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Scoperto nell'agosto 2003 un santuario martiriale nella catacomba romana dei santi Marcellino e Pietro. L'articolo dell'ispettore della Pontificia Commissione Archeologia Sacra R. Giuliani, è la cronaca di una scoperta dovuta alla rottura di una condotta idrica...
Titolo originale
Catacombe SS Marcellino e Pietro - Santuario Martiriale agosto 2003 R Giuliani
Scoperto nell'agosto 2003 un santuario martiriale nella catacomba romana dei santi Marcellino e Pietro. L'articolo dell'ispettore della Pontificia Commissione Archeologia Sacra R. Giuliani, è la cronaca di una scoperta dovuta alla rottura di una condotta idrica...
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Scoperto nell'agosto 2003 un santuario martiriale nella catacomba romana dei santi Marcellino e Pietro. L'articolo dell'ispettore della Pontificia Commissione Archeologia Sacra R. Giuliani, è la cronaca di una scoperta dovuta alla rottura di una condotta idrica...
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Scoperto un santuario martiriale nella catacomba romana dei Santi Narcellino e Pietro
Tutto cominciato con un tubo rotto
di Raffaella Giuliani !spettore delle Catacombe di Roma Pontificia Commissione di Archeologia Sacra
Doveva essere assolutamente eterogeneo il bacino sociale che tra terzo e quarto secolo a Roma, per dare una tomba dignitosa ai propri cari, affluiva numeroso alle catacombe dei Santi Pietro e Narcellino, nell'antica localita ad duas lauros, al terzo miglio della via Labicana. Le testimonianze epigrafiche ci conservano i nomi di uomini e donne, ricchi artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, operai, servi, provenienti in parte dalla popolosa Subura, dalla regione dell'Esquilino e del Nacellum Liviae, non distanti in linea d'aria. Un calcolo affidabile di Jean Guyon, l'archeologo francese che ha dedicato i suoi migliori anni allo studio di questo straordinario complesso paleocristiano, mostra che - nel solo terzo secolo - le intricate gallerie sotterranee della catacomba accolsero almeno 15.000 sepolture, mentre alcune migliaia si distribuirono nell'area di superficie. !n un equilibrio difficile, ma sostanzialmente riuscito, tra comunita cristiana e potere imperiale, effetto della tollerante politica religiosa dell'imperatore Gallieno (253-268), il cimitero cristiano si inser in una vasta necropoli pagana, in cui un settore distinto di proprieta imperiale era occupato dal sepolcreto della gloriosa guardia imperiale a cavallo, gli equites singulares Augusti. Al tempo dell'imperatore Costantino, il complesso ha subito degli interventi edilizi radicali, con la creazione di una grandiosa basilica circiforme dedicata ai martiri eponimi, di un mausoleo cilindrico che accolse l'Augusta Elena, madre dell'imperatore, e altri membri della sua famiglia, e di vasti recinti porticati. L'importanza del complesso non sfuggita agli studiosi delle antichita cristiane di ogni epoca: si legano al sito i nomi di Antonio Bosio, Giovanni Battista de Rossi, Enrico Stevenson, Orazio Narucchi, e poi, per arrivare ai tempi a noi piu vicini, del gesuita Antonio Ferrua, e del barnabita Umberto N. Fasola. !ntanto, tra il 1953 e il 1956, Friedrich Wilhelm Deichmann e Arnold Tschira portavano alla luce, nell'area esterna, le fondazioni della grande basilica costantiniana. S' appena menzionato Jean Guyon, al quale si deve una fondamentale sintesi sul complesso (Le cimitire aux deux lauriers. Recherches sur les catacombes romaines, 1987), strumento insuperato di conoscenza del sito. Tanto fervore di studi e di scavi passati lasciava supporre che il cimitero non potesse restituire ancora sorprendenti scoperte, specie nella sua indagatissima regione centrale, a un passo dalla cripta dei martiri eponimi Pietro e Narcellino. !nvece, nel cuore dell'afosa estate romana, nell'agosto 2003, iniziata per puro caso un'affascinante avventura archeologica, che chi scrive ha avuto la fortuna di vivere in prima persona. All'origine di essa un ignaro tubo rotto. Proprio cos: la rottura di una conduttura della rete cittadina aveva provocato l'apertura di una voragine in un giardino privato al di sopra del settore mediano della catacomba, presso l'!stituto delle Suore della Sacra Famiglia. Una volta fatto cessare, con l'intervento dei tecnici dell'Acea, il flusso dell'acqua, s' iniziato a rimuovere, procedendo dall'esterno, i detriti crollati nella voragine, per raggiungere la quota catacombale e rimediare ai danni. Nentre si procedeva - con tutte le cautele - alla rimozione della frana, un evento inatteso scuoteva il ritmo tranquillo dei lavori: raggiunto il livello di una galleria catacombale, tre metri sotto un prato ben curato, tenacemente attaccati al loro supporto murario spuntano i brandelli di un affresco parietale sfigurato dal tempo e dagli uomini. Compaiono per prime delle testine dipinte (i fossori di oggi - gli operai in servizio presso la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per curare le catacombe - comunicarono eccitati la scoperta di "capoccette" a chi scrive!). Sono in realta volti maschili che non concedono nulla alla leggiadria: forti, espressivi, occhi spalancati, sguardi intensi, barbe ispide. Appartengono a un gruppo serrato di personaggi vestiti tutti uguali, con corte tuniche scure. Fanno pensare istintivamente a dei soldati, o, forse, a degli artefici. Poco piu a destra, l'aureola d'un giovane santo, maggiorato rispetto al gruppo, accanto al quale restano, indenni, tre belle lettere - NAR - che conducono agevolmente all'eponimo Narcellino: a sinistra di questi - rimangono solo i piedi e i resti della bianca barba - il venerando esorcista Pietro. Lo stile dei pochi lacerti non ammette dubbi: si tratta di pitture tarde, altomedievali (sesto-settimo secolo), di un periodo in cui in catacomba si riservavano cure e abbellimenti ai soli loca sancta, alle tombe di martiri, destinazione di infiniti pellegrinaggi da tutt'Europa. Su tutto l'affresco si distribuivano didascalie dipinte che, data la lacunosita delle pitture, sono oggi purtroppo quasi del tutto illeggibili: fatto, questo, deplorevole, perch la conservazione delle scriptae avrebbe reso molto piu agevole la decodificazione della scena e, quindi, anche del contesto topografico cui la stessa appartiene. Una di queste iscrizioni dipinte, su di un codice aperto su un leggio, restituisce l'espressione: hic do[na|nt [---| scr[ini|um, forse in rapporto alla presentazione di uno scrigno, raffigurata nella scena e affidata simbolicamente ai martiri patroni del cimitero. !n cosa consisteva, o meglio, cosa poteva contenere questo scrigno? Per rispondere a queste fondamentali domande, ci viene fortunatamente in aiuto l'ambito topografico e iconografico, che rinvia, a lume di logica, a un contenitore utilizzato per conservare reliquie. L'esistenza di tale contenitore puo essere confermata dall'apertura rettangolare - una nicchia, piu volte violata - posta al di sotto delle pitture, dove lo scrinium doveva trovar posto. Completavano l'allestimento del locum sanctum una transenna marmorea, che decorava la sommita del muro affrescato, una mensa oleorum, per ospitare le lampade votive, un lucernario che rischiarava l'ambiente, nonch numerose sepolture nel piano pavimentale. Queste ultime sono il pendant consueto delle tombe martiriali, espressione del desiderio di massa di sepeliri ad sanctos, fenomeno di costume dell'eta tardoantica non esente da spinte superstiziose, contro cui anche sant'Agostino aveva cercato di fare sponda. L'insieme di testimonianze non lascia dubbi: si disvela un altro polo cultuale di questo straordinario complesso della Roma paleocristiana, un santuario martiriale di cui finora non si era potuta sospettare l'esistenza sul piano archeologico. A questo punto, il lavoro degli archeologi si trasferisce dalle umide, oscure e terrose gallerie sotterranee, alle piu confortevoli sale delle biblioteche, dove si conservano le fonti manoscritte sul cimitero (calendari, atti, passiones, itinerari, e cos via), unico strumento disponibile per tentare di identificare il martire venerato nel santuario appena venuto alla luce. !l martire o non piuttosto i martiri? !nfatti, due elementi farebbero propendere per un gruppo, e non per una singola individualita, venerato nella cripta. Da un lato, la presenza dell'insieme omogeneo di personaggi rappresentati a sinistra nell'affresco non puo essere casuale, in una rappresentazione cos essenziale. Dall'altro, se valida l'ipotesi delle reliquie, esse trovano particolare giustificazione nel trasferimento, magari da un paese lontano, di resti corporei di piu individui, intrasportabili nella loro interezza. Le fonti manoscritte, in particolare gli itinerari, assegnano a questo cimitero i gruppi martiriali dei Quattro Coronati (gia localizzati in una cripta del cimitero), dei Trenta Nartiri e dei Quaranta Nartiri. Questi ultimi due gruppi non hanno trovato ancora una localizzazione certa. Ebbene, molto forte la suggestione di attribuire le testimonianze archeologiche appena rinvenute a uno dei due anonimi gruppi. !n particolare, i Quaranta della via Labicana sono ricordati dal Nartirologio Geronimiano al 13 gennaio e sono definiti milites. !l carattere di soldati si adatterebbe bene - come s'era gia osservato - al manipolo di uomini a sinistra della scena dipinta. A questo punto, sarebbe meno incerta e isolata l'ipotesi che fu del Delehaye, il quale riteneva che i Quaranta Nartiri della Labicana ricordati dagli itinerari potessero identificarsi in realta con i Quaranta Nartiri di Sebastia (citta della piccola Armenia, odierna Siwas in Turchia), notissimo gruppo di martiri soldati, caduti sotto la persecuzione di Licinio, condannati all'esposizione nudi ai rigori del freddo di uno stagno ghiacciato e infine morti per assideramento, le cui reliquie furono sparse e venerate in varie localita dell'orbe cristiano antico, e, a Roma, in un oratorio di Santa Naria Antiqua. !noltratici nella selva ammaliante delle ricostruzioni ipotetiche, dobbiamo pero tornare celermente sui nostri passi, nel sottosuolo appena abbandonato, dove, all'insieme di testimonianze archeologiche, di per s gia eccezionali, appena descritte, il prosieguo degli scavi ha aggiunto altri inattesi e straordinari elementi. !nfatti nel procedere dell'indagine, ci si imbattuti in un singolare insieme di ambienti dalla forma tozza, scavati nel tufo a quote differenti, totalmente diversi dalle consuete gallerie catacombali. !l fatto sorprendente che essi risultavano tutti riempiti, per un terzo della loro altezza, di strati di scheletri, disposti regolarmente e ordinatamente, ma senza elementi di separazione fisica tra loro. Questo portava a concludere che i depositi di scheletri si fossero formati in un breve torno di tempo. Certo, il loro stato di conservazione lasciava molto a desiderare, visto anche il perdurare dell'infiltrazione idrica all'origine della scoperta. Per questo si ritenuto indispensabile affrontare lo scavo dei singolari ambienti con l'intervento, siglato da un'apposita convenzione tra la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e l'cole Franaise de Rome, di un'equipe di antropologi dell'universita di Bordeaux 1, specializzata nell'indagine di sepolture collettive. Gli specialisti, guidati da Dominique Castex, hanno preso in carico lo scavo antropologico e lo studio in loco e in laboratorio dei reperti umani rinvenuti, che tutt'ora in corso, e che ha coinvolto centri universitari di varie citta europee. Dall'osservazione degli antropologi, si conferma, tra l'altro, la simultaneita della formazione dei depositi, che, secondo una stima per difetto, hanno accolto circa milleduecento individui. Altro aspetto interessante della ricerca rappresentato dal riconoscimento, nelle sepolture di massa, di pratiche funerarie estremamente accurate, finalizzate alla conservazione ottimale dei corpi. Le prime datazioni di laboratorio col metodo del radiocarbonio (C1+) hanno riguardato due campioni di tessuto, i quali sono stati datati tra la meta del secondo secolo e i primi decenni del secolo seguente. Tra i pochissimi reperti dei sepolcri collettivi vi sono alcune monete, di cui la piu recente - e dunque utile a fini datanti - emessa da uno dei tre imperatori Gordiani (238-2++). Dunque, in base a queste prime indicazioni cronologiche, le circostanze che hanno determinato la raccolta di corpi risultano essere precedenti alla nascita del cimitero cristiano, la cui origine, come si diceva, si riporta all'epoca gallienica. Al momento, per quanto riguarda il casus all'origine della formazione dei depositi, non avendo i corpi rivelato segni evidenti di traumi violenti, l'ipotesi piu convincente appare quella dell'evento epidemico, per il quale si puo ipotizzare, sulla base delle datazioni riportate, una recrudescenza della cosiddetta "peste antonina", la terribile epidemia che, dalla meta del secondo secolo in poi, fino almeno alla meta del terzo, ha decimato, in varie riprese, la popolazione dell'impero. Su tale epidemia sono copiose le testimonianze degli antichi, tra cui Galeno, Elio Aristide, gli scrittori della Historia Augusta, Dione Cassio, Ammiano Narcellino, Eutropio e Orosio. Di tale epidemia, tuttavia, non erano ancora emerse delle testimonianze archeologiche dirette, il che aveva portato molti storici moderni a dubitare del valore delle notizie fornite dagli antichi e a ridimensionare la portata dell'infezione. !n tal senso il ritrovamento del contesto rinvenuto, se le indagini di laboratorio confermassero l'ipotesi dell'epidemia, sarebbe una testimonianza eccezionale anche in funzione dell'approfondimento della conoscenza degli agenti patogeni nell'antichita e della loro diffusione. Ritornando al nostro vecchio tubo rotto, dobbiamo ringraziarlo di averci dischiuso un mondo cos complesso e insospettato. vero, pero, che permangono ancora molti passaggi oscuri nella ricostruzione storica del processo che ha portato allo sviluppo della catacomba cristiana a ridosso dei singolari collettori di corpi. forse possibile che la presenza dei sepolcri collettivi sia stata determinante per la scelta dello spazio da destinare al culto di un gruppo di martiri, mediante il trasporto di un ricettacolo di reliquie provenienti da lontano. Fatto meritevole di piu approfondita riflessione, del resto, il rispetto costantemente reso dal cimitero cristiano, nella sua progressiva espansione, ai preesistenti sepolcri di massa, rispetto tanto piu rilevante se si considera l'esigenza ivi pressante, nelle vicinanze delle tombe dei martiri eponimi Pietro e Narcellino, di spazi sepolcrali da mettere a disposizione dei piu ferventi devoti. A conclusione di queste note, ci auguriamo che la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, in collaborazione con l'cole Franaise de Rome, possa attuare il suo proposito di riprendere al piu presto le ricerche nel contesto, per riuscire a dare piena luce ai tanti dati finora emersi con l'ausilio - sul campo e in laboratorio - delle tecniche d'indagine piu moderne e sofisticate. {L'Osservatore Romano - 12-13 maggio 200S)