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SANCTI AMBROSII EPISCOPI MEDIOLANENSIS

OPERA
18

ORATIONES FVNEBRES

recensuit Otto Faller

Mediolani Romae
Bibliotheca Ambrosiana Città N uova Editrice
M CM LXXXV
SANTAMBROGIO

Discorsi e Lettere /I
LE ORAZIONI FUNEBRI

introduzione, traduzione, note e indici


di
Gabriele Banterle

M ilano Roma
Biblioteca Ambrosiana Città N uova Editrice
1985
Questo volume è pubblicato con il contributo della Fondazione
S. Ambrogio per la Cultura Cristiana, sostenuta dal Dr. Ing. Aldo Bonacossa

© Biblioteca Ambrosiana, P.za Pio X I, 2 - 20123 Milano


Città Nuova Editrice, via degli Scipioni 265 - 00192 Roma
ISBN 88-311-9164-0
INTRODUZIONE

Le orazioni fu n eb ri di sa n t’Am brogio, nonostante la persisten­


za di vari asp etti teologico-pastorali com uni a gran parte delle sue
opere, presentano, co m ’è com prensibile, particolari caratteristiche
che conferiscono loro u n ’im portanza e u n significato che le distin­
guono tra tu tti gli scritti del Santo.
Esse, in fa tti, non solo costituiscono un docum ento di prim a
m ano p er la ricostruzione storica di avvenim enti dei quali il V e­
scovo m ilanese fu testim o ne validissim o o, addirittura, protago­
nista, ma, so p ra ttu tto , ci p erm etto n o di sondarne, attraverso la
sincerità della com m ozione, i sen tim en ti p iù riposti, e di com pren­
derne in m odo p iù autentico la psicologia che gli altri scritti ci
rivelano solo occasionalm ente.
Certo, le situazioni, che le orazioni rispecchiano, sono diverse.
Il p rim o dei due discorsi (o « libri ») dedicati al fratello è una
rievocazione che solo di rado esorbita dall’am bito degli affetti
fam iliari, attraverso i quali gli stessi avvenim enti esteriori ven­
gono interpretati; invece quello per Valentiniano II, benché per­
vaso da u n ’em ozione profonda p e r la tragica m o rte del giovane
im peratore, nello stesso tem po ci illum ina con chiarezza sulle cir­
costanze storiche e allude in m odo sufficientem ente scoperto alle
responsabilità del crim ine; infine il discorso p er Teodosio, più bre­
ve degli altri contrariam ente a quanto ci sarem m o aspettati, con­
siste essenzialm ente nell'esaltazione dell’ideale d ’un im peratore
cristiano.
Da q u esti cenni si può com prendere quali siano la natura e
l’interesse degli scritti co n tenuti in questo volum e e quale quadro
ci offrano, nel loro com plesso, di u n ’epoca cosi torm entata e tu ­
m ultuosa. Di ciascuno d i essi si dirà ora partitam ente.

De excessu fratris

S a n t’A m brogio dedica alla m em oria del fratello due discorsi,


che costituiscono u n ’unica opera, uno il giorno stesso della m orte,
il secondo nel settim o giorno successivo *. Q uesti sono i soli dati

1 Cf. De exc. ir., II, 2: E rgo quia dudum dies m o rtis in ter lacrim abiles
aspectus debu it anim um inclinare fraternum , qui totu m tenebat, nunc, quo­
niam die septim o ad sepulcrum redimus...
10 INTRODUZIONE

cronologici veram ente sicuri; la cronologia delle altre vicende della


sua vita dipende dalla ricostruzione degli storici ed è quindi fr u tto
di ipotesi p iù o m eno plausibili.
Va rilevato, a nzitutto, che l’unica fo n te che parli di Satiro
sono i no stri due discorsi; anche lo stesso Paolino, segretario e
biografo d i Am brogio, m antiene sul fratello del Santo u n assoluto
silenzio. Da tali discorsi apprendiam o che Satiro era p iù giovane
di M arcellina, m a p iù anziano di A m b ro g io 2, che aveva esercitato
con successo l'a vvo ca tu ra3 ed era stato governatore di una pro­
v in c ia 4, che, dopo l’elezione episcopale del fratello, lo aveva rag­
giunto a Milano, dove si era occupato specialm ente dell’am m ini­
strazione dei beni c o m u n i5; da ultim o, che verso la fine della vita
aveva co m piuto un viaggio nell’A frica settentrionale p er ottenere
da un tale Prospero la restituzione di una som m a dovutagli e frau-
d olentem ente tr a tte n u ta 6 e, al ritorno, dopo un viaggio ricco di
p e rip e zie7, si era am m alato ed era m o r to 8. Le stesse circostanze
del suo b a tte s im o 9 non sono definitivam ente chiarite, perché in
rapporto con un naufragio 10 che sem bra distin to da quello che lo
avrebbe colto al ritorno dall’Africa u .
N el testo del p rim o discorso non m ancano alcuni riferim en ­
ti alla m inaccia di u n ’invasione barbarica12 e si fa anche un nom e
che, appartenendo ad un illustre personaggio con il quale il de­
fu n to si era incontrato, sem brerebbe tale da consentire una deter­
m inazione cronologica abbastanza esatta. In realtà, se il prim o
accenno si riferisce alla ribellione dei Quadi e dei Sarm ati, com e
vogliono il P a la n q u e13 e il D u d d e n 14, siam o nell’anno 374-375 (Amm.,
X X IX , 6); se invece si m e tte in rapporto con l’invasione dei Goti,
guidati da Fritigerno, com e credono il F a ller15 e il P a re d i16, siam o
verso la fine dell’autunno del 377. Anche il Sim m aco, di cui si
parla com e viven te a I, 32, per i p rim i sarebbe L. Avianio S im m a ­
co, m o rto nel 376 17, p er i secondi dovrebbe essere identificato col

2 Cf. ibid., I, 54: Quis igitur non m iretu r uirum inter fratres duos, alte­
ram uirginem, alterum sacerdotem , aetate m edium...
3 Cf. ibid., I, 49: N am quid spectatam stipen diis forensibus eius facun­
diam loquar? Quam incredibili adm iratione in auditorio praefecturae subli­
m is em icuit. Vedi ibid., trad., nota 1.
4 Cf. ibid., I, 25.58 e relative note alla traduzione.
5 Cf. ibid., I, 20.40.62.
6 Cf. ibid., I, 24.
7 Cf. ibid., I, 17.26.50.
8 Cf. ibid., I, 27.
9 Cf. ibid., I, 48.
10 Cf. ibid., I, 43-44. Vedi nota 67 al par. 43.
11 Cf. ibid., I, 27.50. Vedi nota precedente.
12 Cf. ibid., I, 30-32.
13 J ean -R é m i P a la nq ue , Saint A m broise et l'E m pire rom ain, De Boccard,
Paris 1933, pp. 488-489.
14 F . H o m e s D u d d e n , The Life and Tim es of S t. A m brose, Clarendon Press,
Oxford 1935, I, p. 176, nota 2.
is S a n c t i A m b r o s ii Opera, ree. O. F aller S. I., CSEL LXXIII, pars VII,
Vindobonae MCMLV, Introd., pp. 86-87.
i6 A. P aredi, S. Am brogio e la sua età, Hoepli, Milano I9602, p. 239.
i? P alanque , op. cit., p p . 489-490; D u d d e n , op. cit., p . 177.
INTRODUZIONE 11

figlio Q. Aurelio Sim m aco, il fam oso oratore avversario di A m ­


brogio nella controversia p er l'altare della V ittoria nel senato
rom ano 18.
Di conseguenza, p er i p rim i il ritorno di Satiro a M ilano sa­
rebbe avvenuto nel gennaio del 375 19 e la m o rte nel febbraio suc­
cessivo; p er i secondi, rispettivam ente alla fine del gennaio del
378 e p rim a della fine del m ese se g u e n te 20. C om e si vede, è que­
stione di probabilità, non di certezza.
P ersonalm ente propendo p er la data del 378, oltre che per le
convincenti argom entazioni del Faller, anche perché da tu tto il
p rim o discorso si ricava chiaram ente l'im pressione che Satiro
sia rim asto accanto al fratello, divenuto vescovo dì M ilano nel
374, p er u n periodo non troppo breve, probabilm ente p er alcuni
anni, m entre, s'egli fo sse m o rto nel 375, ciò non sarebbe stato pos­
sìbile. In o ltre a I, 48 si dice che, ricevendo il battesim o, gratiam
et accepit d esid eratam et seru au it acceptam . Ora, l’essere rim asto
in grazia co stitu ireb b e un m otivo d ’elogio solo nel caso che il
fa tto riguardi, se non proprio un'intera vita, alm eno uno spazio di
tem po non trascurabile. È ben vero che ignoriam o quando Satiro
abbia ricevuto il battesim o, perché, com e s'è detto, non sappiam o
esattam ente con quale dei naufragi sofferti dobbiam o m etterlo in
rapporto; tuttavia, anche questa considerazione sarebbe p iu tto sto
a favore del 378 che del 375.
Per altre notizie, rinvio, p e r esem pio, all’utile articolo del
Palestra, pubblicato in occasione del X V I centenario della consa­
crazione episcopale di sa n t’A m b ro g io 21.
L'opera com prende, com e s'è detto, due discorsi o libri, che
presentano ciascuno un carattere m o lto diverso. I l p rim o è il vero
e proprio discorso com m em orativo — diciam o cosi — p er la m or­
te del fratello; il secondo è p iu tto sto un trattato sulla risurrezio­
ne. Q uesta differenza risulta anche dal m odo con cui, riferendosi
al contenuto n, A m brogio cita il proprio scritto: E t de re su rrec tio ­
ne quidem p lu rim a scrip tu ra ru m su n t testim onia, q u ae n o n p ra e ­
term isim us in libris Consolationis et R esu rre c tio n is23.
A questo p u n to si presenta un problem a che forse attualm en­
te non rivestirebbe u n ’eccessiva im portanza, se non coinvolgesse,
indirettam ente, la form azione culturale d ’Am brogio, d irettam en­
te, la questione delle sue fonti. A quale genere letterario appar­
tiene il De excessu fratris?

18 F aller , ed. cit., In trod., pp. 87-88; P aredi, op. cit., p. 235.
» P ala nque , op. cit., p. 492; D u d d e n , op. cit., p. 177.
20 F aller , ed. cit., In trod., p. 87 (vedi nelle pp. precedenti lo sviluppo
dell’argomentazione), P aredi, op. cit., p. 237.
21 A. P alestra , N ote al libro prim o « De excessu fra tris » d i S an t’A m bro­
gio, in « Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana », IV, Archivio ambro­
siano, XXVII, Milano MCMLXXIV, pp. 25-52. A p. 39, però, è inesatta la tra­
duzione del passo del par. 44 citato in nota.
22 F aller, e d . c it ., In trod., p . 89.
23 Expl. ps. I, 51; cf. Avg. De pecc. orig., 41, 47, CSEL XLII, 205, 12:
...in opere quod scrip sit de resurrectione sanctus Am brosius.
12 INTRODUZIONE

I l R o z y n s k i24 ha considerato il p rim o discorso un λόγος· παρα­


μ υ θ η τικ ό ς , cioè una « consolatio », secondo la divisione del reto­
re greco M enandro di Laodicea, vissuto nel I I I secolo d.C .25. In o l­
tre ha riconosciuto in esso uno schem a analogo a quello della
C onsolatio ad M arciam di Seneca. Col R o zyn ski polem izza l’Al-
b e r s 26, che pensa p iu tto sto ad una μονψδία, cioè ad una « lauda­
tio », sem pre secondo gli insegnam enti di M enandro. Più guardin­
go, il C a rpaneto27 ritiene eccessivo risalire a schem i retorici trop­
po vincolanti, com e fanno invece i due autori precedentem ente
citati, so p ra ttu tto il prim o.
Converrà dunque esam inare b revem ente i m o tivi principali
svilupp a ti da A m brogio nel p rim o discorso De excessu fratris. A
parte qualche ripetizione e qualche « excursus » 28, consueti, del
resto, nelle sue opere, i concetti fondam entali possono essere iden­
tificati cosi: ragioni che giustificano il dolore per la m o rte di
Satiro; do ti e virtù del defunto; m o tivi di consolazione; desiderio
di raggiungerlo al p iù p resto in cielo. Tali m o tivi sono poi elabo­
rati, non senza u n ’evidente analogia con le do ttrin e stoiche assor­
bite principalm ente attraverso le opere di Cicerone e di Seneca,
com e dim ostrano i nu m erosi passi paralleli riportati, sulla scorta
del Faller, nelle note alla traduzione. N o n m ancano alcuni richia­
m i al Περί επιδεικτικώ ν del già citato M enandro, che tuttavia non
sem brano, com plessivam ente, determ inanti. T u tto som m ato, tenu­
to conto che i passi paralleli di Seneca appartengono tu tti alle
tre Consolationes, certo non ignote ad Am brogio; che inoltre nel
suo discorso egli dichiara apertam ente di essersi assunto il com ­
p ito di « consolare » 29, riterrei che il m odello, cui, più o m eno deli­
beratam ente, egli ha inteso uniform arsi, p otrebbe essere proprio
quello della « consolatio », che nella letteratura latina proponeva
num erosi ed illustri precedenti. N on c'è bisogno, d ’altra parte, di
aggiungere che i m o tivi — tradizionali in tale circostanza — accol­
ti da A m brogio nel suo discorso sono sostanzialm ente m otivi
« um ani », cioè senza specifica parentela col paganesim o, adatti
quindi ad una spontanea e convincente interpretazione cristiana.
Scrive il Favez.: « J ’ai dit... q u ’A m broise a fa it oeuvre nouvel-
le et j ’espère l'avoir prouvé. Placé en face d ’une très ancienne

24 F . R o z y n s k i , Die Leichenreden des hi. Am brosius, insbesondere auf ihr


V erhàltnis zur antiken R hetorik und den antiken T rostschriften untersucht,
Breslau 1910, pp. 18, 67, 70.
25 A . L e sk y , Storia, della letteratu ra greca, trad. it., Il Saggiatore, Milano
1962, III, pp. 1039 e 1093.
μ S. A m b r o s ii M ed io l a n e n sis E p isc o p i De o bitu S atyri fra tris Laudatio
funebris, denuo edidit..., D. Dr. P a u l u s B r u n o A lbers , Bonnae MCMXXI,
p. 7: « Ambrosius orationem hanc seu laudationem in fratris defuncti m e­
moriam ad rhetorum praecepta com posuisse nemo negare poterit »; p. 8:
« Nonne ergo oratio nostra ad genus μονωδίας pertinere uidetur? ».
27 G . M . C arpaneto , Le opere oratorie d i S. A m brogio, estr. da « Didaska-
leion », 1930, fase. I, pp. 59-61.
28 Per es., parr. 12-13.
29 Cf. De exc. fr., I, 14: Sed consolandi hodie, non tractandi partes
recepi; I, 77: D eest igitur consolandi uia...; II, 3: Vnde proposu im u s solari
nos com m uni usu.
INTRODUZIONE 13

tradition, il en a, il est vrai, su b i l’influence: il a accepté le cadre


général qu'elle lui presentali, il lui a m èm e em p ru n té bon nom-
bre de ses argum ents. Mais ces argum ents il les a pénétrés d ’esprit
chrétien, et su rto u t il a a jouté des consideratioris et des dévelop-
pem en ts inspirés u n iq u em ent de l’Évangile... Il est en O ccident le
créateur de la C onsolation chrétienne » 30.
Vale anche la pena di rilevare in questo discorso un aspetto
non com une di fro n te agli altri scritti am brosiani, aspetto che
naturalm ente trova la sua giustificazione nella particolare natura
dell'opera e nella circostanza p er cui venne com posta. In ten d o
parlare d ell’effusione sen tim entale che, perm eandola tutta, ci rive­
la i tenerissim i legam i di affetto che univano i due fratelli tra loro.
N on voglio, d ’altra parte, tacere che talune m anifestazioni affetti­
ve, alm eno p er la nostra sensibilità, possono sem brare eccessiva­
m en te patetiche, in quanto m etto n o a nudo sen tim en ti che, pro­
prio p er il loro carattere intim o, noi preferirem m o gelosam ente cu­
sto d iti n ell’animo.
I n Seneca — m a la situazione è notevolm ente diversa — pre­
vale lo sviluppo del ragionam ento senza particolari m ozioni di
affetto; in Gregorio di N azianzo — si veda, p er esem pio, l’orazione
per la m o rte del fratello Cesario, funzionario im periale, avvenuta
verso l’inizio d ell’anno 36931 — si am m ira lo straordinario equili­
brio che concilia le esigenze d ’una rievocazione che vuole essere
obiettiva e l’espressione dell’affetto fraterno. Il confronto risulta
tanto più valido quanto p iù sim ili sono le circostanze p er le quali
i due discorsi vennero pronunciati.
Carattere diverso presenta il secondo discorso che, tra l’altro,
deve avere su b ito anche, rispetto al prim o, una p iù am pia e im pe­
gnativa rielaborazione32. Poco sopra ho parlato di « trattato ». In
realtà, com e d im ostra il C arpaneto33, una prim a parte, che si esten­
de dal par. 4 al par. 49, ha i caratteri di una « consolatio », in
quanto illustra Vinevitabilità della m o rte (4-17) ed afferm a che
questa ci libera dagli affanni della nostra vita (18-49); tu tto il re­

30 CH. F a v e z , L'inspiration chrétienne dans les « Consolations » de Saint


Am broise, « Revue des études latines », V i l i (1930), p. 91 Cf. C a r p a n e to , op.
cit., pp. 67-68: « Infine nello studio retorico di Rozynski piace rilevare la
constatazione che i discorsi funebri di sant’Ambrogio, malgrado la loro
grande dipendenza dall’antichità, fanno più l'im pressione di orazioni fune­
bri cristiane, che non quelli di Gregorio Nazianzeno e di Gregorio di Nissa ».
Un ampio esame dedica ai due discorsi anche G. Madec (S aint A m broise et la
philosophie, Études augustiniennes, Paris 1974, pp. 27-36), giungendo ad ana­
loghe conclusioni. Particolarmente interessante, in parte anche sulla scorta
degli studi del Courcelle, è la sua ricerca sulle fonti, specie in rapporto a
Platone.
31 PG XXXV, 985-1044. Già n ell’esordio (I, 756 B) troviamo queste affermazio­
ni: Ούτε γάρ θ-ρηνήσομεν τον άπελθ-όντα πλέον fi καλώς εχει, οί γ ε μηδέ
τών &λλων τά τοια ΰτα αποδεχόμενα, οϋτε έπαινεσόμεθα πέρα τοΰ μέτρου
καί πρέποντος...
32 A questo proposito vedi F aller , ed. cit., Introd., pp. 88-89. Secondo il
Palanque (op. cit., p. 465), la rielaborazione sarebbe stata lieve.
33 Op. cit., pp. 69-76.
14 INTRODUZIONE

sto, però, cioè oltre otta nta paragrafi, tratta della risurrezione.
In o ltre il m odo d i procedere del ragionam ento è analogo in entram ­
be le parti; m anca so p ra ttu tto quell’elem ento affettivo che carat­
terizza in m aniera cosi p rep o ten te il p rim o discorso.
N o n m ancano invece, secondo un uso — o un d ife tto — di
Am brogio, le digressioni che il Carpaneto definisce « pareneti-
che » 34 Alcune si avvertono m eno, com e quella sulle esagerate m a­
nifestazioni di lu tto (7-17), p er tacere di altre m inori; alcune inve­
ce, com e quella su i patriarchi (95-101) e, soprattutto, quella sulle
trom be d ell’Apocalisse (105-115), p er l’argom ento, rispettivam en­
te, e p er l’eccessivo sviluppo, disturbano lo svolgim ento del pen­
siero e tolgono efficacia al procedere dell’argom entazione.
Quanto alle fo n ti dell’opera, rinvio alle num erose citazioni
riportate in n ota alla traduzione, con l'avvertenza che n o n sem ­
pre esse costituiscono la prova di una diretta derivazione. Come
nel p rim o libro, abbondano specialm ente quelle di Cicerone, V ir­
gilio e Seneca; troviam o inoltre riferim en ti al De resu rrectio n e
di Atenagora, alle H om iliae in Genesim di Origene e, rip etu ta m en ­
te, allusioni polem iche a Platone nei riguardi della m etem psicosi.

De obitu Valentiniani

Dopo la vitto ria su M assim o (388), Teodosio aveva provvedu­


to ad una nuova sistem azione politica dell'im pero. R iservata a sé
la direzione suprem a, aveva assegnato l’O riente al suo p rim o figlio
Arcadio, allora undicenne, l’Italia al secondo figlio Onorio, di ap­
pena cinque anni, e la Gallia a Valentiniano II, affidandone la
tutela al conte A rb o g a ste35. V alentiniano era nato nel 371: aveva
quindi diciassette anni. N ella prim avera del 392 il contrasto tra i
due scoppia violento. V alentiniano ritiene di potere e dovere assu­
m ere di fa tto le fu n zio n i im periali esercitate fino allora so tto il
controllo di A rb o g a ste36.
A partire da questo m o m en to il discorso di A m brogio De obitu
V alentiniani diventa per noi una fo n te appassionata e com m ossa,
m a non p e r q uesto m eno onesta e sincera, degli avvenim enti.
I barbari minacciavano l’Ita lia 11. Valentiniano avrebbe desi­
derato lasciare la Gallia, m a ne fu im pedito da Arbogaste su ordi­
ne di Teodosio. N el fra tte m p o s ’era diffusa la notizia che i Mila­
nesi avrebbero m andato A m brogio quale legato presso l’im perato­
re, p er invitarlo a ritornare in Ita lia 3S. La m issione non ebbe luogo,
perché fu sparsa ad arte la voce che Valentiniano stava p er giun-

34 Op. cit., p. 72.


35 Vedi A. P aredi, Am brogio, Graziano, Teodosio, estr. da « Antichità
altoadriatiche », XXII, Udine 1982, p. 28.
36 Scrive il Faller (ed. cit., In trod., p . 102): « Valentinianus... Arbogastis,
com itis potentissim i, custodiam in dies magis captiuitatem arbitratus... ».
37 Cf. De ob. Val., 2.4.
38 Cf. ibid., 23.
INTRODUZIONE 15

gere a M ila n o 39. L'im peratore allora scrive personalm ente ad A m ­


brogio perché si a ffretti a raggiungerlo, sia per conferirgli il bat­
tesim o sia p er fa rsi garante p er lui presso Arbogaste. N el fra t­
tem po i m o tivi di contrasto tra V alentiniano e il suo « tutore »
diventano di giorno in giorno p iù num erosi e v io le n ti40.
M entre Am brogio, p a rtito in tu tta fretta, stava superando le
Alpi, giunse inattesa la notizia della m orte dell’im p era to re41. Com e
appare da vari passaggi del discorso, A m brogio non m ostra di cre­
dere che V alentiniano si sia su icid a to 42, notizia che m irava sco­
pertam ente ad offenderne la m em oria.
Valentiniano fu strozzato la vigilia della P entecoste del 392,
cioè il 15 maggio, e il corpo fu sepolto a Vienne lo stesso giorno.
Ignoriam o quando venne traslato a Milano, dove rim ase insepolto
per due m e s i43. In quale data sia avvenuta la tum ulazione defini­
tiva, non sappiam o con certezza. Se, com e afferm a il Faller**, nel
discorso di Am brogio non v ’è traccia della ribellione di Eugenio,
iniziatasi il 22 agosto 39245, lo stesso discorso deve essere stato
pronunciato in una d o m e n ic a 46 p rim a di tale data, m a dopo il 15
lu g lio 47, allo scadere dei due m esi dal trasporto della salm a a
Milano.
Che il « genere » prevalente in quest'opera sia quello della
« consolatio », m i sem bra generalm ente a m m e ss o 48. Precedono il
Ο-ρηνος o lam ento fu n eb re (3-8), che coinvolge am ici e nem ici e
pone in particolare rilievo la partecipazione della Chiesa (5-8), I’έπα ι­
νος o elogio del d efu n to (9-39), nel quale si m e tto n o in evidenza
il suo im pegno n ell’em endare i pro p ri difetti, la sua opposizione
al paganesim o e il suo desiderio di ricevere il battesim o, il suo
tenero affetto p er le sorelle. Col par. 40 ha inizio la παραμ υθία
o « consolatio » vera e propria fSed a d u estram , sanctae filiae, con­
solationem reuertar...), nella quale si riprendono brevem ente talu­
ni m otivi (vedi, p er esem pio, par. 48) caratteristici di questo gene­
re di scritti, che abbiam o già incontrato nel De excessu fra tris, I.
Ma l'argom ento di m aggior rilievo, anche per il suo significato teo­
logico, riguarda la d o ttrina del « battesim o di desiderio », fo rm u ­
lata con estrem a chiarezza insiem e a quella del « battesim o di
sangue » nei parr. 51-53. Q uesta parte si conclude col par. 57.

3» Cf. ibid., 24-25.


40 Vedi F aller, ed. cit., Introd., p . 103.
« Cf. De ob. Val., 26.
42 Cf. ibid., 23.27.33.79. Sulle fonti storiche deH’avvenimento, vedi F aller ,
ed. cit., Introd., p. 104, nota 167.
« Cf. De ob. V a l, 49.
44 Ed. cit., Introd., p. 105.
4s Vedi però nota 57 al par. 57 del De ob. Val.
« Cf. De ob. Val., 30.
47 II Faller (ed. cit., In trod., p. 105) suppone che Arbogaste abbia inviato
al più presto il corpo dell’ucciso a Milano. Quindi i due mesi si sarebbero
compiuti tra il 15 luglio, term inus p o st quem puramente teorico, e il 22
agosto, term inus ante quem m olto probabile.
48 Vedi R o z y n s k i , op. cit., pp. 71-94; C arpaneto , op. cit., p. 54; F aller , ed.
cit., In trod., p. 106.
16 INTRODUZIONE

Dal par. 58 al par. 63, sulla scorta del C antico d ei C antici, si


fa l'elogio — che, specie p er il continuo riferim en to biblico, assu­
m e un significato che trascende la m aterialità dèli'elencazione —
delle singole m e m b ra del defunto: P rim o tam en singula m em bra
perspiciam . S i passa quindi dal corpo all’anima: nunc ad lo q u ar
anim am tu am dignam propheticis ornam entis, cioè all’illustra­
zione delle do ti m orali. Dal par. 71 al par. 77 si descrive l’incontro
col fratellastro Graziano*9, che lo introduce in cielo. A entram bi
A m brogio rivolge, concludendo il discorso, un saluto particolar­
m en te affettuoso, m en tre chiede a Dio di non essere separato da
loro dopo la sua m o r te 50 e p er essi invoca, a suo tem po, la ri­
surrezione.
In d u b b ia m en te il De o bitu V alentiniani, sotto l’aspetto arti­
stico, è la m igliore delle orazioni fu n eb ri di Am brogio. N on voglio
dire che essa sia senza difetti, specialm ente nei riguardi della
com posizione e d ell’ordine, che, com e s'è detto, costituiscono il
pu n to p iù debole del nostro Autore. Cosi, p er esem pio, nella par­
te che, alm eno secondo la classificazione accettata, sarebbe riser­
vata all’ έπαινος, cioè alla « laudatio », sono inseriti il racconto
della p rim a m issione m ancata e della seconda, in terro tta all'an­
nuncio della m o rte dell’im peratore (23-26), m e n tre poco dopo, al
par. 29, troviam o una ripresa del θρήνος, cui segue una digressione
sulla « ricchezza » e « povertà », rispettivam ente, del popolo ebreo
e del popolo cristiano.
Tuttavia, l’essere il d efu n to un im peratore rom ano — titolo
che, nonostante tu tto , evocava fa n ta sm i di grandezza e di gloria —,
le circostanze tragiche e fosche della sua m orte, la sua giovane
età, i legami a ffettivi che lo univano all'oratore e — perché n o ? —
l'angoscia, quasi p iù sim ile a un rim orso che a un rim pianto, di
non essere p o tu to intervenire in tem po, tu tti q u esti m o tivi con­
tribuiscono a infondere nelle parole un calore ed una passione
che sostanzialm ente riescono a svincolarsi dai m odelli retorici e
dai p recetti di scuola.
Anche senza com pilare una precisa statistica, il lettore potrà
rendersi conto che le risonanze degli autori classici sono assai
m eno num erose che nei p recedenti discorsi. Lo stesso am atissim o
Virgilio interviene quasi esclusivam ente nel corso dell'orazione
con l'eco co m m o ven te dei versi dedicati al giovane M a rcello 51 e
alla fine con quelli d estin ati ad esaltare la fedele am icizia e la
m o rte im m a tu ra d i Eurialo e N is o 52.
Il Faller ritiene che questo discorso sia sta to pubblicato ai
p rim i di settem b re, di fa tto senza ritocchi, con l’aggiunta, però,

49 Era figlio di Valentiniano I e della sua prima m oglie Severa ( D u d d e n ,


op. cit., I, p. 79), m entre Valentiniano II, con le sorelle, era figlio di Giustina
(ibid., I, 86). Fu assassinato a Lione il 25 agosto 383, a venticinque anni (ibid.,
I, pp. 220-221). Sulle circostanze deU’assassinio, vedi P aredi , Am brogio, Gra­
ziano..., cit., p. 28, nota 8.
so Cf. De ob. Val., 80: ab illis... quos in hac uita carissim os sensi.
51 Aen., VI, 883-886 (par. 56).
52 Ibid., IX, 446-447 (par. 78).
INTRODUZIONE 17

del prim o paragrafo che, specie p er l'uso di fo rm e com e s c r i b e r e ,


in s c r i b e n d o e particolarm ente del verbo s i g n a r e (« sten d ere» ,
« redigere »), oltre che per l'im postazione generale, sem bra p iu t­
tosto scritto che p ro n u n cia to 53. E ffettiva m en te questa osservazio­
ne appare fondata.

De obitu Theodosii

Teodosio m ori il 17 gennaio del 39554 e il discorso funebre


venne pronunciato da Am brogio quaranta giorni dopo, la dom e­
nica 25 febbraio, alla presenza del figlio O n o rio 5S.
E vid en tem en te, pronunciare l’elogio fu n eb re di un im peratore
com e Teodosio non era un im pegno di poco conto. Se in seguito
m o lti gli a ttribuirono l'epiteto di « Grande », anche subito dopo
la m orte non era difficile valutare la statura politica del defunto,
la cui scom parsa segnerà la definitiva spaccatura dell'im pero ro­
mano. Di tu tto questo sem bra rendersi conto Am brogio nel so­
lenne inizio della sua orazione. La stessa natura, con terrem oti,
nubifragi, inondazioni, nébbie im penetrabili più del consueto, è
sem brata anticipare l’annuncio della ferale notizia. Il R o z y n s k i56
vede in tu tto questo un inopportuno influsso delle fo n ti pagane;
ne dà invece una giustificazione in senso cristiano il C arpaneto57,
che m e tte il passo di Am brogio in rapporto con i segni prem oni­
tori della caduta di G erusalem m e e della fine del m ondo. S i sareb­
be addirittura ten ta ti di scorgere nel nostro passo un ricordo, fo r­
se inconscio, dei fen o m en i tellurici avvenuti alla m orte del Sal­
vatore.
Purtroppo, però, ciò che segue sem bra m al corrispondere a
cosi solenne inizio. La giustificazione delle onoranze fu n eb ri dopo
quaranta giorni, sull'esem pio biblico (3-4), nonostante il richiam o
ai patriarchi, no n giova certo alla tensione em otiva, m entre l’ac­
cenno alle u ltim e volontà dell’im peratore d efu n to (4-5), anche se
hanno un significato quale esortazione ai successori, lim itano nella
loro concretezza la visione com plessiva dell’opera di Teodosio.
Il discorso continua con un'esortazione ai soldati perché con­
servino nei riguardi dei figli la fedeltà dim ostrata verso il padre,
fedeltà che ha il suo fo n d am ento p iù saldo nelle convinzioni reli­
giose (6-11). I cinque paragrafi seguenti (12-16) sono un elogio del­
le virtù del d efu n to , in particolare della sua clem enza, con la

53 Ed. cit., In trod., p. 106 e nota 171. Anche il Palanque (op. cit., p. 465)
lo ritiene pubblicato « sans retouches ».
54 Cf. S ocr., H ist. Eccl., V, 26: Έ ν ύπατεία Ό λυμβρίου καί Προβίνου τη
έπτακαιδεκάτη τοΰ Ίανουαρίου μηνός = XVI Kal. Febr. Il Faller (ed. cit.,
Introd., p. 115) scrive « a. d. XV Kal. Febr. ». Deve trattarsi di una svista;
tra l ’altro, se cosi fosse, il conto dei quaranta giorni non tornerebbe.
55 Cf. De ob. Theod., 3.
56 Op. cit., pp. 98-99.
57 Op. cit., p p . 63-66.
18 INTRODUZIONE

quale com pensava l’im pulsività del carattere. Dal par. 17 al par.
38 lo svolgim ento del discorso ha la sua traccia nell’interpretazio­
ne del salm o 114: Dilexi, quoniam audiet dom inus uocem o ratio ­
nis m eae, salm o che agli occhi di A m brogio acquista un partico­
lare significato anche p er il valore sim bolico che viene attribuito
al suo num ero. T uttavia il partito, non solo retorico m a anche em o­
tivo, di maggiore efficacia è la continua ripresa del verbo dilexi,
posto in bocca p rim a a Teodosio, poi allo stesso Am brogio.
L ’am ore cristiano del d efunto è la spiegazione delle sue virtù,
so p ra ttu tto d ell’um iltà, che gli ha consentito di sottoporsi, lui,
l’im peratore, alla pubblica penitenza per la strage di Tessalonica;
è la forza che lo ha reso capace di superare tu tte le difficoltà e
tu tte le prove.
Segue un breve accenno ad alcuni avvenim enti storici: l’uc­
cisione d ell’im peratore Graziano, la vittoria su M assim o e, suc­
cessivam ente, su E ugenio e Arbogaste (39-40). Di Valentiniano I I
e della sua fine crudele non si parla. Certo, l’averlo affidato ad
Arbogaste costituiva p er Teodosio una responsabilità, se non m o ­
rale quanto m eno storica. E ra dunque preferibile un pietoso si­
lenzio.
O. Seeck (Geschichte des U nterganges, Stoccarda 1913,
p. 242) suppone invece che la m ancata m enzione di Valentiniano
dipenda dal fa tto che, a differenza di quanto appare dal discorso
funebre del 392, Am brogio successivam ente si sarebbe convinto della
realtà del suicidio del giovane im peratore. L ’ipotesi non m i sem bra
però cosi verosim ile com e afferm a l’autore.
I parr. 40-51 costituiscono un « excursus » che desta un certo
stupore anche in coloro che per lunga consuetudine sono avvezzi
alle digressioni di Am brogio. In tali paragrafi si narrano la ricer­
ca e la scoperta della croce di Cristo da parte di sa n t’Elena, m a­
dre di Costantino, e dell’uso fa tto da essa di due dei chiodi im pie­
gati per la crocifissione. Da un p u n to di vista com positivo, l’inser­
zione è del tu tto in o p p o rtu n a 58; m o lti anzi hanno supposto che
l’« excursus » sia stato aggiunto in una revisione su ccessiva 59. Io
tenderei ad escludere tale ipotesi, perché Am brogio, che non si

58 Vedi S c h a n z -H o s i u s , IV, 1, p. 352: « Auch diese Rede zeigt, dass es


Ambrosius nicht mòglich war, seine Gedanken zum einem festen Organismus
zu vereinen und kunsterlich zu formen ». È un giudizio severo, m a non privo
di qualche fondam ento. E prosegue: « Die Episode iiber die Auffunderung
des Kreuzes durch Helena die in gar keinem inneren Zusammenhang zum
Thema steht, ist eine fast umbegreifliche Geschmacklosigkeit [mancanza di
gusto] ».
59 Vedi D u d d e n , op. cit., II, p. 700, nota 11; F a v e z , L’épisode de Vinvention
de la croix dans l'Oraison funèbre de Théodose p a r S ain t A m broise, « Revue
des études latines », 10 (1932), p. 424. In proposito il Faller (ed. cit., pp.
116-117) non ha dubbi. La fine del discorso avrebbe dovuto comprendere i
parr. 33-40 e 52-56. Di parere diverso il Palanque (op. cit., p. 464). Si po­
trebbe osservare che, togliendo, come vuole il Faller, ben undici paragrafi
(41-51), l’intero discorso risulterebbe di quarantacinque paragrafi, poco più
della metà del De obitu Valentiniani, che lo stesso Faller ritiene accresciuto,
in sede di revisione, di un solo paragrafo.
INTRODUZIONB 19

preoccupava eccessivam ente d ’interrom pere la concatenazione lo­


gica dei suoi scritti, in questo caso aveva adeguati m o tivi per
agire cosi. S i trattava, insom m a, di rievocare l'origine dell’im pero
cristiano di cui Arcadio e Onorio sarebbero dovuti essere i con­
tinuatori su ll’esem pio del loro padre d e fu n to 60. L'inizio del par.
33: ...ut q u ad am serm onem m eum p ero ratio n e concludam non
m i pare determ inante, quando si considerino i procedim enti com ­
positivi e le digressioni del nostro Autore.
Con un nuovo accenno alla gloria celeste di Graziano e di
Teodosio (52-53) e al trasporto della salm a fino a C ostantinopoli,
cui Onorio non potrà partecipare, perché i suoi doveri d ’im pera­
tore lo trattengono a Milano, l’orazione si conclude (54-56).
S o tto l’aspetto letterario il De o b itu Theodosii si differenzia
dai precedenti discorsi, com e avverte il F aller61. Il R o zyn sk i pen­
sava ad un έγκώ μιον, secondo l'uso rom ano descritto da P o lib io 62.
Il Faller, che parla di « laudatio », non sem bra su posizioni m ol­
to diverse, anche se sottolinea il contenuto parenetico.
Personalm ente crederei che nel De o b itu Theodosii, più che
nel De excessu fra tris e nel De obitu V alentiniani, prevalgano l’esi­
genza pastorale e il richiam o alla situazione concreta creatasi con
la m orte del grande im peratore. Certo, noi ci sarem m o attesi
tu tt’altro discorso, o alm eno avrem m o desiderato che venissero
som m ariam ente ricordate le benem erenze di Teodosio nella re­
staurazione d i u n im pero che aveva attraversato m o m e n ti estrem a-
m en te critici fino a giungere quasi allo sfacelo. N on bisogna però
dim enticare che A m brogio era un vescovo e che in Teodosio vede­
va so p ra ttu tto u n cristiano. Di fro n te alla m orte l’unica grandez­
za che regge veram ente è quella della virtù, e questa appunto
l’oratore voleva celebrare nell'im peratore defunto.
Da un p u n to di vista storico-letterario il De obitu Theodosii
può lasciare in so d d isfa tti e delusi; da u n p u n to di vista cristiano
riprende con efficacia l ’a m m onim ento del salmo, scelto da Bos-
su et quale m o tivo ispiratore dell’orazione fu n eb re p e r E nrichetta
Maria, regina d ’Inghilterra: « E t nunc, reges, intelligite; erudim ini
qui iudicatis terram » (Sai 2, 10).

Il testo latino della p resente edizione è quello curato da O tto


Faller p er lo C SEL (L X X III); solo a De ob. Val., 19, ho ripristinato

60 II Favez (ibid., p. 428), che pure suppone, com e s ’è detto, che l ’epi­
sodio sia stato inserito nella successiva revisione, offre un argomento per
sostenere il contrario. L’episodio della croce sarebbe stato introdotto per
mostrare ad Arcadio ed Onorio che essi erano gli eredi di una venerabile
eredità di fede da Costantino in poi. Ma una sim ile considerazione doveva
essere ritenuta cosi essenziale da Ambrogio, da prospettarla subito agli eredi
di Teodosio, non da aggiungerla in seguito. Si veda, infatti, De ob. Theod.,
47: Principium itaque credentium im peratorum sanctum est, quod super
frenum.
61 Ed. cit., In trod., p. 116.
62 R o z y n s k i, op. cit., pp. 106-107, 110-112; C a r p a n e to , op. cit., p. 54. Polibio
accenna brevemente alle laudationes funebres a VI, 53, 2 e 54, 1.
20 INTRODUZIONE

la lezione tradizionale, dandone giustificazione in una nota alla


traduzione italiana. Del Faller ho accettato anche l’ortografia, sia
pure con qualche perplessità, ricordando quanto scrive D om B.
B o tte nella sua edizione del De s a c ra m e n tis63. P. Faller, infatti,
tende a ricostruire un'ortografia « am brosiana » sulla scorta di due
codici, il P arisinus 8907 del principio e il R auennas della fine del
V secolo
N o n ho però accolto, com e anche D om B otte, fo rm e quali
conpraehendo, rep raeh en d o e sim ili, preferendo quelle senza d it­
tongo.
Per ciò che riguarda la traduzione, ho seguito i m edesim i cri­
teri ad o tta ti nei preced en ti vo lu m i dell’Opera om nia, non senza
tener conto, però, del particolare « genere letterario » dei testi
tradotti.

63 A m b r o ise de M il a n , Des sacram ents, Des m ystères, Explicatiori du Sym -


bole, « Sources chrétiennes », Les Éditions du Cerf, Paris 19612, p. 44.
« CSEL LXXVIII, Introd., pp. 47 ss.
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SIGLE D EI CODICI CITATI
(De ob. Val.)

A A udom aropolitanus 72, sec. V III/IX .


P Parisinus bibl. nation. Lat. 1913, sec. IX.
C Parisinus bibl. nation. Lat. 1719, sec. XI.
D D unelm iensis bibl. cath ed r. B. II. 6, sec. XI.
E Parisinus bibl. n ation. Lat. 1729, sec. X II.

ALTRE ABBREVIAZIONI

PL = Migne, Patrologia Graeca, Paris.


PG = Migne, Patrologia Latina, Paris.
ThLL = Thesaurus linguae Latinae, Leipzig.
D e excessu fratris

Per la dipartita del fratello

Sull’esem pio del Faller, vengono contrassegnati da un asterisco i passi


della Sacra Scrittura che non corrispondono esattam ente al testo della
Vulgata.
LIBER PRIMVS

1. Deduxim us, fra tre s dilectissim i, h o stiam m eam , h o sti


incontam in atam , « h o stiam d eo placentem » a, dom n u m et fra tre m
m eum S atyrum . M em ineram esse m ortalem , n ec fefellit opinio,
sed superabundauit gratia'0. Ita q u e nihil habeo, q u o d q u e ra r, et
habeo, in qu o deo g ratias agam , quia sem p er optaui, u t, si q u ae
p ertu rb atio n es uel ecclesiam uel m e m anerent, in m e p o tiu s ac
m eam d eciderent dom um . Deo ig itu r g ratias, quia in hoc om nium
m etu, cu m om nia m o tib u s sin t suspecta b arb aricis, com m unem
m aero rem p riu a to dolore transegi, et in m e co n u ersu m est, qu id ­
qu id tim ebam us om nibus. A tque u tin am hic consum m atum sit, u t
dolor m eu s pu b lici doloris redem ptio sit! 2. N ihil q u id em habui,
fra tre s carissim i, in reb u s hum anis tan to fra tre p retio siu s, nihil
am abilius, nihil carius, sed p ra e sta n t p riu a tis publica. Ip siu s quo­
que si quis sen ten tiam sciscitaretur, m allet occidere p ro aliis
q u am sibi uiuere. P ro p tere a enim p ro om nibus secundum carnem
C hristus est m o rtu u s a, u t nos non solis nobis u iu ere discerem us.
3. Accedit illud, quod in g ratu s d iu in itati esse non possum . Lae­
tan d u m en im m agis est, quod talem fra tre m habuerim , q u am
dolendum , quod fra tre m am iserim ; illud enim m unus, hoc debitum
est. Itaq u e p erfu n ctu s sum , q u am d iu licuit, com m isso m ihi fe­
nore; qui d eposuit pignus, recepit. N ihil in te re st, u tru m abiures
d epositum an doleas re stitu tu m . In u tro q u e fidei am biguum ,
u itae p ericu lu m est. An si pecuniam neges, cu lp a est, si hostiam
neges, p ietas est, cum pecuniae fe n era to r inludi possit, n a tu ra e

1. ^ c f. Phil 4, 18.
b Rom 5, 20.
2. a Cf. 2 Cor 5, 15.
LIBRO PRIMO

1. A bbiam o p o rta to in q u esta chiesa, fratelli carissim i, la


tim a d a m e offerta, la v ittim a in contam inata, la « v ittim a gradita
a Dio », il m io signore e fratello S atiro. Sapevo che era m o rtale *,
e in ciò no n m i ingannai, m a la grazia di Dio fu sovrabbondante.
P er questo non ho m otivo di lam entarm i, anzi ho m otivo di rin ­
graziare Dio, p erch é ho sem pre desiderato che, se qualche tem ­
p esta dovesse m inacciare la C hiesa o la m ia persona, piom basse
p iu tto sto su m e e sulla m ia c a s a 2. Sia dunque ringraziato Dio
p erché nel generale tim o re di questi g io rn i3, quando tu tto è m otivo
di sospetto p e r le rivolte dei b arb ari, ho v is s u to 4 l'angoscia com u­
ne col m io p ersonale dolore e si è volto co n tro d i m e ciò che
tem evam o p e r tu tti. E voglia il cielo che in tale frangente si sia
o tten u to che il m io dolore valga a risc a tta re il dolore com une.
2. C ertam ente, fratelli carissim i, tr a i beni di q u esta te rra non ne
ho avuto n essu n o p iù prezioso, p iù am abile, p iù caro di u n tale
fratello; m a il p ubblico in teresse h a la precedenza su quello
privato. Anch'egli, se si chiedesse il suo p arere , p referireb b e
m o rire p e r gli altri che vivere p e r sé. P er questo, infatti, C risto
secondo la carn e è m o rto p e r tu tti, perché im parassim o a vivere
non solam ente p e r noi. 3. N on posso in o ltre essere ingrato con
Dio. Devo in fa tti ralleg rarm i di aver avuto u n sim ile fratello p iu t­
tosto che dolerm i di averlo p e r d u to 5: quello fu u n dono, questa
u n a necessità. P ertan to , finché m i è stato possibile, ho goduto i
fru tti del capitale che m i è stato affidato; chi m i aveva lasciato il
pegno, se l’è ripreso. N on c’è differenza tr a il negare di averlo
ricevuto e il dolersi di averlo re stitu ito ; in en tra m b i i casi la
lealtà è dubbia e la v ita è in pericolo. Forse, m en tre è u n a colpa
rifiutarsi di re stitu ire il denaro, sarà u n a prova di p ietà rifiutare
1 Cf. S en ., Ad Marc., 10, 5: m ors enim illi denuntiata nascenti est.
2 Cf. Liv., XLV, 41, 8: ...illud optaui, ut, cum ex sum m o retro uolui fo rtu ­
na consuesset, m utationem eius dom us m ea p o tiu s quam res publica sen tiret;
V a l . M a x ., V, 10, 2: ...precatus sum ut, si quid aduersi populo Romano im m i­
neret, totum in m eam dom um conuerteretur. Cf. Cic., Tuse., III, 28, 70.
3 Vedi Introduzione.
4 Cf. transigere uitam , annos, aeuum (F o r c e l l in i ).
s Cf. S e n ., Ad Pol., 10, 1: ...non iniuriam tib i factam quod talem fratrem
am isisti, sed beneficium datum quod tam diu tibi p ieta te eius u ti fruique
licuit·, 6: cogita iucundissim um esse quod habuisti; humanum quod perdidisti.
Cf. anche Cic., Tuse., I, 39, 93, e, inoltre, H ie r ., Ep., 60, 7: ...nec doleas quod
talem am iseris, sed gaudeas quod talem habueris (la lettera, però, è del 396:
vedi ed. « Les Belles Lettres », III, p. 223).
26 DE EXCESSV FRATRIS, I , 3 -5

au c to r et necessitudinis c re d ito r frau d ari n o n queat? Ita q u e quan­


to u b e rio r fenoris sum m a, tan to g ra tio r u su ra sortis. 4. Vnde
in g rati d e fra tre esse n on possum us, quia, quod n a tu ra e com m u­
nis fuit, red d id it, quod gratiae singularis est, m eru it. Quis enim
com m unem condicionem recuset? Quis doleat sibi p ro p riu m pi­
gnus erep tu m , cum ad solacium n o stri filium suum u nicum p ro
nobis p a te r tra d id e rit ad m ortem ? a. Quis exceptum se p u te t esse
debere a condicione m oriendi, qui non sit exceptus condicione
nascendi? M agnum p ietatis m ysterium , u t m ors corporis nec in
C hristo esse.t excepta, ac licet n atu ra e dom inus, carnis tam en,
q u am susceperat, legem non recusaret. E t m ihi necesse est m ori,
illi necesse no n fuit. An qui de seruo dicit: Si uolo eum $ic m anere,
donec uenio, quid ad te ? b non p o tu it ipse sic m anere, si uellet?
S ed p e rp e tu ita te u itae huius sibi p retiu m , m ihi sacrificium p erd i­
disset. Quo ig itu r m aius est solacium n o stri, q u am quod « se­
cundum carn em » c et C hristus est m o rtu u s? A ut c u r ego uehe-
m entiu s fleam fratrem , cum sciam illam m ori non p o tu isse pie­
tatem ?

5. C u r solus p ra e ceteris fleam, quem fletis om nes? Pri


tu m dolorem com m uni dolore digessi, p ra esertim cum m eae
lacrim ae nihil p ro sin t, u e stra e au tem lacrim ae fidem a d stru a n t,
consolationem ad ieran t. Fletis, diuites, et flendo p ro b a tis nihil
opitulari· rep o sitas diu itias ad salutem , cum pecuniae p re tio m ors
differri non q u eat e t p a ri u su diuitem inopem que dies suprem us
eripiat. Fletis, senes, quod in hoc lib eru m so rtem pauetis. E t ideo,
q uia u itam corporis p ro d u cere non potestis, in stitu ite liberos
non ad u su m corporis, sed ad u irtu tis officium. Fletis et iuuenes,
quod n atu ra e finis non sit m a tu rita s senectutis. F leu eru n t et p au ­
peres, et, quod m u lto est pretiosius m ultoque u b eriu s, lacrim is
suis eius delicta lau eru n t. Illae su n t lacrim ae redem ptrices, illi
gem itus, qui dolorem m o rtis abscondunt, ille dolor, qui perp etu ae
u b e rta te laetitiae u eteris sensum doloris obducat. Ita q u e licet

4. » Cf. Rom 8, 32.


b Io 21, 22*.
« Cf. Rom 1, 3.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 3-5 27

il sacrificio, considerando che, se può essere gabbato chi p re sta


denaro, no n p u ò essere in gannato chi h a c reato la n a tu ra ed è in
cred ito dei n o stri cari? 4. N on possiam o quindi m o strarc i ingra­
ti nel caso di n o stro fratello, p erch é h a re stitu ito ciò che ap p a r­
teneva alla n o s tra com une n a tu ra e h a m eritato ciò che è p ro p rio
di u n a grazia singolare. Chi, in fatti, p o tre b b e rifiu tare la condi­
zione che è com une a tu tti? Chi p o treb b e d o lersi che gli sia stata
ra p ita u n a p erso n a cara, dal m om ento che p e r n o stro conforto
il P adre h a consegnato alla m o rte p e r noi il suo unico Figlio? Chi
p o treb b e p en sare di d o v er essere dispensato dalla necessità di
m orire, se a tale necessità è soggetto p e r il fa tto di essere n a t o 6?
È u n grande m istero di b o n tà che la m o rte del corpo non sia sta­
ta esclusa nem m eno nel caso di C risto e che Egli, benché signore
della n atu ra , no n ab b ia rifiutato la legge della c a rn e che aveva
assunto. E m en tre p e r m e è necessario m orire, non lo sarebbe
stato p e r Lui. F orse Colui che dice del servo: S e voglio ch ’egli
rimanga, finché io venga, che te ne im porta?, non avrebbe potu to
an ch ’Egli rim an ere, se avesse voluto? Facendo p erò senza fine la
sua v ita terren a, avrebbe p e rd u to p e r sé il prem io, p e r m e il
sacrificio. C'è q u indi p e r noi m aggior conforto del fa tto che anche
Cristo è m o rto « secondo la carne »? O p erch é dovrei piangere
con eccessivo dolore m io fratello, sapendo che u n a b o n tà come
la sua n on è p o tu ta m o rire?
5. P erché io solo p iù di tu tti gli a ltri dovrei piangere colui
voi tu tti piangete? A ttraverso il dolore di tu tti ho rip a rtito il m io
personale dolore, specialm ente p erch é le m ie lacrim e non giovano
a nulla, le v o stre invece attestan o fedeltà, arrecano consolazione.
Voi piangete, o ricchi, e col v o stro p ian to d im o strate che le ric­
chezze m esse d a p a rte non giovano alla salvezza, visto ch e la
m orte non può essere differita sborsando denaro e il giorno su­
prem o con uguale in e v ita b ilità 7 s tra p p a alla v ita sia il ricco sia
il povero. Voi piangete, o vecchi, perché in questo defunto tre ­
pid ate p e r la so rte dei v o stri figli. E perciò, siccom e non potete
prolun g are la loro v ita fisic a 8, educateli non ai godim enti del
corpo, m a all'esercizio della virtù. Piangete anche voi che siete
giovani, p erch é il term in e n atu ra le della v ita non corrisponde alla
m atu ra vecchiaia. P iansero anche i poveri e — co n trib u to m olto
più vantaggioso e p iù ricco di fru tti — con le loro lacrim e lavaro­
no le sue colpe. Q ueste sono le lacrim e che redim ono, q u e sti sono
i gem iti che n on lasciano a p p a rire il dolore della m orte, questo
il dolore che o cculta la sofferenza dell'antico d o lo re 9 con l'abbon­
danza di u n a gioia senza fine. Perciò, sebbene si tr a tti di u n fune-

6 Come avverte il Faller (ed. cit., In trod., p. 97, nota 156) condicione
nascendi per uariatio è ablativo di causa
7 Propriamente usus significa qui « necessità »: vedi l'espressione usu
uenire.
* Cf. Verg., Aen., II, 637: abnegat excisa u itam producere Troia.
9 Ho conservato anche in italiano la ripetizione della parola « dolore »,
su cui intenzionalm ente insiste Ambrogio.
28 DE EXCESSV FRATRIS, I , 5 -8

p riu a tu m funus, tam en fletus est publicus. E t ideo non p o test


fletus esse d iu tu rn u s, qui u n iu erso ru m est adfectibus consecratus.
6. N am qu id te, m i fra te r am antissim e, fleam, qui m ihi
erep tu s es, u t esses om nium ? N on enim p erd id i u su m tui, sed
com m utaui, a n te co rp o re inseparabilis, n u n c in d iu id u u s adfectu;
m anes enim m ecum ac sem per m anebis. E t quidem cum uiueres
nobiscum , n u m q u am te p a tria erip u it m ihi, nec ipse m ihi um-
q u am p a tria m p raetu listi, et n u n c alteram p ra e stitisti; coepi enim
iam hic non esse peregrinus, ub i m elior m ei p o rtio est. N um quam
enim in m e to tu s fui, sed in altero n o stri p a rs m aio r am borum ,
u te rq u e au tem eram u s in C hristo, in q u o et sum m a u n iu ersitatis
e t p o rtio singulorum e s t a. H ic m ihi tu m u lu s genitali solo g ratior,
in quo n o n n atu rae, sed g ratiae m eae fru ctu s est; in isto enim cor­
pore, q u o d n u n c exanim um iaeet, p ra e sta n tio r u itae m eae functio,
q uia in hoc quoque, q u o d gero, co rp o re u b e rio r tu i portio. 7. At-
que u tin am u t m em oriae, u t gratiae, ita etiam u itae tu ae hoc,
q u id q u id est, q u o d spiram us, sp irare possem us, dim idium que
m eo ru m decederet tem porum , quod ad tu o ru m proficeret usum !
P a r enim erat, ut, quibus indiuisum sem per fu it p atrim o n iu m
facultatu m , n o n esset u itae tem pus diuisum , uel c e rte qui in d i­
stin cta sem p er hab u im u s uiuendi consortia, non h ab erem u s d istin ­
c ta m oriendi.

8. N unc uero, frater, q u o p ro g red iar quoue c o n u e rtar? B


bouem re q u irit seque non to tu m p u ta t et freq u en ti m ugitu p iu m
te s ta tu r adfectum , si fo rte defecerit, cum q u o ducere collo a ra tra
consueuit: ego te, fra te r, non req u iram ? Aut possim u m q u am
obliuisci tui, cum quo u itae huius sem p er a r a tra sustinui, labore
inferior, sed am ore coniunctior, non tam m ea u irtu te habilis quam

6. a Cf. Col 1, 18.19.


PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 5-8 29

rale privato, pubblico è il lutto. Non può quindi tro p p o p ro lu n g ar­


si il pian to che l'universale cordoglio h a reso sacro.
6. In fatti, p erch é dovrei piangerti, fratello m io dilettissim
visto che m i sei stato to lto cosi da diventare bene di tu tti? N on
sono stato p riv ato dei m iei ra p p o rti con te, m a li ho cam biati:
p rim a non ti separavi da m e con la tu a persona, o ra sei da m e
inseparabile p e r u n vincolo d'affetto; rim an i co n m e e vi rim ar­
ra i sem pre. Senza dubbio, quando vivevi con noi, la p a tria non ti
so ttrasse m ai a m e né tu m i anteponesti m ai la p atria. E d ora
m e ne hai d a ta u n 'a ltra : ho com inciato in fatti a n o n essere più
stran iero là dove risiede la m iglior p a rte di me. In fa tti non risie­
devo m ai com pletam ente d en tro di m e, m a la p a rte m aggiore di
en tram b i si trovava nell'altro, e ciascuno di noi risiedeva in Cri­
sto, il quale com prende in sé l'u m an ità i n t e r a 10 e 'la p a r te di
ciascuno. Q uesto tu m u lo 11 m i è p iù caro della te rra ch e m i h a
dato i natali, poiché in esso si tro v a il fru tto non della n atu ra,
m a della grazia che m i venne elargita; in questo corpo, infatti,
che o ra giace esanim e, sta l'a ttiv ità p iù nobile della m ia vita,
perché anche in questo m io corpo si trova la p a rte più ricca di
te. 7. E m agari potessim o sentirci r ip ie n i12, com e di q u e st’alito
della tu a m em o ria e della tu a gentilezza, q ualunque esso sia, che
avvertiam o in noi, cosi di quello della tu a vita, e se ne andasse la
m e tà d ei m iei anni p erch é tu potessi ap p ro fittarn e! S arebbe stato
giusto che p e r noi, che avevam o m antenuto sem pre indiviso il
patrim onio, no n fosse diviso il tem po della vita, o alm eno che
non fossim o sep a rati nella m orte, visto che avevam o avuto sem ­
pre un 'in sep arab ile c o m u n a n z a 13 di vita.
8. M a o ra, fratello, dove an d rò o a ch i m i rivolgerò? Il
cerca il bue e p en sa che gli m anchi qualcosa e m an ifesta col
frequen te m uggito il suo ten ero affetto, se p e r caso viene a m an­
care il com pagno con cui sotto il giogo e ra solito trasc in a re l'a ra ­
tro 14; ed io, fratello, no n dovrei cercarti? O p o trei m ai dim enti­
carm i di te con cu i h o so p p o rtato sem pre l'a ra tro di q u esta vita,
m eno re sisten te alla fatica, m a pro fo n d am en te congiunto a te
neH’am ore, non ta n to capace p e r le m ie qualità, q u a n to soppor­
tabile p e r la tu a pazienza, m en tre tu, sem pre sollecito nel tuo

10 II Coppa (Opere di S a n t ’A m brogio , XJTET, Torino 1969, p. 774, nota 16)


richiama Col 1, 18-19.
i* Tumulus è il letto funebre sul quale era adagiato il cadavere. Vedi
A. P alestra , N ote al libro prim o « De excessu fra tris » di S. Am brogio, in
«R icerche storiche sulla Chiesa am brosiana», IV (1973-1974), Archivio ambro­
siano, XXVII, Milano 1974, p. 29.
12 Sull’uso transitivo di spiro in senso translato cf. H or., Carm., IV,
13, 19: quae spirabat amores. Diversamente traduce il Coppa (op. cit.,
p. 775).
13 D istincta sottointende consortia con un oxym oron forse voluto.
14 Cf. V erg., Georg., I l i, 518: maerentem ... fraterna m orte iuuencum;
M e n . R h e t ., Περί έπιδεικτικών (Περί μονιρδίας), 319 (III, p. 436, 26-29 S pengel ):
έχέτω Si μ νήμ η ν καί ζώων άλογω ν, οϊον ούδέ ά λ ο γ α ζώ α, οϊον βοϋς ή ίππος
ή κύκνος ή χελιδώ ν, Ανέχεται χωριζόμενα ά λ λ ή λ ω ν, ά λ λ ’έπισημαίνει τη
φωνϋ δδυρόμενα.
30 DE EXCESSV FRATRIS, I , 8-11

tu a p a tie n tia tolerabilis, qui pio sem per sollicitus adfectu latu s
m eum tuo la te re saepiebas, ca rita te u t fra te r, cu ra u t p ater,
sollicitudine u t senior, re u ere n tia u t iunior? Ita in u n iu s necessi­
tudinis g rad u co n plurium m ihi necessitudinum officia pendebas,
u t in te non unum , sed p lu res am issos req u iram , in quo uno
ig n o rata adulatio, expressa pietas. N eque enim habebas, quod si­
m ulatio n e adderes, qui to tu m p ie ta te conprehenderas, u t nec
in crem en ta recip eres nec uicem expectares.

9. S ed quo, in m em or officii, m em or gratiae, inm odico dol


progred io r? R euocat apostolus et tam q u am frenos m aero ri in d u ­
cit dicens, sicu t n u p er audistis: N o lu m u s uos ignorare, fratres, de
dorm ientibus, u t non tristes sitis sicut et ceteri, qui sp em non
h a b e n ta. Date ueniam , fra tre s carissim i, neque enim om nes pos­
sum us dicere: Im ita to res m ei estote sicut et ego C h ristib, sed ad
im itand u m si au cto rem q uaeritis, habetis, quem p ossitis im itari.
N on om nes ad docendum idonei, u tin am om nes ad discendum
habiles! 10. N on grauem lacrim is contraxim us culpam , non om nis
infidelitatis a u t in firm itatis e st fletus. Alius n a tu ra e dolor, alia
est tris titia diffidentiae. E t p lu rim u m re fe rt desiderare, quod
habueris, et lugere, quod am iseris. N on solus d o lo r lacrim as habet,
h ab e t et laetitia lacrim as suas, et p ietas fletum excitat, et oratio
stra tu m rigat, et praecatio iuxta p ro p h e tic u m dictum lectulum
la u a t a. F eceru n t et fletum m agnum sui, cu m p a tria rc h a e sepeli­
r e n tu r b. L acrim ae ergo p ietatis indices, n o n inlices su n t doloris.
Lacrim aui ergo, fateor, etiam ego, sed lacrim a u it et dom inus c, ille
alienum , ego fratrem , ille in uno lacrim au it om nes, ego in om nibus
lacrim ab o te, fra te r. 11. Ille nostro, non suo in lacrim au it adfectu
— neque enim diuinitas lacrim as h ab et —, sed lacrim au it in eo,
qui tristis f u i t a, lacrim au it in eo, qui crucifixus est, qui m o rtu u s,
q u i sep ultus est, lacrim a u it in eo, de q u o hodie nobis insinuauit
p ro p h e ta dicens: « M ater Sion », dicet hom o, et hom o factus est
in ea, et ipse fu n d a u it eam altis s im u s b. In eo lacrim auit, quod

9. » 1 Thess 4, 13*.
b 1 Cor 11, 1.
10. » Cf. Ps 6, 7.
b Cf. Gen 5, 1.3.10.
c Cf. Io 11, 35.
11. a Cf. Mt 26, 38.
b Ps 86, 5*.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 8-11 31

tenero affetto, col tuo fianco proteggevi il m io, am oroso come u n


fratello, p reo ccu p ato com e u n padre, prem u ro so com e u n anzia­
no, risp etto so com e u n giovane? Cosi, nel legam e di un'unica
parentela, tu m i rendevi i servigi di m olti p aren ti, tan to che io
rim piango in te la p e rd ita non d ’u n a sola, m a di p iù persone am a­
te, in te che solo ignoravi l’adulazione ed eri l'im m agine dell’affet­
to fratern o . N ulla, in fatti, avresti p o tu to aggiungere con la sim u­
lazione, p erch é tu tto avevi com preso nel tu o am ore, cosi d a non
p oterlo accrescere né d a atten d e rn e il contraccam bio.
9. Ma dove, im m em ore del m io dovere, m em ore della
bontà, m i lascio tra s p o rta re da u n dolore senza lim iti? Mi rich ia­
m a l ’Apostolo e, p e r cosi dire, pone u n freno al m io cordoglio
dicendo, com e avete u d ito o r ora: N on vogliamo, fratelli, che voi
restiate n ell’ignoranza su quelli che si sono addorm entati, affin­
ché non vi ra ttristiate com e quelli che non hanno speranza. P er­
donatem i, fratelli carissim i, perché non tu tti possiam o dire: Siate
m iei im ita to ri com e io lo sono di Cristo; m a se cercate u n m odel­
lo d a im itare, tale m odello non vi m anca. N on tu tti siam o in grado
di in s e g n a re 15: m agari fossim o tu tti capaci di im parare! 10. N on
abbiam o com m esso con le n o stre lacrim e u n a colpa grave: non
ogni p ian to è segno di in fedeltà e di debolezza. Una cosa è il
dolore che dipende da n a tu ra e u n ’a ltra la tristezza che deriva da
m ancanza di fede. E c’è u n a grandissim a d ifferen za16 tr a il rim ­
piangere ciò che avevi e il piangere ciò che hai p erd u to . Non è
solam ente il dolore a provocare le lacrim e, m a anche la gioia ne
provoca di sue p ro p rie, e l'affetto suscita il p ian to e la preghiera
bagna con esse il giaciglio e la supplica, secondo le parole del p ro ­
feta, lava con esse il lettuccio. Anche quando venivano seppelliti
i p atriarch i, i p a re n ti li piansero con grandi m anifestazioni di
lutto. Le lacrim e, dunque, sono u n segno di affetto, non uno stim o­
lo al dolore. H o p ian to anch'io, lo confesso; m a pianse anche il
Signore: Egli pianse u n estraneo, io u n fratello, Egli in u n a sola
person a pianse tu tti, io in t u t t i 17 piangerò te, fratei m io 18. 11. Egli
pianse p e r effetto della sensibilità n o stra, non della sua — infatti
la divinità ignora le lacrim e —, m a pianse in c o lu i19 che conobbe
la tristezza, in colui ch e fu crocifisso, che m ori, che fu sepolto,
pianse in colui cui oggi alludeva il p ro feta dicendo: « M adre Sion »,
dirà l'uom o, e l'uom o fu fa tto in e s sa 20 e l'A ltissim o stesso l'ha

>5 Cf. De off., I, 1, 4: docere uos coepi quod ipse non didici.
16 Qui refert dal significato di « importare » passa a quello di « essere
diverso ». Si potrebbe anche tradurre: « Ed ha una grandissima importanza
se tu rimpiangi, ecc. ». Cf. H or., Sat., I, 1, 49-51, dove i due sensi di refert
si sovrappongono.
17 Cioè: chiunque io pianga, penserò a te. Data la precisa simmetria,
non credo che in om nibus possa significare « fra tutti », come traduce il
Coppa (op. cit., p. 777).
18 Sul m otivo del « pianto », cf. De paen., II, 7, 54-58.
19 Cioè nella natura umana.
20 I Settanta, dai quali deriva il versetto citato da Ambrogio, hanno καί
άνθρωπος έγενή θ η έν αύτί). Per l ’obiettiva interpretazione del versetto stesso,
vedi Libro dei Salm i, a cura di G. C aste llin o , Marietti, Torino 1965, pp. 636-637.
32 DE EXCESSV FRATRIS, I , 1 1 -1 4

« m atre m » Sion dixit genitus in Iudaea, susceptus ex uirgine,


m atre m au tem secundum diu in itatem h ab ere non p o tu it, quia
au c to r est m atris. Ille « factus est » n o n diuina generatione, sed
hum ana, quia « hom o factus est », deus n atu s est. 12. Sic et alibi
habes: P uer natus est nobis, filius d a tu s est nobis*, in p u ero enim
nom en ae tatis, in filio p lenitudo d iu in ita tis b est. « F actus » ex
m atre, « n atu s » ex p atre, idem tam en et « n atu s e s t » et « datu s ».
N on diuersum , sed u n u m putes; unus enim dei filius et « n atu s »
ex p a tre et o rtu s ex uirgine d istan ti ordine, sed in u n o co n cu rrit
nom ine, sicut et p raesen s lectio docet, quia et hom o fa ctu s est in
ea, et ipse fu n d a u it eam altissim us, « hom o » u tiq u e corpore, « al-
tissim us » p o testate, etsi deus et hom o d iu ersitate n atu rae, idem
tam en, no n alte r in u tro q u e. Aliud ergo speciale n a tu ra e suae,
aliud com m une nobiscum , sed in u tro q u e u nus et u tru m q u e p er­
fectus. 13. N on ig itu r m iran d u m est, quia et do m in u m eum et
C hristum fe c it d e u s a. « Fecit » ergo Iesum , eum utique, qui ex
corpore nom en accepit, fecit eum , de quo etiam p a tria rc h a scribit
Dauid: « M ater S ion », dicet hom o, et hom o fa ctu s est in e a b.
Dissim ilis u tiq u e non d iuinitate, sed corpore, nec discretus a p a­
tre, sed exceptus in m unere, m anens in consortio p o testatis, se­
gregatus in m ysterio passionis.

14. P lu ra loci huius tra c ta tu s exposcit, quibus possim


ostendere au c to rita te m p atris, p ro p rie ta tem filii, trin ita tis totius
u nitatem . Sed consolandi hodie, non tra c ta n d i p arte s recepi, quam ­
quam abducere a m aero re anim um in ten tio n e trac tan d i consola­
tionis u sus sit. Sed tem p eran d u s m ihi m aero r quam alienandus
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 1 1 -1 4 33

resa salda. P ianse in lui perché, generato in Giudea, n ato da u n a


vergine, chiam ò Sion m adre; m a, secondo la divinità, non poteva
avere m adre, p e rc h é è il C reatore 'di sua m adre. Egli « fu fa tto »
non p e r la generazione divina, m a p e r quella um ana, perché
« quale uom o fu fa tto », m a q u ale Dio è nato. 12. Cosi anche
in u n altro p asso tu trovi: Ci è nato u n bam bino, ci è stato dato
un figlio: nella p aro la « bam bino » abbiam o il nom e che indica
l'età, nella p aro la « figlio » c’è la « pienezza della n a tu ra divina ».
« F atto » dalla m adre, « n ato » dal P adre, Egli, tu ttav ia, ad u n tem ­
po « è n a to » ed « è sta to dato ». Credilo non d istin to in due p e r­
sone, m a u n a sola persona. In fa tti è l'unico Figlio di Dio, « n ato »
dal P ad re e p a rto rito dalla V ergine in due ordini lontani tr a loro;
Egli p erò si identifica in u n solo nom e, com e insegna la lezione
odierna, p erch é e l'uom o fu fa tto in essa e l'A ltissim o stesso l'ha
resa salda, « uom o » q u an to al corpo, « Altissim o » qu an to alla
potenza, p u r essendo Dio e uom o p e r la diversità della n atu ra , e
tu tta v ia la m edesim a p ersona, non u n a p erso n a d iv ersa nell'uno
e n e ll'a ltro 21. Una cosa è d u n q u e ciò ch e è p ro p rio della su a na­
tu ra, u n ’a ltra ciò che h a in com une con noi, m a in en tra m b e le
n a tu re è unico e p e r fe tto 22. 13. Non bisogna dunque m eravi­
gliarsi che Dio lo abbia fa tto Signore e Cristo. Dio h a fa tto Gesù,
Colui ap p u n to che p re se il nom e dal corpo, h a fa tto Colui di cui
anche il p a tria rc a Davide scrive: M adre Sion, dirà l’uom o, e l’uo­
m o fu fa tto in essa. D issim ile dal P ad re senza dubbio, non p er
la divinità m a secondo il corpo, e non sep arato d a Lui m a a Lui
a sso c ia to 23 nei com piti, co stan tem en te p artecip e della sua poten­
za, sep arato da Lui nel m istero della passione.
14. La trattaz io n e di questo argom ento richiederebbe m
giore sviluppo p e r p o te r d im o strare l’a u to rità del P adre, la n a tu ra
p ro p ria del Figlio, l'u n ità della T rin ità intera. M a oggi m i sono
assu n to il com pito di consolare, non di ten ere u n a predica, quan­
tu n q u e sia co n su eto nei discorsi consolatori distogliere l’anim o
dal dolore m ed ian te l ’applicazione n ecessaria p e r seguire l ’espo­
sizione d i u n a rg o m e n to 24. Io p erò devo m itigare l ’afflizione piut-

21 C f. Sym bolum « Quicumque », 34 (D e n z in g e r - S c h o n m e t z e r , E nchiridion


sym bolorum , η . 7 6 ): qui licet deus s it et homo, non duo tam en, sed unus
e st Christus. S u l l a d i s c u s s a p a t e r n it à d e l Sym bolu m « Quicumque », v e d i
A ltaner , Patrologia, t r a d . it . , M a r i e t t i, T o r i n o 19777, p p . 286-287. C f. a n c h e
De fide, I , 14, 93 s s .
22 C f. Sym bolu m « Quicumque », 32: p erfectu s deus, p erfectu s homo-,
De fide, I I I , 8, 54: Aliud munus e terris, aliud m unus e caelo et utrum que
unus in utroque perfectu s et sine m utatione diuinitatis et sine humanae
im m inutione naturae. C o m e a v v e r t e i l C o p p a ( o p . cit., p . 77 8 , n o t a 2 9 ), l'a c -
c e n n o è d i r e t t o c o n t r o i L u c if e r ia n i, c h i a m a t i c o s i d a L u c if e r o d i C a g lia r i
(m . 3 7 0 /3 7 1 ), p r im a c a m p i o n e d e l l ’o r t o d o s s i a s u l l a l i n e a d i s a n t 'A t a n a s io ,
p o i, p e r l a s u a in t r a n s ig e n z a , p r o m o t o r e d i u n o s c i s m a c h e s i p r o lu n g ò s in
v e r s o l a fin e d e l I V s e c .; v e d i A ltaner , op. cit., p p . 379-380.
23 Q u i excipio h a i l s ig n if i c a t o f o n d a m e n t a l e d i « a c c o g l i e r e », n o n q u e ll o
d i « e s c lu d e r e ».
24 cf. S e n ., Ad Marc., 1, 6 : Omnia... surdas aures irrito e t uix ad breuem
occupationem proliciente solacio transeunt·, 8, 2: Quotiens aliud egeris, ani­
m us relaxabitur, i n o l t r e Ad Pol., 8, 1; P l v t . , Ad ux., 8.
34 DE EXCESSV FRATRIS, I , 1 4 -1 6

adfectus est, u t m u lcean tu r m agis desideria quam sopiantur. Non


lib et enim abire a fra tre longius et occupatione subduci, cum
u elu t com itan d i eius g ra tia hic serm o susceptus sit, u t d iu tiu s
sensu p ro se q u ar proficiscentem , et, quem oculis teneo, m ente
conplectar. In illo en im to tam oculorum aciem figere libet, cum
illo to tis an im o ru m officiis inm orari, illum to to b lan d itia ru m
am bire obsequio. Dum stu p e t anim us, nec am issum credo, qu em
adhuc cern o p raesentem , nec m o rtu u m puto, cuius ad h u c officia
non req u iro , quibus ego u itae m eae usum et sp iran d i om ne m u­
nus addixeram .

15. Quid enim re ferrem tan tae gratiae, tan to labori? E


te, frater, hered em feceram , tu m e heredem reliquisti, ego te
su p erstitem optabam , tu m e su p erstitem dim isisti. Ego p ro m une­
ribus tuis, u t conpensarem beneficia, u o ta referebam , nu n c et
u o ta perdidi, sed tam en tu a beneficia non am isi. Q uid agam m ei
successor h eredis? Quid agam m eae u itae superstes? Q uid agam
exsors huius quod capio lum inis? Quas grates, quae m u n era refe­
ram tibi? N ihil a m e p ra e te r lacrim as habes. Aut fo rta sse securus
m eriti tui quas solas su p erstites habeo lacrim as non requiris. Nam
etiam cu m ad h u c uiueres, flere prohibebas, m aerorem que m agis
n o stru m quam tu am m o rtem tibi esse testab a ris dolori. P rohibent
u lteriu s p ro d ire lacrim ae fletusque reuocant. P ro h ib en t etiam tui
gratia, ne, dum n o stra deflem us, d e tuis m eritis d esp e rare uidea-
m ur. 16. At certe tu nobis etiam m aeroris istius m inuisti acer­
b itatem : N on habeo, quod tim eam , qui tim ebam tibi. N on habeo,
quod m ihi iam m undus eripiat. E tsi sancta su p ersit so ro r in te­
g ritate uenerabilis, aequalis m oribus, non in p a r officiis, tibi tam en
am bo plus tim ebam us, in te u itae huius iu cu n d itatem repositam
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 1 4 -1 6 35

to sto che elim in are la sensibilità, cosi che il rim p ian to sia lenito
anziché cancellato d a ll’oblio del sonno. N on desidero, infatti,
accrescere la d istan za che m i sep ara da m io fratello e con le
occupazioni insensibilm ente allo n tan arm i da lui, dal m om ento
che m i sono deciso a p ro n u n ciare questo discorso quasi p e r r i ­
m anere in sua com pagnia, p e r seguirlo p iù a lungo con le mie
facoltà m en tre p arte , e co nservarne n ell’anim o l ’im m agine che
o ra percepisco con gli occhi. Voglio fissare in lui tu tta la potenza
del m io sguardo, tra tte n e rm i con lu i con tu tte le m anifestazioni
del m io affetto, circondarlo co n tu tto l'om aggio delle m ie carez­
ze. S to rd ito n ell’anim o qual sono, non cred o di averlo perduto,
p erché lo scorgo an co ra presente, né penso che sia m orto, perché
non sento an co ra la m ancanza di quelle m anifestazioni d ’a ffe tto 25
alle quali avevo consacrato tu tta la m ia v ita e ogni m io respiro.
15. Che cosa p o trei dare in cam bio di ta n te attenzioni,
ta n ta p re m u ra? Io avevo istitu ito te, fratello, m io erede, tu hai
lasciato erede me; io m i auguravo che fossi tu a sopravviverm i,
tu invece m i hai lasciato su p erstite. Io, in cam bio dei tuoi doni,
a m ia vo lta facevo voti di p o te r com pensare i tuoi benefici; ora
i m iei voti sono stati vani, m a io non h o p e rd u to i tuoi benefici.
Che debbo fare, essendo succeduto al m io erede? Che debbo fare,
essend o su p erstite alla m ia vita? Che debbo fare, essendo rim asto
privo di' q u esta luce che tu tta v ia vedo ancora? Quali ringraziam en­
ti, q u ali d o n i posso d a rti in cam bio? Da m e tu n o n ricevi' che
lacrim e. O forse, certo del tuo m erito, non desideri le lacrim e
che sole m i restano. In fatti, anche quando eri in vita, m i proibivi
di piangere e afferm avi che ti recava m aggior dolore la n o stra
sofferenza che la tu a m orte. Le lacrim e si rifiu ta n o 26 di sgorgare
più oltre, i lam enti rito rn an o in gola. Si rifiutano anche p e r u n
riguard o verso di te, perché, m en tre piangiam o la n o stra sven­
tu ra, non sem b ri che no n abbiam o fiducia nei tuoi m e r iti27. 16. Ma
tu certam en te h ai m itigato in noi l’acerb ità anche di questo no­
s tro dolore: non ho p iù nulla da tem ere, m en tre p rim a tem evo
p e r te. O rm ai no n ho p iù nulla che il m ondo p o ssa strapparm i.
Sebbene sopravviva la n o stra san ta s o re lla 28, degna di venerazio­
ne p e r la sua verginità, p ari a te nella condotta di vita, non infe­
rio re nelle prem u re, tu tta v ia en tram b i tem evam o m aggiorm ente
p e r te, in te consideravam o rip o sta la gioia di q u e sta vita. Erava-

25 Ritengo che gli officia, di cui si parla qui, siano le « affettuosità », le


reciproche « m anifestazioni di affetto », cui Ambrogio aveva dedicato la sua
vita. Diversamente il Coppa (op. cit., p. 779): « le sue attenzioni ».
26 L’uso dell’attivo (prohibent... reuocant) con valore riflessivo non è
raro nel tardo latino; cf. sotto coartauit. Vedi G. D evoto , S toria della lingua
di Roma, Cappelli, Bologna 1942, pp. 339-340; D . N orberg, Manuel pratiqu e du
latin médiéval, Picard, Paris 1968, pp. 160-161.
27 Per tutto il paragrafo cf. S e n ., A d Poi., 5, 1-3.
28 Marcellina, consacrata vergine il 6 gennaio 353 nella basilica di S.
Pietro. Il velo le f u im posto da Papa Liberio: vedi D u d d e n , op. cit., I, p. 3.
Il Paredi (S. Am brogio e la sua età, cit., p. 12) parla più in generale di
« celebrazione natalizia ».
36 DE EXCESSV FRATRIS, I , 1 6 -1 9

putabam u s. P ro p te r te u iu ere delectabat, p ro p te r te non pigebat


m ori; te enim am bo su p erstitem p raecab am u r, tib i nos superui-
u ere non iu uabat. Q uando non co a rtau it anim us, cum m etu s huius-
m odi titillare t? Quom odo co n stern ata m ens e ra t aegritudinis tuae
nuntio! 17. Vae m iserae opinioni! P utabam us red d itu m , q uem
uidem us dilatum ; tuis enim uo tis ap u d san ctu m m arty re m L auren­
tiu m in p etra tu m esse nu n c cognoscim us com m eatum . A tque uti-
n am non solum com m eatum , sed etiam prolixum u itae tem pus
rogasses! P o tu isti annos plurim os in p e tra re uiuendi, qui p o tu isti
com m eatum in p etra re ueniendi. E quidem tibi, om nipotens aetern e
deus, g ratias ago, quod u el haec nobis su p rem a solacia non nega­
sti, qu o d am antissim i fra tris ex Siculis A fricanisue regionibus exop­
ta tu m nobis re d itu m con tulisti; ita enim m atu re, p o stq u am uenit,
erep tu s est, quasi p ro p te r hoc solum u id e re tu r esse dilatus, u t ad
fra tre s red iret. 18. H abeo plane pignus m eum , q u o d nulla m ihi
p ereg rin atio iam po ssit auellere, habeo, quas conplectar reliquias,
habeo tum ulum , quem co rp o re tegam , habeo sepulchrum , su p er
quod iaceam : com m endabiliorem deo fu tu ru m esse m e credam ,
quod su p ra sancti co rporis ossa requiescam . V tinam sic p o tu is­
sem ad u ersu s m o rtem quoque tu am m eum co rp u s obicere! Si
gladiis p etitu s esses, m e p ro te potius subfigendum dedissem , si
exeuntem p o tu issem reu o care anim am , m eam p o tiu s obtulissem .
19. Nihil m ihi p ro fu it ultim os hausisse anhelitus, nihil flatus m eos
inspirasse m o rienti; p u tab am enim , quod a u t tu am m o rtem ipse
susciperem a u t m eam u itam in te ipse tran sfu n d erem . O infelicia
illa, sed tam en dulcia su prem a osculorum pignora! O am plexus
m iseri, in te r quos exanim um corpus obriguit, h alitu s suprem us
euanuit! S tringebam qu id em brachia, sed iam p erdideram , quem
tenebam , et extrem um sp iritu m ore relegebam , u t consortium
m o rtis h au rirem . Sed nescio quom odo uitalis ille m ihi halitus
factu s est et m aiorem g ratiam in ipsa m o rte redolebat. Atque
utinam , si tu am nequiui m eo sp iritu u itam producere, uel ultim i
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 1 6 -1 9 37

m o lieti di vivere p e r te, p e r te non c i dispiaceva di m orire;


e n tram b i pregavam o che tu ci fossi su p erstite, non ci recava pia­
cere sopravviverti. Provavam o u n a s tre tta in cuore, quando ci
torm en tav a u n a sim ile preoccupazione. C om 'era rim asto a b b a ttu ­
to l’anim o n o stro alla notizia della tu a m alattia! 17. Vane n o stre
aspettative! Pensavam o che ci saresti stato restitu ito , m en tre
vediam o che si tra tta v a di u n rin v io 29; in fa tti o ra sappiam o che
con le tue p reg h iere al santo m a rtire L o re n zo 30 avevi o tten u to
solo d i m e tte rti "in viaggio. M agari tu avessi o tten u to non so­
lo di m e tte rti in viaggio, m a anche di vivere a lungo! Tu che
hai p o tu to o tten ere di m e tte rti in viaggio p e r giungere qua,
avresti p o tu to o tten ere m oltissim i anni p e r vivere. In ogni caso
rendo grazie a Te, Dio onnipotente ed eterno, p erch é n o n ci hai
negato alm eno questo suprem o conforto, ci hai concesso cioè il
sospirato rito rn o del n o stro am atissim o fratello dalla Sicilia e
dall’Africa. Egli, in fatti, ci fu stra p p a to ap pena giunto, quasi che
solo p er questo la sua m o rte fosse sta ta differita, p erché potesse
rito rn a re dai fratelli. 18. C ertam ente ho qui l’oggetto del mio
am ore, che o rm ai nessu n viaggio m i p o treb b e strap p a re, ho qui
il suo corpo d a strin g ere fra le m ie braccia, ho qui il suo tum ulo
da co p rire con la m ia persona, ho il suo sepolcro sul quale abban­
donarm i: p o trei cred ere di essere in avvenire più g rad ito a Dio
p e r il fa tto di giacere sulle ossa di questo santo corpo. Oh, avessi
p o tu to ugualm ente o p p o rre il m io co rp o anche alla tu a m orte! Se
tu fossi stato assalito con le spade, m i sarei esposto ai colpi p er
proteggerti; se avessi p o tu to rich iam are la tu a anim a che usciva
dal corpo, avrei p iu tto sto offerto la m ia. 19. A nulla m i è giova­
to raccogliere i tu o i estrem i aneliti, a nulla infonderti, m entre
stavi m orendo, il m io re s p ir o 31: pensavo o di accogliere in m e
la tu a m o rte o di trasfo n d ere in te la m ia vita. 0 dolorosi e tu t­
tavia dolci, u ltim i ten eri baci! O vani abbracci tr a i quali il
corpo esanim e si irrigidì e svanì l’u ltim o tuo respiro! Stringevo,
si, le m ie 32 b raccia, m a orm ai avevo p e rd u to chi stavo a b b rac­
ciando e ne raccoglievo con la bocca l ’estrem o anelito, p e r aspi­
ra re la m o rte insiem e con lui. Ma, non so com e, quel suo ane­
lito è d ivenuto p e r m e ferm ento di vita, e p ersin o nella m orte
em anava u n fascino an co ra più grande. E m agari, visto che non
ho potu to p ro lu n g are la tu a v i t a 33 col m io respiro, si fosse al-

29 « Rinvio » della morte, non del ritorno. Vedi sotto esse dilatus. Frain­
tende il Palestra (op. cit., p. 38).
30 Cf. Exh. uirg., 3, 15: ...considera cui te m uneri p a te r tali nomine
designauerit, qui uocauit Laurentium.
31 Sull’uso romano di raccogliere l’ultim o respiro del morente con un
bacio, vedi P alestra , op. cit., p. 30. Cf. inoltre V erg., Aen., I V , 684-685: et,
extrem us si quis super halitus errat, / ore legam; Cic., Verr., V, 45, 118:
Quae nihil aliud orabat nisi u t filiorum suorum postrem u m sp iritu m ore
excipere liceret; S e n ., Ad Mare., 3 , 2: N on licuerat m atri u ltim a filii oscula
gratum que extrem i serm onem oris haurire.
32 In rapporto al successivo quem tenebam , sottintenderei m ea a brachia,
non eius, come preferisce il Coppa (op. cit., p. 781).
33 Cf. V erg ., Aen., I I , 637: abnegat excisa u itam producere Troia.
38 DE EXCESSV FRATRIS, I , 1 9 -2 2

anhelitus tu i u ig o r tran sfu n d i po tu isset in m eam m entem et illam


tu i anim i p u rita te m atq u e innocentiam n o ster sp ira re t adfectus!
H anc m ihi h ered itatem , fra te r carissim e, reliquisses, q u ae non
lacrim abili d o lo re p ercu tere t adfectum , sed m em orabili g ratia
com m en d aret heredem . 20. Quid ig itu r n u n c agam , cu m om n is
u itae istiu s suauitates, cu n c ta solacia, cuncta denique orn am en ta
am iserim ? Tu enim m ihi u nus eras dom i solacio, foris decori, tu,
inquam , in consiliis a rb ite r, c u rae particeps, d e p re c a to r sollici­
tudinis, d ep u lso r m aeroris, t u m eo ru m a d se rto r ac tu u m cogita-
tionum que defensor, tu p o strem o unus, in quo dom estica sollici­
tu d o resid eret, publica cu ra requiesceret. T esto r sanctam anim am
tu am m e in fab ricis ecclesiae id saepe u e ritu m esse, n e displice­
re m tibi. D enique u b i red isti, obiurgasti m oram , ita dom i forisque
e ru d ito r quidam et a rb ite r sacerdotis, u t do m estica cogitare non
sineres, p u b lica c u ra re censeres, u t non uerear, n e u id ear adro-
g an ter dicere; haec enim 'laudis tuae p o rtio est, quia sine offen­
sione u lla e t g u b ernasti fra tris dom um et com m endasti sacerdo­
tium .

21. Sentio equidem , quod repetendis officiis tuis recensen-


disque u irtu tib u s adficiatur anim us, sed tam en in ip sa m ei ad-
fectione requiesco atq u e hae m ihi recordationes, etsi dolorem
ren o u an t, tam en u o lu p tatem ad feru n t. An ego possum a u t non
cogitare de te au t um q u am sine lacrim is cogitare? E t p o tero um -
q uam a u t ta n ti non m em inisse fra tris a u t sine lacrim abili quadam
m em inisse gratia? Quid enim m ihi u m q u am iucundum , quod non
esset ex te p rofectum ? Quid, inquam , m ihi sine te a u t tib i u m ­
qu am sine m e u o lu p tati fu it? Quis non u su s nobis et p ro p e uisus
ipse som nusque com m unis? Quae d isc re ta u m q u am uoluntas?
Quod non com m une uestigium , u ere ut, cu m gradum tollerem , uel
tu m eum uel ego tu u m corpus u id ere m u r adtollere? 22. Quodsi
quando sine a ltero p ro d eu n d u m fuit, in tectu m latus pu tares,
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 1 9 -2 2 39

m eno p o tu to trasfo n d ere nel m io spirito il vigore del tuo ultim o


anelito e i n o stri sen tim enti spirassero la purezza e il candore
del tuo animo! Mi av resti lasciato cosi, fratello carissim o, u n ’ere­
dità che no n straziereb b e il m io anim o col dolore che provoca il
pianto, m a raccom anderebbe l ’erede col ricordo venerato della
tu a b o n tà 34. 20. Che farò, dunque, o ra ch e ho p e rd u to t u t t e 35 le
gioie, tu tte le consolazioni, in u n a parola, tu tte le riso rse di que­
sta vita? Tu solo eri p e r m e conforto in casa, onore in pubblico;
tu, ripeto, approvavi le m ie decisioni, condividevi le m ie inquie­
tudini, allontanavi le m ie angustie, cacciavi da m e la tristezza; tu
eri il sostegno delle m ie azioni, il difensore dei m iei pensieri, tu,
infine, eri il solo in cui le preoccupazioni dom estiche avessero
posa e trovassero sollievo le resp o n sab ilità pubbliche. Chiam o a
testim one la tu a san ta anim a che io nella costruzione delle chie­
se 36 spesso ho tem u to di non avere la tu a approvazione. T an t’è
vero che, al tuo rito rn o , m i rim p ro v erasti l’indugio, divenendo sia
in priv ato sia in pubblico, p e r cosi dire, il m aestro e il responsa­
bile delle decisioni del vescovo, a tal pu n to da non p erm e tte re
che io m i occupassi delle faccende private, in q u an to ritenevi che
dovessi atten d e re esclusivam ente ai doveri del m io m inistero.
Dicendo questo non tem o di a p p a rire presuntuoso: è u n m erito
che sp etta a te, perché, senza fa re to rto a nessuno, hai am m ini­
strato la casa di tuo fratello e reso più degno il suo m inistero
episcopale.
21. Mi rendo conto che nel rico rd are i servizi che m i hai
reso e nel p assare in rassegna le tue v irtù il m io anim o soffre;
m a tu tta v ia nella m ia stessa pena trovo sollievo, e questi ricordi,
anche se rinnovano il m io d o lo re 37, tu tta v ia m i fanno piacere.
P otrei forse non p en sare a te o pen sare a te senza pianto? P otrò
u n giorno o no n rico rd arm i di u n sim ile fratello o ricordarm ene
senza lacrim e d ’affetto? Quale gioia ho m ai provato che non m i
venisse da te? Quale p iacere ho m ai goduto senza di te o tu
senza di m e? Quale ab itu d ine non ci fu com une, non esclusi, sta­
rei p e r dire, la stessa v eg lia38 e il sonno? Q uando m ai la n o stra
volontà fu diversa? Q uando il n o stro p asso non p ro ced ette insie­
me, a tal p u n to che, davvero, nel m om ento in cui sollevavo il pie­
de, sem brava o ch e tu alzassi il m io corpo o io il tuo? 22. E se
talvolta eravam o c o stre tti a uscire di casa l ’uno senza l’altro,
avresti cred u to indifeso il n o stro fianco, avresti visto ra ttris ta to

34 II Coppa (op. cit., p. 781) traduce m em orabili gratia « con lo splendo­


re del dono ».
35 Omnis = om n es; vedi, subito dopo, cuncta.
36 Scrive il Palestra (op. cit., p. 33): « Prepara infine in questo tempo,
con l'aiuto di Satiro, i progetti e un piano amm inistrativo per la costru­
zione delle tre nuove basiliche e del battistero ». Cf. Ep., 77 (Maur. 22), 1, 13,
Marcellinae·. N am cum ego basilicam dedicassem , m u lti tam quam uno ore
interpellare coeperunt dicentes: « S icut R om anam basilicam dedices ».
37 Cf. Verg., Aen., II, 3: infandum... renouare dolorem .
38 Ho creduto di rendere uisus, propriam ente « vista », « sguardo », con
l’italiano « veglia », in contrapposizione con « sonno ».
40 DE EXCESSV FRATRIS, I , 2 2 -2 4

adfectu m u u ltu m cerneres, m aestum anim um iudicares. N on ad-


su eta gratia, non uigor solitus p raen iteb at, suspecta om nibus soli­
tu d o m etu m alicuius aegritudinis adferebat: ita nouum u id e b a tu r
om nibus nos diuidi. Ego certe fra te rn a e o b litu s absentiae quasi
p raesen tem reflexa saepius ceruice q uaerebam e t coram alloqui
atq u e asp icere u id eb ar m ihi, sed tam q u am suspensum collo iugum ,
ub i sp eratis excideram , tra h e re m e p u tab am , difficilis progredi,
uerecu n d u s u ideri, et re d ire dep ro p eran s, quod sine te p ro ced ere
n o n lib eret. 23. At u ero u b i am bobus p ro d e u n d u m fu it, non p lu ra
in itin e re u estig ia q u am u erb a, nec incessus qu am serm o creb rio r,
nec am bulandi cura, sed conloquendi gratia. V terque enim n o stru m
ex alteriu s o re p en d eb at, n on in te n to aspectu legere iter, sed m u­
tuos sollicitus excipere serm ones, h a u rire oculorum gratiam , spi­
ra re fratern a e im aginis uoluptatem . Q uam u irtu te s tu as tacitus
m ecum ipse m irab a r, q uam p laudebam m ihi, q u o d tali m e dom i­
nus fra tre don au erat, tam pudico, tam efficaci, ta m innocente, tam
sim plici, u t, cu m tu a m in nocentiam cogitarem , efficaciam despe­
rarem , cum efficaciam cernerem , innocentiam non putarem ! Sed
u tru m q u e m ira qu ad am u irtu te iungebas. 24. D enique ea, quae
am bo n eq uiueram us concludere, solus inplesti. P laudebat sibi, u t
audio, P rosper, quod sacerdotii m ei occasione re d d itu ru m se,
q uae ab stu lera t, n o n p u ta b a t, sed uehem entiorem tu am unius
efficaciam ex pertus est q u am duorum . Ita q u e soluit om nia, nec
m oderationi in g ratu s tu ae nec inludens pu d o ri, sed et m odestiae
g ratu s nec insolens efficaciae. Sed cui, fra te r, illa quaesisti? Nos
enim idem uolebam us lab o ru m tu o ru m esse praem ium , quod
docum entum erat: peregisti om nia, et ubi p erfu n ctu s om nibus
reu ertisti, tu solus nobis, q u i om nibus es p raeferendus, eriperis,
quasi ideo m o rtem distu leris, u t consum m ares p ietatis officium,
p alm am efficaciae rep o rtares.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 2 2 -2 4 41

il n o stro volto, av resti giudicato afflitto il n o stro anim o. N on ri­


splendeva la grazia co n su eta né la solita vivacità, e la n o stra
solitudine, che nessuno sapeva spiegare, faceva tem ere p e r l’as­
sente q u alch e m alattia. A ta l p u n to sem brava stran o a tu tti che
non fossim o insiem e. Io alm eno, dim enticando l'assenza del fra ­
tello, lo cercavo spesso girando la te sta com e se fosse p resen te e
m i sem brava di rivolgergli la p aro la e di vederm elo al fia n c o 39,
m a, qu an d o le m ie speranze venivano m eno, credevo 'di trasc in a re
u n giogo attaccato al m io collo procedendo a fatica, vergognoso
d'esser visto, sm anioso di to rn are, perché senza d i te non m i p ia­
ceva a n d a re avanti. 23. M a quando dovevam o u scire insiem e,
d u ra n te il p erco rso i p assi non erano p iù delle p aro le n é l'an d a­
tu ra era p iù affrettata del discorso, e non ci preoccupavam o di
cam m inare, m a godevam o di conversare. C iascuno di noi pendeva
dal lab b ro d ell’a l t r o 40, p reoccupato non di o sservare con occhio
a tte n to il c a m m in o 41, m a di ascoltare i reciproci discorsi, d i co­
gliere tu tto il fascino dello sguardo d ell'altro, di assap o rare il
piacere dell'im m agine fratern a. Q uanto am m iravo in silenzio den­
tro di m e le tu e virtù , q u an to m i com piacevo co n m e stesso p e r­
ché il Signore m i aveva fa tto dono di u n sim ile fratello, cosi vir­
tuoso, cosi abile, cosi re tto , cosi sincero che, quando pensavo
alla tu a re ttitu d in e, perdevo la fiducia nella tu a abilità, q uando
constatavo la tu a abilità, n o n potevo cred ere alla tu a re ttitu d in e!
Ma tu riuscivi a congiungere en tram b e queste doti co n u n a non
so quale am m irevole capacità. 24. P erciò d a solo sei stato cap a­
ce di p o rta re a b u o n term in e u n affare ch e in d u e non eravam o
sta ti in grado di concludere. A q u an to m i si riferisce, P ro sp e ro 42
si com piaceva d en tro di sé perché, in seguito alla m ia elevazione
all'episcopato, no n p ensava di re s titu ire ciò d i cui si era appro­
p riato ; m a dovette co n stata re che la tu a sola ab ilità era p iù effi­
cace di quella di noi due. Cosi saldò ogni pendenza, senza m o stra r­
si ingrato verso la tu a m oderazione e senza fa rsi gioco della tu a
delicatezza, m a dim o stran dosi g rato al tu o senso d i m isu ra e
privo di arrog an za davanti alla tu a abilità. M a p e r chi, fratello,
hai rich iesto quei beni? Noi, infatti, volevam o ch e la ricom pensa
delle tu e fatiche fosse p a ri a ciò ch e esse avevano obiettivam ente
ottenuto: risolvesti ogni questione, e, q u an d o sei rito rn a to dopo
aver adem piuto ogni incarico, ci vieni ra p ito tu solo, il m igliore
di tu tti, com e se avessi differito la m o rte p e r com piere il tuo
dovere di am o r fratern o , p e r rip o rta re la p alm a della tu a abilità.

39 II Coppa (op. cit., p. 783) traduce: « ...e m i pareva che m i guardassi


o m i rivolgessi la parola ». A m e non sembra che grammaticalmente tale
traduzione sia sostenibile.
40 Cf. Verg., Aen., IV, 79: pen detqu e iteru m narrantis ab ore.
ή Cf. ibid., IX, 392-393: e t uestigia retro / obseruata legit.
42 Su questa vicenda vedi l'Introduzione.
42 DE EXCESSV FRATRIS, I , 2 5 -2 9

25. Q uam nec ipsi nos, fra te r carissim e, saeculi huius de­
lectab an t honores, quod nos a nobis inuicem diuidebant! Quos
ideo ad ep ti sum us, non quia eorum fuit expetenda perceptio, sed
ne uilis dissim ulatio u id ere tu r. Aut fo rtasse ideo su n t trib u ti, ut,
quia m atu ro tu i o b itu n o strae fu tu ru s e ra t u o lu p tatis occasus,
sine nobis iam u iu ere discerem us. 26. E quidem praesagae m en­
tis agnosco form idinem , d um repeto saepe, quae scripserim . Reuo-
cabam te, fra te r, ne ipse A fricam p eteres ac potius aliquem desti­
nares. Tim ebam te co m m ittere uiae, fluctibus credere, et solito
m etus m aio r in cesserat anim um . Sed et peregrinationem explicui­
sti et rem o rd in asti et u eteri et sentinoso — u t audio — nauigio
iteru m te fluctibus credidisti. N am que dum celeritatem aucupa­
ris, cautelam p raeterm isisti, auidus n o strae gratiae, dissim ulans
periculi tui. 27. O fallax laetitia, o in certa h u m an aru m reru m
curricula! Ex Africa red d itum , ex m ari re stitu tu m , ex naufragio
seru atu m p u tab am u s iam nobis non posse eripi. Sed grauiora
n aufrag ia in te rris p ositi sustinem us; n am quem non p o tu e ru n t
naufrag ia ad m o rtem deducere strenuis n atatib u s eu itata, eius
m ors coepit nobis esse naufragio. Q uid enim su p erest suauitatis,
quibus tam praedulce decus, tam carum in his m undi tenebris
lum en extinctum est, in quo non n o strae solum fam iliae, sed
to tiu s p atria e decus occidit?

28. Habeo sane uobis, fra tre s dilectissim i, plebs sancta, m


m am gratiam , quod non alium m eum dolorem quam u e stru m p u ­
tatis, quod uobis accidisse hanc n o stri creditis solitudinem , quod
fletum to tius ciuitatis, aetatu m om nium , om nium ordinum noua
quadam p ietate defertis. Non enim m isericordiae p riu ata e dolor,
sed quoddam publicae officium e t m unus est gratiae, aut, si qua
uos m ei tan git m isericordia, quod talem fra tre m am iserim , habeo
fru ctu m uberem , habeo u e stri pignus adfectus. M allem fra tre m
uiuentem , sed tam en p ublicum officium in secundis rebus iucun-
dius est, in aduersis gratius. 29. N eque u ero m ihi m ediocre m e­
ritu m ta n ti u id e tu r officii. N eque enim otiose uel in actibus apo­
stoloru m T ab ith a m o rtu a flentes uiduae d e s c rib u n tu r3, uel in

29. « Cf. Act 9, 36.


PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 2 5 -2 9 43

25. Gli onori stessi di questo m ondo non ci procuravano


affatto soddisfazione, p erch é ci dividevano l ’uno dall’a l t r o 43. E noi
li abbiam o conseguiti non perché fosse desiderabile il lo ro rag­
giungim ento, m a p erch é il m o strarsen e in cu ran ti non apparisse
viltà. O forse ci sono stati conferiti perché, siccom e p e r la tu a
m o rte im m inente la n o stra gioia avrebbe conosciuto il tram o n ­
to, im parassim o o rm ai a vivere l’uno sep arato dall'altro. 26. Q uan­
to a me, quando spesso rievoco ciò che ti scrivevo, riconosco nelle
m ie lettere l'angoscia d ’u n anim o p re s a g o 44. Cercavo d i distoglier­
ti dicendoti di n on an d are in A frica o di scegliere p iu tto sto qual­
che altro. Avevo p a u ra di esp o rti ai pericoli del viaggio, di la­
sciarti in b alia d ei flutti, e u n tim ore p iù grave del solito aveva
assalito il m io anim o. M a tu su p erasti le difficoltà del viaggio e
sistem asti la questione e di bel nuovo ti affidasti ai flu tti su u n a
nave, a q u an to sen to , vecchia e m alandata. In fatti, siccom e t ’im ­
p o rtav a solo la ra p id ità del viaggio, tra sc u ra sti la prudenza, desi­
derando im paziente il n o stro affetto e fingendo d ’ignorare il tuo
pericolo. 27. 0 letizia ingannevole, o corso in certo delle vicende
um ane! Una volta rito rn a to daH’Africa, giunto a riva dal m are,
scam pato al n a u fra g io 45, pensavam o che tu non potessi p iù es­
serci rapito. M a ecco che sulla te rra dobbiam o affrontare più
rovinosi naufragi; in fa tti com inciò a farci n au frag are la m orte
di colui che non erano riu sciti a fa r p e rire i nau frag i cui era scam ­
p a to con poderose n u o tate. Quale gioia rim an e a coloro p e r i
quali si è spento u n cosi am abile v a n to 46, u n a luce cosi c a ra nel­
le ten eb re d i q u esto m ondo, con cui è p e rito l’onore non solo
della n o stra fam iglia, m a di tu tta la p atria?
28. C e rta m e n te 47, fratelli am atissim i, popolo santo, vi debbo
infinita riconoscenza, p erché considerate il m io dolore t u t t ’uno
col vostro, p erch é p en sate che sia toccata a voi q u esta n o stra
solitudine, p erch é con u n a p ietà senza preced en ti m i esibite il
p ian to d i tu tta la città, di tu tte le età, di tu tte le categorie di
cittadini. Non si tra tta , in fatti, di u n dolore dovuto alla com pas­
sione dei singoli, m a, p e r cosi dire, d i u n a dim ostrazione e di u n
trib u to d i p u b b lica benevolenza o, se qualche com passione p ro ­
vate p e r m e p erch é h o p erd u to u n tale fratello, in questo vostro
sentim en to ho u n a ricom pensa sovrabbondante, ho u n a prova del
vostro affetto. P referirei che m io fratello fosse vivo, m a tu ttav ia
la pub b lica p artecipazione è v eram ente a c cetta nella b u o n a fo r­
tuna, p artico larm en te g rad ita nelle avversità. 29. Né d ’a ltra p a rte
è di poco v alo re p e r m e il m erito di u n a tale dim ostrazione. Non
a caso, in fatti, negli Atti degli Apostoli si descrivono le vedove

43 Quando nel 370 Ambrogio venne a Milano, Satiro ebbe la carica di


governatore di un’altra provincia a noi ignota ( D u d d e n , op. cit., I, p. 61).
44 Cf. V erg., Aen., X, 843: praesaga m ali mens.
« Vedi nota 67 al par. 43.
46 Cf. V erg ., Aen., XI, 155: praedulce decus.
47 Cf. M e n . R h e t ., Περί επιδεικτικών (Περί μονωδίας), 318 (III, p. 436,
11 s . S pengel ).
44 DE EXCESSV FRATRIS, I , 2 9 -3 1

euangelio m o ta lacrim is uid u ae prosequens tu rb a funus adule­


scentis in d u c itu rb, cui re su rrec tio debebatur; illam tam en Tabi-
th am uiduae, h u n c to ta ciuitas fleuit. N on ergo dubium est u estris
lacrim is ap o sto lo ru m p atro cin iu m conparari, non, inquam , d u ­
bium est C hristum m isericordia m otum , cum uos flentes uideret.
E tsi nu n c no n tetigit lo c u lu m °, suscepit tam en com m endatum .
E tsi non ap p ellau it corporis uoce defunctum , diuinae tam en pote­
statis au c to rita te a cru ciatibus m o rtis et a « nequitiae spiritalis » d
incursionibus eius anim am liberauit. E tsi n o n resedit in loculo,
qui erat m o r tu u s e, tam en re q u ieu it in C hristo. E tsi non locutus
e st nobis, tam en ea, quae su p ra nos sunt, cernit, e t quae p o tio ra
su n t nobis, iam se u id ere laeta tu r. P er ea enim , quae in euangelio
legim us, « quae fu tu ra su n t » f intellegim us, et p raesen tiu m species
indicium fu tu ro ru m est. 30. N on opus fu it ei re su rrec tio tem ­
poralis, cui a e te rn a debetur.
Q uid enim in h an c m iseram et aerum nosissim am recid eret
labem atq u e in h an c flebilem u itam red iret, quem ra p tu m m agis
esse ex tam im m inentibus m alis urg en tib u sq u e periculis gaudere
debem us? N am si pacato saeculo bellisque cessantibus ra p tu m
E noc nem o d efle u ita, sed m agis p ro p h e ta laudauit, sicut de illo
sc rip tu ra dixit: R a p tu s est, ne m alitia m u ta ret cor e iu s b, qu an to
m agis nu n c iu re dicendum est, cum ad saeculi lubricum u itae
accedat am biguum : R a p tu s est, ne in m anus incideret b a rb a ro ­
rum , raptus est, ne to tiu s orbis excidia, m undi finem, p ro p in q u o ­
ru m fu n era, ciuium m ortes, p o strem o ne san ctaru m uirginum
a tq u e u id u aru m , quod om ni m o rte acerbius est, conluuionem
u ideret. 31. Ego u ero te, fra te r, cum u itae tu ae flore, tu m m ortis
com m oditate b eatu m a rb itro r. N on enim nobis erep tu s es, sed
periculis, n o n u itam am isisti, sed ingruentium ac erb itatu m for­
m idine caruisti. Nam qui eras sanctae m entis m isericordia in

b Cf. Lc 7, 12 ss.
c Lc 7, 14.
<· Cf. Eph 6, 12.
« Lc 7, 15.
£ Cf. Dan 8, 19.
30. » Cf. Gen 5, 22-24; Hebr 11, 5 (Eccli 44, 16).
b Sap 4, 11*.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 2 9 -3 1 45

piangenti alla m o rte di T abita o nel Vangelo si ra p p resen ta la


folla che, com m ossa dal pianto di u n a vedova, segue il funerale
di u n giovanetto; m a T abita fu p ian ta dalle vedove, costui d al­
l'in tera città. N on è dubbio, dunque, che le v o stre lacrim e o tten ­
gano l'intercessione degli apostoli, non è dubbio, ripeto, che C ri­
sto sia stato in d o tto a com passione vedendovi piangere. Anche se
o ra no n h a toccato la bara, h a tu tta v ia accolto colui che gli è
sta to raccom andato. Anche se non h a chiam ato il defunto con
la voce del corpo, tu tta v ia con l ’a u to rità della potenza divina h a
lib erato la sua an im a dai to rm en ti della m o rte e dagli assalti degli
« spiriti del m ale ». Anche se colui che era m orto non si è m esso
a sedere sulla b ara, tu tta v ia vede ciò che sta so p ra di n o i48 e
orm ai si ralleg ra di contem plare le re altà che valgono p iù di
noi. P er mezzo di quello che leggiam o nel Vangelo com pren­
diam o « ciò che dovrà avvenire », e l’apparenza delle cose p resenti
è prova di quelle fu tu re. 30. Non aveva bisogno di u n a risu rre ­
zione nel tem po, perché gli è dovuta la risurrezione p er l’eternità.
A quale scopo, in fatti, dovrebbe ricadere in q u esta m isera e
travagliatissim a ignom inia e in q u esta lacrim evole vita, m en tre
dobbiam o p iu tto sto rallegrarci che sia stato so ttra tto a m ali cosi
m inacciosi e a pericoli cosi in c a lz a n ti49? In fatti, se nessuno
pianse E noc rap ito in cielo quando il m ondo era in pace e non
c'erano guerre, m a p iu tto sto il p ro fe ta lo lodò, com e disse di
l u i 50 la S c rittu ra: Fu rapito, perché la m alvagità non corrom pesse
il suo cuore, q u an to p iù adesso, quando ai pericoli del m ondo si
aggiunge l'incertezza della vita, dobbiam o dire a b u o n diritto:
Fu rapito p erch é n on cadesse nelle m ani dei b arb ari, fu rapito
p erché no n vedesse l'eccidio di tu tta la te rra , la fine del m ondo,
l'uccisione dei suoi cari, la m o rte dei cittadini, infine — p en a p iù
crudele d'ogni m o rte — la profanazione delle vergini consacrate
e delle v ed o v e51. 31. In verità, fratello, io ti stim o felice sia
perché sei m o rto nel fiore della tu a vita sia p e r il m om ento della
tu a m o r te 52. N on sei stato ra p ito a noi, m a ai p e ric o li53, non hai

Cf. M e n . R h e t ., Περί έπιδεικτικών (Περί παραμυθητικού), 283 (III,


p. 414, 15-20 S peng el ): εί δε ατύ χη μ α , τύχη ς τά π ίπ τειν ενθάδε, έξέφυγε τά
μιαρά τοΰ βίου, εΐτα δτι π είθομ αι τον μ ετα σ τά ντα τό ήλύσιον πεδίον οίκεΐν,
οπου ‘Ρ αδάμ ανθυς, οπου Μ ενέλεως, οπου παΐς 6 Πηλέως καί Θέτιδος, οπου
Μ έμνω ν καί τ ά χ α που μ ά λ λο ν μετά των θεών διαιτάται νΰν. περιπολεϊ
τον αιθέρα καί επισκοπεί τά τήδε; ( Περί επιταφίου ), 294 (III, ρ. 421,
16-17 S pengel ): π ολιτεύεται γάρ μετά τω ν θεώ ν, ή το Ή λύσιον εχει πεδίον.
49 Cf. Μ ε ν . R h e t ., Περί επιδεικτικών ( Περί παραμυθητικού ), 283 (III,
ρ. 414, 8-15 S p eng el ): ...καί οτι βελτίω ν έστί τ ά χ α ή μ ετάστασ ις τοΰ τηδε
βίου, ά π α λ λά ττου σ α πραγμάτω ν άδικων, π λεονεξίας, άδικου τύχης· οίον
γάρ τό πλεϊον το πράγμ ασιν άνθρω πίνοις συμπλέκεσθαι, νόσοις, φροντίσι.
Έ ρεϊς δε μ ετά ταϋτα, οτι εί μέν κέρδος τό βιοΰν, ίκανώς άπολέλαυκε, καί
λέξεις δ σύνοιδας περί αύτοϋ, ώ φθη μέν έν λόγοις εί ουτω τύχοι, έν πολιτείαις.
50 Veramente il passo della Sapienza si riferisce genericamente all’uomo
giusto.
si Cf. A m m , XXXI, 8, 6-8; 10, 4.
52 Cf. Cic., De orat., III, 3, 12: Ego uero, te, Crasse, cum uitae flore
tum m ortis opportu n itate diuino consilio et ornatum e t extinctum arbitror.
53 Cf. S all ., Iug., 14, 22-23: Iam iam, fra ter anim o m eo carissim e, quam-
46 DE EXCESSV FRATRIS, I , 3 1 -3 3

tuos, si nunc u rg eri Italiam tam p ro p in q u o ho ste cognosceres,


q u an tu m ingem isceres, q u am doleres in Alpium uallo sum m am
n o strae salutis consistere lignorum que concaedibus co n stru i m u­
ru m pudoris! Qua adflictione m aereres ta m ten u i ab hoste discri­
m ine tuos esse, ab hoste in p u ro atq u e crudeli, qui nec pudicitiae
p a rceret nec saluti! 32. Q uonam , inquam , haec m odo ferres, q u ae
nos p erp eti et fortasse, quod grauius est, spectare cogem ur: rapi
uirgines et auulsos a conplexu p aren tu m paruos liberos su p ra tela
iactari, in cestari sac rata deo c o rp o ra e t senilem u iduae m atu rio ris
u te ru m in usus desuetos onerum redire, non pignorum ? Q uonam ,
inquam , m odo ista to lerares, qu i etiam u ltim o sp iritu tu i iam for­
tasse oblitus et adh u c n o stri non in m em o r de cauenda incursione
b a rb a ro ru m nos saepius adm onebas, com m em orans non fru stra
te dixisse fugiendum , fo rtasse ideo, quod nos d e stitu i tu a m o rte
cernebas? Q uod no n in firm itate anim i, sed p ietate faciebas, etsi
infirm us p ro nobis, ta m e n firm us tibi, qui, cum a u iro nobili
reuocareris, Sym m acho, tu o paren te, quod a rd e re bello Italia
diceretu r, quod in periculum tenderes, quod in h o stem in cu rre­
res, resp o n d isti h anc ip sam tib i causam esse ueniendi, n e n o stro
deesses periculo, u t consortem te fra te rn i discrim inis exhiberes.

33. Felix ig itu r tam o p ortuno obitu, q uia non es in h u n c ser-


u atu s dolorem , certe felicior q u am sancta soror, quae tu o solacio
destitu ta , de suo p u d o re sollicita, duobus n u p e r b e a ta germ anis,
nu n c ex duobus fra trib u s aerum nosa, neque alteru m sequi p otest
neque alteru m derelinquere, cui tum illus h o sp itiu m tu u s et cor-
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 3 1 -3 3 47

p erd u to la vita, m a hai evitato il te rro re delle calam ità che ci


sovrastano. In fa tti, tu che eri u n 'a n im a san ta p e r la p ietà verso
i tuoi, se sapessi che o ra l'Ita lia è m inacciata da u n nem ico tan to
vicino, com e saresti afflitto, com e deploreresti che tu tta la n o stra
salvezza co nsista nel balu ardo delle Alpi e che con b arricate di
tro n c h i54 si co stru isca u n m u ro a difesa del n o stro onore. Come
saresti angosciato che i tuoi si trovino a cosi breve distanza dal
nem ico, da u n nem ico co rro tto e crudele che non risparm ierebbe
né la pudicizia n é la vita! 32. Com e sopporteresti, ripeto, questi
m ali che noi sarem o c o stre tti a subire e cui forse — cosa ancora
più acerba — sarem o obbligati ad assistere: vergini trascin ate
via, fanciulli stra p p a ti d alle braccia dei genitori e g ettati sulle
lance, co rp i co n sacrati a Dio contam inati dalla violenza, grem bi
senili di vedove avanti con gli anni, non più avvezzi alla m aternità,
co stre tti ad accogliere pesi, non fig li55? Come, ripeto, so p p o rteresti
queste sventure, tu che all’ultim o tuo respiro, di te forse già
dim entico, m a an co ra no n im m em ore di noi, ci am m onivi rip e tu ­
tam en te di g u ard arci daH’invasione dei b arb ari, facendo presente
di non aver detto senza ragione che bisognava fuggire, forse p er­
ché ci vedevi senza difesa in seguito alla tu a m orte? E ciò face­
vi non p e r debolezza d'anim o, m a p e r affetto, in ansia p e r noi,
m a senza alcun tim o re p e r te. In fatti, quando u n uom o nobile,
Sim m aco, tuo p a r e n te 56, cercava di distoglierti dal p artire , di­
cendo che correv a voce che l'Ita lia fosse in p re d a all’incendio
della guerra, che tu andavi incontro a u n pericolo, che saresti in­
cappato nel nem ico, risp o ndesti che p ro p rio questo era il m otivo
p e r rito rn are, quello cioè di non so ttra rti al n o stro pericolo e di
condividere il rischio dei tuoi fratelli.
33. Te felice, dunque, p e r u n a m o rte cosi tem pestiva, p er­
ché non sei sopravvissuto fino a soffrire questo to rm e n to 57; cer­
tam ente p iù felice della tu a san ta sorella che, priva del tuo con­
forto, p reo ccu p ata p e r la sua verginità, m en tre o r non è m olto
godeva dei suoi due fratelli, o ra è angosciata p er causa di en tra m ­
bi, perché non pu ò seguire l ’uno né abbandonare l’altro. La tu a

quam tibi im m aturo et unde m inim e decuit uita erepta est, tam en laetan­
dum m agis quam dolendum pu to casum tuum: non enim regnum, sed fugam,
exilium, egestatem e t om nis has quae m e prem u n t aerum nas cum anim a
am isisti.
54 Cf. Tac., Ann., I, 50: latera concaedibus m u n itu s; A m m ., XVI, 11, 8:
difficiles uias... concaedibus clausere; XVII, 10, 6: celsarum arborum obsisten-
te concaede.
55 Cf. S all ., Cat., 51, 9: rapi uirgines, diuelli liberos a parentum com ­
plexu, m atres fam iliarum p a ti quae uictoribus collubuisset...
56 Secondo il Faller (ed. cit., Introd., pp. 83-84) si tratta di Q. Aurelio
Simmaco, cioè dell'avversario di Ambrogio nella controversia per la statua
e l’altare della Vittoria nella curia romana. Di parere diverso il Palanque
(op. cit., p. 7, nota 43, e pp. 489-490) e il Dudden (op. cit., I, p. 176, nota 2),
che pensano a L. Avianio Simmaco, padre del precedente, morto nel 376.
Vedi Introduzione. Per il significato di parens nel senso di propinquus, cioè
di « parente », vedi, p. es.. De Abr., I, 3, 10: Frequenter indiuisa seruitia inter
parentes discordiam serunt.
57 Cf. V erg ., Aen., XI, 159: felix m orte tua neque in hunc sem a ta dolorem!
48 DE EXCESSV FRATRIS, I , 3 3 -3 7

poris tu i sep u lch ru m e s t dom us — a tq u e u tin am uel hoc tu tu m


diuersorium ! — cibus in fletibus, potus in lacrim is. C ibum etenim
d edisti nobis p a n em lacrim arum et p o tu m dedisti nobis in lacri­
m is in m e n su r a a a u t fo rta sse u ltra m ensuram . 34. N am q u id d e
m e loquar, cui neque m o ri licet, n e sororem relinquam , neque
u iu ere libet, ne a te reu ellar? Q uid enim m ihi sine te p o te st esse
iucundum , in quo om nis sem per fu it n o stra iu cunditas? Aut quid
d iu tiu s in h ac u ita degere iu u at atq u e in te rris m o rari, in quibus
tam d iu iucunde uixim us, q u am d iu sim ul uixim us? E tsi esset,
q uod hic delectare nos p o sset, sine te delectare non posset. E tsi
quando uoluissem us in p ense u itam pro d u cere, iam tam en sine
te esse nollem us. 35. H aec intolerabilia. Q uid enim tolerabile
sine ta n to u itae com ite, tan to lab o ru m m eo ru m officiorum que
consorte? C uius ego casum , quo esset tolerabilior, nec praem ed i­
ta ri potu i: ita p au e b at anim us de illo tale aliquid cogitare, non
quo condicionem ignorarem , sed quidam u o to ru m u su s sensum
com m unis fragilitatis obduxerat, u t d e illo nisi secunda om nia
cogitare nescirem . 36. D enique proxim e c u m graui quodam
— a tq u e u tin a m su p rem o — u rg e re r occasu, h o c solum dolebam ,
q uod n on ipse ad sid eres lectulo ac u o tiu u m m ihi cum san cta so­
ro re p a rtitu s officium m o rientis oculos digitis tuis clauderes. Q uid
o ptaueram , quid rependo? Quae u o ta deficiunt, quae m in isteria
succedunt? Aliud p raep arab am , aliud exhibere conpellor, n o n iam
ipse m in isteriu m funeris, sed m inister. O d u ra oculorum lum ina,
q uae p o tu istis fra tre m u id ere m orientem ! O inm ites e t asperae
m anus, quae clau sistis oculos, in quibus p lu s uidebam ! O d u rio r
ceruix, quae tam lugubre onus, consolabili licet obsequio, gestare
potuisti! 37. H aec tu, fra te r, m ihi iustius exhiberes, h ae c ego
a te expectabam , haec ego officia desiderabam . N unc u ero ipse
m eae u itae su perstes, quod sin e te solacium capiam , q u i solus
m aeren tem solari solebas, excitare laetitiam , m aestitu d in em p ro ­
p u lsare? Q ualem te nunc ego, fra te r, aspicio iam nulla m ihi u erb a
referentem , iam nu lla offerentem oscula! Q uam quam ita m u tu u s
sem per u triq u e n o stru m in sed erit am or, u t in te rio re p o tiu s foue-

33. a Ps 79, 6*.


PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 3 3 -3 7 49

b a ra le è rifugio, dim ora il sepolcro del tu o corpo — e m agari


alm eno questo fosse u n rip aro sicuro! —, cibo il pianto, bevanda
le lacrim e. Ci hai dato in fa tti pane di lacrim e e ci hai abbeverato
di lacrim e in m isura o fo rse oltre m isura. 34. Che dire d i m e che
non posso m o rire p er non abbandonare m ia sorella né desidero
v iv e re 58 p e r no n sep ararm i da te? Che cosa m i può riu scire p ia­
cevole senza di te, in cu i e ra p o sta sem pre ogni n o stra gioia? O
a che giova p ro lu n g are q u esta vita e re s ta re su q u esta te rra sulla
quale siam o v issuti gioiosam ente finché siam o vissuti insiem e?
Anche se ci fosse q u alcosa che quaggiù p otesse recarci diletto,
non p o treb b e recarci d iletto senza di te. Anche se u n tem po aves­
sim o desid erato ard en tem en te di p ro lu n g are la n o s tra v i t a 59,
orm ai no n vorrem m o vivere senza di te. 35. Q uesta sofferenza
è insopportabile. Che c ’è di sopportabile senza u n tale com pagno
di vita, u n tale socio delle m ie fa tic h e e dei m iei doveri? T anto
più che io no n ho p o tu to p re p a ra rm i alla sua m orte, perché
fosse m eno d o lo ro s a 60: a tal p u n to il m io anim o aveva p a u ra di
su p p o rre p e r lui u n a sim ile sorte, non p erch é ignorassi la sua
condizione, m a p erch é i desideri, che m i eran o abituali, avevano
otten eb rato in m e la coscienza della com une fragilità, sicché p er
lui non sapevo p en sare se non ogni bene. 36. P erciò poco fa,
essendo m inacciato da u n a grave — e m agari fosse s ta ta l'u lti­
ma! — m a la ttia 61, m i ram m aricavo solam ente ch e tu non stessi
vicino al m io letto e, dividendoti con la n o s tra san ta sorella il
com pito da m e desiderato, m i chiudessi con le tu e d ita gli occhi
al m om ento della m orte. Che cosa avevo desiderato, che cosa ti
do in cam bio? Q uali desideri non si attu an o , quali servizi p re n ­
dono il loro p osto? Una cosa predisponevo ed o ra sono co stre tto
a com pierne u n ’altra: non sono p iù io l ’oggetto del fu n e b re ser­
vizio, ben sì il m in istro . O cru d eli pupille ch e avete p o tu to veder
m o rire m io fratello! O m ani aspre e rozze che avete chiuso q u e­
gli occhi, co n cui vedevo p iù che con i miei! O spalle tro p p o insen­
sibili che avete p o tu to p o rta re u n peso cosi triste , sia p u re p e r
u n gesto di om aggio ch e m i diede consolazione! 37. P iù giusta­
m ente, fratello, tu m i av resti dovuto re n d ere q u esti onori, questi
m i attendevo d a te, q u esti desideravo. O ra invece io stesso, super­
stite alla m ia vita, q u ale co n fo rto o tte rrò senza di te ch e solo eri
solito co n so la rm i62 q u an d o ero afflitto, su scitare la m ia gioia,
cacciare la m ia tristezza? O rm ai non m i risp o n d i p iù con le tue
parole, o rm ai no n m i dai p iù i tuoi baci! Del re sto il nostro
scam bievole am o re e ra rad icato sem pre in ciascuno di noi in
m odo tale da essere alim entato d a u n sen tim en to in tim o piutto-

58 Cf. S all ., lu g., 14, 24: R une neque uiuere lu bet neque m ori licet sine
dedecore.
59 Cf. Verg., Aen., II, 637: abnegat excisa uitam producere Troia.
60 Cf. Cic., Tusc., I l i, 14, 29: Haec igitur p raem editatio futurorum maio-
rum lenit eorum aduentum , quae uenientia longe uideris.
il Vedi Dudden, op. cit., I, p. 114, nota 9.
62 N ota il sigm atism o, forse voluto: solus... solari solebas.
50 DE EXCESSV FRATRIS, I , 3 7 -4 1

r e tu r ad fectu quam forensi b lan d itia diuulgaretur; neque enim


aliorum q u aerebam us testim onium , qui ta n ta m n o stri gratiam te­
nebam us. Ita u irilis se u triq u e n o stru m germ an itatis sucus infu­
derat, u t non b lan d itiis p ro b a re am orem , sed conscia m ente p ieta­
tis in tern o am ore co n ten ti fucum b lan d itia ru m non re q u irere uide-
rem ur, quos et ipsa in am orem m u tu u m im ago form aret. Nescio
q u a enim expressione m entis, qua co rp o ris sim ilitudine alte r in
a ltero uidebam ur. 38. Quis te aspexit, qui non m e uisu m p u ta re t?
Q uotiens aliquos salutaui, qui, quoniam te p riu s consalutauerant,
se a m e iam diceren t salutatos! Q uanti tib i d ix eru n t aliquid, qui
se m ihi dixisse m em orarent! Quae m ihi hinc gaudia, q u an ta fre­
q u en ter o b o rta laetitia, quod eos e rra re in nobis cernerem ! Quam
g ratu s erro r, q uam iu cu nda prolapsio, quam religiosa fallacia,
q uam suauis calum nia! N eque enim de tuis e ra t aliquid a u t factis
a u t serm onibus, quod tim erem , qui m ihi tu a laeta b ar adscribi.
39. Tam en si uehem entius ten d eren t, quod se m ihi aliquid in ti­
m asse m em o raren t, respondebam ridens et gaudens: Videte, ne
fr a tri dixeritis! N am cum om nia nobis essen t n o stra com m unia,
indiuiduus spiritu s, indiuiduus adfectus, solum tam en com m une
non e ra t secretum am icorum , non quo conferendi periculum uere-
rem ur, sed tenendi seru arem us fidem. Sane si consilio pendenda
res esset, erat sem p er com m une consilium , non sem per com ­
m une secretum . N am etsi am ici alteri n o stru m dicerent, u t d icta
sua ad alteru m p eru en irent, tam en scio p leru m q u e conplacitum
ita fidem secreti esse seruatam , u t nec fra tri co m m itteretu r; e rat
enim fidele indicium et extraneo non esse p ro d itu m , quod non
esset cum fra tre conlatum .

40. His ig itu r tan tis ac talibus bonis in excessum quendam ,


fateor, m entis elatus su p erstitem m e tim ere desieram , quod illum
u ita crederem digniorem , et ideo excepi plagam , quam fe rre non
possum ; tolerab ilio ra enim tan ti doloris p ra em ed itata qu am inex­
p lo ra ta uulnera. Quis iam m aestum solabitur, quis adflictum le-
uabit, cum quo p articip ab o curas, quis m e ab istius m undi uindi-
cabit usu? Tu enim a c to r negotiorum , ce n so r seruulorum , arb i­
te r fra tru m , no n litis, sed p ietatis arb ite r. 41. N am si quando
aliquid cum san cta so rore m ihi conferendum fuit, u tra m elior
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 3 7 -4 1 51

sto che m an ifestato con pubbliche espansioni d ’affetto: non ce r­


cavam o la testim onianza altru i, noi ch e godevam o in tale m isu ra
del piacere di am arci. A ta l p u n to era p e n e tra to in en tram b i il
succo di u n a virile fra te rn ità , che non ci pareva di dover dim o­
stra re il n o stro am ore con le espansioni; m a, p e r la consapevo­
lezza del n o stro affetto, soddisfatti dell'am ore c h ’era in noi, non
credevam o necessario ric o rre re aH’esterio rità delle carezze, p er­
ché lo stesso n o stro asp etto ci disponeva all’am ore reciproco. Non
so p e r quale atteggiam ento dell’anim o, p e r quale som iglianza
fisica sem bravam o essere l'uno nell’altro. 38. Chi ti vedeva, e
non cred ev a d i aver visto m e? Q uante volte h o salu tato d elle p e r­
sone che, siccom e ti avevano salu tato poco prim a, dicevano che
io li avevo già salutati! Q uanti ti dissero qualcosa, convinti di
averlo d e tto a me! Perciò quale gioia, quale contentezza provavo
spesso p erch é vedevo che ci scam biavano l'uno p e r l’altro! Q ua­
le grad ito e r r o r e 63, quale piacevole equivoco, q u ale am oroso in­
ganno, q u ale dolce im broglio! Non nu triv o alcun tim ore a p ro ­
posito delle tu e azioni o delle tue parole; ero anzi contento che
m i venisse a ttrib u ito ciò ch e spettava a te. 39. T uttavia, se af­
ferm avano con tro p p a energia di rico rd are che m i avevano com u­
nicato u n a qualche notizia, rispondevo con u n a lieta risata: « B a­
date di non averlo detto a m io fratello! ». In fatti, p u r avendo
tu tto in com une ed essendo inseparabile il n o stro spirito, inse­
p arab ile il n o stro m odo d i sentire, l’u n ica cosa che non avevam o
in com une era il segreto dei n o stri am ici, non p erché tem essim o
com e cosa pericolosa d i m ettern e a p a rte l'altro , m a p e r m ante­
nere la p ro m essa di custodirlo. Senza dubbio, se bisognava discu­
tere u n a questione e quindi decidere, la decisione e ra sem pre
com une, no n sem pre com une il segreto. Anche se gli am ici face­
vano u n a confidenza ad u n o di noi, p erch é ciò che avevano detto
fosse rife rito all'altro , tu tta v ia so che p e r lo p iù si com piacevano
che l'im pegno del segreto fosse stato m an ten u to con ta n to scru­
polo da non essere com unicato nem m eno al fratello. E ra in fatti
u n a p ro v a sicu ra che non era sta to rivelato anche a u n estraneo
quello che no n fosse stato rife rito al fratello.
40. Orgoglioso dunque o ltre m isu ra — lo confesso —
ta n te e tali sue qualità, non tem evo p iù di sopravvivergli, p e r­
ché lo ritenevo p iù degno di vivere, e perciò ho ricev u to u n colpo
cui non m i so rassegnare. Le fe rite d i u n cosi grande dolore sono
più sopportabili, q u an d o sono attese, di quelle che sono im pre­
v is te 64. Chi o rm ai consolerà la m ia tristezza, chi allevierà la m ia
afflizione, con ch i condividerò le preoccupazioni, ch i m i lib ere rà
dai bisogni di q uesto m ondo? Tu tra tta v i i n o stri affari, controllavi
i n o stri servi, eri a rb itro tr a noi fratelli, a rb itro non delle n o stre
liti, m a del n o stro affetto fratern o . 41. In fatti, se talvolta su qual­
che argom ento d ovetti d iscutere con la n o stra san ta sorella qua-

63 Cf. Verg., Aen., X, 392: gratusque parentibus error.


μ Cf. sopra, par. 35 e Sen., Ad Helu., 5, 3.
52 DE EXCESSV FRATRIS, I , 4 1 -4 3

u id e re tu r sen ten tia, te iudicem sum ebam us, qui nulli laederes os.
A tque u triq u e satisfacere gestiens e t am andi adfectum tenebas et
censendi m odum , u t et u tru m q u e g ra tu m d im itteres et u triu sq u e
tib i gratiam uindicares. A ut si ipse aliquid disceptandum deferres,
quam g ra ta contentio tu a, quam sine felle ipsa indignatio, qu am
seruulis ip sis coercitio n on am ara, cum te fra trib u s m agis deferre
quam ex ad fectu diceres uindicare! N obis enim professio re p ressit
stu d ia coercendi, im m o tu, fra te r, ab om ni nos abducebas coerci­
tionis ad fectu, u in d icare pollicens et lenire desiderans.

42. N on m ediocris ig itu r p ru d e n tia e testim onium , quae ita


a sapien tib u s definitur: b o n o ru m p rim u m esse deum scire et ue-
ru m illud atq u e diuinum pia m ente u en erari, illam am abilem et
concupiscendam aetern ae p u lch ritu d in em u e rita tis to ta m entis
c a rita te diligere, secundum autem in proxim os a diuino illo atque
caelesti n a tu ra e d eriu are p ie ta te m 2. Quod etiam m u n d i sapientes
n o stris h au sere de legibus; neque enim d eriu are ista in hom inum
disciplinas nisi de caelesti illo diuinae legis fonte potuissent.
43. Quid ig itu r o b seru an tiam eius erga dei cultum praedicem ?
Qui p riu sq u am perfectio ribus esset in itia tu s m ysteriis, in n au fra­
gio co n stitu tu s, cum ea, qua u eh e retu r, nauis scopuloso inlisa
uado et u rg en tib u s h in c atq u e inde fluctibus solueretur, non m o r­
tem m etuens, sed ne u acuus m ysterii exiret e u ita, quos initiatos
esse cognouerat, ab his diuinum illud fidelium sacram en tu m popo­
scit, no n u t curiosos oculos in se re re t arcanis, sed u t fidei suae
c o n seq u eretu r auxilium . E tenim ligari fecit in o rario et o rarium
inuoluit in collo atq u e ita se deiecit in m are, non req u iren s de
nauis conpage reso lu ta tabulam , cui sup ern atan s iu u are tu r, quo-

42. a Cf. Mt 22, 37-39; Eccli 13, 18-19.


PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 4 1 -4 3 53

le decisione fosse m igliore, prendevam o te p e r giudice, sapendo


che no n av resti sco n ten tato n e s su n o 65. D esideroso com ’eri di fa r
piacere a d en tram b i, conservavi sia il sentim ento d ’affetto sia la
m oderazione neH 'esprim ere il tuo p arere , cosi da rim an d are sod­
disfatti en tram b i ed o tten ere la riconoscenza di tu tti e due.
O ppure, nel caso che fossi tu a p ro p o rre qualche argom ento di
discussione, q u a n t’era gradevole il tuo calore, com e p riv a di fiele
la stessa tu a indignazione; co m ’e ra senza asprezza anche la tu a
severità con i servi di casa, poiché dicevi di voler p iu tto sto com pia­
cere i tu o i fratelli che p u n ire p e r tu a inclinazione! Il n o stro m i­
nistero, in fatti, frenava la n o stra voglia di punire; anzi, fratello,
eri tu a distoglierci da ogni tendenza alla coercizione, p ro m ettendo
d ’interv en ire desideroso di placare il n o stro anim o.
42. Q uesta è u n a pro v a di non com une saggezza, che i sapienti
definiscono cosi: il p rim o bene consiste nel conoscere Dio e nel
venerare devotam ente qu ell’E ssere verace e divino, n ell’am are con
tu tto il tra sp o rto dell’anim o quell’am abile e desiderabile bellezza
dell’e tern a V erità; il secondo, nel fa r discendere d a quell’E ssere
divino e celeste sul p rossim o il n o stro am ore n atu rale. Anche i
sapienti di q u esto m ondo hanno ricavato tali principi dalle n o stre
leggi; n on avrebbero, in fatti, p o tu to applicarli all’educazione u m a­
n a senza attin g erli dalla fonte celeste della legge divina. 43. P er­
ché, dunque, dovrei esaltare il suo ossequio p e r il culto divino?
Egli, p rim a di essere stato iniziato ai m iste ri p iù p e r f e tti66, coin­
volto in u n n a u fra g io 67, quando la nave su cui viaggiava, sospinta
su u n bassofondo sem inato di sco g li68, stava p e r infrangersi sotto
l’im peto dei flutti che l’assalivano da ogni p arte , non p e r tim ore
della m o rte, m a p e r n on p a rtirse n e da q u esta v ita ignorando il
M istero, chiese in sistentem ente, a quelli che sapeva iniziati, quel
divino sacram ento dei fedeli. Egli non intendeva p en e trare con
occhio curioso nel M istero, m a o tten ere u n aiuto p e r la p ro p ria
fede. Lo fece in fa tti legare in u n fazzoletto, avvolse il fazzoletto
al collo e cosi si gettò in m are senza cercare u n a tavola divelta
dal fasciam e della nave, di cui servirsi p e r reggersi nuotando,
perché e ra rico rso solo alle arm i della fede. R itenendosi in tal

65 C f. T er ., Ad. 864: clem ens, placidus, nulli laedere os, adridere omnibus.
66 Espressione variam ente interpretata: vedi C oppa , op. cit., p. 792, nota 66.
67 Secondo il Coppa (ibid.), che rinvia al successivo par. 50, dovrebbe
trattarsi d i un naufragio diverso da quello del suo ultim o viaggio. Vedi inve­
ce D u d d e n , op. cit., I, pp. 178-179, e P aredi , S. A m brogio e la sua età, cit.,
pp. 235 e 238. Effettivam ente, quanto si dice nel paragrafo sopra citato
indurrebbe a supporre che Satiro sia incorso più volte in pericolose avven­
ture marittime. In tale paragrafo, infatti, si dice: quotiens p o st naufra­
gium... transfretauerit... peragrarit. Inoltre l’episodio descritto ai paragrafi
43-44 viene citato quale esem pio della pietà religiosa di Satiro senza essere
riferito esplicitam ente al viaggio di ritorno daH'Africa. D’altra parte, che
al ritorno dall’Africa sia avvenuto un naufragio, risulta chiaram ente dal
par. 27: E x Africa redditum , ex m ari restitu tu m , ex naufragio seruatum
putabam us iam nobis non posse eripi; a m eno che in questo passo gli
avvenimenti non siano elencati in ordine inverso e senza diretto rapporto
di prossim ità cronologica.
68 Cf. V erg ., Aeri., I, 112: inliditque uadis atque aggere cingit harenae.
54 DE EXCESSV FRATRIS, I , 4 3 -4 6

niam fidei solius arm a quaesierat. Itaq u e his se tectu m atq u e m u ­


n itu m satis credens alia auxilia non desiderauit.
44. Sim ul fo rtitu d in em eius sp ectare licet, q u i fatisce
rem igio no n quasi nau frag us tab u lam su m pserit, sed quasi fortis
ex se ipso adm iniculum suae u irtu tis adsum pserit. N ec deseruit
spes nec fefellit opinio; denique p rim u s seru atu s ex undis e t in
p o rtu m te rre n a e statio n is euectus praesulem suum , cu i se cred i­
derat, recognouit, statim q u e u b i etiam ceteros seruulos suos uel
ipse lib era u it uel lib erato s conperit, neglegens facu ltatu m nec
am issa d esid eran s d ei ecclesiam requisiuit, u t ageret gratias libe­
ra tu s e t m y steria a e te rn a cognosceret, p ro n u n tian s nullum re fe­
re n d a g ra tia m aius esse officium. Quodsi hom ini non re fe rre sim i­
le hom icidio iu dicatum est, non re fe rre deo q u an tu m crim e n est!

45. E st ergo p ru d en tis agnoscere se ipsum , et, quem adm o­


dum a sap ien tib u s definitum est, secundum n a tu ra m uiuere. Q uid
est enim tam secundum n a tu ra m quam re fe rre au cto ri gratiam ?
Aspice caelum hoc! N onne au cto ri re fe rt gratiam , cum u id etu r?
Caeli enim enarrant gloriam dei et opera eius adnuntiat firm a­
m e n tu m a. M are ipsum , cum sedatum atq u e tran q u illu m est, diui-
nae seren itatis te s ta tu r indicium , cum m o u etu r, indignatio su p er­
n a te rro ri est. N onne om nes dei gratiam iu re m iram u r, cum ad-
u ertim u s, quod insensibilis n a tu ra q u ad a m sensibili ra tio n e suos
fluctus co erceat et fines suos u n d a cognoscat? b. N am d e te rris q u id
loquar, q u ae diu in o oboedientes p ra ece p to am nibus sponte anim an­
tib u s p ab u lu m su b m in istra n t atq u e id, quod acceperint agri, ue-
lu t crescentibus u su ris m u ltip licatu m cum ulatum que re s titu u n t? c.
46. E rgo ille qui n a tu ra d u ce diuini ratio n em operis igneo m entis
uigore percep erat, sciuit prim o om nium seru ato ri suo gratiam
esse referendam . Sed quia re fe rre non p o te ra t, h ab e re p o tera t; est
enim huiuscem odi gratiae uis, u t et, cum re fe rtu r, h a b e a tu r et

45. a Ps 18, 2*.


*> Cf. Prou 8, 29.
c Cf. Gen 1, 11.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 4 3 4 6 55

m odo p ro te tto e difeso a sufficienza, pensò di n o n aver bisogno


d ’altri aiuti.
44. Nello stesso tem po è possibile am m irare la sua fortezza,
poiché, m en tre la nave si sfasciava, non afferrò da naufrago u n a
tavola, m a da fo rte o tten n e in se stesso il sostegno d ella sua vir­
tù. N on lo deluse la speranza né lo ingannò l ’aspettativa. Scam ­
p a to p e r p rim o dai flutti e sospinto in u n p o rto della terraferm a,
ripensò al p r o te tto r e 69 cui si era affidato e subito, quando ebbe
tra tto in salv o 70 egli stesso i suoi servi o seppe che erano stati
salvati, senza preo ccu p arsi dei suoi beni e senza rim piangere ciò
che aveva p erd u to , cercò la C hiesa di Dio p er ringraziarlo della
sua salvezza e conoscere gli etern i m isteri, dichiarando che nessun
dovere era p iù im p o rtan te di quello di m o strare la p ro p ria rico­
noscenza 71. Che se non essere riconoscente a u n uom o è stata
giudicata colpa sim ile all’om icidio, quale enorm e scelleratezza è
m ai non essere riconoscente a Dio!
45. È p ro p rio dunque dell’uom o saggio conoscere se s te s s o 72
e, com e è stato stabilito dai sapienti, vivere secondo n a tu r a 73.
Che co sa è, in fatti, cosi conform e a n a tu ra com e m o strarsi ricono­
scenti al C reatore? G uarda questo cielo! Q uando lo si contem ­
pla, non esprim e riconoscenza al suo C reatore? In fa tti i cieli nar­
rano la gloria di Dio e il firm am ento proclam a le sue opere. Il
m are stesso, q u an d ’è placido e tranquillo, fornisce u n a prova
della seren ità divina, q u an d ’è agitato, lo sdegno celeste ci infonde
terro re. Non am m iriam o tu tti la b o n tà di Dio, quando constatiam o
che la n a tu ra insensibile frena i suoi flutti e l ’onda conosce i p ro ­
p ri confini? Che dire della te rra che, obbediente al com ando divi­
no, spo ntaneam ente offre il cibo a tu tti gli esseri viventi e re sti­
tuisce, m o ltiplicato e accresciuto p e r cosi dire con in teressi cre­
scenti, il sem e che i cam pi hanno ric e v u to ? 74. 46. O r dunque,
colui che, so tto la guida della n atu ra , con l’ard en te v ig o re 75 dell’in­
telligenza aveva com preso il piano dell'opera divina, si rese conto
che an zitu tto doveva d im o strare riconoscenza a chi lo faceva
sopravvivere. Ma, visto che non poteva d im o strarla concretam en­
te, poteva conservarla d en tro di sé. Tale è in fatti la n a tu ra della
g ratitud in e, che, quando si dim ostra, si conserva e, conservandola,

69 Come osserva il Coppa (o p . cit., p. 793, nota 69), deve trattarsi del­
l ’Eucaristia che aveva portato con sé al mom ento del naufragio.
70 Per liberare = seruare, cf. T ert ., De paen., 7, 5: Plerique naufragio libe­
rati exinde repudium et naui et m ari dicunt.
71 Cf. Cic., De off., I, 15, 47: ...prim um illud est in officio u t ei plurim um
tribuam us, a quo plurim um diligamur.
72 Cf. Exam., VI, 6, 39: cognosce te ipsum , o homo, quod non, ut ferunt,
Apollinis Pythii, sed Solom onis sancti est.
73 Cf. Cic., De fin., V, 9, 26: ...dicim us om nibus anim alibus extrem um
esse secundum naturam uiuere. È fam osa m assim a stoica: vedi P o h l e n z ,
La Stoa, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1967, I, pp. 237 ss.
74 Cf. Cic., Cato M., 15, 51: ...terra, quae nunquam recusat im perium nec
unquam sine usura reddit quod accepit.
75 Cf. V erg ., A en., V I , 730: igneus est ollis uigor et caelestis origo. Da
un punto di vista formale, il colorito arcaico richiama Lucrezio.
56 DE EXCESSV FRATRIS, X, 4 6 4 9

h abendo re fera tu r. R eferebat ig itu r gratiam , d efere b at fidem. N am


qui ta n tu m m y sterii caelestis inuoluti in o rario praesid iu m fu isset
expertus, q u an tu m a rb itra b a tu r, si ore su m eret et to to pectoris
h a u rire t arcano! Q uam m aius p u ta b a t fu su m in u iscera, quod
ta n tu m sibi tectu m o rario profuisset! 47. S ed n o n ita auidus,
u t esset incautus; scim us enim plerosque au id itate studii p ra e te r­
m ittere cautionem . A duocauit ad se episcopum nec u llam u eram
p u ta u it n isi u erae fidei g ratiam p erco n tatu sq u e ex eo est, u tru m ­
n am cum episcopis catholicis, hoc est cum R om ana ecclesia conue-
n iret. E t fo rte a d id locorum in schism ate regionis illius ecclesia
erat; L ucifer enim se a n o stra tu n c tem p o ris com m unione diui-
serat. E t q u am q u am p ro fide exulasset et fidei suae reliquisset
heredes, non p u ta u it tam en fidem esse in schism ate; nam etsi
fidem erga deum ten eren t, tam en erga dei ecclesiam n o n ten eren t,
cuius p a tie b a n tu r u elu t quosdam a rtu s diuidi et m em b ra lacerari.
E tenim cum p ro p te r ecclesiam C hristus passus sit et C hristi co r­
pus ecclesia s i t a, non u id e tu r ab his exhiberi C hristo fides, a qui­
bus eu a cu atu r eius p a s s io b co rpusque d istrah itu r. 48. Itaq u e
quam uis gratiae fenus te n e re t et m etu eret ta n ti nom inis d e b ito r
nauigare, tam en eo tra n sire m aluit, ub i tu to posset exoluere; iudi-
cab at enim diuinae solutionem gratiae in adfectu ac fide esse.
Q uam quidem statim , u b i p rim u m copia lib erio r ecclesiae fuit,
inplere non d istu lit deique gratiam e t accepit d esid eratam et ser-
u a u it acceptam . N ihil ig itu r ea p ru d e n tia sapientius, q u ae diuina
e t hum an a secernit. 49. N am quid spectatam stipendiis forensi­
bus eius facundiam loquar? Q uam incredibili ad m iratio n e in
au d ito rio p raefectu rae sublim is em icuit! Sed m alo illa laudare,
quae p ercep tis m ysteriis dei duxit hum anis esse potiora.

47. » Cf. Eph 5, 23; Col 1, 24.


b Cf. 1 Cor 1, 17
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 4 6 4 9 57

si d im o s tra 76. S atiro dun q ue dim ostrava la sua riconoscenza, of­


friva l ’om aggio della p ro p ria fede. Chi aveva esp erim en tato u n a
cosi efficace protezione del M istero celeste avvolto in u n fazzo­
letto, com e doveva riten e rla efficace, se lo avesse ricevuto nella
sua bocca e accolto nél p ro fondo segreto del suo cuore! Q uanto
p iù po ten te doveva crederlo, u n a volta diffuso nelle sue viscere,
se ta n to gli aveva giovato, avvolto in u n fazzoletto! 47. M a non
era cosi pieno di desiderio da essere incauto; sappiam o che m olti
p e r tro p p o avido desiderio tra sc u ra n o la cautela. C hiam ò il ve­
scovo e, no n riten en d o v era alcuna benevolenza se non quella
derivante dalla vera fede, gli chiese se fosse in com unione con i
vescovi cattolici, cioè con la Chiesa rom ana. P er avventura, in quel
te m p o 77 la Chiesa d i quella regione era nello scism a, p erch é allo­
ra L u cife ro 78 si e ra sep arato dalla com unione con noi. E sebbe­
ne egli fosse an d ato in esilio p e r la fede e avesse lasciato eredi
della sua fe d e 79, m io fratello non riten n e che nello scism a ci fosse
la fede. In fatti, anche se conservavano la fede in Dio, non con­
servavano la fede nella Chiesa di Dio, della quale tolleravano che,
p e r cosi dire, venissero disgiunte le articolazioni e lacerate le
m em bra. In fatti, siccom e C risto h a p a tito p e r la C hiesa e la
Chiesa è il co rp o di C risto, n o n sem b ra che siano fedeli a C risto
costoro che rendono v ana la sua passione e n e straziano il corpo.
48. Perciò, sebbene possedesse il capitale della grazia e tem esse
di m ettersi in m are essendo d ebitore di u n a tale som m a, p referì
recarsi là dove p o tesse in p iena sicurezza saldare il suo debito.
R iteneva, in fatti, che il saldo del debito della grazia divina si
effettuasse con la sin cerità dei sentim enti e con la fede. E si
affrettò ad effettuarlo, non appena ebbe p iù lib era disponibilità
di u n a chiesa, e ricev ette la so sp irata grazia di Dio e, ricevutala,
la conservò in te g ra 80. N on c ’è in fa tti cosa p iù saggia di quella
pru d en za che distingue ciò che è divino d a ciò che è um ano.
49. P erché p a rla re della sua eloquenza d im o strata nell’esercizio
della professione forense? Q uale incredibile am m irazione lo cir­
condava quando, nella sala delle udienze d ella p r e f e ttu r a 81, ra g ­
giungeva lum inose altezze! P referisco però lodare quelle v irtù
che, dopo aver ricevuto i divini m isteri, egli riten n e superiori a
quelle um ane.
76 Cf. Cic., Pro Piane., 28, 68: gratiam autem e t qui refert, habet, e t qui
habet, in eo ipso quod habet, refert. H abere gratiam = « nutrire, conservare
riconoscenza », « essere riconoscente ».
77 Cf. S all ., Iug., 63, 6. A d id locorum è espresssione sallustiana equiva­
lente a ad id tem pus.
78 Vedi sopra, par. 12, nota 22.
79 Soggetto di exulasset e reliquisset è Lucifero; di non p u ta u it è invece
Satiro, che il Coppa (op. cit., p. 795) fa soggetto dei tre verbi.
Lucifero si era rifiutato di sottoscrivere la condanna di sant’Atanasio nel
sinodo di Milano (355) e, di conseguenza, era dovuto andare in esilio (A lta­
ner , op. cit., p. 379).
8° Quest'ultima espressione sembrerebbe dimostrare che Satiro rice­
vette il battesim o ad una certa distanza di tem po dalla sua morte. Vedi
sopra, par. 43, nota 67.
81 A Sirmio; vedi D u d d e n , op. cit., I, p. 58; P ala nque , op. cit., pp. 13 e 438.
58 DE EXCESSV FRATRIS, I , 5 0 -5 3

50. F o rtitu d in em quoque eius si qu-is plenius spectare uo


consideret, quotiens p o st naufragium inuicto quodam contem ptu
u itae huius m aria tra n s fre ta u e rit diffusasque regiones obeundo
p erag rarit, p o strem o q u o d hoc ipso tem pore periculum non refu ­
gerit, sed ad periculum u en e rit p atiens iniuriae, neglegens frigoris
a tq u e u tin am sollicitus cautionis, sed hoc ipso beatus, quod, dum
licuit uigore u ti corporis, inoffenso a d exequenda, quae uellet,
functu s iu u en tu tis officio u itam uixit, debilitatem ignorauit.

51. Qua u ero pro secu tione sim plicitatem eius edisseram ? E a
est enim quaedam m o ru m tem p eran tia m entisque sobrietas. Date,
quaeso, u eniam et p e rm ittite dolori meo, u t d e eo m ihi paulo
uberiu s liceat loqui, cum quo iam non conceditur conloqui. C erte
et uobis proficit, u t ad u e rtatis non fragilitate q u ad a m uos hoc
officium, sed iudicio detulisse, nec m isericordia m o rtis inpulsos,
sed u irtu tu m honorificentia prouocatos. A nim a enim benedicta
om nis s im p le x a. T an ta autem sim plicitas, u t conuersus in pue­
ru m sim p licitate illius aetatis innoxiae, p erfectae u irtu tis effigie
et quodam in nocentium m o ru m speculo reluceret. In tra u it ig itu r
in regnum caelorum , quoniam credidit dei uerbo, quoniam sicut
p u e r arte m rep p u lit a d u la n d ib, iniuriae dolorem clem enter absor­
b u it quam inclem entius uindicauit, qu erelae quam dolo p ro m ­
ptior, satisfactio n i facilis, difficilis am bitioni, sanctus pudori, u t
freq u en ter in eo superfluam m agis uerecundiam praed icares quam
necessariam quaereres. 52. Sed num quam superflua fu ndam enta
u irtu tis; p u d o r enim non reuocat, sed com m endat officium. Itaq u e
u elu t quadam uirginali u erecundia suffusus ora, cum u u ltu adfec-
tum pro d eret, si fo rte aliquam subito ueniens offendisset p aren ­
tem , ueluti depressus et q u asi dem ersus in terram , licet in ipso
nequaq u am dissim ilis coetu u iro ru m , ra ru s adtollere os, eleuare
oculos, re fe rre serm onem . Quod pudico qu o d am m entis pudore
faciebat, cum quo castim o nia quoque corporis congruebat. E tenim
in tem era ta sacri b ap tism atis dona seru au it, m undo corpore, pu­
rio r corde, non m inus ad u lterin i serm onis o b p ro b riu m quam cor­
poris perh o rrescen s, no n m inorem ra tu s p udicitiae reu eren tiam
deferendam in teg ritate u erb o ru m quam corporis castitate. 53. De-

51. a Prou 11, 25 (S e p t.).


b Cf. Mt 18, 3.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 5 0 -5 3 59

50. Se u no v o rrà esam inare p iù a fondo anche la sua for­


tezza, co n sid eri q u an te volte dopo il naufragio, com e se n u trisse
un coraggioso disprezzo p e r q u esta vita, attra v ersò il m are e p er­
corse n ei suoi viaggi estese re g io n i82; cosideri infine com e in
questo stesso tem p o non evitò il pericolo, m a lo affrontò tolle­
ra n d o i disagi, in cu ran te del freddo — e m agari si fosse d ato pena
di guardarsene! —, di questo solo felice, che, fin quando p otè
u sare le energie fisiche no n o stacolate neH’eseguire ciò ch e vole­
va, visse sostenendo gli incarichi di u n a p erso n a nel fiore degli
anni e ignorò la stanchezza.
51. Con quali elogi p arle rò della sua sem plicità? Q uesta vir­
tù consiste in u n a c e rta tem peranza nel m odo di vivere e in u n a
c e rta so b rietà dello spirito. P erdonate, vi prego, il m io dolore e
lasciate che si sfoghi, cosi che m i sia concesso di tra tte n e rm i a
p arla re u n p o ’ p iù diffusam ente d i quello con cui orm ai non m i è
più possibile in tra tte n e r m i83. C ertam en te giova anche a voi com ­
p ren d ere che avete reso queste onoranze non p e r u n eccesso di
sensibilità, m a a ragion veduta, e non già in d o tti dalla com m ise­
razione p e r la sua m orte, bensì invitati dall'onore dovuto alle sue
virtù. Ogni persona sem plice è u n ’anim a benedetta. La sua sem ­
plicità era cosi grande che, fa tto si fanciullo p e r la sem plicità
p ro p ria di q u ell'età innocente, risplendeva p e r l’im m agine di tuia
p e rfe tta virtù , qu asi specchio di v ita senza m acchia. È e n tra to dun­
que nel regno dei cieli p erch é h a cred u to alla p aro la di Dio, p er­
ché, com e u n fanciullo, h a rip u d iato l ’arte dell’adulazione, h a
trangugiato co n indulgenza il dolore di u n ’offesa anziché farne
v en d etta con rigore, p iù incline al lam ento che all’inganno, dispo­
sto alla soddisfazione, alieno d a ll’am bizione, estrem am en te sol­
lecito della riservatezza, cosi che spesso in lui avresti esaltato il
di più della verecondia anziché ricercarn e l ’indispensabile. 52. Ma
i fondam enti delle v irtù non sono m ai superflui; in fa tti il pudore
non lim ita m ai il dovere, m a lo raccom anda. Perciò con la faccia
soffusa quasi di u n a verecondia v e rg in a le 84, poiché rivelava nel
volto i suoi sentim enti, se p e r caso ad u n tra tto sulla sua stra d a
avesse in co n tra to u n a qualche parente, chinandosi, p e r cosi dire,
e quasi sprofondandosi fino a te rra — m a non si com portava di­
versam ente in com pagnia di uom ini — di rado sollevava la fac­
cia, alzava gli occhi, rispondeva a ciò che gli veniva detto. E
questo faceva p e r u n delicato p u d o re deH’anim o, con il quale si
accordava la ca stità del corpo. Conservò, infatti, incontam inati i
doni del santo battesim o , m ondo nel corpo, più p u ro nel cuore,
provando o rro re p e r l ’o n ta di u n discorso osceno non m eno che
p e r quella del corpo, convinto ch e si dovesse risp e tta re la pudi­
cizia tan to con l’o n està dei discorsi q u an to con la c a stità del co r­
po. 53. Amò quindi a ta l p u n to la ca stità, che non prese nem-

82 Vedi sopra, par. 43, nota 67.


u Ho cercato di conservare in italiano il rapporto loqui... colloqui.
84 C f. V erg ., Georg., I , 430: a t si uirgineum suffuderit ore ruborem ( d e t t o
d e lla lu n a ) .
60 DE EXCESSV FRATRIS, I , 5 3 -5 7

n ique in ta n tu m castim oniam dilexit, u t nec uxorem expeteret,


licet in eo non solum castitatis ad p eten tia fu erit, sed etiam pie­
tatis gratia. M iro au tem m odo e t coniugium dissim ulabat et iactan-
tiam declinabat. T an taq u e e ra t dissim ulatio, u t nobis quoque
u rgentib u s differre m agis consortium q uam refugere u id ere tu r.
H oc u n u m itaq u e fuit, quod nec fra trib u s crederet, non aliqua
cunctationis h aesitantia, sed u irtu tis uerecundia. 54. Quis ig itu r
non m ire tu r u iru m in te r fra tre s duos, alteram uirginem , alteru m
sacerdotem , aetate m edium , m agnanim itate n o n in p a re m ita in te r
duo m axim a m u n era p raestitisse, u t alteriu s m u n eris castitatem ,
alteriu s san ctitatem re ferret, non professionis uinculo, sed u ir­
tu tis officio? E rgo si libido a tq u e iracu n d ia reliq u o ru m u itio ru m
educatrices sunt, iu re ca stitatem atq u e clem entiam dixerim q u a s­
dam u irtu tu m paren tes, quam quam p ietas quoque u t om nium
p rin cip atu s bonorum , ita etiam sem inarium u irtu tu m e s t cetera­
rum . 55. N am d e p arsim o n ia qu id lo q u ar et q u ad am habendi
castitate? Is enim non q u ae rit aliena, qui sua seruat, nec inflatur
inm odico, qui co ntentus est proprio. N ihil ergo aliud nisi p ro ­
p riu m recu p erare uoluit, m agis n e fra u d a re tu r, quam u t d itare tu r.
N am eos, qui aliena q u aereren t, re cte « accipitres pecuniae » nom i­
n a b a t — quodsi radix m alorum o m n iu m auaritia est*, u tiq u e
u itia exuit, qui pecuniam non re q u irit —, (56.) non u m q u am
accuratio rib u s epulis a u t congestis ferculis delectatus, nisi cum
am icos rogaret, q u an tu m n a tu ra e satis esset, non q u an tu m uolup-
ta ti superesset, req uirens. E t c e rte e ra t non p a u p e r opibus, sed
tam en p a u p e r sp iritu , quoniam ipsorum est regnum ca e lo ru m a.
De istiu s b eatitu d in e neq uaquam u tiq u e d u b itare debem us, qui
neque u t opulens exultauit in diuitiis neque u t p a u p e r exiguum ,
quod h ab u it, iudicauit.

57. S uperest, u t ad conclusionem cardinalium u irtu tu m etiam


iu stitiae p arte s in eo debeam us ad u ertere. N am etsi cognatae sint
in te r se co n cretaeque u irtu tes, tam en singularum quaedam fo r­
m a et expressio d esid eratu r m axim eque iustitiae. E a enim sibi

55. * 1 Tim 6, 10*.


56. a Mt 5, 3.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 5 3 -5 7 61

m eno moglie, sebbene in lui ci fosse non solo l ’aspirazione alla


castità, m a anche l’am orevolezza dell'affetto p e r i suoi cari. E ra
am m irevole il m odo con cui eludeva il discorso del m atrim onio,
evitando nello stesso tem po di m en arn e vanto. E si com portava
cosi con ta n ta naturalezza, che anche a noi, che gli facevam o p re­
m u ra, sem brava ch ’egli volesse rita rd a re il m atrim onio p iu tto sto
che evitarlo. E q u esta fu la sola cosa che non confidò nem m eno
a noi fratelli, no n p e r l’esitazione di chi non sa decidersi, m a p e r
la m o d estia della sua v irtù. 54. Chi dunque non sarebbe am m i­
ra to che u n uom o, m ediano d ’e tà tr a due fratelli, l'u n a vergine,
l ’altro vescovo, n on in feriore a lo ro p e r grandezza d ’anim o, si sia
talm en te d istin to tra le loro due sublim i vocazioni d a rip ro d u rre
la c a stità dell’u n a e la venerabilità dell’altro non p e r il vincolo d i
u n voto, m a p e r l'obbligo derivante dalla v irtù ? Se la lu ssu ria e
l ’iracondia sono le m aestre di tu tti i vizi, a buon d iritto direi che
la c a s tità e la clem enza sono, in u n certo senso, le m ad ri delle
v irtù, p e r q u an to anche la p ie tà sia, com e la sovrana di tu tti
i beni, cosi anche il vivaio di tu tte le altre virtù. 55. P erché p a r­
lare della su a p arsim o n ia e, starei p e r dire, della sua c a stità nel
possedere? N on cerca in fatti i beni a ltru i chi custodisce i p ro p ri
né si gonfia di p ro p rie tà s m is u ra te 85 chi si accontenta di ciò che
gli app artien e. N on volle dunque recu p erare n ien te a ltro se non
il suo, p iù p e r non essere defrau d ato che p e r arricchire. Chiam ava,
in fatti, giustam en te « avvoltoi del denaro » 86 quelli che bram ano
i b eni a ltru i — e se l'avarizia è la radice di tu tti i mali, certam en­
te chi no n cerca il d en aro è privo di vizi. 56. N on am ò m ai b an ­
ch e tti tro p p o raffinati o tro p p o abbondanti, se non quando invi­
tava gli am ici, d esiderando quanto b astasse alla n atu ra , n o n q u an to
sovrabbondasse p e r il p ia c e re 87. C ertam ente non era povero di
mezzi, m a tu tta v ia povero di spirito, poiché di essi è il regno dei
cieli. Della sua b eatitu d in e non dobbiam o assolutam ente dubitare,
poiché non si sfrenò nella ricchezza com e u n ricco né, com e u n
povero, giudicò tro p p o poco ciò che aveva.
57. P er co m p letare le v irtù c a rd in a li88 dobbiam o ancora
sco n trare in lui ciò che com pete alla giustizia. In fatti, sebbene
le v irtù siano tr a loro affini e reciprocam ente c o n g iu n te 89, tu tta ­
via di ciascu n a di esse — e ciò vale so p ra ttu tto p e r la giustizia —

*5 C f. A p v l ., De Piat., I I , 4 , 227: altera ( c i o è l a d i s s o l u t e z z a ) im m odera­


tius fundendo patrim on ia prodigit facultates.
M Cf. P l a v t . , Pers., 409: Pecuniae accipiter auide atque inuide. Cf. anche
A p v l., De Piat., II, 9, 241: Hunc tale Plato lucricupidinem accipitrem pecuniae
nominauit. In realtà P laton e (R esp ., 552 C) paragona l ’u om o, che ha d issi­
p ato i propri beni, al fuco.
87 Cf. L iv., XXI, 4, 6: cibi potionisque desiderio naturali, non uoluntate
m odus finitus (d e tto d i A nnibaie).
88 C f. Cic., De off., I , 5, 15-17, e A m b r., De off., I I , 9, 49; Exp. ps. CXVIII,
11, 11; De par., 3, 14. C f. anche Q v i n t ., I l i , 7, 15. Sui rapporti tra S. A m brogio
e Apuleio, vedi P. C o u r c e l l e , Recherches sur les Confessions ùe S. Augustin,
D e B occard, P aris 19682, pp. 319-336.
89 Cf. De off., II, 8, 43; De par., 3, 22.
62 DE EXCESSV FRATRIS, I , 5 7 -6 1

p arcior, foris to ta est, et q uidquid habet, quadam inclem entia sui,


dum ra p itu r am ore com m uni, tra n sfu n d it in proxim os. 58. Sed
huius m ultiplex species, alia erga propinquos, alia erga uniuersos,
alia erga dei cu ltu m uel ad ium entum inopum . Ita q u e qualis in uni­
uersos fuerit, prouincialium , quibus p raefu it, stu d ia docent, qui
p aren tem m agis fuisse p ro p riu m quam iudicem lo q u eb an tu r, gra­
tu m piae necessitudinis arb itru m , constantem aequi iu ris d iscep ta­
torem . 59. In te r fra tre s autem qualis fuerit, licet om ne hom inum
genus b en iu o len tia co n p lecteretu r, indiuisum p atrim o n iu m do­
cet nec d istrib u ta au t delibata, sed re se ru a ta h ereditas. E tenim
p ietatem sibi causam negauit esse testandi. N am hoc quoque u lti­
m o serm one signauit, cum , quos dilexerat, com m endaret, sibi nec
uxoris a rb itriu m fuisse ducendae, n e a fra trib u s d iu elleretu r, nec
testam en ti faciendi u o lu n tatem , ne n o stru m in aliquo a rb itriu m
laederetu r. D enique et o ra tu s e t obsecratus a nobis nihil tam en
condendum p u tau it, non oblitus pauperum , sed ta n tu m obsecrans
esse trib u en d u m , q u an tu m nobis iu stu m u id eretu r. 60. Quo uno
satis et diuini tim o ris expressit indicium et h u m anae e d id it reli­
gionis exem plum . N am quod p au p erib u s contulit, deo detulit, quo­
niam , qui largitur pauperi, deo fe n e r a ta, et postulando, quod iu­
stu m est, non exiguum, sed to tu m reliquit. H aec enim sum m a
iu stitiae: u endere, quae habeas, et conferre p au p erib u s b; qui enim
dispersit, d ed it pauperibus, iustitia eius m anet in a e te r n u m c. Ergo
d ispen sato res nos, non heredes reliquit; n am hered itas successori
q u aeritu r, dispensatio p au p erib u s obligatur.

61. Vnde non inm erito quantus fuerit, hodie quoque


uocem lectoris paruuili sp iritu s sanctus expressit: Innocens m anibus
et m u n d o corde, qui non accepit in uanum anim am suam nec fecit
proxim o suo d o lu m a: haec generatio requirentium d e u m b. Hic
ergo et « in m o n tem dom ini ascendet » et « in tab ern acu lo h abi­
ta b it » c dei, quia ingressus sine m acula operatus est iustitiam ,
locutus est ueritatem , non decepit proxim um , nec pecuniam fene­
ratus est suam d, qui sem p er uo'luit recu p erare h ereditariam . Agno-

60. a Prou 19, 17*.


b Cf. M t 19, 21.
c Ps 111, 9*.
61. a Ps 23, 4*; 14, 3*.
b Ps 23, 6*.
c Cf. Ps 23, 3; 141.
■J Ps 14, 2-5*.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I, 5 7 -6 1 63

si richiede, in u n certo senso, l ’im m agine e l’im p ro n ta 90. Questa,


assai p arsim o n io sa con se stessa, sta in teram en te al di fuori di
sé e, q u asi sp ie ta ta verso se stessa, lasciandosi trasc in a re dal­
l’am ore verso gli altri, riv e rsa sul prossim o tu tto ciò che possiede.
58. M a le sue specie sono m o lte p lic i91: c'è quella verso i p aren ­
ti, quella verso tu tti ind istintam ente, quella che rig u ard a il culto
di Dio o l'aiu to verso i poveri. O rbene, quale sia s ta ta la sua giu­
stizia verso tu tti gli uom ini, è d im o strato dalla sim p atia dei p ro ­
vinciali da lui g o v e rn a ti92, i q u ali dicevano che era stato p er loro
u n p ad re p iu tto sto che u n giudice, u n a rb itro gradito p e r il suo
tra tto benevolo, u n in te rp re te sicuro deH’im parzialità del diritto.
59. Come da lui sia s ta ta p ra tic a ta la giustizia tr a fratelli, p u r
com prendendo egli· n ella sua benevolenza tu tto il genere um ano,
è d im o strato dal p atrim o n io indiviso e dall’ered ità non d istrib u i­
ta o parzialm en te goduta, m a conservata in ta tta p e r noi. Disse,
infatti, che l'am o re fra te rn o non era p e r lui u n m otivo p er fa r
testam en to . In fa tti, nelle sue u ltim e parole, m en tre ci raccom an­
dava quelli ch e aveva am ato, ci spiegò che egli aveva deciso di
non p ren d ere nem m eno m oglie p e r non staccarsi dai fratelli e
che no n aveva voluto fa r testam en to p e r non recare alcun p re ­
giudizio alla n o s tra lib era volontà. T an t'è vero che, sebbene ripe­
tu tam en te scongiurato d a noi, non riten n e di m ettere da p a rte
qualcosa, non già dim enticando i poveri, m a pregandoci di asse­
gnare loro q u an to ci sem b rasse giusto. 60. Con qu esto solo m odo
di co m p o rta rsi diede a sufficienza sia u n a prova del suo tim o r di
Dio sia u n esem pio della sua delicatezza di coscienza nei ra p ­
p o rti con gli uom ini. In fatti, intese offrire a Dio ciò che aveva
assegnato ai poveri, poiché chi dona ai poveri, presta a Dio, e
chiedendo che si desse ciò che è giusto, lasciò non u n a p a rte scar­
sa, m a tu tto ciò che loro spettava. Q uesta è, infatti, l'essenza della
giustizia: vendere ciò che possiedi e darlo ai poveri; chi, in fatti,
ha dato generosam ente ai poveri, la sua giustizia rim ane in eterno.
Ci h a lasciati dun q u e am m in istrato ri, non eredi: l'ered ità vuole
u n successore, l ’am m inistrazione obbliga verso i poveri.
61. Perciò no n a to rto anche oggi lo S p irito Santo, p e r bo
del giovane letto re, h a in d icato quanto grandi fossero le sue vir­
tù: Chi ha m ani m o n d e e cuore puro, chi non ha rivolto alle
vanità la sua anim a e non ha ingannato il suo prossim o: questa
è la generazione di coloro che cercano Dio. Questi· dunque e « sa­
lirà sul m onte del S ignore » e « a b iterà nella ten d a » d i Dio, perché
entrando senza m acchia ha praticato la giustizia, ha detto la veri­
tà, non ha ingannato il suo p rossim o né ha prestato a interesse il
suo d e n a ro 93, p erch é volle recu p erare esclusivam ente quello ere-

9° Forma e t expressio, com e indica anche il quaedam, vanno intese in


senso traslato.
« Cf. De off., I, 27, 127.
w Ignoriamo di quale provincia si tratti; cf. sopra, par. 25, nota 43.
93 Come avverte il Coppa (op. cit., p. 801, nota 98), i salmi 23 e 14 erano
letti neH’ufRciatura funebre. Vedi anche P alestra , op. cit., p. 35.
64 DE EXCESSV FRATRIS, I , 6 1 -6 6

sco oraculum ; quod enim nulla o rd in au it dispositio, sp iritu s reue-


lauit. 62. Quid u e ro illu d recenseam , quod su p ra ip sam iu stitiam
p ietate progressus, cu m quaedam in cu b ato ri com m unium fru c ­
tu u m m ei contem platione m uneris p u tasset esse trib u en d a, lar­
gitatis m e iacta b at auctorem , p o rtio n is suae lu cru m a d com m u­
ne co n so rtiu m conferebat? 63. H aec et alia, q u ae m ihi tu n c era n t
u o lu p tati, m axim e nu n c recordationem doloris exasperant. M anent
tam en eru n tq u e sem per, nec tam q u am u m b ra p ra e te rie ru n t; ne­
que enim u irtu tis g ra tia cum corpore occidit, nec idem n a tu ra e
m erito ru m q u e finis, licet ipsius n a tu ra e usus non in a e te rn u m oc­
cidat, sed tem porali q u ad am uacatione requiescat.

64. Talibus ig itu r p erfu n ctu m u irtu tib u s, erep tu m pericu


desiderio m agis q uam am issione flebo. S uadet enim ip sa oportu-
n itas m o rtis, u t p ro seq u en dum m agis g ra tia quam dolendum p u ­
tem us. S crip tu m est enim in com m uni dolore p ro p riu m u ac are
debere; neque enim p ro p hetico serm one un i illi m ulieri, q u ae
figuratur, sed singulis d icitur, cu m ecclesiae d ic tu m u id etu r.
65. D icitur ergo et ad m e e t d icit s c rip tu ra caelestis: « H ocine
doces, sic in stitu is dei plebem ? An nescis, quia exem plum tuum
periculu m cetero ru m est? Nisi fo rte exauditum non esse te q u ere­
ris! P rim um istu d adrogantis est inpudentiae m ereri solum uelle,
q uod m ultis etiam sanctis negatum noueris, cum scias, quia non
est personarum acceptor d e u s a. N am etsi m isericors deus, tam en,
si sem per exau d iret om nes, non iam ex u o lu n tate libera, sed ex
quadam u elu t n ecessitate facere u id ere tu r. Deinde cum om nes
rogent, si exaudiret om nes, nem o ergo m o reretu r. P ro quantis
cottidie rogas! N um quid constitutio d e ib contem platione soluenda
e s t tu i? C ur ergo no n in p e tra tu m aliquando doles, quod non sem ­
p e r in p etra b ile esse cognoscis? 66. S tulte, in q u it, super om nes
m ulieres, nonne uides lu ctu m n o stru m et quae nobis contigerunt,
quoniam Sio n m a ter nostra o m n iu m in tristitia co n trista tu r et
hu m ilita te hum iliata est? Lugete ualidissim e et nunc, quoniam
om nes lugem us, et tristes este, quoniam om nes co n trista ti sum us!
T u enim contristaris in fratre. Interroga terram , et d icet tibi,
quoniam haec est, quae debeat lugere, tantorum su p erstes ger­
m inum . E t ex ipsa, inquit, initio om nes nati, et alii uenient, et

65. a Act 10, 34.


b Cf. Gen 3, 19; Hebr 9, 27.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 6 1 -6 6 65

d itato dai suoi. Riconosco qui la p aro la del Signore; lo S pirito h a


rivelato ciò che n essu n a n o rm a aveva p rescritto . 62. P erché do­
vrei rico rd are che, su perando con la su a p ie tà la stessa giustizia,
siccom e riten ev a che, in considerazione d el m io ufficio, si doves­
se d are qualcosa a uno che si e ra ap p ro p riato dei n o stri com uni
proventi, m i elogiava quale a u to re di quella generosità, assegnan­
do il p ro fitto dovuto alla sua p a rte al p atrim o n io com une? 63. Que­
sti ed altri fa tti ch e allo ra m i recavano piacere, o ra esacerbano
in som m o grado il ricordo del m io dolore. R im angono tu tta v ia
e rim arran n o sem p re e n on sono svaniti com e om bra. In fa tti il
favore di cu i gode la v irtù non m uore co n il corpo né la fine
dei m eriti coincide co n quella della n atu ra , sebbene il com m er­
cio con la n a tu ra no n venga m eno p e r sem pre, m a abbia u n a tre ­
gua, com e u n tem p o ran eo congedo.
64. Poiché h a esercitato cosi eccelse v irtù ed è sta to s
tra tto a cosi g ran d i pericoli, ne piangerò p iù la m ancanza che la
perd ita. La stessa o p p o rtu n ità della m o rte ci suggerisce p iu tto sto
di m o strarc i riconoscenti ch e addolorati. S ta scritto che nel co­
m une dolore quello p ersonale deve cessare; le p arole is p ira te 94,
in fatti, non sono rivolte a quella sola donna, che viene descritta,
m a a ciascuno di noi, poiché a p p a io n o 95 rivolte alla Chiesa. 65. Si
p a rla dunque anche a m e, e la S c rittu ra divina m i dice: « Questo
insegni, cosi istru isci il popolo di Dio? N on sai forse che il tuo
esem pio co stitu isce u n pericolo p e r gli altri? A m eno che p e r caso
tu non ti lam en ti di non essere stato esaudito. A nzitutto è segno
di p re su n tu o sa im pudenza voler essere il solo a m eritare quel che
sai negato anche a m olti santi, poiché b en sai che Dio non fa pre­
ferenza di persone. In fatti, qu an tu n q u e Dio sia m isericordioso,
se esaudisse sem pre tu tti, sem brerebbe agire non più p e r libera
volontà, m a p e r u n a specie di necessità. In secondo luogo, sicco­
m e tu tti pregano, se esaudisse tu tti, com e conseguenza non m ori­
rebbe nessuno. P er q u an te persone tu preghi ogni giorno! Forse
che il piano divino deve essere a lterato p e r ca u sa tua? P erché
dunque ti lam en ti di no n aver o tten u to talvolta ciò che b en sai
non può sem pre o tten ersi? 66. Stolto, dice lo sc ritto re s a c ro 96,
p iù di tu tte le donne, non vedi il nostro lu tto e quel che ci è
accaduto, e cioè che Sion, nostra madre, si rattrista per la tri­
stezza. di tu tti ed è stata sottoposta ad um iliazioni? Piangete tu tte
le vostre lacrim e anche ora, perché tu tti piangiam o, e siate tristi,
perché tu tti siam o rattristati! T u in fa tti ti ra ttristi p e r tu o fra te l­
lo. Interroga la terra, e ti dirà che è essa a dover piangere, super­
stite a tanti germogli. E da essa, dice, in principio tu tti sono nati,

94 Evidentem ente qui Ambrogio si riferisce al passo del libro di Esdra


citato al par. 66.
95 Non mancano nello stesso Cicerone esem pi di cum causale con l'in­
dicativo.
96 II passo appartiene al IV libro di Esdra, non accolto nel Canone tri-
dentino. Il terzo e il quarto libro di Esdra, con 1’Oratio Manassae, sono
talora citati da alcuni Padri. N el testo originale il vocativo è naturalmente
stulta.
66 DE EXCESSV FRATRIS, I , 6 6 -6 9

ecce paene om nes in p erd itionem am bulant, et in exterm in iu m -fit


m u ltitu d o eorum . E t quis ergo debet lugere m agis nisi quae tam
m agnam m u ltitu d in em perdidit, quam tu, qui pro uno doles? » a.
67. A bsorbeat ig itu r n o stru m do lo rem com m unis dolor et acerbi­
tatem p ro p rii m aero ris excludat! N on enim dolere debem us eos,
quos cern im u s lib erato s; neque enim otiose tam sanctas hoc
tem po re anim as corporeis uinculis rem iniscim ur absolutas. N am ­
que u elu t d iu in o iudicio tam graues uiduas ita uno tem p o re de­
functas uidem us, u t profectionis quidam u id e a tu r excessus, non
m o rtis occasus, ne u e teran a em eritis stipendiis p u d icitia dubium
diu seru ati p u d o ris incideret. Quos gem itus m ihi, quos dolores
tam acerb a excitat recordatio! E tsi m aero rib u s non uacabam ,
tam en in ipso dolore p riu ato, in ipso ta n to ru m am isso flore m e­
rito ru m com m unis quaed am n a tu ra e m e condicio so lab atu r de-
fixusque in un o dolor acerb itatem publici funeris dom esticae specie
p ietatis obduxerat. 68. R epeto ergo, sancta scrip tu ra , solacia tua;
iu u at enim tuis p raeceptis, tuis sententiis inm orari. Q uam facilius
est caelum et terram praeterire quam de lege u n u m apicem ca­
dere*'. Sed iam audiam us, quae scrip ta sunt: N unc, inquit, retine
apud tem e t ipsum dolorem tu u m et fo rtite r fer, qui tibi contigerunt,
casus! S i enim iustificaueris term in u m dei, et filium tu u m recipies
in tem pore et in m ulieribus conlaudaberish. Si hoc ad m ulierem ,
qu an to m agis ad sacerdotem ! Si de filio, non u tiq u e a b su rd u m
etiam de fra tru m am issione talia posse m em orari. Q uam quam si
m ihi fuisset filius, n um quam eum am plius dilexissem . N am sicut
in o bitu liberum effusi labores, suscepti fru stra dolores m aerorem
u id e n tu r augere, ita etiam in fra trib u s consuetudinis u su s atque
collegii acerb itatem doloris accendunt.

69. Sed ecce dicentem scrip tu ra m audio: N oli facere hu


serm onem , sed consenti persuaderi — qui enim casus Sion! —
et consolare p ro p ter dolorem H ierusalem ! V ides enim , quia sancta
nostra contam inata su n t et nom en, quod n o m in a tu m est super nos,
paene p ro fa n a tu m est et filii n o stri contum eliam passi su n t et sa­
cerdotes nostri succensi su n t et leuitae n o stri in captiuitate fu eru n t
et m ulieres nostrae contam inatae su n t et uirgines nostrae uim

66. * 4 Esdr 10, 6-11.


68. * Lc 16, 17.
» 4 Esdr 10, 15 s.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 6 6 -6 9 67

e altri verranno, ed ecco quasi tu tti vanno verso la perdizione e


la loro m o ltitu d in e è votata allo sterm inio. E chi d unque deve
piangere se non essa, che ha p erd u to una cosi grande m oltitudine,
invece di te, che ti affliggi per una sola persona? ». 67. Il com une
dolore d u nque asso rb a il n o stro ed escluda lo strazio del dolore
personale! N on dobbiam o affliggerci p e r coloro che vediam o orm ai
liberi; ricordiam o che non a caso nel tem po p resen te anim e cosi
sante fu ro n o sciolte dai vincoli del corpo. V ediam o che quasi
p e r u n giudizio divino vedove degne di ta n ta venerazione sono
m o rte co n tem p o ran eam en te — cosi che la loro scom parsa sem ­
b ra l'an d arsen e di chi p arte, n o n il tram o n to di chi m u o re 97 — ,
affinché u n a pudicizia v eteran a p e r u n lungo servizio onorevolm en­
te p r e s ta to 98 n o n fosse esposta al dubbio sul p ro p rio pudore cu­
stodito p e r tan to tem po. Quali gem iti, quale dolore su scita in m e
u n ricordo cosi acerbo! P u r non essendo privo di afflizioni, tu t­
tavia nel m io stesso dolore personale, nella stessa p erd ita del
fiore d i ta n ti m eriti, m i consolava la com une condizione d i n a tu ­
ra e il m io dolore, co n c en trato in u n a sola persona, aveva fatto
scom parire ai m iei occhi, con la giustificazione d ell’affetto fra te r­
no, la tristezza p e r il p ubblico lutto. 68. R icorro ancora, S crittu ­
ra santa, ai tu o i conforti; m i è di sollievo tra tte n e rm i sui tuoi
precetti, sulle tu e m assim e: Q uant’è p iù facile che passino il cielo
e la terra p iu tto sto che cada un solo apice della legge! Ma ascol­
tiam o an co ra ciò che sta scritto: Ora, dice il testo sacro, trattieni
dentro te stesso il tuo dolore e sopporta con coraggio le sventure
che ti hanno colpito! Se in fa tti riterrai giusto il term ine stabilito
da Dio, riavrai a suo tem po tuo figlio e sarai lodata fra le donne.
Se questo si dice ad u n a donna, qu an to p iù si d irà ad u n vesco­
vo! Se tali p arole possono essere dette di u n figlio, non è assu r­
do citarle anche a p ro p o sito della m o rte d 'un fratello. P er quan­
to, se io avessi avuto u n figlio, non avrei p o tu to am arlo di più.
Come, quando m uoiono dei figli, le fatiche g ettate al vento, le
pene so p p o rtate invano sem brano accrescere l ’angoscia, cosi,
anche nel caso di fratelli, l’affettuosa co n tin u ità dei ra p p o rti
rende p iù viva l'asprezza del dolore.
69. Ma ecco sento ch e la S c rittu ra dice: N on parlare c
m a lasciati persuadere — qual è in fa tti la sventura di Sion! — e
consolati p er il dolore d i G erusalem m e! T u vedi, infatti, che i
nostri luoghi santi sono sta ti contam inati e il nom e, che è stato
invocato sopra d i noi, è stato quasi profanato e i n o stri figli
hanno sopportato m a ltra tta m en ti e i nostri sacerdoti sono stati
arsi e i no stri leviti sono sta ti esiliati e le nostre donne sono state
offese e le n o stre vergini hanno subito violenza e i n o stri giusti

97 N elle espressioni profection is excessus e m o rtis occasus i due geni­


tivi sono di identità o inhaerentiae. Il Coppa, infatti, traduce sem plicem ente
« partenza » e « morte ». H o preferito tuttavia rendere la sovrabbondanza
della forma latina.
9* Cf. Cic., Cato M., 14, 49, dove però l'espressione em eritis stipendiis
è seguita da libidinis, am bitionis, ecc.
68 DE EXCESSV FRATRIS, I , 6 9 -7 2

passae su n t et iusti no stri rapti su n t et paruuli n o stri p ro d iti su n t


et iuuenes no stri seru ieru nt et fo rtes nostri inualidi fa c ti su n t et,
quod o m n iu m m aius, signaculum Sion, quoniam resignata est de
gloria sua nu n c et tradita est in m anibus eorum , qui nos oderunt.
T u ergo excute tuam m u lta m tristitia m et depone abs te m u ltitu ­
dinem dolorum , u t tibi repropitietur fo rtis et requiem faciat tibi
altissim us requietione d o lorum ! a.

70. C essabunt ig itu r lacrim ae; p aren d u m e st enim rem e


salutarib u s, quia debet aliquid in te r fidos et perfidos interesse.
F leant ergo, qui spem resu rrectio n is h ab ere non p o s s u n ta, qu am
non sen ten tia dei eripit, sed fidei inclem entia. In te rs it in te r C hristi
seruulos idolorum que cultores, u t illi fleant suos, quos in p erp e­
tu u m existim ant interisse, illi nullas h ab e an t la c rim a ru m ferias,
nullam tristitia e requiem consequantur, qui nullam p u ta n t requiem
m o rtu o ru m , nobis uero, quibus m ors non n atu rae, sed u itae istius
finis est, quoniam in m elius ip sa n a tu ra re p a ra tu r, fletus om nes
casus m o rtis abstergeat. 71. C erte si illi sibi aliqua solacia rep-
p ereru n t, qui finem sensus defectum que n a tu ra e m o rtem a rb itra ti
sunt, qu an to m agis nos, quibus m eliora p o st m o rtem praem ia
bo n o ru m fa cto ru m conscientia pollicetur! H abent gentiles solacia
sua, quia requiem m alo ru m om nium m o rtem existim ant, et, u t
u itae fru c tu carent, ita etiam caruisse se p u ta n t om ni sensu et
dolore poenarum , quas in h ac u ita graues et adsiduas sustinem us.
Nos uero, u t erectiores praem io, ita etiam p atien tio res solacio esse
debem us; n on enim am itti, sed p ra e m itti u id en tu r, quos non
ad su m p tu ra m ors, sed aetern itas re c e p tu ra est.

72. C essabunt ergo lacrim ae, aut, si cessare non p o te ru n t, in


com m unibus lam entis flebo te, fra te r, et sub d o lo re publico dom e­
sticos gem itus tegam . N am ce ssare qui p o teru n t, cum ad om nem
sonum nom inis tu i lacrim ae su b re p an t, uel cum usus ipse reco rd a­
tionem excitat, uel cum adfectus im aginem rep rae se n tat, uel cum
reco rd atio dolorem ren o u at? Q uando enim dees, qui ta n tis officiis

69. » 4 Esdr 10, 20-24.


70. 3 Cf. 1 Thess 4, 13.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 6 9 -7 2 69

sono sta ti rapiti e i no stri bam bini sono sta ti ve n d u ti e i nostri


giovani sono d iventati schiavi e quelli di noi che erano robusti
hanno p erd u to la loro forza e, m ale p iù grande di tu tti, Sion,
sigillo del Signore, è stata dissuggellata da gloriosa che era ed è
stata consegnata nelle m ani di coloro che ci odiano. T u dunque
scaccia la tua pro fo n d a tristezza e deponi la m o ltitu d in e dei tuoi
dolori, affinché il Forte ti ritorni propizio e l’A ltissim o ti dia ripo­
so ponendo fine ai tuoi dolori!
70. C esseranno d unque le lacrim e; bisogna in fa tti ad a tta
ai rim ed i salu tari, poiché ci deve essere u n a qualche differenza
tra fedeli e increduli. Piangano perciò quelli che non possono ave­
re la speranza della risurrezione, che viene loro to lta non dal
giudizio di Dio, m a d alla loro o stin ata resistenza alla fede. T ra
gli um ili servi di C risto e gli a d o rato ri degli idoli ci sia u n a tale
differenza: q u esti piangano i loro cari, convinti che siano m o rti
p e r sem pre, n o n abbiano treg u a alcuna alle lacrim e, non trovino
m ai pace alla lo ro afflizione, poiché pensano che i loro m o rti non
riposino in pace; a noi invece, p e r i quali la m o rte è la fine di
q u esta vita, non del n o stro essere, poiché esso rivive ad u n a vita
m igliore, il p ian to cancelli l ’ac erb ità della m o rte " . 71. C erta­
m ente, se tro v aro n o p e r sé qualche conforto coloro che riten n ero
la m o rte la fine della sensibilità e il v en ir m eno d ell’essere, quan­
to più lo do b b iam o tro v are noi, cui la consapevolezza del bene
com piuto p ro m e tte m igliori ricom pense dopo la m orte. I gen­
tili hanno co n fo rti ad a tti a loro, p erch é ritengono che la m o rte sia
la fine d ’ogni m ale e pensano che, com e m ancano dei vantaggi
della vita, cosi siano esenti anche d a ogni sensazione e dolore
delle gravi e continue sofferenze che dobbiam o so p p o rtare in
q u esta v i t a 100. Noi invece, com e dobbiam o essere p iù fiduciosi
p e r il p rem io che ci attende, cosi dobbiam o essere più tolleranti
p e r il con fo rto di cui disponiam o: è m anifesto che non sono p er­
duti, m a ci precedono quelli che non saran n o an n ien tati dalla
m orte, bensì accolti d all'etem ità.
72. C esseranno dunque le m ie lacrim e oppure, se non
tran n o cessare, ti piangerò, fratello, unendom i al p ian to com une
e nasconderò nel pub b lico lu tto i m iei lam enti privati. Come, in­
fatti, p o tran n o cessare, se, ogni volta ch e viene p ro n u n ciato il tuo
nom e, m i sfuggono le lacrim e e le stesse m ie abitudini suscitano
il tuo ricordo e l'affetto rievoca la tu a im m agine e il ricordo
rinnova il dolore? Q uando non sei p resente, se ta n te tu e atten-

99 C f. V erg ., Aen., X , 791.793: H ic m o rtis durae casum tuaque op tim a facta


/ silebo.
100 C f. S all ., Cat., 51, 20: in luctu atque m iseriis m ortem aerum narum
requiem , non cruciatum esse, eam cuncta m ortalium mala dissoluere, ultra
neque curae neque gaudio locum esse; S e n ., Ad Mare., 19, 5-6: M ors dolorum
om nium exsolutio e st et finis, ultra quem m ala n ostra non exeunt... Mors nec
bonum nec m alum est, e c c .; Ad Pol., 9 , 2: nam, si nullus defunctis sensus
superest, euasit om nia fra ter m eus uitae incom m oda... I n p o l e m i c a c o n t r o
g li e p ic u r e i {Tuse., I , 34, 82-84), C ic e r o n e a f f e r m a t r a l ’a lt r o : A m alis igitur
m ors abducit, non a bonis, uerum si quaerimus.
70 DE EXCESSV FRATRIS, I , 7 2 -7 4

re p rae se n taris? Ades, inquam , et sem per offeriis, et to to te anim o


ac m ente co nplector, aspicio, adloquor, osculor, conprehendo, uel
in ipsa quiete n o ctu rn a u el in luce clara, cum reu isere et solari d i­
gnaris m aerentem . D enique ipsae iam noctes, q u ae quasi m ole­
stio res u iu en te te u id eb an tu r, quod m u tu i conspectus copiam dene­
garent, ipse iam som nus, conloquiorum n o stro ru m dudum inter-
ru p to r inam abilis, dulcis esse iam coepit, q uia te m ihi re d d it. Non
ig itu r m iseri, sed beati, q u o ru m nec p ra esen tia deficit nec cu ra
m in u itu r et au g etu r g ratia; etenim som ni sim ilis im ago m o rtis.
73. Quodsi in quiete n o ctu rn a uinculis adhuc corporeis in h aeren tes
et quasi in ca rce raria religatae c la u stra m em b ro ru m p o ssu n t tam en
anim ae altio ra et d isc re ta perspicere, quanto m agis sp ectan t haec,
cum iam p u ro aeth erio q u e sensu nulla co rp o reae labis inpedim en-
ta p atiu n tu r! M eritoque m ihi conquerenti uergente quodam iam in
occasum die, q u o d no n reuiseres quiescentem , to tu s om ni tem ­
p o re indiuiduus ad fu isti, ita u t illo p erfu su s sopore m em brorum ,
cum ego uigilarem tibi, tu uiueres m ihi, dicerem ; « Quid e s t m ors,
fra te r? N am c e rte nullis a m e sep araris m om entis ». I ta enim ub i­
que p ra e s to eras, u t, q u am in istius u itae u su h ab ere n o stri copiam
nequibam us, n u n c nobis sem per et ubique p ra e sto sit. N am tunc
u tiq u e om nia p ra e sto esse non p o tera n t; neque enim com plexionis
n ostrae, conspectus et osculorum corporalium su au itates locis om ­
nibus et om nibus tem p o ribus subpetebant, anim orum im agines
sem p er nobiscum eran t, etiam qu an d o n o n eram u s una. Q uae ne
nunc quidem occid eru n t adsiduoque aduolant, q u o m aiore d esi­
derio, eo m aiore copia. 74. Teneo ig itu r te, fra te r, nec m ihi te au t
m ors a u t tem p u s auellet. Ipsae dulces lacrim ae sunt, ipsi fletus
iucundi, q u ibus re stin g u itu r a rd o r anim i et quasi relaxatus euapo-
ra t adfectus. N eque enim sine te esse possum au t tu i n o n m em i­
nisse u m q u am a u t m em inisse sine lacrim is. O am ari dies, q u i in-
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 7 2 -7 4 71

zioni non cessano di rievocarti? Sei accanto a m e, ripeto, e sem ­


p re m i stai davanti ed io con tu tto l ’anim o e con tu tta la m ente
ti abbraccio, ti contem plo, ti rivolgo la parola, ti bacio, ti tengo
s tre tto sia d u ra n te lo stesso riposo n o ttu rn o sia alla luce del
giorno, quando ti com piaci di venirm i a tro v are e di consolarm i
nel m io cordoglio. Di conseguenza, orm ai anche le n o tti, che,
quando eri in vita, m i sem bravano, vorrei dire, p iu tto sto sgrade­
voli perché ci im pedivano di vederci reciprocam ente, orm ai an­
che il sonno, che o r no n è m olto interrom peva spiacevolm ente i
n o stri colloqui, h an n o com inciato orm ai ad esserm i graditi, p e r­
ché ti restitu isco n o a me. N on sventurati, m a felici sono quelli di
cui non viene m eno la presenza né dim inuisce la p re m u ra e cresce
il ra p p o rto d'affetto; l'asp e tto della m orte, infatti, è sim ile a quel­
lo del sonno 101. 73. Che se d u ra n te il riposo n o ttu rn o le anim e,
ancora s tre tte nei vincoli del corpo e q u asi in catenate en tro la
prigione delle m em bra, riescono tu tta v ia a scorgere m ondi più
alti e ap p a rtati, q u an to più li contem plano quando orm ai p e r la
loro p u ra ed ete rn a s e n s ib ilità 102 non in co n tran o alcun ostacolo
nelle deficienze del c o rp o 103. M entre u n giorno, quando stava o r­
m ai p e r calare la sera, m i lam entavo a buon d iritto p erch é non
venivi a tro v arm i d u ra n te il riposo, p e r tu tto il tem po, in tera­
m ente a m ia disposizione, m i fosti accanto inseparabile, cosi che,
p u r im m erso nel to rp o re delle m em b ra — poiché p e r te io ero
sveglio e tu p e r m e eri vivo — , ti dissi: « Che è la m orte, fratello?
Tu in fatti non ti separi m ai d a m e ». E ri d a p p e rtu tto a m ia dispo­
sizione, in tal m odo che, m en tre in p assa to non potevam o avere
nei ra p p o rti di q u e sta v ita piena disponibilità di noi, o ra essa ci
è offerta sem pre e in ogni luogo. Allora, in fatti, non potevam o
certam en te d isp o rre di tu tto ciò che desideravam o; non in tu tti i
luoghi e in tu tti i m om enti potevam o godere della gioia di ab b rac­
ciarci, di vederci e di b aciarci sensibilm ente, p u r essendo sem ­
p re con noi l’im m agine delle n o stre anim e, anche quando non e ra ­
vam o insiem e. Tali im m agini nem m eno o ra sono svanite e si p re­
sentano a noi co n tin u am ente a volo, con tan to m aggiore frequen­
za quanto m aggiore è il desiderio. 74. Tu sei m io, fratello, né la
m o rte o il tem po p o tran n o s tra p p a rti a me. Le stesse lacrim e
sono dolci, lo stesso p ian to è piacevole, p erch é con essi si spegne
l ’ard o re dell'anim o e, com e rilassato, il sentim ento dim inuisce la
sua tensione. Io non posso vivere senza di te o di te non rico r­
darm i co n tin u am en te o no n rico rd arm en e senza pianto. O giorni

ιοί Cf. Cic., Cato M., 2 2 , 81: Iam uero u idetis nihil esse m o rti tam sim ile
quam somnum·, V erg., Aen., II, 369: e t plu rim a m o rtis imago; VI, 522: dulcis
e t alta quies placidaeque sim iliim a m orti.
102 c f . V e r g ., Aen., V I , 746-747: concretam exem it labem purum que relin­
qu it / aetherium sensum.
103 Si avverte u n a qu alch e rem in iscen za p laton ica. S u i rapporti tra S. Am­
b rogio e Platone, ved i C o u r c e ll e , op. cit., pp. 311-382. V edi in oltre, c o n parti­
colare riguardo p er il De exc. fratris, H . Ch . P u e c h e t P . H adod, Nouveaux
aspects du platonism e chez sain t Am broise, « V igiliae C hristianae », XIII,
1959, pp. 204-234.
72 DE EXCESSV FRATRIS, I , 7 4 -7 8

te rru p ta m copulam proditis! O flebiles noctes, quae tam bonum


consortem q u ietis et in d iu id u u m m ihi com item perdidistis! Q uas
ederetis cruces, nisi se offunderet im ago p ra esen tis, nisi uisiones
anim i re p rae se n tare n t, quem species co rp o ris denegaret! 75. Iam
iam , fra te r anim o m eo carissim e, q u am quam tu in m atu ro decesseris
obitu, b eatu s tam en, qui ista non sustines nec am issum fra tre m
m aerere conpelleris, quem absentem d iu fe rre n o n p o tera s, sed
re c u rsu celeri reuisebas. Quodsi tu n c solitudinis m eae taed ia repel­
lere, m aestitiam fratern a e m entis ableuare pro p erab as, quanto
nunc creb riu s adflictum anim um debes reuisere et ex te conceptum
p e r te lenire m aerorem !

76. Ac m ih i tam en d at aliquas officii usus inducias e t obse­


quii sacerdotalis in ten tio abducit anim um . S anctae u ero so ro ri quid
fiet, quae, licet diuino m etu p ietatem tem peret, ru rsu s tam en ipsum
p ietatis dolorem studio religionis accendit, s tra ta hum i et to tu m
grem io sui conplexa tum ulum , laborioso fessa incessu, tris tis ad­
fectu dies noctesque m aero rem in teg rat? N am licet fletum p leru m ­
que serm one su spendat, in o ratione renouat, et quam uis sc rip tu ra ­
ru m m em oria consolationes seren tib u s p ra e c u rra t, flendi tam en
desiderium p recan d i ad sid u itate conpensat, lacrim aru m u b e rta te m
tu n c praecipue, quando nem o in terru m p e re possit, in stau ran s. Ita
quod m iserearis, habes, quod reprehendas, non habes; flere enim
in oratio n e u irtu tis est. E t quam quam istu d fa m iliare uirgini-
bus, quibus m ollior sexus, te n e rio r adfectus, co n tu itu com m unis
fragilitatis in lacrim as etiam sine dom estici sensu doloris exube­
ra t, tam en, cum m aio r causa m aerendi est, finis m aeroris excludi­
tu r. 77. D eest ig itu r consolandi uia, quia su b p e tit excusandi gratia.
N eque enim possis prohibere, quod doceas, p ra e se rtim cum reli­
gionis a d s tru a t lacrim as, non doloris, et com m unis seriem deplo­
ra tio n is in m etu p u d o ris obtexat. C onsolare ergo, qui po tes adire
anim um , p en e trare m entem . C ernat te esse p raesentem , sen tiat non
esse defunctum , u t, cuius secura d e m erito, eius fu n cta solacio
discat p ro eo no n g ra u ite r dolere, qui se ad m o n u erit non dolendum .

78. Sed q u id ego dem oror, fra te r? Q uid expecto, u t n o stra


tecum co m m o riatu r et quasi co n sep eliatu r oratio? Licet ipsa spe­
cies et exanim is corporis fo rm a so letu r oculosque m anens g ra tia
et perm an en s figura dem ulceat, nihil, inquam , m oror: procedam us
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I , 7 4 -7 8 73

am ari, che m i fa te co m p rendere com e la n o s tra unione sia orm ar


in terro tta! O n o tti bag n ate di pianto, che avete irrep arab ilm en te
p e rd u to u n cosi b u o n com pagno del m io riposo e u n socio insepa­
rabile da me! Quali croci sareste p e r m e, se non m i si p resentasse
la su a im m agine, se le visioni del m io anim o non m e lo ponessero
dinanzi, q u an tu n q u e la v ista corporea non m e lo consenta! 75. Or­
m ai, fratello carissim o al m io cuore, sebbene tu sia m o rto im m a­
tu ram e n te 104, tu tta v ia sei felice, p erché n o n sopporti queste sof­
ferenze né sei c o stre tto a piangere il fra te llo perd u to , tu che non
ne potevi so p p o rtare a lungo l’assenza, m a andavi a tro v arlo recan­
doti sollecitam ente d a lui. E se allo ra ti affrettavi a cacciare la
noia della m ia so litudine e ad alleviare la tristezza dell’anim o fra ­
terno, q u an to p iù di freq u en te devi o ra v isitare il m io anim o
afflitto e con la tu a v en u ta lenire la p en a che d a te m i proviene!
76. T u ttav ia l’esercizio del m io m inistero m i concede q ual­
che re sp iro e l ’im pegno del servizio episcopale d istrae il m io ani­
mo. M a che cosa s a rà d ella n o stra san ta sorella la quale, sebbene
m itighi co l tim o r di Dio l ’affetto fra te rn o , accresce di bel nuovo
10 stesso d o lo re provocato dall’affetto co n l ’im pegno nelle pratich e
religiose e, d istesa p e r te rra , abbracciando col suo grem bo l’in­
te ro tum ulo, affran ta nel suo faticoso incedere, afflitta in cuore,
ogni giorno rinnova la su a angoscia? Q uantunque, infatti, in ter­
ro m p a il p ian to con le parole, lo rinnova n ella p reg h iera e, seb­
ben e col rico rd o delle S c rittu re prevenga q u a n ti ten tan o di' con­
fo rtarla, tu tta v ia co m p en sa il desiderio di piangere con l’assidui-
tà nelle orazioni, rip ren d en d o il suo p ian to dirotto, q uando nes­
suno la p u ò in terro m p e re. In ciò hai u n m otivo di com passione,
non di biasim o: piangere pregando è segno di virtù. E qu an tu n ­
que tale atteg g iam en to sia consueto alle vergini, nelle quali, quan­
do con sid eran o la frag ilità um ana, il sesso p iù ten ero ed il sen­
tim en to p iù delicato, p u r senza la p en a di u n dolore fam iliare,
scoppiano in p ianto, tu ttav ia, q uando p iù grave è il m otivo p e r
affliggersi, allo ra l'afflizione non h a più fine. 77. M anca dunque
la possib ilità di consolarla, perché grande è il g arb o con cui si
scusa. In fa tti n on potresti' im pedirglielo con i tuoi am m onim enti,
specialm ente p erch é essa afferm a che sono lacrim e isp irate non
dal dolore m a d a l sentim ento religioso, e con la preoccupazione
p e r il suo p u d o re giustifica l ’u n irsi al com une lam ento. C erca di
consolarla, tu ch e p uoi accedere al suo anim o e p e n e tra re nella
sua m ente. V eda che le sei accanto, com prenda che non sei m o r­
to, cosi che, so sten u ta dal co n fo rto d i colui del cui m erito è certa,
im p ari a n o n ad d o lo rarsi eccessivam ente p e r chi le h a insegnato
che no n bisogna ad d o lo ra rsi p e r lui.
78. M a perché, fratello, m i dilungo cosi? P erché asp e tto che
11 m io discorso m u o ia e, p e r cosi dire, sia seppellito con te? Seb­
bene il tu o solo sem biante e l ’asp etto del tu o co rp o esanim e m i
siano di consolazione e la dolcezza che an co ra sussiste nella tu a

104 C f. S a l l . , I n g ., 14, 22; v e d i s o p r a , p a r . 31, n o t a 53.


74 DE EXCESSV FRATRIS, I , 7 8 -8 0

ad tum ulum . Sed p riu s u ltim u m coram populo uale dico, pacem
praedico, osculum soluo. P raecede ad illam com m unem om nibus
et debitam , sed iam m ihi p rae ceteris desiderabilem dom um . P ara
hospitii consortium , e t q uem adm odum hic om nia nobis fuere com ­
m unia, ita illic quoque iu s diuiduum nesciam us. 79. Ne, quaeso,
cupientem tui diu deseras: p ro p e ran tem expecta, festin an tem adiu-
ua, et si d iu tiu s m o rari tibi uidebor, accerse. N eque enim um quam
prolixius afuim us a nobis, tu tam en solebas reuisere. N unc quo­
niam tu re d ire iam non potes, nos ad te ibim us. Aequum est, u t
officium rependam us, subeam us uicem . N um quam nobis fu it uitae
condicio d iscretior, sem per au t sanitas au t aegritudo com m unis, ut,
cum a lte r aegresceret, a lte r in cu rrere t, et cu m alte r reualesceret,
u te rq u e con su rg eret. Q uom odo ius n o stru m am isim us? E t nunc
co n so rtiu m aegritudinis fuit, quom odo m o rtis consortium non fuit?

80. Tibi nunc, om nipotens deus, innoxiam com m endo ani­


m am , tibi h o stiam m eam offero: cape pro p itiu s ac serenus fra te r­
n um m unus, sacrificium sacerdotis! H aec m ei iam libam ina p ra e ­
m itto, in hoc ad te pignore uenio, non pecuniae, sed u itae pignore.
Ne m e diutius resid ere facias ta n ti fenoris debitorem ! N on m e­
diocris est fra te rn i am oris u su ra nec uilis n a tu ra e sors, quam cu­
m u lan t increm en ta u irtu tis. Possum ferre, si cito cogar exsoluere.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I, 7 8 -8 0 75

figura sia u n a carezza p e r i m iei o c c h i105, n o n indugio p iù oltre:


andiam o al sepolcro. M a p rim a, alla p resen za del popolo, voglio
rivolgerti l'estrem o saluto, a u g u rarti la pace, offrirti il trib u to dei
m iei baci. P recedim i in quella dim ora che tu tti p e r d iritto ci
attende, m a che o rm ai p iù di ogni a ltra cosa io desidero. P reparaci
un'abitazione con te, e com e quaggiù abbiam o avuto tu tto in co­
m une, cosi anche lassù ci sia ignota ogni distinzione in ciò che
ci spetta. 79. N on lasciarm i a lungo, ti prego, nel tu o rim p ian ­
to: atten d im i, m en tre sono im paziente di raggiungerti, aiutam i,
m en tre m i affretto, e se ti sem b rerà che io ta rd i troppo, chiam a­
mi. Noi non siam o m ai stati lontani tro p p o a lungo l'uno dal­
l'altro , e ciononostante non m ancavi di venirm i a trovare. Ora,
siccom e non puoi rito rn a re tu, verrem o noi d a te. È giusto che
ricam biam o la tu a p re m u ra e su b en triam o al tuo posto. La n o stra
condizione di v ita non fu m ai tro p p o diversa, b u o n a salute o m a­
la ttia ci fu ro n o sem pre com uni, cosi che, q uando l'u n o era am ­
m alato, cadeva am m alato anche l'altro , e quando l'u n o rito rn av a
sano, ci alzavam o en tra m b i d al letto . Com e m ai abbiam o p erd u to
il n o stro d iritto ? Anche o ra siam o stati am m alati insiem e: com e
m ai non siam o m o rti insiem e?
80. Ora, Dio onnipotente, ti affido q u e st’anim a senza colpa, ti
offro q u e sta m ia v ittim a: accetta propizio e sereno il dono del
fratello, il sacrifìcio del vesco v o 106! Com incio orm ai col presen­
ta rti q u este offerte, vengo a te in q u esto p e g n o 107, pegno non del
m io den aro , m a d ella m ia vita. N on p erm e tte re che io rim anga
più a lungo d eb ito re di u n a som m a cosi elevata! N on è cosa da
poco l ’interesse p e r l'am o re fra te rn o , non è di scarso valore il
c a p ita le 108 d ella n a tu ra q uando si accresce co n le ren d ite della
v irtù. Posso fa r fro n te al m io im pegno, se sarò c o stre tto a re sti­
tuirlo p ro n tam en te.

i°5 Cf. M e n . R h e t ., Περί έπιδεικτικών ( Περί μονψδίας ), 318 (III, ρ. 436,


15-20 S p eng el ): Ε ΐτα διατυπώσεις τό είδος τοΰ σώματος, οίος ί)ν άποβεβλη-
κώς τό κάλλος, τό των παρειών έρύθημα, οΐα γ λ ώ τ τ α συνέσταλτα ι, οίος
ϋουλος έφαίνετο μ αρανθείς, οΐοι βόστρυχοι κόμης ούκέτι λοιπόν περίβλεπτοι,
όφ-9-αλμών δέ βολαί καί γ λ ή ν α ι κατακοιμη6·εϊσαι, βλεφάρων ϊλικ ες ούκέτι
Ηλικες, ά λ λ ά συμπεπτω κότα π ά ντα .
106 Cf. ibid. (Περί έπιταφίου), 295 (III, ρ. 422, 2-4 S peng el ) : . ..εΐτα ευχήν
πρός τω τέλει τοΰ λόγου θήσεις εύχόμενος αΰτοΐς παρά τω ν θ-εών ύπάρξαι
τά κ ά λλισ τα .
107 Cioè nella persona di Satiro.
108 Dato il linguaggio « finanziario » di tutto il passo, ritengo che sors
non possa qui significare che « capitale ». A sors è riferito il successivo quam.
Diversamente il Coppa (op. cit., p. 810).
LIBER SECVNDVS

1. S uperiore libro aliquid indulsim us desiderio, n e tam q u


feru en ti plagae a u sterio ra ad h ib ita m edicam enta ex asp eraren t m a­
gis quam len iren t dolorem . Sim ul quia fra tre m saepius adlocuti
sum us et oculis tenebam us, ab su rd u m non fu it relaxare p au lisp er
adfectu m n atu rae, qui lacrim is m agis p asc itu r, fletibus delinitur,
stu p o re defigitur. Mollis enim et ten era species est et fo rm a pie­
tatis, n il insolens am at, nil inm ite, nil durum . F erendo au tem p ro ­
b a tu r p atien tia quam resistendo. 2. E rgo q u ia dudum dies m ortis
in te r lacrim abiles aspectus d eb u it anim um inclinare fratern u m ,
qui to tu m tenebat, nunc, quoniam die septim o a d sepulcrum red i­
m us, qui dies sym bolum fu tu ra e quietis e s t 3, a fra tre p aululum
ad com m unem hu m an i generis cohortationem iu u at d eriu are m en­
tem in tentionem que tran sfu n d ere, ita u t neque to tis sensibus defi­
gam u r in fra tre , ne o b re p at adfectus, neque tan tae exules p ietatis
et gratiae eum , quem diligim us, deseram us et u ere ipsi nobis ta n ti
doloris augeam us in iu riam , si hodie nobis et in serm one m o riatu r.
3. Vnde proposuim us, fra tre s carissim i, solari nos com m uni u su
nec d u ru m p u tare , q u idquid uniuersos m aneret, et ideo m o rtem
non esse lugendam , p rim u m q uia com m unis sit e t cunctis debita,
deinde q u ia nos saeculi huius ab so lu at aerum nis, p o strem o quia
som ni specie, u b i ab istius mundi· labore requietum sit, uigor
nobis u iu acio r refu n d atu r. Quem enim non so letu r resu rrectio n is
gratia, quem non excludat m aerorem , si credas nihil p e rire m orte,
im m o ipsius celeritate fieri m ortis, plus p e rire ne p o ssit? E rit ergo,
fra tre s carissim i, u t in ad h o rtatio n e com m uni etiam fra tri n o stru m
pendam us ad fectu m nec ab eo longius deuiasse uideam ur, si p er

2. * Cf. Gen 2, 2-3; Leu 23, 3.


LIBRO SECONDO

1. N el lib ro p reced ente abbiam o fa tto qualche concessione


al rim p ian to , perché, p e r cosi dire, l’uso d i m edicine tro p p o ener­
giche su u n a piaga infiam m ata non inasprisse il dolore invece di
m itigarlo. Nello stesso tem po, siccom e m olto spesso abbiam o
rivolto la p aro la a n o stro fratello che avevam o davanti agli occhi,
non fu in o p p o rtu n o lasciare p e r u n p o ’ libero sfogo ai sentim enti
di n atu ra , che di preferen za si alim entano di lacrim e, si placano
col pianto, restan o irrig id iti p er lo sbigottim ento. Dolce, infatti,
e ten era è la p artic o la re n a tu ra dell’affetto p e r i p ro p ri cari: non
am a nulla di arro g an te, nulla di aspro, n u lla di rozzo. D’a ltra p a r­
te la pazienza si d im o stra col so p p o rtare p iu tto sto che con l’op­
porsi. 2. Poiché dunque, o r non è m olto, il giorno della m orte,
in mezzo a lacrim evoli visioni, non p otè non ren d ere vacillante il
m io anim o fratern o , dato che lo aveva in teram en te in sua balia,
o ra che to rn iam o al sepolcro nel settim o giorno — giorno che è
il sim bolo della pace fu tu ra — conviene distogliere u n poco la
m ente dal fratello e rivolgere l'atten zio n e ad eso rta re insiem e
tu tti gli uom ini, in m odo da non fissarci con tu tti i n o stri sensi
su di lui, p erch é il sentim ento non si insinui di soppiatto, e,
d ’a ltra p a rte , p riv i com e siam o di tan to affetto e d i ta n ta am ore­
volezza, no n ab b an d o n are chi ci è caro e, in realtà, accrescere a
noi stessi il to rm en to di cosi grande dolore, se oggi anche in que­
sto discorso egli dovesse m orire. 3. P er tale m otivo ci siam o p ro ­
posti, fratelli carissim i, di consolarci secondo la com une consue­
tudine e di non giudicare gravoso ciò che a tte n d e tu tti, e quindi
riteniam o che la m o rte non debba essere pianta, in p rim o luogo
p erch é è com une a tu tti e a tu tti dovuta, in secondo luogo perché
ci libera dalle pene di quaggiù, infine perché, con l ’apparenza del
sonno, quando si è o tten u to il riposo dai travagli di questo m on­
do, viene infuso nuovam ente in noi u n vigore più d u ra tu ro *. Chi
non consolerebbe la grazia della risurrezione, quale afflizione non
respingerebbe, se tu cred essi che nulla p erisce p e r effetto della
m orte, anzi, p ro p rio p e r la ra p id ità della m o rte stessa, accade che
non sia p iù possibile p erire? Cosi dunque, fratelli carissim i, rivol­
gendoci a tu tti, ren d erem o il n o stro trib u to d ’affetto anche a no­
stro fratello e no n sem b rerà che p e r vie trav erse ci allontaniam o

1 Vengono qui anticipati i m otivi che saranno svolti nel presente discorso.
78 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 3-6

resu rrectio n is spem et fu tu ra e gloriae su au itatem etiam in serm o­


ne nobis hodie reuiuescat.
4. O rd iam u r ig itu r ab eo, u t lugendum nobis n o stro ru m obi­
tu m non esse doceam us. Quid enim ab su rd iu s quam u t id, quod
scias om nibus esse p raescrip tu m , quasi speciale deplores? H oc est
anim um su p ra condicionem extollere, legem non recipere com ­
m unem , n a tu ra e con so rtiu m recusare, m ente c a m is in fla ria et car­
nis ipsius nescire m ensuram . Quid ab su rd iu s q u am nescire, qui sis,
adfectare, q u o d no n sis? A ut q u id im p ru d en tiu s: q u o d fu tu ru m
scias, id cu m acciderit, fe rre non posse? N a tu ra ip sa nos reu o cat et
ab huiuscem odi m aero rib u s quadam sui consolatione subducit. Quis
est enim tam grauis lu ctus a u t tam acerbus dolor, in quo non
in terd u m relax etu r anim us? H ab et hoc n atu ra , u t, qu am u is hom i­
nes in tristib u s reb u s sint, tam en — si m odo hom ines su n t — a
m aero re m entem p au lisp er abducant. 5. Fuisse etiam quidam
fe ru n tu r populi, qui o rtu s hom inum lugerent obitusque celeb ra­
ren t; nec in p ru d e n te r enim eos, qui in hoc u itae salum uenissent,
m aerendos p u tab an t, eos uero, qui ex istius m undi procellis et
fluctibus em ersissent, n on in iu sto gaudio prosequendos a r b itra ­
b an tu r. N os quoque ipsi natales dies defu n cto ru m obliuiscim ur
e t eum , quo obieru n t, diem celebri sollem nitate renouam us.

6. Non est ergo grauis subeundus m aero r secundum n a tu ­


ram , n e a u t excellentiorem aliquam n a tu ra e exceptionem nobis
adrogare u id eam u r a u t com m unem recusare. E ten im m ors aequa­
lis est om nibus, in d iscreta p auperibus, inexcepta diuitibus. E t
ideo, licet p e r u n iu s peccatum , in om nes tam en p e r tr a n s iu ita, ut,
quem generis non refugim us auctorem , non refugiam us et m o rtis
et sit nobis sicut p e r u n u m m ors, ita p e r u n u m etiam re su rrec tio
nec recusem us aerum nam , u t p eru en iam u s ad gratiam . V en it enim ,
u t legim us, C hristus saluum facere, quod p e r ie ra tb, sed u t non
solum uiuorum , sed etiam m o rtu o ru m d o m in e tu r c. Lapsus sum

4. a Cf. Coi 2, 18.


6. * Cf. Rom 5, 18.
b Lc 19, 10.
e Cf. Rom 14, 9.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 3 -6 79

da lui, se p e r la speranza della risurrezione e la gioia della gloria


fu tu ra anche in questo discorso oggi p e r noi rito rn e rà a vivere.
4. Com inciam o con l'insegnare che non dobbiam o piang
la m o rte dei n o stri cari. Che c’è di p iù assu rd o che lam entarsi,
quasi fosse riserv ato a te solo, di ciò che sai im posto a t u t t i 2?
Q uesto significa n u trire aspirazioni superiori alla tu a condizione,
non accettare la legge com une, rifiutare la com unanza di n atu ra,
gonfiarsi di u n a m en talità carn ale e ignorare 1 lim iti della carne
stessa. Che c’è di p iù assu rdo che non sapere chi sei e voler esse­
re ciò che no n sei? O che c’è di più dissennato del non p o te r soppor­
tare, quando è accaduto, quello che sapevi che sarebbe avvenuto?
La stessa n a tu ra ce ne distoglie e ci so ttra e a sim ili afflizioni con
u n a consolazione, p e r cosi dire, che essa stessa ci fornisce. Qual
è, in fatti, il lu tto cosi grave o il dolore cosi atro ce nel quale, di
tan to in tanto, l'anim o non abbia qualche sollievo? La n a tu ra ha
questo vantaggio, che cioè, q u an tu n q u e gli uom ini vivano nelle
afflizioni, tu tta v ia — p u rch é siano uom ini — riescono a disto­
gliere p e r qualche tem po il loro anim o dalla tristezza. 5. Si dice
che siano esistiti anche dei popoli che piangevano la nascita
degli uom ini, m en tre ne festeggiavano la m orte. R itenevano, in­
fa tti, non da sciocchi, che fossero da com piangere coloro che era­
no venuti nel m are tem pestoso di q u esta vita, e che invece quelli
che erano usciti dalle tem peste e dai flutti di questo m ondo do­
vessero g iustam ente ricevere un lieto con g ed o 3. Anche noi non
ricordiam o il giorno della nascita dei n o stri m orti, m en tre com ­
m em oriam o con grande solennità quello in cui hanno lasciato
questo m ondo.
6. D unque secondo n a tu ra non dobbiam o piegarci sotto un
grave dolore, p erch é non sem bri o che pretendiam o p er noi u n a
più em inente condizione di n a tu ra o che ricusiam o quella com u­
ne a tu tti. La m o rte è uguale p e r tu tti, senza differenza p e r i
poveri, senza eccezione p e r i ricchi. P er questo, sia p u re p e r la
colpa di u n solo uom o, si è estesa a tu tti, cosi che non possiam o
ricusare quale causa di essa colui che non rifiutiam o quale capo­
stip ite del genere um ano, e com e p e r colpa di uno solo ci attende
la m orte, cosi p e r m erito di uno solo ci atten d e la risurrezione e
non ricusiam o la sofferenza p er o tten ere la grazia. Venne, infatti,
come leggiamo nella S crittu ra, Cristo p er salvare ciò che era per­
duto, m a p er essere il Signore non solo dei vivi, m a anche dei

1 C f. S e n ., Ad Pol., 1, 4: ...et ideo m ihi uidetur rerum natura, quod gra-


uissim um fecerat, com m une fecisse, ut cru delitatem fa ti consolaretur aequa­
litas.
3 C f. H erod., V , 4: τον μεν γενόμενον oi προσήκοντες ολοφύρονται, οσα
μιν δει, έπείτε έγένετο, άνα π λή σ α ι κακά, άνηγεόμενοι τά άνθρω πήια π ά ντα
πάθ-εα, τον δ’ άπογενόμενον παίζοντές τε καί, ήδόμενοι γ ή κρύπτουσι, έπιλέ·
γοντες οσων κακών έξα π α λ λ α χ θ είς έστι έν πάστ) εύδαιμονίτ]; V al . M a x ., II,
6, 12: Thraciae uero illa natio m erito sib i sapientiae laudem uindicauerit,
quae natales hom inum flebiliter, exsequias cum hilaritate celebrat; P o m p .
M ela , II, 2, 3: Itaque lugentur apud quosdam puerperia natique deflentur,
funera contra festa sunt et ueluti sacra cantu lusuque celebrantur.
80 DE EXCHSSV FRATRIS, I I , 6-9

in Adam, de p arad iso eiectus in Adam, m o rtu u s in Adam: quem


reuocat, nisi m e in Adam inuenerit, u t in illo culpae obnoxium ,
m o rti debitum , ita in C h risto iustificatum ? Si ergo d eb itu m m o r­
tis est, solutio debet esse tolerabilis. Sed hic locus p o sterio rib u s
p artib u s reseru an d u s. 7. N unc p ro p o situ m est ad se rere m o rtem
grauiori n on debere esse m aerori, quod eum n a tu ra ip sa respuat.
Denique L yciorum fe ru n tu r esse praecepta, quae u iro s iubeant
m ulieru m u estem induere, si m aero ri indulgeant, quod m ollem et
effem inatum iu d icau erin t in uiro luctum . D eform e est enim eos,
qui p ro fide, p ro religione, p ro p atria , p ro aeq u itate iudicii a tq u e
intentione u irtu tis obuium m o rti debeant pectus offerre, m aerere
in alio grauius, quod in se, si ca u sa exegerit, expetendum sit. N am
quem adm odum potes in te non refugere, quod in p atien tiu s alii
doleas accidisse? Depone m aerorem , si potes, include, si non potes!
8. Aut abso rb en d u s om nis a u t p rem endus est dolor. C ur enim
m aestitiam tu am non ra tio potius quam dies leniat? N am q u o d
o b litte ra tu ra est tem p o ris series, m elius p ru d e n tia m itigabit. Quin
etiam hoc ipsum •inreligiosum p u to erga ipsorum m em oriam , quos
dolem us am issos, tu obliuisci eorum m alim us qu am consolatione
m ulceri a u t cu m h o rro re reminisci- quam m em inisse cum g ratia,
recordationem tim ere, q u o rum im ago esse d eb e at uo lu p tati, diffi­
dere p o tiu s q uam sp erare de m eritis d efu n cto ru m et poenae ad­
dictos quam in m o rtalita ti debitos, quos dilexeris, aestim are.

9. Sed dicis: « Quos diligebam us, am isim us ». — N onne haec


nobis cum ip so m u n d o elem entisque com m unia sunt, q uia ad
tem p u s c re d ita in p erp etu u m ten ere n o n possum us? G em it te rra
sub a ra tris, im b rib u s caeditur, tem p estate concutitur, strin g itu r
frigore, sole to rre tu r, u t fru c tu s annuos fe ta p a rtu ria t, et cum se
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 6 -9 81

m orti. Ho peccato in Adamo, sono stato cacciato dal p arad iso in


Adamo, sono m o rto in Adamo: chi rich iam erà a nuova vita, se non
m i tro v erà in Adamo, com e quello soggetto alla colpa e destinato
alla m orte, cosi giustificato in C risto 4? Se dunque c ’è il debito
della m orte, il suo pagam ento deve essere sopportabile. Ma q u e­
st'argo m en to sa rà riserv ato ai capitoli successivi. 7. O ra mi
sono p ro p o sto d i d im o strare che la m o rte non deve provocare
u n dolore tro p p o grave, p erch é la stessa n a tu ra lo respinge. P er­
ciò si dice ch e vi sia u n a legge dei Liei, la quale ord in a agli
uom ini di in d o ssare vesti fem m inili se eccedono nel dolore, in
qu an to giudicano m olle ed effem inato il lu tto in u n u o m o 5. È
indecoroso, in fatti, che quelli che devono offrire il lo ro p etto alla
m o rte p e r la fede, la religione, la p atria, la giustizia, la conquista
della v irtù piangano eccessivam ente in u n altro c iò 6 che si richie­
derebb e d a loro, se l'occasione lo esigesse. In fatti, com e p o tresti
non rifuggire nel caso tu o d a ciò che ti duoli sia accaduto ad u n
altro ? M etti da p a rte il dolore, se puoi, chiudilo d en tro di te, se
non puoi. 8. Il dolore deve essere in teram en te trangugiato oppu­
re nascosto. P erché dovrebbe essere il tem p o e n o n la ragione a
m itigare la tu a tris te z z a 7? La saggezza m itig h erà p iù efficacemen­
te ciò che sarà cancellato dal tra s c o rre re del tem po. Anzi riten ­
go irriv eren te verso la m em oria di quelli di cui piangiam o la p e r­
dita, ch e p referiam o d im enticarci di loro p iu tto sto che trovare
conforto, o p p u re rico rd arli con u n brivido di p a u ra anziché con
piacere, p av en tarn e il ricordo, m en tre la lo ro im m agine dovrebbe
recarci g io ia 8, n u trire diffidenza anziché speranza nei m e riti dei
trap a ssati e cred ere le persone care condannate ai to rm en ti p iu t­
to sto che d estin ate all’im m ortalità.
9. Tu p erò obietti: « A bbiam o p e rd u to le persone che a
vam o ». Q uesto fa tto non ci è forse com une col m ondo stesso e i
suoi elem enti, p erch é ci sono sta ti affidati p e r u n c e rto tem po, m a
non li possiam o ten ere p e r s e m p re 9? La te rra gem e al passare
dell’aratro , è flagellata dalle piogge, è percossa dalla grandine, è
s tre tta nella m o rsa del freddo, è ria rs a dal sole 10, perché, fecon­
data, p a rto risc a i fr u tti annuali, e, dopo essersi riv estita d i fiori

4 Cf. Ave., De pecc. orig., 41, 47: In eo opere quod scrip sit de resurrectio­
ne sanctus Am brosius: « Lapsus sum , inquit, ...iustificatum ».
s Cf. V a l. M a x ., II, 6 , 13: Quocirca recte Lycii, cum iis luctus incidit,
m uliebrem uestem induunt, u t d eform itate cultus com m oti m aturius stu l­
tu m proicere dolorem uelint. Cf. an ch e P l v t . , Cons. ad Apoll., 113 A, 5-9;
Cic., Tuse., I, 48, 116.
6 Cioè la m orte.
^ Cf. Cic., Ad A tt., XII, 10 ( S e n ., Ad Mare., 8, 1-3).
8 Cf. S e n ., A d Pol., 5, 2 : Ille enim indulgentiam tib i esse uult, torm ento
esse non uult.
9 Cf. S e n . A d Pol., 1, 1: ...si redigas ad condicionem naturae omnia
destruentis et unde edidit eodem reuocantis, caduca sunt; 10, 4: Rerum
natura illum tib i sicu t ceteris fratribu s fratres suos non m ancipio dedit,
sed com m odauit; Cic., Tuse., I, 39, 93: A t ea (la n atu ra) quidem d ed it usuram
uitae tam quam pecuniae nulla p ra estitu ta die. Quid est igitu r qu od querare,
si repetit, cum uolt? E a enim condicione acceperas.
10 Cf. Exam., III, 8, 35.
82 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 9 -1 3

u ario flore u estierit, ex u itur p ro p rio et sp o liatu r o rn atu . Q uantos


haec ra p to res habet! Nec fru ctu m suum q u e ritu r am issum , quem
ideo generauit, u t am itte ret, nec in p o steru m negat, quem sibi
m em init auferendum . 10. C aelum ipsum non sem per stellaru m
m icantiu m globis fulget et quasi quibusdam in sig n itu r coronis.
N on sem per o rtu lucis albescit, radiis solis ru tila t, sed adsiduis
uicibus ille quidam m undi u u ltu s gratissim us u m en ti noctium
caligat h o rro re. Quid g ratiu s luce, qu id sole iucundius? Quae
cottidie occidunt; tam en decessisse nobis haec non m oleste feri­
m us, quia re d ire p raesum im us. Doceris in his, quam in tuis debeas
exhibere p atien tiam . Si su p erio ra tibi occidunt nec dolori sunt,
cur, si occiderint hum ana, do lean tu r?

11. S it tam en p atiens dolor, sit in tristib u s m odus, qui


g itu r in secundis. An si in m oderate gaudere non conuenit, lugere
conuenit? Non enim m ediocre m alum est inm oderatio doloris au t
m etus m ortis. Q uantos ad laqueum inpulit, arm a u it ad gladium ,
u t in eo ipso am en tiam suam p ro d eren t, m o rtem non ferentes et
m o rtem ad petentes, et quod p ro m alo fugerent, p ro rem edio ad-
sciscerent! Qui quoniam consentaneum n atu ra e suae fe rre ac p e r­
p eti neq u iu eru n t, co n trariu m uoti incidunt, u t ab his in p erp etu u m
sep aren tu r, quos sequi d esiderauerint. Sed haec ra ra , quoniam
n a tu ra ipsa reuocat, etsi p ra ecip itet am entia.

12. Illud u ero frequens in m ulieribus, u t clam ores publicos


serant, quasi m etu an t, ne earum ig n o retu r aerum na, u t inluuiem
uestis adfectent, quasi in ea sit sensus dolendi, u t inpexum sor­
dibus inm adident caput, u t postrem o — quod plerisque in locis
uulgo fieri solet — discisso am ictu, diloricata u este secreti pudo­
ris nu d a p ro stitu a n t, quasi ipsum len o cin en tu r pudorem , q uia
pudoris sui praem ia p erd id eru n t. Sic procaces oculi p ro u o can tu r,
u t concupiscant, u t am are incipiant m em b ra n udata, quae si non
aspicerent, non am arent. Atque u tin am so rd id ata illa tegim enta
corporis no n speciem , sed m entem obnuberent! L atet pleru m q u e
sub tris ti am ictu m entis lasciuia e t deform is h o rro r u estis obtexi­
tu r, u t secreta p etu lan tiu m teg an tu r anim orum . 13. S atis pie
u iru m luget, quae seru at pudorem , non deserit fidem. H aec bene
defunctis officia p en d u n tu r, u t u iu an t in m entibus, in adfectibus
p erseueren t. Non am isit u irum , quae exhibet castitatem , non est
u id u ata coniugio, quae no n m u ta u it nom en m ariti. N ec tu perdi-
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 9 -1 3 83

variopinti, depone i p ro p ri ornam enti e ne viene spogliata. Quan­


ti pred o n i essa ha! E p p u re non piange la p e rd ita dei suoi fru tti,
che h a p ro d o tto ap p u n to p e r re sta rn e p riv a né li rifiuta in avve­
nire, anche se non dim entica che devono esserle so ttra tti. 10. An­
che il cielo no n sem pre risplende p e r le lucenti sfere delle stelle
ed è, p e r cosi dire, adorno di corone. Non sem pre biancheggia
p er il sorgere della luce, è d o ra to dai raggi del sole, m a con
assidu a vicenda q u el graditissim o volto del m ondo, diciam o cosi,
è o scu rato dall'um ido brivido delle n o tti. Che c’è di più gradito
della luce, di p iù lieto del sole? Essi ogni giorno tram ontano;
tu tta v ia no n ci affliggiamo che ci siano venuti a m ancare, perché
sappiam o in anticipo che en tram b i rito rn an o . Q uesta vicenda ti
insegna di quale pazienza tu debba d a r p ro v a nei fa tti che ti ri­
guardano. Se ciò che s ta sopra di te viene m eno senza re carti
dolore, perché, se le cose um ane periscono, sono oggetto di sof­
ferenza?
11. Il dolore sia paziente, nelle afflizioni si osservi la m isu­
ra che si esige nella b u o n a fo rtu n a. Se non è conveniente godere
senza m oderazione, forse è conveniente piangere cosi? N on è m ale
da poco la m ancanza di m isu ra nel dolore o il tim o re della m orte.
Q uanti il tim o re della m o rte spinse ad im piccarsi, a q u an ti pose
in m ano la spada, affinché in questo stesso a tto rivelassero la loro
pazzia, cercando la m o rte perché non la sopportavano e ad o ttan d o
quale rim edio q u ello che cercavano di evitare com e u n male!
P erché no n fu ro n o in grado di so p p o rtare pazientem ente la con­
dizione co n fo rm e alla n atu ra , essi incappano in quella co n tra ria
al loro desiderio, cosi d a essere divisi in etern o d a coloro che desi­
deravano seguire. Ma q u e sti eccessi sono ra ri, p erch é la stessa
n a tu ra trattien e, anche se la stoltezza spinge nel precipizio.
12. M a nelle donne capita spesso che levino in pubblico alti
clam ori, com e se tem essero che il loro dolore fosse ignorato;
quindi o sten tan o la sozzura delle vesti, q u asi ch e in essa consi­
stesse il sen tim en to di dolore, bagnano di sudicium e la te s ta non
più p ettin ata, infine — co sa che in m olti luoghi suole farsi com u­
nem ente — sq u arcian d o la sopravveste, strap p a n d o la veste, in
m odo osceno esibiscono nude le p a rti gelosam ente p ro te tte dal
pudore, q u asi facendone m ercato p erché hanno p e rd u to ciò che lo
ricom pensava. Cosi occhi procaci sono stuzzicati a d esiderare, a
m ettersi a d am are le m em b ra cosi denudate, m e n tre n o n le am e­
rebbero se no n le vedessero. E m agari quelle gram aglie velassero
non la fo rm a esterio re, m a l'anim o! Spesso sotto u n m an to di
lu tto si cela la dissolutezza dell’anim o e il rozzo tessu to d ’una
veste squallida viene avvolto alla perso n a solo p e r co p rire ciò
che sta n ell’in tim o di anim i sfro n tati. 13. Piange il m a rito con
sufficiente affetto e non viene m eno alla fedeltà la m oglie che
custodisce il p udore. Q ueste sono le m anifestazioni di affetto
che doverosam ente si trib u tan o ai d efu n ti: fa rli vivere nel p ro ­
p rio anim o, assicu rare loro u n am ore costante. Non h a p erd u to
il m arito la donna che d à prova della sua ca stità, non è p riv a dello
84 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 1 3 -1 7

disti heredem , q u ae adiuuas coheredem , sed p ro successore co r­


ru p tib iliu m m u tasti consortem inm ortalium . H abes, qui tib i re p ra e ­
sen tet heredem : solue p auperi, quod d eb e tu r heredi, u t non so­
lum m atern ae a u t p atria e senectutis, sed etiam u itae p ro p ria e sit
superstes. Plus successori tuo relinquis, si p o rtio eius non ad
luxum p raesen tiu m proficiat, sed ad p re tiu m fu tu ro ru m .

14. Sed desideram us am issos. Duo su n t enim , quae m ax


angunt: a u t desiderium eorum , quos am iserim us, sicut m eo exem ­
plo m etior, a u t quod eos u itae su au itate p riu ato s, ereptos labo­
ris sui fru ctib u s a rb itre m u r. T enera enim am oris est titillatio,
quae in p ro u isu m affectum excitat, u t sedandi m agis q uam exclu­
dendi doloris facultas re lin q u a tu r, sim ul q uia pium u id e tu r d esi­
derare, quod am iseris, et specie u irtu tis adolescit infirm itas.

15. Sed cu r tu p u tas p atien tio rem illam esse debere, q


dilectum ad pereg rin a dim iserit et m ilitiae g ra tia uel susceptae
ad m in istratio n is officio uel negotiandi u s u tra n sfre ta sse conpe-
re rit, quam te, quae non fo rtu ito a rb itrio d erelinqueris au t studio
pecuniae, sed lege n atu ra e? — Sed recu p eran d i tib i interclusa
spes! Quasi cuiquam c e rta redeundi! E t plerum que dubia plus
fatigant, ubi p ericuli m etu s integer, grauiusque est tim ere, ne acci­
derit, quam dolere, quod iam noueris accidisse; aliud enim sum ­
m am form idinis co aceruat, aliud finem expectat doloris. 16. An
dom inis ius est — quae non creau erin t — tra n sfe rre m ancipia, deo
non est? — « Sed non su b p etit expectare rem eantem ! ». S u b p etit
tam en p raecedentem sequi. E t certe breuis u itae usus nec illi
m u ltu m u id e tu r eripuisse, qui an te praecessit, nec te differre diu­
tius, qui rem anseris. 17. Quodsi desiderium tu u m m itigare non
possis, nonne tam en u id e tu r indignum p ro desiderii tu i studio
re ru m o rdinem uelle conuerti? A m antium a rd e n tio ra u tiq u e desi­
d eria su n t et tam en n ecessitatis co n tu itu te m p eran tu r; e t si do­
lent discedere, lugere tam en non solent, d estitu ti am are inpatien-
tius erubescunt. Ita p atien tia desiderii plus p ro b atu r.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 1 3 -1 7 85

sposo 11 quella che non h a cam biato il nom e del p ro p rio m arito.
E non h ai p e rd u to l'ered e tu che aiu ti il coerede, m a, al posto di
u n successore di beni co rru ttib ili, hai otten u to u n com partecipe
di beni im m o r ta liI2. N on ti m anca chi faccia p e r te la p a rte del­
l'erede: d a' al povero ciò che è dovuto all’erede, affinché egli pos­
sa sopravvivere no n solo alla vecchiaia di sua m ad re e di suo
padre, m a anche alla p ro p ria vita. Tu lasci di p iù al tu o successo­
re, se la sua p a rte no n serve al lusso dei beni p resen ti, m a
all'acquisto di quelli fu tu ri.
14. Ma sentiam o la m ancanza di chi abbiam o p erd u to . Due
sono, in fatti, i m otivi che m aggiorm ente ci angosciano: o il rim ­
pianto di coloro che abbiam o perd u to , com e posso giudicare dal
caso m io, o la convinzione che essi siano stati p riv a ti delle gioie
della vita, stra p p a ti ai fru tti delle loro fa tic h e 13. Quello dell’am o­
re è u n im pulso che su scita u n im provviso slancio d'affetto, cosi
che ti re sta la cap acità di m itigare p iu tto sto che di elim inare il
dolore, p erch é nello stesso tem po sem bra u n a tto di p ietà rim ­
piangere ciò che h ai p erd u to e la debolezza a u m en ta sotto appa­
renza di virtù.
15. M a p erch é tu credi ch e quella don n a che h a lasciato p a r­
tire lo sposo diletto alla volta di paesi stran ieri e sa con certezza
che ha p assato il m are o p er il servizio m ilitare o p e r il dovere
d 'una carica assu n ta o p e r le necessità del suo com m ercio debba
essere più capace di so p p o rtare di te che non sei s ta ta abban­
d onata p e r u n capriccio fo rtu ito o p e r b ra m a di denaro, m a p er
u n a legge di n atu ra ? « Ma ti è p reclu sa la speranza di riaverlo ».
Come se uno fosse certo di rito rn are! E p e r lo p iù l ’incertezza
logora m aggiorm ente, q u ando il tim o re di u n pericolo sussiste
nella sua interezza ed è più penoso tem ere che cap iti che non
l ’affliggersi p erch é sai già che è capitato: il prim o caso fa aum en­
ta re l'in ten sità della p au ra, il secondo atten d e la fine del dolore.
16. Forse, m en tre i p ad ro n i hanno il d iritto di tra sfe rire i loro
schiavi, che non hanno creato, non lo avrà Iddio? « Ma non c'è la
possibilità di a tten d e re il suo rito rn o ». C'è però quella di segui­
re chi ti h a preceduto. E, senza dubbio, la breve d u ra ta della no­
s tra vita non sem b ra aver so ttra tto m olto a colui che ti è andato
innanzi né av er fatto rita rd a re tro p p o te che sei rim asto. 17. Che
se tu non potessi m itigare il tuo rim pianto, non ti sem b ra scon­
veniente voler m u tare l'o rd in e della n a tu ra p e r l'in ten sità del tuo
rim pian to ? Senza dubbio il dolore del distacco nelle persone che
si am ano è m olto vivo, e tu tta v ia è m oderato dalla considerazio­
ne della necessità; e se soffrono a separarsi, tu tta v ia solitam ente
non piangono e, rim aste sole, si vergognano di am are con tro p p a
sofferenza. Cosi la sopportazione della p en a dovuta alla separa­
zione è m aggiorm ente lodata.

11 Coniugium = coniunx.
12 Cioè il povero, com ’è detto subito dopo.
13 Cf. Cic., Tuse., I, 34, 83: Illud angit uel potiu s excruciat: discessus ab
om nibus iis quae sunt bona in uita.
86 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 18-21

18. Quid autem de his loquar, qui defunctos p u ta n t uitae


su au itate p riu a ri? — N ulla p o te st esse iucunditas in te r has u itae
n o strae am aritu d in es au t dolores, quae uel ex co rp o ris ipsius infir­
m ita te uel extrin secu s accidentium incom m oditate generantur.
Anxii enim sem p er et ad ipsa laetio ru m u o ta suspensi quodam
fluctuam us incerto , sp eran tes dubia p ro certis, incom m oda p ro
secundis, caduca p ro solidis, nihil hab en tes p o testatis in arb itrio ,
firm itatis in uoto. At si aliquid c o n tra u o lu n tatem acciderit, p erd ito s
nos p u tam u s p lu sque ad u erso ru m dolore fran g im u r qu am secun­
dorum fru ctu p o tim u r. Q uibus ig itu r ca ren t bonis, qui m agis eri­
p iu n tu r incom m odis? 19. V alitudo, credo, bo n a p lu s ad iu u at quam
adfligit m ala, a u t opulentia p lu s delectat qu am egestas adficiat,
au t filiorum m agis am abilis g ratia q u am lugubris am issio, a u t
adulescentia iucu n d io r quam senectus tristio r, quam plerum que
suorum taed et u o to ru m et o p tati p aen itet, u t doleat in p etratu m ,
quod non in p e tra re m etu eb at. Exilia u ero e t c e te ra ru m p o en aru m
acerb itates quae p o test conpensare p a tria ? Q uae uo lu p tates? Q uae
etiam cum sunt, d eb ilita n tu r tam en a u t non u te n d i ad fectu aut
am itten d i m etu. 20. E sto tam en, m an eat inoffensus, inm unis
a doloribus, perp es in u o lu p tatib u s u itae c u rsu s hum anae: q u id
tam en com m odi consequi p o te st anim a in istiusm odi co rp o ris in­
clusa conpagibus et quib usdam m em b ro ru m angustiis co a rta ta ?
Si caro n o stra carcerem fugit, si d e te sta tu r om ne, quidquid eua-
gandi facu ltatem negat, q u ae u tiq u e p aru is u ltra se audiendi ui-
dendique ex cu rrere u id e tu r sensibus, q u an to m agis anim a n o stra
corporeu m istu d euadere gestit ergastulum , q u ae m o tu aerio li­
b e ra nescim us q u o u a d a t a u t u n d e u e n ia ta. 21. Scim us tam en,
quod c o rp o ri su p eru iu at, et e a iam depositis p ro p rii sensus re p a­
gulis expedita libero c e rn a t o btutu, quae an te sita in corpore non
u id eb at — q u o d exem plo d orm ientium possum us aestim are, quo­
ru m anim i u elu t sepulto quieti co rp o re ad altio ra se su b rig u n t et
re n u n tia n t co rp o ri — re ru m absentium uel etiam caelestium uisio-
nes. E rg o si m ors carn is et saeculi n o s ab so lu it aerum nis, u tiq u e
m alum n on est, quae lib ertatem re stitu it, excludit dolorem .

20. » Cf. Io 3, 8.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 18-21 87

18. Che dire poi di coloro che pensano che i defunti siano
privati delle gioie della vita? N on vi può essere gioia alcuna tra
queste am arezze e tra q u esti dolori della vita, provocati o dalle
m alattie del corpo stesso o dagli inconvenienti di ciò che capita
fuori di noi. S em pre ansiosi ed esitanti, persino nel d esiderare
quello che ci è m aggiorm ente gradito, ondeggiam o, p e r cosi dire,
nell’incertezza, sperando ciò che è d u b b io al posto d i ciò che è
sicuro, quello che ci è dannoso invece di quello ch e ci è favorevo­
le, ciò che è caduco a preferenza di ciò che è stabile, non avendo
alcun p o tere nelle decisioni, alcuna sicurezza nei desideri. Ma se
ci ca p ita qualcosa co n tro la n o stra volontà, ci crediam o p e rd u ti
e ci lasciam o a b b a tte re dal dolore della c o n tra rietà più di quanto
godiam o dei risu ltati a noi favorevoli. Di quali beni dunque sono
privi coloro che sono al rip aro dalle c o n tr a r ie tà 14? 19. La b u o ­
na salute, credo, giova di più di quanto non faccia trib o lare la
cattiva, o p p ure la ricchezza reca m aggior piacere di quanto non
sia m olesto il bisogno, o ppure è più am abile l ’am orevolezza dei
figli di quanto non sia lu ttu o sa la loro perd ita, o ppure la giovinez­
za è più lieta d i q u an to non sia triste la vecchiaia, che p e r lo più
è disg u stata delle p ro p rie aspirazioni e si p en te di ciò che h a desi­
derato, cosi da dolersi di aver o tten u to ciò che tem eva di non
ottenere. Quale p a tria può com pensare gli esili e l'asprezza di tu t­
te le altre pene? Quali piaceri? Anche quando non m ancano, de­
prim ono o con la disposizione d ’anim o che im pedisce di approfit­
tarn e o con il tim o re di perderli. 20. Sia pure; il corso della vita
u m an a non conosca ostacoli, rim anga esente da sofferenze, si svol­
ga costan tem en te in mezzo ai piaceri: quale vantaggio può tu tta ­
via conseguire l’an im a rin chiusa nella s tru ttu ra di u n sim ile cor­
po e com e ris tre tta n ell’angusto spazio delle m em bra? Se la no­
s tra carne fugge la prigione, se ab o rre tu tto ciò che le ostacola
la possibilità di a n d a re liberam ente, essa che senza dubbio sem bra
uscire fuori di sé m ediante le sensazioni lim itate dell’udito e della
vista, quanto p iù è sm aniosa di evadere da q u esta prigione corpo­
rea l ’anim a n o s tr a 15 che, libera nel suo m oto aereo, non sappiam o
dove vada e donde venga! 21. Sappiam o tu tta v ia che essa soprav­
vive al corpo e, o rm ai lasciate le b a rrie re della p ro p ria sensibilità,
senza im pacci vede con libero sguardo quelle re altà che prim a,
q u an d ’era nel corpo, non vedeva — cosa che possiam o valutare
riferendoci ai dorm ienti, il cui anim o, m en tre il corpo è come
sepolto nel sonno, si eleva verso più alti oggetti, svincolandosi dal
corpo stesso —, cioè visioni di esseri lo n tan i o a d d irittu ra celesti.
Dunque, se la m o rte ci lib era dalle tribolazioni della carne e del
m ondo, non è certam en te u n m ale, in quanto ci rende la lib ertà
e scaccia il dolore.

14 Cf. Cic., Tuse., I, 34, 83; Sen., Ad Poi., 9, 2. Cf., risp ettivam en te, par.
14, n ota 13, e I, 71, n o ta 160.
15 Cf. S e n ., Ad Poi., 9, 3: ...nunc anim us fratris mei, uelut ex diutino
carcere emissus, tandem sui iuris et arb itrii g e stit; cf. Ad Marc., 24, 5.
88 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 2 2 -2 6

22. H is ig itu r nobis adoriendus d isp u tan d i locus m o rtem m a­


lum no n esse, quia sit aeru m n aru m om nium m alo ru m perfugium ,
fida statio secu ritatis, p o rtu s quietis. N am quid in h ac u ita non
experim u r aduersi? Quas non procellas tem p estatesq u e p e rp e ti­
m u r? Quibus no n exagitam ur incom m odis? C uius p a rc itu r m e­
ritis? 23. S anctus p a tria rc h a Israh el profugus p atria , p aren tib u s,
dom um m u tau it ex ilio a, stu p ru m filiae, generi necem fle u itb, fa­
m em p e r tu litc, sep u ltu ram defunctus am isit; tra n s fe rri ossa sua,
ne uel m o rtu u s req uiesceret, o b s e c ra u itd. 24. S anctus Ioseph
odia fratru m , insidias in u id o ru m a, seru u lo ru m obsequia, m erca­
to ru m im peria, reginae p etulantiam , regis inscitiam , c a rce ris quo­
que est expertus a e ru m n a m b. 25. S anctus D auid filios am isit
duos, u n u m incestum , alteru m p a r ric id a m a. H os h abuisse pud o ris
est, doloris est perdidisse. A m isit et tertiu m , quem am ab at, par-
uulum . H unc uiu en tem adhuc fleuit, m o rtu u m n o n desiderauit.
Sic en im legim us, quod aegrotante p u ero d ep reca b atu r D auid d o ­
m inum p ro p u ero et ieiu nauit et in cilicio iacu it et ad stan tib u s
m aiorib u s n atu , u t excitarent eum de te rra , nec surgendum sibi
nec cenandum p u tau it. Vbi u ero d efu n ctu m p u eru m conperit, sur-
rexit de te rra , lau it ilico, un ctu s est, u estim en ta m u tau it, adora-
u it dom inum , cibum sum psit. C um haec m iran d a pu eris suis
u id ere n tu r, resp o n d it eis recte se in fan te u iu en te ieiunasse, plo­
rasse, q u ia iu re a rb itra b a tu r dom inum posse m isereri nec dubi­
tandum , quod u itam p o sset seru are uiuentis, qui p o sset uiuificare
defunctos. Ia m u ero o b ita m o rte quid ieiunaret, qui iam non pos­
set red u cere m o rtu u m exanim em que re u o c a re b? Ego, inquit, ibo
ad eum , ipse a u tem non reu ertetu r ad m e c. 26. O m axim um sola­
cium d esid eran tis, o u e ru m sapientis iudicium , o m iram p a tie n ­
tiam seruientis, u t nem o sibi ad u ersi aliquid accidisse indigne
fe ra t e t c o n tra m eritu m suum se q u e ra tu r adflictum ! Quis enim
tu es, qui de tu o m erito an te p ro n u n ties? C ur p raeu en ire desideras
cognitorem ? C u r eripis sen ten tiam iudicaturo? N ec sanctis istu d
p erm issu m est nec a sanctis inpune u m quam e st u su rp a tu m . D auid
se p ro p te re a flagellatum suo carm in e confitetur: E cce ipsi pecca­

l i . a Cf. Gen 28, 5.


b Cf. Gen 34, 1-30.
c Cf. Gen 42, 2.
d Cf. Gen 49,29 - 50,14.
24. a Cf. Gen 37, 4-11.18-24.
b Cf. Gen 37, 28-36; 39, 7-20.
25. a Cf. 2 Reg 13, 28-31; 18, 32-33.
» Cf. 2 Reg 12, 15-23.
c 2 Reg 12, 13.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 2 2 -2 6 89

22. Con tali considerazioni dobbiam o affrontare quell’argo­


m ento della discussione, secondo il quale la m o rte non è u n male,
perché è lo scam po da tu tte le tribolazioni e d a tu tti i m ali,
l ’approdo sicuro della tran q u illità, il p o rto della pace. In fatti, q u a­
li avversità non esperim entiam o in q u esta vita? Quali procelle
e tem p este n on sopportiam o? Da quali travagli n o n siam o to r­
m entati? Ai m e riti d i chi si h a riguardo? 23. Il san to p a tria rc a
Israele, profugo dalla su a p atria, dai suoi genitori, lasciò la sua
casa p e r l'esilio, pianse la violenza u s a ta a sua figlia, la m o rte del
genero, sop p o rtò la fam e e, u n a volta m orto, non ebbe sepoltura:
pregò ch e le sue o ssa fo ssero tr a s p o r ta te 16, p e r non rip o sare nem ­
m eno d a m o rto . 24. Il san to G iuseppe esperim ento l’odio dei fra­
telli, le insidie degli invidiosi, l ’ossequio p ro p rio dei servi, gli
ord in i dei m ercan ti, la spudoratezza della padrona, l ’in ettitu d in e
del p ad ro n e e p ersin o il to rm en to d el carcere. 25. Il san to Davide
p e rd ette due figli, u n o incestuoso 17, l ’a ltro f r a tric id a 18. Averli avu­
ti è m otivo di vergogna, averli p erd u ti, di dolore. Ne p e rd e tte un
terzo, an co ra bam bino, c h ’egli am ava. Q uando viveva ancora, lo
pianse; u n a volta m o rto , n o n lo rim p ia n s e 19. Leggiam o in fatti
che, m en tre il bim b o e ra am m alato, Davide pregava il Signore p er
lui e digiunava e giaceva avvolto nel cilicio e, q u an tu n q u e i figli
m aggiori gli stessero in to rn o p e r farlo alzare d a te rra , riten n e di
non dovere n é alzarsi né p re n d e re cibo. M a q u an d o sep p e che il
bam bino era m o rto , si levò da te rra , si lavò im m ediatam ente, si
profum ò, m utò vesti, adorò il Signore, prese cibo. Siccom e que­
sto m odo di com p o rtarsi sem brava stran o ai suoi figli, rispose che,
finché il bim b o e ra vivo, aveva fa tto bene a digiunare e a p ian­
gere, perché a b u o n d iritto pensava che il Signore avrebbe p o tu ­
to pro v arn e com passione, n é c ’era da d u b itare che potesse con­
servare la v ita di u n vivo, Lui che poteva re stitu ire la v ita ai
m orti. Ma o rm ai ch ’egli aveva in c o n tra to la m orte, a quale scopo
digiunare, dato che o rm ai non poteva risu scitare u n m o rto e ri­
chiam are in v ita un o che n e era privo? Io , disse, andrò da lui,
m a égli non ritornerà da me. 26. O co n fo rto grandissim o p e r chi
rim piange u n defunto, o giudizio veram ente degno di u n sapiente,
o stra o rd in a ria sopportazione di u n servo, non p ro te sta re se gli
è cap itata qualche sventura, e non lam en tarsi di essere stato col­
p ito ingiustam ente! Chi sei tu p e r sentenziare in anticipo sui tuoi
m eriti? P erché desideri p revenire l'in q u iren te? P erché so ttra i la
sentenza a chi deve giudicarti? N em m eno ai santi è perm esso agi­
re cosi e nem m eno i san ti h an n o fa tto qu esto senza conseguenze.
Davide confessa nel suo salm o di essere sta to flagellato p e r tale
colpa: Ecco, gli stessi peccatori e quelli che sovrabbondano o tten ­
gono le ricchezze p er sem pre. D unque senza ragione ho giudicato

16 Nella caverna che era nel campo di Efron l ’Ittita (Gen 49, 29).
17 Amnon, prim ogenito di Davide, che violentò la sorella Tamar (2 Re
13, 1-14). Fu ucciso da Assalonne.
18 Assalonne, di cui sono note le vicende e la tragica morte.
i» E il figlio avuto da Betsabea (2 Re 12, 15-23).
90 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 2 6 -2 9

tores et abundantes in saeculum ob tin u eru n t diuitias. Ergo sine


causa iustificaui cor m eum , laui inter innocentes m anus meas,
et fu i flagellatus tota die et index m eus in m a tu tin u m a. 27. P etru s
quoque quam uis plenus fide deuotionis, tam en, q uia nondum
conscius n o strae infirm itatis p raesu m p tiu e dixerat dom ino: Ani­
m a m m eam pro te p o n a m a, tem p tatio n em praesum ptionis, an te­
quam te rtio gallus c a n ta r e tb, in cu rrit, licet illa tem p tatio docu­
m en tu m fu e rit ad salutem , u t discam us non contem nere carnis
infirm itatem , ne contem nendo tem ptem ur. Si P etru s tem p tatu s
est, quis p raesu m at, quis a d s tru a t se n o n posse tem p tari? Atque
h au d dubie p ro nobis tem p tatu s est P etrus, u t in fo rtio re non
esset tem p tam en ti periculum , sed in illo discerem us, quem adm o­
dum in p ersecu tio n ib u s resistentes, etsi u ita e stu d io te m p ta re ­
m ur, tem p tatio n is tam en aculeum p atien tiae lacrim is uincerem us.
28. Idem tam en Dauid, ne quem fo rta ssis sc rip tu ra ru m tenacem mo-
u ea t facto ru m diuersitas, idem , inquam , D auid p arricid am m o r­
tu u m fleuit, qui non fleuerat innocentem . D enique cum p lo ra re t
et lugeret, dixit: Filius m eus Abessalon, filius m eus Abessalon,
quis dabit m ih i m o rtem pro te? a. Non solus ergo fletur Abessalon,
fletur p arricid a, fletur Amnon b. Non solum fletur incestus, sed etiam
u in d icatu r, alte r co n tem p tu regni, a lte r fra tris ex ilio c. F le tu r sce­
leratus, no n fletu r dilectus. Quae causa? Quae ratio? N on m edio­
cris ig itu r in p ru d e n tib u s deliberatio, sapientibus confirm atio;
m agna enim p ru d en tiae in ta n ta facto ru m d iu ersitate constantia,
u n a fides. E t illos m o rtu o s fleuit et flendum in fan tem m o rtu u m
non p u tau it; illos enim sibi perisse credebat, hu n c re su rre c tu ru m
sperabat.

29. Sed de resu rrectio n e posterius, nunc ad p ro p o sita reu


tam u r. Praem isim us enim etiam sanctos u iro s g rauia in hoc
m undo m u lta perpessos, sine suffragatione m erito ru m , cum ae­
ru m n a laborum . V nde reg ressu s ad se D auid in p o sterio rib u s di­
cit: M em ento, dom ine, quia puluis sum us; hom o, tam quam fae-
n u m dies illiu s a. E t alibi: H om o uanitati sim ilis factus est, dies
eius sicut u m bra p ra ete rie ru n tb. Quid enim nobis m iserius, qui
tam quam spoliati et n udi p ro icim u r in h an c u itam , c o rp o re fra­
gili, co rde lubrico, inbecillo anim o, anxii ad sollicitudines, desi­
diosi ad labores, p ro n i ad u oluptates?

26. a Ps 72, 12-14*.


27. a Io 13, 37.
b Cf. Io 18, 27; Mc 14, 72.
28. a 2 Reg 18,33*.
b Cf. 2 Reg 13, 31.
c Cf. 2 Reg 13, 34-38.
29. a Ps 102, 14s* .
b Ps 143, 4*.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 2 6 -2 9 91

il m io cuore, ho lavato le m ie m ani tra gli innocenti e sono stato


flagellato p e r tu tto il giorno e l’accusa contro di m e fino al m a t­
tino 20. 27. Anche P ietro, benché pieno di devota lealtà, tuttavia,
siccom e non an co ra cosciente della n o stra debolezza aveva d etto
presu n tu o sam en te al Signore: Darò la m ia vita p er te, p rim a che
il gallo can tasse p e r la terza volta incappò nella tentazione dovuta
alla sua presunzione, anche se quella tentazione fu u n insegnam en­
to di salvezza, affinché im pariam o a non sottovalutare la fragilità
della carn e, p e r no n essere te n ta ti sottovalutandola. Se P ietro
fu ten tato , chi p o treb b e presum ere, chi p o treb b e afferm are di
non essere soggetto alla tentazione? E senza d u b b io P ietro fu
te n ta to a n o stro vantaggio, affinché, se in chi è veram ente fo rte
la tentazione non costituisce u n pericolo, in lui im parassim o
com e, resisten d o nelle persecuzioni, p u r essendo te n ta ti nell’a­
m ore p er la vita, potessim o vincere l'aculeo della tentazione con
le lacrim e della n o stra resistenza. 28. Anche Davide tu ttav ia
— perch é u n co m p o rtam en to cosi c o n tra d d itto rio non sconcerti
forse qualcuno attaccato alle S c rittu re —, anche Davide pianse u n
fra tric id a m o rto , m en tre non aveva p ian to u n innocente. Perciò,
m en tre gem eva e piangeva, esclam ò: Assalonne figlio m io, Assalon­
ne figlio mio, chi m i darà la m o rte p e r causa tua? iNon è p ianto
dunque il solo Assalonne, è p ian to il fra tric id a . È p ia n to Amnon.
N on solo è p ia n to l ’incestuoso, m a è anche vendicato l'u n o 21 col
disprezzo del regno, l’a l t r o 22 con l’esilio del fratello. È p ian to lo
scellerato, non è p ia n ta la c re a tu ra am ata. Qual è la causa? Quale
la ragione? P er gli uom ini p ru d e n ti non è da poco la ponderazio­
ne nel decidere, p e r i sapienti la sicurezza nel giudizio. G rande,
infatti, è la coerenza della saggezza in com portam enti cosi con­
tra d d itto ri, u n a la fede. Davide, m en tre pianse quei m orti, non
riten n e di dover pian g ere il bim bo defunto: egli pensava che quel­
li erano p erd u ti p e r lui, sp erava invece che questo sarebbe risorto.
29. Ma della risu rrezione parlerem o poi; o ra rito rn iam o
n o stro argom ento. A bbiam o prem esso, infatti, che anche gli uom i­
ni santi hanno so p p o rtato in q u esto m ondo m olti gravi patim en ­
ti, senza ch e si ten esse co n to dei loro m eriti, co n il to rm en to pro­
vocato dalle fatiche. Perciò, rito rn a to in se stesso, Davide succes­
sivam ente dice: Ricordati, Signore, che siam o polvere; l’uom o, il
suo giorno è com e fieno. E altrove: L ’uom o è stato reso sim ile ad
una vana apparenza, i suoi giorni sono passati com e u n ’ombra.
Che c ’è di p iù tris te p e r noi del fatto che, p e r cosi dire, spogliati
e nudi veniam o g e tta ti in questa vita, fragili di corpo, instabili di
cuore, deboli n ell’anim o, ansiosi di fro n te alle preoccupazioni,
pigri d i fro n te alle fatiche, inclini ai p ia c e ri23?

20 II passo non corrisponde né al testo ebraico né — esattam ente — ai


S ettan ta né alla Vulgata.
21 Assalonne.
22 Amnon.
23 Cf. Cic., De Rep., I l i, 1, 1, apud Avg., Contra Iui. Pelag., IV, 12, 60:
in libro tertio de Republica, idem Tullius hom inem d icit « non u t a m atre,
92 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 3 0 -3 3

30. N on nasci ig itu r longe optim um secundum sancti S


m onis sententiam . Ip su m enim etiam hi, qui sibi uisi su n t in
philosophia excellere, secuti sunt. N am ipse illis an terio r, n o stris
p o sterio r, ita in E cclesiaste locutus est: E t laudaui ego om nes
defunctos, qui iam m o rtu i sunt, m agis quam uiuentes, quicum ­
que u iu u n t usque adhuc. E t o p tim u s supra hos duos, qui no n d u m
natus est, qui non u id it hoc opus m alum , quod fa c tu m est sub
sole. E t uidi ego uniu ersum laborem et o m n em u irtu te m huius
operis, quia aem ulatio uiro ab altero eius. E t quidem hoc uanitas
et pra esu m p tio s p ir itu s a. 31. E t hoc quis dixit nisi ille, qui
sapientiam p o poscit e t in p etra u it, u t sciret dispositionem orbis
terrarum et u irtu te m elem entorum , anni cursus et stellarum dispo­
sitiones, no n ig n o raret naturas anim alium et iras colligeret be­
stiarum , u im u en to ru m et cogitationes h o m in u m a deprehende­
ret? Quem ig itu r non la tu e ru n t caelestia, quem adm odum late­
re n t m o rtalia? Qui cogitationem m ulieris inuestigauit infantem
uindican tis a lie n u m b, qui n a tu ra s anim alium , quas non accepe­
ra t, diuina tam en g ra tia ad sp ira n te c o g n o u it0, hic de suae condi­
cione n atu rae, q uam in se expertus est, e rra re a u t m en tiri p o tu it?
32. Sed non solus hoc sensit, etsi solus expressit. L egerat sanctum
dixisse Iob: Pereat dies illa, qua natus su m a, et cognouerat nasci
m alo ru m om nium esse p rin cip iu m et ideo diem , q u a n atu s est,
p erire o ptauit, u t to lle retu r origo incom m odorum , et o p tau it pe­
rire diem generationis suae, u t diem re su rrectio n is acciperet.
A udierat e tiam Salom on dixisse p atre m suum : N o tu m fac m ihi,
dom ine, finem m eu m et n u m e ru m dierum m eorum , quis est, u t
sciam , q uid d esit m ih ib. N ouerat enim D auid non posse hic, quod
perfectu m est, conprehendi et ideo ad ea, quae su n t fu tu ra , p ro ­
p erab at. N unc enim ex p a rte scim us et ex parte cognoscim us,
tunc au tem id, quod p erfec tu m est, p o te rit conprehendi, cum reue-
la ta facie nobis speculandae m aiestatis a e te m ita tisq u e diuinae
co ep erit relu cere non u m b ra, sed u erita s c. 33. Nem o tam en festi­
n a re t ad finem, nisi u itae istiu s fugeret incom m oditatem , e t ideo
etiam Dauid, q u are ad finem festinet, exposuit dicens: Ecce uete-
res po su isti dies m eos et habitudo m ea tam quam nihil ante te,

30. a Eccle 4, 2 4 (S e p t.).


31. a Cf. Sap 7, 7.17.19.20.
b Cf. 3 Reg 3, 16-27.
c Cf. Sap 7, 20.
32. a Iob 3, 3*.
b Ps 38, 5.
c Cf. 1 Cor 13, 9-12.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 3 0 -3 3 93

30. La cosa di g ran lunga m igliore sarebbe s ta ta non na


re, secondo il p a re re del santo Salom one. H anno seguito lui an­
che coloro che h an n o cred u to di em ergere nella filosofia24. Egli
infatti, che è an terio re ad essi, p o sterio re ai n o stri scritto ri, cosi
disse neH’E cclesiaste: E io ho proclam ato beati tu tti i defunti, che
orm ai sono m orti, p iù dei viventi, che sono ancora in vita. E d è
o ttim o al di sopra di queste due categorie chi non è ancora nato,
perché non ha visto queste opere malvagie com piute so tto il sole.
E ho ved u to che tu tta la fatica e tu tta l’abilità di queste opere
sonò invidia di u n uom o da parte di un altro. E davvero questo è
vanità e presunzione dello spirito. 31. E chi disse queste parole
se non colui che chiese la sapienza, e la ottenne, p e r conoscere
la stru ttu ra della terra e la potenza degli elem enti, il ciclo degli
anni e la posizione degli astri, p e r non ignorare la natura degli
animali, p e r com p ren d ere la ferocia delle fiere, la violenza dei
ve n ti e i pensieri degli u o m in i? A colui al quale non rim asero na­
scosti i fenom eni celesti, com e sarebbero p o tu ti rim an ere nascosti
gli avvenim enti u m ani? Colui che pen etrò il pensiero della donna
che rivendicava il bim b o di u n ’altra , che p e r ispirazione della
grazia divina conobbe la n a tu ra degli anim ali, che p u re non aveva
appreso, avrebbe p o tu to e rra re o m en tire sulla condizione della
p ro p ria n atu ra , ch e aveva esp erim en tata in se stesso? 32. M a non
solo co m prese tu tto questo, m a anche fu il solo a descriverlo.
Aveva letto che il san to Giobbe aveva afferm ato: Perisca quel
giorno in cui sono nato, e aveva com preso che il nascere era il
principio di tu tti i m ali e perciò si augurò che perisse il giorno in
cui e ra nato, p erch é fosse elim inata l ’origine delle disgrazie, e si
augurò che p erisse il giorno in cui era stato generato, p e r o tten ere
il giorno della risurrezione. Salom one aveva anche udito che suo
p ad re aveva chiesto: F am m i conoscere, Signore, quale sia la m ia
fine e il n um ero dei m iei giorni, affinché io sappia che cosa m i
manca. Davide, in fatti, sapeva ch e qui non si può co m p ren d ere ciò
che è perfetto , e perciò era im paziente di raggiungere i beni futuri.
O ra sappiam o in p arte, in parte conosciamo; m a allora si p o trà
com prendere ciò che è p erfetto , quando, rivelatosi alla n o stra con­
tem plazione l’asp e tto della m aestà ed e te rn ità divina, com incerà a
risplendere n on l ’om bra, m a la verità. 33. N essuno tu tta v ia avreb­
be fre tta d i giungere alla p ro p ria fine, se non volesse fuggire i
guai di q u esta vita, e p erciò anche Davide spiega perché era im pa­
ziente di giungere alla su a fine, dicendo: Ecco, hai resi orm ai vec­
chi i m iei giorni e la m ia esistenza è com e un nulla davanti a te,

sed u t a nouerca natura editu m in uitam , corpore nudo fragili et infirmo,


animo autem anxio ad m olestias, hum ili ad tim ores, m olli ad labores, prono
ad libidines, in quo tam en inesset tam quam obrutus quidam diuinus ignis
ingenii et m entis »; III, 1, 2 , apud L act., De opif., 3: et inerm en tam quam
e naufragio in huius uitae m iserias proici et expelli.
24 Cf. Cic., De cons., frg. 9, apud L act., Diu. inst., I l i , 19, 13: Cicero
in Consolatione: « N on nasci, inquit, longe o ptim u m nec in hos scopulos
incidere uitae; proxim u m autem , si natus sis, quam p rim u m m ori, tam quam
ex incendio effugere uiolentiam fortunae ». Cf. anche Tuse., I, 47 , 114.
94 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 3 3 -3 6

u eru m ta m en uniuersa uanitas om nis hom o u iu e n s a. Quid ig itu r


m o ram u r fugere u an itatem ? Aut quid nos delectat in hoc saeculo
uane co n tu rb ari, th en sau ru m p ecuniarum condere et ignorare, cui
congregem us h e re d i? b. P etam us am oueri a nobis p la g a s c, eripi
nos ex in sip ien ti saeculo, carere p eregrinatione d iu tu rn a d, ad illam
re d ire p a tria m et n atu ra lem dom um . In hac enim te rra aduenae
sum us atq u e p e re g rin ie; rem igrandum eo, u n d e descendim us,
am biendum et o b secrandum non p erfunctorie, sed obnixe, u t a
dolo et ab in iq u itate loquacium liberem ur*. E t ille, qui rem e­
dium no u erat, pro lo n g atu m tam en su u m ingem it incolatum et
cum p eccato rib u s et iniquis se h a b itare deplorat*. Q uid ego fa­
ciam, qui et p eccatum habeo et ignoro rem edium ? 34. H ierem ias
quoque quod g en eratus sit, et ipse d ep lo rat his uerb is dicens: H eu
m e ego, m ater, u t quid, m e p eperisti u irum causam d icentem iudi-
cii in o m n i terra? N o n p ro fu i neque p ro fu it m ih i quicquam , uir-
tus m ea d e fe c ita. Si ig itu r sancti u iri u itam fugiunt, q u o ru m uita,
etsi nobis utilis, sibi tam en inutilis aestim atu r, q u id nos facere
oportet, qui nec aliis pro d esse possum us et nobis u itam hanc quasi
fenebrem pecuniam u su ra rio quodam cum ulo grauescentem one­
ra ri in dies p eccato ru m aere sentim us? 35. C ottidie m o r io r a,
apostolus dicit, m elius q uam illi, q u i m editationem m o rtis p hilo­
sophiam esse dixerunt; illi enim stu d iu m p ra ed icaru n t, hic usum
ipsum m o rtis exercuit, et illi quidem p ro p te r se, P aulus autem
ipse p erfectu s m o rieb a tu r non p ro p te r suam , sed p ro p te r n o stram
infirm itatem . Quid au tem est m o rtis m editatio nisi quaedam cor­
poris et anim ae segregatio, quia m ors ipsa non aliud quam cor­
poris atq u e anim ae secessio definitur?

36. Sed hoc secundum com m unem opinionem , secundum


scrip tu ra s au tem trip licem esse m o rtem accipim us, unam , cum
m o rim u r peccato, deo u iu im u s a: b ea ta ig itu r m ors, q u a e culpae
refuga, dom ino ded ita a m o rtali nos separat, inm ortali n o s con­
secrat. Alia m o rs est u itae huius excessus, q u a m o rtu u s e st pa-

33. a Ps 38, 6.
» Cf. Ps 38, 7.
c Cf. Ps 38, 11.
d Cf. Ps 38, 13.
= Cf. Ps 38, 13 (Eph 2, 19).
f Cf. Ps 119, 1-3.
i Cf. Ps 119, 5.
34. a Ier 15, 10 (S e p t.).
35. a 1 Cor 15, 31.
36. a Cf. Rom 6, 10.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 3 3 -3 6 95

m a ogni uom o viven te non è che vanità. P erché dunque indugia­


m o a fuggire la vanità? O p erch é proviam o gusto in questo m on­
do a tu rb a rc i in u tilm ente, a m ettere in serbo u n teso ro di denaro
senza conoscere p e r quale erede lo am m assiam o? C hiediam o che
si allontanino da noi le pene, chiediam o di essere s o ttra tti a que­
sto m ondo sciocco, di evitare u n a lunga peregrinazione, di rito rn a ­
re a quella p a tria ch'è la n o stra n atu ra le dim ora. In q u esta te rra
siam o stran ieri e pellegrini; dobbiam o rito rn a re là donde siam o
discesi, dobbiam o darci da fa re e pregare, non superficialm ente
m a con ogni im pegno, p er essere lib erati dall'inganno e dalla m al­
vagità degli esseri loquaci. Anche colui che conosceva il rim edio
si lam enta che sia s ta ta p ro lu n g ata la sua perm anenza quaggiù e
piange p erch é deve ab itare con peccatori e malvagi. Che farò io
che ho in m e il peccato e ne ignoro il rim edio? 34. Anche Gere­
m ia, con qu este p arole si lam enta di essere stato generato: Ahim è,
m adre mia, perché m i hai partorito com e un uom o che si difende
in giudizio in tu tta la terra? 25. N on ho giovato né ha giovato a m e
cosa alcuna, la m ia virtù è venuta m eno. Se dunque vogliono fug­
gire la v ita gli uom ini santi, la cui vita, anche se u tile a noi, giu­
dicano in u tile p e r sé, che cosa dobbiam o fare noi che non pos­
siam o giovare agli altri e ci rendiam o conto che q u esta n o stra esi­
stenza, com e u n a som m a p restataci, aum entando, p er cosi dire,
p er il cum ulo degli interessi, si appesantisce di giorno in giorno
p er la passiv ità dei n o stri peccati? 35. Ogni giorno m uoio, dice
l’Apostolo, e lo dice m eglio di coloro che afferm arono che la filo­
sofia è p rep arazione alla m o r te 26. Q uesti raccom andarono la m e­
ditazione sulla m o rte, egli ne esercitò la p ra tic a stessa, gli uni nel
loro interesse, Paolo invece, essendo personalm ente p erfetto , m o­
riva non p e r la sua, m a p e r la n o s tra debolezza. M a ch e cos'è la
m editazione della m o rte se non u n a p p a rta rsi deH 'anim a dal cor­
p o 27, p erch é la m o rte stessa è definita non altrim en ti che u n a
separazione dell'anim a dal corpo?
36. M a qu esto secondo l'opinione com une; secondo le S c
ture, invece, ap p ren d iam o che la m o rte è di tre specie, u n a quan­
do m oriam o al peccato e viviam o p e r Dio: felice è d u n q u e que­
sta m o rte che, rifuggendo dalla colpa, tu tta rivolta a Dio, ci sepa­
ra da ciò che è m o rtale e ci co n sacra a ciò che è im m ortale. La
seconda m o rte è la p arten za da q u esta vita, p e r cui m o riro n o il

25 S etta n ta: άνδρα δ ικ α ζίμ εν ο ν κ α ί δια κρινόμενον π ά σ η τ ή γ η .


26 Cf. Cic., Tusc., I, 30, 74: Tota enim philosophorum uita m editatio m or­
tis est·, P lat., Phaed., 67E: ol όρθ-ώς φ ιλοσοφ οϋ ντες άποθ-νήσκειν μ ελ ετώ σ ιν;
H ie r o n ., Ερ., 60, 14: P latonis sententia est om nem sapienti uitam m editatio­
nem esse m ortis. Laudant hoc philosophi e t in caelum ferunt, sed m ulto
fortius A postolus: « Cotidie, inquit, m orior p er uestram gloriam ». La lettera
di san G irolam o è del 396 (« L e s B elles L ettres », III, p. 223). Cf. anche De
bono m ortis, 8, 32: patientiusque deficit qui praesu m pta m orte deficit, quam
qui inopinata·, in oltre G reg . N a z ., Oratio V II, 18 (PG 35, 778A): μ ά λ λ ο ν δέ
το ν ο λ ον βίον μ ε λ έ τ η ν λύ σ εω ς ένσ τη σ ά μ ενο ΐ.
27 Cf. Cic., T u s c ., I, 31, 75: Secernere autem a corpore anim um, nec quid­
quam aliud, est m ori discere; P l a t ., Phaed., 67D: Ούκοϋν τούτο γ ε θ ά ν α τ ο ς
Ο νομάζεται, λ ύ σ ις κ α ί χω ρισμός ψ υ χή ς ά πό σώ μα τος;
96 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 3 6 -4 0

tria rc h a A braham , p a tria rc h a Dauid, et sepulti su n t cum p atrib u s


suis, cum anim a nexu corporis lib eratu r. T ertia m ors est, d e qua
dictum est: D im itte m o rtu o s sepelire m ortuos s u o s h. E a m o rte
non solum caro, sed etiam anim a m o ritu r: Anim a enim , quae
peccat, ipsa m o r ie tu r c. M o ritu r enim dom ino, non n a tu ra e infir­
m itate, sed culpae. Sed haec m ors non p erfu n ctio huius est uitae,
sed lapsus erro ris. 37. V na ergo est m ors spiritalis, alia n atu ralis,
te rtia poenalis. Sed < n o n > , quae n atu ralis, eadem poenalis; non
enim p ro poena dom inus, sed p ro rem edio dedit m ortem . Deni­
que Adae p eccanti p ra escrip tu m est aliud p ro poena, aliud p ro
rem edio, p ro poena, cum dicitur: Q uoniam audisti uocem m ulieris
tuae et m anducasti de ligno, de quo praeceperam tibi, ab hoc solo
ne m anducares, m aledicta terra in operibus tuis, m anducabis
fr u c tu m eius o m nibus diebus uitae tuae. Spinas et tribulos ger­
m inabit tibi et edes p a b u lum agri, cum sudore uultus tui m andu­
cabis panem tuum , donec reuertaris in terram , ex qua ad su m p tu s
e s a. 38. H abes p o en aru m ferias, q uia ad u ersu m spinas saeculi
huius e t sollicitudines m u ndi u o lu p tatesq u e diuitiarum , quae tier-
bu m ex c lu d u n ta, po en am includunt, m ors p ro rem edio d a ta est
quasi finis m alorum . N on enim dixit: « Q uoniam au d isti uocem
m ulieris, re u erteris in te rra m ». H aec enim esset poenalis sententia,
quem adm odum est illa: M aledicta terra, spinas et tribulos ger­
m in a b it t i b i h. Sed dixit: M anducabis p anem tu u m in sudore, do­
nec reuertaris in terram. Vides m o rtem m agis m etam n o straru m
esse poenarum , q ua cu rsu s u itae huius inciditur.

39. E rgo m ors non solum m alum non est, sed etiam bonum
est. D enique p ro bono q u ae ritu r, sicut scrip tu m est: Q uaerent ho­
m ines m o rtem et non in uenient e a m a. Q uaerent enim illi, qui
d ictu ri su n t m o n tibus: cadite super nos, et collibus: operite n o s b.
Q uaeret etiam « anim a illa, quae peccat » c, q u ae ret diues ille posi­
tu s in inferno, qui u u lt digito Lazari re frig erari linguam s u a m d.
40. V idem us itaque, q u o d et m ors haec lucrum est et u ita poena
est. Vnde et Paulus ait: M ihi enim uiuere C hristus et m ori lu­
crum a. Quid est C hristus nisi m ors corporis, sp iritu s u itae? E t
ideo co m m o riam u r cum eo, u t uiuam us cum eo b. S it quidam cot-

b Mt 8, 22.
c Ez 18, 4*.
37. a Gen 3, 17-19*.
38. a Cf. Lc 8, 11-14.
b Gen 3, 17-18.
39. a Apoc 9, 6.
b Lc 23, 30.
c Cf. Ez 18, 4.
d Cf. Lc 16, 24.
40. a Phil 1, 21*.
b Cf. 2 Tim 2, 11.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 3 6 4 0 97

p a tria rc a Àbram o, il p a tria rc a Davide, e fu ro n o sepolti con i loro


pad ri, quando cioè l ’an im a si lib era dai vincoli del corpo. La te r­
za m o rte è quella di cu i fu detto: Lascia che i m o rti seppelliscano
i loro m orti. P er tale m o rte m uore non solo il corpo, m a anche
l'anim a: In fa tti l’anim a che pecca, sen z’altro morrà. M uore al
S ignore no n p e r la debolezza della n atu ra , m a p e r quella della
colpa. M a tale m o rte no n è il com pim ento di q u esta vita, bensì
la cad u ta p ro v o cata dal peccato. 37. L 'una dunque è u n a m orte
nell’am b ito dello sp irito , -l’a ltra è secondo n atu ra , la te rz a è puni­
tiva. M a la m o rte n atu ra le non è nello stesso tem po punitiva: il
Signore non ci h a d ato la m o rte com e pena, m a com e rim edio.
T an t’è v ero che a d A dam o peccatore u n a cosa fu im p o sta com e
pena, u n ’a ltra com e rim edio; com e p en a q u an d o si dice: Poiché
hai dato retta alla voce della tua donna e hai m angiato dell’albe­
ro, riguardo al quale ti avevo ordinato di non m angiarne, unico fra
tu tti, m a ledetto sia il suolo p er causa tua, ti nutrirai dei suoi pro­
d o tti tu tti i giorni della tua vita. E sso ti germ oglierà spine e cardi
e tu m angerai la pa stu ra del campo, col sudore della tua fro n te
m angerai il tuo pane, finché ritornerai alla terra dalla quale sei
stato tratto. 38. H ai u n a treg u a alle tu e pene, p erch é contro le
spine di q u esto m ondo e le preoccupazioni di quaggiù e i piaceri
delle ricchezze, ch e escludono la P arola e racchiudono in sé la
punizione, la m o rte è s ta ta d a ta com e rim edio, quasi fine dei
m ali. N on h a detto, in fatti: « Poiché hai ascoltato la voce della
donna, rito rn e ra i alla te rra ». Questa, sarebbe u n a sentenza pu n i­
tiva, co m 'è quella: Sia m aledetto il suolo, esso ti germ oglierà spine
e cardi; m a h a detto: M angerai il tuo pane col sudore, finché ri­
tornerai alla terra. Tu vedi che la m o rte è p iu tto sto il term ine
delle n o stre pene, che tro n ca il corso di q u esta vita.
39. D unque non solo la m o rte non è u n m ale, m a è anzi un
bene. Q uindi è rice rca ta com e u n bene, com e sta scritto: Gli uo­
m in i cercheranno la m o rte e non la troveranno. L a cerch eran n o
quelli che diran n o ai m onti: « C adete sopra di noi », e ai colli:
« C opriteci ». La cerch erà anche « l'anim a ch e pecca », la cercherà
quel ricco collocato n ell’inferno, che vuole che la sua lingua sia
rin fresca ta dal dito di Lazzaro. 40. V edranno d unque ch e q u esta
m o rte è u n guadagno e la v ita u n a sofferenza. Perciò anche Paolo
dice: Per m e in fa tti il vivere è Cristo e il m orire un guadagno.
Che è C risto se no n la m o rte del corpo, il soffio della vita? Perciò
m oriam o co n Lui p e r vivere con Lui. E sista in noi ogni giorno come
98 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 4 0 -4 3

tidian u s in nobis u su s ad fectusque m oriendi, u t p e r illam , quam


dixim us, segregationem a corporeis cu p id itatib u s anim a n o stra
se discat ex trah ere et tam quam in sublim i locata, quo terren ae
adire libidines et eam sibi glu tin are non possint, su scip iat m o rtis
im aginem , ne poenam m o rtis in cu rrat. R epugnat enim lex carnis
legi m entis et eam legi erro ris addicit, sicut apostolus reuelauit
dicens: V ideo enim legem c a m is m eae repugnantem legi m entis
m eae et ca ptiuantem m e in lege p e c c a tic. Om nes inpugnam ur,
om nes sentim us, sed n on om nes liberam ur. E t ideo infelix ego
h o m o d, nisi rem edium quaeram . 41. Sed quod rem edium ? Quis
m e liberabit de corpore m ortis? Gratia dei p er Ie su m C hristum
d o m in u m n o s tr u m a. H abem us m edicum , seq u am u r rem edium . Re­
m edium n o stru m C hristi g ra tia est, et co rp u s m o rtis corpus est
nostru m . E rgo p ereg rin em u r a corpore, ne p ereg rin em u r a C hri­
s t o 1’. E tsi in co rp o re sum us, tam en, quae su n t corporis, non se­
q u a m u r0 nec deseram us iu ra n atu rae, sed dona gratiae p raeo p te­
m us. D issolui enim et cu m C hristo esse m u lto m elius, perm anere
autem in carne magis necessarium p ro p ter u o s d. 42. Sed non
om nibus necessarium , dom ine Iesu, non m ihi, qu i nulli utilis
sum ; n am m ihi lu cru m est m o r ia, ne p lu ra peccem , lu cru m m ihi
est m ori, qui ipso libro, quo alios consolor, q u asi uehem entiore
m onito re ad d esiderium am issi fra tris inpellor, quoniam m e eius
non sinit obliuisci. N unc m agis am o et uehem entius desidero.
Desidero, cum loquor, desidero, cum relego, et ideo hoc potius
scriben d u m a rb itro r, ne quando ab eius recordatione diuellar.
Quod non c o n tra scrip tu ra s facio, sed cum scrip tu ris sentio, u t
p atien tiu s doleam , in p atientius desiderem .

43. P rae stitisti m ihi, fra te r, ne m o rtem tim erem , a tq u e uti-


n am m o ria tu r anim a m ea in anim a tua! Hoc enim sibi B alaam
p ro m axim o bono o p tat donatus sp iritu p ro p h etan d i: M oriatur
anim a m ea in anim is iu sto ru m et fiat sem en m eu m sicu t sem en
is to r u m a. E t u ere hoc secundum p ro p h e tia m o ptat; qui enim
u id e ra t o rtu m C hristi, u id it eiu s triu m p h alem m ortem , u id it in
eo p eren n em hom inum re su rre c tio n e m 13 et ideo m o ri non tim et
re su rrec tu ru s. N on m o ria tu r ergo anim a m ea in peccato neque
peccatu m in se recipiat, sed m o ria tu r in anim a iusti, u t eius reci­
p ia t aeq uitatem . D enique qu i m o ritu r in C hristo, fit eius gratiae
p articep s in lauacro.
c Rom 7, 23.
d Rom 7, 24.
41. a Rom 7, 24-25.
b Cf. 2 Cor 5, 6-8.
c Cf. 2 Cor 10,3.
<J Phil 1, 23-24*.
42. a Cf. Phil 1, 21.
43. a Num 23, 10 (S e p t.).
b Cf. Num 24, 17-19 (Sept.).
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 4043 99

una dim estichezza e u n a propensione verso la m orte, affinché p er


mezzo di qu ell’a p p a rtarsi, di cui abbiam o p arlato , dalle passioni
corporee la n o s tra an im a im p ari a tra ise n e fu o ri e, com e collo­
ca ta in u n luogo elevato dove non possono giungere le voglie te r­
rene e invischiarla a sé, assum a l ’ap parenza della m orte, p e r non
incapp are nella p en a della m orte. La legge della carne, infatti, si
oppone alla legge della m ente e la asservisce alla legge dell’e rro ­
re, com e h a rivelato l ’Apostolo dicendo: V edo in fa tti la legge della
m ia carne opporsi alla legge della m ia m en te e renderm i schiavo
della legge del peccato. T u tti siam o assaliti, tu tti sentiam o, m a
non tu tti siam o liberati. Perciò m e infelice, se non troverò il rim e­
dio. 41. M a qLiale rim edio? Chi m i libererà da questo corpo di
m orte? La grazia di Dio p er m ezzo di Gesù C risto nostro Signore.
A bbiam o il m edico, usiam o il rim edio. Il n o stro rim edio è la
grazia d i C risto e il corpo di m o rte è il n o stro corpo. Andiamo
dunque esuli dal co rp o p e r non an d are esuli da Cristo. P ur
essendo nel corpo, n on n e seguiam o le passioni e non trascuriam o
i d iritti di n atu ra , m a anteponiam o i doni della grazia. È m olto
m eglio essere sciolto dal corpo, m a rim anere in esso è più ne­
cessario p e r voi. 42. Ma non a tu tti è necessario, non a m e che
non sono u tile a nessuno. P er m e è u n guadagno m o rire p e r non
com m ettere p iù o ltre peccati, è u n guadagno p e r m e m orire,
p erché p ro p rio dal lib ro , col quale conforto gli altri, com e d a
u n consigliere tro p p o im petuoso sono indotto a rim piangere m io
fratello, p erch é non p e rm e tte che io m i dim entichi di lui. O ra lo
am o di p iù e lo am o con p iù ard en te desiderio. Lo bram o quan­
do parlo, lo b ra m o quan d o leggo; perciò ritengo di dover scrivere
p iu tto sto cosi p e r non essere u n giorno sep arato dal ricordo di
lui. E non faccio questo contro le S crittu re, m a con le S crittu re
n u tro q u esti sentim enti, cosi da piangere con m aggiore rassegna­
zione, da rim p ian g ere con più im paziente desiderio.
43. H ai fa tto si, fratello, che non tem essi la m orte, e m ag
la m ia anim a m orisse nella tu a anim a! Q uesta so rte desidera p er
sé quale p iù grande bene B alaam , dotato di sp irito profetico:
Muoia la m ia anim a nell'anim a dei g iu s ti28 e diventi il m io sem e
com e il loro sem e. E davvero desidera q u esta so rte in v irtù della
sua dote p ro fetica: chi aveva visto la nascita di C risto, vide la
sua m o rte trionfale, vide in Lui la perenne risurrezione degli
uom ini, e p erciò no n tem e di m o rire in a tte sa di risorgere. Non
m uoia d u nque la m ia anim a in peccato né accolga in sé peccato,
m a m uoia n ell’an im a del giusto p e r ricevere la sua stessa sorte.
Q uindi chi m u o re in C risto, diventa p artecip e della sua grazia nel
battesim o.

2* La Vulgata ha M oriatur anim a m ea m orte iustorum , reso dalla tradu­


zione della CEI con: « Possa io morire della morte dei giusti ». La citazio­
ne di Ambrogio riproduce il testo dei Settanta.
100 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 4 4 -4 8

44. N on ergo form idabilis m ors nec am ara egentibus


grau io r d iuitibus nec in iu sta senioribus nec ignaua fo rtib u s nec
p e rp e tu a fidelibus nec in p ro u isa sapientibus. Q uam m u lti enim
u itam solo m o rtis titu lo consecrarunt! Q uantos u iu ere p u d u it,
m ori p rofuit! M orte unius pleru m q u e accipim us m axim os populos
liberatos, m o rte im p erato ris fugatos exercitus hostium , quos uiuus
uincere nequiuisset. 45. M orte m arty ru m religio defensa, cum u­
la ta fides, ecclesia ro b o ra ta est. V icerunt m o rtu i, u icti persecu­
to res sunt. Ita q u e q u o ru m u itam nescim us, h o ru m m o rtem cele­
bram us. V nde et D auid p rophetice g lo riatu r in suae m entis exces­
su: Pretiosa, in quit, in conspectu dom ini m ors sanctorum e iu s a.
M ortem m alu it p ra e fe rre quam u itam . Ip sa m ors m a rty ru m p ra e ­
m ium u itae est. M orte etiam inim icorum odia so lu u n tu r. 46. Quid
p lu ra? Vnius m o rte m undus red em p tu s est. P otuit enim C hristus
non m ori, si noluisset, sed neque refugiendam m o rtem qu asi
ignauam p u ta u it neque m elius nos quam m oriendo seruasset.
Ita q u e m o rs eius u ita est om nium . M orte eius signam ur, m ortem
eius o ra n te s ad n u n tiam u s, m o rtem eius offerentes praedicam us.
M ors eius u icto ria est, m ors eius sacram en tu m est, m ors eius
an n u a sollem nitas m u n d i est. Q uid p ra e te re a de eius m o rte dica­
m us, cu m diuino pro b em us exemplo, q uia in m o rtalita te m m ors
sola q u aesiu it atq u e ip sa se m ors redem it? N on ig itu r m ae­
re n d a m ors, quae causa salutis est publicae, non fugienda m ors,
q uam dei filius no n dedignatus est, non refugit. N on resoluendus
ordo n atu rae; quod enim com m une est om nibus, exceptum in
singulis esse n o n p o test.

47. E t m o rs quidem in n a tu ra non fuit, sed conuersa in


n a tu ra m est; non enim a p rincipio deus m o rtem in stitu it, sed p ro
rem edio dedit. E t considerem us, ne u id e a tu r esse contrarium .
N am si b o n u m est m ors, cu r scrip tu m est, quia deus m o rtem non
fecit, sed m alitia h o m inum m ors in tro iu it in orbem te r r a r u m a?
Re u e ra enim m ors diuino operi necessaria n o n fuit, cum in p a ra ­
diso positis b o n o ru m om nium iugis successus adflueret, sed prae-
u aricatio n e d am n ata in lab o re d iu tu rn o gem ituque intolerando
u ita ho m inum coepit esse m iserabilis. D ebuit d a ri finis m alorum ,
u t m ors re stitu eret, quod u ita am iserat. In m o rtalitas enim oneri
p otius q uam u su i est, nisi ad sp ire t gratia. 48. E t si b en e discu-

45. a Ps 115, 15.


47. a Sap 1, 13; 2, 24.
PER LA DIPARTITA DEL FRATELLO, I I , 4 4 4 8 101

44. La m o rte dunque non è tem ibile, non è am a ra p e r i


veri né tro p p o dolorosa p e r i ricchi n é ingiusta p e r gli anziani né
vile p e r i coraggiosi né e tern a p e r i c red en ti né in attesa p e r i
saggi. Q u an ti resero san ta la loro v ita esclusivam ente con la loro
m orte! P er q u a n ti la v ita fu vergogna, la m o rte vantaggio! Sap­
piam o che spesso i p iù grandi popoli furono lib era ti p e r la m o rte
di uno solo, p e r la m o rte del generale furono volti in fuga eser­
citi nem ici che egli no n aveva p o tu to vincere da v iv o 29. 45. Dal­
la m o rte dei m a rtiri fu difesa la religione, a u m en ta ta la fede,
rinvigorita la Chiesa. V insero i m orti, i p ersecu to ri furono vinti.
Cosi celebriam o la m o rte di coloro di cui ignoriam o la vita. Perciò
anche Davide, p e r ispirazione divina, si gloria nel tra s p o rto del
suo anim o: Preziosa, dice, al cospetto del Signore la m orte dei
suoi santi. Volle d are la preferenza alla m o rte anziché alla vita.
La stessa m o rte dei m a rtiri è prem io della loro vita. In seguito
alla m o rte dei nem ici si dissolve l ’odio. 46. P erché dilungarsi?
Il m ondo fu re d en to dalla m o rte di Uno solo. C risto sarebbe
p o tu to non m o rire, se no n avesse voluto, m a riten n e di non evita­
re la m orte, che poteva a p p a rire ignobile, né, del resto, avrebbe
p o tu to salvarci p iù efficacem ente che m orendo. Cosi la su a m orte
è vita p er tu tti. Dalla sua m o rte siam o contrassegnati, la sua m or­
te annunciam o nelle n o stre preghiere, la sua m o rte esaltiam o nelle
n o stre offerte. La sua m o rte è v ittoria, la sua m o rte è sacram en­
to, la su a m o rte è annuale solennità p e r il m ondo. Che dire inol­
tre della su a m o rte, q u an do possiam o d im o strare con l'esem pio
divino che solo la m o rte o tten n e l ’im m o rtalità e la m o rte da sola
si risca ttò ? N on dev’essere dunque p ia n ta la m orte, perché è
causa di salvezza p e r tu tti, non dev'essere evitata, poiché non la
sdegnò, no n la evitò il Figlio di Dio. N on dev’essere d istru tto l ’o r­
dine di n atu ra : ciò che è com une a tu tti, non può subire eccezio­
ne nei singoli.
47. È b en vero che la m o rte non esisteva nella n atu ra ,
fu re sa re altà di n atu ra ; in fatti, Dio da principio non stabili la
m orte, m a la diede quale rim edio. R iflettiam o, p erch é non sem bri
che sia il co n trario . Se la m o rte è u n bene, p erch é sta scritto
che Dio non ha creato la m orte, m a p e r la m alvagità degli uom i­
ni la m o rte entrò nel m o n d o ? In re a ltà la m o rte non sarebbe sta ta
necessaria all’o p era divina, poiché coloro che erano stati collo­
cati nel p arad iso te rre s tre abbondavano del continuo succedersi
d ’ogni bene; m a, u n a vo lta con d an n ato il peccato, la v ita degli
uom ini com inciò ad essere m iserevole nell’in in te rro tta fatica e
nel p ian to insopportabile. Doveva essere stab ilita u n a fine dei
m ali, p erché la m o rte re stitu isse ciò che la vita aveva perduto.
L’im m o rtalità è u n peso, p iu tto sto che u n v an tag g io 30, senza l’in­
tervento della grazia. 48. E se tu esam inassi bene, vedresti che

25 Cf. Cic., Tusc., I, 48, 116. Si citano gli esem pi delle figlie di Erètteo,
di Codro, di Menèceo, di Ifigenia.
30 Cf. S all., /w g., 14, 4: cogor priu s oneri quam usui esse.
102 DE EXCESSV FRATRIS, I I , 4 8 -5 0

tias, no n n a tu ra e m o rs is ta est, sed m alitiae; m an et enim n atu ra ,


m alitia m o ritu r. R esurgit, q u o d fuit, a tq u e u tin a m u t iam peccan­
d i liberum , ita u acu u m cu lpae prioris! S ed hoc ip su m indicio est
m o rtem no n esse n atu rae, q uia idem erim us, qu i fuim us. Ita q u e
au t p eccato ru m n o stro ru m supplicia pendem us a u t bene gesto­
ru m g ratiam consequem ur. R esurgit enim n a tu ra eadem iam
stipendiis m o rtis h o n o ratio r. D enique m o rtu i qu i in C hristo sunt,
resurgunt p rim i, deinde et nos, qu i uiuim us, inquit, sim u l cum
illis rapiem ur in nubibus obuiam C hristo in aera et ita sem per
cu m dom in o erim us a. Illi prim i, uiuentes au tem secundi, illi cum
Iesu, u iu en tes p e r Iesum , illis dulcior u ita p o st requiem , uiuen-
tibus etsi g rata conpendia, tam en ignota rem edia.

49. N ihil est igitur, quod in m o rte tim eam us, nihil, qu
debeam us dolere, si au t n atu ra e re p eten ti u ita, quae accepta est,
rep en d atu r, a u t p eten ti inpenda tu r officio, in quo religionis cultus
a u t u irtu tis u su s est. N eque enim quisquam sibi, u t sic m an eret,
optauit. Io h an n i p ro m issu m aestim atu m est, sed non est cred i­
tum . V erba tenem us, sen tentiam deriuam us: ipso in libro negat
sibi, quod no n m o reretu r, esse p ro m iss u m a, n e quem u an a spes
exem plo incesseret. Quod si id uelle spes insolens, q u a n to inso­
lentius, quod non p ra e te r m odum acciderit, u ltra m odum dolere?

50. Gentiles p leru m q u e se consolantur u iri uel de com m u


ta te aeru m n ae uel de iu re n a tu ra e uel de in m o rta lita te anim ae.
Q uibus u tin am serm o co n sta re t ac non m iseram anim am in u aria
p o rte n to ru m lu d ib ria form asque tran sfu n d eren t! Q uid ig itu r fa­
cere nos o p o rtet, q u o ru m stipendium re su rrec tio est? C uius gra­
tiam quoniam negare p lerique non possunt, fidem ab n u u n t. E t

48. a 1 Thess 4, 16-17.


49. * Cf. Io 21, 22 s.
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q u esta non è la m o rte della n atu ra , m a quella della m alvagità: la


n a tu ra rim ane, m u o re la m alvagità. R isorge ciò che esisteva prim a,
e m agari risorgesse libero dalle colpe com m esse com ’è o rm ai inca­
pace di peccare! Ma questo stesso fa tto è u n a prova che la m o r­
te non rig u ard a la n atu ra , perché sarem o quei m edesim i che era­
vamo. P ertan to o subirem o la p en a dei n o stri p eccati o consegui­
rem o la ricom pensa del b ene com piuto. Risorge, infatti, la m ede­
sim a n atu ra , o rm ai p iù degna di- onore p erch é h a p agato