trasc u rare
la le tte ra del testo sacro e di p assare a ll’allegoria. Le p arole d ’Isac-
co volevano soltanto esaltare in m odo im m aginoso le d oti del figlio;
m a Ippolito in te rp re ta in senso ip erletterale: in che senso il profu­
mo delle vesti può esser quello di u n cam po ferace? S ulla base di
questo rigido letteralism o il passo non dà senso e perciò invita l'in ­
terp rete a cercarne il significato cristologico m ediante l’in te rp re ta ­
zione allegorica.
35 Anche la p ia n u ra di Gen. 27,3, dove va a cacciare E saù, è sim ­
bolo del m ondo, assunto p erò in senso negativo (cf. n. 19) in collega­
m ento ap p u n to con E saù. Qui invece il m ondo è assunto in m odo
positivo o p e r lo m eno neutro, com e cam po d ell’a ttiv ità di Cristo e
d ella Chiesa, perciò è sim boleggiato da u n cam po non desertico
bensì fertile. La successiva allegoria, p er cui il profum o delle vesti
di G iacobbe sim boleggia i credenti in Cristo, è rea lizzata m edian te
l’accostam ento del profum o di Gen. 27,27 col buon odore di 2 Cor.
2,15 (cf. n. 20). Si noti com e in tu tto questo contesto Ippolito ab b ia
cu ra di appoggiare le sue allegorie sul collegam ento con altri passi
scrittu ristici.
Le benedizioni di Giacobbe,7 61

la m orte; per quelli, invece, odore di vita per la vita »


(2 Cor. 2,15-16).
Q uanto poi a: « Ti dia Dio dalla rugiada del cielo e
dalla fertilità della terra abbondanza di grano e di
vino », con queste parole viene indicato nel modo più
m anifesto il Logos, che è disceso dal cielo come rùgia-
da. Quanto alla terra, è la carne che egli ha assunto
dalla Vergine 36. Col dire: « abbondanza di grano e di
vino », il profeta ha indicato i santi, che sono riuniti
insiem e come il grano in un deposito (Mt. 13,30), e
sono giustificati per opera dello Spirito come dal vino
(1 Tim. 3,16)37.
E le parole: « Saranno tuoi servi le genti e ti adore­
ranno i principi » an ch ’esse si sono realizzate ora. In­
fatti, a chi servono le genti fedeli e chi adorano i prin ­
cipi della Chiesa se non il Cristo, nel cui nome anche
ottengono la salvezza? 38. Proprio il Logos, per mezzo
di Isaia, h a predetto tu tto ciò dicendo: « A coloro che
mi servono sarà dato un nome nuovo, che sarà bene­
detto sulla terra; infatti benediranno il vero Dio, e
quelli che giurano sulla terra giurano nel nome del
vero Dio » (Is. 65,15-16). E dice ancora: « Ecco, coloro
che mi servono m angeranno, e voi invece avrete fame;

30 L 'intenzione di sfru ttare tipologicam ente ogni dettaglio del


passo che sta in terp retan d o , ta lv o lta induce Ippolito a forzature e
controsensi: p er esem pio, qui ci si può chiedere com e si concilia
l’allegoria: Logos = rug iad a, con l’altra: Logos = Giacobbe, su cui
la ru g iad a discende. Più p ertin en te è invece l ’allegoria te rra = c a r­
ne a ssu n ta dal Logos, perché distingue in Cristo la com ponente d i­
vina (Logos) che assum e e quella u m a n a (carne) che viene assu n ta.
37 II giustificare p er opera dello S p irito rich iam a 1 Tim . 3,16.
M eno ch iara risu lta invece la base sc rittu ristic a su cui Ippolito deve
av er fondato l’allegoria vino = S p irito che giustifica i cristian i: si
può p en sare al vino nuovo di Mt. 9,17: cf. PO 27, 210.
38 Si rilevi com e in tu tto questo contesto Ippolito trasferisca in
dim ensione sp iritu ale, riferendola al regno di C risto nella Chiesa e
sui fedeli, le parole d ’Isacco che si riferiscono ad u n a prem inen za
po litica e m ilitare.
62 Ippolito

ecco, quelli che mi servono berranno, e voi invece


avrete sete; ecco, coloro che mi servono esulteranno
in letizia, voi invece arrossirete di vergogna e urlerete
per l’abbattim ento del vostro spirito » (Is. 65,13-14).
Poi Isacco continua dicendo: « Diventa signore di
tuo fratello e ti adoreranno i figli di tuo padre ». Ma
nessuno ha adorato Giacobbe né egli è diventato si­
gnore di suo fratello Esaù; anzi, al contrario, pieno di
spavento, è fuggito dinanzi a lui e per prim o (30) lo ha
adorato sette volte (Gen. 32,7-8;33,3) 39. Perciò, le p a ­
role di Isacco si sono realizzate nel Salvatore: infatti
egli è diventato signore e padrone di quelli che sono
ritenuti suoi fratelli secondo la carne, per essere ado­
rato da loro come re. Per questo Isacco dice: « Chi ti
maledice sia egli m aledetto, e chi ti benedice sia egli
benedetto ».
Dato che questa benedizione in apparenza è stata
rivolta a Giacobbe m a in realtà si è realizzata in Cri­
sto, esam iniam o ciò che è detto di seguito.
8. « Dopo che Isacco ebbe finito di benedire G
cobbe suo figlio e questi si allontanò dalla presenza
del padre, accadde che anche suo fratello Esaù tornò
dalla caccia; e preparò anch'egli delle pietanze e le
presentò a suo padre » (Gen. 27,30-31).
Le pietanze di Esaù indicano il culto del popolo
sotto la Legge, come pieni di vanagloria 40 e convinti

39 Cf., sopra, n. 33.


40 G ià sopra, a n. 24, ab b iam o rilevato com e l’interp retazio n e ti­
pologica com plessiva del b ran o scrittu ristic o ab b ia condizionato
q uella di tu tti i p artico lari, che sono presi sistem aticam en te in sen­
so positivo p er G iacobbe e in senso negativo p e r E sau, con evidente
fo rzatu ra del senso letterale delle parole. Qui le p arole di E sau, in­
dicative so ltan to del suo buon d iritto a ricevere la benedizione p a ­
te rn a, passano ad indicare, in senso tipicam ente paolino, l'illuso ria
fiducia dei G iudei di p o te r conseguire con le loro sole forze la g iu sti­
ficazione d a p a rte di Dio grazie a ll’osservanza della Legge. Tale fi­
ducia Ippolito atteggia negativ am ente a su p erb ia e vanagloria.
Le benedizioni di Giacobbe,8 63

di essere giustificati per mezzo della circoncisione of­


frono i pagani p ro se liti41 come nutrim ento, m entre
essi stessi di nutrim ento abbisognano, perché non
possono toccare il pane celeste 42.
(32) « Disse allora Esaù: Alzati, padre mio, e m an­
gia della cacciagione di tuo figlio; affinché la tua an i­
m a mi benedica » (Gen. 27,31). Q uanto sono superbe
queste parole e piene di profondo orgoglio! E infatti
fino ad oggi in questo modo si vantano quelli della
circoncisione, come se fossero i soli giustificati. Inve­
ce il beato Giacobbe, aggiungendo accortezza a mode­
stia, aveva detto al padre: « Ho fatto secondo quanto
mi hai ordinato » (Gen. 27,19). Invece Esaù non parla
cosi, m a dice: « Alzati, padre mio, e m angia della cac­
ciagione di tuo figlio, affinché la tua anim a mi benedi­
ca. E Isacco gli rispose: Chi sei tu? E quello disse:
Sono tuo figlio, il prim ogenito, Esaù. Allora Isacco ri­
mase atterrito di immenso stupore e disse: Ma chi al­
lora ha cacciato per me la selvaggina e me l'ha offer­
ta? E io ho m angiato prendendo da tutto, prim a che
tu tornassi, e l’ho benedetto e rim arrà benedetto »
(Gen. 27,32-33). Q uanto fu vigile a questo punto lo spi­
rito del profeta! Poiché infatti nella benedizione, ri­
volgendosi a Giacobbe, aveva detto: « Chi ti benedice
sia benedetto e chi ti maledice sia m aledetto » (Gen.
27,29), per questo ha conferm ato una seconda volta ed
ha suggellato la prim a benedizione, dicendo: « L’ho
benedetto e rim arrà benedetto ». Infatti ciò che fu fat­
to da Giacobbe prefigurava il m istero dell’economia
in Cristo, che, benedetto dal Padre, una volta generato
41 I proseliti erano i pagani che accettavano in loto il com plesso
di osservanze im poste d alla Legge m osaica e perciò venivano assi­
m ilati ai G iudei veri e propri.
42 L’evidente riferim ento è a Gesù pane di vita di Gv. 6,48 (cf.,
infra, c.24): solo questo è il n u trim e n to vitale e non la Legge, n u tri­
m ento illusorio che inganna i G iudei e non p erm e tte loro di avvici­
n arsi al n u trim e n to reale.
64 Ippolito

(secondo la carne) è stato benedetto per tu tti i seco­


li «.
(34). Quanto poi alle parole della Scrittura: « Al­
lora Isacco rim ase atterrito d'im m enso stupore »,
ecco che cosa significano: Isacco si meravigliò per
l’accaduto, in quanto antivedeva che le genti pagane
grazie al suo figlio m inore sarebbero state benedette
da Dio e sarebbero subentrate nel testam ento della
prom essa ch’era stata fatta ai p a d r i44. Per questo in­
fatti Giacobbe, quando fu partorito e usci per ultim o
dal ventre della m adre, afferrò il calcagno di Esau
(Gen. 25,26). Infatti, il popolo che avrebbe seguito per
ultim o sulle tracce dei profeti avrebbe preso la primo-
genitura e si sarebbe trovato ad esser prim o per il
Nuovo Testam ento.
« Allorché Esaù udì le parole del padre Isacco, gri­
dò ad alta voce e con grande am arezza, e disse: Bene-

La conferm a che Isacco, p u r fatto consapevole d ell’inganno di


G iacobbe, fa della benedizione che gli aveva rivolto, è intesa da Ip­
polito com e solenne conferm a, da p a rte del Padre, dell’opera red en ­
trice di Cristo, e com e tale è specificam ente p u n tu a liz za ta al m o­
m ento della n ascita carn ale del Logos da M aria: quindi a questo
m om ento ab b iam o la conferm a di u n a benedizione precedente.
Tale benedizione precedente va fissata nel m om ento stesso della ge­
nerazione divina del Logos da p a rte del Padre, d ato che tale gen era­
zione, secondo u n 'id ea corrente fra il II e il III secolo, era app u n to
o rien tata in funzione della creazione e del reggim ento provviden­
ziale del m ondo da p arte del Logos, p e r volontà del Padre.
44 A bbiam o già rilevato (cf. n. 15) che Ippolito ha m odificato,
nel com m entare la benedizione d ’Isacco, la tradizionale tipologia
che ravvisava in E sau e G iacobbe i typoi dei G iudei e dei cristian i, e
ha fatto di G iacobbe il typos specificam ente di Cristo. Qui però egli
si adegua a ll’in terp retazio n e tradizionale e p resen ta la sostituzione
del m inore in luogo del m aggiore com e typos della sostituzione dei
G iudei d a p arte dei cristian i com e d estin a tari della prom essa divi­
na. Del resto, il passaggio da C risto ai cristian i e viceversa riusciva
q u an to m ai agevole in forza del concetto paolino del corpo m istico,
variam en te ripreso da Ippolito nel corso della su a opera: cf., p.
esem pio, c. 27.
Le benedizioni di Giacobbe,8 65

dici anche me, padre. Ma quello gli rispose: Tuo fra­


tello, venuto con l'inganno, ha preso la tua benedizio­
ne » (Gen. 27,34-35).
Le parole: « Tuo fratello, venuto con l’inganno, ha
preso la tu a benedizione » (36) indicano m isteriosa­
m ente che il Logos di Dio incarnatosi avrebbe preso
form a di servo e cosi, diventato inconoscibile grazie
ad essa, avrebbe ricevuto la benedizione dal Padre e
ne avrebbe fatto partecipi anche noi che crediam o in
lui 45.
« Esau, avendo ascoltato, disse: Ben a ragione è
stato chiam ato per nome Giacobbe; infatti, ora in
questo mi ha soppiantato per la seconda volta 46. Si
era già preso la m ia prim ogenitura, e ora si è preso la
m ia benedizione. E Esaù era molto irritato con Gia­
cobbe e disse in cuor suo: Quando m ai arriveranno i
giorni del lutto per la m orte di mio padre 47, perché io
possa uccidere mio fratello Giacobbe? » (Gen.
27,36.41).
Con q uanta chiarezza qui la S crittura ha rivelato
in anticipo ciò che sarebbe accaduto per opera di
Esaù! Infatti è stato indicato il Logos padre del popo­

45 L’inganno operato da G iacobbe viene allegoricam ente consi­


derato com e typos della ven u ta nascosta del Logos nel m ondo. Se­
condo questo tem a, che rico rre frequente nella le tte ra tu ra p a tristi­
ca, il Logos divino avrebbe occultato nella carne la sua divinità pejv
rendersi inconoscibile al dem onio principe del m ondo e operare
cosi attrav erso la sua m orte là redenzione. In fatti se il princip e di
questo m ondo avesse conosciuto che C risto era il Figlio di Dio non
l’avrebbe messo a m orte, consapevole che tale gesto avrebbe signi­
ficato la distruzione del suo regno. Per m aggiori dettagli su questo
tem a cf. R iv S t Let Rei, 1972, pp. 32 ss.
46 II nom e « G iacobbe » era a p p u n to in terp retato : soppiantato-
re.
47 Si tenga presente che questa espressione secondo il testo gre­
co si può rendere sem plicem ente « ... i giorni del lu tto (= della m or­
te) di m io p ad re ». N ella interp retazio n e allegorica che segue, Ippo­
lito sfru tta p ro p rio questo concetto.
66 Ippolito

lo, il quale negli ultim i giorni per mezzo della carne si


è sottoposto alla passione 48. In tal senso Mosè rim pro­
verava il popolo dicendo: « Questo date in contrac­
cam bio al Signore? Non è egli tuo padre? » (Deut.
32,6). La S crittura ha fatto distinzione, perché noi
com prendessim o ciò ch'è stato detto. Infatti, le parole
di Esau: « Quando m ai arriveranno i giorni del lutto
per la m orte di mio padre? », indicano i giorni della
Pasqua, durante i quali il Logos è venuto ad annun­
ziare a quelli il regno; (38) invece, con le parole: « Per­
ché io possa uccidere mio fratello Giacobbe », è stato
indicato proprio l’uomo che è stato generato secondo
la carne da Giacobbe e che è stato inchiodato al legno
da Esau.
9. « Allora Esau dice a Isacco: Non ti è restata p
me, padre, una benedizione? » (Gen. 27,36). Infatti,
perché si vedesse che tu tta la pienezza della divinità
dim ora corporalm ente in Cristo (Col. 2,9)49, Isacco gli
disse: « Se l’ho fatto tuo signore ed ho fatto suoi servi
tu tti i suoi fratelli e l’ho fortificato con l’abbondanza

48 Per in ten dere con esattezza il senso di tu tta questa tipologia


ipp o litian a, si tenga presente che trad izio n alm en te anche Isacco
era figura di C risto redentore, so p ra ttu tto in forza del suo sacrificio
d a p arte di A bram o. Perciò qui Ippolito assum e sia Isacco sia G ia­
cobbe com e typoi di Cristo: p ro p riam en te Isacco d iventa figura di
C risto in q u an to Logos divino, perciò pad re (= creatore e reggitore)
di tu tti gli uom ini e in p artico lare del popolo ebraico; quin d i la
m o rte del Logos in q u an to p ad re indica genericam ente la sua m is­
sione redentrice, cu lm in a ta a p p u n to nella m orte pasquale. Invece,
G iacobbe indica specificam ente l'u m a n ità assu n ta dal Logos: in tal
senso egli è fratello di Esali, cioè dei G iudei che lo h anno m esso a
m orte.
49 II senso dell’interp retazio n e ip p o litian a si fonda su « corpo­
ralm en te » di Col. 2,9, che Ippolito intende in riferim ento al Cristo
corporeo, in carnato. Se su di lui, sim boleggiato da G iacobbe, e
quin d i su lla sua Chiesa, riposa la pienezza d ella d iv in ità e d ella sua
prom essa, non c ’è rim asto p iù niente p er il popolo giudaico sim bo­
leggiato d a Esaù.
Le benedizioni di Giacobbe,9-10 67

di grano e di vino, che cosa potrò fare per te, figlio


mio? » (Gen. 27,37).
Poiché Isacco si affliggeva cosi, « Esau gridò a
gran voce e pianse » (Gen. 27,38). L’afflizione di Isac­
co indica la compassione che provò il Logos 50 per il
peccato del popolo: infatti il Salvatore pregando per
quelli disse: « Padre, perdona loro, perché non sanno
quello che fanno » (Le. 23,34). Invece, il fatto che Esaù
gridò a gran voce e pianse, indica il loro pentim ento
per l’azione che avevano fatto 51, come anche è scritto
negli Atti degli Apostoli: « Ad udire queste parole si af­
flissero (40) in cuor loro e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: Che cosa possiamo fare, fratelli? E quelli dis­
sero: Pentitevi, e ognuno di voi sarà battezzato nel
nome di Gesù Cristo, e riceverete il dono dello Spirito
Santo. Infatti, è per voi la prom essa e per i vostri figli
e per tu tti quelli che sono lontani, quanti ne chiam erà
il Signore Dio nostro » (Atti, 2,37-39).
Questa è dunque la benedizione che allora Esaù
cercava di ottenere.
10. Ma poiché non era il m om ento debito, Isac
profetizzando ciò che sarebbe accaduto gli dice:
« Ecco, la tua dim ora disporrà di terra fertile e di ru ­
giada d a ll’alto del cielo 52, e tu vivrai di spada e sarai

50 Ippolito contin u a ad applicare la linea in te rp re ta tiv a che a b ­


biam o già illu strato a n. 48, secondo cui Isacco è, alla p ari di G ia­
cobbe, typos di Cristo, e p ro p riam en te di C risto in q u an to Logos d i­
vino (= p ad re di Esau, cioè del popolo giudaico), qui considerato
nel m om ento d ella Passione.
51 Come è chiaro dal riferim ento al passo degli Atti, Ippolito ri­
ferisce il p ian to di E sau al pen tim en to dei G iudei che ascoltavano le
paro le di Pietro: quindi qui E sau non è più figura di tu tto il popolo
giudaico, m a di quei pochi che, ad ascoltare Pietro, si pentiron o e
furono b attezzati.
52 P ropriam ente, il testo greco seguito da Ippolito, quello dei
LXX, in concordanza con quello ebraico, qui dice: « La tu a dim o ra
sarà priv a di te rra fertile e p riv a di ru g iad a », in q u an to la prep. apó
ha significato di allo n tan am en to e di privazione. Ma l'in te rp reta-
68 Ippolito

servo di tuo fratello. Ma verrà il giorno in cui scuote­


rai e toglierai il giogo dal tuo collo » (Gen. 27,39-40).
Le parole pronunciate dal beato Isacco hanno signifi­
cato di benedizione o di profezia? Bisogna esatninare
tu tto il contesto. « Ecco — dice —, la tua dim ora di­
sporrà di terra ferile e di rugiada d all’alto del cielo ».
Infatti avvenne che il popolo prese ad abitare nella
terra dei Cananei, che divise loro Giosuè figlio di
Naue. (42) Quanto alle parole: « e di rugiada dall’alto
del cielo », esse indicano che i profeti a m o’ di nube li
hanno irrigati, facendo loro conoscere le parole di
Dio 53. « Vivrai della tua spada » indica che il popolo
non ha m ai smesso di guerreggiare in attacco e in di­
fesa con i popoli che abitavano a ll’intorno, come dico­
no anche le Scritture. Il fatto poi ch'è detto: « e sarai
servo di tuo fratello » indica il tem po attuale, in cui il
Salvatore è stato presente per visitare i suoi fratelli
secondo la carne, i quali il profeta esorta a diventare
ubbidienti e ad essere suoi s e rv i54. Per questo ha det­
to: « Ma verrà il giorno in cui scuoterai e toglierai il
giogo dal tuo collo ». Quale giogo se non quello che

zione che di queste p arole dà Ippolito, presuppone senza om b ra


d ’incertezza p ro p rio la traduzione che ab b iam o d ato nel testo: cf. n.
53.
53 A bbiam o visto a n. 3 j >. -me la benedizione che Isacco rivolge
a G iacobbe storicam ente si riferisse a ll’insediam eoto degli Ebrei,
discendenti di Giacobbe, nella te rra prom essa di C anaan e allo
splendore del regno davidico. P arallelam ente, le parole che qui
Isacco rivolge ad E sau si riferiscono alla condizione degli E dom iti,
discendenti di E saù (cf. Gen. 36), che avrebbero a b ita to ai m argini
della te rra di C anaan, sarebbero sta ti sottom essi agli Ebrei da D a­
vide m a successivam ente avrebbero scosso il giogo. Ma l'in te rp re ­
tazione di Ip p olito è condizionata dalla tipologia E sau = popolo
giudaico: quindi egli, forzando — com e ab b iam o visto sopra — il
senso del passo, lo riferisce allo sta b ilim en to del popolo ebreo p ro ­
prio n ella te rra fertile di C anaan e a ll'a ttiv ità dei profeti in mezzo
ad esso.
54 A ppena le parole di Isacco toccano in d ire ttam en te anche G ia­
cobbe, l’in terp retazio n e di Ippolito rid iv en ta cristologica: i G iudei
Le benedizioni di Giacobbe, 10-11 69

consiste nella Legge? Affinché possano vivere ora non


più servi sotto il giogo della Legge, e liberi possano
anche ora essere salvati credendo nel Vangelo.
Dato che i beati profeti di generazione in genera­
zione ci hanno predetto i m isteri di Cristo e ci hanno
m ostrato nel modo più chiaro quelli della giustifica­
zione 55, chi potrebbe dubitare di fronte a questi (44)
cosi chiaram ente enunciati? Se infatti noi li giudi­
chiam o degni di fede per quel che in anticipo hanno
detto dei fatti passati e presenti, come non sarà lo
stesso per i fatti che dovranno accadere?

Le benedizioni di Giacobbe

I figli di Giuseppe: Efraim e Manasse


11. Dopo aver interpretato le benedizioni pronu
ciate da Isacco, passiam o ora a quelle indirizzate p ro­
prio da Giacobbe ai suoi figli. A questo proposito, la
S crittu ra dice 56: « Israele, avendo visto i figli di Giu­
seppe, chiese: Chi sono costoro? Giuseppe rispose:
sono inv itati a diventare servi di C risto, cioè a convertirsi ed a scuo­
tere il giogo della Legge.
55 L’espressione « e ci hanno m o strato nel m odo pili chiaro
quelli (cioè, i m isteri) della giustificazione » non è nel testo greco e
si ricav a d alla traduzione arm ena, m a il testo risu lta n te è tu tt’altro
che sicuro (cf. PO 27,215). Cosi com e lo abb iam o trad o tto , seguendo
la ricostruzione testuale di M ercier, esso contrappone la sem plice
predizione che i profeti h anno fatto dei m isteri di C risto alla piena
chiarezza con cui hanno rivelato i m isteri della giustificazione a t­
trav erso la Legge m osaica; e tale rivelazione va in tesa nel senso che
i profeti h an n o afferm ato che la Legge and av a osservata non secon­
do la lettera, com e facevano i G iudei, bensì secondo lo spirito, com e
ap p u n to avreb bero fatto i cristian i.
56 Dopo av er integ rato le vere e pro p rie benedizioni di G iacobbe
di Gen. 49 con le benedizioni d ’Isacco, Ippolito vi p rem e tte anche le
benedizioni di G iacobbe ai due figli di G iuseppe, perché a n c h ’esse,
com e l ’episodio di Isacco, si prestav an o bene all'in terp retazio n e
cristologica.
70 Ippolito

Sono miei figli, quelli che Dio mi ha concesso di avere


qui. E Giacobbe disse: Conducimeli, perché io li bene­
dica. Ora, gli occhi di Giacobbe erano annebbiati per
la vecchiaia e non poteva vedere bene. Giuseppe li
fece avvicinare a lui, ed egli li baciò e li abbracciò, poi
Israele disse a Giuseppe: Ecco, non sono stato privato
della tu a vista, ed ecco, Dio mi ha fatto vedere anche
la tua discendenza. Allora (46) Giuseppe allontanò i fi­
gli dalle ginocchia di Giacobbe e quelli lo adorarono
con la faccia a terra. A questo punto, Giuseppe prese i
suoi due figli, Efraim che stava alla sua destra, perciò
alla sinistra d'Israele, e Manasse che stava alla sua si­
nistra, perciò alla destra d'Israele, li fece avvicinare a
quello. Allora Israele, avendo steso la m ano destra, la
pose sul capo di Efraim, che era il più giovane, e pose
la sinistra sul capo di Manasse; e avendo cosi incro­
ciato le m ani, li benedisse e disse: O Dio, alla cui pre­
senza furono graditi i miei padri Abramo e Isacco, o
Dio che mi hai nutrito dalla m ia giovinezza fino a
questo giorno, o angelo che mi liberi da tutte le mie
sventure, benedici questi ragazzi, e il mio nome sarà
im posto su di loro, e il nome dei miei padri Abramo e
Isacco, e si m oltiplicheranno in grande abbondanza
sulla terra » (Gen. 48,8-16).
Con queste parole, il profeta ci ha rivelato un m i­
stero grandissim o. Infatti, coll'incrociare le m a n i57 e
trasferire cosi il figlio m inore di Giuseppe, cioè
Efraim, alla destra, e il prim ogenito Manasse invece
alla sinistra, ha indicato che ci sono due chiam ate (48)

57 Q uesto p artico lare del racconto biblico viene rilevato da Ip­


polito, perché facilm ente poteva essere collegato tipologicam ente
alla crocifissione di Gesù, che aveva sanzionato il passaggio della
p rim o g en itu ra dai G iudei ai cristiani. È questo il senso dell’in te r­
pretazione d ’Ippolito, secondo il tem a del fratello m inore (= cri­
stiani) che so p p ian ta il m aggiore (= G iudei), che abbiam o visto già
app licato a proposito della sto ria di G iacobbe ed Esaù.
Le benedizioni di Giacobbe, 11 71

e due popoli; e il popolo più giovane in forza della


fede si trova alla destra di Cristo, m entre il più vec­
chio, che traeva vanto dalla Legge, viene trasferito a
sinistra. Per cui, Giuseppe, che non considerava spiri­
tualm ente ciò che il profeta operava, cercò di opporsi
dicendo: « Non cosi, padre; questo è infatti il prim o­
genito, perciò stendi la tua destra sulla sua testa. Ma
Giacobbe disse: Lo so, figlio, e anch'egli sarà grande e
sarà innalzato; ma suo fratello m inore sarà più gran­
de di lui. E pose Efraim davanti a Manasse » (Gen. 48,
18-20).
Ma poiché molti m isteri sono nascosti nelle Sacre
Scritture, spiegheremo esaurientem ente anche que­
sto, cioè che cosa significa il fatto che il beato Giacob­
be fece suoi i due figli di Giuseppe. Infatti, le sue paro­
le: « I due figli, che ti sono nati in Egitto prim a che io
venissi in Egitto da te, sono miei; Efraim e Manasse
saranno miei, come Ruben e Simeone. Invece, i figli
che genererai dopo di questi, saranno tuoi » (Gen.
48,5-6) vogliono dir questo: poiché erano dodici i figli
di Giacobbe, da cui sono derivate le dodici tribù, (50)
quello rip arti i figli di Giuseppe in due tribù, e cosi le
tribù diventarono tre d ic i58, poiché la tribù di Giusep­
pe è stata divisa in due. E questo non fu senza motivo:
infatti, l'apostolo Paolo, scelto dal num ero delle tribù,
fu considerato come tredicesim o dopo gli apostoli e
cosi fu m andato come apostolo alle genti pagane.

5“ Per in tendere il procedim ento esegetico di Ippolito, si ricordi


l’altern an z a 12/13 p er il num ero delle trib ù israelitiche: se furono
12 i figli di Giacobbe, da cui le trib ù trassero nom e, G iuseppe non fu
eponim o di u n a trib ù , m a lo furono i suoi figli E fraim e M anasse.
Perciò gli eponim i delle trib ù p ro p riam en te furono 13; d ’a ltra p arte
la trib ù di Levi non ebbe m ai territo rio p roprio (cf. Gios. 13 ss.) e d i­
ventò trib ù sacerdotale. D ato l’ovvio collegam ento fra il num ero
delle trib ù e quello degli apostoli, è agevole p er Ippolito sfru ttare il
num ero 13 risu lta n te dallo sdoppiam ento di G iuseppe, p er aggiun­
gere anche Paolo ai 12 apostoli tradizionali.
72 Ippolito

I dodici figli di Giacobbe


12. Poiché sperim entiam o che le Sacre Scrittu
in ogni parola ci danno garanzia di veridicità per
mezzo dei profeti, vediam o ciò che Giacobbe dice ap ­
presso.
« Giacobbe chiam ò i suoi figli e disse: Riunitevi,
perché io vi annunci ciò che vi accadrà alla fine dei
giorni. Riunitevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascol­
tate vostro padre Israele » (Gen. 49,1-2).
II fatto che egli dice: « Riunitevi, perché io vi an­
nunci ciò che vi accadrà alla fine dei giorni » (52),
questa è profezia, non benedizione: infatti la benedi­
zione ricade su uno che viene benedetto; invece la
profezia si realizza in u n ’opera che viene po rtata a
com pim ento. Ma poiché la S crittura dice anche:
« Tutti questi sono i dodici figli di Giacobbe, e cosi
parlò loro il padre e li benedisse uno p er uno, li bene­
disse secondo la propria benedizione » (Gen. 49,28), in
che modo il contesto risulterà coerente, dato che ora
sono indicate profezie e ora sono nom inate benedizio­
ni? 59. A tal proposito si deve considerare che nelle

59 II ca ratte re com posito delle parole che G iacobbe rivolge ai fi­


gli, dove si m escolano insiem e lodi, rim proveri, profezie, riferim en ­
ti a fatti p assati, è in certo m odo p u n tu a liz za to dalle espressioni
iniziali e finali del passo: infatti a ll’inizio G iacobbe si attegg ia a
pro feta del futuro, m entre alla fine le sue parole sono globalm ente
ap p rezzate com e u n a serie di benedizioni. Ippolito e tu tti gli altri
co m m en tato ri dopo di lui rilevano q uesta a p p a ren te contraddizio ­
ne, perché p ro prio essa facilita l’in terp retazio n e allegorica di tu tto
il testo in riferim ento a Cristo. Ippolito considera le benedizioni
vere e p ro p rie com e realizzate in C risto e nella Chiesa, m en tre i p as­
si profetici che vi sono infram ezzati, p e r il loro contenuto p revalen ­
tem en te negativo ai danni dei figli di G iacobbe (Ippolito h a qui di
m ira so p ra ttu tto la benedizione di R uben e di Sim eone e Levi),
sono in te rp re ta ti in riferim ento a ll'o stilità del popolo giudaico nei
confronti di C risto e della Chiesa e alla punizione che vi avrebbe
fatto seguito.
Le benedizioni di Giacobbe, 12-13 73

medesime parole sono contenute sia benedizioni sia


profezie, perché le benedizioni ricadano su colui che è
nato da Giuda e che è prefigurato in Giuseppe, che in
quanto disceso da Levi si trova ad essere sacerdote del
Padre; invece le profezie si realizzano su coloro che
hanno operato ostilm ente e hanno disprezzato il Fi­
glio di Dio.

Ruben
13. Che la cosa stia cosi ce lo insegnerà proprio
S crittu ra nel modo più evidente. Dice infatti: « Ru­
ben, tu sei il mio prim ogenito, la m ia forza e il princi­
pio dei miei figli. Duro da sopportare e duro (54) arro­
gante, hai traboccato come acqua bollente: non ribol­
lire. Infatti sei salito sul letto di tuo padre e allora hai
contam inato il giaciglio dove eri salito » (Gen. 49,3-4).
Che, dunque? Definiremo questo passo profezia o
benedizione? Infatti, il dire « duro da sopportare,
duro arrogante » e « sei salito sul letto di tuo padre e
allora hai contam inato il giaciglio dove eri salito »
sem bra essere biasim o più di un fatto passato che di
uno che dovrà accadere. Ma uno dirà che questo è sta­
to detto perché Ruben giacque con Balla, la concubi­
na di suo padre, e cosi contam inò il letto del padre
(Gen. 35,22)60. Troviam o perciò che, secondo questa

60 E ffettivam ente, le parole di G iacobbe fanno chiaro riferim en­


to a q u esto episodio, e perciò quella che q ui Ippolito p resen ta sotto
l'a u to rità di u n generico « uno d i r à .», è l’interp retazio n e letterale
di quelle p aro le. S arebbe p e r noi im p o rta n te p o te r accertare a chi
ab b ia inteso riferirsi Ippolito con queste parole cosi generiche. Am­
brogio, che nel De patriarchis segue da presso Ippolito, ha p u n tu a ­
lizzato il riferim ento nei G iudei (2,8 et Iudaei putant) e cosi ha fatto
più giù (3,10), là dove Ippolito (c.14) rip o rta ancora in m odo a ltre t­
ta n to generico l’interp retazio n e letterale della benedizione di S i­
m eone e Levi: in effetti noi sappiam o che presso gli E brei era in uso
so p ra ttu tto l’interp retazio n e letterale del testo sacro. Ma proprio
p er influsso giudaico alcune frange rad icali dei G iudeo-cristiani
74 Ippolito

interpretazione, qui il profeta avrebbe inteso riferirsi


a fatti passati e non futuri. Ma quando egli dice:
« Riunitevi, figli di Giacobbe, perché io vi annunci ciò
che vi accadrà alla fine dei giorni » (Gen. 49,1), il pro­
feta significa copertam ente di voler parlare di avveni­
m enti futuri: m a allora come uno potrà credere che
qui egli parli di un fatto passato? 61. Perciò, secondo
questa interpretazione, il profeta viene giudicatò
come profeta (56), quando parla di fatti futuri e non
passati. Infatti, non si crederà ad alcunché di grande e
straordinario, se cose da noi osservate due o tre anni
prim a le esponiam o agli altri altri come se effettiva­
m ente profetassimo, m entre, invece, abbiam o visto
ciò eh e accaduto con i nostri occhi. M ostreremo per­
ciò il profeta come profeta.
Dice infatti: « Ruben, tu sei il mio prim ogenito, la
m ia forza e il principio dei miei figli ». Questo passo
alcuni lo riferiscono al Salvatore, come se effettiva-

(cioè, dei cristiani che osservavano le fondam entali pratich e della


Legge giudaica) rifiutavano categoricam ente ogni tip o d ’in te rp re­
tazione allegorica del VT, anche quello cristologico d ’uso com une e
che viene valorizzato anche da Ippolito. N on si può perciò esclude­
re che Ippolito qui e nel c.14 ab b ia inteso riferisi non ta n to a veri e
p ro p ri G iudei q u an to a cristian i d'osservanza giudaica.
61 Ippolito non sem bra am m ettere che uno stesso passo scrittu -
ristico possa essere in te rp re ta to sia alla le tte ra sia allegoricam ente,
com e di li a poco avrebbe fatto sistem aticam en te O rigene. Perciò,
poiché è d ’avviso che l’interp retazio n e letterale della benedizione
di R uben lo po rterebbe ad escludere quella allegorica di conten u to
cristologico, nega a d d irittu ra che le parole di G iacobbe abbian o
m ai inteso riferirsi alla m a lefatta di Gen. 35,22, e p e r questo si ri­
ch iam a al ca ratte re profetico d ell’intero Gen. 49, sottolineato da
Gen. 49,1, che egli nel c.12 aveva p u n tu alizzato in senso negativo in
riferim ento a ll’o stilità dei G iudei p e r Cristo. Va com unque qui rile­
vata un a concezione m olto rig id a d ell’a ttiv ità profetica, com e rivol­
ta esclusivam ente a lla predizione del futuro, m entre u sualm ente gli
antich i h anno riconosciuto che il profeta fa v ariam ente riferim ento
a fatti fu tu ri, presenti e passati.
Le benedizioni di Giacobbe, 13 75

m ente il Padre parlasse al proprio Figlio 62. Ma le p a­


role che seguono offenderanno le orecchie degli ascol­
tatori, e se uno riterrà che queste parole sono state
dette in riferim ento al Salvatore, gli dovrà riferire an ­
che « duro da sopportare, duro arrogante » e ciò
che segue. Ma le cose non stanno cosi. Infatti, Ruben
era il figlio prim ogenito di Giacobbe, come anche il
popolo fu prim ogenito, in quanto chiam ato in forza
della Legge all'adozione divina. Perciò il profeta ha
messo a riscontro l’operato di Ruben con quello che
sarebbe stato l'operato del prim o popolo. Infatti, le
parole « Ruben, tu sei il mio prim ogenito, la m ia for­
za e l’inizio dei miei figli » Giacobbe può averle dette
riferendosi (58) proprio a Ruben, m a ha detto « duro
da sopportare, duro arrogante » in quanto considera­
va l’indole indocile e insubordinata della sua stirpe 63.
Infatti anche Mosè analogam ente li ha interpellati:
« Voi siete un popolo dalla dura cervice. B adate a voi

62 In nessuna delle testim onianze a noi pervenute si fa cenno di


q u esta in terp retazione. In effetti essa è sconcertante non soltanto
p e r la connessione col contesto, com e fa rilevare Ippolito, m a p ro ­
p rio perché anche l’interp retazio n e di base di Gen. 49, com e quelle
che ab b iam o esam inato p e r il rap p o rto G iacobbe/Esaù e E fraim /
M anasse, è im p o stata sulla contrapposizione R uben/G iuda, nel sen­
so che an co ra u n a volta il m aggiore (Ruben) è so p p ian tato dal m i­
nore (Giuda) com e depositario della prom essa m essianica.
63 Anche qui si palesa u n a certa incoerenza nella ratio esegetica
d ’Ippolito. Egli intende, in com plesso, le parole di G iacobbe a R u­
ben com e rim provero profeticam ente allusivo alla futu ra ostilità
dei G iudei nei confronti di Cristo. Ma con q uesta in terpretazio n è
non q u ad ra n o le p rim e parole di G iacobbe, che sono di esaltazione
del figlio prim ogenito. Allora Ippolito am m ette che tali parole pos­
sano essere riferite pro p rio al figlio di G iacobbe, m entre le successi­
ve vanno invece riferite a ll’o stilità dei G iudei p er Cristo: in tal
m odo p er le p rim e parole egli am m ette o ra l’interpretazione lette­
rale, che invece aveva riso lu tam en te rifiu tato p er quelle successive,
allusive a Gen. 35,22, si che lo stesso passo viene in te rp re tato p er la
p rim a p arte alla lettera e p er la successiva secondo l ’allegoria.
76 Ippolito

stessi, perché non accada che il Signore irritato si sde­


gni e vi distrugga com pletam ente » (Es. 33,5).
Con le parole: « Hai traboccato come acqua bol­
lente: non ribollire », Giacobbe ha um iliato la loro
stirpe secondo la carne 64, perché essi hanno oltrag­
giato la Legge e m a ltra tta to il Logos che da quella era
stato preannunciato. « Infatti — continua — sei salito
sul letto di tuo padre e allora hai contam inato il letto
dove eri salito ». Il profeta ha definito letto e giaciglio
la carne santa di Cristo, sulla quale i santi riposano
come su un letto santo e trovano la salvezza 65. Questa
carne allora gli em pi presero e oltraggiarono, presen­
tando a Cristo l’aceto, percuotendone la testa con la
canna e frustandolo sulle spalle; gli sputarono in fac­
cia, gli schiaffeggiarono le guance, gli conficcarono
chiodi nelle m ani (Mt. 27,34.30.26; 26,67; 27,35). Tut­
to ciò fece il popolo em pio e infedele, insieme con i
sommi sacerdoti, gli scribi e (60) tu tti i capi del popo­
lo 66. Per questo il beato profeta non ha passato sotto

64 La precisazione p er cui i G iudei sono considerati stirp e di R u­


ben secondo la carne si rifà al concetto di Paolo (1 Cor. 10,18) che
considera solo i cristian i l’Israele sp iritu a le (Gal. 6,16), in q uan to
auten tici d ep o sitari delle prom esse divine.
65 Q uesta interp retazio n e tipologica d ’Ippolito si fonda ovvia­
m ente sulla sim bologia G iacobbe = Cristo, che l’au to re ha già am ­
p iam en te sv iluppato nella p rim a p a rte dell'opera. Qui egli ha a n ­
che ch iarito in che m odo C risto possa essere considerato pad re del
popolo ebraico (cf. n. 48). La sua interp retazio n e tipologica del letto
di G iacobbe (= carne di Cristo) ha avuto fortuna nella le tte ra tu ra
posteriore: la ritroviam o, oltre chi in Ambrogio, anche in G regorio
di E lvira. Altri h a inteso il letto com e typos della Chiesa (Ippolito,
fram . 8 delle Catene) o della Legge giudaica (Rufino). T u tti i com ­
m e n tato ri di tendenza allegorizzante, com unque, si m uovono
nell’am b ito d ell’interp retazio n e di base, con ogni p ro b ab ilità an te­
riore anche ad Ippolito, che ravvisava in R uben il typos del popolo
giudaico.
66 II richiam o agli scribi e ai sacerdoti in collegam ento col popo­
lo giudaico è fatto in funzione della benedizione di Sim eone e di
Levi, che segue im m ediatam ente.
Le benedizioni di Giacobbe, 13-14 77

silenzio neppure l'operato di costoro e non vuole di­


ventare partecipe della loro m alvagia macchinazione,
m a si tira indietro da tale perfida azione. Infatti, dice
cosi:

Simeone e Levi
14. « Simeone e Levi sono fratelli. Insieme hann
com piuto u n ’ingiustizia di loro iniziativa. Non entri
l’anim a m ia nel loro consiglio e non venga a contesa il
mio cuore nel loro conciliabolo. Perché nella loro col­
lera hanno ucciso uom ini e nella loro cupidigia hanno
tagliato i tendini al toro. Sia m aledetta la loro collera
perché è arrogante, e il loro furore perché si è induri­
to. Li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele »
(Gen. 49,5-7).
Allo stesso modo uno potrebbe credere 67 che an­
che queste parole Giacobbe le abbia dette riferendosi
agli abitanti di Sichem, per rim proverare i suoi due
figli, Simeone e Levi, perché con l’inganno essi aveva­
no persuaso i Sichem iti (62) a farsi circoncidere a cau­
sa di Dina, la loro sorella, che Emor, il figlio di Si­
chem, aveva violentata. Essi poi essendo entrati il ter­
zo giorno, uccisero tu tti quelli che abitavano a Si­
chem e razziarono i loro arm enti (Gen. 34).
Ma le cose non stanno cosi. E infatti allora essi in
loro difesa spiegarono al padre il m otivo per cui ave­
vano agito giustam ente. Poiché quello diceva loro:
« Mi avete reso odioso, si che avete fatto di me un
uom o malvagio per tu tti quelli che abitano questa
terra, fra i Cananei e i Ferezei. Io ho solo pochi uom i­
ni, e questi riunitisi insieme contro di me mi faranno

hl Vale p er q uesta espressione tu tto q u an to abb iam o sopra rile­


vato (cf. n. 60) a proposito della benedizione di Ruben. In effetti an ­
che le parole di G iacobbe rivolte a Levi e Sim eone alludono con evi­
denza a ll’eccidio degli ab itan ti di Sichem .
78 Ippolito

a pezzi e sarem o sterm inati io e la m ia gente », essi ri­


sposero: « Ma allora essi avranno abusato di nostra
sorella come di una prostituta? » (Gen. 34,30-31). Per­
ciò sono degni più di lode che di biasim o essi che, es­
sendo in giovane età, a tal punto provarono rancore a
causa della loro sorella che allora era stata violentata
dal figlio di Sichem; e proprio Giacobbe, dopo questi
fatti, quando donò la città al beato Giuseppe, disse:
« Ti do Sichem come parte a te riservata, a preferenza
di tu tti i (64) tuoi fratelli, che io presi dalle m ani degli
Amorrei con la m ia spada e l'arco » (Gen. 48,22), si
che anche Giacobbe testim onia che per giusto motivo
gli abitanti di Sichem erano stati s te rm in a ti68.
Ma allora, come si è realizzata la profezia che dice:
« Simeone e Levi sono fratelli. Insieme hanno com­
piuto u n ’ingiustizia di loro iniziativa. Non entri l’an i­
m a m ia nel loro consiglio e non venga a contesa il mio
cuore nel loro conciliabolo »? Leggi il Vangelo e tro ­
verai ciò ch’è stato scritto. Infatti, della tribù di Si­
meone erano gli scribi e di quella di Levi i sa c e rd o ti69.

68 Ancora una volta Ippolito rifiu ta l’ovvia in terp retazio n e le tte­


rale del passo scrittu ristico , perché ravvisa in essa u n a co n tra d d i­
zione risp etto al contesto, secondo il procedim ento cui abb iam o già
accennato a n. 7. In questo caso la contraddizione em ergerebbe dal
fatto che i due fratelli sono riu sciti a giustificare presso il pad re
l’eccidio d a loro p erp e tra to e so p ra ttu tto dalla donazione di Si­
chem fatta d a G iacobbe a G iuseppe, che sem brerebbe im plicare
l’accettazione d ell’o perato di Sim eone e Levi.
69 L’in terp retazio n e tipologica che qui fornisce Ippolito è a lta ­
m ente tradizionale, perché già a tte s ta ta in Testam entum Levi 16,1-
5. E ssa rito rn a senza eccezione in tu tti gli au to ri che hanno com ­
m en tato il passo in senso allegorico. In essa Ippolito p u n tu alizza la
discendenza: i sacerdoti sono discendenti di Levi m entre gli scribi
discendono d a Sim eone. T utto è pacifico p er la p rim a identificazio­
ne, m a non a ltre tta n to p er la seconda, perché altrove non mi sem ­
b ra a tte s ta ta questa derivazione degli scribi da Sim eone. Forse Ip ­
polito l’h a p ro posta perché era a conoscenza che la trib ù di Sim eo­
ne, alla p ari di quella di Levi, non era riu scita a d occupare u n a sede
stabile in Palestina ed era sta ta asso rb ita d alla trib ù di G iuda; o
Le benedizioni dì Giacobbe,14 79

E poiché al loro consiglio e al loro volere fu consegna­


to Cristo e da loro fu messo a m orte, il profeta cono­
scendo tu tto ciò in anticipo dice: « Non entri l’anim a
m ia nel loro consiglio ». Per « consiglio » intende
quello che tram arono cercando un pretesto per accu­
sare Gesù, al fine di im padronirsi di lui con l’inganno
e di m etterlo a m orte (Mt. 26,4). Come anche Isaia
dice: « Guai alla loro anim a!, poiché hanno tram ato
un m alvagio disegno contro loro stessi dicendo: Inca­
teniam o il giusto, poiché ci è molesto » (Is. 3,9-10).
(66) « E non venga a contesa il mio cuore nel loro
conciliabolo ». Infatti, allora si radunarono contro di
lui tu tti i sommi sacerdoti e gli scribi e gli anziani del
popolo nella casa del governatore, per chiedere la
condanna a m orte contro di lui (Mt. 27,12ss.). « Poi­
ché nella loro collera hanno ucciso uom ini »: quali
uom ini se non i beati profeti, che a loro inviati furono
da loro uccisi, perché predicevano la verità? « E nella
loro cupidigia hanno tagliato i tendini al toro ». Come
loro « cupidigia » ha indicato la cupidigia del mondo
(1 Gv. 2,17), perché bram ando i beni della terra hanno
perso quelli del cielo, e hanno ucciso, a guisa di toro,
il principe (Atti, 5,31) della vita 70.
Per questo « sia m aledetta la loro collera perché è
arrogante, e il loro furore perché si è indurito ». Come
loro « furore » ha indicato il loro carattere irascibile,
che sem pre hanno avuto, si che hanno indurito la loro
cervice (Es. 33,5) e hanno resistito allo Spirito Santo

forse, p iù sem plicem ente, l’ha in v en tata solo p er in tro d u rre il p a­


rallelism o con Levi = sacerdoti. A m brogio (3,13) si attien e qui fe­
delm ente al testo di Ippolito, m a a ltri au to ri, com e T ertulliano
(Adv. Marc. Ili, 18) e Rufino (II, 8), sono più generici: Sim eone e
Levi sono typoi degli scribi e dei Farisei (non dei sacerdoti).
70 Anche q u esta puntualizzazione uom ini = profeti, toro = Cri­
sto rito rn a in tu tti gli au to ri che h anno com m entato il passo allego­
ricam ente.
80 Ippolito

(Atti, 7,51). « Li dividerò in (68) Giacobbe e li disper­


derò in Israele ». Chi era Giacobbe e Israele se non il
santo Figlio prim ogenito di Dio al quale non avendo
ubbidito, essi, ora si trovano dispersi in tutto il m on­
do e sono tenuti in cattività dai loro nemici? 71.

Giuda
15. Poiché, dunque, prim a abbiam o detto che n
le medesime parole sono contenute sia le benedizioni
sia le profezie, è naturale che, volendo persuadere
quelli che sono desiderosi di apprendere, non soltanto
dim ostriam o col ragionam ento la nostra esposizione,
m a la rendiam o evidente con la forza delle parole 72.
Infatti, Giacobbe, benedicendo Giuda, dice cosi:
« Giuda, ti lodino i tuoi fratelli. Le tue m ani stiano sul
dorso dei tuoi nemici, e ti adoreranno i figli di tuo p a­
dre. Giuda è un leoncello di leone; da un germoglio, fi­

71 Q ueste u ltim e p arole di G iacobbe in senso letterale fanno ri­


ferim ento al fatto che né la trib ù di Sim eone, né quella di Levi ave­
vano acquisito sede stabile in P alestina (cf. n. 69). L’interpretazio n e
tipologica che ne dà Ippolito, riferita alla dispersione degli E brei
pro v o cata dalle vicende politiche della P alestina e s o p ra ttu tto dalle
lotte contro i R om ani, rico rre larg am en te anche negli altri com ­
m en ti. Peculiare di Ippolito è invece la spiegazione di « in G iacobbe
e... in Israele », im p o stata sulla solita tipologia G iacobbe e Israe­
le = Cristo, e che dà a in (en nel testo greco) valore stru m en tale an ­
ziché locativo: i G iudei sono sta ti dispersi a causa di Cristo, cioè per
p unizione di q u an to essi h anno p e rp e tra to con tro di lui. Altri au to ri
qui in te rp re tan o in m odo diverso; anche Ambrogio, solitam en te
m olto ad eren te a Ippolito. Vedi u n ’a ltra interp retazio n e di questo
p artico lare qui di seguito nel fram . 16 delle Catene.
72 Ippolito intende dare qui la dim ostrazione di q u an to aveva
afferm ato nel c.12 circa il ca ratte re com posito di Gen. 49 (cf. n. 59).
Egli perciò, dopo aver p resen tato la benedizione di G iuda, m ette in
rilievo il co n trasto fra il tono encom iastico di q uesta e il tono di
rim p ro v ero delle parole rivolte da G iacobbe a Ruben, Sim eone e
Levi, com e dim ostrazione che le p arole di G iacobbe vanno intese
o ra com e benedizione vera e p ro p ria o ra com e profezia, m ai però
nel senso letterale.
Le benedizioni di Giacobbe, 15 81

glio mio, sei cresciuto. Messoti a.giacere, hai dorm ito


come un leone e come un leoncello: chi lo sveglierà?
Non m ancherà un principe da Giuda, né un condottie­
ro dai suoi femori, finché non giungerà colui cui il co­
m ando è stato riservato, e questi sarà l'attesa delle
genti. Legherà alla vite la sua asina e al tralcio il suo
asinelio (70). Laverà nel vino la sua veste e nel sangue
dell’uva la sua sottoveste. I suoi occhi sono lucenti di
gioia per il vino e i suoi denti sono più bianchi del la t­
te » (Gen. 49,8-12).
Come queste parole possono essere dello stesso ge­
nere di quelle che sopra sono state dette per Ruben?
Infatti, là è detto: « Duro da sopportare e duro arro ­
gante, hai traboccato come acqua bollente: non ribol­
lire. Infatti sei salito sul letto di tuo padre e allora hai
contam inato il giaciglio dove eri salito » (Gen. 49,3-
4); e ancora (a Simeone e Levi): « Sia m aledetta la
loro collera perché è arrogante, e il loro furore perché
si è indurito » (Gen. 49,7). Infatti, queste non sono p a­
role di benedizione m a di biasim o, perché a loro ri­
guardo è stata rivelata una profezia. Di contro, dice:
« Giuda, ti lodino i tuoi fratelli. Le tue m ani stiano sul
dorso dei tuoi nemici, e ti adoreranno i figli di tuo p a­
dre »; questa, si, sem bra essere una benedizione.
Ma uno potrà dire: Per quale motivo il profeta ha
ritenuto di dover rivolgere a Giuda una tale benedi­
zione, m entre non ha fatto altrettan to con i prim i?
(72) Apprendilo. Poiché dalla tribù di Giuda sarebbe
nato Davide e da Davide sarebbe nato il Cristo secon­
do la carne, il profeta, conoscendo in anticipo in spiri­
to ciò che sarebbe accaduto, ha benedetto Davide che
sarebbe nato da Giuda e Cristo che sarebbe nato da
Davide secondo la carne 73, perché egli ricevesse da

73 La spiegazione del diverso tra tta m e n to riservato d a G iacobbe


a G iuda risp etto ai fratelli n om inati p rim a, è cercata, in arm o n ia
col senso generale di tu tta l’interp retazio n e del passo, non nel signi-
82 Ippolito

Dio non soltanto la benedizione secondo lo spirito ma


anche la benedizione secondo la carne 74. Come anche
Dio dice per mezzo di Geremia: « Ti conosco da prim a
di averti plasm ato nel ventre di tua m adre, e prim a
che tu uscissi dal suo utero ti ho santificato e ti ho sta­
bilito profeta per le genti » (Ger. 1,5). Perciò, ciò eh e
stato santificato nel ventre della m adre è stato già be­
nedetto da parte di Dio 75.
Ma tu mi dirai: Perché Giacobbe non ha benedetto
allo stesso modo anche Levi? Infatti troviam o indica­
to che Cristo sarebbe disceso anche dalla tribù di Levi
in quanto sacerdote del Padre, poiché la tribù di Levi
si è u n ita con quella di Giuda, affinché il Figlio di Dio
fosse rivelato dall'una e dall’altra sia come re sia
come sacerdote 76.

licato letterale, cioè nelle m alefatte di quei fratelli, m a nel valore


m essianico della benedizione di G iuda, da cui, attrav erso Davide,
sarebbe disceso Cristo. Si ricordi a ta l proposito q u an to abbiam o
d etto n ell'Introduzione circa il valore fondam entale delle ben ed i­
zioni di G iuda n ell’econom ia d ell’interp retazio n e di Gen. 49, dato
ap p u n to il suo valore m essianico u niversalm ente riconosciuto d a;
G iudei e cristiani.
14 La contrapposizione secondo lo S pirito/secondo la carne si ri­
ferisce alle com ponenti risp ettiv am en te divina e u m a n a di Cristo.
Per benedizione secondo lo S p irito dobbiam o perciò intendere
q uella che h a accom pagnato la generazione divina del Logos dal
P adre (cf. anche n. 43).
75 Nel suo n atu ra le contesto queste parole del libro di G erem ia
sono in d irizzate d a Dio p ro p rio al profeta, p e r sanzionare la m issio­
ne profetica che gli viene affidata. Ma dal m odo con cui Ippolito le
introduce, ap p a re chiaro che egli ab b ia inteso anche queste in
m odo allegorico e le ab b ia riferite alla benedizione e santificazione
del C risto in carn ato da p arte del P adre (cf. anche n. 123).
76 N egli am b ien ti giudaici in torno a ll’e ra volgare, alla concezio­
ne trad izio n ale che faceva discendere il M essia d alla trib ù di G iuda,
se ne affiancò u n ’a ltra che lo voleva discendente da Levi p er accen­
tu a re la sua d ignità sacerdotale. Q uesta seconda concezione ebbe
u n a c e rta eco anche nel cristianesim o p iù antico (cf., p er esem pio,
Testam entum Sim eonis 7,1-2), che la fece coesistere accanto alla
Le benedizioni di Giacobbe, 15-16 83

Ma Giacobbe, già osservando l'azione che i sommi


sacerdoti Anna e Caifa (74) avrebbero osato a danno
del Figlio di Dio, poiché essi erano della tribù di Levi,
non ha benedetto Levi, anzi, ad d irittu ra lo ha biasi­
m ato. Ma quando venne il beato Mosè egli benedisse
il Cristo che sarebbe nato da Aronne e da Levi con
queste parole: «D ate a Levi le sue rivelazioni e
all'uom o santo la sua verità » (Deut. 33,8). Cosi Mosè
alla sua venuta ha com pletato ciò che m ancava alla
benedizióne di Levi. Ma di questi argom enti darem o
ragione secondo l’ordine delle benedizioni di Mosè;
ora, invece, trattiam o del nostro testo 77.
16. Giacobbe dice cosi: « Giuda, ti lodino i tu
fratelli. Le tue m ani stiano sul dorso dei tuoi nemici, e
ti adoreranno i figli di tuo padre ». Chi dunque sono i
fratelli che lo lodano e lo adorano, se non gli apostoli
ai quali il Signore disse: « Siete miei fratelli e coere­
di » (Mt. 12,50; Gv. 20,17; Rom. 8,17)? Le parole: « Le
tue m ani stiano sul dorso dei tuoi nemici » indicano

concezione pili trad izio n ale p e r significare la dig n ità insiem e regia
e sacerdotale di Cristo. Per spiegare q uesta convergenza Ippolito si
rifà all'u n io n e della trib ù di Levi con quella di G iuda, ricavabile dal
fatto, già da noi rilevato (nn. 69 e 71), che la trib ù di Levi non aveva
occupato sede stabile in P alestina e i suoi m em bri erano sp a rp a ­
gliati in mezzo alle altre trib ù , perciò anche in m ezzo alla trib ù di
G iuda. Ambrogio spiega invece rifacendosi agli an ten a ti di Gesù,
Levi e N atan (Le. 3,29-31), che erano di stirp e sacerdotale, cioè d i­
scendenti di Levi.
77 II rag io n am ento d ’Ippolito qui si vale del raffronto fra le p a­
role di rim provero che G iacobbe rivolge a Levi e quelle laudative
che Mosè rivolge alla m edesim a trib ù in Deut. 33,8-11, p er rilevare
il duplice atteggiam ento dei discendenti di Levi nei confronti di
Cristo: i sacerdoti l’h anno osteggiato e p erseguitato, e questo spiega
le parole di Giacobbe; m a egli stesso h a tra tto origine anche da
Levi, e questo spiega le p aro le di Mosè, che integrano e perciò cor­
reggono quelle di G iacobbe. La benedizione di Mosè a Levi è lun g a­
m ente sp ieg ata da Ippolito nel tra tta to dedicato alle benedizioni di
Mosè: cf. PO 27,143 ss.
84 Ippolito

sia che Cristo distendendo le m ani sulla croce nella


lotta contro i nemici ha avuto la forza di trionfare sul­
le potenze avverse (Col. 2,15), sia che egli (76) è diven­
tato signore e padrone di quelli che sono i suoi nemici
secondo la carne e giudice di tu tti stabilito dal Padre
(Gv. 5,22) 78.
« Giuda è un leoncello di leone; da un germoglio,
figlio mio, sei cresciuto ». Col nom inare un leone e un
leoncello di leone il testo ha chiaram ente indicato le
due persone 79, quella del Padre e quella del Figlio. Ha
detto poi: « Da un germoglio, figlio mio, sei cresciu­
to » per indicare la nascita secondo la carne di Cristo,
che incarnatosi nel seno della Vergine per opera dello
Spirito Santo, è germ ogliato in lei ed entrato nel m on­
do come fiore e come profum o di soavità si è m anife­
stato. In quanto poi lo ha definito leoncello di leone 80,
ha indicato la sua nascita da Dio secondo lo spirito,
come re nato da re. Di lui, poi, non ha taciuto neppure
la nascita secondo la carne, m a dice: « Da un germo­
glio, figlio mio, sei cresciuto ». Infatti Isaia dice:

78 Q uesta incertezza d ’Ippolito trova conferm a negli altri com ­


m en tato ri, che qui in te rp re tan o variam en te i nem ici di Cristo: i
G iudei, le potenze avverse, i non credenti.
79 In greco prosopa. A n o stra conoscenza Ippolito è il prim o a u ­
tore che definisca in contesto trin ita rio il P adre e il Figlio col te rm i­
ne prosopon, u sato anche nel Contra Noetum . In seguito, il term in e
avrebbe assu n to preciso valore tecnico, alla p ari del latino persona.
B0 T u tti i com m entatori in te rp re tan o « da un germ oglio, ecc. »
in riferim ento alla nascita carn ale di C risto da M aria, con riferi­
m ento p iù o m eno esplicito alle celebri parole di Is. 11,1. E invece
tipica d 'Ip p o lito l’estensione del passo a significare anche la n ascita
divina dal Padre. Egli la ricava dal sim bolism o leone e leoncel­
lo = P adre e Cristo, in q u an to il leone è sim bolo di reg alità p e r ec­
cellenza; m a il procedim ento ap p a re un p o ’ forzato, in q u an to la re ­
g alità di C risto è legata so p ra ttu tto alla sua m essianicità, cioè alla
n a tu ra u m a n a d a lui assunta. Da questo passo di Gen. 49 deriva Ap.
5,5: « H a vinto il leone della trib ù di G iuda », riferito a C risto (cf.
anche n. 121).
Le benedizioni di Giacobbe, 16 85

« Uscirà una verga dalla radice di Jesse e da lei cre­


scerà un fiore » (Is. 11,1): infatti, la radice di Jesse era
la stirpe dei padri, quasi una radice p ian tata in terra;
la verga che è spuntata e si è resa m anifesta da quelli
era M aria, in quanto era della casa e della fam iglia di
Davide (Le. 2,4); il fiore (78) ch’è germ ogliato da lei
era Cristo, e questo profetizzando diceva Giacobbe:
« Da un germoglio, figlio mio, sei cresciuto ».
Le parole: « Messoti a giacere hai dorm ito come
un leone e come un leoncello » indicano che egli giac­
que per tre giorni nella tom ba e riposò nel cuore della
te r r a 81, come ha testim oniato proprio il Signore di­
cendo: « Come Giona passò tre giorni e tre notti nel
ventre della balena, cosi anche il Figlio dell’uomo sta­
rà tre giorni e tre notti nel cuore della terra » (Mt.
12,40); e Davide aveva predetto ciò con queste parole:
« Mi sono messo a giacere e mi sono addorm entato.
Mi sono ridestato perché il Signore verrà in m ia dife­
sa » (Sai. 3,6). Analogamente, anche Giacobbe dice:
« Chi lo sveglierà? ». Non ha detto: Nessuno lo sve-
glierà, ma: « Chi lo sveglierà? » 82, perché noi inten­
dessimo il Padre, che ha ridestato il Figlio dai m orti,

81 L’in terp retazio n e del sonno del leoncello com e typos della
m orte di C risto è com une a tu tti i com m enti e rim o n ta a tradizio n e
p iù a n tica dello stesso Ippolito.
82 Secondo u n procedim ento tipico dell'in terp retazio n e allego­
rica, l'esegeta fonda la su a allegoria sul fatto che il testo biblico si
p resen ta diverso da com e vorrebbe il sem plice senso letterale. In­
fatti, in questo senso, p e r in dicare che nessun anim ale ha il corag­
gio di d istu rb a re il sonno del leone, sarebbe sta to sufficiente dire
che nessuno sveglia il leone; se il testo sacro si esprim e qui in form a
interro g ativ a è p er indicare, in senso allegorico, che C risto sarebbe
stato risu scitato dal Padre, secondo le testim onianze di Paolo e d e­
gli Atti. A tal proposito, va rilevato che al tem po della controversia
arian a, nel IV secolo, q u esta interp retazio n e è se m b ra ta rilevare
troppo l ’in feriorità di C risto risp etto al P adre e perciò è s ta ta m odi­
ficata, d a A mbrogio, Rufino e a ltri, nel senso che è il Figlio che risu ­
scita se stesso, sulla base di Gv. 2,19-21.
86 Ippolito

come dice l'Apostolo: « ...e di Dio Padre che lo ha ride­


stato dai m orti » (Gal. 1,1); e Pietro dice: « ...che Dio
ha ridestato, avendo messo fine ai dolori della m orte,
perché non era possibile che quello fosse vinto dalla
m orte » (Atti, 2,24).
17. (80) Poi, per ragguagliarci in modo preciso
sulla sua nascita secondo la carne, la S crittura dice:
« Non m ancherà un principe da Giuda né un condot­
tiero dai suoi femori, finché non giungerà colui cui il
comando è stato riservato, e questi sarà l'attesa delle
genti »: infatti, attesta che non è m ancato principe o
condottiero dalla tribù di Giuda, finché non è venuto
il Salvatore 83. E anche il Vangelo offre la stessa testi­
m onianza 84. Ed è anche evidente che, una volta nato,
il Salvatore è diventato l’attesa delle genti pagane, di
quelle che fino ad oggi credono in lui. Chi m ai infatti
attendiam o dal cielo per la nostra salvezza, se non co­
lui cui era riservato di portare a com pim ento la legge
e i profeti?
18. Poi, il testo dice: « Legherà alla vite la sua asi-

1,3 È questo il passo più im p o rta n te d e ll’intero Gen. 49, quello


cui fu annesso dai G iudei significato m essianico poi progressiva­
m ente esteso a tu tta la benedizione di G iuda e alle altre benedizio­
ni. I cristian i lo riferirono a C risto fondandosi sul fatto che al tem po
di C risto il dom inio della P alestina era passato a Erode, che non era
ebreo, e non sarebbe più to rn ato in m ani giudaiche (cf., p er esem ­
pio, Rufino I, 7). L’interp retazio n e di Ippolito, m olto com pendiosa,
presuppone q u esta puntualizzazione. S u ll’espessione « colui cui il
com ando è sta to riservato », cf. Introduzione, n. 3.
84 Ippolito qui intende riferirsi a quei passi evangelici dai quali
risu lta che il dom inio della P alestina non era più in m ani giu d ai­
che, s o p ra ttu tto a Le. 1,5 e 3,1. Ippolito non si preoccupa d ell’apo-
ria che deriva dal riferire ad u n a stessa persona, cioè a Cristo, sia il
p a tria rc a G iuda, sia il M essia da lui disceso. Anche A m brogio (4,21)
si co m p o rta com e Ippolito, m a Rufino (1,7) tiene conto di q uesta
difficoltà, che deriva dal non aver sap u to distinguere il significato
letterale d a quello sim bolico del passo.
Le benedizioni di Giacobbe, 18 87

na e al tralcio il suo asinelio » 85, per indicare le due


chiam ate 86 legate a lui come a una vite e condotte a
unità dal suo amore: sono l’asina e l'asinelio purifica­
ti nello stesso tem po dalla parola del Salvatore e su
cui egli è salito per entrare a Gerusalemme (Mt.
21,2.7ss.)· Aggiunge poi: « Laverà nel vino la sua ve­
ste ». Q uanto m isteriosam ente qui (82) il profeta ha
indicato anche il B attesim o di Cristo, quando, dopo
esser risalito dal Giordano e aver purificato le acque,
ricevette la grazia e il dono dello Spirito Santo (Mt.
3,13-17). Come « veste » ha indicato la carne; come
« vino » lo Spirito del Padre che è disceso su di lui nel
Giordano 87. « E nel sangue dell’uva la sua sottove­
ste »: « sottoveste » del Logos indica le genti pagane,
che sono state considerate rispetto a lui come una sot­
toveste, secondo quanto la S crittura dice per mezzo
del profeta: « Per la m ia vita — dice il Signore —, mi
rivestirò di tu tti loro come di un m antello » (Is.
49,18). Poiché proprio lui era il grappolo d ’uva appeso
al legno, che perforato il fianco fece scorrere sangue e
acqua (Gv. 19,34) — questa per il lavacro, quello per il
riscatto —, quanto giustam ente il profeta ha detto:

“5 Q uesto è il lesto sc rittu ristic o su cui Ippolito tonda la sua in ­


terp retazio n e; m a è più corrente u n 'a ltra lezione: « Legherà alla
vite il suo asinelio e al tralcio il piccolo della sua asina ».
86 Le due chiam ate sono quelle rivolte da C risto risp ettiv am en te':.
ai G iudei e ai pagani. È tem a che rito rn a più volte in Ippolito: cf. n.
22. Anche gli altri com m entatori in te rp re tan o p iù o m eno nello
stesso m odo. E splicitando alla loro luce il discorso troppo conciso
di Ippolito, si deve intendere p e r asinelio il typos dei pagani, in
qu an to non soggetti p rim a alla Legge, e p er asina il typos dei G iu­
dei, già assoggettati a quel peso. Cristo com e vite rim a n d a ovvia­
m ente a Gv. 15,1.
87 Per la sim bologia veste = carne di Cristo, cf., sopra , n. 27; è
m eno c h iara la base sc rittu ristic a di vino = S p irito Santo: cf. anche
n. 37. Qui si può pensare anche al vino che ralleg ra il cuore
d ell’uom o di Sai. 103,15.
88 Ippolito

« Laverà nel vino la sua veste e nel sangue dell’uva la


sua sottoveste » 88.
19. Poi, per indicare i suoi profeti e i suoi apost
dice: « I suoi occhi sono lucenti di gioia per il vino e i
suoi denti sono più bianchi del latte ». Occhi di Cristo
(84) sono stati i p ro fe ti89, che hanno gioito per la po­
tenza dello Spirito e hanno predetto i patim enti
ch'egli avrebbe sofferto e che sarebbero serviti anche
alle generazioni successive, affinché ogni uom o cre­
dendo in lui potesse conseguire la salvezza. Quanto
poi alle parole: « i suoi denti sono più bianchi del la t­
te », esse o hanno indicato gli apostoli che sono stati
santificati proprio dal Logos, e sono diventati come
latte, e ci hanno dato il nutrim ento spirituale e cele­
ste, ovvero in altro senso si riferiscono ai comanda-
m enti del Signore, che sono stati emessi da una bocca
santa e per noi sono diventati latte, perché n u triti di
essi potessimo aver parte anche del pane celeste 90.

88 Ippolito, seguito da Ambrogio, distingue due sim bologie in


questo versetto: « L averà nel vino, ecc. » è typos del B attesim o di
Cristo; e « nel sangue d e ll’uva, ecc. » è typos della Passione, m en tre
in genere gli a ltri co m m entatori riferiscono l’intero versetto alla
Passione. La citazione di Gv. 19,34 p erm ette a Ippolito il collega­
m ento fra il B attesim o (non di C risto m a dei cristiani) e la Passione,
vista com e risca tto dell'uom o d alla servitu del dem onio e della
m orte, un tem a m olto com une al tem po d ’Ippolito.
89 Q uesto versetto non favoriva u n a interp retazio n e sim bolica
d 'im m e d iata evidenza ed è sta to variam en te in te rp re tato . L’in te r­
pretazio n e di Ippolito: occhi di C risto = profeti, è fondata su ll’ov­
via qualifica di veggente del futuro tipica del profeta.
90 L’altern an z a d ’in terp retazio n i è conseguenza della generici­
tà, in senso cristologico, del passo sc rittu ristico . Va rilevato che in
am b ed u e il la tte è assunto in senso positivo, m entre invece Rufino
(1,10), seguendo u n tem a esegetico caro ad O rigene, assum e il la tte
in senso p arzialm en te negativo, com e cibo non solido, destin ato
perciò ai cristian i non m a tu ri, sulla base di 1 Cor. 3,2.
Le benedizioni di Giacobbe,20 89

Zàbulon
20. Poi, il profeta dice: « Zàbulon abiterà presso
m are e starà presso l'ormeggio di navi, e si stenderà
fino a Sidone » (Gen. 49,13). Per mezzo di Zàbulon ha
preannunciato in figura i popoli pagani, che abitano
ora nel mondò presso il litorale, e sono torm entati,
come nel m are, dalla tem pesta delle tentazioni: per­
ciò si muovono e cercano rifugio nei porti, cioè nelle
Chiese (86)91. Infatti, « ormeggio di navi » sono state
definite le Chiese, in quanto sono nel mondo come
porti aperti che diventano rifugio per i fedeli. Come
anche il profeta dice: « Terra di Zàbulon e terra di
Neftali, via del m are al di là del Giordano. Il popolo
che giaceva nelle tenebre ha visto una grande luce,
per quelli che giacevano nell'om bra della m orte è sor­
ta una luce » (Is. 8,23 - 9,1 = Mt. 4,15-16), per indicare
la fede del popolo 92.

91 La benedizione di Z àbulon intesa alla le tte ra fa riferim ento


alla posizione geografica della te rra occupata daH’om onim a trib ù ,
presso il m are e fino a toccare a Sidone la te rra pagana. L 'in terp re­
tazione tipologica assum e perciò Sidone, com e figura dei pagani
che si convertono a C risto e sfru tta u n 'a n tic a tipologia che ravvisa­
va nel m are il typos del m ondo con tu tti i suoi pericoli. Secondo tale
sim bologia la Chiesa era raffigurata d alla nave, che m ette a rip aro i
naviganti (= i cristiani) dai pericoli del m are (= m ondo), con spe­
ciale riferim ento a ll’arca di Noè. Qui invece, ferm a restando la sim ­
bologia del m are, la Chiesa è p refig u rata dal porto, a n c h ’esso fonte
di sicurezza dai pericoli del m are. Q uesta in terp retazio n e di Ipp o li­
to ebbe larg a fortuna nei com m enti successivi (Ambrogio, Cirillo,
Procopio).
92 La citazione di Is. 8,23 ss., ripreso da Mt. 4,15 s., è in tu tti i
com m enti di ca ra tte re allegorico. Qui e altrove, Ippolito rip o rta la
citazione om ettendo l’espressione « G alilea delle genti pagane »,
dopo « al di là del G iordano », cioè proprio l’espressione che favori­
va in m odo specifico l’interp retazio n e della benedizione in riferi­
m ento alla diffusione del cristianesim o fra i pagani. Può essere un
segno che, sia q uesta interpretazione, sia la citazione del passo di
Isaia, Ippolito le ab b ia recepite da u n a tradizione anterio re a lui.
90 Ippolito

Issacar
21. « Issacar ha desiderato il bene e ha trovato
poso in mezzo alle terre tra tte a sorte (88). Avendo vi­
sto il riposo, che è buono, e la terra, che è pingue, ha
sottoposto le sue spalle alla fatica ed è diventato agri­
coltore » (Gen. 49,14-15).
Il testo, con parlare metaforico, indica allegorica­
m ente con Issacar il Salvatore: questo solo, infatti, ha
desiderato il bene sin da bam bino, come dice anche
Isaia: « Prim a che il fanciullo im parasse a chiam are
padre e m adre, non ha prestato ascolto alla m alvagità
per scegliere invece il bene » (Is. 7,16). Egli ha trovato
riposo nella parte assegnata ai profeti, per realizzare
quanto da quelli era stato predetto. Infatti, sul m onte
si videro Mosè ed Elia che parlavano con lui stando
uno a destra e uno a sinistra, per dim ostrare che il
Salvatore riposava in mezzo a loro (Mt. 17,3)93.
« Avendo visto il riposo », cioè dei santi, « che è
buono, e la terra, che è pingue, ha sottoposto le sue
spalle alla fatica ed è diventato agricoltore ». « Ha
sottoposto le sue spalle alla fatica »: dove, se non sot­
to la croce, portando la quale procedeva in piena li­
bertà?, come anche Isaia dice: « Il suo principato fu
sulle sue spalle » (Is. 9,6). Egli avendo abbassato le
spalle sotto l’aratro (90) 94 e avendo accettato con suo

93 Le parole rivolte da G iacobbe a Issacar, indicative secondo il


senso letterale dei c a ra tte ri geografici della te rra occupata d alla
trib ù , non si p restav an o ad un im m ediato riferim ento tipologico e
perciò sono sta te in te rp re ta te v ariam ente dai diversi com m entato-
ri. L’in terp retazione di Ippolito, C risto che riposa in mezzo ai profe­
ti, cioè realizza le loro predizioni, si fonda sul risco n tro con l’episo­
dio della trasfigurazione, in cui C risto ap p a re agli apostoli ap p u n to
in m ezzo a Mosè ed Elia.
94 Per a ra tro qui si deve intendere uno stru m e n to ru d im en tale e
prim itivo, che il contadino si poteva caricare sulle spalle. La tipolo­
gia a ra tro = croce di C risto è più an tica di Ippolito: la riscontriam o
già in G iustino, I Apoi., 55,3.
Le benedizioni di Giacobbe,21-22 91

travaglio tutte le violenze che a lui furono inferte, è


diventato l'agricoltore che lavora il fertile cam po del­
la Chiesa.

Dan
22. « Dan giudicherà il suo popolo come se fos
l’unica tribù in Israele. E sia Dan come un serpente
sul cam m ino, che sta sulla via a m ordere il calcagno
del cavallo, e il cavaliere cadrà all’indietro aspettan­
do la salvezza del Signore » (Gen. 49,16-18).
« Dan — è detto — giudicherà il suo popolo come
se fosse l’unica tribù in Israele », e questo si è verifica­
to parzialm ente con Sansone, che nato dalla tribù di
Dan, ha giudicato il popolo per venti anni (Giud.
16,31)95. Ma in modo com pleto la profezia si realizze­
rà a proposito dell'Anticristo 96, che nato giudice terri­
bile e re tiranno giudicherà il suo popolo e farà oppo­
sizione, come serpente che sta sul cam m ino, cercando
di m ordere la parola di verità 97 e di uccidere quelli
che cam m inano per (92) la retta via.

^ Qui Ippolito am m ette che uno stesso passo sc rittu ristico pos­
sa essere in te rp re ta to in due m odi, secondo la sto ria giudaica e se­
condo l'allegoria cristian a, m en tre altrove aveva rifiu tato questa
possibilità: cf. n. 61. C om unque anche qui egli considera p ienam en ­
te rispondente al testo biblico solo l’in terpretazione allegorica. Am­
brogio (7,32) p iù coerentem ente rifiu ta il riferim ento a Sansone.
Tale riferim ento era corrente in am biente giudaico.
96 U n 'in terpretazione m olto an tica (cf. Testam entum Dan, 5,6)
vedeva in Dan, qui raffigurato com e un serpente, il sim bolo di S ata­
na, e forse p er questo m otivo Dan è om esso n ell’enum erazione delle
trib ù degli eletti di Ap. 7,4 ss. Si può a ttrib u ire ad Ippolito il trasfe­
rim en to della tipologia da S ata n a all'A nticristo, dato il p artico lare
interesse che il nostro autore ha n u trito p e r questo sinistro perso­
naggio, cui h a dedicato un intero tra tta to in cui è p roposta anche
questa tipologia (De Antichristo, 15).
97 Qui l ’espressione « p aro la di verità » sem bra utilizzata in
senso generico e non in esplicito riferim ento alla persona di Cristo,
p aro la divina p er eccellenza. Ma si tenga presente che in due passi
92 Ippolito

Il fatto che il profeta dice: « a m ordere il calcagno


del cavallo » indica che quello m etterà alla prova co­
loro che annunciano la via di verità e di salvezza. Cosi
ha messo alla prova anche gli apostoli ed ha inganna­
to Giuda 98 e si è im padronito di lui; se n ’è im padroni­
to come di un cavallo ed ha consegnato a m orte il ca­
valiere che stava su quello. Come un cavaliere volto
a ll’indietro, cioè a p artire dagli ultim i tem pi fino ai
prim i attendendo la salvezza da parte del Signore, il
Salvatore ha messo in piedi e raddrizzato Adamo dal­
le sue cadute 99.

Gad
23. « Gad, una corte di nemici 100 lo m etterà a
prova, ed egli stesso m etterà quelli alla prova subito
dopo » (Gen. 49,19).
Come « corte di nemici » il profeta indica il m alva­
gio sinedrio dei sommi sacerdoti e degli scribi, che
m ettevano alla prova il Salvatore con svariati prete-

delie Catene di com m ento a Gen. 49, 16-18, giuntici sotto il nom e di
Ippolito (fram m . 35 e 36), il cavallo insidiato da Dan è p roprio typos
di Cristo.
98 Cf. n. 162.
99 La m enzione di A damo ad indicare l'u m a n ità decaduta p er il
peccato e salv ata da C risto ci rip o rta a ll’opposizione paolina Ada­
m o/Cristo di Rom . 5,12 ss., che Ireneo aveva am piam en te svilu p p a­
to. Anche l’im m agine del cavaliere rivolto a ll’ind ietro = che a tte n ­
de la salvezza da p a rte di C risto a p a rtire dagli ultim i tem pi fino ai
prim i, ci rip o rta ad Ireneo, che aveva im postato il tem a della riv e­
lazione progressiva, cioè aveva concepito tu tto il VT com e un tem ­
po in cui l’uom o e ra sta to progressivam ente educato dal Logos ad
accogliere il grande evento d ell’Incarnazione.
100 Con « corte di nem ici » traduco, un p o ’ im propriam ente, il
greco peiratérion, che può indicare insiem e la tentazione e chi la
m ette in opera, in considerazione dell’interpretazione forn ita d a Ip­
polito. Alla le tte ra , la benedizione di G ad sem bra far riferim ento
alla bellicosità della trib ù e alle sue lotte con tro i nem ici provenien­
ti dal deserto.
Le benedizioni di Giacobbe,23 93

sti, volendo trovare un argom ento d'accusa ai suoi


danni per im padronirsi di lui con l’inganno e m etterlo
a m orte (Mt. 26,4; Gv. 8 ,6 ). Ma egli, conoscendo le loro
intenzioni, mise di contro quelli stessi alla prova (94)
nella sua giustizia e li consegnò a m orte per il loro
proprio peccato (Gv. 8,24). Cosi è scritto anche nel
Vangelo: « Allora si avvicinarono a lui alcuni Farisei
dicendo: M aestro, dicci, con quale potere compi que­
sti prodigi e chi è che ti dà questo potere? Ma egli dis­
se loro: Anche io vi voglio interrogare su una questio­
ne, e se mi rispondete anch’io vi rivelerò con quale po­
tere compio questi prodigi. Il battesim o di Giovanni
di dove è? Dal cielo o dagli uom ini? Quelli discuteva­
no fra loro dicendo: Se diciam o dal cielo, ci darà: Per­
ché non avete avuto fede in lui? Se diciamo dagli uo­
m ini, dobbiam o tem ere la reazione del popolo. Tutti,
infatti, conoscono Giovanni e sanno che effettivam en­
te è un profeta. Perciò, rispondendo a Gesù dissero:
Non lo sappiam o. E quello a sua volta disse loro: E
neppure io vi dico con quale potere compio questi
prodigi » (Mt. 21,23-27). Perciò, a ragione, il profeta
ha detto: « Una corte di nemici lo m etterà alla prova,
ed egli stesso m etterà quelli alla prova subito
dopo » 101.

101 Sono sv ariati gli episodi evangelici in cui Gesù è te n tato dai
suoi avversari, a p a rtire dal fam oso episodio delle tentazioni del de­
serto (Mt. 4,1 ss.). Ma la scelta o p era ta dai vari com m entatori di
Gen. 49,19 è s ta ta condizionata dalle parole finali del passo « ed
egli stesso m e tte rà quelli alla prova subito dopo », che restringeva
di m olto l'am b ito. Com unque anche in questo più ristre tto am bito
la scelta o p era ta da Ippolito non è ap p a rsa significativa ad A m bro­
gio, che p u r lo segue fedelm ente e che qui invece h a preferito illu ­
stra re l’in terp retazio n e tipologica con l’episodio del trib u to a Cesa­
re (Mt. 22,17 ss.).
94 Ippolito

Aser
24. (96) « Aser, il suo pane è pingue, ed egli d is
buirà nutrim ento ai principi » (Gen. 49,20).
Qui il profeta indica copertam ente o gli apostoli,
che ebbero l’ufficio di fornire e distribuire il pane del­
la vita, ovvero proprio il Salvatore, in quanto prean­
nuncia e ci fa conoscere il pane che discende dal cielo
e che è cibo e bevanda per i santi l02. Infatti, Aser s'in­
terpreta « ricchezza » 103, in quanto egli solo era tanto
ricco da poter saziare quelli che venivano a lu i. E pro­
prio Cristo ha dato testim onianza di se stesso dicen­
do: « Io sono il pane, quello ch’è disceso dal cielo. I vo­
stri padri m angiarono la m anna nel deserto e sono
m orti; invece chi m angia del mio pane non vedrà
m orte in eterno » (Gv. 6,48-49.51; 8,51). Bisogna esa­
m inare anche questo punto: Cristo non ha detto: Non
m orirà, bensì: « Non vedrà m orte in eterno », e questa
è la punizione etèrna per mezzo del fuoco, che è m orte
(98) eterna che non finisce m ai. Infatti, quella di ora è
m orte tem poranea e in tal senso tu tti gli uom ini deb­
bono m orire. Perciò, il Signore non ha parlato di que­
sta m orte, m a di quella futura 104.

Iui II testo di q uesta benedizione, alla lette ra indicativo della


fertilità della te rra occupata dalla trib ù di Aser, con la m enzione
del p an e im poneva il riferim ento a Gesù pane di vita, che infatti è
in tu tti i co m m entatori d ’indirizzo allegorico. L’esitazione d ’Ippoli-
to (o Cristo stesso o gli apostoli) si spiega in funzione di « d istrib u i­
rà n u trim e n to » del testo biblico, che gli h a fatto pensare agli ap o ­
stoli com e a coloro che h anno distrib u ito , cioè diffuso, largam en te
nel m ondo, il n u trim e n to sp iritu a le ap p o rta to da Cristo.
103 II procedim ento secondo cui l’interp retazio n e allegorica di
un testo biblico è fondata suU 'etim ologia di u n nom e p ro p rio eb rai­
co, è ad o p erato da Filone ed è usuale n ell’esegesi sc rittu ristic a cri­
stian a di trad izione alessa n d rin a o da qui d eriv ata. In Ippolito eh e
di tradizic>ne asiatica, il procedim ento è eccezionale.
104 Q u est'u ltim o argom ento proposto d a Ippolito p er disting u e­
re la m orte fisica d alla vera m orte, eh e quella sp iritu ale provocata
Le benedizioni di Giacobbe,25 95

Neftali
25. « Neftali è un fusto di vite lasciato crescere
libertà 105, che aggiunge anche bellezza ai suoi frutti »
(Gen. 49,21).
« Fusto di vite lasciato crescere in libertà » indica
il popolo ch'è chiam ato alla libertà per mezzo della
fede, perché tu tti possano p o rtar frutti a Dio. Infatti,
il Salvatore era la vite spirituale, i suoi tralci e i suoi
fusti sono i santi che credono in lui; i suoi grappoli
sono i m artiri; i tronchi di legno che sono legati alle
viti indicano la passione; i vendem m iatori sono gli
angeli; i cesti nei quali si raccolgono i frutti della vite
sono gli apostoli; il torchio è la Chiesa; il vino è la po­
tenza dello Spirito Santo 106. Perciò dire « fusto di vite
lasciato crescere in libertà » indica coloro che sono
stati liberati dalle catene della m orte, come anche
Isaia 107 dice: « Verrete e tripudierete come vitelli
(100) lasciati liberi dalle catene » (Mal. 4,2 [3,20]).
Quanto a « che aggiunge anche bellezza ai suoi frut-

dal peccato, non h a relazione con la benedizione di Aser, ed è stato


in tro d o tto quasi a m o’ di digressione d a ll’autore, in funzione della
citazione di Gv. 8,51.
105 II testo greco, qui m olto lontano d a ll’originale ebraico, dice
sem plicem ente: « N eftali è u n tronco che è ben cresciuto ». La no­
stra trad u zio n e è fatta in funzione del com m ento d ’Ippolito, che si
fonda sui concetti di vite e lib ertà. La te rra della trib ù di N eftali era
conosciuta com e m olto ricca di viti.
106 Q uesto quadro presen tato da Ippolito, ricco di partico lari
m a ap p ro ssim ativo nei riferim enti tipologici, è u n a am plificazione
non felice d ell’im m agine di Cristo vera vite di Gv. 15,1.1 tronchi di
legno indicano la Passione in q u an to richiam ano il legno della cro­
ce; p er il vino = potenza dello S pirito, cf. nn. 37 e 87. Ambrogio, che
pu re rip ren d e da Ippolito il riferim ento a C risto vera vite (10,41-
44), sviluppa il tem a in m odo diverso.
107 In effetti la citazione è di M alachia. L’erro re è anche nella
trad u zio n e arm en a e con b uona p ro b ab ilità va rip o rta to a Ippolito
stesso, tra d ito da u n a citazione a m em oria. Am brogio (10,44) rip o r­
ta questa citazione a un generico propheta.
96 Ippolito

ti », indica che nella rigenerazione per mezzo dell’ac­


qua essi acquistano la grazia e la bellezza del Logos,
che era fiorente di bellezza più dei figli degli uom ini
(Sai. 44,3) 108.

Giuseppe
26. « Figlio mio diventato grande, Giuseppe, figl
benedetto da me e oggetto d ’invidia, figlio mio il più
giovane, torna a me. Com plottando contro di lui l’in­
sultavano e gli tendevano insidie i signori dell’arco; e
i loro archi furono spezzati con forza e persero ogni
forza i muscoli delle braccia delle loro m ani, ad opera
della m ano del potente di Giacobbe. Di qui proviene
colui che dà forza ad Israele da parte del Dio di tuo
padre, ed è venuto in tuo aiuto il mio Dio e ti ha bene­
detto con la benedizione del cielo d a ll’alto e con la be­
nedizione della terra che contiene ogni bene. Grazie
alla benedizione delle m am m elle e alla benedizione
dell'utero di tuo padre (102) e di tua m adre 109 hai pre­
valso sulle benedizioni dei m onti saldi e sulle benedi­
zioni dei colli eterni. Esse saranno sul capo di Giusep- -
pe e sull’alto della testa dei fratelli che egli ha com an­
dato » (Gen. 49,22-26).
Il profeta ha benedetto Giuseppe più largam ente
che non tu tti i suoi fratelli, perché contem plava i m i­
steri che, prefigurati da lui, si sarebbero realizzati in
Cristo: perciò, egli lodava non Giuseppe, bensì colui

108 La bellezza di cui si p arla in Sai. 44,3 è bellezza m ateriale;


m a in questo contesto b attesim ale e in rap p o rto con il Logos si deve
ovviam ente p ensare soltanto a bellezza sp irituale.
109 Qui il testo greco va trad o tto : « grazie alla benedizione delle
m am m elle e d ell’utero, alla benedizione di tuo p ad re e di tu a m a­
dre ». La trad u zione che abbiam o d ato qui sopra è in funzione del
com m ento d ’Ip polito che nel c.27 si sofferm a lungam ente a p arla re
in senso allegorico d ell’u te ro del Padre.
Le benedizioni di Giacobbe,26 97

di cui Giuseppe rappresentava la prefigurazione uo.


Gli dice infatti: « Figlio mio diventato grande, Giu­
seppe », in quanto grazie al suo nome sovrano e per­
fetto 111 è aum entata nel mondo ed ha sovrabbondato
la grazia di Cristo.
« Figlio benedetto da me e oggetto d'invidia ». In­
fatti, dopo che era stato benedetto da parte di Dio,
quando venne fra i suoi, non fu riconosciuto (Gv. 1,
1 0 - 1 1 ), m a diventò oggetto di invidia e di odio, come
dice anche la Scrittura: « I suoi fratelli vedendo che il
padre lo am ava, presero ad invidiarlo e anzi si dettero
ad odiarlo » (Gen. 37 ,4 )112. Per questo, Giacobbe dice:
« Figlio mio oggetto d'invidia, figlio mio il più giova­
ne »; e infatti dice la Scrittura: « Giacobbe lo am ava
perché era per lui figlio della vecchiaia » (Gen. 37,3).
Infatti (104) il Figlio di Dio nato dalla Vergine e rive­
latosi al mondo orm ai invecchiato e del tu tto avviato
a perdizione, si è m ostrato al Padre come figlio di vec­

110 Le parole di G iacobbe rivolte a G iuseppe sono chiaram en te


allusive alla vicenda vissuta d a q u est'u ltim o e d escritta in Gen.
37.39-42. Ma Ippolito, com e già a ltre volte (cf. nn. 7,33,61,68), rifiu ­
ta l’in terp retazio n e letterale a beneficio della tipologia cristologica.
Ma m en tre altre volte aveva cercato u n a giustificazione nel testo b i­
blico stesso p e r il suo rifiu to del senso letterale, qui non può fare al­
tro che negarlo ap o d itticam en te p er carenza di elem enti probativi.
111 II nom e sovrano e p erfetto che h a fatto abbo n d are nel mondo
la g razia di C risto sem b ra essere pro p rio quello di Figlio (di Dio):
com e ab b iam o già rilevato a n. 32, Ippolito tende a considerare Fi­
glio il C risto in carn ato p iu tto sto che il Logos divino preesistente; e
in tal senso egli qui vuol d ire che coll'Incarnazione, che ha reso il
Logos Figlio di Dio in senso pieno, h a sovrabbondato nel m ondo la
sua grazia.
112 In base a q u an to h a afferm ato recisam ente sopra (cf. η. 110),
è ch iaro che qui Ippolito non h a inteso questa citazione in senso let­
terale, bensì allegorico, p e r cui i fratelli di G iuseppe sono typoi dei
G iudei, consanguinei di C risto secondo la carne e au to ri delle insi­
die co ntro di lui, su cui Ippolito si sofferm a subito dopo, a proposito
del popolo em pio e disubbidiente.
98 Ippolito

chiezza, p u r coesistendo con Dio prim a dei tem pi " 3.


Per questo gli dice: « Torna a me », richiam ando il
proprio Figlio dalla terra al cielo 114.
« Com plottando contro di lui, l’insultavano e gli
tendevano insidie i signori dell’arco ». Chi erano quel­
li che tram avano m alvagiam ente ai suoi danni e lo in­
sultano, se non il popolo empio e disubbidiente? Essi
dissero contro di lui molte em pietà con calunnie fra
loro discordanti (Me. 14,56). « Signori dell'arco », in
quanto erano buoni tiratori al fine di operare il m ale e
di uccidere tu tti i giusti. « E i loro archi furono spez­
zati con forza ». Infatti, quelli che tram avano m alva­
giam ente ai suoi danni e lo calunniavano, quasi lan­
ciassero dardi contro di lui, poco dopo proprio essi fu­
rono svergognati, quando appresero che egli era risu­
scitato dai m orti, come dice anche Isaia: « Vana è la
deliberazione del vostro spirito » (Is. 33,11).
(106) E Giacobbe dice: « Persero ogni forza i m u­
scoli delle braccia delle loro m ani, ad opera della
m ano del potente di Giacobbe ». Essi, infatti, che ave­
vano nutrito la speranza in loro stessi e non in Dio e
avevano tra tto vanto della loro propria potenza " 5,
hanno perso ogni forza e sono stati ridotti a niente,
poiché proprio il Logos ha com battuto contro di loro

113 Ancora u n a volta Ippolito distingue fra il Logos divino p ree­


sistente, che coesiste con Dio p rim a dei tem pi, e il Cristo incarn ato
negli u ltim i tem pi, cioè figlio di vecchiezza. Che l’Incarnazione fos­
se avvenuta q u ando il m ondo e ra o rm ai rid o tto alla perdizione, è
m otivo che ricorre variam en te al tem po d ’Ippolito. Egli qui lo col­
lega con l’altro m otivo d ella vecchiezza del m ondo, che e ra di orig i­
ne pagana: si pensi alla fine del 1. II di Lucrezio.
114 Q uesta spiegazione sem bra isp ira ta d a passi giovannei com e
16,7.29, in sui si p a rla del rito rn o di C risto al Padre.
115 Ancora u n a volta, Ippolito sfru tta il tem a paolino della illu ­
soria sicurezza dei G iudei di essere giustificati in forza della loro
osservanza delle norm e della Legge: cf. in proposito il c.8 in cui Ip­
polito p arla di Esau.
Le benedizioni di Giacobbe.26 99

ed essi sono stati dispersi e consegnati alle genti paga-


ne ll6.
« Di qui proviene colui che dà forza a Israele da
parte del Dio di tuo padre, ed è venuto in tuo aiuto il
mio Dio ». Chi a ltri m ai è colui che ha dato forza a
Israele ed è venuto in aiuto di suo figlio se non soltan­
to D io ?117. Come anche è detto per mezzo di Isaia:
« Giacobbe mio figlio, verrò in suo soccorso, Israele
mio eletto, lo ha avuto accetto l’anim a m ia » (Is. 43,1),
e ancora: « Non tem ere poiché sei stato coperto
di vergogna, non arrossire poiché sei stato oltraggia­
to » (Is. 54,4). Per questo, a compenso delle ingiustizie
commesse contro di lui, lo benedice dicendo: « Ti ha
benedetto con la benedizione del cielo d a ll’alto e con
la benedizione della terra che contiene ogni bene ».
Infatti, « tu tto è stato sottom esso sotto i suoi piedi »
(1 Cor. 15,27), le cose del cielo in riferim ento alla be­
nedizione del cielo (108), e le cose della terra in riferi­
m ento alla benedizione della terra, perché colui che
quelli avevano tenuto per nulla, apparisse Signore de­
gli angeli e degli uom ini ll8.

116 E ra m otivo corrente fra i cristian i che la rovina totale, che


aveva trav o lto i G iudei in conseguenza delle loro ribellioni co n tro i
R om ani, era sta ta punizione divina p er l'uccisione di Cristo. Vedi
anche n. 71.
117 Ippolito, e com e lui Ambrogio, non tengono alcun conto di
u n a difficoltà che, ai fini d ell'in terp retazio n e allegorica, derivava
dalle parole di G iacobbe « da p a rte del Dio di tuo pad re » e « è ve­
n u to in tu o a iu to il m io Dio »: infatti, assum endo G iuseppe com e fi­
g u ra di Cristo, G iacobbe, che lo esalta com e suo figlio, d iventa im ­
p licitam en te typos di Dio Padre; m a allora, com e si spiega che egli
q ui p a rli di se stesso com e « Dio di tu o P adre » e « il m io Dio »? Al­
tri au to ri si sono invece po sti questo p roblem a: vedi in proposito n.
175.
118 Q uesta presentazione della reg alità universale del C risto ri­
so rto dai m o rti e trionfatore su i suoi nem ici, è isp ira ta, o ltre che al
c itato 1 Cor. 15,27, e relativo contesto, anche a Fil. 2,9-11 e Col.
2,18.
100 Ippolito

« Grazie alla benedizione delle m am m elle e alla


benedizione dell’utero di tuo padre e di tua m adre ».
« Benedizione delle m am m elle », cioè, o dei due Te­
stam enti dai quali fu preannunciato che il Logos sa­
rebbe apparso nel mondo, e per mezzo di queste
m am m elle ci allatta e ci nutre conducendoci a Dio
come figli, ovvero questa espressione indica le m am ­
melle di M aria 1I9, che quello ha succhiato, che erano
state benedette, alle quali una donna anche gridò:
« Beato il ventre che ti ha portato, e le m am m elle che
hai succhiato » (Le. 11,27).
27. Coll'aggiungere: « grazie alla benedizione
dell’utero di tuo padre e di tua m adre » il profeta ci
preannuncia un m istero spirituale l20. Infatti poteva
dire soltanto: « grazie alla benedizione dell’utero di
tua m adre » per indicare con queste parole M aria a t­
traverso il cui utero il Logos fu d ato alla luce. Invece,
non ha detto cosi, m a dice: « grazie alla benedizione
dell’utero di tuo padre e (110) di tua m adre »: unite le
due cose ne ha fatta una sola perché del Logos si in­
tendesse sia ciò che è secondo lo spirito, sia ciò che è
secondo la carne 121. Infatti, il Logos era nato dal cuo­

119 II riferim ento tipologico della benedizione delle m am m elle a


M aria era ovvio, d ato il contesto relativo aH’Incam azione. Il riferi­
m ento altern ativ o ai due T estam enti fa pensare ad influsso delle
m am m elle di Cant. 1,2, com unem ente in te rp re ta to in questo modo.
120 Cf. n. 109. G razie a q uesta forzata le ttu ra del testo biblico,
Ippolito può ravvisarvi u n a incongruenza secondo il senso letterale
(l’u tero del Padre) e perciò u n m istero da illu strare con l'in te rp re ta :
zione allegorica. Qui A m brogio (11,51) segue fedelm ente la le ttu ra
del testo biblico e l ’interp retazio n e di Ippolito, m en tre a ltri com ­
m e n tato ri leggono il testo in m odo corretto.
121 La forzata le ttu ra del passo biblico p erm e tte a Ippolito di in ­
te rp re ta re l’espressione « u te ro del p ad re » com e significante in
senso m etaforico la n ascita del Logos divino dal Padre, si da p resen ­
tare ancora u n a volta (cf. anche nn. 80 e 113) la duplice n ascita di
C risto qua deus e qua hom o, m en tre il contesto spingeva n a tu ra l­
m ente solo al secondo concetto. L 'insistenza di Ippolito nel richia-
Le benedizioni di Giacobbe,27 101

re del Padre e dalle viscere sante, quasi d a ll’utero del


Padre, come anche la S crittura dice per mezzo del
profeta: « Il mio cuore ha emesso una buona parola »
(Sai. 44,2) 122. Invece, ciò che di lui era secondo la car­
ne è stato dato alla luce negli ultim i giorni d a ll’utero
della m adre, perché apparisse con evidenza che egli
era nato anche d all’utero della m adre, come è detto
ancora per mezzo del profeta: « Cosi dice il Signore,
che mi ha plasm ato come suo servo nel ventre di m ia
m adre » (Is. 49,5), e per mezzo di Geremia: « Prim a di
averti plasm ato nel ventre di tua m adre ti conosco, e
prim a che uscissi dal suo utero ti ho santificato »
(Ger. 1,5) 123. Poiché, dunque, il Logos è stato generato
sia secondo lo spirito sia secondo la carne, perché era
insieme Dio e uomo, ben a ragione il profeta ha p a rla ­
to di utero del padre e della m adre; e se l’espressione
non viene intesa cosi, potrà apparire a qualcuno rid i­
cola. Infatti, l’utero com pete per n atu ra soltanto alla
donna 124 (112). Perciò, qui il profeta ha detto: « grazie

m are la duplice nascita di Cristo, anche a costo di forzare il senso


del passo sc rittu ristic o che sta in te rp re tan d o (cf. ancora n. 80), va
spieg ata in senso antieretico, contro i m onarchiani che, consideran ­
do C risto o un sem plice uom o o solo un m odo di p resen tarsi del Pa­
dre, negavano la re a ltà della su a nascita qua deus.
122 Ippolito è uno dei p rim i au to ri che ab biano fatto uso, p er suf­
fragare il theologoumenon della generazione d ivina del Logos, di
questo passo sc rittu ristic o d estin ato ad avere in questo senso, nei
secoli III e IV, sto ria lunga e com plessa.
123 Su q u esta applicazione cristologica del passo di G erem ia, cf.
n. 75. Lo stesso tra tta m e n to Ippolito ap p lica anche al passo di
Isaia; m a chi p a rla in questo passo non è il profeta in p rim a perso­
na, bensì il Servo di Jahvè, che fin d ai prim ordi del cristianesim o fu
considerato an ticipazione profetica di Cristo: in ta l senso l ’ap p lica­
zione cristologica di questo passo da p arte di Ippolito rie n tra in un
uso tradizionale, e p roprio essa può aver spinto il nostro au to re ad
in te rp re tare in m odo analogo anche il passo di G erem ia, eh e di si­
gnificato ta n to affine.
124 Cf. sopra, n. 120.
102 Ippolito

alla benedizione dell’utero di tuo padre e di tua m a­


dre », perché si com prendesse che il Logos è stato ge­
nerato da due sostanze 125, da Dio e dalla Vergine. Per
questo, il profeta ha ancora aggiunto:
« Hai prevalso sulle benedizioni dei m onti saldi e
sulle benedizioni dei colli eterni ». Infatti al di sopra
di tu tti i principati, profeti e apostoli, il Logos ha pre­
valso ed è stato glorificato, innalzato da Dio ed erede,
sul suo capo, di tu tta intera la benedizione 126. Infatti
Cristo è il capo di tu tti i santi (Col. 1,18). Infatti, « (le
benedizioni) saranno sul capo di Giuseppe e sull’alto
della testa dei fratelli che egli ha com andato ». Come
suoi fratelli il profeta h a designato non quelli secondo
la carne — questi infatti egli li ha respinti (Mt. 12,48)
— bensì quelli che sono stati considerati suoi fratelli
secondo lo Spirito, ai quali il Signore ha detto: « Miei
fratelli e coeredi » (Mt. 12,50; Gv. 20,17; Rom.
8,17) 127. Su costoro, Giacobbe disse che sarebbero di­
scese le benedizioni, i quali lo stesso Salvatore avreb­
be considerato suoi propri fratelli.

125 Per « sostanza » il greco ha ousia, term ine d estin ato a diven­
tare tecnico p e r indicare la duplice n atu ra , u m a n a e divina, di Cri­
sto. Qui l’espressione va ovviam ente in tesa nel senso che il Logos è
sta to generato, qua deus, dalla sostanza del P adre e qua hom o d alla
sostanza della m adre, si che risaltan o ancora u n a volta le sue due
nascite: cf. n. 121.
126 L 'in terp retazione allegorica di m onti e colli in riferim ento
alle gerarchie della Chiesa è procedim ento com une al tem po di Ip­
polito e dopo. C om unque, di q uesta specifica espressione della b e­
nedizione di G iuseppe sono sta te d ate anche a ltre interpretazio n i:
vedi, p er esem pio, qui di seguito, il fram . 49 della Catene.
127 Ippolito sem bra prediligere q uesta citazione di più passi
n eo testam en tari: essa è s ta ta già ad d o tta, nella stessa identica for­
m a, nel c.16.
Le benedizioni di Giacobbe,28 103

Beniamino
28. (114) « Beniam ino è un lupo rapace, al m a tti­
no divorerà ancora ed a sera dona nutrim ento » (Gen.
49,27).
Il profeta ha definito con piena evidenza lupo ra ­
pace l'apostolo Paolo, che nacque dalla tribù di Be­
niam ino 128 e al principio fu lupo rapace perché sbra­
nava e divorava le pecore della Chiesa, come lo stesso
Paolo ha dichiarato dicendo: « Non sono degno di es­
sere chiam ato apostolo, perché ho perseguitato con
accanim ento la Chiesa di Dio. Ma per grazia di Dio
sono ciò che sono » (1 Cor. 15,9-10; Gal. 1,13). Per que­
sto, anche Rachele quando generò Beniam ino gli det­
te nome: « figlio del mio dolore » (Gen. 35,18) ’29, pro­
fetizzando ciò che sarebbe accaduto, cioè che Paolo,
nato dalla tribù di Beniamino, avrebbe addolorato e
afflitto sua m adre, cioè la Chiesa, cercando di uccide­
re tu tti quelli che invocavano il nome del Signore. Ma
quello che in principio fu bestem m iatore e persecuto­

128 II riferim ento della benedizione di B eniam ino a ll’apostolo


Paolo, che è rico rd ata da tu tti i com m entatori di tendenza allego­
rizzan te e che è certam ente più an tica di Ippolito (cf. Testam entum
Beniam in, 11,1-2), va spiegato, oltre che p er la circostanza estrin se­
ca che Paolo e ra della trib ù di B eniam ino, p e r il fatto che il testo
d ella benedizione (divora al m a ttin o e dà n u trim e n to a sera) si p re­
stav a bene ad essere app licato alla vicenda dell’Apostolo.
129 Gen. 35,18 suona cosi: E quando la sua (cioè, di Rachele) a n i­
m a stav a p e r p a rtire da lei, poiché m ori, lo chiam ò col nom e di Be-
noni, « Figlio del m io dolore », m a suo p ad re lo chiam ò B eniam ino,
« Figlio della d estra ». Stricto sensu, il riferim ento che Ippolito fa a
questo episodio p uò anche conciliarsi col suo esatto svolgim ento;
m a è p iù che probabile che, invece, egli ab b ia in te rp re ta to etim olo­
gicam ente B eniam ino com e « Figlio del m io dolore », p iu tto sto che
« Figlio della d estra »: in fatti, questa falsa etim ologia si trova non
soltan to in Am brogio (12,57) e in Rufino (11,29), m a anche in antichi
O nom astici, che h anno equivocato in m erito al passo biblico e con­
fuso le due etim ologie.
104 Ippolito

re, in séguito si converti e distribuì a tu tti il nutrim en­


to spirituale e celeste, ed egli stesso per prim o annun­
ciò alle genti pagane Cristo, nel quale avendo fede an ­
che noi innalziam o lode a Dio: infatti, sua è la gloria
nei secoli dei secoli. Amen.
FRAMMENTI DI IPPOLITO
SU GENESI 27 E 49

7. Gen. 27,1 - 28,5: Isacco 130


Poiché abbiam o prom esso di aggiungere, anche ri­
guardo a questo passo, che cosa significasse sim boli­
cam ente, riportiam o le parole del m artire Ippolito,
dal quale anche il nostro Vittorino 131 non si differen­
zia di molto: non perché quello abbia interpretato in
m odo esauriente ogni particolare, m a perché possa of­
frire al lettore l'occasione per una com prensione più
com pleta.
Isacco è prefigurazione di Dio Padre, Rebecca del­
lo Spirito Santo, Esaù del prim o popolo e del diavolo,
Giacobbe della Chiesa, ovvero di Cristo 132. Il fatto che

l3u Q uesta notizia su ll’in terp retazio n e che il m a rtire Ippolito


aveva d ato della benedizione d'Isacco ci è fornita da G irolam o, nel­
la le tte ra 36 in d iriz za ta a p ap a D am aso e nella quale sono tra tta ti
vari q uesiti che il p ap a aveva proposto a G irolam o. N ell’apprezza-
m ento del testo di G irolam o si tenga presente che esso è fortem ente
riassu ntiv o risp etto a quello che deve essere sta to il testo ippolitia-
no ch'egli aveva dav an ti agli occhi.
131 Si tr a tta di V ittorino di P ettau, nativo deH’Illiria com e G iro­
lam o, donde il « nostro ». Il testo di V ittorino che qui G irolam o ri­
cord a è an d a to perduto.
132 Nel testo di Ippolito g iunto a noi nell’originale greco e da noi
tra d o tto e illu strato , non è d e tto con. chiarezza che Isacco era typos
di Dio P adre e m ai R ebecca è co n sid erata figura dello S p irito S an ­
to. E sau è figura del p rim o popolo, cioè dei G iudei, m a non del dia-
106 Ippolito

Isacco era diventato vecchio indica l’invecchiarsi del


m ondo 133, e il suo offuscamento di vista significa che
la fede era venuta meno nel mondo e che la luce della
religione prim a di lui era stata trascurata. Il fatto che
da lui viene chiam ato il figlio maggiore significa che a
Dio era accetta la Legge dei Giudei.
Il gradim ento del padre per i cibi e la selvaggina
del figlio maggiore, indica che sono stati salvati
d all’errore quegli uom ini che ogni giusto cattu ra per
mezzo della dottrina. Le parole di benedizione da p a r­
te di Dio sono prom essa e speranza del regno futuro,
nel quale i santi regneranno con Cristo e celebreranno
il vero sabato ,34. Rebecca, ripiena di Spirito Santo,
poiché sapeva ciò che aveva udito prim a di generare,

volo; G iacobbe è figura di Cristo, m a solo occasionalm ente della


Chiesa, c h ’era invece l'in terp retazio n e di Ireneo (cf. n. 15). N on ab ­
biam o intenzione di rilevare sistem aticam en te concordanze e d i­
scordanze fra la notizia di G irolam o e il testo d ’Ippolito giunto a
noi: il letto re che vi sia interessato lo p o trà fare agevolm ente da sé.
A noi b asterà rilevare solo qualche p u n to di p artico lare significato
e osservare, in linea generale, che i due testi presentano, accanto a
significative convergenze, non m eno significative divergenze, e che
il testo che aveva so tto c c h io G irolam o in te rp re tav a Gen. 27 con
m aggiore attenzione ai p artico la ri di q u an to non ap p a ia nel testo
d ’Ippolito giunto a noi. È fuor di dubbio che G irolam o leggeva, sot­
to il nom e d ’Ippolito, u n a interp retazio n e di Gen. 27 solo in p arte
corrispondente a quella g iu n ta a noi.
133 Non leggiam o questo d ettaglio n ell’Ippolito giunto a noi,
dove invece lo abb iam o letto in un passo di com m ento alla benedi­
zione di G iuseppe: cf. n. 113.
134 In questo accenno rap id o al significato tipologico della bene­
dizione d ’Isacco a G iacobbe, essa è rife rita al regno finale di Cristo
con i suoi giusti. Ma più giù la stessa benedizione è considerata an ­
ticipazione profetica della risurrezione di C risto e del regno già da
quel m om ento da lui inau g u rato . Q uesta seconda in terpretazio n e
corrisponde esattam e n te a quella che leggiam o nel nostro Ippolito,
m en tre l’a ltra è quella che p resen ta Ireneo (Adr. haer. V, 33,3). Si ri­
cava l’im pressione che il testo che leggeva G irolam o in qualche
m odo m etteva insiem e o giustapponeva le due interpretazioni.
Frammenti,? 107

cioè che « il maggiore sarebbe stato servo del m ino­


re » (Gen. 25,23), o piuttosto in quanto figura dello
Spirito Santo contem plava anticipatam ente in Gia­
cobbe ciò che sapeva che si sarebbe realizzato in Cri­
sto, dice al figlio minore: « Va' al gregge e portam i di
li due capretti » (Gen. 27,9), prefigurando la venuta
del Salvatore nella carne, nella quale egli avrebbe li­
berato so p rattutto coloro che erano tenuti prigionieri
per i peccati: infatti, in tu tte le Scritture i capretti in­
dicano sim bolicam ente i peccatori.
Il fatto poi che viene com andato di portarne due,
indica l’accoglim ento dei due popoli; che son teneri e
buoni (ibid.), indica le anim e docili e innocenti. La ve­
ste di Esau indica la fede e le Scritture degli Ebrei di
cui è stato rivestito il popolo dei pagani 135. Le pelli
con cui furono circondate le braccia di Giacobbe sono
i peccati di am bedue i popoli, che Cristo inchiodò in­
sieme con sé (Col. 2,14) quando distese le m ani sulla
croce. Il fatto che Isacco chiede a Giacobbe perché fos­
se venuto cosi presto (Gen. 27,20), indica che Dio am ­
m ira la fede sollecita dei credenti. Il fatto che vengono
presentati cibi gradevoli, offerta accetta a Dio, indica
la salvezza dei peccatori. Dopo il pasto, segue la bene­
dizione, e Isacco gode del profumo di Giacobbe (Gen.
27,27) preannunciando con chiare parole la potenza
della risurrezione e del regno, in che modo anche i fra­
telli lo avrebbero adorato e sarebbero stati suoi servi
quelli di Israele che avrebbero creduto.
E poiché l'iniquità è nem ica della giustizia, Esaù è
spinto a discordia e con frode m edita il delitto, dicen­

135 A bbiam o qui u n a delle differenze più significative fra il testo


ip p o litian o che leggeva G irolam o e quello che leggiam o noi, dove la
veste di E saù è typos della carne u m a n a riv estita dal Logos (cf. c. 6).
C oncorda invece, nei due testi, l’interp retazio n e delle pelli = pecca­
ti, anche se il testo di G irolam o allude con chiarezza a Col. 2,14, che
invece non com pare nel nostro Ippolito.
108 Ippolito

do in cuor suo: « Arrivino i giorni del dolore di mio


padre l36, perché io uccida mio fratello » (Gen. 27,41).
Il diavolo che già prim a aveva indicato in Caino i Giu­
dei fratricidi, in Esaù lo dichiara nel modo più aperto,
indicando pure il m om ento dell'uccisione: « Arrivino
— egli dice — i giorni del dolore di mio padre, perché
io uccida mio fratello ». Perciò Rebecca, cioè la p a­
zienza 137, rivela al m arito le insidie di Esaù, e quello,
chiam ato Giacobbe, gli com anda di andare in Meso­
potam ia e di prendere li moglie dalla fam iglia del siro
Labano, fratello di sua m adre (Gen. 27,42ss.). Perciò,
come Giacobbe fuggendo le insidie del fratello si d iri­
ge in M esopotamia, cosi anche Cristo, spinto dall’in­
credulità dei Giudei, va in Galilea, per prendere di li
dai pagani come sposa la Chiesa.

8. Gen. 49,3-4: Ruben 138


Il prim o popolo, quello della circoncisione, è « la
m ia forza e il principio dei miei figli », in quanto Dio
136 Per q u esta espressione cf. n. 47; m a la concisione del testo di
G irolam o non p erm ette un confronto stre tto con quello del nostro
Ippolito. In questo com unque m anca la tipologia E sau = il diavolo,
e non è fatto cenno alcuno di Caino.
137 Anche q uesta in terp retazio n e allegorica di R ebecca è assente
nell'Ip p o lito giunto a noi. E ra tipico dell'esegesi alessandrina (Filo­
ne) in te rp re tare le donne dei p atriarch i com e figura delle virtù.
T u tta q u esta p arte finale del testo di G irolam o, che si occupa di
G iacobbe dal m om ento della benedizione fino al suo rifugiarsi in
M esopotam ia, è assente n ell’Ippolito giunto a noi, che invece si sof­
ferm a sulle parole di consolazione rivolte da Isacco ad E sau, di cui
non è traccia in G irolam o.
138 A p a rtire da qui, tu tti i passi di com m ento a Gen. 49 sono ri­
cavati dalle Catene sulla Genesi, dove sono tra m a n d a te sotto il
nom e d ’Ippolito. Si tr a tta di passi fra m m e n tari che a volte si riferi­
scono so ltan to a q ualche p artico lare del testo biblico e non a ll’in te­
ra benedizione e p e r di più sono fortem ente riassu n tiv i risp etto al
testo originario. Anche in essi si ravvisano sia convergenze sia d i­
vergenze col testo d ’Ippolito giungo a noi in te g ralm e n te e vale p er
essi q u an to ab b iam o osservato sopra a n. 132.
Frammenti,8-9 109

ha dato la prom essa ad Abramo e alla sua discenden­


za (Gal. 3,16; Gen. 13,15).« Duro da sopportare », per­
ché il popolo s'induri rifiutando di ubbidire a Dio. Ed
è « duro arrogante », perché non solo si è indurito
quanto a ll’ubbidienza a Dio, m a è diventato anche a r­
rogante perché ha gettato le m ani addosso al Signore.
« Hai traboccato », perché a causa del Signore nostro
Gesù Cristo il popolo giudeo ha oltraggiato il Padre.
« Non ribollire », dice lo Spirito 139 esortandolo, per­
ché non accada che ribollendo trabocchi in modo defi­
nitivo, e cosi gli dà speranza di salvezza: infatti, ciò
che ha ribollito e traboccato si consuma. « Infatti, sei
salito sul letto di tuo padre »: prim a 140 si riferisce al
fatto, poiché negli ultim i giorni il popolo avrebbe in­
sidiato il letto del Padre, cioè la Chiesa sposa, coll’in­
tenzione di distruggerla 141 ; e questo continua a fare
fino ad oggi, insidiandola con calunnie.

9. Gen. 49,5: Simeone e Levi


Da Simeone provengono gli scribi e da Levi i sa­
cerdoti. Infatti, scribi e sacerdoti « hanno com piuto
un'ingiustizia di loro iniziativa », in quanto con con­
corde volontà hanno ucciso il Signore.

139 Più volte, nei fram m enti (cf. anche fram m . 10,11,14,17,18), è
lo S p irito divino che introduce d irettam e n te le parole e i concetti
espressi nelle benedizioni. Invece, nel T ra tta to , è intro d o tto a p a rla ­
re G iacobbe o un generico « il profeta », ovvero le parole sono rip o r­
ta te senza un soggetto espresso che le riferisca.
140 Q uesto « p rim a » fa pensare che nel testo originario da cui è
sta to tra tto e riassu n to questo passo, fosse conten u ta u n ’in te rp re ta ­
zione più am p ia, di cui solo la p rim a p a rte è sta ta escerta.
141 Invece, nel T ra tta to , il letto di G iacobbe è typos della carne
assu n ta dal Logos. La precisazione successiva del fram m ento: « E
questo co n tin u a a fare fino a oggi, ecc. » p ro ietta il tem a fondam en­
tale d ell'in im icizia dei G iudei p e r la Chiesa fino al tem po d ell'au to ­
re; è un m otivo che rito rn a anche altre volte nei fram m enti (cf.
fram m . 15,17,44), m a non com pare m ai nel T ra tta to .
110 Ippolito

10. Gen. 49,6a: Simeone e Levi


Lo Spirito ha profetato, preannunciando il loro
empio « consiglio ».

11. Gen. 49,6b: Simeone e Levi


Lo Spirito dice questo riferendosi al conciliabolo
che scribi e sacerdoti avrebbero radunato a danno del
Signore. Che si riferisca a tale conciliabolo è chiaro,
poiché dice il beato Davide: « I principi si sono rad u ­
nati contro il Signore e contro il suo Cristo » (Sai.
2,2) 142. A questo conciliabolo ha fatto anticipatam en­
te riferim ento lo Spirito dicendo: « Non venga a con­
tesa il mio cuore », volendo sottrarli al male, perché,
se fosse possibile, non venga realizzato per opera loro
il futuro m isfatto.

12. Gen. 49,6c: Simeone e Levi


Cioè, nella loro ira « hanno ucciso » i profeti.

13. Gen. 49,6d: Simeone e Levi


A noi appare evidente che scribi e sacerdoti hanno
ucciso il Salvatore perché cercava di distoglierli dalla
m alvagia concupiscenza. Quello, infatti, era « il
toro » forte, e questa « la concupiscenza » m alavagia.
Gli « hanno tagliato » i tendini, perché avendolo ap­
peso alla croce gli hanno trafitto i muscoli l43.
142 II fram m ento e il T ra tta to convergono in q u esta in te rp re ta ­
zione di fondo, che dicem m o altam en te tradizionale (cf. n. 69). Ma
nel T ra tta to m anca q uesta citazione di Sai. 2,2, classico passò m es­
sianico, la cui applicazione a C risto è già in Atti, 4,26.
143 Q uesta notazione cosi p artico lareg g iata m anca nel T ra tta to .
Più in generale possiam o riproporre, p er il confronto fra il T ra tta to
e i fram m en ti, il rilievo che ab biam o fatto a proposito del T ra tta to e
del passo tra m a n d a to da G irolam o (cf. n. 132): cioè, che anche i
fram m enti sem brano derivare da u n com m ento di Gen. 49, più a t­
tento a ll’in terp retazione dei dettagli di q u an to non lo sia il T ra tta ­
to.
Frammenti, 14-17 :' ·5 '7 111

14. Gen. 49,7a: Simeone e Levi


Lo Spirito maledice non l'intero popolo ma i suoi
capi 144.

15. Gen. 49,7b: Simeone e Levi


E evidente che fino ai nostri giorni « il loro furore
si è indurito ».

16. Gen. 49,7d: Simeone e Levi


Sappiam o bene che Israele è l’uomo che vede
Dio l45. Lo Spirito dice perciò queste parole, perché al­
tri vedranno Dio e non essi. Dice poi: « Li disperderò
in Israele », poiché i Giudei saranno dispersi fra tu tte
le genti pagane che vedono Dio.

17. Gen. 49,8b: Giuda


Lo Spirito parla di « nemici » secondo quanto dice
suo Padre: « Siedi alla m ia destra, finché io ponga i
tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi » (Sai.
109,1) l46. Infatti, sono suoi nemici quelli che lo hanno
perseguitato e fino ad oggi lo perseguitano. Dice: « Le

144 Anche questo d ettaglio m anca nel T ra tta to .


145 L’in terp retazio n e di: « Li dividerò in G iacobbe e li d isperd e­
rò in Israele », assu n ta l ’equivalenza G iacobbe = Israele, è im po sta­
ta su lla co rren te etim ologia del nom e Israele = uom o che vede Dio.
In tal senso Israele non sono i Giudei, perché essi, a causa del loro
rifiu to di Cristo, non vedono Dio, bensì le genti pagane che si son
fatte cristian e: in m ezzo a loro sono dispersi i Giudei. Il m otivo è
quello, q u an to m ai generalizzato nei vari com m entari, della d isp er­
sione dei G iudei a causa delle rovinose guerre con i R om ani; m a il
proced im en to esegetico m esso in opera è del tu tto diverso risp etto a
quello del T ra tta to (cf. n. 71).
146 La citazione di q u e st'a ltro im p o rta n te passo m essianico
m an ca nel T ra tta to , che invece ne fa uso nel com m ento alla benedi­
zione di G iuda, com presa nelle benedizioni, non di Giacobbe, bensì
di Mosè: cf. PO 27,143.
112 Ippolito

tue m ani », cioè la tua forza. « Sul dorso dei tuoi ne­
mici », perché anche se cerca di sfuggirlo, negli ultim i
tem pi il popolo giudeo lo riconoscerà. Costoro sono,
infatti, i figli di suo Padre, secondo quanto dice Isaia:
« Ho generato e innalzato figli, m a essi mi hanno di­
sprezzato » (Is. 1,2).

18. Gen. 49,9b: Giuda


Lo Spirito indica ciò che del nostro Signore è se­
condo la carne, poiché egli è stato generato dallo Spi­
rito Santo e da M aria. Infatti, in un altro passo della
S crittu ra è detto: « Uscirà una verga dalla radice di
Jesse e un fiore crescerà dalla radice » (Is. 11,1) 147.

19. Gen. 49,9c: Giuda


Dice questo per indicare il Padre e il Signore.

20. Gen. 49,9cd: Giuda


Cioè, il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre (Gv.
14,11). « Chi lo sveglierà? ». Chi altro, se non egli sve-
glierà se stesso? 148.
147 L 'in terpretazione del fram m ento è in riferim ento alla nasci­
ta di C risto d a M aria e non fa cenno della n ascita del Logos divino
dal Padre, che è invece c a ra tte re peculiare d ell’interpretazione del
T ra tta to (cf. n. 80).
148 V edem m o (cf. n. 82) che qui il T ra tta to , sulla base di Paolo e
degli Atti, fa risu scitare C risto dal Padre, secondo u n 'in te rp re ta z io ­
ne che poteva facilm ente essere considerata rid u ttiv a della potenza
di C risto al tem po della controversia a ria n a (IV secolo), che ta n to
sensibilizzò l’attenzione dei teologi su questo punto. Perciò i com ­
m en tato ri del IV e V secolo q ui sono in genere p iù cauti. In- ta l senso
va anche l’in terp retazio n e del fram m ento, in cui non è il P adre che
risu scita Cristo, m a questi risu scita se stesso, che è anche l’in te rp re ­
tazione di A m brogio (4,20). Può essere un segno che i fram m enti re­
lativi a Gen. 49 rip o rtati a Ippolito dalle Catene, rim o n tan o ad un
testo fortem ente rim aneggiato nel corso del IV secolo. D’a ltra p arte
Origene ci testim onia (Hom iliae in Num eros, 17,4) che p ro p rio in re ­
lazione a Gen. 49, 9 era già diffusa l’in terp retazio n e secondo cui
Fram m entici -23 113

21. Gen. 49,10: Giuda


È chiaro che non verrà meno la santa discendenza
p rim a della nascita del nostro Signore, cioè prim a
della sua venuta. Bisogna che i capi del popolo giudeo
si conservino santi finché sarà nato il Signore. Infatti,
dopo non ci sarà più nessun capo del popolo 149.

22. Gen. 49,1 la: Giuda


Come dice il nostro Signore: « Io sono la vite
vera » (Gv. 15,1). Il testo definisce « asinelio » la chia­
m ata delle genti pagane. Infatti l’asinelio non è anco­
ra dom ato e non ha ancora provato il morso 150; e tale
era la nostra condizione prim a della venuta del nostro
Signore. « Legherà » indica lo stare ben uniti al no­
stro Signore.

23. Gen. 49,1 lb: Giuda


Il testo nom ina anche un altro « asinelio » 151, cioè
la chiam ata dei circoncisi; invece, una sola « asina »,
proprio C risto aveva risu scitato se stesso, percio m ollo tem po p ri­
m a della controversia arian a.
149 Per i fondam enti dell’interpretazione cristologica di questo
passo di Gen. 49, cf.', sopra, n. 83.
150 Per m orso s ’inten d a il freno, l’oppressione della Legge mo-
saica, cui invece era stato assoggettato il popolo giudaico.
151 Si ricordi (cf. n. 85) che m entre il T ra tta to com m enta un te­
sto biblico che reca: « L egherà alla vite la sua asina e al tralcio il
suo asinelio », più corrente è la lezione: « Legherà alla vite il suo
asinelio e al tralcio il piccolo della sua asina », e questa è la lezione
su cui si fonda l’in terp retazio n e del nostro fram m ento, im postata
sulla contrapposizione fra i due asinelli. T u tti i dettagli sono qui d i­
versi risp etto al T ra tta to p u r nella convergenza del tem a di fondo
che insiste sulla u n ità delle due chiam ate, ai G iudei e ai pagani. In­
fatti, nel T ra tta to , l’u n ità è sim boleggiata d alla vite, cui sono legate
le due bestie (asinelio e asina), senza ten er conto della distinzione
fra vite e tralcio; invece nel fram m ento la fede che unifica le due
chiam ate è rap p rese n tata pro p rio d a ll’asina, e l’in terpretazione tie­
ne d istin ta la vite dal tralcio.
114 Ippolito

per indicarci che da una sola asina, cioè da una sola


fede, derivano i due asinelli, cioè le due chiam ate. Un
asinelio è stato legato alla vite, l’altro invece al tra l­
cio, e questo noi l’intendiam o nel senso che la chiam a­
ta delle genti pagane è stata legata al Signore, m entre
la chiam ata dei circoncisi è rim asta legata alla vec­
chiezza della Legge (Rom. 7,6) 152.

24. Gen. 4 9 ,llcd: Giuda


Cioè, il Salvatore purificherà per mezzo dello Spi­
rito Santo e della parola di verità la carne, che defini­
sce « veste » 153. « E nel sangue dell’uva » pressata e
che fa scaturire sangue, la quale indica la carne del
Signore, che purifica tu tta la chiam ata delle genti p a ­
gane.

25. Gen. 49,12a: Giuda


Cioè, « i suoi occhi » sono splendenti per la parola
di verità. Infatti, volgono lo sguardo a tu tti quelli che
credono in lui ,54.

liJ In questa in terpretazione, la connotazione d 'in ferio rità del


tralcio risp etto alla vite suggerisce u n a valutazione negativa a ca ri­
co dei cristian i provenienti dal giudaism o risp etto a quelli prove­
nienti dal m ondo greco-rom ano. Forse va m essa in relazione con la
c u ra con cui il nostro autore sottolinea il p erd u rare d e ll’o stilità dei
G iudei nei confronti della Chiesa (cf. n. 141), ed è riprova di un ani­
m us d ell’au to re p artico larm en te ostile nei confronti del giudaism o.
153 Nel T ra tta to , è chiaro che la carne sim bolizzata dalla veste è
q uella di Cristo. Ma qui non è facile am m ettere q u esta in te rp re ta ­
zione, in q u an to la carne di cui si tr a tta viene p u rificata dal S alv a­
tore e perciò sem bra dover essere d istin ta d alla carn e del S alvato re
di cui il fram m ento p arla subito dopo, che è fonte essa stessa di p u ­
rificazione: si può pensare alla c h iam a ta dei G iudei, in parallelo
con quella dei pagani rico rd ata su b ito dopo. D’a ltra p arte, il con­
cetto che anche la carne di C risto ab b ia avuto bisogno di u n a p u rifi­
cazione, non è estraneo alla riflessione teologica di questo tem po
(Origene).
I' J In questo fram m ento e nel successivo, Gen. 49,12 viene inter-
Frammenti,26-28 115

26. Gen. 49,12b: Giuda


Intendiam o « e i suoi denti sono più bianchi del
latte » nel senso che le sue parole apportano luce a
quelli che credono per opera sua.

27. Gen. 49,13bc: Zàbulon


Anche queste parole indicano la chiam ata delle
genti pagane, nel senso che la grazia di Cristo si dif­
fonderà su tu tta la terra e il m are. Infatti il testo dice:
« S tarà presso l’ormeggio di navi e si stenderà fino a
Sidone », e che queste parole preannunciano la chia­
m ata delle genti pagane è messo in chiaro nel nostro
Vangelo: « Terra di Zàbulon e terra di Neftali, via del
m are al di là del Giordano, Galilea delle genti paga­
ne l55. Il popolo che giaceva nelle tenebre ha visto una
grande luce, ecc. » (Mt. 4,15-16 = Is. 8,23 - 9,1).
28. Gen. 49,14a: Issacar
Intendiam o queste parole come prefigurazione de­
gli apostoli, poiché abbandonarono il modo di vivere
secondo la Legge (Ef. 7,12), e avendo desiderato il
bene hanno seguito l’insegnam ento del Signore 15é.
p re ta to in riferim ento d iretto a Cristo, m entre nel T ra tta to viene ri­
ferito agli apostoli.
155 A bbiam o già notato (cf. n. 92) che nel T ra tta to , la cui in ter­
pretazio n e coincide con quella del fram m ento, nella citazione di Is.
8,2ss. m anca pro p rio l’espressione « G alilea delle genti pagane »,
che so p ra ttu tto giustificava l’applicazione di quel passo a conforto
della tipologia: Zàbulon = ch iam a ta dei G entili. Nel fram m ento,
non so ltan to q u esta espressione non è om essa, m a è anche rilevato
che nel testo della benedizione il riferim ento alle genti pagane era
p u n tu a liz za to nella m enzione di Sidone, c ittà non giudaica (cf. an ­
che n. 91).
156 II blocco di fram m enti che le Catene dedicano, sotto il nom e
di Ippolito, alla in terpretazione della benedizione di Issacar, in ter­
p re ta q u esto testo in m odo del tu tto diverso rispetto al T rattato :
qui il testo è tu tto riferito a Cristo, invece nei fram m enti è riferito
agli apostoli.
116 Ippolito

29. Gen. 49,14b: Issacar


Quelli 157, osservando i com andam enti senza tra la ­
sciare le prescrizioni della Legge, trovano riposo sia
in queste sia nell'insegnam ento del nostro Signore,
cioè in mezzo alle terre tra tte a sorte, come dice il Si­
gnore: « Non sono venuto ad abolire la Legge o i pro­
feti, bensì per portarli a com pim ento » (Mt. 5,17). E
infatti il nostro Signore nell'osservare i com andam en­
ti non abolisce la Legge e i profeti m a li porta a com­
pim ento, secondo quanto dice nei Vangeli.

30. Gen. 49,14b: Issacar


[Queste parole indicano] coloro che sono stati
messi a parte per lui per partecipare a ll’eredità e al
possesso dei luoghi della terra l58.

31. Gen. 49,15a: Issacar


Cioè, l'insegnam ento del Signore: questo è infatti
il buon riposo, secondo quanto dice anche lui: « Veni­
te a me voi tu tti che siete affaticati e stanchi, ecc. »
(Mt. 11,28).

157 Cioè, gli apostoli (cf. n. 156). Il testo greco p erm e tte anche
una trad u zio n e più generica: « Coloro che osservano i com anda-
m enti... trovano riposo, ecc. »; m a l'a ltra si fa preferire p e r il riscon­
tro con i fram m . 28 e 33 ed anche p er il riscontro con Rufino (11,13),
che qui concorda strettam en te coll’interp retazio n e dei nostri fram ­
m enti. Nel fram m ento che stiam o esam inando va rilev ata l’ad e ren ­
za alla Legge del VT p u r in un au to re che ci è app arso di tendenza
fortem ente an tig iu d aica (cf. n. 152): è u n ’aderenza che va spiegata
in senso antieretico, sta n te il rifiuto del VT da p a rte di G nostici e
M arcioniti.
158 II fram m ento è talm en te breve che non p erm ette di precisare
se coloro di cui qui si p a rla sono ancora gli apostoli — com e sem ­
brerebbe p iù n atu ra le — , ovvero l’espressione debba essere intesa
in senso p iù generico.
Frammenti,32-35 117

32. Gen. 49,15b: Issacar


Questa parola 159 indica la carne del nostro Signo­
re, che è « pingue », cioè splendida: da lei infatti scor­
rono latte e miele (Es. 3,8, ecc.).

33. Gen. 49,15cd: Issacar


Questo hanno fatto gli apostoli. Infatti, avendo ri­
cevuto forza da parte di Dio ed essendosi sottoposti
alla fatica, sono diventati agricoltori del Signore e
hanno lavorato la terra, cioè l’u m anità lé0, per mezzo
del messaggio del nostro Signore.

34. Gen. 49,16: Dan


Assumo questo come prefigurazione del Mali­
gno' 161, poiché questi giudicherà quanti da lui si fanno
ingannare e li accuserà presso il Signore. Infatti, il Si­
gnore è giudice di tu tti (Atti, 10,42), com ’è scritto an ­
che nell 'Apocalissi: « È stato gettato sulla terra il dia­
volo, l'accusatore degli uom ini al cospetto di Dio »
(Ap. 12,10).

35. Gen. 49,17: Dan


Anche il passo: « Sia Dan un serpente sul cammi-

159 Cioè, « la te rra ». Il tem a di C risto te rra prom essa, introdo tto
qui anche d a Rufino (11,13), è m olto antico: si fonda sulla tipologia
d ell’Esodo = liberazione del cristian o attrav erso il B attesim o dal
dom inio del peccato e della m orte, e identifica in C risto stesso la
te rra prom essa agli Israeliti da cui scorrevano latte e miele, al cui
possesso ogni cristiano asp ira com e al fine suprem o della sua voca­
zione.
160 La te rra qui assum e un significato diverso, risp etto a fram .
32. È n orm ale p er gli esegeti di tendenza allegorizzante assum ere
u n a stessa e n tità nom in ata nella S c rittu ra con diversa sim bolizza­
zione in relazione ai vari contesti in te rp re tati.
161 A bbiam o già sottolineato l’an tich ità di q uesta in te rp re taz io ­
ne (cf. n. 96), che l’autore del T ra tta to ha m odificato neH’A nticristo
in forza di suoi specifici interessi in m ateria.
118 Ippolito

no, che sta sulla via » si riferisce al diavolo; e ci viene


indicato che dalla tribù di Dan è nato Giuda il trad ito ­
re del nostro Signore 162: infatti, nascosto in Giuda, il
diavolo ha consegnato il Signore (ai suoi avversari).
« Sul cam m ino » indica che egli si aggirava sul cam ­
mino del Signore, insidiando la via della giustizia
(Mt. 21,32), e proprio il Salvatore dice: « Io sono la via
della vita » (Gv. 14,6). « Sulla via » indica che il d ia­
volo insidia il cam m ino e i passi di colui che ci ha in­
dicato la via della giustizia. « A m ordere il calcagno
del cavallo » è il diavolo, in riferim ento alla venuta
del Signore nella carne. Infatti il Signore ha detto cosi
di Giuda il traditore: « Uno che m angia il pane con
me ha levato contro di me il calcagno » (Gv. 13,18 =
Sai. 40,10)163.

36. Gen. 49,17cd: Dan


Ci viene indicato che il « cavaliere » è il Signo­
re l64; « il calcagno » è detto in riferim ento alla fine

162 II riferim ento a G iuda è anche nel T ra tta to (e in Ambrogio),


m a senza la precisazione che G iuda era della trib ù di Dan. D 'a ltra
p arte q u esta notizia pare peculiare del nostro fram m ento, che sem ­
b ra averla ricav ata au to schediasticam ente dal contesto. Non si può
neppure escludere che egli ab b ia inteso il d ato in senso m etaforico:
spiritu alm en te, G iuda ap p a rtien e alla trib ù del M aligno.
163 Q uesta citazione è assente nel T ra tta to , m entre invece è rie­
cheggiata m olto ch iaram en te da A m brogio (7,32).
164 Rufino (11,16) rifiuta com e incongrua una in terpretazio n e
che assum eva cavaliere e cavallo com e typoi del Signore e della c a r­
ne da lui assunta: se infatti in essa — egli osserva — assùm iam o il
cavallo com e typos di C risto Dio, egli non può essere sta to m orso
dal M aligno; se invece assum iam o in questo senso il cavaliere, q u e­
sti non può essere cad u to a ll’indietro asp ettan d o la salvezza dal S i­
gnore. È ch iaro che l’interp retazio n e confu tata da Rufino non spe­
cificava bene fra cavaliere e cavallo = divinità e u m a n ità di Cristo:
forse si tra tta v a p roprio del testo in cui è sta to tra tto il nostro fram ­
m ento. L ’espressione che vi fa seguito: « fine dei giorni », indica,
com e di consueto, il tem po dell'Incarnazione.
Frammenti,36-39 119

dei giorni; « cadrà » indica la sua m orte, com ’è scritto


nel Vangelo: « Ecco, questi giace per la caduta e la ri­
surrezione di m olti » (Le. 2,34).

37. Gen. 49,19a: Gad


Assumiamo il tentatore nel senso di colui che ten­
de insidie; e nessun altro tese insidie al Signore se non
il popolo giudeo ’65.

38. Gen. 49,19b: Gad


Cioè, li insidierà subito dopo: con queste parole ci
viene indicato il contraccam bio che il Signore darà a
quelli che gli tendono insidie. « Subito dopo » indica
che il Signore farà il giudizio con prontezza (Le. 18,8).

39. Gen. 49,20: Aser


Assumiamo Aser a figura della nostra chiam ata.
Infatti, « pingue » significa splendido; e il pane di chi
è splendido se non il nostro? Infatti il Signore è il no­
stro pane, come egli stesso dice: « Io sono il pane della
vita » (Gv. 6,35) 166. E chi altro darà nutrim ento ai
principi se non il Signore nostro Gesù Cristo? Lo darà
non solo a quelli che credono delle genti pagane, m a
anche 167 a quelli della circoncisione che sono stati an ­

165 A bbiam o no tato (cf. n. 101) che i vari com m entatori h an n o


diversam ente pu n tu alizzato la tentazione su b ita da Gad = Cristo,
potendo scegliere fra i vari episodi evangelici. La b revità del fram ­
m ento non ci p erm ette di individuare a quale di questi episodi
avesse fatto riferim ento il testo da cui esso è sta to tratto , e n epp u re
il successivo ci dà lum i in proposito.
166 II richiam o a C risto pane di vita s'inserisce in un contesto
che è diverso risp etto a quello del T ra tta to . L’au to re del fram m en ­
to, inoltre, p iù a tten to ai d ettagli, non solo ha fatto cenno anche ai
p rincipi, om essi nel T ra tta to , m a h a sen tito anche l’esigenza di
ch iarire il qualificativo « pingue, grasso », che gli è sem brato poco
a d a tto a qualificare un pane p artico la rm en te bello e nutriente.
167 Q uesta concessione a beneficio dei cristiani provenienti dal
120 Ippolito

tesignani della tede, cioè i padri, i patriarchi, i profeti


e tu tti quelli che credono nel suo nome e nella sua
Passione.

40. Gen. 49,21a: Neftali


Anche Neftali viene inteso come prefigurazione di
noi, secondo quanto a tal proposito ci indica il Vange­
lo: « Terra di Zàbulon e terra di Neftali, via del m are
al di là del Giordano. Il popolo che giaceva nell’oscu-
rità ha visto una grande luce, e per quelli che giaceva­
no nelle tenebre è sorta una luce » (Mt. 4,15-16 = Is.
8,23 - 9,1) 168.

41. Gen. 49,21: Neftali


Quale altra luce se non la chiam ata delle genti p a­
gane? Questo è « il fusto di vite »: cioè, innestato sul
legno della croce del Signore l69, porta frutto. « Che
aggiunge anche bellezza ai suoi frutti » ci indica la so­
vrabbondanza della chiam ata.

giudaism o ci richiam a quella pointe an tig iu d aica che abbiam o già


rilevato nei fram m enti (cf. n. 152). A bbiam o qui il rovesciam ento
delle posizioni iniziali n ell’am b ito della Chiesa, che avevano visto i
cristian i di origine giudaica in posizione di rilievo risp etto a quelli
di origine p agana, in forza del progressivo au m en ta re in num ero di
questi cristian i rispetto a quelli.
168 II fram m ento in te rp re ta la benedizione di N eftali com e quel­
la di Z àbulon, in forza del riscontro con lo stesso passo evangelico,
che invece qui il T ra tta to non ripete. Va osservato che nella citazio ­
ne di Mt. 4,15-16 m anca qui l'espressione qualificante: « G alilea
delle genti p agane », che è presente nel fram . 27, relativo alla bene­
dizione di Z àbulon, m entre è assente anche nella interp retazio n e
che di q u ella benedizione dà il T ra tta to : cf. n. 155.
169 Q uesto dettaglio, che non è nel T ra tta to , assum e il fusto di
vite (= stelechos del testo greco) com e p arte della to ta lità della
vite, che è typos di Cristo e qui p iù specificam ente della sua croce. Il
m otivo d ell’innesto fa pensare a Rom . 11,17, p u r in diverso conte­
sto.
Frammenti, 42-44 121

42. Gen. 49,22a: Giuseppe


Quale altro « figlio » assum iam o nella prefigura­
zione se iton il Signore? Egli è diventato grande e fa
diventare grande la nostra chiam ata. Infatti, il passo
ci indica chiaram ente ciò che sarebbe avvenuto in se­
guito l7°.

43. Gen. 49,22b: Giuseppe


Chi altro è stato « oggetto d'invidia » fino al gior­
no d ’oggi 171, se non il Signore nostro Gesù Cristo?

44. Gen. 49,22c-24a: Giuseppe


Chi altro è questo? Come ci è indicato per mezzo
dell’Apostolo: « Il secondo uomo è dal cielo » (1 Cor.
15,47), e nel Vangelo è detto ultim o colui che fa la vo­
lontà del Padre (Mt. 21,31 e 20,16) l72. « Torna a me »,
ci indica l’assunzione in cielo presso il Padre dopo la
Passione l73. Q uanto a « com plottando contro di lui
l’insultavano », chi sono costoro se non il popolo giu­
deo contro il nostro Signore? « E gli tendevano insi­
die »: chi gli tendeva insidie? Quelli che anche oggi

170 Q ueste u ltim e parole, allusive ai fatti dell'Incarnazione, in­


dican o in che senso il Figlio è d iv en tato grande: il concetto va colle­
gato col tem a d eH 'abbassam ento e d ella esaltazione di C risto in Fil.
2,6ss.
171 Per q u esta puntualizzazione su lla p e rd u ra n te o stilità dei
G iudei nei confronti d ella Chiesa, cf. n . 141.
172 Q uesto fram m ento spiega in che senso di C risto sia detto:
« figlio p iù giovane », con in terp retazio n e del tu tto difform e d a
q uella del T ra tta to , m a non m eno forzata: infatti collega l’epiteto
con la successione paolina: Adam o, p rim o uom o - Cristo, secondo
uom o, che poi am plifica definendo C risto u ltim o uom o secondo un a
citazio n e com posita di M atteo, dove però nessuno dei due passi h a
p e r oggetto Cristo.
173 È la stessa interp retazio n e del T ra tta to , m a con m aggiore
precisazione di term in i, com e in Rufino (11,26): infatti il T ra tta to
p a rla so ltan to di richiam o di Gesù dalla te rra al cielo.
122 Ippolito

gliene tendono. Questi sono « i signori dell’arco »:


cioè quelli che credono di poter debellare il Signore.
Ma se anche essi hanno avuto la forza di ucciderlo,
ecco che « i loro archi sono stati spezzati con forza »:
il passo ci indica con evidenza che dopo la R isurrezio­
ne gli archi di costoro sono stati spezzati con forza.

45. Gen. 49,24b: Giuseppe


Quella che sem brava la loro forza si è dissolta p er
opera della potenza del Padre e del Figlio 174.

46. Gen. 49,24c-25a: Giuseppe


Il testo ci indica con evidenza che « l'aiuto » e il
sostegno al Figlio non vennero da altri che dal Padre e
Dio nostro che sta nei cieli. Q uanto a « il mio Dio »,
s’intende che lo Spirito parla per mezzo di Giacob­
be ,75.

47. Gen. 49,25bc-26a: Giuseppe


Questo ci indica che « la benedizione dal cielo » è
lo Spirito che è disceso per mezzo del Logos sulla c a r­
ne 176. « Delle m am m elle e dell’utero » indica le bene-

17J 11 Padre e qui sim boleggiato dal po ten te di Giacobbe.


175 L’au to re di questo fram m ento si è posto la questione d e ri­
van te dalle parole di Giacobbe: « da p a rte del Dio di tuo pad re » e:
« è venuto in tuo aiuto il m io Dio » (cf. η. 117), e l ’h a riso lta in tro d u ­
cendo d irettam e n te lo S p irito S anto (cf. n. 139) a p ronunciare q u e­
ste p aro le invece di Giacobbe, che nel contesto è im p licitam en te as­
sun to com e typos del P adre di Cristo.
176 Se p er carne si deve in tendere quella assu n ta da Cristo, il r i­
ferim ento è al B attesim o di Gesù da p arte del B a ttista. Ma d ato che
nel passo che segue im m ed iatam en te dopo, le benedizioni invocate
d a G iacobbe su G iuseppe da p a rte del pad re e della m adre sono r i­
ferite alla benedizione divina discesa sulla Chiesa p e r opera di C ri­
sto, forse anche qui si può pensare che « carne » indichi generica­
m ente l’u m a n ità e più specificam ente i cristiani.
Frammenti,47-50 123

dizioni della Vergine l7v. « Di tuo padre e di tua m a­


dre » significa questo: la benedizione del Padre è
quella che abbiam o ricevuto sulla Chiesa per opera
del Signore nostro Gesù Cristo ,78.

48. Gen. 49,26b: Giuseppe


« Sulle benedizioni dei m onti saldi » preannuncia
l’altezza e grandezza della benedizione. « Dei colli
eterni », invece, la stabilità e la sicurezza della salvez­
za e il suo perm anere nei secoli l79.

49. Gen. 49,26b: Giuseppe


M enzionando i colli e i m onti, che sono ben visibili
a tu tti, Giacobbe invoca per lui una posizione di piena
evidenza, si che egli diventi insigne più di tutti 18°.

50. Gen. 49,26c: Giuseppe


Anche cosi il testo si riferisce al Signore. Infatti,
dato che altrove dice: « Gesù Cristo è il capo di Giu­
seppe e di tu tti noi » 181, il nostro passo significa che il

177 Qui il testo della benedizione di G iuseppe e in te rp re tato in


m odo co rretto, e non con la vistosa forzatura che abbiam o rilevato
nel T ra tta to (cf. nn. 109,120,121).
178 II fram m ento giu n to a noi spiega soltanto, e concisam ente, la
benedizione del P adre e ha om esso di rip o rta re la spiegazione della
benedizione della m adre. L’estensione della benedizione p atern a
da C risto alla Chiesa è tipica di questo fram m ento, perché il T ra tta ­
to e a ltri com m entari la puntu alizzan o so ltan to in riferim ento a
Cristo.
179 Per salvezza e contin u ità nei secoli, si deve intendere l'effetto
salvifico che la benedizione p a te rn a opera, tram ite la m ediazione
di Cristo, sulla Chiesa, n ell’ordine d ’idee p resen tato a n. 178.
180 Ancora u n a volta il fram m ento p resenta u n ’interpretazio n e
peculiare, in q u an to riferisce il passo sc rittu ristic o a C risto stesso,
m en tre il T ra tta to e altri com m entari qui fanno riferim ento agli
apostoli e ad altre gerarchie.
181 Non conosciam o il testo da cui l’au to re del fram m ento ha
tra tto q u esta citazione.
124 Ippolito

nostro Signore è capo di tutti noi (Et. 4,15).

51. Gen. 49,27: Beniamino


Anche questo passo ci viene spiegato per la grazia
del Signore nostro Gesù Cristo, nel senso che la tribù
di Beniamino, a ll’inizio —' questo significa « al m a tti­
no » — era persecutrice. Infatti, Saul* che era della
tribù di Beniamino, perseguitava Davide, che era fi­
gura del Signore l82.

52. Gen. 49,27: Beniamino


La benedizione ci viene interpretata in riferim ento
all'apostolo Paolo. Infatti, questi, che era della tribù
di Beniamino, inizialm ente perseguitava la Chiesa, e
in un secondo tem po — cioè « a sera » —, vale a dire
alla fine, dà a tutti noi fedeli il nutrim ento spirituale
per il Signore con la grazia del Signore nostro Gesù
Cristo.

,B’ L’au to re del fram m ento integra l’interp retazio n e trad izio n a­
le della benedizione di B eniam ino in riferim ento a Paolo (cf. n. 128)
col rich iam o al re Saul, a n c h ’egli ben iam in ita, in q u an to persecu to ­
re di Davide, altro tradizionale typos di Cristo. L’accostam ento sarà
sta to p er certo suggerito anche d a ll'id e n tità del nom e del re perse­
cuto re col p rim o nom e di Paolo, che e ra ap p u n to Saul(o).
INDICI
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI

Abramo: 109 Beniamino 103s., 124; fi­


Adamo: maledizione di A. gura di Paolo 103, 124; di
57; A. e Cristo 92. Saul 124; significa « figlio
Amorrei: 78 del mio dolore » 103
Anticristo: simboleggiato da
Dan 91 Cam: maledetto da Noè 55
Apostoli: 49; santificati dal Cananei: 77
Logos 8 8 ; messi alla pro­ Capretto: figura del peccato­
va dall’Anticristo 92; sim­ re 55, 57, 107; i due ca­
boleggiati da Aser 94; da pretti simboleggiano le
Issacar 115, 117; dalle 12 due chiamate 54
tribù 71; dai fratelli di Cavaliere (ben. di Dan): figu­
Giuda 83; dai denti di ra di Cristo 92, 118
Giuda (= Cristo) 88 Cavallo (ben. di Dan): figura
Aratro: figura della croce 90 di Adamo e di Giuda tra­
Aronne; 83 ditore 91s.; di Cristo nella
Aser: benedizione di Aser 94, carne 118
119s.; figura del Salvatore Carne: la carne di Cristo
o degli apostoli 94; figura simboleggiata dalla terra
della nostra chiamata 119 promessa 61, 117; i Giu­
dei fratelli di Cristo secon­
Balla: 73 do la carne 102; Cristo be­
Battesimo: 96; di Cristo 87 nedetto da Dio secondo lo
Benedizioni (vedi Giacobbe, spirito e la carne 82; Cri­
Isacco): benedizione del sto generato secondo lo
Padre a Cristo 63s., 99, spirito e la carne 84, lOOs.
1 2 2 s.; rapporto fra bene­ Chiamata (vedi popoli):
dizione e profezia 72; be­ chiamata di Giudei e cri­
nedizione sulla Chiesa stiani 71; le due chiamate
123 di Giudei e Gentili cristia­
Beniamino: benedizione di ni 54,87,113
128 Indice dei nomi e delle cose notevoli

Chiesa: perseguitata 56,109; Cristo 8 8 ; Cristo e la Chie­


da Paolo 103,124; benedi­ sa 91; Cristo e Adamo 92;
zione sulla Chiesa 123; la mette alla prova i Giudei
Chiesa simboleggiata da che lo tentano 93; pane
Rebecca 54, 56; dall’or- del cielo 94; si è incarnato
meggio delle navi 89; la nella vecchiezza del mon­
Chiesa e Cristo 91 do 97; coesiste con Dio
Cristiani (vedi chiamata): prima dei tempi 98; bene­
54, 55, 60, 71; fratelli di dizioni su Cristo 99,122s.;
Cristo 102; acquistano la Signore di angeli e uomini
bellezza del Logos 95; 99; capo dei santi 102;
simboleggiati da Neftali della Chiesa 123; i cristia­
in quanto chiamati a li­ ni fratelli di Cristo 102; re­
bertà 95,120 spinge i Giudei 102; viene
Cristo (vedi Logos, Figlio, fi­ nella carne per liberare
gure cristologiche): disce­ l’uomo 107; respinto dai
so da Giacobbe 52; da Giudei, va ai pagani 108;
Giuda e Davide 81; da la sua grazia si diffonde su
Giuda e Levi 72,82; sacer­ tutta la terra 115; regnerà
dote del Padre 73; re e sa­ in fine coi santi 106
cerdote 82; fede in Cristo Croce: simboleggiata dallo
55 (vedi fede); Cristo cro­ aratro 90; dalla vite di
cifisso 56, 90; significato Neftali 120
della passione 56; carne di
Cristo: vedi carne; bene­ Dan: benedizione di Dan
detto dal Padre secondo lo 91s., 117ss.; figura dello
spirito e la carne 63s., 82; Anticristo 91; del diavolo
in lui abita la pienezza 117
della divinità 6 6 ; misteri Davide: 81, 85; figura di Cri­
di Cristo 69; vince le po­ sto 124
tenze avverse 84; vince i Denti: di Giuda (= Cristo) fi­
suoi nemici secondo la gura degli apostoli o dei
carne (= Giudei) 84, con comandamenti 8 8
la risurrezione 98; nascita Diavolo: simboleggiato da
di Cristo secondo la carne Esali 105,108; da Dan 117
e lo spirito 84; risuscitato Dina: 77
dal Padre 85; risuscita se Dio: 98, 106; aiuta il Figlio
stesso 112; Cristo, attesa 99
dei pagani 8 6 ; porta a
compimento la Legge e i Efraim: 70; figura dei cri­
profeti 86,116; morte e ri­ stiani 71
surrezione 85; Battesimo Egitto: 51, 60
87; i profeti occhi di Cristo Elia: 90 (trasfigurazione)
8 8 ; gli apostoli denti di Emor: 77
Indice del nomi e delle cose notevoli 129

Esaù: figura dei Giudei 52, tentato dai Giudei 92, 119
53, 54, 62, 64, 67, 105; del Gesù: 79; simboleggiato da
peccatore 56, 58; del dia­ Giosuè 58
volo 105; veste di Esau fi­ Giacobbe: 51, 52, 54, 55; be­
gura delle Scritture degli nedizione di Isacco a Gia­
Ebrei 107 cobbe 51 ss.; benedizione
di Giacobbe a Efraim e
Faraone: 51 Manasse 69ss.; ai figli
Fede: in Cristo 55, 89; fede e 72ss., 108ss.; la benedizio­
libertà 95; mancanza di ne d’Isacco si è realizzata
fede 106 non in Giacobbe ma in
Ferezei: 77 Cristo 59, 60, 62, 63; Gia­
Figlio: detto sempre del Cri­ cobbe figura di Cristo 52-
sto incarnato 59, 85, 97, 69, 80, 105-108; figura del
122; il F. è nel Padre e il Padre 109; figura del po­
Padre nel F. 112 polo cristiano 64,105; let­
Figura (= simbolo, typos): fi­ to di G. figura della Chie­
gure cristologiche: vedi sa 109; della carne di Cri­
Aser; cavallo e cavaliere; sto 76
Davide; Giona; Giosuè; Giona: figura di Cristo 85
Giuseppe; Giuda; Giacob­ Giordano: 87
be; letto (di Giacobbe); Giosuè: 57; figura di Cristo
Gad; Issacar; Isacco; leon­ 58
cello; pane; terra; veste Giuda (patriarca): benedi­
(di Giuda); vite; altre figu­ zione di G. 80ss., lllss.;
re: vedi Aser; asina e asi­ da lui discende Cristo 81;
nelio; aratro; Beniamino; non è mancato il principe
capretto; cavallo e cava­ da Giuda fino a Cristo 8 6 ,
liere; Dan; Esaù; Efraim; 113; Giuda figura di Cri­
fratelli (di Giuseppe); gra­ sto 81ss., 11 lss.; figura di
no; Giacobbe; letto di Gia­ Giuda traditore 50
cobbe; Giuda; Isacco; leo­ Giuda (traditore): originario
ne; Levi; Manasse; Nefta­ di Dan 118; G. e il diavolo
li; nave; Mesopotamia; 118; e l'Anticristo 92
pelle; pecora; Rebecca; Giudei (vedi Esaù, Legge):
Ruben; Simeone; vino; chiamati dal Logos 53;
veste (di Esau); sottove­ loro prevaricazioni 53,
ste; Zàbulon 62s., 73, 109, 119, 121;
Fratelli: di Giuseppe simbo­ pentiti di aver ucciso Cri­
lo dei cristiani 102 sto 76; profezia di Isacco
sui Giudei 6 8 ; simboleg­
Gabaoniti: 58 giati da Ruben 75; oltrag­
Gad: benedizione di Gad giano la Legge 76; mal­
92s., 119; figura di Cristo trattano e uccidono il Lo-
130 Indice dei nomi e delle cose notevoli

gos 76, 121; loro punizio­ Leone: figura del Padre 84


ne 80,99; sono dispersi fra Letto (vedi Giacobbe)
i Gentili 111; fratelli di Levi: benedizione di L. 77ss.,
Cristo secondo la carne 109ss.; figura dei sacerdo­
1 0 2 ; si convertiranno in ti che uccidono i profeti e
fine 1 1 2 ; cristiani di origi­ Cristo 78s., 83,109; Cristo
ne giudaica 54, 87 disceso da Levi 73, 82;
Giuseppe (padre di Cristo): Levi non è benedetto da
49 Giacobbe ma da Mosè
Giuseppe (patriarca): visioni 82s.
48ss.; benedizione di G. Libertà: e fede 95
97ss., 121ss.; figura di Cri­ Logos (vedi Cristo): nascosto
sto 49, 50, 51, 73, 97ss., nella Legge 48; manifesta­
121ss.; fratelli di Giusep­ to sulla croce 48; interpre­
pe figura degli apostoli te dei misteri del Padre
49; figli di Giuseppe 69 50; chiama i Giudei 53;
Grano: figura dei santi 61 realizza le figure dell’AT
Grazia: di Cristo 115 55; il Logos e i due Testa­
menti 1 0 0 ; ubbidiente al
Isacco: figura del Padre 57, Padre 57; voce dei profeti
59, 64, 105; figura del Lo­ 58; incarnato e crocifisso
gos 67; benedizione di 57,61,66,76; si è addossa­
Isacco a Giacobbe 51ss., to i peccati degli uomini
105 ss.; predizione a Esaù 58; sua signoria 61, 62; ir­
(= Giudei) 6 8 riconoscibile nella incar­
Ismaeliti: 51 nazione 65; padre dei cri­
Israele (= Giacobbe): 80; si­ stiani 65s.; è venuto ad
gnifica « uomo che vede annunziare il regno 6 6 ;
Dio » 111 ; figli di Israele punisce i Giudei 98; santi­
51,52 fica gli apostoli 8 8 ; bene­
Issacar: benedizione di Issa­ detto dal Padre 65; gene­
car 90s., 115ss.; figura di rato dal cuore del Padre
Cristo 90; degli apostoli 100, 102; generato da Ma­
115 ria 1 0 0 , 1 0 1 , 1 0 2 ; generato
secondo la carne e lo Spi­
Jesse: 85 rito 1 0 1 ; le due sostanze
del Logos 102; glorifica­
Labano: 60, 108 zione del Logos 102
Legge (vedi Giudei): 48, 56,
62,69,71,75,76; accetta a Maledizione: di Adamo 56,
Dio 106; realizzata da Cri­ 57
sto 86,116 Maligno (vedi diavolo)
Leoncello: figura di Cristo Manasse: 70; figura dei Giu­
84 dei 71
Indice dei nomi e delle cose notevoli 131

Maria (madre di Cristo; vedi Pelli: figura dei peccati 57,


Vergine): 85, 100, 112 107
Mesopotamia: 60; figura dei Popoli: i due popoli 107; vedi
pagani 108 chiamata
Misteri: del Padre 50; di Cri­ Potenze: avverse vinte da
sto 69, 96; nella Scrittura Cristo 84
71 Profeti: 50,51, 57,58; profeti
Mondo: invecchiato e avvia­ e Cristo 90; uccisi dai Giu­
to a perdizione 97, 106 dei 79, 110; realizzati da
Morte: duplice modo di mo­ Cristo 8 6 , 116; il profeta
rire 94 parla sempre del futuro
Mosè: 66,75,83,90 (trasfigu­ 74
razione) Profezia: 52; rapporto fra be­
nedizione e profezia 72,73
Nave: figura della Chiesa 89 Proseliti: 63
Neftali: benedizione di N.
85s., 120; figura del popo­ Rachele: 103
lo cristiano 95, 120 Rebecca: figura della Chiesa
Noè: 55 54, 56; dello Spirito Santo
105, 107; della paziènza
Occhi: di Cristo sono i profe­ 108
ti 8 8 Regno: di Cristo 107; finale
Ormeggio: di navi figura dei santi 106
della Chiesa 89 Ruben: benedizione di R.
73ss., 108s; su di lui Gia­
Padre (vedi Giacobbe, Isac­ cobbe non diresse la bene­
co): 57, 59, 64, 97, 101, dizione ma la profezia
109, 111; il P. e il Figlio 73s.; alcuni attribuiscono
1 1 2 , 1 2 2 s. la benedizione di Ruben
Pagani (vedi chiamata): en­ al Salvatore 74; figura dei
trano nella promessa sop­ Giudei 75, 108s.
piantando i Giudei 64;
simboleggiati da Zàbulon Sacerdoti: 76; mettono a
89; dalla sottoveste di prova Cristo che a sua vol­
Giuda (= Cristo) 87 ta li mette alla prova 93;
Pane: figura di Cristo 94,119 simboleggiati da Levi in
Paolo: profetato da Giacob­ quanto uccisori dei profe­
be 71; simboleggiato da ti e di Cristo 78, 109s.
Beniamino 103, 124; per­ Salvatore (vedi Cristo): 8 6 ,
seguita la Chiesa 103; pre­ 87, 90, 92, 95, 102, 107,
dica ai pagani 104 119
Pasqua: 6 6 Salvezza: daH’errore 106
Pecora: figura dei cristiani Sansone: 91
55 Santi: simboleggiati dal gra-
132 Indice dei nomi e delle cose notevoli

no 61 ; Cristo capo dei san­ Terra: figura di Cristo 61,79,


ti 1 0 2 ; regno finale dei 110, 117
santi 106 Testamenti: Cristo e i due
Sapienza: Cristo 47 Testamenti 100
Saul: 124 Tribù: alternanza fra 12 e 13
Scribi: 76; vedi sacerdoti; tribù 71
simboleggiati da Simeone Typos (vedi figura)
Scrittura: 49, 50; misteri
della S. 71; interpretazio­ Utero: del Padre figura della
ne della Scrittura 53; veri­ generazione del Logos 100
dicità 72; deficienza del
senso letterale 59s., 77; in­ Uva: grappolo d'uva figura
terpretazioni alternative di Cristo 87, 114
per un solo passo della S.
8 8 , 94; la veste di Esaù fi­
Vangelo: 54, 55, 78, 8 6
gura della S. 107 Vergine (vedi Logos, Maria):
Sichem: 77, 78 59, 61; benedizione della
Sichemiti: 77 V. 123; madre del Figlio di
Signore: 8 8 , 99, 112; vedi Dio 97
Cristo Veste: di Esaù simbolo della
Simbolo (vedi figura) Scrittura 107; veste di
Simeone: benedizione di S. Giuda simbolo della car­
77ss., 109ss.; figura degli ne di Cristo 114
scribi uccisori dei profeti Vino: figura dello Spirito
e di Cristo 78s., 109 Santo 61, 95
Sottoveste: del Logos figura Vite: figura di Cristo 95,113;
dei pagani 87 della croce 1 2 0
Spirito: divinità di Cristo 82,
84,101 Zàbulon: benedizione di Z.
Spirito Santo: 79, 8 8 , 112; 89, 115; figura dei cristia­
simboleggiato dal vino ni di origine pagana 89,
61, 95; da Rebecca 105 115
INDICE SCRITTURISTICO

Antico 27,41: 52, 108 46, 29: 49


Testamento 27, 42ss.: 108 48, 5-6: 71
28, 18-19: 57 48, 7: 49
Genesi 31,8: 60 48,8.16: 70
32, 7-8: 62 48, 18-20: 71
3, 19: 57 33,3.8.10: 60, 62 48, 22: 78
8,21: 55 34: 77 49, 1-2: 72, 74
9, 22.25: 55 34.30-31: 78 49, 3-4: 73,81, 108
13,15:109 35, 18: 103 49,5-7:77,81, 109,
25, 23: 107 35, 19: 49 110, 111
25, 26: 64 35, 22: 73 49, 6 : 52
27, 1-4: 53 37, 3-4: 49, 97 49, 8-12: 81, 111-
27, 6-10: 53 37, 7: 48 115
27,9: 107 37, 9: 49 49, 13: 89,115
27, 11-12: 55 37, 10: 49 49, 14-15: 90, 115,
27,13: 56 37,13: 49 117
27, 15-16: 57 37, 19-20: 48 49, 16-18: 91, 117,
27, 18-19: 57 37, 26:50 118
27, 19: 57, 59,63 37,27-28: 51 49, 19: 92, 119
27, 20: 107 37.31-32: 50 49, 20: 94,119
27, 21-22: 58 37, 33: 50 49,21:95, 120
27, 26-27: 59 39, 20: 51 49, 22-26: 96, 121-
27, 27-29: 52, 59, 40, 12-14: 51 123
63,107 40, 18-20: 51 49,27: 103, 124.
27, 30-31:62, 63 41,14: 51 49, 28: 72
27, 32-33: 63 41, 25ss.: 51
27, 34-35: 65 41,41: 50
27,36-41:65,66 41,43: 51 Esodo
27, 37: 67 42,6: 51,60
27, 38: 67 42, 23: 50 3,8: 117
27, 39-40: 6 8 46, 3ss.: 60 33, 5: 76, 79
134 Indice scritturistico

Deuteronomio 11, 1: 85, 112 20, 16: 121


33, 11: 98 21, 2.7ss.: 87
32, 6: 66 43, 1: 99 21, 23-27: 93
33,8-11: 83 49, 5: 101 21, 31: 121
33, 29: 53 49, 18: 87 21, 32: 118
53, 4-5: 57 22, 17ss.: 93
54, 4: 99 25, 32: 54
Giosuè 65, 13-14: 62 26, 4: 78, 93
65, 15-16: 62 26, 67: 76
9, 3-27: 58 27, 12ss.: 79
27, 26.30.34: 76
Geremia 27, 35: 76
Giudici
1, 5: 82, 101
16,31:91 Marco
Ezechiele 14, 56: 98
1 Samuele
12, 7: 57
8, 9-20: 53 Luca
Malachia 1, 5: 8 6
Salmi 2, 4: 85
4, 2 (3, 20) : 95 2, 34: 119
2 , 2 : 1 10 3, 1: 8 6
3,6: 85 11, 27: 100
40,10:118 Nuovo 18, 8 : 119
44,2: 101 Testamento 23, 34: 67
44, 3: 96
103, 15: 87 Matteo
109,1: 111 Giovanni
3, 13-17: 87
Cantico dei Cantici 4, lss.: 93 2, 19-21: 85
4, 15-16: 89, 115, 4, 32.34: 53, 55
1, 2 : 1 0 0 120 5, 22: 84
5, 15: 48 6 , 35: 119
5, 17: 116 6,48-49,51:63,94
Isaia 9, 6 : 90 8 , 6 : 93
9, 17: 61 8 , 24: 93, 102
1 , 2 : 1 12 1 1 , 28: 116 8,51:94
3, 9-10: 79 12, 48: 102 13,18: 118
7, 16: 90 13, 13: 61 14, 6 : 118
8 , 23-9, 1: 89, 115, 15, 24: 54 14,11: 112
120 17, 3: 90 15, 1: 113
Indice scritturistico 135

19, 34: 87 2 Corinti Colossesi


20, 17: 83
2, 15-16: 61 1 , 18: 102
Atti 2, 9: 6 6
2, 14: 107
2, 24: 8 6 2, 15: 84
2, 37-39: 67 Galati 2, 18: 99
4, 26: 110
5, 31: 79 1, 1: 86
7, 51: 80 1, 13: 103 1 Timoteo
3, 13: 56
Romani 3, 16: 109 3, 16: 61
5, 12ss.; 92
7, 6 : 114 1 Giovanni
8 , 6 : 56 Efesini
8 , 17: 83, 102 1, 10-11: 97
4, 15: 124 2, 17: 51,79
1 Corinti 7, 12: 115
1, 24: 47 Apocalisse
3, 2: 8 8
15, 9-10: 103 Filippesi 1, 5: 49
15, 27: 99 3, 14: 49
15,47 : 121 2, 9-11: 99 5, 5 : 84
INDICE GENERALE

Introduzione ............................................. pag.5


1. Ip p o lito .............................................. »5
2. Genesi 49 e la sua interpretazio­
ne dal II al V secolo . . . . » 18
3. « Le benedizioni di Giacobbe » di
Ip p o lito .............................................. »30
4. Nota al testo di « Le benedizioni
di G i a c o b b e ..................................... »4 2
Le benedizioni di Giacobbe . . . . » 45

P r e f a z io n e ................................................... »4 7
Visione di G iu sep p e ..................................... »48
Le benedizioni di I s a c c o ............................ »51
Le benedizioni di Giacobbe . . . . » 69
I figli di Giuseppe: Efraim e Manas­
se, 69-1 dodici figli di Giacobbe, 72
- Ruben, 73 - Simeone e Levi, 77 -
Giuda, 80 - Zàbulon, 89 - Issacar, 90
- Dan, 91 - Gad, 92 - Aser, 94 - Net­
tali, 95 - Giuseppe, 96 - Beniamino,
103
Frammenti di Ippolito su Genesi 27 e 49 » 105
Indice dei nomi e delle cose notevoli . » 127
Indice s c rittu ris tic o ............................ » 133

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