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Riassunti corso di Storia

Medievale - Testo esame


Medioevo: i caratteri originali
di un etàdi transizione- Vitolo
Storia Medievale
Università degli Studi di Salerno (UNISA)
109 pag.

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IL MEDIOEVO COME PROBLEMA STORICO

Premessa. Il medioevo e la conoscenza moderna


Nell'opinione comune il medioevo è spesso considerato come l'opposto di tutti valori che
sono alla base della conoscenza del costume moderno: tradizionalismo e autoritarismo
culturale, accentuata gerarchizzazione della società, economia di sussistenza a base
prevalentemente agricola.

Storia dell'idea di medioevo

Gli umanisti italiani e l'età di mezzo


Si dice comunemente che l'idea del medioevo sia stata espressa dall'umanesimo italiano
come antitesi dell'ideale della rinascita. Fra il '300 e il '400, i letterati italiani sentirono di
star attraversando un'epoca di radicale trasformazione della cultura, caratterizzata dal
recupero della letteratura e, ancor più, dello spirito dell'antichità classica, concepiti come
modelli ideali di stile di umanità. La riconquistata sapienza letteraria, unita strettamente ad
una nuova concezione dell'uomo, sembra concretizzare la rinascita dell'antichità dopo una
lunga decadenza dei valori culturali e del gusto letterario. Letterati e artisti delinearono
dunque un itinerario della civiltà che si distendeva in tre fasi: l'antichità classica, che aveva
espresso i valori umani e culturali al più alto grado di completezza; un'età di imbarbarimento
e decadenza inseguita dalla caduta dell'impero romano; e quindi la loro età in cui erano
ordinati gli ideali di educazione e di forma già espressi dalla civiltà classica.
Essi sapevano che sotto il profilo politico, la loro epoca non rappresentava una rinascita
dell'antichità, piuttosto l'esito di un'evoluzione.
L'età barbariche nella cultura europea del '500
Per gli umanisti francesi e tedeschi il riferimento all'antichità classica non aveva quel valore
di riferimento culturale nobilitante che aveva assunto per gli umanisti italiani.
In Germania fin dal '400 gli storici, considerarono con rispetto sia le invasioni barbariche
che la costituzione dell'impero medievale, ritenuti come i momenti di affermazione della
nazione tedesca nella storia europea.
La rivalutazione del passato tedesco faceva parte del programma educativo dei riformatori.
Gli storici luterani composero storie universali nelle quali rivendicavano la funzione
dell'impero tedesco nel mondo cristiano e accusarono la Chiesa romana di averne provocato
la rovina, riducendo l'insieme insieme del popolo tedesco in un deprecabile stato di
frazionamento e marginalità politica.
Anche la storia della Chiesa occupò posto di rilievo nella cultura protestante. Gli studiosi
finalizzarono le loro esposizioni storiche a dimostrare che la Chiesa romana era venuta
meno alla missione affidata da Cristo ai suoi discepoli, e attraverso una mondanizzazione
sempre più accentuata, connessa all'affermazione del primato papale, aveva provocato una
profonda decadenza della religione, fino alla riforma di Lutero. Per i protestanti comunque
non le invasioni barbariche, ma la mondanizzazione della Chiesa iniziata al tempo di
Costantino, era considerata la causa della decadenza.
L'età di mezzo nella cultura del '600
Le monarchie assolute affermatesi in Europa scoraggiarono la storiografia favorendo invece
l’erudizione, utilizzata come esaltazione dell'Antichità, della Chiesa, delle monarchie e delle
nazioni. Il recupero e la pubblicazione della documentazione non si prefiggeva ancora lo
studio del medioevo come epoca storica automa e significativa; essa mirava alla conoscenza
delle imprese dei sovrani e dei popoli.
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Inoltre gli studi sul medioevo portarono all'esigenza di un vocabolario specializzato per il
latino dell'età di mezzo. Alcuni realizzarono qualcosa più che un semplice vocabolario: un
vero repertorio enciclopedico di termini relativi a concetti, istituzioni, usanze, oggetti della
tarda antichità e dell'età di mezzo.
Gli annali ecclesiastici sono una ricostruzione della storia della Chiesa esposta anno per
anno dalla nascita di Cristo al 1198, sulla base di una ricca documentazione, spesso
originale, che Baronio, trovò nella biblioteca vaticana di cui era prefetto.
In essa la Chiesa cattolica si difendeva dalle accuse dei protestanti, tra l'altro rivendicando la
legittimità del primato papale.
Acta Sanctorum era il progetto di raccogliere e pubblicare a stampa le testimonianze scritte
sulle vite di santi venerati dalla Chiesa cattolica disposti secondo l'ordine del calendario
liturgico. In un volume degli Acta Sanctorum il gesuita Daniel Paperbrock aveva pubblicato
una dissertazione (ampia trattazione) relativa ai criteri di individuazione dei documenti falsi,
soprattutto di età medievale e si compì una sistematica identificazione delle caratteristiche
informali materiali e documenti medievali; mettendo a punto un organico sistema di
riferimento per l'accertamento della loro genuinità. Questa opera è intitolata De re
Diplomatica.
George Horn, professore di storia dell'università di Leida, propose una nuova
periodizzazione, fissò i termini cronologici dell'età di mezzo tra la caduta dell'impero
romano nel 476 e la conquista di Costantinopoli da parte di Turchi nel 1453.
La scansione della storia universale in tre epoche, antica, medievale e recente, ricorre anche
nelle opere di altri dotti. Essa venne consacrata nell'uso accademico da Keller, professore
nell'università di Halle.
L'opera di Keller aveva il pregio di fare riferimento, più che a eventi politico-militari, a due
mutazioni della civiltà: da un lato l'affermazione del cristianesimo e della Chiesa nell'impero
romano e, dall'altro le novità dell'età moderna, le scoperte geografiche, le invenzioni.
La filosofia dei costumi, il medioevo e la storia di Europa
È nel '700 che il medioevo, ormai bene identificato su base cronologica, divenne oggetto di
una nuova riflessione, intesa a valutare le caratteristiche della sua civiltà.
Ciò avvenne grazie al congiungimento dell'erudizione con la filosofia dei costumi e al
dibattito illuminista sul progresso della società umana.
Un ruolo importante in questo processo di chiarificazione lo ebbe Ludovico Antonio
Muratori che può esser considerato il fondatore della ricerca critica sul medioevo. Muratori
sostenne che l'Italia pur non essendo politicamente unita, era comunque ambito di una
tradizione comune a tutti gli stati italiani, la antica madre verso cui si dovevano coltivare
sentimenti di residenza; questa tradizione si era formata nel medioevo. Muratori raggiunse
questa convinzione dopo avere constatato che molte delle strutture istituzionali e
giurisdizionali del suo tempo risalivano direttamente al medioevo. Muratori non ammirava
indiscriminatamente quell'epoca, ma nemmeno la condannava pregiudizialmente. Egli la
considerava come un’epoca di barbarie; però affermò che tra i barbari si riscontravano
aspetti etici e politici degni di rispetto, che la civiltà aveva compiuto un progresso notevole
dopo l'anno Mille e uno ancora più accentuato dopo il XIII secolo, quando si registrò un
progressivo superamento delle barbarie.
Muratori fu tra i primi a descrivere il rapporto tra medioevo e l'età moderna in termini di
progresso della civiltà avviatosi già durante la tarda antichità.
Jean Baptiste de la Curne de Sainte Palaye progettò un Glossaire de l'ancienn language
françoise con indagini sull'evoluzione delle parole del loro significato.
Raccolse un'enorme quantità di materiali per una Histoire litteraire des troubadours,
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pubblicata in tre volumi nel 1774, che pose le fondamenta della conoscenza storica del
mondo dei trovatori. Anch’egli vedeva il medioevo l'epoca in cui si erano formate non solo
la monarchia e la nobiltà, ma la stessa tradizione letteraria nazionale.
Nel '700 la riflessione sul medioevo non ebbe luogo solo nelle accademie tra gli eruditi; i
filosofi politici e critici sociali dell'unità dell'illuminismo francese fecero di frequente
riferimento al medioevo nella loro critica delle istituzioni vigenti degli abusi feudali.
Lo scopo principale della storia, per Voltaire, doveva essere la conoscenza dello spirito, dei
costumi, degli usi delle principali nazioni, utile in quanto faceva prendere consapevolezza
degli errori compiuti dal genere umano, e contribuiva così a facilitare il suo progresso.
L'epoca medievale costituiva l'oggetto di gran parte della tradizione, ma in quanto momento
decisamente negativo. Il medioevo, era caratterizzato per Voltaire dalla povertà materiale e
spirituale; era l'epoca delle barbarie della superstizione, di cui gli uomini erano stati succubi.
Voltaire aveva del medioevo una conoscenza sommaria e imprecisa. Il suo scopo era la
creazione di un bersaglio rispetto al quale svolgere la sua polemica contro le condizioni del
presente. Manca in Voltaire ogni interesse a comprendere la natura dell'epoca medievale. Gli
apprezzamenti sono riservati a personaggi visti come oppositori della tirannia ecclesiastica,
Maometto, Saladino, Federico II.
Tuttavia attraverso questa polemica il medioevo veniva saldamente acquisito dalla storia
dell'Europa moderna come fase negativa.
William Robertson delineò una storia dell'Europa durante il medioevo per mostrare come in
quel periodo si fosse potuto superare il disordine delle barbarie provocate dalle invasioni e
porre le basi della superiore organizzazione politica, economica e civile dell'età moderna. Le
crociate erano viste come prodotto del fanatismo e della violenza della società feudale.
Edward Gibbon considerava l'impero bizantino come la prosecuzione di quello Romano.
L'epoca medievale era parte di un più vasto processo costituito dalla millenaria decadenza
dell'impero romano. Tuttavia l'opera è originale, l'indagine sulla crisi di una civiltà, che
implicitamente metteva in discussione la fiducia illuministica del progresso storico.
Richard Hurd celebrava i valori sentimentali e morali della cavalleria medievale. Un
atteggiamento di nostalgia per l'età medievale come mondo passato, che suscitava emozioni
estetiche e sentimentali e trovava originale l'espressione letteraria e i canti di Ossian.
Il mito dell'età medievale nella cultura tedesca
Justus Moser rievocò la storia del popolo tedesco dalle più antiche testimonianze
rintracciabili nelle opere di Cesare e Tacito. Sostenne che ogni popolo ha un’individualità
storica originale, ogni popolo aspirava all'onore politico nei rapporti con gli altri, e lo
difendeva con le sue attitudini militari.
Il medioevo si presentava dunque come un'epoca storica di riferimento per la coscienza
nazionale tedesca. L'indagine sulle peculiarità del popolo tedesco non avevano ancora
implicazioni nazionaliste e spesso si accompagnavano ad una convinta rivendicazione
dell'inserimento della Germania nella civiltà europea.
Novalis esaltò l'epoca che aveva preceduto la riforma protestante, in cui tutta l'Europa era
stata un'unica comunità spirituale.
Schiller presenta il medioevo come epoca in cui la libertà era stata, sia pure in forme
tumultuose e disordinate, il fondamento della società.
Schlegel teorizza una periodizzazione della storia universale in sette epoche, il centro delle
quali stava il medioevo, caratterizzato come epoca di ordine e serenità spirituale.
Raumer ravvisava nell'epoca degli imperatori Svevi un glorioso momento di affermazione
del popolo tedesco in Europa, come portatore di una civiltà originale universale.
Ranke affermò il principio che solo attraverso l'uso diretto delle testimonianze coeve si
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potevano ottenere conoscenze storiche oggettive, che dovevano essere genuine e
cronologicamente vicine agli eventi. Istituì dunque una gerarchia di valore fra le fonti,
attribuendo per esempio maggiore attendibilità ai documenti ufficiali emessi da organismi
istituzionali, rispetto ai testi di cronaca e ai documenti letterali. La narrazione storica
risultante da essa costituiva un riflesso fedele della realtà storica.
Romanticismo e medioevo in Francia
I romanzi di Walter Scott, sebbene attribuissero ai personaggi medievali sentimenti che essi
non potevano avere, influenzarono gli stessi studiosi di storia, proponendo l'immagine di
un'epoca fatta di sentimenti e grandi tensioni. In Francia nel periodo della restaurazione si
formò l'idea di medioevo come età di fede religiosa rassicurante e pacificatrice. La
percezione storica del medioevo non avvenne solo all'insegna dell'evasione. Nei casi più
significativi essa fu animata da problematiche politiche sociali suscitate dall'osservazione
del mondo contemporaneo.
Henri de Saint-Simon, vedeva nella sovrapposizione delle razze e nelle stratificazione di
politiche medievali la prima configurazione dei problemi sociali della storia europea.
Il romanticismo italiano
Il Italia la riflessione sul medioevo del primo '800 ebbe un promotore di prim'ordine in
Alessandro Manzoni, le sue tragedie, erano ambientate in momenti altamente problematici
della storia medievale italiana.
In Italia, a differenza della Francia, non esisteva una stato da mettere al centro della storia
nazionale, e si cercarono i grandi momenti della storia.
La storiografia del positivismo
La storiografia si preferisse la conoscenza oggettiva del passato, sperando di poter
conseguire la stessa certezza che si attribuiva alle scienze della natura.
La storia e scienze sociali in Francia e in Italia
Nel 1876 venne fondata la "Revue Historique" diretta da Gabriel Monod, col programma di
favorire una ricerca storica che superasse il carattere personale mistico e ideologico della
storiografia precedente. Secondo il metodo propugnato dalla rivista, lo storico doveva
lavorare rigorosamente sui dati ricavati dall'esame diretto delle fonti; doveva documentare
ogni sua affermazione con una citazione; doveva essere completamente immune da
pregiudizi filosofici e politici per assumere, nei confronti dei personaggi e delle situazioni,
l'atteggiamento del giudice imparziale. Lo scopo dichiarato era di pervenire alla
ricostruzione della verità storica intesa come sequenza dei dati di fatto; la finalità più
generale era quella di ampliare e arricchire la conoscenza della storia nazionale.
Il momenti fondamentali del lavoro dello storico dovevano essere:
- reperimento della documentazione, limitata peraltro ai soli documenti scritti;
- vaglio della sua genuinità e della sua qualità;
- selezione, ordinamento e confronto delle informazioni in vista di stabilire i fatti, e
successivamente questi potevano essere messe in relazione tra loro per ricostruire situazioni
più generali come le condizioni naturali, le relazioni sociali, le istituzioni politiche.
La valutazione ed l'interpretazione dei risultati, la ricerca dei significati generali e delle
situazioni statiche erano guardate con diffidenza come elementi di turbamento della
attendibilità della conoscenza. L'età medievale conservò un ruolo saliente della cultura
ufficiale, visto che si continuava a vedere in essa, soprattutto nell'età dei comuni,
l'espressione del genio nazionale, che emergeva soprattutto negli studi di storia letteraria,
impostata come indagine sulla tradizione nazionale da Giosuè Carducci e Francesco de
Sanctis.
La storiografia nel '900
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Nella prima metà del '900 continuò a essere largamente praticata la storia narrativa, riferita
prevalentemente alle vicende politiche e fondata sulla minuziosa e costruzioni dei fatti;
eventi personaggi, movimenti, devono essere posti nel loro contesto per comprendere a
fondo l'intima ragione. Lo stoicismo poi diede rilievo a contesti d'ordine morale, politico,
religioso e sviluppò lo studio delle idee come elemento importante di comprensione e
connotazione del passato.
Nell'autunno del medioevo (1919) dello storico e pensatore olandese Johan Huizinga, si
descrisse la civiltà tardo-medievale in Fiandra e della Francia settentrionale come
l'espressione di uno stato d'animo, la consapevolezza di star vivendo un'epoca di crepuscolo.

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Il problema della periodizzazione

L'unità e la varietà nell'epoca medievale


La periodizzazione presuppone la formulazione di un vero e proprio giudizio storico, cioè
l'identificazione di alcune caratteristiche essenziali riscontrate in modo durevole per periodi
di tempo abbastanza lunghi, con un rilievo tale da diventare fattore di individuazione
rispetto ad altri periodi in cui quelle stesse caratteristiche sono assenti o meno significative.
Per quel che riguarda i limiti cronologici del periodo, dagli umanisti italiani fino alla
sistemazione scolastica di Keller, sono solo indicati l'inizio e la fine in relazione a vicende
della civiltà o a eventi politici ritenuti decisivi.
Non è più possibile indicare una data precisa per l'inizio e la fine del medioevo.
L'inizio del medioevo si può collocare in un periodo di almeno tre secoli, dal IV al VII, in
cui si verificavano successivamente:
- l’istituzionalizzazione del cristianesimo, con la sua integrazione nell'impero romano e
l'organizzazione della chiesa ufficiale;
- le invasioni barbariche, con la costituzione di una società mista germanico-romana, nei
territori nell'impero;
- la fine del sistema economico imperiale, caratterizzato dal controllo statale sulla
produzione e dall'integrazione tra diverse provincie affacciate sul mediterraneo.
Questo periodo non presenta ancora i caratteri propri del medioevo; esso entra per gran parte
nell’antichità, che oggi viene definita tarda antichità.
L'anno 476, che tradizionalmente è stato assunto come data simbolo della fine dell'antico,
non ha in questa prospettiva, grande significato. La deposizione di un imperatore fantoccio
non comporta mutamenti traumatici nelle situazioni politiche, quell’evento non ebbe
particolare risonanza tra i contemporanei, che semmai avvertirono una cesura storica ideale
negli anni intorno alla metà del V secolo, quando si consumò la separazione morale politica
della parte orientale dell'impero da quella occidentale e divenne concreta la prospettiva
dell'inarrestabile dilagare dei barbari, con il sacco di Roma compiuto dai Vandali nel 452.
Per delineare il mutare dell'epoca si dovranno prendere in considerazione, prima ancora
delle invenzioni tecnologiche e delle scoperte geografiche avvenute nel '400, i prolungati
squilibri socio-economici determinati nella società europea, e una crisi demografica avviata
già nei primi decenni del '300 e maturata sino al '400 inoltrato, e da una lunga serie di crisi
economiche. Si devono aggiungere la perdita di prestigio delle istituzioni su cui erano
fondate, nei secoli precedenti, l'organizzazione politica e la coesione sociale, il papato,
l'impero, la nobiltà cavalleresca e la diffusa aspirazione a nuovi valori religiosi, etici e a
nuovi criteri di verità.
La trasformazione fu assai meno radicale di quella che diede inizio al medioevo. Il sistema
sociale e quello culturale mutarono, ma non furono sovvertiti; molti aspetti sia in campo
economico che politico evolvono con continuità tra medioevo e la prima età moderna: le
istituzioni statali si sviluppano senza rilevanti discontinuità tra la fine del '200 e gli inizi del
'500; il sistema economico fondato sull'equilibrio tra attività agraria e il capitalismo
commerciale alimentato da una produzione manifatturiera concentrata in aree geografiche
ristrette, mantiene i suoi caratteri fondamentali immutati, nonostante le ripetute crisi
settoriali.
La prima parte del medioevo, detta alto medioevo, caratterizzato dall'insediamento dei
germani nel territorio dell'impero romano, dal predominio dei ceti militari, dall'economia
signorile e dalle prime sintesi culturali e istituzionali fra tradizioni germaniche cristiane e
romane, appare segnata da una sua originale identità fatta di caratteri propri.
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Gli ultimi secoli del medioevo, determinati dalla complessa articolazione della società, si
distingueva ormai in ordini di classi diverse e spesso contrapposte, nella crisi dell'unità
cattolica, sia sotto il profilo ecclesiastico che sotto quello culturale, nella depressione
economica. I secoli in cui queste caratteristiche si manifestarono sono per lo più dalla
seconda metà del '300 fino al '400, e vennero complessivamente riuniti sotto l'indicazione di
tardo o basso medioevo.
Restava però un consistente gruppo di secoli, pressappoco dal XI e per certi aspetti già dal
X, fino a circa la metà del XIII in cui le preminenti caratteristiche storiche non potevano
essere completamente assimilate né dall'uno che dall'altro periodo.
Si registra la comparsa di nuovi tipi sociali dal mercante al chierico; il XII secolo si presenta
come momento in cui il medioevo esprime una civiltà originale, considerato come il primo
a Rinascimento della storia europea. È dunque invalsa la consuetudine di considerare il
corso del medioevo articolato in tre fasi; nella storiografia tedesca e inglese esse vengono
abitualmente indicate come il primo medioevo, alto medioevo, tardo medioevo. In italiano si
sono conservate le indicazioni alto e basso medioevo per i due periodi estremi mentre per la
parte centrale non si è ancora affermata una designazione sintetica: la storiografia italiana di
fine '800 aveva caratterizzato questi secoli come età comunale, ma questa definizione non
può essere estesa a tutta la storia europea. Anche in francese manca una designazione
consolidata per i secoli centrali del medioevo.
Il medioevo e la storia europea
La civiltà medievale è compiuta in se stessa, né deve essere giustificata in quanto premessa
di altre più mature esperienze. Si deve tener presente che il medioevo è comunque un
periodo storico che ha senso esclusivamente riferito alla vicenda storica europea.
Il concetto conserva qualche legittimità quando è applicato a società, come quella araba, che
furono tra i protagonisti dei rapporti di scambio con l’Europa nel periodo medievale, fermo
restando che in quel mondo le esperienze vissute nei secoli corrispondente al medioevo
europeo furono fondamentali per la configurazione di una nuova civiltà, tra l'altro
completamente differente da quella occidentale.

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Qualche tema generale per qualificare il medioevo

Cristianesimo e chiesa
Il medioevo viene spesso definito l'età della fede; il medioevo sarebbe stato un'epoca di
incertezza di coerenza spirituale, le concezioni cristiane sulla creazione, il peccato, la
redenzione resa possibile dal sacrificio di Cristo e la salvezza ultraterrena come fine
supremo di ogni attività e ogni istituzione umana, costituirono i riferimenti essenziali della
vita intellettuale e morale dell'epoca medievale.
L'influenza del cristianesimo fu ancor più profonda nel campo dell'educazione morale e
sentimentale.
La pratica religiosa, la vita della chiesa, tutto ciò che aveva attinenza con l'esercizio della
vita cristiana e il conseguimento della salvezza, furono materie di continue, preoccupate
verifiche e persino di conflitti, che rendono la storia del cristianesimo medievale tormentata
e spesso drammatica.
La pratica del monachesimo fu una risposta indicativa nella adozione di regole di vita
particolari creando le giuste condizioni per realizzare la vocazione cristiana.
Le fonti e i materiali istituzionali della vita monastica variavano col tempo, abbandonando
gli aspetti esteriori dell’ascesi per dare risalto all'atteggiamento interiore di penitenza, ma
rimase a lungo viva la concezione che il mondo non consentiva di praticare una vita
veramente cristiana.
Nella tradizione cristiana la pratica delle virtù spirituali non è da sola sufficiente alla
salvezza: un complemento indispensabile è costituito dai sacramenti, possano essere
impartiti solo da persone che hanno ricevuto una particolare consacrazione grazie alla quale
diventano mediatori dello Spirito. Su questo fondamento si è costituita nella Chiesa cristiana
la specializzazione del clero, un corpo di consacrati che uniscono la funzione di predicare a
quella di impartire i sacramenti, in forza di essa esercitano anche un autorità sui fedeli,
sanzionata dalla facoltà di escludere gli empi dai sacramenti stessi. La funzione
sacramentale del clero costituì però un fattore di turbamento per la cristianità medievale. Ci
si interroga sulle condizioni che rendono un sacerdote capace di impartire validamente i
sacramenti. Si giunse anche a mettere in discussione la necessità della mediazione
ecclesiastica. Posizioni estreme giunsero a negare la funzione dei sacramenti per la salvezza
del credente.
La Chiesa, condannò come eretiche queste dottrine e perseguita i loro seguaci.
Il sistema dottrinale basato sulla fede fu soggetto a incertezze e inquietudini. Quando quella
più larga circolazione dell'informazione culturale si diffuse in un complesso di concezioni
risalenti alla filosofia greca, riguardanti la natura, il mondo, l'uomo, che finivano per
configurare un sistema di interpretazione dell'universo alternativo a quello cristiano, si
affermò il problema dell'uso di tali conoscenze. La Chiesa compì uno sforzo poderoso per
assorbirli nella propria dottrina, cristianizzandole. Tuttavia esse conservarono il loro
carattere eteronomo e la loro suggestione per la speculazione filosofica e scientifica dando
luogo in molti casi alle singole dottrine della doppia verità, una fondata sulla ragione, l'altra
sulla fede, visto che non c'era un espediente per sfuggire alle responsabilità del pensiero, ma
l'affermazione e l'esigenza di due sistemi di conoscenza paralleli, inconciliabili e egualmente
validi, che peraltro metteva in crisi l'unità della coscienza cristiana.
Il medioevo fu caratterizzato dalla continua tormentata ricerca dei modi di realizzare la vita
cristiana, senza però approdare a una conclusione definitiva, cioè definendo delle soluzioni
istituzionali soddisfacenti.
Il potere e i suoi limiti
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Il medioevo è stato un'epoca in cui la società europea ha cercato le possibilità ed i limiti del
potere, sperimentando proposte alternative che sono tuttora alla base della cultura politica
occidentale. Nella versione tardo imperiale, il potere politico istituzionale si presenta come
un apparato autonomo nel corpo della società; legislazione, giurisdizione, burocrazia sono
tutte nelle mani dell'imperatore da cui dipende ogni funzione statale, mentre i cittadini sono
costretti nella posizione di sudditi e senza capacità di interferire con la gestione del potere.
Per di più, l'autorità imperiale è considerata sacra, sia nell’età pagana che in quella cristiana.
La tradizione germanica invece era fondata sull'idea della sovranità popolare, esercitata
collettivamente da tutti gli uomini liberi attraverso l'assemblea. Essi affidavano ad un re
elettivo i poteri di guida essenzialmente militari, soggetti a verifica di efficacia e ai limiti di
esercizio. Appena i regni barbarici si consolidarono nel territorio romano il funzionamento
dell'assemblea divenne difficile e venne sostituita da un più ristretto gruppo di capi militari
e titolari giurisdizionali, mentre i re tendevano ad imitare i caratteri dell'autorità imperiale.
Uno dei fondamentali principi che furono assorbiti fu l’idea che il potere derivasse
direttamente da Dio, ed è pertanto indipendente dal consenso dei soggetti. L’unzione, che
cominciò ad essere impartita ai sovrani alla metà della VIII secolo, venne considerata come
una sorta di sacramento che li metteva al di sopra di tutti i membri della società politica. Se
la loro autorità era legittimata dalla grazia trasmessa dal sacramento, ne derivava che la
Chiesa doveva esercitare su di loro un controllo. Questo si espresse inizialmente nella
richiesta che essi si conformassero a precisi modelli di virtù per essere degni della loro
funzione. In caso contrario potevano essere soggetti, come ogni altro cristiano, alla sanzione
spirituale. Nell’età carolingia questa fu la versione ecclesiastica del diritto di controllo
esercitato sull'autorità politica; il controllo era esercitato non dal corpo dello stato, ma dal
clero come ordine autonomo, mediatore tra il re e il popolo.
Forme nuove di autorità regia si affermarono nel XII secolo e si presentarono come poteri
autoritari. Alcuni sovrani come Enrico II d'Inghilterra, Federico Barbarossa o Ruggero II di
Sicilia non riconoscevano né il controllo del clero né il patto con la feudalità. In questa
concezione, il re aveva la capacità di istituire la legge, si teorizzò che il sovrano era la legge
animata, cioè l'incarnazione del principio stesso del diritto e come tale sciolto dalle
conseguenze di esso .
Sul piano pratico le limitazioni del potere regio e il diritto di controllo ebbero attuazione
politica e costituzionale soprattutto nel regno d'Inghilterra. Vi si affermò infatti il principio
che la sovranità spettava alla comunitas regni, formata dal re, dai baroni laici ed ecclesiastici
ed al popolo congiuntamente titolari interessi e diritti politici.
In altri regni europei non si giunse ad analoghe limitazioni strutturali del potere regio, ma
teorici politici del '300, affermarono che lo stato era costituito dalla collettività dei cittadini,
ciascuno dei quali era titolare di diritti e di doveri; agli ordini privilegiati e allo stesso clero
non era riconosciuta alcuna prerogativa politica; la Chiesa era priva di competenze nella vita
dello stato. Alla fine del medioevo si formulò dunque una dottrina della sovranità popolare,
anche se essa non ebbe attuazione pratica.
Le nazioni
L'antichità classica non conobbe formazioni analoghe; in particolare l'impero romano,
assorbì e fuse le diversità etniche e culturali in un unico organismo universale.
Nel medioevo vanno dunque cercate ragioni e significato della struttura nazionale
dell'Europa. D'altra parte l'idea moderna di nazione si è configurata in versioni antitetiche e
ha assunto espressioni che ancora oggi conservano una forte attualità: nazione come gruppo
umano caratterizzato da un'esperienza storica propria, ma in rapporto di comunicazione e
scambio con gli altri analoghi gruppi, o nazione come gruppo umano chiuso,
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tendenzialmente ostile agli altri e più o meno esplicitamente convinto di essere l'unico vero
depositario dei connotati fondamentali dell'umanità.
Ciascuna popolazione germanica si considerava un popolo scelto, superiore agli altri, anzi,
come l'unico gruppo di veri uomini, in cui vigevano dignità e rapporti di diritto. Si riteneva
che tutti i loro componimenti discendessero da una progenitore comune e fossero quindi
consanguigni. In culture ancora pagane, l’antenato era per lo più immaginato come un
semidio. L'origine divina e remota veniva attribuita anche alle leggi. L’idea di nazione
potrebbe essere un eredità barbarica consolidata attraverso il medioevo.
Nella cultura romantica ottocentesca si lasciò cadere l’idea dei legami di sangue tra
connazionali pur conservando quella che la nazione fosse comunque un corpo organico
originario, caratterizzato da un proprio spirito che si esprime nelle tradizioni popolari; la
nazione veniva dunque concepita come la dimensione spirituale organica entro la quale
potevano armoniosamente esplicarsi l'azione e la moralità dell'individuo.
I franchi assimilarono almeno in parte la popolazione gallo-romana, i longobardi
periodicamente liberavano gli schiavi per ingrossare i ranghi del popolo. Fu la
stabilizzazione di questi processi nel mondo barbarico, che non si ebbe prima della
sistemazione carolingia, che favorì l'assestamento dei popoli entro territori determinati e
pose fine alla mutevolezza delle formazioni statali.
In Francia la figura del re fu consacrata facendo di San Dionigi il patrono speciale della
monarchia, dando credito a miracoli che venivano in occasione della consacrazione regia; il
re stesso venne ritenuto capace di compiere particolari miracoli. La monarchia francese
venne considerata erede e continuatrice della tradizione di Carlo Magno e della sua lotta
contro gli infedeli. I racconti dei giullari, e le prediche degli ecclesiastici, le lettere regie,
furono gli strumenti con cui queste idee furono divulgate nei domini regi. Si assicurò che
tutti sudditi del re godevano come lui della protezione di San Dionigi e condividevano
l'onore della monarchia.
Questa qualificazione politico-ideologica fu lo strumento per identificare un popolo e farne
un gruppo nazionale.
La solidarietà storica diveniva più significativa della solidarietà di sangue.
Il ciclo demografico
L’inizio dell'età medievale coincide con la drastica riduzione della popolazione. Molte città
si estinguono, dovunque le foreste del terre incolte avanzano. Successivamente la
popolazione cominciò letteralmente a crescere. Continuò ad aumentare fino alla seconda
metà del XIII secolo, quando si stima che essa fosse quasi raddoppiata rispetto alle prime
fasi di espansione e raggiunse approssimativamente i 70 milioni di abitanti. A questo livello
si mantenne per qualche decennio, tornando poi a diminuire. A metà del XIV secolo il calo
fu drammaticamente accelerato dalla grande epidemia di peste del 1348, che sembra abbia
causato la scomparsa di quasi un terzo della popolazione europea. La popolazione stentò a
riguadagnare le perdite, e anzi in alcune regioni continuò a decrescere. Solo nei decenni
centrali del '400 lentamente la tendenza mutò, dando inizio a un nuovo ciclo espansivo, che
riguarda ormai la storia dell'Europa moderna.
Il ciclo demografico è articolato in tre fasi: depressione, espansione e depressione. E si
constata facilmente che la storia demografica della popolazione corrisponda a quella dei
fenomeni economici e culturali del corso del medioevo. I due periodi di minimo
demografico sono accompagnati da ricorrenti epidemie di peste; le due grandi epoche di
pestilenza furono contrassegnate da crisi egualmente gravi e ricorrenti di carestia. I flagelli
sono connessi fra loro: la carestia indebolisce la resistenza biologica della popolazione,
favorendo il diffondersi dell'epidemia; queste a loro volta dissestano l’organizzazione
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sociale e produttiva, determinando nuove carestie. Si è perciò preso in considerazione anche
la possibilità che all'origine delle crisi vi sia stato un deterioramento economico soprattutto
della produzione agraria. L’inizio e la fine del medioevo avrebbero corrisposto a due fasi di
peggioramento climatico, caratterizzate da raffreddamento della temperatura e aumento
della piovosità, che avrebbero provocato dissesto del territorio e indebolimento biologico
della specie umana. Invece tra il X e il XIII secolo le condizioni climatiche sarebbero state
favorevoli grazie a una moderata piovosità e all'aumento della temperatura che rese perfino
possibile la coltivazione della vite in Inghilterra e del grano in Groenlandia.
Europa
Furono gli esponenti delle culture barbariche cristianizzate ad usare il termine per definire
non solo un continente, ma un insieme di popoli che all'interno di essa condivideva qualche
importante connotato culturale. Il monaco irlandese Colombano, verso l'anno 600, volendo
disegnare il complesso delle chiese istituite nei regni barbarici occidentali, legati alla
venerazione per San Pietro e per il Papa suo successore, parlò delle chiesa di Europa tutta,
preferendo questo inquadramento al riferimento all'occidente, la cui accezione classica non
comprendeva proprio i popoli nuovi, esterni all'impero.
Questo uso di Europa ebbe successo: nel VII e VIII secolo ricorre per disegnare l'area
continentale cristianizzata in cui si estendeva l'egemonia dei Franchi.
Questa particolare accezione del termine, torna negli appellativi di padre, vertice e faro
d’Europa con cui venne salutato Carlo Magno, prima che la sua fisionomia venisse definita
con una l'attribuzione del titolo imperiale di tradizione antica e mediterranea.
L'Europa era una totalità formata da parti distinte. Essa si esprime nell'interpretazione data
dalla cultura barbarica a un mito che si trova nella bibbia, precisamente quelle dei tre figli di
Noè che dopo il diluvio si sarebbero diretti in diverse parti del mondo ripopolandole con la
loro discendenza. I dotti delle chiese barbariche attribuirono il ripopolamento dell'Europa a
Iafet. Una cronaca composta verso l'anno 700 elencava 20 generazioni della discendenza di
Iafet, al termine delle quali ponevano 11 personaggi che portavano i nomi delle principali
popolazioni barbariche, più un Romanus e un Brito, che integravano anche i popoli di stirpe
non germanica della famiglia delle popolazioni europee.
Il mito del progenitore comune cui la cultura barbarica ricorse spesso per fondare l’idea
della coesione di un popolo, vale qui a esprimere l’affinità tra i diversi popoli che
costituivano l'Europa del tempo; la ramificazione della discendenza confermava però, e a
suo modo spiegava, l'autonomia e l'individualità di ciascuno di loro.
Dopo il X secolo l'uso di Europa con questo significato sembra cessare, e il termine
recuperare il puro valore di parte geografica del mondo.
Il ricordo di Carlo Magno contribuiva per parte sua a tener viva la consapevolezza
dell'organizzazione politica di quella comunità: si ricordava che egli aveva dominato sui
segni d’Europa. Europa è una comunità di popoli che hanno tradizioni e caratteri comuni,
ma anche individualità proprie e piena autonomia politica; questa comunità non coincide
con i limiti del continente definiti dalla geografia antica.

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LE FONTI DELLA STORIA MEDIEVALE

Le fonti della conoscenza storica

Una teoria delle fonti


La storia si fa con le fonti. Manca infatti ai libri moderni la qualità di testimonianza
prossima alle circostanze a cui si riferiscono, che è la connotazione essenziale di qualsiasi
fonte storica. Testimonianza prossima vuol dire non soltanto cronologicamente vicina alle
circostanze di cui informa, ma anche in grado di essere a sua volta informata nel modo più
diretto possibile.
Occorre determinare la capacità di informare inserita nella fonte, cioè riconoscere la natura
delle informazioni che essa può fornire in grado di completezza e di attendibilità di esse.
Nell '800, quando si mise a punto una metodologia storica oggettiva, che mirava ad
accertare la realtà degli eventi e la configurazione giuridica delle relazioni istituzionali, ci si
preoccupò di verificare l'attendibilità delle informazioni esplicite. Atti ufficiali e documenti
di natura legale parvero più attendibili dei resoconti cronistici e delle memorie private più
esposte all’alterazione, volontaria e involontaria.
La critica delle fonti andò ad individuare le falsificazioni dei documenti legali, la
mistificazione in quelli cronistici, perché ci si accorse presto che molti documenti erano
stati falsificati, che molti testi destinati all'informazione dei contemporanei e dei posteri
alternavano le notizie secondo gli interessi degli autori.
Si era da tempo compreso che un documento falso, riconosciuto per tale, è comunque una
fonte genuina attendibile su se stesso, cioè sul fatto che in determinate circostanze qualcuno
volle produrre una documentazione falsa. La falsificazione dunque è testimonianza genuina
di un fatto e di una circostanza realmente accaduti, anche se non di quelli che pretende di
documentare. Ma anche una cronaca tendenziosa o fantasiosa è testimonianza importante
sulle idee e le tendenze del suo autore. La fonte scritta non vale solo per ciò che vuol dire,
ma anche perciò che trasmette senza volere e senza averne consapevolezza, una larghissima
parte di esse, anzi un primario e consapevole fine informativo soprattutto quelle che hanno
carattere di monumento.
Monumento va inteso qui in senso assai ampio: vi rientrano tanto l'effigie celebrativa di un
personaggio pubblico quanto il grande edificio comunitario e le semplice commemorazioni
funerarie dei privati. D'altra parte anche in un monumento archeologico vi sono
informazioni che i costruttori non ne erano interessante fornire: ad esempio sulle tecniche di
costruzione, sulla circolazione dei modelli formali, sulla provenienza delle materie prime.
Ugualmente ricco di informazioni originali preziose è l'aspetto materiale della
documentazione di natura giuridica, trasmessa sia in originale o in copia.
La fisionomia materiale dei documenti conservati in originale rivela anche le operazioni,
spesso lunghe e complesse di redazione e convalida dei testi. Forma materiale e condizioni
di trasmissione sono dunque aspetti della documentazione scritta che costituiscono parte
integrante della sua capacità informativa.
La tipologia delle fonti
Fonti scritte:
- Fonti narrative: comprendono tutte le testimonianze che riferiscono di eventi storici in
forma espositiva con un intenzionale fine di conservare o trasmettere un ricordo. Per
esempio: annali, storie, storie universali, in cui veniva fatta l'esposizione generale dei fatti
del passato e nel presente, biografie, memoriali, panegerici.
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- Fonti documentali: rientrano in questa categoria i documenti di natura giuridica: diplomi,
privilegi, bolle, accordi e contratti.
- Fonti legislative e normative: rientrano nella categoria non sono le codificazioni organiche
di leggi promulgate dai sovrani medievali o dagli statuti dei comuni, ma anche testi
normativi e dispositivi prodotti nell'esercizio corrente del governo.
- Fonti giudiziarie, amministrative e fiscali: la tipologia di queste fonti è molto varia e solo
per comodità esse possono essere raccolte in una sola categoria: i deliberati dei tribunali, i
mandati dei sovrani e i censimenti fiscali; ma anche elenchi di nomi o libri di memorie,
codici in cui erano registrati i nomi di persone che si affidavano la preghiera dei monaci per
la salvezza spirituale e liste di defunti da commemorare nelle messe in occasione
dell'anniversario della morte; i libri di matricola degli iscritti ad arti e confraternite degli
stati e degli studenti universitari.
- Corrispondenza privata e ufficiale: raccolte di lettere perlopiù inviate da persone di alto
livello sociale e culturale.
- Fonti agiografiche: sono le vite dei santi in genere, le testimonianze relative alla loro
memoria e al loro culto.
- Fonti liturgiche: sono costituite essenzialmente da testi in cui erano registrate le letture e le
preghiere.
- Fonti letterarie e dottrinali: tutti testi che recano un contributo essenziale alla
ricostituzione della civiltà medievale. L'uso che se ne può fare della ricostruzione
propriamente storica è per lo più indiretta e riguarda soprattutto gli atteggiamenti della
mentalità, del costume, della cultura impliciti in essi, indipendentemente dalla finalità
artistica o dottrinale e perseguita dall'autore, che è oggetto di analisi specialistica.
Fonti materiali
- Fonti archeologiche: sono costituite da tutti i manufatti suscettibili di misurazione,
numerazione, di valutazione tecnologica e di interpretazione in riferimento ai bisogni della
vita di individui e gruppi sociali. I corredi depositi delle tombe barbariche le attrezzature
domestiche, i residui di attività produttive, le abitazioni e gli insediamenti e gli edifici
monumentali.
- Fonti numismatiche: sono costituite essenzialmente dalle monete metalliche coniate nel
medioevo.
- Sigilli e stemmi.
- Epigrafi: sono innanzitutto una comunicazione verbale, vennero frequentemente apposte
sulle sepolture, oppure su edifici monumentali per celebrare la loro costruzione e loro
promotore.
- Fonti artistiche: l'opera d'arte e soprattutto pittorica, costituisce spesso un'illustrazione di
ambienti, costumi, arredi, che possono documentare la realtà quotidiana o al contrario
mondo ideale dell'epoca in cui venne realizzata.

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La scrittura della storia nel medioevo

Il medioevo e la cultura storica


Scrivere storia fu un bisogno fortemente avvertito per tutto il medioevo.
La storiografia medievale cercò di rendere ragione e dare senso agli eventi, studiò il ruolo
dell'individuo, del caso e della fortuna e propose soluzioni diverse al problema dei rapporti
tra la volontà degli uomini e quella di Dio nello svolgimento della storia.
Autori, forme, pubblico
- L'origine della storiografia medievale è segnata dallo scritto di Paolo Orosio Le storie
contro i pagani. Esse esordivano con l'origine del mondo e giungevano all'epoca dell'autore.
A Orosio interessava mettere in evidenza il senso della storia umana ed investigare in che
misura la tradizione pagana che quella cristiana potevano conciliarsi.
Il successo dell'opera fu enorme e durevole; per tutto il medioevo, almeno fino al tempo di
Dante, le storie di Orosio costituirono un manuale su cui si appresero la storia antica e la
sua interpretazione cristiana.
- I primi testi che raccontano storie sull'età barbarica è La storia dei goti scritta dal
senatore romano Cassidoro e la Storia o origine dei goti del vescovo spagnolo Isidoro di
Siviglia.
Il carattere comune di queste storie è la presentazione del dominio barbarico come fattore
positivo di riorganizzazione politica delle diverse province d'occidente. A seguire troviamo
le opere storiografiche Paolo Diacono, questi aveva una preparazione culturale e capacità
letterarie molto superiori a quelle del suoi predecessori barbarici. I temi trattati erano le
gesta guerresche e le virtù dei re del popolo longobardo dalla migrazione fino al culmine
del suo dominio in Italia, espresse non come egemonia sugli altri popoli, ma nell'eroica
difesa della sovranità nazionale.
- Durante l'epoca carolingia l'uso delle registrazioni annalistiche diede luogo a una forma
di scrittura storica legata all'attualità, gli annali. I monasteri tennero memoria della vicenda
politica del regno franco in cui erano coinvolti. Si trattava di una forma di scrittura storica
che non richiedeva attitudini letterarie evolute, poteva essere aggiornata continuamente,
anche da più cronisti, ed essere corretta e arricchita anche a posteriori. I monasteri si
scambiavano notizie, ma gli stessi testi annalistici circolavano e venivano confrontati e
integrati tra loro dando luogo a famiglie di annali che riportavano informazioni sempre più
ricche e complesse. Carlo Magno volle che una registrazione annalistica delle vicende del
regno fosse tenuta nella stessa corte.
Le lotte politiche intorno e dentro la famiglia imperiale crearono il bisogno di narrare,
commentare, interpretare uomini e eventi . Un genere che venne ripetutamente impiegato
per questo fu la biografia.
Per quanto riguarda le sedi vescovili esisteva un modello prestigioso di memorie dei
vescovi nel libro dei pontefici della chiesa romana, una serie di brevi biografie dei papi a
partire da San Pietro, messe insieme nella sesto secolo, sulla base di preesistenti cataloghi,
poi continuamente aggiornata con le vite dei papi successivi, che venivano redatte poco
dopo la loro morte elencando le realizzazioni salienti sia in campo pastorale che in campo
politico. Nell'età carolingia la storiografia appare strettamente legata all'attualità politica.
- I decenni che seguono la fine dell'impero carolingio sono assai poveri di scritture,
vennero proseguite alcune storie di vescovadi e monasteri già iniziate nell'epoca precedente.
Più raramente ne furono iniziate di nuove.
- In Germania la seconda metà del X secolo è contrassegnata da una fioritura di scritti
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storici originali, hanno un riferimento comune nella dinastia regia e imperiale di Sassonia.
Una storia di Ottone e dei suoi antenati della monaca Rosvita, figura pressoché unica
nell'alto medioevo, di donna letterata che scrisse con riferimento alle vicende politiche, e
una vita dell'arcivescovo di Colonia Brunone, fratello di Ottone I. Lo scopo di queste opere
è la celebrazione della dinastia regnante e contemporaneamente del popolo sassone.
- Fuori dall'impero, nella seconda metà del XI secolo prende consistenza una nuova
produzione storiografica, collegata l'affermazione dei grandi principati feudali in cui le
dinastie regnanti avvertirono opportunità di tenere memoria dell'origine della famiglia, dei
rapporti tra i suoi diversi rami, dei apparentati contratti, del fondamento dei poteri esercitati
delle imprese dei loro membri.
Un altro genere di scrittura storica legata al mondo feudale compare alla fine del XI secolo,
in relazione con la prima crociata. Molti partecipanti all'impresa trasmisero notizie
epistolari sugli eventi in corso. Successivamente, alcuni di loro scrissero resoconti di tuta la
spedizione. Questi testi hanno carattere memorialistico.
- Il XII secolo è stato descritto come il secolo della storia; la scrittura della storia ebbe
grande sviluppo in tutta l'Europa, sia per i dotti monaci che per lo stesso imperatore, la
storia universale aveva non solo un valore di conoscenza, ma anche di riflessione sulla
tradizione dell'impero tedesco e sul suo ruolo nella vicenda dell'umanità.
L’indagine sul passato divenne così lo strumento per riscattare la dignità di un popolo,
accettando un equilibrato confronto con le tradizioni dei conquistatori.
L’importanza del pubblico laico nella genesi di queste opere è confermato dal fatto che i
verso la metà del secolo la materia storica venne riversata in poemi in volgare, usualmente
in una variante del francese antico che ha designato come anglo-normanno, destinati
probabilmente ad essere recitati.
Il gusto per la storia romanzata in lingua volgare è documentato peraltro nello stesso
periodo anche in Germania.
Il XII secolo praticò anche la narrazione storica degli eventi contemporanei, biografie dei
sovrani scritte sovente mentre essi erano ancora in vita e destinate a mettere in luce gli
aspetti originari della loro personalità e le forme consuete ed efficaci del loro governo.
Tutte queste opere presentano figure di sovrani idealizzati.
Invece una fondamentale caratteristica di tutta la storiografia comunale italiana del XII
secolo è il fatto che gli autori furono laici anziché ecclesiastici, per lo più esponenti del ceto
di governo comunale, dotati di cultura giuridica e letteraria.
- La storiografia universale duecentesca tese ad allargare e sistemare razionalmente le
conoscenze, sia nell'ambito della storia antica che di quella recente contemporanea, si tornò
agli autori che costituivano le fonti della storia antica, integrando la storia profana con
quella sacra. Gli scrittori di storia si preoccupavano non solo di citare accuratamente, nel
corso dell'esposizione, le fonti delle notizie, ma di attribuire ad ognuna i brani che
riportavano e di distinguere con opportuni accorgimenti i loro propri interventi. Inoltre la
storia è assunta come materia formativa nell'ordinamento degli studi universitari, teologici,
letterari, giuridici, e come tale venne coltivata soprattutto dai domenicani, che avevano un
ruolo di rilievo nell'insegnamento.
- È in Italia che la storiografia laica ebbe il suo maggior sviluppo nel corso del 200. La
concezione della narrazione storica divenne più complessa; il suo rapporto con le strutture
politiche più organico; le stesse forme letterarie si rinnovarono e diversificarono. Nel
mondo comunale duecentesco venne sostanzialmente abbandonata la celebrazione epica di
eventi eccezionali, a vantaggio di esposizioni sistematiche che partendo dalla registrazione
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annalistica locale la esponevano puntando a presentare organiche storie di singole città,
intese come soggetti morali e politici, dalla loro fondazione fino al presente.
I notai figurano frequentemente come autori delle scritture storiche dell'Italia duecentesca.
Gli autori dotati di una formazione che comprendeva anche una certa cultura letteraria, si
posero problema di scegliere lo stile più opportuno, individuandolo talvolta in una forma
piena, facilmente comprensibile a un pubblico vasto, tra l'altro in un tono elevato, consono
alla natura dei fatti alla qualità dei personaggi.
Federico II non promosse la redazione di cronache ufficiali, forse perché l'imperatore
preferiva altri strumenti di informazione e propaganda.
Negli ultimi anni del 200, anche in Italia la storiografia cittadina cominciò a utilizzare
volgare.
- Nel '300 gli autori sono normalmente laici o esponenti degli ordini mendicanti; i generi
storiografici tradizionali sono ignorati o trasformati e nuove forme prendono consistenza in
relazione alle intenzioni dell'autore e alle finalità dell'opera; la lingua, soprattutto negli
autori laici, è normalmente quella parlata.
Memorie private di altro genere sono i libri di famiglia o i libri di ricordanze, che nel '300
divengono frequenti soprattutto a Firenze. Oltre alle notizie biografiche sui membri della
famiglia, alle informazioni sugli affari e sulla gestione del patrimonio, vi si trovano anche
notizie sulla partecipazione alla vita pubblica e soprattutto sui criteri di gestione della
famiglia che costituiscono una testimonianza di prim'ordine sulla vita sociale dell'epoca.
Nel '300 i testi infatti si moltiplicano.
L'utilizzazione delle storie medievali
Questo excursus sulla storiografia medievale può far comprendere quanto sia stata varia e
versatile la produzione di opere storiche nel corso di questi secoli, esso conferma che restò
sempre vivo l'interesse per la storia, intesa sia come registrazione e commento degli eventi
correnti, sia come indagine e riflessione sul passato.
Inoltre c'è da dire che gli storici medievali si impegnavano nella ricerca delle notizie da
riversare nelle loro opere, assicurandosi che esse provenissero da fonti bene informate e
legittime.

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La documentazione giuridica

Un'altra grande categoria di testimonianze medievali riguarda i diritti giuridici goduti da


enti e persone, caratteristico, è che ogni volta che si pone in essere o si modifica un diritto
legalmente definito e protetto, ci si preoccupa di lasciarne una testimonianza formale
attraverso la quale sia possibile tutelare l'esercizio del diritto e difenderlo in caso di
contestazione. I germani che invasero l'impero romano fondavano il pacifico godimento di
un diritto sul fatto che esso fosse stato acquisito davanti all'assemblea di liberi, che ne
prendeva atto e lo garantiva in rappresentanza di tutto il popolo.
Dopo la parentesi barbarica si ristabilì nel corso del medioevo, l’impiego dell’atto scritto
come forma basilare di documentazione giuridica.
Gli atti pubblici
Per definizione gli unici veri titolari dell'autorità pubblica sono gli imperatori e i re. In senso
stretto dunque solo gli atti degli imperatori e dei re dovrebbero essere considerati atti
pubblici. Tuttavia vengono fatti rientrare in questa categoria anche i documenti emanati da
altre autorità la cui fisionomia è meno chiaramente definibile in base al diritto pubblico
moderno. Ad esempio hanno fisionomia di atti pubblici i documenti papali, anche se riferiti
alla giurisdizione spirituale ed ecclesiastica e non a quella temporale. Un atto pubblico
doveva rispondere a vari requisiti. Esso doveva definire il diritto che istituiva e al contempo
doveva costituire la testimonianza autentica della sua esistenza.
La stesura materiale degli atti era fatta da notarii e cancellarii; il referendario controllava il
testo finito, lo faceva sottoscrivere dal re e lo completava sottoscrivendolo lui stesso.
I nuovi sovrani, fin da Pipino il breve, si servirono esclusivamente di ecclesiastici per
stendere i loro atti e affidarono uno di loro la guida e la responsabilità di tutto il servizio.
Causa di queste innovazioni furono probabilmente il declino delle istituzioni laiche. I
sovrani Carolingi erano analfabeti ed avevano perciò bisogno di un fiduciario che
controllasse per loro il lavoro degli scribi e dei notai. A partire da Ludovico il Pio,
l’ecclesiastico posto a capo del servizio di redazione degli atti imperiali divenne un
personaggi influente della corte, spesso scelto dall'imperatore stesso.
L’arcicancelliere non partecipava direttamente all'allestimento degli atti. Egli era piuttosto il
capo politico che il capo tecnico del servizio. Questa seconda funzione veniva esercitata da
un notaio che soprintendeva all'attività degli altri notai. L’arcicancelliere era normalmente
un arcivescovo, era un personaggio politico di altissimo rango, collaboratore diretto del
sovrano, i cui rapporti di servizio con la cancelleria si allontanarono sempre di più, almeno
fino all'epoca di Federico Barbarossa, quando gli arcicancellieri dell'impero ripresero per
qualche tempo la direzione della cancelleria. Suo diretto subordinato era il cancelliere, che
era il vero capo operativo della cancelleria; anch’egli ecclesiastico, proveniente spesso da
una carriera interna. Questi risiedeva a corte e riceveva istruzioni tanto dall’arcicancelliere
quanto dal sovrano. Era lui il custode del sigillo con cui si autenticavano gli atti. Dal
cancelliere dipendevano i notai, il cui compito consisteva soprattutto nel preparare il testo
secondo opportune forme letterarie e giuridiche; essi potevano poi redigerlo materialmente
oppure passare o dettare la minuta a uno scriba che provvedeva a stendere la atto in forma
compiuta. A partire dal XII secolo, compaiono funzioni specializzate come quella della
registrator (addetto alla registrazione degli atti) e del sigillator (addetto all’applicazione del
sigillo). A partire dal XIII secolo soprattutto nel XIV, anche le cancellerie regie di Francia e
Inghilterra articolarono comunque le funzioni e impiegarono un maggior numero di addetti ,
sempre più frequentemente reclutati tra i laici esperti di diritto.
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Nell'antichità era stato normale usare fogli di papiro; ancora agli atti di re Merovingi erano
scritti sul papiro, che però doveva essere importato dalle regioni di produzione,
principalmente l’Egitto. Quando i collegamenti commerciali divennero difficoltosi,
rendendo costoso incerto l'approvvigionamento, si diffuse l'uso della pergamena. Essa
aveva il vantaggio di poter essere prodotta ovunque e divenne perciò l'unico supporto
utilizzato nel medioevo.
La pergamena fronteggiò bene anche la diffusione della carta, importata in occidente verso
l'XI secolo, ma a lungo considerata troppo deperibile per i fini della documentazione.
La scrittura utilizzata negli atti pubblici medievali non solo era tracciata con particolare
regolarità ed eleganza, per conferire al documento un’apparenza ricercata e solenne, ma era
solitamente completato con segni grafici o annessi che avevano la funzione di convalidare
l'autenticità e rialzarne il decoro.
Caratteristico è il monogramma, una figura formata delle lettere che componevano il nome
dell'autorità emanante, collegate tra loro non in successione lineare, ma in modo da formare
una specie di cifra araldica. Il monogramma, che nella tarda antichità era usato anche dai
privati, ad esempio come marchio di proprietà sugli oggetti preziosi, venne adottato come
segno di autenticazione dei loro atti e restò poi in uso per tutto il medioevo. Un altro segno
della stessa natura era la rota, che figura nei documenti papali a partire da 1049, e che
consisteva, come dice il nome, in un doppio cerchio all'interno del quale una croce spartisce
quattro campi nei quali erano iscritti i nomi degli apostoli Pietro e Paolo e quelli del Papa
regnante. Complemento essenziale del documento era il sigillo che corredava gli atti delle
autorità pubbliche. Esso poteva essere di cera o di metallo (in questo secondo caso era
strettamente di piombo; assai più raramente d'oro) e poteva essere applicato direttamente
sulla pergamena oppure appeso mediante una cordicella di canapa o di seta.
I sigilli presentarono un'enorme varietà d’immagini. Essi raffiguravano solitamente
l’autorità emanante nella sua veste ufficiale, con tutte le insegne del suo stato. Perciò la
figura, se il sigillo aveva una figura, era estremamente curata e controllata giacché ogni
dettaglio aveva un significato simbolico.
Il testo veniva a redatto seguendo norme che miravano a conferire autenticità e solennità:
Invocatio, si apre con un'invocazione alla divinità;
Intitulatio, segue l'indicazione del nome e dei titoli dell’autorità che emana il documento;
Inscriptio, seguiva l'indicazione del destinatario;
Salutatio, un'espressione di saluto completava la parte iniziale del documento.
Anche il testo è articolato in parti che risponderanno a un’ordinata presentazione delle
circostanze:
Arenga o preambolo, costituita da una sentenza di natura religiosa, morale, giuridica, che
evidenziava l'opportunità, il significato, i meriti caratteristici della concessione sovrana
Promulgatio o notificatio, un'espressione di pubblicazione, la quale introduce la narratio
Dispositio o dispositivo, verbo deliberativo come ordiniamo, doniamo, concediamo.
Il testo del documento si conclude con una formula di sanzione, minacciando pene spirituali
e temporali per il trasgressori e i violatori.
L’atto era datato solitamente facendo riferimento agli anni di regno dell'autorità emanante,
calcolati dal giorno d’accesso al potere. L'uso di far riferimento agli anni dell'era cristiana
non era molto diffuso. Dalle formule di datazione, si ricavano notizie sulle residenze e sugli
spostamenti dei sovrani, grazie alle quali è possibile controllare i dati offerti dalle fonti
cronistiche, ma anche ricostruire l'organizzazione dei domini regi, l'esistenza di palazzi
pubblici, il tracciato delle strade lungo il quale avvenivano gli spostamenti.
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L'atto privato
La proprietà che può esser venduta, acquistata, donata, ceduta in uso a titolo gratuito o
oneroso, o trasmessa in eredità; è importante distinguere se l'atto scritto è una semplice
memoria del negozio avvenuto oppure se ha la forza di prova, cioè fonda e testimonia di per
sé l'esistenza del diritto di cui tratta. In questo secondo caso l'atto privato assumeva validità
pubblica, impegna cioè la società a riconosce i diritti che esso documenta e l'autorità
costituita a tutelari.
Le amministrazioni pubbliche, furono autorizzate a ricevere gli atti stipulati tra privati,
conservarli e trarne all'occorrenza copie autentiche dotate di validità pubblica. Era una
procedura costosa, che non veniva sempre eseguita, ma che aveva vantaggi evidenti e
veniva menzionata nell'atto stesso quando era compiuta. Essa venne abbandonata con la
crisi delle istituzioni romane. Anche sotto il dominio dei barbari, la società romana,
mantenne nei limiti in cui fosse necessario e possibile, le proprie usanze documentarie.
La redazione delle carte avveniva nel modo più semplice. Lo scrivano registrava la volontà
delle parti addirittura in forma di discorso diretto. Una volta steso il testo, lo consegnava
alle parti interessate, è evidente perciò che l'atto era esposto a rischi, di perdita, di
sottrazione, ma anche di alterazione fraudolenta. Sembra che in certe occasioni per dare
autenticità e validità pubblica al contenuto di un atto si ricorresse l'espediente di far
presentare le parti in un tribunale, il giudice riconosceva il diritto in questione e dava ordine
allo scriba del tribunale di stendere un verbale che faceva fede su esso. Questa macchinosa
procedura sarebbe stata in seguito sostituita da una semplice dichiarazione resa dalle parti
davanti al giudice.
Nel corso del X e XI secolo vennero maturando nuovi criteri di autenticazione e
pubblicazione dell'atto privato compilato in determinate condizioni. Il notaio scriveva
direttamente sul suo registro i dati essenziali dell'atto: luogo, data, l'identità delle parti,
termini del negozio, esponendo il negozio in forma oggettiva, secondo i termini del diritto.
A richiesta degli interessati, potevano essere ricavati redazioni estese, in forma più o meno
completa, a seconda delle esigenze della spesa.
Nelle città comunali i notai costituirono un'influente corporazione; il corso al notaio si
diffuse enormemente nella società italiana del tardo medioevo; al notaio sia presentavano
persone di tutti i ceti per far registrare i negozi di ogni genere: oltre ai transazioni mobiliari,
anche accordi commerciali, prestiti finanziari, locazioni agrarie, affitti di case, patti di
matrimoni, testamenti, emancipazione dei figli maschi, promesse nella più vana natura.
L'atto era normalmente scritto su fogli di pergamena. La carta non trova impiego come
materiale dei documenti notarili che nell'età moderna. I notai usavano anche scrittura
regolare e leggibile che conferiva prestigio e attendibilità all'atto. Accanto al nome al loro
nome complicati segni grafici servivano al riconoscimento ed all’autenticazione. Per quanto
riguarda il testo, esso presentava la stessa articolazione degli atti pubblici. Anche il
documento notarile offre, oltre informazioni sulla propria struttura e genesi, sulle pratiche
scrittorie e i quadri culturali in cui è stato redatto, una vastissima quantità di informazioni:
genesi, composizione, estensione e sfruttamento dei patrimoni fondiari di enti e persone;
sfruttamento del suolo, culture agrarie, patti colonici; caratteristiche degli abitati e delle
abitazioni; toponimi, che conservano tracce della stratificazione dell'insediamento, della
natura e dell'uso del suolo, della cultura della società locale in (ad esempio dei culti
religiosi); l'organizzazione istituzionale del territorio; degli atti menzionano spesso le
circoscrizioni politico - amministrative o ecclesiastiche e in alcuni si trovano le persone o
luoghi ricordati nell'atto; composizione della popolazione, attraverso l’identificazione della
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qualifica professionale, della provenienza, della nazionalità, della condizione giuridica, di
uno o più intervenienti all'alto; antroponimi (cioè nomi di persone, con tutti i loro significati
culturali), soprannome, cognomi; strutture familiari: genealogie, patrimoni, strategie
matrimoniali, rapporti giuridici ed economici tra coniugi e tra genitori e figli;
notizie biografiche, esistenza in vita, patrimoni, resistenze, collegamenti sociali
i mezzi di pagamento, sistemi monetari, spesso menzionati negli atti, cui misura di valore
dei beni o registrazione di pagamenti avvenuti o promessi in connessione con l'atto;
alfabetizzazione dei partecipanti all'atto, che può esser valutata constatando la loro capacità
di sottoscrivere di propria mano e la loro abilità nel fare.
La storia politica può essere illuminata dagli aspetti privati; perché per molto tempo fu
consuetudine datare facendo riferimento agli anni di regno di sovrani riconosciuti nel luogo,
attraverso le trattazioni si può individuare l'orientamento politico delle diverse regioni e
località, i non rari casi di conflitto tra più pretendenti al potere sovrano, o in quelle di
incertezza istituzionale. Ma prendono consistenza e significato solo quando sono ricavate da
un rilevante numero di atti.

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LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO ANTICO E L'INIZIO DEL MEDIOEVO

Il mondo ellenistico-romano e la diffusione del Cristianesimo

L'idea di Medioevo nasce con l'Umanesimo italiano tra il XIV e il XV secolo, innescando
delle polemiche giunte fino al '700, e prima tra tutte fu la polemica sull'operato della
Chiesa.
Durante l'età romantica il Medioevo fu in un certo senso rivalutato, ed inteso come periodo
ricco di sentimento, irrazionalità e di fede religiosa.
Lo storico Ranke, conservando il carattere romantico della storia, aggiunse che è importante
ricostruire i fatti così come sono realmente accaduti e che una fonte è tanto più attendibile
quanto più vicina ai fatti (positivismo dell'800).
In Italia chi si dedicò alla storiografia medievale è Benedetto Croce, superando la
concezione positivistica e affermando che lo storico deve rappresentare la realtà sulla base
delle sue intenzioni.
Nel corso del '900 con l'irrazionalismo, il Medioevo assunse le caratterisctiche di una civiltà
al tramonto, epoca di crepuscolo, durante la quale si cercava rifugio nei riti religiosi,
realizzando una vera evasione dalla realtà.
Les annales (corrente storiografica del XX secolo) faceva confluire in essa lo studio di
diverse discipline, metttendo a confronto diversi aspetti della storia.

Periodizzazione del Medioevo


(età intermedia tra Antichità ed età Moderna)
- 1° periodo: sec IV-VI detto Tarda Antichità o Autunno del Mondo Antico.
Le principali risorse dell'Impero Romano si dissolvono, anche se il fenomeno non si
manifesta in maniera omogenea, infatti in Italia non ci furono grandi sconvolgimenti fino
all'arrivo dei Longobardi; invece in Francia e in Spagna l'arrivo dei Germani attivò presto
una collaborazione. Completamente diversa fu la situazione per i Balcani, più volte
devastata dai barbari, fino a perdere ogni traccia della civiltà romana.
Il cristianesimo prende piede e si organizza attraverso i Concili Ecumenici.
- 2° periodo: secolo VIII-X detto Alto Medioevo, la vita delle popolazioni è completamente
sconvolta dall'arrivo dei Normanni, Ungari e Saraceni, e si perde del tutto l'organizzazione
delle città romane. Si costituiscono i rapporti feudali, che diventeranno la base
dell'economia medievale; all'interno delle corti si cerca di effettuare una sintesi tra
tradizioni germaniche, romane e cristiane.
- 3°periodo: secolo XI-XIII, detto pieno Medioevo, la civiltà ha preso una nuova e completa
fisionomia sotto tutti i punti di vista, quindi sia politico che culturale.
- 4° periodo: secolo XIV-XV, detto tardo Medioevo, si registra una nuova crisi
demografica-economica; si formulano nuovi modelli culturali, è un tempo di
trasformazione, si abbandona del tutto l'idea di supremazia dell'impero e del papato.

Il Medioevo fu un'età profondamente religiosa, e la novità assoluta fu la collaborazione tra


autorità politica e autorità papale.
Paradossalmente tale unione fu rafforzata dallo stile di vita germanico, che se pur lontano
dalle gerarchie romane e dal cristianesimo, erano organizzati in clan, quindi dominati da un
forte spirito comunitario. Nacque una vera organizzazione sociale: il quartiere tenuto unito
dalla parrocchia, con a capo un parroco, quindi confraterite religiose e clan familiari
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entrarono in collaborazione. Poi c'erano le arti o corporazioni, che accomunavano quelli
che facevano lo stesso mestiere con forte solidarietà. La cattedrale divenne segno di
assoluta appartenenza cittadina, alla quale si affiancava il palazzo pubblico e la piazza
antistante, luogo di incontri e di importanti manifestazioni.
In questo periodo la presenza dello Stato era molto leggera, tutte le pratiche (religiose,
economiche, politiche) venivano svolte con accordi tra famiglie.
In seguito alle invasioni degli indoeuropei si crearono organismi politici simili all'Impero
Romano:
- la Persia, conquistata da Alessandro Magno nel 331 a.C., passò sotto il dominio dei Parti,
che fondarono un potente impero, travolto nel 470 dagli Unni;
- in India, gli Ariani costituirono una grande civiltà agricola;
- lo stesso accadde in Cina, già organizzata con un grande impero da 2000 anni prima di
Cristo; nel 246 a.C. fu costituito un nuovo impero dal cosiddetto Cesare Cinese, che per
salvaguardare il territorio dalle incursioni barbare fece costruire la Grande Muraglia (215
a.C.).

Le
invasio
ni
indoeur
opee si
esapans
ero su
tutti i
fronti,
fino poi
a
fondersi
con le
popolaz
ioni
latine.
Come i
cinesi
anche i romani cercarono di fronteggiarle con delimitazioni territoriali, sia di tipo naturale
(corsi di fiumi) o costruendo limitanei, l'opera maggiore è il Vallo di Adriano in Britannia
(122/127 d.C.).
L'Impero Romano era delineato territorialmene dai limes, al di fuori dei quali i Germani si
spostavano ed erano organizzati in clan, all'interno c'erano invece le città romane. Esse si
basavano sull'esempio greco assimilato in seguiro alle conquiste di Macedonia, Egitto e
Siria. La città romana non aveva mura, il centro era detto urbs; la campagna era suddivisa a
forme geometriche lungo gli assi principali urbani (cardo e decumano); la zona tra il centro
e la campagna era detto suburbio.
Tra il I e il II sec d.C. si registra una fioritura della cultura, ed entrano in crisi le varie
religioni politeistiche.
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Prima del Cristianesimo (VI sec.) nell'impero si erano diffuse altre religioni monoteistiche,
tra cui ricordiamo il Culto di Cibele e quello del dio Mitra.
L'organizzazione sacerdotale gerarchica sposava quella politica e sociale dell'impero,
creando un connubio perfetto, che in seguito prenderà sviluppi notevoli.
Il primo punto di riferimento per le comunità cristiane fu Paolo di Tarso, detto l'Apostolo
delle genti. Gli abitanti delle campagne spesso rimasero fuori dalla nuova influenza
religiosa, da qui il termine pagano, cioè contadino.
Prima dell'accettazione totale, i cristiani subirono molte persecuzioni, la diffidenza non era
di tipo religioso, ma politico, infatti si temeva che essi, come gli ebrei, si potessero ribellare
all'impero. Inoltre tra il II e il III secolo si registrò una forte crisi dovuta dalla crescente
popolazione, dall'abbandono delle campagne, dalle invasioni dei Germani, portando
all'inflazione della moneta e all'aumento dei prezzi.
L'imperatore che riuscì ad evitare lo sfascio totale fu Diocleziano nel 284, adottando vari
provvedimeni:
- fu proibita la mobilità ai contadini, artigiani e commercianti;
- furono fissati prezzi e salari;
- fu divisa l'autorità imperiale, 2 Augusti e 2 Cesari;
- si proclamò quasi come un dio, e per questo il Cristianesimo era visto come elemento di
disturbo per la pace, e da qui ebbero inizio le persecuzioni.
Il suo successore, Costantino, invece intuì che in questa religione poteva esserci una forza
unificatrice, così rese il culto della religione libero e ridiede i beni confiscati alla Chiesa
cristiana; le adesioni furono rapide e numerose.
A questo punto Essa doveva organizzarsi, così fu creato un ordinamento ecclesiastico.

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L'Occidente romano-germanico

Il mito della razza pura dei Germani è presente nell'opera di Tacito del 98 d.C (Germania),
nella quale si promuoveva già l'idea che i Germani fossero nativi proprio delle regioni che
occupavano. Tale posizione si diffuse sempre di più fino a formulare quel nazionalismo
tedesco che poi ha preso pienamente forma alla fine del 1700. In realtà tali presupposti sono
del tutto infondati in quanto si è attestato dagli ultimi studi che la civiltà germanica si formò
lentamente e solo in seguito alle espansioni dei popoli indoeuropei dell'Europa del nord.
Individuiamo tre grandi fazioni germaniche:
- quella settentrionale
- quella orientale
- quella occidentale
Dopo che Cesare conquistò definitivamente la Gallia, Romani e Germani si fronteggiarono,
stando a stretto contatto, sulle rive del Reno, che segnava il confine dell'impero. Questo è
valso fino al 406, quando i Germani penetrarono dentro i confini, prendendo piede fino alle
terre del Mediterraneo.
C'è da dire che, oltre ai violenti scontri, tra i due popoli si realizzarono significativi
momenti di scambi, sia commerciali che culturali, vale a dire sui metodi di coltivazione e
lavorazione dei metalli. Tali informazioni ci sono ben note dalla documentazione di due
grandi opere: il De Bello Gallico di Cesare (51 a.C) e da Germania di Tacito (98 d.C).
I Germani erano dediti alla caccia e alla guerra, praticavano l'agricoltura con metodi
primitivi, per questo le terre in poco tempo diventavano sterili ed erano costretti a spostarsi
continuamente; l'unica ricchezza che conservavano era il bestiame.
L'autorità riconosciuta dal popolo era solo il duce, capo militare e valoroso guerriero, che
trasmetteva la sua potenza eriditariamente.
I duces avevano maggiore potere solo in tempo di guerra, mentre tutto il resto del popolo
era ritenuto alla pari, senza alcuna distinzione sociale. Proprio per lo stretto contatto con la
civiltà romana, ricca di rigide regole gerarchiche, cominciarono a costituirsi anche tra i
guerrieri germanici i primi gruppi, con ognuno un suo capo scelto, e non più semplici
gruppi di clan legati dal solo vincolo di parentela.
Una delle popolazioni germaniche che ha più risentito dell'influenza delle tradizioni esterne
furono i Goti, i quali partiti dalla Scandinavia migrarono verso il nord del mar Nero, e in
questo spostamento, a causa delle varie inglobazioni, essi mutarono completamente, sia dal
punto di vista religioso, sia sulla struttura sociale, che sul modo di combattere, delineando
quelli che poi furono i Germani Orientali.
Intanto sul fronte occidentale i Germani penetravano sempre di più nei confini romani,
infatti essi divennero fondamentali per l'impero sia nel reclutamento dell'esercito, che per il
ripopolameno delle regioni confinanti; e fu in tal modo, a partire dal III sec., che cominciò
l'ascesa dei barbari all'interno della società romana.
Così facendo in un primo momento l'Impero riuscì a fronteggiare la grande crisi,
accogliendo lungo i confini tribù di Franchi, Alemanni e Burgundi, e respingendo invece
le pressioni dei Goti lungo il Danubio (269).
Si visse un periodo di moderato equilibrio tra il mondo barbaro e l'impero romano, ma che
fu sconvolto con l'arrivo degli Unni. Essi erano l'insieme di ragguppamenti di più popoli
mongolo-turchi, che si spingevano verso occidente, e che lungo il percorso inglobarono a
loro gli Alani, gli Ostrogoti e i Visigoti, fino ad ottenere di potersi stanziare in Tracia, dove
si sostanziavano con i tributi dei popoli locali. Ma la quiete durò poco, vista la ribellione
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degli abitanti e i continui saccheggi dei barbari ai loro danni. Così ebbe inizio una vera e
propria guerra che si concluse nel 378 ai danni dell'esercito romano, e la morte
dell'imperatore Valente.
La situazione si ristabilì solo successivamente grazie al generale e futuro imperatore
Teodosio, il quale riformulò gli accordi con i Visigoti, facendoli trasferire nelle zone
dell'Illirico.
Con Teodosio si recuperò una certa stabilità e si cercò di riunificare l'Occidente e l'Oriente
dell'Impero, ma i suoi sforzi furono inutili, poichè alla sua morte, i territori furono
definitivamente divisi dai suoi due figli, Onorio e Arcadio.
Il primo fu messo a capo dell'Impero d'Occidente, sotto la guida del generale vandalo
Stilicone, con sede a Milano; al secondo gli fu dato l'Oriente, sotto la guida del goto Rufino,
con sede a Costantinopoli.
In entrambi i casi la compresenza di generali barbari al potere rappresentava un'apertura
verso le popolazioni germaniche. Tale scelta non fu ben accetta da tutte le famiglie
senatorie, innescando varie correnti anti-germaniche.
Intanto Stilicone continuava a governare in Occidente sulla stessa linea politica di Teodosio,
ma perse il controllo quando i Visigoti ripresero le pressioni a causa degli Unni, e della
stessa Costantinopoli, che cercava di liberarsene spingendoli verso ovest; così nel 406,
durante la notte di San Silvestro il confine del Reno fu superato dai Vandali, Alani e Svevi
per dirigersi verso la Gallia e la Spagna.
Tra queste ostilità Stilicone, abbandonato dallo stesso imperatore Onorio, cadde vittima del
partito anti-germanico, e i Visigoti capeggiati da Alarico, approfittando di tale squilibrio
politico, attaccarono l'Italia e il 24 agosto del 410 entrarono a Roma dalla Porta Salaria,
saccheggiandola per tre giorni.
Tale evento tragico fu un vero shock per il popolo romano, scatenando timore e
pessimismo.
Alla morte di Alarico i Visigoti risalirono l'Italia e ottennero di essere riconosciuti come
federati in Aquitania. Lo stesso accadde anche per gli altri popoli barbari (Vandali, Franchi,
Alani, Burgundi) i quali usufruirono tutti dell'hospitalis, cioè del diritto di impadronirsi di
un terzo delle terre dei proprietari locali.
Queste popolazioni ormai avevano sfaldato l'intero Impero Romano d'Occidente,
combattevano guerra tra di loro in piena autonomia, così come nel caso dei Vandali, che
sconfitti dai Visigoti in Spagna, si spostarono nel 429, comandati del re Germanico, sulle
coste dell'Africa, dirigendosi verso Cartagine. Qui ottennero di essere riconosciuti come
federati dell'Impero, anche se proseguirono le loro razzie per tutto il Mediterraneo,
impadronendosi della Corsica, della Sardegna e delle Baleari.
Intanto a nord in Britannia, dove i contingenti armati si erano ritirati, cominciarono nuove
invasioni, da parte di Angli, Sassoni e Juti, costringendo i Celti a spostarsi verso la
Cornovaglia e i Britanni ad oltreppassare la Manica, per stanziarsi in Francia nord-
occidentale.
L'autorità dell'Impero Romano d'Occidente ormai valeva solo nei confini dell'Italia e di
poche altre regioni confinanti. Dopo la morte di Stilicone, si pensò, così come era già
accaduto in Oriente, di cacciare i Germani dai vertici dello Stato, però presto si capì che ciò
non era più possibile, e che per tenere ancora in vita quel che restava dell'impero bisognava
collaborare con loro.
Tale politica fu pienamente adottata da Ezio, generale romano, che si servì dei germani per
combattere contro gli Unni, che stavolta avevano ripreso le pressioni verso la Gallia e
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minacciavano di entrare in Italia. Anche se in un primo momento furono fermati presso
Troyes, riuscirono ad oltrepassare il confine attraversando il Friuli, distruggendo Aquileia,
e costringendo gli abitanti a rifugiarsi sulla laguna (quella che poi sarà Venezia).
La marcia si arrestò sul Mincio, dove Attila incontrò papa Leone I, in qualità di
ambasciatore di Valentiniano III, imperatore d'Oriente. Probabilmente Attila si fermò per la
paura che Costantinopoli attaccasse i suoi domini, troppo estesi da poter controllare.
Nel 454 Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano, il quale dopo un anno fu punito a morte
dai seguaci di Ezio; così entrabi le fazioni dell'impero rimasero allo sbaraglio, dando spazio
alla successione di vari governatori barbari, tra i quali si distinsero lo svevo Ricimero e lo
sciro Odoacre.
Nonostante tutto l'assetto sociale dell'Italia, fondato su una solida aristocrazia senatoria,
resistette ai vari colpi, e decise di sostenere Odoacre, il quale quando cedette molte terre ai
vari popoli barbari, che lo avevano scelto come loro re, poichè vedevano in lui la figura
capace di conciliare le vecchie classi sociali con le potenze armate barbare, rinunciò al titolo
imperiale, proclamandosi solo Patrizio di Costantinopoli. Odoacre fu poi sostituito da
Teodorico, che continuò sulla stessa linea, cosìchè l'aristocrazia e l'episcopato gli furono
subito d'appoggio.
Questi portò con sè tutto il suo popolo (100/125000 Ostrogoti) realizzando la coesistenza di
due civiltà diverse, regolati da leggi diverse.
I Romani furono completamente esclusi dall'esercito, ma erano i soli a presiedere
all'apparato politico-amministrativo.
Il fatto di avere due ordinamenti giuridici distinti all'interno di uno stesso territorio era detto
personalità del diritto, e cioè la possibilità per un gruppo etnico di vivere secondo le
proprie leggi, anche all'interno di un altro Stato. Teodorico cercò di tenere ben distinte le
due comunità, infatti si rifece ad una vecchia legge che impediva i matrimoni misti; questo
si spiega anche con il fatto che egli fosse un fedelissimo sostenitore dell'Arianesimo, così
tutto il popolo rimase molto legato alle sue tradizioni, alle conzioni di vita e al tipo di
abitazione. C'è da dire però che Teodorico, oltre ad avere la volontà di mantenere viva e
salda la formazione e tradizione germanica, nutriva anche una forte ammirazione per la
cultura romana, della quale egli si proclamava custode e propagatore, avviando anche una
serie di restauri e nuove costruzioni per risollevare l'immagine e l'economia dello Stato.
Ma il suo operato fu ben presto frenato, a causa sia dei dissidi che nacquero con il re dei
Franchi Clovodeo, e sia dell'intesa nata tra il papa e l'imperatore d'Oriente, i quali decisero
di adottare provvedimenti molto rigidi per tutti gli eretici, e poichè egli stesso, come tutto il
popolo dei Goti continuava a seguire l'arianesimo, divenne uno dei primi bersagli.
Ormai la potenza dei Goti in Italia era in forte decadenza e raggiunse il culmine con la
morte di Teodorico nel 526. Di questo approfittò l'imperatore Giustiniano, che aveva
intenzione di riconquistare la parte d'Occidente.
Spostando lo sguardo sull'operato dei barbari al di fuori dell'Italia, troviamo:
- Il dramma dei Vandali in Africa, i quali oltre alle invasioni per la conquista delle terre,
avviarono una serie di persecuzioni e confische ai danni della Chiesa cattolica; furono
fermati solo dall'espansionismo di Giustiniano nel 533/4, che li sconfisse definitivamente.
• I Visigoti, che continuando con le loro razzie, giunsero a comprendere nella seconda
metà del V sec. la Gallia meridionale e parte della penisola iberica; a frenare la loro voglia
espansionistica furono però i Franchi, che li costrinsero a chiudersi solo nelle terre
dell'Iberia, dove inglobarono a loro il regno degli Svevi. Qui s'incorporarono bene
all'aristocrazia locale, modificando le loro abitudini barbare e stipulando per la prima volta
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un registro di leggi valide per entrambi i popoli, avviando un ordinamento giuridico di tipo
territoriale non più nazionale.

Questa fu un'originale
forma di
collaborazione, anche
se inizialmente
segnata da molte
contrapposizioni,
come ad esempio
l'elezione del re, che
fu caratterizzata da
una serie di
compromessi e dalla
mediazione
dell'episcopato. Tali
accordi venivano
sanciti
periodicamente
durante i Concili di
Toledo, fino ad
arrivare nel 589,
quando l'intero popolo dei Visigoti si convertì al cattolicesimo.
Tale equilibrio permise di vivere in concordia e stabilità, e ciò fu possibile fino al 711, data
di rivoluzione a causa dell'invasione araba. Nella stessa trappola stavano cadendo anche i
vicini Franchi, ma questi però furono capaci di fermare l'onda araba nel 732 a Poitiers.
I Franchi a differenza dei Visigoti mantennero un aspetto molto frammentario, anche se a
partire dal 482 il re Clodoveo inglobò definitivamente i vari gruppi sotto il suo dominio,
dando origine alla potenza della dinastia Merovingia.
I suoi successi espansionistici, che lo portarono a dominare l'intera Gallia e alcuni territori
al di là del Reno, furono possibili grazie alla collaborazione con l'aristocrazia locale e con
l'episcopato cattolico, portando i Franchi, prima ancora dei Visigoti, alla conversione.
Ciò portò ad un accellerato avvicinamento delle due popolazioni e alla formazione di un
vero e proprio stato, con a capo un ceto dirigente misto, quindi alla luce di una fusione
totale sotto tutti gli aspetti.
Alla morte di Clodoveo il regno fu diviso in quattro parti tra i figli, che con il tempo
comportò una forte distinzione: la Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Tale
prvvedimento non fece bene allo Stato, che si trovò in mezzo a guerre fratricide ed
espansionistiche.
La stabilità si ritrovò solo nell'VIII sec. grazie alla politica salda e unitaria di Pipino il
Breve.
In seguito agli sviluppi che si sono verificati dopo le invasioni barbariche del IV-V sec. ai
danni di quello che una volta era l'Impero Romano d'Occidente, è facile trovare parecchi
punti in comune tra i vari popoli che hanno preso piede:
- la struttura gerarchizzata della società romana ha prevalso e modificato la loro
organizzazione;
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- i contadini favorivano l'entrata dei barbari e cercavano rifugio presso di essi;
- fondamentale fu il rapporto con i vescovi, i quali si mostrarono innanzittutto come
conservatori della cultura romano-ellenistica, e con i quali i Germanici furono costretti ad
instaurare una pacifica convivenza. Infatti liddove i barbari accettarono la conversione
furono enormemente appoggiati dall'episcopato nelle loro lotte espansionistiche, al
contrario nei casi in cui non accettarono un simile scambio, non riuscirono a mettere in atto
nessuno Stato.
La Chiesa in tal senso assunse un ruolo essenziale di coordinamento, diventando in seguito
alla dissoluzione dell'istituzione scolastica, l'unico tramite della cultura.

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L'Oriente romano-bizantino e slavo

Mentre in Occidente si consumava la fusione tra le civiltà germaniche e qualla romana, in


Oriente la situazione era del tutto differente.
L'impero di Costantinopoli seppe mantenere una forte resistenza alle invasioni e in più
rafforzò la sua potenza sulle frontiere.
Ciò che differiva tra le due fazioni dell'antico Impero era uno sviluppo diverso sia
dell'economia che della struttura sociale.
Infatti in Oriente non esisteva quel sistema latifondista e quel potere dell'aristocrazia che
aveva dominato la parte occidentale, ma la gestione stava nelle mani dei ceti mercantili, sia
dell'economia che delle più grandi e popolose città.
L'acesso al Senato non era consentito solo ad una piccola cerchia, ma a tutti coloro che
emergevano, da qualsiasi ceto provenissero; tutto ciò consentì allo Stato una maggiore
libertà di azione. Inoltre fondamentale furono il controllo che il governò riuscì ad esercitare
sulla Chiesa, il rafforzamento della flotta e la costituzione di un esercito molto forte.
Le sorti dello Stato bizantino hanno inizio l'11 maggio del 330, giorno in cui Costantino
inagurò la capitale sul Bosforo, dandole il suo nome, Costantinopoli, ideata come un vero
monumento a sè stesso.
Il successo arrivò poi subito dopo con il figlio Costanzo II (337-361) che la trasformò nella
prima concorrente di Roma. D'altra parte sul fronte occidentale la situazione non era per
nulla stabile, la capitale veniva spostata da una città all'altra, fino a quando nel 404 fu decisa
Ravenna da Onorio, per la sua posizione sicura contro gli attacchi militari dei barbari.
Nonostante ciò nessuna delle città occidentali godeva della stessa sicurezza e degli stessi
servizi che offriva Costantinopoli. Infatti qui fu istituito un Senato e un'annona civica per la
distribuzione del grano alla popolazione, venivano allestiti giochi nel circo (politica del
panem et circenses), fu costruito un ippodromo. Intanto la figura del sovrano assumeva
sempre più valore, quasi da essere sacralizzata, visto che da lui dipendevano le sorti della
Chiesa e i Concili Ecumenici.
L'Oriente aveva ormai assunto una fisionomia del tutto autonoma, e ancora di più lo
permise la divisione definitiva del potere alla morte di Teodosio, tra i figli Arcadio e Onorio
nel 395.
Un altro grande punto di distacco fu la gestione delle invasioni: mentre in Occidente si
esercitò una politica di incorporazione dei barbari, prima nell'esercito e poi nei ceti
dirigenti, l'Oriente si mostrò fin da subito diffidente a qualsiasi tipo di apertura,
estrommettendo i Germani da ogni carica, e ancora di più spingendo verso ovest ogni
pressione dei popoli barbari.
Questo permise allo Stato bizantino di concentrarsi, e quindi solidificarsi, sulle questioni
interne:
- la rivolta degli Isauri, popolo di sudditi, che subirono una deportazione di massa;
- gli scontri religiosi, tra il Monofisismo e la Chiesa di Roma, la quale veniva accusata di
non aver condannato durate il Concilio di Calcedonia nel 451 la dottrina di Nestorio.
Giustiniano cercò di placare i dissidi, soprattutto al fine di realizzare la sua idea di riportare
l'Oriente e l'Occidente sotto un unico potere, ed emanò l'Editto dei Tre Capitoli, ma
ottenne tutt'altro risultato, infatti oltre allo scontento dei Monofisiti si aggiunse una totale
rottura con i vescovi, e papa Virgilio accettò l'editto solo in seguito alla sua deportazione a
Costantinopoli, provocando un vero scisma con la Chiesa di Roma.
Nel 535 Giustiniano avviò la riconquista dell'Italia, per poi mirare al resto dell'Occidente,
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come aveva già fatto in Africa combattendo contro i Vandali. Giunse fino alle coste della
Spagna, dove le porte gli furono aperte dallo stesso re Visigota Atanagildo, che gli chiese
aiuto per combattere la politica filo-ariana del re Agila, così i Bizantini giunti nella penisola
iberica, conquistarono tutta la fascia sud-occidentale, impadronendosi dell'intero
Mediterraneo. Ora il suo obiettivo era quello di liberarsi della Persia, per trasformare
Costantinopoli nel punto di incontro dei tre continenti. Per sostenere un simile progetto
Giustiniano dovette far fronte a molte spese e dovette mutare in parte la struttura
amministrativa e al tempo stesso tenere a bada la crescente aristocrazia.
A coronare la sua ideazione fu l'elaborazione del Corpus Iuris Civilis, che riorganizzava
l'aspetto giuridico e legislativo dello stato. Esso fu scritto in latino, nonostante in Oriente la
lingua scritta e parlata dominante fosse il greco, ciò è ancora una volta esempio di quanto
Giustiniano intendesse recuperare l'antico Impero Romano Universale.
Se il suo operato fu grande, al tempo stesso indicò anche quanto fosse impossibile la sua
ambizione: sia dall'interno che dall'esterno c'erano troppe forze da controllare che ormai
erano state inglobate dalla vecchia civiltà. Si trovò da una parte le numerose tensioni
religiose e la crescente popolazione, dall'altra il fatto che le conquiste estere erano solo
momentanee e incontrollabili. Infatti dopo di lui l'impero lasciò perdere questi obiettivi di
riunificazione, per dedicarsi alla riorganizzazione interna e spostando l'attenzione sul fronte
orientale, assumendo una fisionomia più greca che latina, non a caso le Novelle (leggi
nuove) emanate da Giustiniano dopo il Corpus iuris Civilis, cominciarono a fare uso di
termini greci, come basileus.
Nel corso del VI sec. presso i Balcani si stanziarono gli Slavi, popolo di origine incerta, si
pensa che provenissero dalle aree che oggi sono la Polonia, la Slovacchia, la Boemia e
l'Ucraina. Caratterizzati da una forte identità sia linguistica che culturale, al punto da
influenzare profondamente i popoli che invadevano, anche se a seconda della zona che
occupavano mutavano anche i loro usi. Quelli che si insediarono nei territori dell'Impero
bizantino erano gli Slavi meridionali, che insieme agli Avari, esercitarono sempre di più
pressioni, fino a giungere all'assedio di Tessalonica e di Costantinopoli.
I Bizantini riuscirono a placare questi attacchi solo alla fine del VII sec, approfittando del
periodo di tregua nel conflitto con gli Arabi; anche se ormai la minaccia non era solo quella
degli Slavi, ma si erano aggiunti anche i Bulgari, costituendo insieme una vera e propria
formazione politica bulgaro-slava, tanto che nel 681 Bisanzio la dovette riconoscere,
emanando un trattato di pace.
Si tentò però di recuperare almeno quei territori ancora non inglobati dalla nascente
organizzazione, alternado a metodi violenti altri più doplomatici, tra cui l'evangelizzazione.
Come si è visto la conversione al Cristianesino preannunciava sempre un'espansione
politica, ma in questo caso le pressioni religiose provenivano sia da Roma che da
Costantinopoli, facendo sì che si venissero a creare una fazione ortodossa e un'altra romana.
L'opera di evangelizzazione fu portata avanti dai due fratelli slavi Cirillo e Metodio, i quali
compirono una vera e propria opera culturale, creando una lingua slava, utilizzata poi per
un'abbondante produzione letteraria. Per quello che riguarda la riorganizzazione e il
rafforzamento dello Stato bizantino i due personaggi principali furono l'imperatore
Maurizio (582-602) ed Eraclio (610-641).
Maurizio si trovò a fronteggiare contemporaneamente sia le pressioni dei barbari nei
Balcani, che dei Persiani in Asia Minore, così decise di lasciare le province occidentali
(Italia e Africa) al governo dei militari, nominati esarchi, che dovevano provvedere anche
all'aspetto amministrativo.
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In realtà il suo progetto non fu mai realizzato, poichè dopo la sua scomparsa, durante una
battaglia nei Balcani, l'impero perse il controllo, subendo parecchi danni dagli storici
nemici, i Persiani, che ne approfittarono per conquistare Antiochia, Gerusalemme e
Alessandria d'Egitto, e derubandoli del Legno della Santa Croce, custodito a Gerusalemme.
Si riprese l'ordine quando salì al potere Eraclio, che prima di tutto vendicò Maurizio, ucciso
per mano di Foca, re degli Avari, poi avviò una riforma amministrativa e militare nelle zone
orientali dell'impero, così come il suo predecessore aveva fatto per l'occidente, in tal modo
nacquero tre partizioni (temi) e a capo di ognuna di esse fu messo uno stratega,
riconosciuti come colonizzatori e proprietari, in modo che si impegnassero realmente nella
difesa.
La politica di Eraclio ebbe subito successo, anche grazie all'appoggio dell'episcopato; per
riprendersi subito le terre perdute contro i Persiani puntò direttamente all'attacco della loro
capitale, imponendo poi un trattato di pace, che prevedeva la restituzione dei territori
occupati, la restituzione della Santa Croce e il pagamento di un indennizzo di guerra.
Subito dopo si volse sull'altro fronte sconfiggendo definitivamente gli Avari, e cercando di
risolvere i contrasti con i Monofisiti elaborando un compromesso teologico. Ma i risultati
non furono quelli sperati, infatti la nuova dottrina accettava il Concilio di Calcedonia del
451, ma sul fatto che Cristo avesse due identità, una divina e una umana, affermavano che
entrambe presentavano un'unica volontà (monotelismo). Anche se la Chiesa di Roma
inizialmente accettò tale rifacimento, ben presto si rese conto della sua natura eretica,
provocando una profonda rottura tra papato e impero.
Le confusioni furono risolte con un nuovo Concilio a Costantinopoli, nel quale veniva
condannato il Monotelismo, definito monofisismo mascherato, e confermata la vecchia
dottrina.
C'è da dire che la soluzione di Eraclio non era piaciuta nemmeno ai Monofisiti stessi, i quali
presenti in gran numero nelle regioni della Siria e della Persia, non persero occasione di
affidarsi alla tolleranza islamica, quando gli Arabi nel 638 invasero le province asiatiche e
africane fino a giungere in Egitto, e quando nel 640 furono aperte loro le porte di
Alessandria.
Ecco che dopo una lunga serie di successi, Eraclio vede chiudersi la sua carriera di fronte a
continue perdite e all'avanzare degli Arabi, i quali non riuscirono ad inglobare i Bizantini
come avevano fatto con i Persiani. Infatti anche se il loro territorio ormai era diventato
molto ridotto, tra il IX e il X sec. lo Stato di Bisanzio seppe risollevarsi, vivendo la
cosiddetta età dell'oro, sostenendo una buona politica estera sia in Italia che nei Balcani,
dove realizzò la bizantinizzazione degli Slavi, caratterizzati da una cristianità slavo-
ortodossa.

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L'Italia tra Bizantini e Longobardi

La riconquista dell'Italia avviata da Giustiniano nel 535 fu guidata dal generale Belisario, il
quale subito riuscì nella conquista di Ravenna e a spingere i Goti oltre il Po.
Lo stesso accadde nel 542, quando tentarono di risalire con a capo il re Totila furono
sconfitti, questa volta dal generale bizantino Narsete, anche se le resistenze continuarono a
durare lungo l'Appenino fino al 555.
Il progetto bizantino oltre alla riunificazione territoriale prevedeva la restaurazione degli
antichi rapporti sociali e amministrativi, secondo la "prammatica sanzione".
I primi proveddimenti furono:
- restituzione delle terre, animali e schiavi ai vecchi proprietari;
- le chiese cattoliche riebbero gran parte dei beni confiscati dagli ariani;
- l'Italia fu divisa in distretti con a capo uno iudex, per la parte amministrativa, e un dux,
per la gestione militare;
- furono diminuite le spese pubbliche e aumentate le tasse, per poter continuare a finanziare
le mire espansionistiche.
Nel frattempo che l'impero organizzava le sue conquiste, nel 568 in Italia giunsero i
Longobardi, popolo germanico originario della Scandinavia, con a capo il re Alboino.

A differenza degli altri popoli germanici


questi si stanziarono come una dominazione
straniera, caratterizzata da una propria
organizzazione, fermi nelle loro tradizioni e
con un proprio capo militare.
Si stabilirono soprattutto in Padania, Piemonte,
Friuli, Trentino e Toscana, anche se tentarono la
discesa verso il Mediterraneo
conquistando parte della costa adriatica fino a
Pescara, penetrando negli Abruzzi in direzione
di Isernia, fino a giungere Benevento. Tutto il
resto della penisola, comprese le isole di
Sicilia, Sardegna e Corsica, rimasero
sotto la dominazione imperiale; da qui ha
inizio la fisionomia frammentaria
dell'Italia, che durerà fino al XIX secolo.

Quindi tra il VI e il VII secolo lo scenario


vedeva da una parte la ferma resistenza
bizantina, dall'altra l'autonomia dei duchi
longobardi, i quali rimasti senza re, dopo una
congiura contro Alboino (574) fecero razzie di
proprietari e terre romane. Tali eventi costrinsero
l'aristocrazia locale, pur di non essere
completamente schiavizzata, a
permettere l'ascesa nella classe dirigente dei Longobardi.
Questa volta non si registrò, come per tutti gli altri popoli barbari, una penetrazione e un
adattamento dei loro usi, ma i nuovi dominatori erano un popolo ben strutturato e con piena
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coscienza di sè, tanto che si arrivò nel corso dell'VIII secolo che i romani, pur di
riconoscersi liberi, aderivano pienamente alla tradizione e alla politica longobarda.
Ecco perchè il 568 segna una data di reale rottura con il passato:
- i longobardi diventano proprietari terrieri;
- il peso politico e giuridco dei romani si riduce;
- muta l'organizzazione del territorio;
- sconvolsero l'organizzazione dei vescovadi, i quali spesso rimasero senza guida, poichè i
vescovi furono costretti a fuggire;
- le città romane anche se continuavano ad essere abitate cadevano sempre di più nel
degrado.
Per i Longobardi l'aumentare del potere e la necessità di trovare sempre nuove strategie di
difesa dai Bizantini, li portò all'esigenza di formulare un ordinamento politico stabile ed
evoluto, ricorsero quindi a quello romano, attuando un rafforzamento del potere imperiale,
appoggiato dall'episcopato e dal popolo.
La nuova organizzazione ebbe inizio con il re Autari nel 584, il quale si fece cedere metà
delle terre da tutti i duchi, tranne Benevento e Spoleto, che mantennero sempre una loro
autonomia, e furono incaricati dei funzionari, i gestaldi, per mantenere saldo il dominio, e i
gasindi, come consiglieri personali del re.
Sulla stessa politica continuò il re Agilulfo, il quale addiritturà ammorbidì i rapporti con il
papato.
Questo accadde sotto papa Gregorio Magno (590-604), egli fu un personaggio
determinante per la storia della Chiesa cattolica.
Discendente da una nobile famiglia romana, prima divenne prefetto di Roma, poi si dedicò
alla vita religiosa diventando monaco e facendo della sua casa un monastero. Fu nominato
cardinale e mandato in missione a Costantinopoli, dove apprese il forte distacco che ormai
l'impero aveva creato con l'Occidente, così fece ritorno a Roma, prima come consigliere del
papa Pelagio II e poi succedendolo nel 590.
Il suo soggiorno a Costantinopoli caratterizzò quello che fu il suo operato papale; la
lontanaza imperiale indeboliva l'intero clero, così decise di rendere la Chiesa
completamente autonoma, che così riconosceva in lui l'unica vera guida.
Riorganizzò il rapporto con il resto delle comunità cristiane occidentali, e intraprese con
loro un dialogo assiduo, attraverso delle lettere, dove oltre a consigli spirituali si
affrontavano problemi di ogni tipo. Riformulò la liturgia romana (da qui il canto
gregoriano) e operò intensamente per l'evangelizzazione delle popolazioni ariane e pagane,
pur mantenendo vivo un clima di tolleranza. Ottenne numerosi successi in tutta Europa, ma
proprio in Italia, con i Longobardi, l'opera risultò piuttosto ardua.
Intanto riuscì a conquistare completamente il governo di Roma, occupandosi della sua
difesa, sostituendosi anche questa volta all'impero.
Il rapporto con i vicini Longobardi migliorò solo grazie alla mediazione della regina
Teodolinda, che essendo cattolica, fece battezzare il figlio erede al trono Adoloaldo.
Questo fu un grande passo, ma la cultura ariana era ancora molto accesa tra i duchi e il
popolo barbaro, così vennero a crearsi due fazioni e l'alternarsi di sovrani cattolici e ariani,
tra i quali ricordiamo Rotari. Questi per sottolineare la sua convinzione ideologica fece
mettere per iscritto le leggi longobarde, Editto di Rotari, e riprese le guerre contro i
Bizantini, incorporando nuove terre.
Il progetto di conversione completa si può dire terminato con il re Liutprando, e con esso
anche la definizione di una perfetta convivenza con i romani. Raggiunto un saldo equilibrio,
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ecco che i Longobardi puntarono alla conquista dell'intera penisola, fino a giungere alle
porte di Roma. L'unico che riuscì a fermarli fu papa Gregorio II, costringendo il re barbaro
a ritirarsi e a rinunciare ai territori presi d'assedio, che però non furono ridate ai bizantini,
ma donate alla Chiesa, che così andava conquistando sempre di più valore politico.
Ormai essere di origine romana o longobarda non faceva più differenza, tutti facevano capo
ad un unico esercito, un unico re ed una sola Chiesa. Nonostante ciò non avvenne mai una
coesione completa tra episcopato e potere reale, poichè la Chiesa aveva raggiunto una tale
autonomia che non accettò mai di incorporare Roma al resto del Regno. Ecco che al
tentativo, prima di Astolfo e poi di Desiderio, di conquistare Roma, il papa chiamò in suo
soccorso i Franchi, prima Pipino il Breve e poi Carlo Magno.
Spostando lo sguardo sui territori della penisola rimasti sotto la guida dell'Impero, notiamo
che l'organizzazione sociale rimase quella tradizionale, anche se inevitabilmente anche
queste zone subiro delle influenze longobarde, e poi anche bizantine.
Uno dei provvedimenti che l'impero fu costretto a prendere in queste regioni fu
l'unificazione delle cariche politiche con quelle militari, visto che il suo impegno si
rivolgeva soprattutto sul fronte orientale, c'era bisogno che esse risultassero da sole
autonome ed efficienti. Così l'aristocrazia dovette impegnarsi direttamente negli scontri, e il
loro ruolo dipendeva dalla loro posizione sociale ed economica, dovevano collaborare con i
funzionari bizantini, che sentendosi completamente abbandonati da Costantinopoli, spesso
furono i primi ad organizzare rivolte, inoltre appoggiati dal crescente potere della Chiesa
Occidentale.
L'influsso longobardo fu clamoroso, ma ancora di più lo fu per Roma, che si liberò
definitivamente dal potere bizantino e si garantì la protezione dei Franchi. Si andava così
definendo il potere temporale del papa, che raggiunse un totale controllo sul Lazio,
accumulò immensi possedimenti terrieri e il sostegno politico-militare del senato, oscurando
sempre di più il sovrano d'Oriente.

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Il mondo arabo e il Mediterraneo

Contemporaneamente agli scontri tra Bizantini e Persiani, nelle terre desertiche dell'Arabia
si stavano registrando una serie di eventi che poi avrebbero portato alla costituzione di una
nuova grande civiltà, che mossa dalla nuova religione, l'Islam, si sarebbe avviata alla
costruzione di un vastissimo impero. Tali fatti ebbero un'influenza enorme sull'intero mondo
civilizzato, ecco perchè si parla di "conquista araba".
Uno dei maggiori storici sostiene nella tesi di Pirenne (dal quale prende il nome) che le
numerose invasioni germaniche avvenute nei territori dell'antico Impero Romano, in realtà
non mutarono la fisionomia delle città e dell'organizzazione politico-militare, ma ciò
avvenne solo con l'arrivo degli Arabi, che invadendo il Mediterraneo, provocarono una crisi
commerciale e la scomparasa delle città, costringendo gli Occidentali a chiudersi in
un'economia agraria, e da qui la nascita dei feudi.
Non tutti concordano con questa posizione, sottolineando che: la crisi occidentale si era
avviata già da molto tempo prima, solo il suo apogeo viene a coincidere con l'espansione
araba (VII-VIII sec); inoltre non è vero che i commerci furono completamente bloccati,
visto che l'Oriente continuava a fornire oro, stoffe e papiro. Quello che invece rimane certo
è il fatto che gli Arabi costrinsero l'intero Occidente ad una riorganizzazione, e proprio da
questo la Chiesa di Roma e il Regno dei Franchi seppero trarne vantaggio e consolidare il
loro potere.
L'aspetto geografico della penisola arabica la divide:
- nella parte centro-settentrionale, prevalentemente desertica, abitata anticamente dai
nomadi Beduini, che sopravvivevano grazie all'allevamento, al commercio carovanico e alle
razzie, e anche da alcuni popoli sedentari;
- nella parte meridionale, dove il clima è più mite grazie alle piogge, qui avvenivano la
maggior parte degli scambi commerciali tra l'Oceano Indiano e il Mediterraneo; quindi
popolata da gruppi diversi e da una civiltà elevata rispetto alle tribù del nord. Non a caso in
queste zone si costituirono diversi regni che raggiunsero anche un elevato sviluppo.
Anche se con più ritardo e lentamente, importanti centri nacquero anche nella parte
settentrionale, che non a caso era più vicina agli Egiziani, ai Macedoni, ai Persiani, ai
Romani e ai Greci. Però se da un lato la civiltà riuscì a prendere piede nell'intera penisola,
dall'altra conobbe un periodo di forte regresso sia politico che culturale, a causa di
parecchie invasioni e del crollo della gigantesca diga di Marib.
Per la maggior parte la società araba era basata sulle tribù, visto come il primo sintomo di
instabilità; esse decidevano ogni tipo di movimento e ad esse spettava qualunque tipo di
decisioni, prese sulla base della Sunna, serie di insegnamenti ereditati dagli antenati.
Alla guida di ogni tribù c'era un capo elettivo, un consiglio e un giudice; la donna era vista
come una merce di scambio, ed era ceduta ala marito dietro pagamento.
Ancora più instabile era il quadro religioso: erano quasi tutti politeisti, ma si
differenziavano da zona in zona; ogni gruppo aveva il proprio culto, che divenatava meta di
pellegrinaggio e punto di scambi commerciali.
Solo piccole comunità seguivano l'Ebraismo e il Cristianesimo (onofisita o nestoriano).
Questo complesso e frammentario stato dell'Arabia d'altra parte aveva il ruolo fondamentale
di incontro dei commercianti occidentali con quelli indiani, e questo permise la costruzione
di importanti centri, come Makkah (Mecca).
A gestirla furono i capi delle tribù Quraish, i quali ne sfruttarono la posizione geografica e
l'abbondanza di sorgenti, trasformandola in un grande centro commerciale e religioso.
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Infatti qui riunirono tutte le divinità arabe nella Kaaba (santuario a forma di cubo, che si
diceva costruito da Abramo e Ismaele per custodirvi la Pietra Nera portata dall'Arcangelo
Gabriele).
I Quraish non mancarono di organizzarsi anche socialmente e politicamente, definendo il
ruolo di Custode del Santuario, lasciando il dominio della città alle famiglie più ricche, e
istituendo una sorte di Senato.
Proprio qui nacque Maometto tra il 569 e 571.
Egli apparteneva ad una famiglia abbastanza facoltosa, fu cresciuto da uno zio dopo che era
rimasto orfano; sposò una ricca vedova, e quindi facilmente potè dedicarsi alla riflessione
religiosa.
Nel 610 ebbe la sua prima apparizione, l'Arcangelo Gabriele che gli annunciava di essere
l'Apostolo di Allah. La sua predicazione cominciò nel 613, ed ecco che si andava definendo
la nuova religione:
- Allah veniva riconosciuto come unico vero Dio;
- tutti si dovevano sottomettere all'Islam;
- veniva introdotta l'idea di Giudizio Finale;
- c'era il dovere di essere solidali soprattutto con i più poveri.
Le prime diffidenze furono innescate dai Quraishiti, i queli erano timorosi di perdere
l'afflusso dei pellegrinaggi alla Kaaba. La convivenza resistette fino al 622, quando
Maometto, che ormai andava definendo sempre di più la dottrina (il credente detto muslim,
doveva recitare la preghiera, detta salah, verso Gerusalemme), lasciò la Mecca sostenuto da
una tribù di Yathrib, e quando vi giunse battezzò la città come Medina (città del profeta).
Si avviò una lunga opera di conversione, che ebbe successo soprattutto tra i politeisti, e la
decisione di cambiare la Mecca con Gerusalemme, come punto di orientamento per la
preghiera, incise in maniera determinate nel rapporto con gli Ebrei e i Cristiani.
La dottrina islamica fu realmente definita solo una ventina di anni dopo la morte di
Maometto (8 giugno 632), quando ad opera del suo segretario personale e dei diretti
testimoni fu scritto il Corano, nella lingua più diffusa di tutta l'Arabia.
Il pensiero di Maometto, minuziosamente descritto nel Corano, si basa su alcuni principi
fondamentali, detti pilastri della religione:
- doppia professione di fede (Allah unico Dio, Maometto suo inviato), tutti i politeisti e
pagani dovevano convertirsi o essere uccisi, invece se i non credenti erano appartenenti ad
un'altra religione monoteista potevano non convertirsi, pagando un'imposta;
- la preghiera, chiedere perdono o benedizione rivolti verso la Mecca 5 volte al giorno,
anche da soli, in un luogo sacro o almeno che sia isolato da terra con un tappeto; riunirsi il
venerdì in una delle moschee per la preghiera comunitaria e ascoltare il sermone dell'Iman,
che si attiene al Corano, nel quale sono indicate tutte le risposte, sia di tipo spirituale che
sociale-politico;
- il Ramadam, mese consacrato alla preghiera, alla meditazione, al digiuno e all'astinenza
sessuale durante il giorno, scelto in ricordo del mese in cui Maometto ha avuto la prima
apparizione dell'Angelo Gabriele;
- il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita bisogna farlo, esso è un atto di
purificazione e di incontro per i musulmani di tutto il mondo;
- l'elemosina legale o di purificazione, per aiutare i fratelli poveri;
- la guerra santa, non tutti la condividono, intesa non solo come la guerra messa in atto per
difendere e diffondere l'Islam, ma anche contro sè stesso dalle cattive inclinazioni.
Tali principii divennero il primo pretesto per giustificare la mira espansionistica degli Arabi,
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i quali non trovando sempre risposta nel Corano spesso si rifecero alla Sunna, raccolta delle
tradizioni comportamentali di Maometto, che sarà poi alla base del Diritto musulmano.
Quindi si capisce bene come l'Islam dava indicazioni non solo spirituali, ma più che altro
sociali, che furono alla base della nascente potenza araba e che vedeva in una sola autorità
la guida politica e religiosa.
Maometto stanziatosi a Medina raggiunse un prestigio notevole, tanto che i Quraishiti
dovettero arrendersi a lui, fino al raggiungimento della loro totale conversione,
incrementando sempre di più la comunità musulmana. Maometto ambiva all'espansione
territoriale al di fuori della penisola, ma ciò accadde solo per mano dei suoi seguaci e dopo
la sua morte nel 632.
A questo punto si avvertì il bisogno di nominare una nuova guida, califfo, e il primo ad
essere eletto fu il suocero, ma non tutti riconobbero la sua autorità, scatenando la ribellione
di alcune tribù, che rivendicavano la loro autonomia. Presto gli scontri interni furono placati
e già nel 633 partirono le prime invasioni verso l'Iraq e la Siria.
Gli altri successori si alternarono tra seguaci e parenti dello stesso Maometto, tra i quali Alì,
che decise di spostare la sua sede a Kufa, in Iraq, provocando non pochi dissidi in Arabia,
che sfociarono nella divisione tra Sciiti, i suoi seguaci, e i Sunniti, la maggioranza dei
musulmani.
Nel 661 Alì fu ucciso e da questo momento in poi si eliminò il califfato elettivo, attivanado
forme di amministrazione più complesse.
I bottini di guerra guadagnati dalle prime conquiste allettarono i credenti, che in pochissimi
anni si moltiplicarono, realizzando spedizioni e successi straordinari: l'Impero persiano fu
completamente distrutto, e quello bizantino perse gran parte dei territori.
Avendo sottomano un dominio così esteso, fu inevitabile che alcune leggi dettate dal
Corano, o ancora esistenti nell'Arabia pre-islamica, venissero mutate, e la prima fu che non
tutti potevano essere trattati allo stesso modo. Nelle città in cui si insediarono spesso
lasciarono la vigente organizzazione amministrativa, semplicemente sovrapponendo ad essa
quella araba. A capo di ogni regione venne messo un emiro, fiancheggiato da guardie,
giudici e addetti alla finanzia.
Nel registrare tali successi il ruolo del califfo assunse sempre di più potere, che divenne così
ereditario; i primi furono quelli del clan degli Ommayadi, originari dell'aristocrazia
quraischita.
Nonostante il califfato ebbe a che fare con numerose rivolte interne, dovute alle pressioni
degli Sciiti in Iraq e sia dagli scontri tra clan, si cercò di attuare una certa omogeneità in
tutti i territori conquistati, e intanto di continuare sulla linea espansionistica, soprattutto
mirando all'Impero bizantino, tanto da spostare la capitale a Damasco, per poter gestire
meglio gli scontri.
Il primo attacco fu rivolto direttamente a Costantinopoli, sia per terra che per mare, ma i
Bizantini non crollarono e nel 677 distrussero l'intera flotta araba.
Intanto l'espansione continuava nella direzione dell'Africa settentrionale, che in 50 anni fu
completamente convertita, portando i musulmani fino alla costa Atlantica (711); ne uscirono
ancora più rinforzati e pronti ad invadere la Spagna in soli 5 anni. Giunsero fino alla Gallia,
dove riuscirono ad acquisire il controllo della Provenza e della Linguadoca.
Oltre al fronte occidentale, le invasioni arabe si dirigevano anche verso l'Asia centrale e
l'India, dove presto realizzarono una dilagante conversione all'Islam.
I contrasti con il mondo orientale però furono decisivi per la dinastia Ommayyade, a causa
della grande potenza dei proprietari terrieri che contrastarono fortemente lo sviluppo del
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commercio arabo. Nel 747 in seguito ad un'isurrezione degli Abbasidi, che si ritenevano i
veri successori di Maometto, gli Ommayyadi furono completamente annienatti, con
l'appoggio degli Sciiti, e la capitale fu spostata in Iraq fondando nel 762 Baghdad.
Lo stato fu riorganizzato secondo la tradizione orienatale, e il califfo non aveva più solo la
carica di seguace di Maometto, ma di rappresentante di Dio in terra, quindi al di sopra dei
comuni mortali.
Di riflesso il potere aumentava anche nelle mani dei funzionari, tra cui il visir, a capo di
tutti gli altri funzionari e dell'amministrazione centrale dello stato.
Si andò costituendo un vero esercito non più con una struttura tribale, ma fatto di mercenari
non arabi, iraniani, berberi e turchi. Furono istituite le cariche militari, che spesso tentarono
di prendere il sopravvento, così per fermare la loro voglia di potere nel 936 fu istituito un
capo supremo dell'esercito, l'emiro degli emiri.
La molteplicità di nazionalità diverse nell'esercito portò ad un livellamento, e tutti i
musulmani risultavano uguali di fronte allo stato, guidato dal capo dei seguaci, il califfo.
Un grande sviluppo registrò anche la lingua, e di conseguenza la cultura araba prese a
diffondersi in vari settori (medicina, fisica, letteratura, filosofia, matematica, diritto,
geografia). Dal punto di vista artistico ricordiamo le moschee di Gerusalemme e Damasco,
fatte costruire al tempo degli Ommayyaidi. Il periodo fiorente della cultura araba interessò
anche i territori cisrcostanti, come Bisanzio e l'Italia meridionale, e lo stesso valse anche per
lo sviluppo dell'agricoltura, gestita ormai da funzionari dello stato e migliorata grazie ad
innovative tecniche di lavorazione ed irrigazione.
Inoltre fu fondamentale l'incremento delle città, che divennero centro di ogni attività e
cultura, organizzate in quartieri specializzati a seconda dei lavoro che vi si svolgevano. Le
classi predominanti erano quelle dei negozianti e dei commercianti, riconosciuti come
borghesia mercantile, e come coloro che diedero vita alle prime attività finanziarie e
bancarie.
Si era dunque venuto a costituire un vero mondo arabo, complesso e brillante in quasi tutti i
settori, anche se non mancavano delle instabilità interne, tra cui il malessere dei piccoli
proprietari terrieri, e gli squilibri economici causati dall crescente ricchezza di certe classi
piuttosto che altre.
Lo sviluppo dell'agricoltura riguardava le aree suburbane, nelle campagne invece, quasi del
tutto spopolate, erano rimasti solo piccoli gruppi di emarginati pronti ad insorgere non
appena si verificavano catastrofi naturali o sconvolgimenti politici-militari.
Ma le cause che misero in crisi l'impero furono altre, esse derivavano dalle numerose rivolte
che si verificavano nei confini del dominio arabo, da una parte mossi dagli scontri etnici e
religiosi, dall'altra dalla voglia di autonomia e di potere dei governatori locali. Inizialmente
tali spinte furono tenute a bada, ma a partire dal X sec. le tensioni aumentarono
notevolmente, e il titolo di califfo, fino ad allora riconosciuto unico e mantenuto dagli
Abbasidi, fu rivendicato e diviso tra la dinastia dei Fatimiti e dall'emiro di Cordova
(discendente Ommayyade).
Grazie al sostegno dei mercenari turchi gli Abbasidi resistettero fino al 1258, quando
Baghdad fu travolta dai Mongoli.
Una parte dei territori europei più influenzata dal dominio arabo fu la Spagna centro-
meridionale e il Portogallo, che nel 756 divenne un emirato indipendente da Baghdad e nel
929 addirittura un califfato a parte. Qui fu attuata una politica di grossa tolleranza nei
confronti dei cristiani e degli ebrei, e di un'ottima organizzazione amministrativa; ciò
permise di raggiungere un alto livello di civiltà e prosperità economica, e non a caso
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Cordova rappresentava una valorosa concorrente della capitale araba. Ecco che
inevitabilmente si avviò una serie di guerre espansionistiche sia verso nord, ai danni dei
cristiani, sia in Marocco e in Algeria, contro i Berberi musulmani. Ma il nuovo califfato non
resistette a lungo, e nel 1031 si frantumò in tanti piccoli stati. Il processo di disgregamento
fu fermato da una dinastia berbera del Marocco, gli Almoravidi, che riuscirono ad
impadronirsi della Spagna e a sconfiggere i cristiani del nord, ma dopo poco furono
soppiantati da un'altra dinastia berbera, gli Almohadi, ma resta il fatto che gli scontri
espansionistici tra cristiani e arabi si facevano sempre più fitti.
Anche l'Egitto instaurò un califfato autonomo, avviando un elevato sviluppo, soprattutto
grazie al commercio tra l'Oceano indiano e il Mediterraneo, che trasformò il Cairo (fondata
nel 969) nel più grande centro di scambio dell'epoca.
Un'altra regione che subì un'influenza notevole dalla cultura araba fu la Sicilia. Qui le
incursioni cominciarono sin dal 625, ma si intensificarono dopo la completa aquisizione
della Tunisia e di Cartagine. Le invasioni ebbero inizio nel 827, nei pressi di Corleone, e
avendola vinta contro i Bizantini, le truppe di Arabi, Berberi e Andalusi si diressero verso
Siracusa, capoluogo dell'isola che resistette a lungo ai nemici, e allo stesso tempo anche
verso Palermo. La conquista siciliana si andava completando nel 842/3, quando giunsero a
Messina, dopo un breve periodo di stallo, a causa di scontri tra Arabi e Berberi, così nel 878
conquistarono definitivamente Siracusa, lasciando ai Bizantini solo Taormina e Rometta,
che caddero poi nel 962/5. Ecco che si costituì un emirato del tutto indipendente,
caratterizzato da benessere e prosperità; Palermo divenne un centro di attività commerciali,
artigianali e ricca di edifici sacri e profani.
L'agricoltura siciliana si sviluppò allo stesso modo in ogni parte dell'isola, avviando la
produzione di tantissime colture (grano, frutta, ortaggi, agrumi, gelsi, palma, dattero,
papiro) che permisero di istituire delle vere e proprie industrie gestite dallo Stato. Si avviò
così il commercio di carta, di papiro, di lino, di seta e dei prodotti minerari (oro, argento,
ferro, piombo).
La Sicilia si distinse anche dal punto di vista culturale, nello studio del diritto e del Corano,
nonchè nella filologia e nella storiografia, ma in particolar modo nella poesia.
Intanto in Occidente non si viveva nello stesso clima, tra il VII e l'VIII sec. presero sempre
di più piede i Franchi e la Chiesa di Roma, che però a causa delle situazioni frammentarie in
cui vivevano, non favorivano la vita culturale, lo sviluppo dei commerci e dell'agricoltura.
Alla luce di quanto abbiamo detto c'è da aggiungere che nonostante tutto non si verificò mai
un distacco totale tra le aree arabizzate e quelle rimaste sotto il vecchio dominio, anzi
proprio grazie agli scontri, ogni tipo di scambio fu favorito, e ancora di più se si pensa che
la cultra araba servì da stimolo per migliorare le forme politiche e spirituali.

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La nascita dell'Europa
Economia e società nell'Alto Medioevo

A differenza del mondo bizantino e della potenza araba, l'Occidente cristiano tra il VI e il
VII secolo cadde in una grave decadenza, sia per quello che riguarda l'urbanesimo che la
società.
Le vecchie città romane vengono quasi completamente abbandonate, poichè il popolo
preferiva zone più facilmente difendibili. Anche la rete viaria fu sfasciata, ormai priva di
ogni tipo di manutenzione, ne restarono solo il tracciato pieno di polvere e fango, e ne tanto
meno furono mezzo di scambio e punti di incontri, spostando il commercio in tutt'altri
centri.
Tuttociò segnò un inevitabile peggioramento dell'ambiente, quindi decadimento di argini di
fiumi e canalizzazione delle acque, e la quantità di terre incolte aumentò clamorosamente.
Nelle zone d'Europa centro-orientale presero ad estendersi anche le foreste, le steppe e le
paludi, a seconda del clima più umido o più secco.
Questo aspetto, e l'elemento del bosco in genere, per la generazione medievale segnò
qualcosa in più di un semplice fattore economico e ambientale, infatti ad esso la gente
riconduceva credenze e storie dell'immaginario, trasformandolo nel mondo delle meraviglie
e del mistero.
Inoltre nelle foreste si praticava la caccia, da parte sia dei poveri contadini che dei nobili, si
raccoglievano frutti selvatici, la legna per il riscaldamento e la costruzione di case e attrezzi,
e si portavano al pascolo gli animali.
Abbiamo già detto che la causa principale del disgregamento urbano fu lo spopolamento di
città e campagne; tale fenomeno ebbe inizio già dal II-III secolo, quindi da questo punto di
vista l'arrivo dei barbari fu inteso come un fatto positivo, ma ciò non bastò, visto il loro
esiguo numero.
Il perchè di una diminuzione così netta della popolazione è dato dalle numerose guerre,
devastazioni ed epidemie di vario genere, che provocarono una forte debilitazione e
abbassamento delle nascite. Una delle zone maggiormente colpita fu proprio l'Italia.
La crisi demografica inevitabilmente influì sull'economia e sull'organizzazione
dell'agricoltura, così che molti provvedevano al fabbisogno alimentare autonomamente,
sfavorendo ogni tipo di scambio. D'altra parte la produttività stessa era minima, a causa di
attrezzi rudimentali e della perdita delle avanzate tecniche di lavoro sia della terra che di
amministrazione. Questo diminuiva ancora di più la quantità di soldi a disposizione dei
contadini, che si vedevano costretti ad arrangiarsi, costruendo da sè gli attrezzi, e coltivando
terre distanti, con diversi prodotti, per poterli poi consumare.
È stata ipotizzata anche una teorica divisione e gestione delle terre, e cioè che il villaggio
abitato si trovasse al centro di altre zone, che a seconda della produttività si trovassero più
o meno vicine ad esso. Il guadagno proveniva suprattutto dagli orti, bassa invece era il
rendimento di cereali, ecco quindi che fu necessario integrare con pesca, caccia e
allevamento.
La mancanza di concime animale veniva soppiantata da altre tecniche: il sovercio
(interramento delle piante), il debbio (incendio delle stoppie), il maggese (alternanza di un
periodo di riposo per un pezzo di terra).
Spesso chi coltivava non era il proprietario, così come chi allevava il bestiame, poichè
queste erano considerate condizioni servili. Tale meccanismo si era avviato già in età
romana, quando i grandi proprietari terrieri abbandonarono la lavorazione diretta, lasciando
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ai loro schiavi un pezzo di terreno e una casa (manso) che servisse loro per mantenersi, e
richiedendo in cambio parte del raccolto e un certo numero di giornate lavorative (corvèes),
invece altri servi rimanevano nella casa del padrone, ed erano chiamati prebendari.
Man mano che la crisi imperiale aumentava anche agli operai liberi venivano concessi
terreni da coltivare, pagando però quote più basse rispetto ai servi, e spesso i piccoli
proprietari, non ricevendo più alcun tipo di tutela dallo stato, chiedevano protezione ai più
ricchi della zona, a volte addirittura offrendosi come coloni e vendendo quello che avevano.
Infatti questi grandi proprietari, grazie alle loro risorse, si allontanarono dai centri per
costruirsi residenze fortificate, che offrivano quelle sicurezze che ormai l'impero aveva del
tutto perso.

La diffusio
ne di tale fenome
no dipende
va dalle zone, a
seconda dei funzion
ari dello stato, se
riuscivano o meno a
mantenere un certo
equilibrio di giustizi
a, come accadde
in Italia grazie
alla presenz
a del governo
di Bisanzio. Così le
terre vennero
distinguendo si in
massericcio , se date
in concess
ione a coloni liberi o
servi, e in riserva
padronale se
gestita direttam
ente dal propriet
ario o ammini
stratori di sua
fiducia.
L'insieme delle
due parti era detta
curtis o villa,
che compre
ndeva anche una terza parte fatta di boschi, prati, stagni, che venivano sfruttati sia dai
proprietari che dai loro dipendenti.
Il lavoro delle prestazioni d'opera da parte dei servi e dei coloni, era indispensabile per la
gestione della riserva padronale. Alcuni dati ci arrivano grazie ai polittici, cioè inventari che
elencavano ogni singolo bene di una villa o di un grande monastero, e nei quali venivano
registrati anche il numero di giornate complessivo di cui necessitava un determinato terreno.
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Si nota infatti che dove si era ben organizzati, la riserva padronale era proporzionata al
numero di giornate che i suoi dipendenti potevano offrirgli, anche se c'è da dire che le
proprietà erano in continua evoluzione, considerando le donazioni, le divisioni ereditarie,
ecc. Inoltre ogni volta bisognava fare il conto con l'esiguo numero di uomini a disposizione.
Questo tipo di organizzazione prende il nome di economia curtense, che oltre
all'autoconsumo di prodotti, e a tendere di ricavare dalla proprietà ogni tipo di bene, quando
si registava l'abbondanza di qualche prodotto, non si esitava a venderlo. Inoltre spesso c'era
bisogno di trasportare questa merce, poichè i padroni avendo più ville, e pochè
consumavano i loro beni dove abitavano, e lo stesso valeva per i monasteri, dovevano
essere raccolti in un'unica sede tutti i prodotti dai vari possedimenti. Questo lavoro veniva
svolto dai prebendari o durante le corvèe dai servi e coloni.
Anche se la pratica di dare in concessione le proprie terre cominciò a difforndersi dall'età
romana, l'usanza di gestire in collaborazione il messericcio e la residenza padronale prese
piede soprattutto in area franca, e solo dall'VIII sec. si diffuse nel resto d'Europa, anche se
non sempre e non dapprettutto ebbe successo.
È facile capire che con tali presupposti non si poteva parlare più solo di "grande proprietario
terriero", ma di "signore", che pretendeva obbedienza da tutti i suoi servi, e questo valeva
anche quando le ville erano di proprietà dei monasteri.
Anche se con l'avvento del Cristianesimo le condizioni dei servi erano nettamente
migliorate, le occasioni per rendere il loro legame con i signori ancora più forte
aumentavano man mano che lo Stato si andava disgregando. Tali accordi erano riconosciuti
formalmente con documenti dove si attestava l'autorità del signore, in cambio della sua
protezione, ed era detta pratica della commendatio.
La storiografia ha distinto una economia naturale, priva di commerci, da un'economia
monetaria. Come detto sopra sembra che l'Alto Medioevo sia stato caratterizzato solo da
scambi di prodotti, ma non fu proprio così. La necessità di vendere quello che abbondava
era essenziale per compare quello che non si poteva produrre e per pagare i canoni ai
padroni; gli artigiani non lavoravano solo per loro, ma vendevano anche nelle fiere e nei
mercati. Inoltre è stato registrato che la coniazione di monete d'argento, anche in piccole
zecche, non si è mai arrestata, invece quelle d'oro ormai venivano utilizzate solo per il
commercio di lusso con l'Oriente.
Quello che invece l'Occidente riusciva a commerciare facilmente erano i carichi di legno,
metalli, pelli e schiavi.
La zona europea che meno conobbe questo declino fu l'Italia meridionale, che grazie alla
presenza dei Bizantini mantenne vivo il commercio con l'Oriente, lo stesso accadde per
Venezia.

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L'impero carolingio e le origini del feudalesimo

Come abbiamo già visto alla morte di Clodoveo il regno dei Franchi fu diviso in Neustria,
Austrasia, Borgogna e Aquitania, dove non tanto i sovrani, ma i maestri di palazzo o i
maggiordomi detenevano il potere.
Nel corsi del VII secolo emerse tra tutte l'Austrasia governata dalla famiglia dei Pipinidi, e
più precisamente con Pipino di Heristal riuscì ad imporsi sull'intero territorio, lasciando da
parte solo l'Aquitania, che si era identificata come una realtà autonoma e indipendente.
Il successo espansionistico fu portato avanti dal figlio Carlo Martello, realizzando una
ricomposizione politico-territoriale fino ad inglobare nuove terre, corrispondenti all'attuale
Germania, Olanda, l'Aquitania e fino ad oltrepassare i Pirenei. Qui dopo aver sconfitto i
Visigoti si trovò di fronte all'avanzata degli Arabi, che riuscì a fermare nel 711 a Poitiers.
Grazie al prestigio che si era saputo conquistare, alla morte del re merovingio, Teodorico
IV ereditò il trono, che poi divise tra i suoi figli, Carlomanno e Pipino il Breve.
I due però non furono capaci di mantenere una collaborazione, così si preferì riunire il
regno sotto il "re fantasma" Childerico III.
Intanto anche la Chiesa non abbandonò i suoi progetti di evangelizzazione, così papa
Zaccaria mandò Bonifacio a predicare a Frisoni e Sassoni, il quale anche se ci rimise la
vita, avviò la realizzazione di molte sedi vescovili, coinvolgendo anche territori di
dominazione franca, tra il 742/4 furono indisse ben tre Concilii che permisero la
riorganizzazione della Chiesa franca.
Nel 750 Carlomanno lasciò campo libero al fratello ritirandosi nel monastero di
Montecassino, così Pipino il Breve ottenne il potere con l'approvazione di papa Zaccaria,
attraverso la benedizione di Bonifacio. Il benestare sacro che aveva ottenuto furono le basi
di quello che poi sarà una monarchia di diritto divino. La consacrazione sacrale divenne
ufficiale quando papa Stefano II si recò in Francia per chiedere aiuto contro i Longobardi.
La dinastia dei Pipinidi raggiunse tali traguardi, oltre che per la loro indubbia capacità
amministrativa, anche perchè in molte tribù franche era rimasta viva la loro attitudine alle
armi, che per di più si andava affinando con le nuove tecniche di combattimento e grazie
all'armatura e e alle armi più resistenti.
L'esercito solitamente era costituito da giovani guerrieri, che formavano il seguito armato
dei sovrani (trustis), i quali per tenerli presso di loro anche in tempi di pace e conservare il
loro giuramento di fedeltà, o li facevano rientrare tra i loro familiares, o li accasavano
mediante la concessione di terre.
Man mano che i diritti e i doveri dei guerrieri si andavao definendo fu istituita una vera
cerimonia (dell'omaggio), con la quale si stabiliva il legame con il sovrano, che a sua volta
gli dava il titolo di vassus, e la ricompensa che riceveva era detta feudo.
Il prestigio del guerriro oltre che dalla bravura e dalla sua prestanza fisica, dipendeva anche
dall'armatura che poteva permettersi, quindi dalla condizione sociale della famiglia di
provenienza. E proprio grazie a questo tipo di sostegno, ampliando i rapporti vassalatico-
beneficiari, la dinastia dei Pipinidi non trovò alcuna difficoltà a spodestare i Merovingi.
Messo in piedi un meccanismo così efficiente fu facile per i Franchi portare avanti i progetti
espansionistici. I primi ad essere colpiti furono i Longobardi, che con il re Astolfo stavano
cercando di impossessarsi dell'intera penisola italiana, ma quando si trovarono alle porte di
Roma, il papa Stefano II chiese soccorso ai Pipini (confermando loro il titolo di protettori
della Chiesa romana), che nel 755 mandarono le loro truppe in Italia, costringendo Astolfo
a donare alla Chiesa i territori che avevavno sotratto ai Bizantini, e a rifugiarsi a Pavia.
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Non appena i Franchi lasciarono l'Italia Astolfo riprese gli attacchi, ma stavolta fu
definitivamente battuti nel 756. Con la salita al trono longobardo del re Desiderio la
situazione si placò, soprattutto grazie alla collaborazione tra i due regni in seguito ai
matrimoni tra i figli di Pipino (Carlo e Carlomanno) con le figlie di Desiderio (Gerbera ed
Ermengarda).
Carlo, detto poi Magno, in seguito alla morte del fratello, scacciò la vedova con i figli,
ripudiò la moglie, e le costrinse a tornare dal re Desisderio, che per rispondere all'offesa
ricevuta mirò all'attacco di alcune terre della Chiesa, così il nuovo papa Adriano I subito
chiamò in soccorso Carlo. Desiderio fu sconfitto nel 773 in Val di Susa, fu fatto prigioniero
e portato in Francia; intanto il figlio Adelchi cercava di porre ancora resistenza , ma presto
fu costretto a scappare e a rifuggiarsi presso l'imperatore d'Oriente e a lasciare il regno a
Carlo Magno, che nel 774 si proclamò re dei Longobardi.
Il popolo accettò bene il nuovo sovrano, poichè poterono conservare sia le loro proprietà
che le loro leggi. Solo in seguito ad alcune rivolte dei duchi longobardi fu necessario
mandare conti e vassalli franchi per assicurare il controllo.
Carlo Magno proseguì nelle sue ambizioni affermandosi nei territori già conquistati ed
estendendosi su dei nuovi. Nel 778 si estese oltre i Pirenei per abbattere la minaccia araba
(Mori o Saraceni), ma a causa di una rivolta dei Sassoni fu costretto a ritirarsi, e proprio tra
le valli dei Pirenei, a Roncisvalle, verso il ritorno, subirono un attacco che portò a gravi
perdite.
Solo nel 801 tornò sul fronte spagnolo, e nel 813 definì il nuovo confine del regno, con il
nome di Marca Hispanica.
In questi anni, come abbiamo accennato, i Franchi si trovarono a far fronte alle resistenze
dei Sassoni, che oltre a non accettare il dominio franco, diffidavano anche dal cristianesimo,
e solo nel 804 fu completata l'opera di evangelizzazione ed organizzazione ecclesiastica
avviata da Bonifacio.
Anche i Frisoni avevano operato diverse rivolte, ma con la definitiva caduta dei Sassoni,
anche loro si arressero, come accadde anche per il ducato di Baviera.
Ormai il Regno franco aveva raggiunto dimensioni vastissime e circondato da altre forze
espansionistiche, quindi fu necessario mantenere alto il ritmo di spedizioni per controllare la
situazione lungo i confini.
Carlo Magno era giunto ad ottenere i titoli di Re dei Franchi, Re dei Longobardi e Patrizio
dei Romani (per questo protettore della Chiesa). A sostenerlo in tali resposabilità c'erano
numerosi uomini di cultura, per lo più monaci ed ecclesiastici di cui si era circondato, e con
i quali amava fare lunghe conversazioni, acquistando sempre di più le sembianze degli
imperatori dell'Antica Roma. Oltre che da questi, i suoi modelli provenivano anche dallo
Stato bizantino, dal quale imitò la fondazione di una capitale, Aquisgrana, anche nella
forma e nella disposizione degli edifici. Il suo stile da imperatore si realizzò a pieno verso la
fine dell'VIII secolo, infatti grazie a situazioni instabili che vigevano nel resto dell'Europa,
Carlo potè approfittarne per ricevere l'incoronazione imperiale sacra.
Due furono i punti forti a suo vantaggio:
- Bisanzio dal 797 era goveranata dall'imperatrice Irene, salita al trono dopo aver fatto
accecare e imprigionare il figlio, e di qui si avviarono numerosi contrasti e critiche che
disconoscevano nella donna l'antico potere bizantino;
- a Roma nel 795 era diventato papa Leone III, molto contestato dalla nobiltà romana , che
lo accusava di spergiuro e adulterio, così durante una processione fu aggredito, ferito e fatto
prigioniero. Il papa fu liberato grazie all'intercessione di Carlo, durante un'assemblea durata
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23 giorni. Leone III due giorni dopo la sua liberazione, durante la messa di Natale, 25
dicembre dell'800, incoronò Carlo Magno, che fu acclamato da tutto il popolo romano.
Non possiamo dire da chi sia provenuta tale iniziativa, ma certo è che Carlo ne uscì come la
figura predominante dell'intero Occidente, e il prestigio della Chiesa si era conservato nel
fatto che solo da essa poteva essere legittimata una simile potenza.
Alla notizia che Carlo Magno fosse stato proclamato imperatore conseguirono le reazioni di
Bisanzio, che oscillavano tra derisione e ostilità, e non appena l'imperatrice Irene fu
deposta, e successa da Niceforo si aprì un vero e proprio conflitto tra i due imperi, che si
concluse nell'812, quando il nuovo sovrano Michele I, riconobbe valido il titolo
imperatoriale di Carlo, in cambio dell'Istria e della Dalmazia, ma rinunciando
definitivamente a Venezia.
Per quello che riguarda i rapporti con la Chiesa Carlo se ne assunse la piena difesa, oltre a
gestire il controllo dell'apparato ecclesiastico e il mantenimento di una data disciplina.
Quindi al papa non restò che un ruolo marginale, che accettò di mantenere solo fino alla
morte dell'imperatore.
L'organizzazione pubblica dell'imperatore carolingio fu determinata da una forte
collaborazione tra gli ecclesiastici e i funzionari di stato. In un territorio così vasto
l'imperatore non mirò a raggiungere un'egemonia, anzi spesso lasciò valide leggi e
ordinamenti preesistenti alla sua conquista, altrove invece istituì dei distretti governati da
conti, che provvedevano alla difesa e alla giustizia. Sui confini tali distretti erano più estesi,
e detti marche, per questo gestiti da marchesi, altri ancora ducati, talvolta governati
proprio come nazioni autonome con a capo duchi con a seguito interi popoli.
In tal modo si gestiva gran parte del territorio imperiale, ma dove c'era bisogno di un
controllo più assiduo venivano mandati i vassalli diretti del re, o le famiglie di fiducia della
corte. Così nelle mani dei funzionari, oltre al potere, fu concentrata anche la gestione di
vaste terre, avute in concessione dal re, o di cui diventavano proprietari.
Man mano l'accumulo di tali provilegi, tra cariche e proprietà, divennero un bene di
famiglia che si tendeva ad ereditare da padre in figlio, e c'è da dire che tale meccanismo non
fu mai contrastato dal sovrano, al quale interessava solo la fiducia dei suoi funzionari. Al
contrario per tenere sotto controllo l'operato dei conti, marchesi e duchi venivano mandati a
supervisionare, detti vassi dominici (fedeli diretti del re).
La sede centrle del potere era il palazzo (palatium), che indicava la dimora dell'imperatore,
l'insieme dei suoi funzionari e di tutta la corte. Tra i suoi consiglieri, tre erano le figure
fondamentali: l'arcicappellano, il cancelliere, il conte/i conti palatini. Poi c'erano i missi
dominici, gli ispettori delle contee, che viaggiavano a coppia, un laico ed un ecclesiastico,
per controllare l'operato di entrambi gli aspetti.
Inoltre al fianco del re c'erano altre numerose figure di ordine secondario, ad ognuno del
quale veina assegnato un ruolo preciso. La sede della corte non era fissa, ma si spostava a
seconda di dove bisognava riscuotere i beni imperiali. Per dare un minimo di omogeneità
all'intero territorio fu avviata aun'intensa attività legislativa, registata nei Capitolari, brevi
articoli emanati nel corso dei Placiti (assemblee annuali). I temi principali riguardavano il
diritto pubblico e l'organizzazione ecclesiastica, solo in minima parte riguardavano in diritto
privato e penale. Non mancarono gli intervanti nel campo economico per migliorare il
settore fiscale e monetario, per avere il controllo regio sulle zecche private.
I capitolari dedicati alla Chiesa si promuovevano come la continuazione dell'operato di
Bonifacio e Pipino il Breve.
La restaurazione ecclesiastica fu molto a cura sia a Carlo Magno che al figlio Ludovico il
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Pio, che preoccupandosi personalmente di scegliere vescovi e abati, mantenevano un forte
controllo sul popolo, non a caso ad ogni espansione territoriale corrispondeva l'immediato
insediamento della Chiesa.
Il progetto di Carlo Magno fu attuato a pieno dal figlio Ludovico il Pio e dal suo consigliere
Benedetto d'Anione, che istituirono delle scuole presso le chiese e i monasteri, frequentate
da discendenti di famiglie nobili e destinati a cariche pubbliche; va ricordato anche che il
vero sogno dell'imperatore carolingio era quello di estendere l'istruzione a tutti i suoi
sudditi.
L'incontro di molti intellettuali presso la corte di Aquisgrana costituì l'Accademia o Scuola
Palatina, che contribuiva alla formazione dei figli dei funzionari di corte. Tra i tanti
intellettuali ricordiamo Eginardo, segretario di Carlo Magno, che alla sua morte ne scrisse
la biografia.
Insieme alla riscoperta per la cultura e all'amore per le opere classiche, ci furono altre varie
innovazioni, tra cui la scrittura carolina, che grazie alla sua facile leggibilità prese a
diffondersi in tutta Europa.
Anche se l'amministrazione di un impero così vasto entrò in crisi dopo la morte di Carlo
Magno, l'onda culturale che era stato capace di avviare non si arrestò, anzi raggiunse il
culmine dopo la metà del IX secolo con Carlo il Calvo. E nei momenti di instabilità
politica saranno gli uomini di Chiesa e intellettuali a portare avanti l'idea di unità imperiale
e culturale.

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La crisi dell'ordinamento carolingio e lo sviluppo dei rapporti feudali

Carlo Magno prima della sua morte divise il regno secondo la tradizione franca tra i suoi tre
figli: Carlo, Pipino e Ludovico il Pio, ma la morte prematura dei primi due concentrò il
potere nelle sole mani di Ludovico, che assunse così anche il titolo imperiale nel 814.
Questi si preoccupò molto del rapporto con la Chiesa, con l'idea di governare insieme una
sola comunità. Inoltre una delle sue prime preoccupazioni fu la successione, ordinò
l'indivisibiltà dell'impero, lasciando l'ereditarietà nelle mani del primogenito Lotario, e agli
altri due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, assegnò il controllo delle zone periferiche.
Lotario intanto venne mandato in Italia dove nel 824, con nuovi Capitolari, imponeva alla
Chiesa la Costitutio Romana, e cioè che il papa doveva giurare fedeltà eterna all'imperatore
e che poi questo dovesse essere consacrato.
Purtropo le cose non andarono come Ludovico il Pio aveva prestabilito, poichè Lotario non
seppe mantenere con fermezza il suo ruolo, e spinto dalla moglie, Giuditta di Baviera, e dai
fratelli, scatenò una rivolta contro il padre, che cercò di evitare lo sfascio aumentando i suoi
uomini di fiducia.
Intanto anche il mondo ecclesiastico cercava di recuperare potere, e Agobardo, arcivescovo
di Lione e Giona, emanò un nuovo principio, e cioè che quando l'imperatore per qualsiasi
motivo non sarebbe riuscito ad adempire i suoi compiti la Chiesa si assumeva il diritto di
intervenire.
Queste furono le basi per la riconquista del potere da parte della Chiesa.
Alla morte dell'imperatore, i fratelli ribelli sovrastarono Lotario, così Ludovico il
Germanico e Carlo il Calvo (successore di Pipino) stipularono un patto nel 838 a
Stransburgo, promettendosi aiuto reciproco davanti ai soldati francesi e tedeschi,
formulando il giuramento in entrambe le lingue. Inoltre nell'843 con il Trattato di Verdun
l'impero fu diviso definitivamente: a Carlo il Calvo la parte occidentale, a Ludovico il
Germanico la parte orientale, a Lotario la parte centrale e il titolo imperiale, anche se in
effetti, visto che il suo territorio era nettamente inferiore a quello dei fratelli, il suo era solo
un titolo onorario.
Alla morte di Lotario gli successe il figlio Ludovico II, che si impegnò in Italia contro i
Saraceni. Alla sua morte nel 876, proseguì la sua opera lo zio Carlo il Calvo. Nell'884,
rimasto il regno senza eredi diretti, salì al trono il figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il
Grosso, riunendo così il vecchio impero di Carlo Magno.
La stabilità però durò poco, infatti presto il sovrano, sottomesso dalle insistenze dei
Normanni e dell'aristocrazia, abdicò e si ritirò in un monastero. Così il regno fu di nuovo
diviso: nella parte orientale prese potere Arnolfo di Carinzia, in Francia divenne re
Oddone e il Regno d'Italia fu affidato a Berengario, marchese del Friuli.
Lo smembramento non si verificò solo a livello politico, ma si riscontrò in molteplici
aspetti, addirittura tra le organizzazioni ecclesiastiche. Inoltre il gran numero di vassalli di
cui si era circondato l'imperatore stava acquisendo sempre di più potere, e i marchesi, i
duchi e i conti si combattevano tra di loro con seguiti armati. Frequenti erano gli scontri
anche con le signorie monastiche signorili, questi però godevano dell'immunità dalle leggi
imperiali, costituendo veri Stati nello Stato, cominciando ad esercitare un'autonomia
amministrativa, giuridica e militare. Queste signorie vengono chiamate Signorie bannale,
che differivano dalle Signorie feudali, anche se molte non erano riconosciute valide nè dal
re e nè dagli altri signori; quindi non erano altro che grandi proprietari terrieri che
esercitavano poteri che in realtà non erano mai stati conferiti loro.
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Da ciò è facile capire che la struttura amministrativa dello Stato era molto instabile, inoltre
disponeva di poco denaro, quindi dovendo pagare ogni funzionario con la terra ogni volta
ne conseguiva una perdita di risorse e potere.
Al di fuori dei confini imperiali continuavano le migrazioni di popoli seminomadi, come nel
casi dell'Europa centrale, occupata dai popoli slavi, e dalla seconda metà dell'IX secolo si
registrarono numerose invasioni da parte degli Ungari, provenienti dalla Russia centrale.
Questi da qui si organizzavano per poi ripartire contro l'Occidente: nel 937 raggiunsero
Parigi; nell'899 l'Italia, prima Pavia e la parte centro-settentrionale e poi nel 922 e 947 fino
in Campania e Puglia; nel 943 s'inoltrarono fino in Spagna e nel 954 in Belgio.
Ecco che in seguito allo sfascio dell'impero carolingio le nuove organizzazioni non
riuscirono a frenare l'onda delle invasioni, che solo grazie all'opera di conversione, e dopo
la riorganizzazione del Regno di Germania con la dinastia di Sassonia, Ottone I riuscì a
bloccare.
Contemporaneamente l'Europa cristiana continuava ad essere mira delle invasioni
musulmane, che dopo aver conquistato la Sicilia nel 902, proseguirono gli attacchi fino al
XI sec.
I Saraceni approfittarono dell'instabilità della penisola per insediarsi sia come mercenari che
come organizzazioni autonome, come nel caso degli Emirati di Bari e di Taranto; invece in
altre zone, come in Campania e in Provenza, costituirono dei ribat, centri da cui partivano
le razzie nei territori circostanti, puntando alle città e alle grandi abbazie. Difficilmente si
riuscì a trovare con loro un accordo, anche le battaglie armate spesso si conclusero a loro
vantaggio, e l'unico modo per fermare i saccheggi era pagare loro tributi in denaro.
Tra i pochi scontri vittoriosi sui Saraceni ci fu quello a Gaeta e Ostia da parte delle flotte di
Napoli, e qualla di Bari e Reggio Calabria da parte dei Bizantini.
Intanto il fronte settentrionale dell'Europa fu messo sotto pressione dai Normanni (o
Vichinghi), popolo proveniente dalla Scandinavia. Organizzati con grandi flotte marine, non
mancavano atti pirateschi, fino a dirigersi verso l'Islanda e la Groenlandia, altri ancora verso
l'inghilterra, Francia e Irlanda, fino a giungere nel Mediterraneo la Catalogna, la Provenza
e la Toscana; inoltre spesso, partendo dalla costa, risalivano i fiumi per invadere i centri
interni.
In Francia per tenerli a bada Carlo il Grosso pagò loro grandi somme per evitare l'assedio di
Parigi, invece Carlo il Semplice per renderli sedentari diede loro un feudo (nella zona
dell'attuale Normandia), e qui in pochi decenni riuscirono a realizzare una salda
organizzazione politica. Una cosa simile accadde per quelli che giunsero in Inghilterra, detti
Danesi, che riuscirono a conquistare la parte centrale dell'isola (Danlow).
I vari regni nati dalla frammentazione dell'impero carolingio non riuscirono a fronteggiare
questi nemici che su ogni fronte insediavano e saccheggiavano, anche se tentarono la difesa
con l'innalzamento di mura, ponti e fortezze. E c'è da aggiungere che molte volte per
sopprimere all'incapacità regia alla difesa, i signori proprietari provvedevano privatamente
e senza permesso a fortificare i loro territori.
Si stava innescando un nuovo meccanismo che spodestava sempre di più l'autorità del
sovrano e dei funzionari pubblici: i signori per costruire un castello si servivano degli
abitanti della zona, ai quali offrivano in cambio protezione; man mano oltre ad assumere un
potere militare su di loro, divenne anche il loro giudice, svolgendo quei compiti che ormai
lo Stato non riusciva più a ricoprire.
Inoltre, in molti casi, il signore provvedeva alla costruzione di una chiesa all'interno del
castello, costituendo sotto tutti i punti di vista un'organizzazione autonoma e
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autosufficiente.
Tale fenomeno è stato definito allodilizzazione del potere (cioè gestito come se fosse un
bene privato). Il castello, sia che indicasse solo la sede del castellano fortificata in cui si
rifugiava in caso di pericolo, sia che indicasse l'intero villaggio presieduto dai militari e
abitanti, aveva un forte impatto non solo politico, ma anche economico e ambientale per
tutta l'area, al punto che venivano modificate le reti viarie per permettere nuovi i
collegamenti.
Per le organizzazioni religiose scomparvero le pievi, piccole chiese a cui facevano
riferimento le comunità rurali, che si trasformarono in parrocchie, alle quali facevano
riferimento tutta la gente del castello.
Anche se il X secolo è visto come un periodo di sfascio e di mancanza di potere da parte
dello Stato, esso fu anche un periodo di grande vitalità.
Come abbiamo visto i signori imponevano il loro predominio su tutti i loro servi o a chi
chiedeva loro protezione, e dava loro un pezzo di terra in cambio di corvèe. Questa usanza
si diffuse a tal punto che gli stessi uomini spesso giuravano fedeltà a più signori.
Contemporaneamente, e a seconda del beneficio ricevuto, prediligevano l'uno piuttosto che
l'altro, creando vari dissidi.
La situazione così si complicava anche per la gestione dei poteri, e solo in alcuni casi
riuscirono ad accordarsi, destinando i diritti maggiori ai proprietari più ricchi e locali,
invece i minori a coloro che non presiedevano in quella zona e avevano meno possedimenti.
Questa esigenza nacque anche a causa delle invasioni esterne, che per essere meglio
fronteggiate, venivano gestite sotto il potere e la giustizia dei signori locali, lasciando agli
altri la bassa giustizia.
Mantenere la stabilità in simili accordi non era facile, anche perchè essi cambiavano a
seconda delle generazioni e della voglia di potere, così si avviò una guerra di tutti contro
tutti, che rende bene l'idea del perchè il X secolo è detto secolo di ferro.
Vista la situazione, anche i rapportii vassallatico-beneficiari entrarono in crisi, poichè anche
la fedeltà, all'inzio ritenuta un legame anche più forte della parentela, ora veniva
commisurata con il feudo ricevuto. Inoltre l'usanza di ritenere il feudo un bene ereditario si
andava sempre di più diffondendo, e con il Capitolare di Quierzy, emanato da Carlo il
Calvo (nel quale permetteva alle famiglie dei soldati vittime della guerra di godere del
feudo fino a quando non avrebbe scelto lui come gestirlo) essa fu interpretata come una
pratica legittima.
Invece per i feudi minori, quelli donati dai vassalli ai loro fedeli, detto valvassori, il diritto
di ereditarietà fu ottenuto nel 1037 con la cosiddetta Costituitio de Feudis, emanata
dall'imperatore Corrado II.
In questa rete così intricata di rapporti politici, gli unici a mantersi saldi erano i complessi
feudali più grandi, che arrivarono ad organizzarsi come dei veri stati.
Un esempio clamoroso si registrò in Francia, dove la famiglia dei Robertingi, che già al
fianco dei Carolingi deteneva un certo potere, nel 987 con Ugo Capeto salì al potere.
In questo caso il territorio di competenza si era ridotto alle terre tra la Senna e la Loira, su
Parigi e Orleans, il resto faceva capo ad altre numerose contee o ducati.
È evidente come fosse impossibile avviare uno sviluppo sociale ed intellettuale in un
territorio così frammentario, ancora di più se si pensa che insieme all'impero carolingio si
era disfatta anche l'organizzazione ecclesiastica. Infatti tra il IX e il X secolo il clero dedicò
le sue attenzioni più che all'attività pastorale alla gestione dei poteri signorili, arrivando
addirittura a dare benefici in cambio di servizi militari. Le stesse cariche ecclesiastiche non
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venivano più scelte dai vescovi, ma dai potenti signori, oscurando completamente
l'importanza religiosa, poichè questi venivano impegnati in cariche pubbliche.
Questa usanza interesso' soprattutto la Germania e l'Italia, nel periodo in cui si affermo'
come imperatore Ottone I, ma ricordiamo che era stata già avviata al tempo di Lotario, che
nell' 824 con la Costitutio Romana obbligava il papa a giurare fedeltà all'imperatore prima
di consacrarlo, quindi il papato sottostava al potere imperiale in tutto e per tutto.

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L'Italia tra poteri locali e potestà universali

In questo periodo l'Italia, più che delle altre regioni europee, presentava un carattere
estremamente frammentario:
- Il settentrione e la parte del centro costituivano il Regno d'Italia.
- Puglia, Basilicata, Calabria meridionale e parte della Campania appartenevano all'Impero
bizantino.
- Le poche restanti terre della penisola erano ancora nella mani dei Longobardi, come il
ducato di Benevento, che poi si divise formando anche quello di Salerno, dal quale poi si
distacco la contea di Capua. Questi scontri interni tra i duchi Longoibardi permisero ai
Saraceni, al Regno d'Italia e all'Impero bizantino di recuperare spazi.
Quando l'Imperatore Ludovico II scese in Italia per combattere i Saraceni e liberò Bari,
portò l'emiro prigioniero a Benevento. Qui governava il principe Adelchi, che per evitare il
sopravvento del potere carolingio, tradì l'imperatore e si alleò con l'emiro, facendo
prigioniero Ludovico II, e rilasciandolo solo quando promise di lasciare l'Italia senza
vendetta.
Nei ducati di Napoli, Gaeta e Amalfi, anche se in teoria sottostavano a Bisanzio, i duchi
amministravano auonomamente e si difendevano nelle lotte contro i Longobardi.
- Poi c'erano le grandi signorie di Montecassino (terra di San Benedetto) e di S.Vincenzo al
Volturno (terra di San Vincenzo), privilegiate fin dai tempi di Carlo Magno, godendo
dell'immunità e della protezione imperiale; ma ben presto caddero anche loro nelle mire
espansionistiche.
- Da non trascurare è la presenza del papato, che rivendicava una funzione universale, sia
politica che religiosa, in buona parte del Lazio, delle Marche e dell'Umbria.
- Intanto gli Arabi nel 902 vevano conquistato l'intera Sicilia e si muovevano lungo le coste
del Mediterraneo.
Il Regno d'Italia dopo l'estromissione al trono di Carlo il Grosso (887) passò sotto la guida
del marchese Berengario, ma dopo poco contro di lui si levò Guido, il duca di Spoleto; alla
morte di questo gli successe il figlio Lamberto, che provò ad invadere i territori pontifici,
ma subito dopo papa Formoso chiamò in suo aiuto il re di Germania Arnolfo di Carinzia,
che fu così riconosciuto re d'Italia e poi anche imperatore.
Colpito da un malanno Arnolfo lasciò campo libero a Lamberto, che questa volta fu invece
sconfitto dal marchese Berengario, che si era sempre tenuto pronto per tornare all'attacco.
Ancora una volta i dissidi interni spodestarono il potere e fu proclamato imperatore
Ludovico di Provenza, anche se le due fazioni opposte si fronteggiarono per molto tempo,
fino a quando Berengario non l'ebbe vinta ancora una volta nel 905. Ludovico di Provenza
fu rispedito in Francia, il Garigliano fu liberato dai Saraceni, Roma fu resa più sicura, e
Berengario ottenne così la corona imperiale da papa Giovanni X; ma nel 924 un nuovo
nemico prese l'attacco, Rodolfo di Borgogna, che lo sconfisse definitivamente.
Anche questa volta la stabilità durò pochi anni, fino a quando prese il potere Ugo di
Provenza, che grazie all'appoggio dei marchesi di Toscana riuscì a governare fino al 946,
ma poichè la sua voglia di imporsi provocò l'ira dei feudatari, che capeggiati da Berengario
d'Ivrea, sostenuto dal re di Germania Ottone I di Sassonia, lo sconfissero, e approfittando
della morte del figlio Lotario, Berengardo divenne re d'Italia.
Era rimasta però Adelaide, vedova di Lotario, che perseguitata dal nuovo re, chiese aiuto al
re di Germania, che subitò ne approfittò sposando la vedova, scese in Italia e sottomise
Berengario; che però fu comunque lasciato alla guida del regno in qualita di vassallo.
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D'altra parte Berengario non si placò e non esitò a tradire il re tedesco, tentando di
recuperare la sua indipendenza e di espandersi ai danni della Chiesa, così Ottone fu
costretto a ritornare in Italia, proprio mentre era alle prese con le invasioni ungare. A questo
punto Berengario d'Ivrea fu estromesso del tutto, ed Ottone raccolse sia la corona di re
d'Italia che quella imperiale da papa Giovanni XII nel 962.
Abbiamo visto come la Chiesa dopo la caduta dell'impero carolingio era rimasta senza
alcun appoggio significativo, e anche da punto di vista di organizzazaione interna ebbe non
pochi problemi a causa della prepotenza dell'aristocrazia romana. Infatti la stessa elezione
romana (se si pensa che se ne successero 21 nel giro di 75 anni) cadde nelle mani delle
famiglie più importanti, tra cui ricordiamo i conti di Tuscolo; inoltre questi signori spesso
compirono usurpazioni ai danni dei possedimenti ecclesiastici.
L'incornamento imperiale per Ottone significò il traguardo per cui aveva faticato a lungo,
fin dalla morte del padre Enrico l'Uccellatore.
Il Regno di Germania, detto anche dei Franchi orientali, comprendeva quella parte del'ex
impero carolingio che andava dal Reno all'isola d'Elba, ed era suddiviso in vari ducati,
anche se ciò non impedì il costituirsi di un idetità nazionale unica tra tutti i popoli del regno.
A tal proposito l'opera di Ottone I di Sassonia fu decisiva, infatti non appena gli fu possibile
mise a capo di ogni ducato membri della sua famiglia.
Una viva collaborazione fu avviata anche con i vescovi, che spesso furono messi a gestire
città o contee, ma d'altro canto avevano l'obbligo di mantenere sempre alta l'attività
religiosa e rimediare all'indisciplina del clero. Anche in questo caso il sovrano sceglieva
personalmente i vescovi e gli abati, arrogandosi anche il titolo di capo della Chiesa tedesca.
Tra gli impegni dei religiosi, Ottone esigeva l'incoraggiamento agli studi, trasformando
molte abbazie in centri culturali dove confluivano intellettuali da ogni parte, molti anche
dall'Italia, come nel caso di Liutprando da Cremona.
Il fatto che Ottone operasse con questa politica (identità nazionale, amore per la cultura,
connubio con la Chiesa) e che avesse raggiunto il titolo imperiale, per molti significò il
ripristino dell'impero di Carlo Magno.
Anche in Italia la politica degli Ottoni si mostrò determinante.
Ottone I arrivò a Roma nel 961 per ricevere dal papa la corona di re d'Italia e l'anno dopo
quella imperiale, e vi rimase 4 anni. In questo periodo tentò di risollevare le condizioni del
papato, di cui se ne mise alla guida, quando Giovanni XII fu deposto. Tornò in Germania
ma dopo poco era di nuovo in Italia, e dopo aver fatto incoronare imperatore il figlio Ottone
II, si dedicò all'area meridionale della penisola, ottenendo che i duchi longobardi di Capua
e Benevento si riconoscessero suoi vassalli.
Con i Bizantini invece, dopo la sconfitta a Bari nel 968, tentò qualche trattativa mandando il
suo consigliere Liutprando di Cremona a Costantinopoli, ma l'Imperatore Niceforo Foca
non accettò compromessi, che invece furono possibili con il suo successore Giovanni
Zimisce. Questi riconobbe Ottone come imperatore e acconsentì alle nozze tra Ottone II e la
figlia Teofane, che portava in dote le terre bizantine dell'Italia meridionale.
Alla morte di Ottone I nel 973 il ruolo del suo successore non fu facile, che dovette
fronteggiare da una parte l'insorgere dei duchi tedeschi, che rivendicavano la loro
autonomia, dall'altra la situazione italiana. Qui infatti la stabilità durò poco, visto che
l'aristocrazia riprese le sue prepotenze, arrivando addirrittura ad uccidere il papa filo-
imperiale Benedetto VI.
Intanto i principi Longobardi riconquistarono la loro indipendenza, i Saraceni continuarono
le loro razzie in Calabria, e i Bizantini vennero meno ai patti presi con Ottone.
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Ottone II morì prematuramente mentre preparava una battaglia contro i Saraceni; lasciò
come erede Ottone III sotto la tutela della madre Teofane e poi della nonna Adelaide.
Giunto a governare Ottone III tentò subito di ripristinare il vecchio connubbio tra regno e
clero, nominando papa un suo parente, Gregorio V e poi suo successore Silvestro II (uno
degli uomini più colti del tempo). Per governare gomito a gomito con il papa trasferì la sua
sede sull'Aventino. La sua fu una politica assolutistica se non addirittura utopistica, infatti
egli voleva assoggettare tutte le monarchie dell'impero che nel tempo avevano conservato
una loro autonomia. Tutto ciò provocò enormi dissensi sia tra l'aristocrazia tedesca che tra i
feudatari italiani, che nel 999 in risposta di ribellione si organizzarono capeggiati dal
marchese Arduino di Ivrea. Nel 1001 si riunirono anche i romani costringendo Ottone III a
ritirarsi in un monastero, dove a soli 22 anni morì senza eredi.
Gli successe il cugino Enrico II che concetrò le sue attenzioni sulla Germania, sostenuto
sempre dai vescovi ai quali concesse ancora più poteri, ma tenendo salda la disciplina e la
cultura del clero. Intanto in Italia i movimenti autonomistici dell'aristocrazia continuavano,
fino ad arrivare all'incoronazione a Pavia nel 1002 di Arduino di Ivrea, considerato il
primo re nazionale. Di certo costui non fu appoggiato da molti, visto che i feudatari
ecclesiastici favorivano il sovrano tedesco, che nel 1004 sconfisse Arduino e ottenne la
corona di Re d'Italia.
Enrico II si fece incoronare imperatore nel 1014 da Benedetto VIII appartenente alla
famiglia dei conti di Tuscolo, come anche il suo successore Giovanni IXX. Questo stava a
dimostrare come l'aristocrazia romana detenesse ancora parecchio potere dovuto al fatto che
in Italia non si fossero formate grandi oragnizzazione territoriali, lasciando autonomi i
signori feudatari.
Gli unici territori più definiti erano le marche del Friuli e della Toscana, a seguire i minori
di Torino, Ivrea, Monferrato e Spoleto. Quello che diede forza a tali organizzazioni furono
le numerose fortificazioni che costruirono per fronteggiare le invasioni, e la vitalità delle
città, che si cominciava a distinguere anche con un forte senso di appartenenza. A tal
proposito c'è l'esempio di Milano, dove l'arcivescovo Ariberto d'Intimiano, insieme con gli
altri signori feudali, si trovò in contrasto con i valvassori, che pretendevano di trasmettere
ereditariamente i propri beni.
Corrado II, il nuovo imperatore tedesco, approfittò dei dissidi per indebolire i grandi
signori della Lombardia, e nel 1037 con la Constitutio de feudis, concedeva il diritto di
ereditarietà dei feudi minori; inoltre depose e processò l'arcivescovo. Ma la situazione si
capovolse quando in suo soccorso arrivarono i cittadini milanesi, quelli che poi con la
nascita del comune si porrano a capo della città.
Manifestazioni di identità nazionale si verificarono anche in altre zone della penisola,
soprattutto nel meridione sotto il dominio longobardo e bizantino, dove la vita urbana era
tra le più sviluppate d'Europa nel X secolo.
L'influenza bizantina e araba favorì molto queste aree dove cominciarono a nascere nuovi
ceti di artigiani e commercianti, i quali acquistarono consapevolezza del peso politico ed
economico che potevano assumere.
Nelle campagne delle zone longobarde era assai diffusa l'usanza delle signorie fondiarie,
come in tutto l'ex impero carolingio e quindi fu facile l'indebolimento dei principi locali.
Invece nella zona di dominio bizantino (Puglia Basilicata e Calabria) divisa in tre temi,
Longobardia, Lucania e Calabria, ognuno con a capo uno stratega mandato da Bisanzio, la
stabilità del governo risultava più salda, visto il diretto controllo che si riusciva ad
esercitare, anche il sistema amministrativo risultava più evoluto grazie alla circolazione
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monetaria dovuta ai commerci con l'Oriente.

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Splendore e declino di Bisanzio

Alla fine dell' VIII secolo l'Impero bizantino comprendeva circa 1/3 del territorio dominato
al tempo di Eraclio (610-641), in seguito ai vari attacchi degli Arabi, Slavi e Bulgari. Ma
verso la metà del IX sec. dopo una lunga resistenza riuscì a recuperare alcune terre ed a
rinnovare l'amministrazione del governo.
Una tecnica, già utilizzata da Maurizio e Eraclio, che si andò sempre più diffondendo, fu
l'istituzione dei temi, dando nelle mani degli stratega poteri civili e militari, e rendendo i
soldati, detti stratioti, colonizzatori e proprietari di terre, che potevano ereditare ai figli
insieme all'obbligo del servizio militare. Oltre a questi si andava formando una classe di
piccoli proprietari, che risultarono fondamentali per l'economia dello stato.
Complessivamente l'Impero bizantino si concentrò sulle risorse interne acquistando una
forte identità orientale e rurale. Infatti anche dal punto di vista linguistico si passò dal latino
al greco e dall'appellativo "Imperator" al titolo "Basileus"; lo stesso accadde per le leggi,
superando il diritto romano e introducendo la pena dell'accecamento e del taglio del naso.
Uno dei temi principali in questo periodo per l'Impero bizantino fu la lotta al culto delle
immagini (controversia iconoclasta).
Il dissenso partì dalle province orientali, poichè più influenzate dall'Islamismo e dal
Giudaismo, inoltre queste zone poichè più esposte alle invasioni esterne ricoprivano un
notevole peso politico sull'intero stato.
Il movimento prese pienamente forma quando salì al trono Leone III l'Isauro, proveniete
da una famiglia di stratioti e giunto al potere facendo carriera nell'esercito.
Il nuovo sovrano, forse sia per motivazioni spirituali, ma soprattutto per ridare unità allo
stato, indebolendo anche così la potenza dei monaci, che ormai avevano raggiunto quasi una
totale indipendenza e grande popolarità, emanò nel 726 un decreto che vietava il culto delle
immagini di ogni genere (sulle tavolette di legno e negli affreschi), ordinandone la
distruzione. Fu inevitabile lo scontro tra il patriarca di Costatinopoli e il papa Gregorio III
che presto scomunicò l'imperatore e i suoi sostenitori.
Il figlio di Leone III, Costantino V, proseguì sulla stessa ideologia del padre, inoltre
collezionò importanti vittorie contro gli Arabi e i Bulgari, e diminuì ancora di più il potere
e le ricchezze dei monaci. Pero' gli imperatori Isaurici se da una parte avevano conquistato
la stabilità sul fronte orientale, d'altra parte ebbero il malcontento delle regioni occidentali,
come l'Italia e la Grecia.
A seguire gli successe Costantino VI, sotto la tutela della madre Irene, che fatto uccidere il
figlio, divenne lei stessa imperatrice.
A questo punto l'ideologia degli imperatori Isaurici venne abbandonata, fu fatto patriarca un
iconodulo e con il VII Consiglio di Nicea nel 787 l'iconoclasmo fu condannato come
eresia.
La situazione però non era affatto stabile, la stessa imperatrice non era riconosciuta come
tale, nemmeno dal papa che in questo periodo coronò il sogno di Carlo Magno, rendendolo
Imperatore. Questi volendo stabilire una collaborazione con Bisanzio pensò di sposare
l'Imperatrice, ma questa fu deposta nel 802, costringendo Carlo Magno ad aspettare
l'imperatore Michele I nel 812 per stabilire un accordo di collaborazione.
Dopo di che, con al potere bizantino Leone V si ebbe l'avvento del II iconoclasmo,
combattuto definitivamente da Michele III.
Con la fine di questa lunga disputa coincise un periodo di tregua da parte del nemico arabo,
la ripresa della grande proprietà terriera, ma anche la crisi dei piccoli proprietari, come
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stratioti e contadini liberi.
Si cercò di tutelare queste classi minori con alcune leggi, ma molti preferirono comunque
affidarsi alla protezione dei grandi signori, cedendo loro quello che avevano.
Con alcuni provvedimenti legislativi, gli imperatori successivi, Giovanni Zimisce e Basilio
II, cercarono di contenere il crescente potere dell'aristocrazia, ma i signori continuarono il
loro predominio nelle campagne, anche se qui non si registrò mai la stessa situazione
dell'Occidente, poichè l'apparato pubblico non smise mai di essere efficiente. Infatti
l'Imperatore bizantino aveva raggiunto una potenza elevatissima, ponendosi come
rappresentante di Dio sulla terra, capo dell'esercito e dell'aministrazione, garante della
giustizia e della pace e difensore della Chiesa. Invece anche se il papato cercò di non
lasciarsi mai sovrastaredel tutto dal potere politico, esso rimase sempre sotto il suo dominio,
dal quale dipendevano le elezioni dei patriarchi e dei papi.
A rafforzare lo Stato contribuirono le numerose vittorie militari e marine, tra cui ricordiamo
la ricnoquista di Edessa da parte di Romano Lecapeno (943-4), il recupero di Creta, Aleppo
e della Siria con Nicefero Foca (961), la riconquista del Libano e della Palestina fino a
Gerulasemme con Giovanni Zimisce.
In Italia ci fu la conquista delle zone meridionali con base a Bari, sul fronte settentrionale
combatterono contro i Russi e gli Slavi.
Grazie ad un'alleanza messa in piedi da Romano Lecapeno, che portò alla resa dei Bulgari,
si giunse ad un compromesso, sulla base del quale riuscirono a frenare i loro attacchi
espansionistici. Tentarono di riprendere più volte l'assalto, ma poi nel 1014 furono
definitivamente sconfitti e sottomessi all'imperatore Basilio II.
Fu messa sotto controllo tutta l'aera balcanica e la Chiesa bulgara cadde sotto il patriarca di
Costantinopoli. Se la Chiesa d'oriente si espandeva sugli Slavi, quella romana si protraeva
tra i Franchi, costituendo due fazioni opposte. Il conflitto si scatenò quando Re Boris a capo
della Chiesa Bulgara, oltre agli accordi con Costantinopoli cercò di mantenere i contatti con
Roma, arrivando al punto che il patriarca Fozio fece scomunicare Papa Nicolò I, rifacendosi
alla disputa filioque, con la quale la Chiesa d'Oriente non condivideva il principio che lo
Spirito Santo provenisse anche dal Figlio oltre che dal Padre (così come riconosceva il
Concilio di Nicea del 325). Ma presto intervenne l'Imperatore Basilio I, che non volendo
rompere del tutto i rapporti con il papato, depose Fozio. Le tensioni si placarono almeno
durante il perido di crisi del X sec. , ma poi ripresero ancora più vive aggiungendo alle
vecchie dispute il problema del matrimonio dei preti e l'uso del pane lievitato nella
celebrazione eucaristica.
La situazione esplose quando a capo delle due Chiese si trovarono da una parte papa Leone
IX, che rivendicava il potere universale di Roma, e dall'altra il patriarca Michele
Cerulario, che ordinò la chiusura delle chiese che celebravano il rito latino.
I contrasti crescevano e il disaccordo maggiore era sempre quello del filioque; nonostante i
tentativi di riconciliazione dell'imperatore Costantino X, il papa scomunicò Cerulario, e
viceversa. Si realizzò cosi nel 1054 lo scisma definitivo delle due Chiese.
La struttura papale venne ad oraganizzarsi quasi come una monarchia, venendo accusata
dalla Chiesa Orientale di allontanamento dalla vecchia ortodossia.
I successi dell'Impero si configuravano anche sul piano economico internazionale,
denotandosi come il più importante centro commerciale del Mediterraneo.
Le città come Costantinopoli, oltre ad essere punti di scambio, divennero sedi di attività
artistiche e culturali, alle quali si dedicavano gli stessi imperatori: Leone VI come filosofo,
teologo e giusrista; Costantino VII come autore di opere letterarie e scientifiche; e poi va
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ricordata la figura di Michele Psello a cui si deve la rinascita delle antiche scuole di
Costantinopoli.
Proprio in uno dei periodi di maggior splendore culturale, cominciarono a venir fuori segni
di instabilità politica. Dal 1056 e per vari decenni ci fu la lotta al potere tra la nobilità di
Costantinopoli e l'aristocrazia fondiaria delle provincie, che riuscì a sopraffare e a sostenere
la proprietà contadina.
I fondi dello Stato andavano diminuendo e le pressioni sulle frontiere stavano riprendendo,
ritrovandosi sul fronte orientale i Turchi, che avevano già sconfitto gli Arabi cnquistando
Baghdad, mirando poi all'Egitto, e impadronendosi di Siria, Palestina fino allo scontro
diretto con i bizantini; poi dall'Italia meridionale provenivano le pressioni dei Noramanni,
che cacciati i Bizantini dalla penisola si impadronirono di Durazzo, puntando poi a
Costantinopoli, ma vennero fermati grazie all'aiuto che l'Imperatore Alessio Comneno
chiese a Venezia, che in cambio pero' pretese privilegi altissimi. Questo permise ai
Veneziani di commerciare liberamente in tutto l'Impero, senza alcuna tassa, fino ad arrivare
al punto di avere il pieno controllo dei mercati bizantini.

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L'APOGEO DELLA CIVILTÀ MEDIEVALE

Incremento demografico e progressi dell'agricoltura nell'Europa dei secoli XI-XIII

Tra le nuove organizzazioni politiche dell'XI sec. che colpirono profondamente l'Impero
bizantino abbiamo trovato due potenze occidentali, i Normanni e i Veneziani, che per la
prima volta dopo la caduta dell'Impero Romano riuscirono a prevalere sull'Oriente. Ciò
segnò l'inizio di una nuova era e di nuovi scambi commerciali.
Superato il cosiddetto secolo di ferro, e la paura apocalittica della leggenda dell'anno
Mille, si registrò una notevole ripresa, come l'aumento demografico, l'evoluzione delle
tecniche agrarie e nuovi commerci.
Le città si ripopolarono e le terre per la coltivazione furono ampliate, inoltre tra l'XI e il XII
secolo nacquero molti altri villaggi, e anche la qualità della vita migliorò, visto l'aumento
della sua durata media.
C'è da dire anche che tali fenomeni non furono omogenei in tutte le regioni d'Europa, dato
che le situazioni, sia geografiche (terre coltivabili), che politiche (invasioni esterne) erano
molto differenti tra le varie zone.
Nel caso in cui le terre per l'agricoltura non abbondavano si cercava di trovare un accordo
tra il proprietario, o gli enti ecclesiastici, e il coltivatore. Infatti chi possedeva curtes o
villaggi ne cedeva una parte, mettendo il contadino in condizione di lavorarla, e questi lo
pagava solo quando cominciava il raccolto.
Ecco che lo spostamento di numerosi coloni venivano a costituire nuovi centri abitati, detti
villenuove o borghi franchi, gestiti sotto il cordinamento dei signori proprietari.
Ad occuparsi della terra furono anche i nuovi ordinamenti monastici, i certosini e i
cirstensi, i quali seguendo uno stile di vita all'insegna del lavoro e della povertà (secondo la
regola benedettina), si rifugiavano in zone molto isolate, dovendo così provvedere ad ogni
necessità. Oltre ai dislocamenti e alla rivitalizzazione dell'agricoltura da parte dei coloni, in
alcune zone vennero realizzate grandi opere, un esempio eclatante è quello della costa dei
Paesi Bassi; qui il paesaggio era caratterizzato da estese paludi e acquitrini, e ci vivevano
solo pescatori e produttori di sale. Nel giro di 2-3 secoli la zona fu completamente
bonificata con dighe e canali di drenaggio, e liberate le terre dal sale si procedette all'avvio
della coltivazione e dell'allevamento, ottenendo ottimi risultati. Tutto ciò fu possibile grazie
all'investimento economico dei Conti di Fiandra, nonchè proprietari di queste zone.
Simili sviluppi si registrarono anche in Spagna, dove i Cristiani erano alle prese con la
riconquista delle terre invase dagli Arabi, e in Germania che allargò le sue frontiere sia
verso il Baltico che verso i popoli slavi.
Per tali opere i principi territoriali si servirono di una grandissima quantità di uomini che,
ottenendo privilegi signorili, erano addetti a creare colonie di contadini.
Seguendo questa politica i domini cominciarono ad ampliarsi, e con essi anche
l'evangelizzazione dei popoli.
Il fatto che gruppi sostanziosi di contadini erano disposti ad affrontare lunghi viaggi per poi
stanziarsi in terre sconosciute e ostili, era giustificato dall'incremento demografico e dalla
loro voglia di sottrarsi al potere signorile, al punto che questi dovettero mettere sotto
controllo le partenze, e a cominciare a rilasciare una serie di diritti ai loro dipendenti.
In tal modo dove più e dove meno la struttura della curtis fu modificata, e grazie ad una
maggiore autonomia di gestione delle terre, i contadini più capaci incrementarono
notevolmente la produzione e i guadagni.
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A sostenere lo sviluppo agricolo ci fu anche l'introduzione di nuove tecniche e attrezzature:
gli aratri capaci di rimuovere dalla terra le radici degli alberi rimossi per le bonifica; fu
abolito l'uso della bordatura, cinghia che stringeva alla gola l'animale durante il traino,
adottando il collare rigido appoggiato invece sulle spalle, e consentendo di usufruire anche
del cavallo oltre che del bue, provvedendo così alla ferratura dello zoccolo, grazie alla
maggiore circolazione del ferro, dovuto al crescente lavoro nelle miniere. Inoltre per
mantenere l'allevamento dei cavalli fu necessario modificare la gestione delle colture, per la
produzione di foraggio, che da rotazione biennale passò a triennale, riducendo la superficie
improduttiva e ottenendo più varietà di prodotti.
Tale tecnica però non era dottabile per tutte le zone, così si formarono due modelli di
agricoltura:
- quella dell'Europa centro-settentrionale, caratterizzata dalla rotazione triennale, dall'uso
dell'aratro pesante e dai campi aperti, cioè a strisce lunghe;
- quella dell'Europa mediterranea, con rotazione biennale, con l'uso dell'aratro leggero, e
con campi quadrati o chiusi.
In entrambi i casi i risultati furono soddisfacenti, anche se quello che mancava era il
concime, e quello degli animali era scarso, poichè questi spesso venivano allevati senza
recinti; inoltre l'aumento della coltivazione di cereali impediva di mantenere troppi animali.

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La ripresa del commercio e delle manifatture

Lo sviluppo agricolo registrato tra l'XI-XIII secolo migliorò anche le condizioni


dell'artigianato e delle città, contribuendo all'incremento dell'attività commerciale, poichè
venivano messe in vendita le produzioni in eccesso e comprati tutti i beni di cui non si
disponeva, come gli oggetti di metallo, di ceramica e determinati tessuti.
Tra i popoli più attivi c'erano:
- i Veneziani, diretti mediatori dell'Europa centrale con il mondo bizantino;
- gli Amalfitani, che collegavano l'Italia meridionale con i mercati arabi e bizantini;
- i Frisoni, che stanziati nei pressi del mare del Nord scambiavano prodotti con la
Germania;
- i Vichinghi, che con le loro flotte misero in collegamento il mar Baltico con i Bizantini e
gli Arabi;
- gli Ebrei, che svolsero un'attività di scambio inter-continentale, importando in Occidente
beni di lusso (profumi, spezie, stoffe) ed esportando in Oriente schiavi, pellicce e armi.
Oltre ai grandi commerci nel X secolo cominciò a delinearsi la figura del mercante di
professione e così anche le fiere incisero sull'economia. Si distinsero due grandi fazioni:
- nell'area mediterranea, dove troviamo l'attività di Costantinopoli, dei musulmani e quella
dell'Occidente cristiano;
- nella zona nordica c'erano i commerci dell'Atlantico e quelli del mar Baltico.
C'è da dire che non mancarono gli scambi tra zone lontanissime, ed ecco che risultutò
strategica la posizione geografica di Champagne, in Francia, che fu un vero e proprio punto
di snodo, dove si incontravano mercanti di tanti popoli diversi, costituendo così un'identità
europea.
L'Italia contribuì a tale sviluppo grazie all'apporto che diedero i mercanti longobardi,
inventori del sistema di compensazione, con il quale si calcolavano i debiti e i crediti di
ogni commerciante.
Nel Mediterraneo si vennero definendo non solo altre rotte e nuovi prodotti di scambio, ma
anche nuovi mercanti, come i Veneziani, che ormai avevano preso il sopravvento su tutto il
commercio bizantino, fino in Egitto, poi si aggiunsero i Genovesi, i Pisani, i Francesi e i
Catalani. Proprio nelle mani dei Genovesi fu perfezionato il commercio tra l'area
mediterranea e quella nordica, sperimentando nuove rotte nell'Atlantico, oltre lo stretto di
Gibilterra.
Ciò portò ad un necessario miglioramento dei mezzi di trasporto, per rendere i viaggi più
sicuri ed economici. Si trattò comunque di un'evoluzione lenta, la prima tra tutte fu
l'introduzione della bussola (XII sec. forse proveniente dalla Cina), dei portolani (XIII sec.)
cioè delle guide per naviganti, compilate da uomini esperti, che con le loro descrizioni
aiutavano le navigazioni sui vari aspetti, poi delle carte nautiche e la costruzione di navi più
manovrabili. Tuttavia la maggior parte degli scambi avvenivano via terra con bestie da
soma e carri, quindi si cercò di migliorare i collegamenti viari e crare nuovi punti per il
ristoro e il cambio di animali.
Proprio in questo periodo furono battuti i più importanti assi viari europei.
A partire dall'XI secolo il commercio non prevedeva solo articoli preziosi e di facile
trasporto, ma anche grossi quantitativi di alimenti:
- il grano, che dall'Italia meridionale partiva per Genova, Venezia e Pisa, e dalla Dalmazia
verso il Mare del Nord;
- il sale, prodotto in Sicilia, e che fu spesso motivo di disputa tra Genova, Venezia e Pisa;
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- il vino, portato dalla Grecia, Rodi, Cipro, Francia e Italia meridionale;
. i prodotti tessili (lana, cotone e materie tintorie), le più pregiate provenivano
dall'Inghilterra, come anche il cotone siriano, che compravano i Genovesi e i Veneziani;
- gli schiavi (negri, slavi, turchi, greci, spagnoli) comprati e venduti nei mercati dell'Europa
centrale, della Spagna, dell'Asia Minore e dell'Africa settentrionale.
Si vennero a creare così zone a produzione specializzata all'interno di un unico sistema
economico; chi provvedeva a tali scambi e attenuava le differenze che caratterizzavano le
varie realtà politiche e sociali fu proprio la figura del mercante.
Un modo per sfuggre agli attacchi dei pirati e dei briganti durante i viaggi, fu quello di
ridurre al minimo la circolazione di denaro monetario, introducendo il sistema della lettera
di cambio, che veniva stipulata davanti ad un notaio e con la quale si determinava la
somma da ricevere, inoltre questa poi poteva essere più volte riutilizzata e girata tra vari
commercianti, riconducendo l'uso della moneta solo per il saldo.
Per evitare gli attacchi alle navi invece si provvedette alla loro fortificazione, e in casi come
Venezia, in assicurazioni marittime. Inoltre furono costituite delle vere e proprie società, in
modo che il mercante non si ritrovasse più ad essere l'unico investitore, ma diversi uomini
contribuivano e guadagnavano con una quota scelta, tale meccanismo era detto commenda.
Si passò in seguito alla societas maaris o contratto di compagnia, che non prevedeva più
l'accordo per un solo viaggio, ma per un certo periodo o un dato numero di affari. Tali
società erano molto diffuse anche tra i commerci terrestri, arrivando a coinvolgere anche
semplici risparmiatori, avviando una sorte di attività bancaria, accettando soldi e
concedendo prestiti, sia a privati che a sovrani, ai quali però venivano chiesti in cambio
facilitazioni commerciali. Solo nel corso del '400 la banca comincia ad assumere una sua
autonoma identità.
Uno sviluppo commerciale di tali dimensioni non poteva essere sostenuto dal sistema
monetario carolingio, basato sulla libra d'argento. Inoltre man mano i signori
aggiudicandosi il dirirtto di coniare, portarono sul mercato esemplari di monete
completamente differenti tra loro, sia di peso che di valore. D'altra parte però tra i mercati
internazionali girava la moneta d'oro di Bisanzio, che solo quando subì un duro colpo si
cercò di soppiantarla con il Grosso d'argento (Venezia 1202), l'esempio fu seguito da molti,
ma la soluzione non fu del tutto efficace, visto che il prestigio della moneta orientale
continuava a persistere. Si dovette aspettare alcuni decenni, quando i mercanti italiani
avrebbero padroneggiato i mercati e Federico II si sarebbe affermato a livello
internazionale. Infatti nel 1231 fece battaere in Sicilia l'Augustale, poi il Fiorino fiorentino,
il Genoino genovese e il Ducato veneziano.
Il mondo del commercio implicava una grande attività artigianale delle città, che
s'incrementava anche grazie alla richiesta che proveniva dal mondo contadino. Gli artigiani
si andavano sempre di più specializzando nei vari settori, lavorando anche per grandi
commesse. Ecco che si vennero definendo delle vere industrie.
Il settore più produttivo in Italia nel XIII secolo fu quello tessile, lana, cotone e in parte
minore anche la seta. Un grande evento fu segnato proprio dalla lavorazione della lana,
della quale si cominciava ad avere una grande richiesta, e si costituirono così gli opifici
decentrati. I mercanti intrapresero il ruolo di imprenditori capitalistici, organizzando il
lavoro dei vari artigiani e della loro specializzazione, alla fine il prodotto arrivava nel sue
mani per essere immesso sul mercato. Il settore dell'artigianato divenne una vera a e propria
organizzazione, la cui base era la bottega con a capo il titolare (maestro) dal quale
dipendevano dei collaboratori, apprendisti e salariati.
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I vari maestri delle vaarie categorie si riunivano, come nelle antiche associazioni romane, in
corporazioni di arti e mestieri, assumendo oltre che potere economico delle città, anche
valore politico e amministrativo. Inoltre costituirono un tribunale che decideva le ragioni
nei dissidi tra titolari e subordinati, i più potenti poi detenevano una cappella, un ospedale e
un proprio gonfalone.
Il fenomeno si diffuse soprattutto nei Paesi Bassi, in Germania e in Italia centro-
settentrionale.
Fu inevitabile che anche a livello tecnologico ci dovettero essere delle evoluzioni tra cui
l'utilizzo dell'energia idraulica, fino ad ora utilizzata solo per i mulini ad acqua, invece ora
veniva sfruttata per muovere macchine che lavoravano tessuti, metalli, carta, etc. A questo si
aggiunsero nel XII sec. i mulini a vento, che accellerarono ancora di più la produzione, in
particolare sulle coste dell'Atlantico.

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Lo sviluppo dei centri urbani e le origini della borghesia

Le città europee, in quanto vere e proprie organizzazioni, cominciarono ad assumere


importanza solo a partire dall'XI secolo, e fino a quel momento non erano state per nulla
paragonabili a quelle bizantine o arabe.
C'è da dire che, durante l'Antichità, in Occidente il fenomeno urbano non fu mai molto
intenso e per niente omogeneo, per questo motivo con la fine dell'Impero Romano nelle
aree marginali le città scomparvero del tutto, e anche quelle che sopravvissero furono
fortemente ridimensionate.
In Italia solo Roma riuscì a mantenere alto il suo prestigio soprattutto, anche se perse molto
rispetto all'epoca imperiale. Altre città invece scomparvero del tutto (Paestum), altre
cambiarono sede (Capua), altre acquistarono valore (Firenze), altre ancora lo persero
(Aosta). Anche se c'è da dire che le città romane dal punto di vista economico erano solo
punti di consumo, a differenza delle città medievali, intese come centri di produzione e
scambi, fino ad arrivare ad occuparsi di questioni amministrative.
L'Italia meridionale fu una delle poche zone dove la vita urbana ebbe una certa continuità,
prima con l'Impero Romano, e poi anche se invase dai barbari, rimasero all'interno delle
organizzazioni bizantine o musulmane. Ad essere molto avvantaggiate furono le zone
costiere della Campania e della Puglia, qui le attività manifatturiere vivevano un grosso
sviluppo (gli Arabi diedero il nome a "Napoli del lino"), che andava dall'industria tessile a
quella estrattiva, dall'attività artistica alle costruzioni navali. Ma il mercato delle
esportazioni ebbe inizio veramente quando gli Amalfitani intrapresero il mercato con
Costantinopoli e nei porti arabi, nei quali avveniva uno scambio complementare, da una
parte le stoffe pregiate, dall'atra l'unicità dei prodotti agricoli campani. Ad Amalfi faceva
concorrenza sia Gaeta che Bari, che era riuscita ad ingranare un buon mercato con
Costantinopoli, fino a battere i Veneziani. Nonostante il fiorente sviluppo del ceto
mercantile nell'Italia meridionale l'aristocrazia fondiaria riusciva ancora a detenere ogni
potere sociale e politico.
Nel corso dell'XI secolo alcune città centro-settentrionali dell'Italia stavano organizzando il
loro predominio in maniera crescente. Venezia con la sua flotta, fin dall'867 bloccò
l'avanzata delle navi saracene lungo l'Adriatico, stabilì scambi con la Grecia, Sicilia,
Tunisia, Egitto e in più verso Pavia e Cremona. Il vero controllo sul Mediterraneo orientale
fu poi coronato dalla Bolla d'Oro del 1082, con la quale gli veniva concessa piena gestione
dei commerci dell'Impero Bizantino. Sull'altro fronte si andavo invece consolidando Pisa e
Genova, che ci concentravano di più sugli scambi con l'Europa continentale. Queste due
insieme liberarono il Tirreno dai pirati saraceni, Pisa puntò verso la Sicilia e la Tunisia,
Genova invece alla Spagna meridionale.
Il commercio si era consolidato nelle mani di Veneziani, Pisani e Genovesi, mettendo da
parte Amalfitani, Baresi e Gaetani. La loro potenza si rafforzò in seguito alla crociata del
1079-1099, quando stabilirono delle colonie in Siria e in Palestina. Inoltre nel 1137 Amalfi
fu completamente sopraffatta e saccheggiata dai Pisani, anche se questi dopo la Battaglia di
Maloria nel 1284 dovette lasciare campo libero a Genova, rimasta unica concorrente di
Venezia. Come abbiamo già detto il ruolo dei vescovi, sia nelle città nuove, che in quelle
vecchie, ebbe un'importanza essenziale, poichè oltre alla funzione religiosa, spesso si
occupavano anche dell'aspetto amministrativo e pubblico, e questo fece si che le città in
Italia non si spopolassero, come invece accadde in molte altre zone d'Europa. Inoltre le città
in questione, oltre ad avere vescovi che accontentavano i cittadini, erano anche fiorenti
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punti di scambio, quindi la presenza dei mercanti offriva l'opportunità per una vita migliore.
Oltre alle città costiere, in Italia procedevano allo sviluppo anche Pavia (grazie alla sua
posizione intermedia tra Germania e Francia), poi Piacenza, Mantova e Cremona, che però
furono travolte dall'ascesa di Milano. Nella parte occidentale si affermò Asti, in Toscana
oltre Pisa e Firenze, anche Lucca e Siena.
Il fenomeno dell'urbanizzazione coinvolse anche la Francia meridionale e la Germania, e
accadeva quando un signore feudale faceva costruire un centro fortificato liddove
avvenivano scambi commerciali, o quando un gruppo di mercanti creava un insediamento
nei pressi di un edificio fortificato. Questo tipo di insediamento veniava chiamato borgo, ed
era il luogo dove si riunivano sempre più mercanti, crescendo sia dal punto di vista
economico che territoriale.
In questo modo si popolarono anche le regioni delle Fiandre, invece man mano che ci si
spostava nelle zone dell'Europa orientale le città diminuivano; scarsa fu anche
l'urbanizzazione dell'Inghilterra, tanto che agli inizi del '300 l'unica grande città era Londra.
C'è da dire però che in tutto l'Occidente non si crearono mai megalopoli, tanto che le più
popolate risultavano Milano, Firenze e Parigi con 100.000 abitanti. L'aumento demografico
di queste città, oltre che per un crescente tasso di natalità, era dovuto all'arrivo degli
immigrati delle campagne, in cerca di una vita migliore; infatti nelle città si poteva usufruire
di altri diritti e non si era obbligati a sottottostare alle leggi feudali. Oltre ai contadini nelle
città c'erano anche i borghesi che si dedicavano all'artigianato e al commercio. Si venne a
creare così una popolazione sempre più ricca e specializzata, basata su tre ordini: coloro che
pregano e predicano (oratores), coloro che combattono (bellatores) coloro che lavorano al
terra (laboratores), e a questo gruppo furono poi associati anche anche gli artigiani.
Questa tripartizione sociale e la difesa muraria della città rappesentavano le differenze più
eclatanti con il mondo rurale.
Quasi tutte le più grandi città, sia di fondazione romana che medievale, tra l'XI e il XII
secolo cercarono di ottenere una certa autonomia dai principi e dai signori territoriali.
Tralasciando i Comuni italiani, che furono gli unici in Europa ad avere un elevato sviluppo,
vediamo come questo fenomeno si sviluppò nelle altre aree.
Nelle Fiandre e nella Francia del nord furono i cittadini, che guidati dai personaggi più
ricchi, stipularono dei contratti interni, al fine di mantenere un equilibrio e di ottenere
indipendenza dai signori, l'insieme di tali accordi costituiva la Carta Comune. Quando si
giungeva ad un punto di intolleranza lo Stato ricorreva alla repressione armata. Spesso
succedeva che l'amministazione intera della città era nelle mani di un unico signore, che
concedeva la Carta Comune in cambio di denaro.
In Germania la situazione era simile alla Francia del nord, e spesso la politica comunale era
nelle mani di poche famiglie di grandi mercanti o proprietari terrieri.
Anche dove le comunità cittadine non riuscivano ad affermarsi del tutto, ottennero almeno
la libertà di eleggere giudici e organismi amministrativi.

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Il rinnovamento della vita religiosa e la riforma della Chiesa

Lo sviluppo complessivo dell'economia e delle società richiedeva inevitabilmente


un'innovazione anche negli altri campi, così come accadde per il mondo ecclesiastico.
Il X secolo aveva rappresentato un momento di forte crisi, visto che le stesse istituzioni
poliche avevano perso potere in seguito all'ascesa dei potenti signori, così l'ordinamento
ecclesiastico si trovò senza nessun sostegno e permeato di ignoranza e corruzione: la
diffusione dell'uso simonia, cioè somma di denaro che permetteva di entrare nel clero;
chierici ammogliati o concubinari (soprattutto in Italia meridionale per influenza della
Chiesa greca), e ai figli di questi, anche se illegittimi, venivano donati terre e feudi.
La crisi politica, anche se grave, in qualche modo fu colmata grazie alle nascenti
organizzazioni territoriali, invece la dissoluzione del clero fu avvertita maggiormente,
perchè era il ceto più influente sul popolo e quello che aveva il compito di conservare il più
alto livello culturale della società. Infatti proprio grazie alle nuove risorse culturali,
associate all'esigenza di una riorganizzazione ecclesiastica, si avviarono dei rinnovamenti.
Un esempio eclatante, che può riassumere l'insieme delle riforme che la Chiesa si
apprestava a realizzarre, è la politica del Monastero di Cluny (fondato nel 910 in
Borgogna).
Le novità furono di vario genere:
- viene creato un ordine religioso, già con la regola benedettina i monasteri avevano una
loro indipendenza, ma ora più monasteri facevano capo ad un solo abate, che grazie ai suoi
priori riusciva a garantire maggiore protezione, inoltre l'abate godeva dell'immunità e il suo
operato doveva fare capo solo al papa;
- il lavoro manuale fu delegato solo ai servi e ai coloni, mentre i monaci dovevano dedicarsi
alla lettura, alla celebrazione di nuovi culti e alla distribuzione dei pasti ai poveri, essi
dovevano impegnarsi molto nello studio e nell'attività letteraria, come l'agiografia.
Il modello cluniano fu adottato per la rivalutazione di molti altri monasteri in tutta Europa.
In altre parti dove il monastero non disponeva di tutte le risorse, come quello di Cluny, per
combattere la crisi ecclesiastica, ci fu una ripresa dell'eremitismo (diffuso già dai primi
tempi dell'era cristiana). All'inizio si trattò di eremiti isolati, poi sorsero dei veri e propri
ordini religiosi di tipo eremitico. Tra tutti ricordiamo l'ordine dei Certosini, nato in Francia
a Grenoble alla fine dell'XI secolo da Bruno di Colonia, e le strutture dipendenti ad essi
erano dette Certose, edifici dotati di giardino, celle e luoghi per la preghiera comunitaria.
L'ordine dei Cirstercensi invece tendeva ad insediarsi in luoghi incolti e paludosi, che poi
dovevano bonificare e coltivare, questi rimasero sottomessi ai vescovi, almeno fino a
quando non raggiunsero un livello elevato di indipendenza e ricchezza.
Un'altra riforma della Chiesa fu l'istituzione delle Comunità Canonicali. In realtà già per
mano dei carolingi era stato ordinato che i chierici dovevano vivere in comune, ai quali
dovevano essere destinati dei beni per il mantenimento, ma questo in realtà non fu mai
realizzato. Tale provvedimento fu poi ripristinato per combattere il concubinato, e prese
larghissima diffussione costituendo un vero movimento canonicale.
Esso era caratterizzato dalle regole di Sant'Agostino (canonoche regolari), non si trattava
di monaci, ma di chierici che vivevano insieme.
Nonostante i tentativi di ricostruzione non mancarono movimenti di contestazione:
- a Milano con a capo Arialdo contro i chierici concubinari e poi anche contro i chierici
simoniaci;
- in Toscana nacquero movimenti popolari contro la corruzione di vescocvi e chierici.
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C'era bisogno che venissero riunite sotto un unico filone tutte le riforme che piano piano si
stavano attuando in vari posti d'Europa.
Quando la situazione si dimostrò così insostenobile, i primi a promuovere un rinnovamento
dell'organizzazione ecclesiastica furono gli imperatori tedeschi, che fin da Ottone I avevano
mostrato un forte attaccamento alla corretta gestione del papato e del clero.
Enrico III, successore di Corrado II, intraprese un'opera di moralizzazione all'interno
dell'episcopato, dove ormai i vescovi avevano lo stesso stile dei signori feudatari.
Per quello che riguarda Roma, dove a causa degli scontri aristocratici, si era arrivati ad
eleggere tre papi contemporaneamente, furono deposti tutti e tre, e fu fatto papa Clemente
II. A contrastare l'operato imperiale però c'era l'idea tra gli intellettuali che la Chiesa avesse
bisogno della libertas acclesiae, cioè che l'elezione dei papi e dei vescovi non dovesse
dipendere nè dai signori e nè dall'imperatore. Così Leone IX cominciò a riunire in vari
Concilii i maggiori esponenti della Riforma, nei quali si condannava la simonia e il
concubinato e si elaborava la teoria del primato del papa sulla Chiesa Universale, per questo
fu anche il periodo della rottura definitiva con la Chiesa d'Oriente.
L'onda di rinnovamento si arrestò quiando Leone IX si mise a capo di un esercito contro i
Normanni, venne fatto prigioniero fino a quando non riconobbe le loro conquiste e in
cambio ottenne sostegno politico e militare. Intanto Enrico III continuava con la sua politica
moralizzatrice, ma le ribellioni dei vescovi aumentavano, e molti sostennero il progetto
della Chiesa di ottenere totale indiependenza. Per i riformatori romani la situazione si
facilitò ancora di più alla morte dell'imperatore tedesco, al quale successe Agnese in nome
del figlio Enrico IV, ma in un clima per nulla stabile.
All'interno del movimento riformista c'erano due correnti, rispettivamente sostenuti da:
- Umberto di Silvacandida, che chiedeva indipendenza assoluta della Chiesa dallo Stato e
condanna della simonia
- Pier Damiani, che non credeva possibile l'annullamento della simonia di tutti i vescovi e
chierici simoniaci, ma che i sacramenti hanno un valore assoluto al di là di chi li
amministra. Inoltre per quello che riguardava il rapporto con l'impero, non si mirava ad
un'indipendenza assoluta, ma solo ad una revisione di entrambi i ruoli.
Intanto il papato approfittando dell'indebolimento imperiale attivò una serie di interventi
con Niccolò II e Alessandro II: si rafforzò l'intesa con i Normanni, dando al loro più forte
capo, Roberto il Guiscardo, il titolo di Duca di Puglia e Calabria; riunì un Concilio dove si
decise che l'elezione papale fosse riservata ai cardinali, si rinnovò l'obbligo di celibato agli
ecclesiastici, e vietato loro di ricevere chiese dai laici; furono deposti i vescovi simoniaci,
ma non del tutto invalidate le loro opere.
Salito al trono Enrico IV si rese conto che i provvedimenti del papa lo avrebbero privato del
controllo dei vescovi e degli abati, che gli serviva per controbbattere le pressioni
dell'aristocrazia. Diventato papa Gregorio VII, uno dei maggiori riformisti, la situazione si
inasprì ulteriolmente, poichè introdusse la suprema autorità papale all'interno della Chiesa
e di tutta la comunità cristiana, pretendendo l'obbedienza assoluta, ricevuta da Dio, poichè
successore di Pietro. Questa volta l'imperatore si trovò affiancato anche da quella parte di
vescovi e clero che non accettavano la riforma papale, che si appesantì ancora di più con il
Dictus papae, cioè il diritto del pontefice di giudicare non solo i vescovi ma anche gli
imperatori, facendo capo sia ai poteri spirituali che temporali.
Ebbe così inizio una lunga lotta, sia di armi che di parole, tra papato e imperatore, la
cosiddetta lotta per le investiture.
Il papa con alcuni decreti vietava ai laici di concedere l'investitura ai vescovadi e alla
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abbazie, e vietò agli arcivescovi di consacrare chi fosse investito dai laici. Il primo
provvedimento di Enrico IV, dopo aver placato gli animi dei rivoltosi feudatari ci fu in
un'assemblea, quando depose e fece scomunicare il pontefice, il quale di risposta scomunicò
i vescovi presenti all'assemblea dell'imperatore, il quale fu anch'egli scomunicato e
deposto, rendendo così liberi tutti i suoi sudditi.
Lo scontro si arrestò, anche se solo momentaneamente quando fu imposto ad Enrico IV di
porsi al giudizio del papa, ma prima che ciò avvenisse, l'imperatore raggiunse Gregorio VII
a Canossa ad implorare perdono, che dopo tre giorni gli fu concesso.
Enrico IV subito riprese pieno potere, prima contro i suoi oppositori principi tedeschi, che
lo avevano disconosciuto ed eletto re Rodolfo di Svevia, e poi contro il papa, che
inevitabilmente rinnovò la scomunica. Così Enrico IV in due Concilii prima depose
Gregorio VII e poi fece papa Clemente III; raggiunse Roma e prese la città, costringendo il
pontefice a rifugiarsi prima a Castel Sant'Angelo, e dopo la consacrazione del nuovo papa,
si diresse a Salerno, dove morì.
Dopo il breve pontificato di Vittore III, divenne papa il monaco cluniacense Urbano II,
nonchè sostenitore di Gregorio VII.
Il nuovo papa rafforzò i legami con l'episcopato e ne aumentò l'autorità. Così i vescovi della
Germania e della Lombardia, prima sostenitori dell'imperatore, riconobbero a pieno
l'autorità di Urbano II e abbandonarono Clemente III (l'antipapa) ed Enrico IV.
L'opera del papa fu decisiva in Italia meridionale, dove intanto aumentava la pressione dei
Normanni e della Chiesa greca. Per consolidare il suo potere Urbano II radunò due Concilii,
per combattere la fazione filoimperiale e per trattare la questione della riunificazione con la
Chiesa d'Oriente. Un'altra mossa decisiva fu l'esortazione al pellegrinaggio in Terrasanta,
come mezzo di purificazione per chi era stato coinvolto nelle lotte fratricide, e per portare
aiuto alla Chiesa orientale, facendo quasi un appello alla crociata.
Pasquale II fu il successore di Urbano II, con lui furono rinnovati i decreti contro le
investiture laiche, ma fu rivoluzionato anche lo stile ecclesiastico, costringendo vescovi e
abati a rinunciare ai beni materiali e ai poteri politici. Tale accordo si ufficializzò tra
Pasquale II e il nuovo imperatore Enrico V, ma le opposizioni nacquero da entrambe le
fazioni. Era impossibile creare uno Stato senza il sostegno della Chiesa, che veniva privata
di ogni ricchezza, così il pontefice fu costretto a cedere, incoronando l'imperatore e
concedendogli la libertà di eleggere vescovi e abati. Ma nel 1116 ritirò la sua concessione,
scomunicando Enrico V.
In questo clima di una lunaga disputa ebbero la meglio coloro che proferivano di voler
raggiunggere un accordo e di ottenere una riorganizzare per i ruoli di Sato e Chiesa.
Con il pontefice Callisto II nel 1122 fu stipulato il Concordato di Worms, con il quale la
Chiesa otteneva di eleggere vescovi e abati solo secondo le norme canoniche, e l'imperatore
poteva intervenire solo nell'investitura dei poteri temporali.
Tali provvedimenti valsero a poco e nel 1123 con un Concilio Ecumenico Universale (il
primo d'Occidente) si intraprese la strada che portò il papato al vertice dell'intera società
cristiana. Superata la contesa con l'impero si ribadì la condanna alla simonia e al
concubinato, e l'elezione dei vescovi venne delegata alla curia romana. S'incrementò
l'apparato burocratico della Chiesa, mantenedo vivi i rapporti con i vescovi, abati, chierici e
apparati politici; aumentarono le ricchezze grazie alle rendite del patrimonio fondiario, alle
tasse pagate dagli Stati vassalli, l'obolo di San Pietro versato dai sovrani consacrati dal
papa, dal censo pagato dai monasteri, dalle offerte dei vescovi in visita obbligatoria.
Inoltre fu fondato l'Istituto della legazione, dove i legati venivano mandati a gestire delle
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questioni particolari dello Stato. In tal modo la Santa Sede ottennè di essere il punto di
riferimento della politica europea, e tra il XII e il XIII secolo l'autorità papale raggiunse una
supremazia elevatissima, che gli storici chiamano ierocrazia.

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Rinascita culturale e nuove esperienze religiose

La svolta culturale operata da Carlo Magno interessò soprattutto il recupero del patrimonio
letterario classico e della lingua latina, che dalla corte imperiale fu trasferito alle cattedrali
e alle abbazie. A continuare la tradizione carolingia fu la Germania con gli imperatori di
Sassonia, anche se ci furono molte influenze francesi.
Verso la metà dell IX secolo anche in Italia meridionale, grazie al contatto con il mondo
greco e arabo, si stavano avviando importanti centri culturali.
In Italia settentrionale si lavorava invece alla rinascita del Diritto romano di Giustiniano, e
proprio nel campo giuridico, come in medicina, gli italiani contribuirono allo sviluppo della
cultura europea.
La Francia appariva fiorente in quasi tutti i campi: arti liberali (trivio e quadrivio), filosofia,
teologia e poesia, sia latina che volgare.
Lo sviluppo che si avviava nel IX secolo ha la sua più grande realizzazione quando si
parlerà di "rinascita del XII secolo".
La cultura passò dalle mani dei grandi monasteri agli ordini religiosi di nuova fondazione e
alle cattedrali, che erano avvantaggiate dal fatto che si trovassero al centro delle città.
In Francia settentrionale furono fondate le maggiori scuole cattedrali, governate dai vescovi,
qui però non venivano seguiti programmi precisi nè riconosciuti titoli, ciò avverrà solo con
l'istituzione delle università. A differenza dell'istruzione superiore già conosciuta nel Mondo
Antico, nelle università ci si organizzava per facoltà e con determinati piani di studio.
Esse nacquero da associazioni per studenti e professori, con difficoltà si ottenne il
riconoscimento da parte delle autorità civile ed ecclesiastica, e alla concessione di privilegi
per gli studenti più poveri. In seguito furono fissati programmi di studio, lo stipendio per gli
insegnanti e le modalità di esame.
Le facoltà a scelta erano quattro: delle arti, del diritto (civile e canonico), medicina e
teologia. La prima università dell'Europa è considerata la Scuola Medica Salernitana,
anche se le origini non sono ben attestate, ci si basa su numerosi trattati di medicina e
filosofia scritti o tradotti dal greco e dall'arabo. Nel 1231 con la prima delle Costituzioni si
decise che dopo l'esame di laurea bisognava presentarsi all'imperatore per ottenere la
licenza. A Bologna l'università nacque per opera di organizzazioni laiche, costituite dagli
Ultramontani (provenienti d'oltalpe) i e Citromantani (provenienti da varie parti d'Italia). A
Parigi l'università nacque per opera della cattedrale di Notre Dame, che portava con sè il
maggior numero di insegnati, che decisero così di organizzarsi autonomamente per sottarsi
al potere degli arcivescovi.
Una filiazione di Parigi fu l'università di Oxford seguita da Cambridge.
Dalla tradizione bolognese nacquero invece quella di Padova; nel 1224 Federico II fondò
l'Università di Napoli, con l'obiettivo di formare personaggi in grado di amministrare
quello che poi sarebbe stato il Regno di Sicilia.
Con le stesse intenzioni anche i pontefici assunsero il controllo totale o parziale delle
università.
Così nel corso del'300 le Università, in un modo o nell'altro, si trovavano sottoposte al
controllo dei poteri pubblici. Anche se esse conservavano una certa autonomia, dal punto di
vista organizzativo rispettavano delle regole comuni: i corsi si tenevano nelle case dei
maestri o in sale affittate, invece gli eventi ufficiali nelle chiese o nei conventi;
l'insegnamento di divideva in due momenti, sulla lectio (lezione), durante la quale si
leggeva e commentava, e sulla disputatio (disputa) cioè veniva presentato un tema agli
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studenti che il giorno dopo dovevano discutere, e alla fine deta una conclusione-sintesi,
detta detreminatio.
Inoltre nelle facoltà di arti erano previste anche delle esercitazioni scritte e orali. Alla fine
del corso di studi, alcuni diventavano maestri altri percorrevano la carriera politica o
ecclesiastica.
Le facoltà avevano un prestigio diverso a seconda delle università, inizialmente per la
medicina Salerno fu il centro più rinomato, ma dopo poco cedette il passo a Montpellier,
Bologna e Padova; Parigi fu famosa per la teologia e la filosofia.
Per ogni tipo di facoltà il pensiero dominante fu quello di Aristotele, nel quale si trovava
risposta ad ogni tipo di quesito, anche se ad un certo punto esso entrò in contrasto con la
religione, al punto da vietarne lo studio. Tra quelli che cercarono di conciliare le due
correnti, ricordiamo Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, che a tal proposito scrisso la sua
maggiore opera Nè religione nè scienza (summa teologica).
Per lo studio del diritto la più rinomata fu Bologna, dove attraverso lo studio del Corpus
Iuris Civilis, si tentava di formulare legislazioni capaci di risolvere i problemi del tempo.
Le loro riflessioni erano dette glosse, e i primi giuristi chiamati glossatori, sostituiti poi dai
commentatori.
Con lo sviluppo dello studio universitario fu neccessario anche che la produzione di libri
diventasse meno costosa e più veloce, nacque così la professione degli statiorari, operai
editori, i quali gestivano il mercato libero dei libri. A Bologna e a Parigi fu introdotto il
sistema della pecia, e cioè una volta che i professori avevano scelto i testi (exempalria)
questi venivano forniti agli stationari, i quali ne producevano delle copie da vendere o
prestare agli sudenti a fascicoli sciolti. Con il tempo la pergamena fu sostituita dalla carta e
la scrittura utilizzata era la gotica. La lingua della cultura continuava ad essere il latino, ma
ormai le lingue volgari avevano preso il posto nella quotidianità e talvolta anche in alcuni
scritti ed eventi ufficiali, come già era accaduto nel 842 con il Giuramento di Strasburgo,
tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, e nel 960 nel Placito Capuano (testimonianza
di un contadino a favore dell'abbazia di Montecassino). Poi tra l'XI e il XII secolo
cominciarono ad essere composte le prime opere in volgare (le lingue romanze), soprattutto
in Francia dove si affermava la lingia d'oil al Nord e la lingua d'oc a Sud, che poi prese a
diffondersi anche in Italia. Qui il fenomeno si avviò inizialmente grazie alla Scuola Poetica
Siciliana, dove sia i lettori che gli autori facevano parte della corte di Federico II, e poi
dopo con i poeti toscani, i quali si rivolgevano ad un pubblico urbano e molto più vasto
delle nuova realtà cortigiane. Infatti ebbero grande rilievo i notai e mercanti, i primi
nell'amministrazione della nuova realtà comunale e in funzione di mediatori tra popolo e
legge, i secondi poichè avevano necessità di redigere lettere e registri per i loro commerci,
e in seguito anche solo per ragioni familiari, come i libri di ricordanze.
L'alfabetizzazione rilevò un grosso incremento anche grazie alle scuole pubbliche, dove si
ricorreva a nuovi tipi di testi (vite di santi, narrativa, ecc.); ecco che la cultura non fu più un
monopolio del clero e degli aristocratici (laicizzazione della cultura), anche se
invitabilmente rimaneva legata ai principi fondamentali della religione.
Questa nuova consapevolezza da parte del mondo laico si manifestò con la creazione di
fondazioni e confraternite, che non essendo legate alla Chiesa, si dedicavano liberamente
alla beneficenza e alla vita spirituale, per questo motivo capitò che esse venissero
considerate eretiche. Tra i gruppi più attivi di questi movimenti ricordiamo: i Seguaci di
Valdo (ricco mendicante di Lione), gli Umiliati, e i Catari, contro i quali la Chiesa si mosse
con grande forza arrivando a bandire una crociata.
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Tra i molteplici gruppi spirituali che stavano prendendo forma, e che la Chiesa cercava di
controllare, imponendo loro la supervisione dei vescovi, c'è la Fretaernità dei Penitenti di
Assisi, formatasi attaorno a Francesco, figlio di un ricco mercante, che dopo aver vissuto
una gioventù nel benessere, decide di metter in pratica il Vangelo, spogliandosi di tutti i suoi
averi. I suoi seguaci presero il nome di frati minori, minores (classe sociale più bassa), al
contrario di quello che la Chiesa rappresentava. Essi si guadagnavano da vivere con il
lavoro e la mendicità, senza mai conservare possedimenti o provviste. Tale posizione era in
netta contrapposizione con lo stile di vita del clero, che però accettò queste nuove
organizzazini poichè si mostrarono sempre obbedienti alle regole della Chiesa, che tra l'altro
se ne servì per combattere le correnti eretiche. Questo cambiamento fu avviato da
Innocenzo III e poi ufficializzato da Onofrio III (1223), quando fu approvata la Regola
della vita francescana.
Intanto un altro gruppo che si era affermato era qullo dei Domenicani, i quali oltre a
rinuncire ad ogni bene si assumevano l'impegno della lotta contro gli eretici, facendo capo
ad una elaborata prepazione teologica, e proprio loro furono chiamati ad essere giudici dei
tribunali inquisitori di Roma. La grande diffusione dell'ordine francescano e il loro
insediamento nei conventi portò ad accumulare molti beni, dietro numerose donazioni, ma
Francesco dispose nel suo testamento che questi dovevano essere gestiti dai frati lasciando
comunque la proprietà alla Chiesa Romana. La situazione cominciò a mutare quando tra i
frati si avviò la clericizzazione dell'ordine, assumendo compiti pastorali, come la
predicazione e la confessione. Si venne così a creare una spaccatura tra coloro che
intendevano restare fedeli alla regola francescana (spirituali) e tra quelli che credevano
indispensabile riorganizzarsi secondo nuovi compiti (conventuali). Nonostante i forti
contrasti interni e i provvedimenti presi dal papa nei confronti degli spirituali più estremi, i
frati raggiunsero una diffusione capillare tra i vari ceti sociali, acquistando prestigio e
divenendo punto di riferimento di intere comunità.

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Rapporti feudali e processi di ricomposizione politico territoriale.
L'impero e l'Italia dei Comuni

La nuova società europea che si andava costituendo aveva bisogno di una maggiore
garanzia di sicurezza e di controllo. In mancanza di un forte potere politico il primo
provvedimento fu preso dalla Chiesa con l'Organizzazione delle Paci di Dio, dove i
protagonisti furono i vescovi, che con grandi assemblee riorganizzarono l'ordine pubblico,
a partire dalle chiese alle classi sociali più deboli, muovendosi contro i violenti, cioè i
signori dei castelli e il loro esercito.
Oltre a provvedere alla protezione dalle guerre, si cercò a delimitare i periodi in cui essa si
potesse esercitare, anche se non sempre tali regole furono rispettate, provando a disciplinare
l'ordine dei cavalieri e dei bellatores. Così man mano il codice di comportamento
cavalleresco si definì sempre di più, e si rivolgeva in particolar modo ai giovani, i quali
oltre alla vita avventurosa si dedicavano anche a conversazioni amorose e alla lettura di
poesie e romanzi cavallereschi. Tale stile di vita fu molto influente nell'Italia dei Comuni, e
fu spesso celebrato da poeti e scrittori. Resta il fatto che essi conducevano una vita violenta,
e solo con il Concilio di Norbona nel 1054 si ufficializzò che i cavalieri non dovessero
uccidere i cristiani, diventando così i veri difensori armati del Cristianesimo.
Ancora una volta notiamo come le mancanze del potere politico venissero sopperite con
metodi alternativi, e che quando nel corso del XII secolo si tentò di avviare una ripresa
amministrativa, il cardine dei cambiamneti rimase nelle mani dei rapporto feudo-
vassallatici. Infatti questi, nati inizialmente per garantire il controllo territoriale e dare
sostegno armato ai sovrani e ai signori, ormai avevano raggiunto un prestigio tale da essere
strumento di governo. Tale situazione fu attestata anche dall'evoluzione dei loro diritti
ereditari e da una raccolta di pratiche giuridiche Libri Feudorum che definivano in tutto e
per tutto il sistema feudale. D'altra parte gli studi dei giuristi sul diritto romano faceva
riconoscere nello Stato l'unica istituzione che detenesse il potere, anche se in una realtà così
frammentaria era impossibile riconoscere il valore di uno Stato unito.
C'è da dire però che intanto il rapporto feudo-vassallatico aveva perso la sua originaria
funzione militare, trasformandosi solo in un fatto politico e con l'unico obbligo di versare
una tassa al signore a cui si apparteneva. Tale meccanismo si affermò in tempi e luoghi in
maniera diversa, e talvolta intorno ai signori, altre a principi, altre volte attorno a città-stato.
Lo sviluppo si notò soprattutto in Inghilterra e in Italia meridionale per opera dei Normanni.
Le comunità cittadine dell'Italia, oltre che da artigiani e mercanti, erano composte anche da
una media-piccola nobiltà fondiaria e spesso il loro signore era il vescovo, il quale però non
era l'unico a svolgere l'attività amministrativa, ma si divideva il potere con i conti, le
cattedrali e i monasteri. Una gestione così disgregata non era capace di far fronte alle
tensioni sociali e agli scontri tra le famiglie più importanti, che tendevano sempre ad
incrementare il loro prestigio e la loro ricchezza.
Un esempio è Milano, dove come abbiamo già visto i grandi vassalli si scontravano con i
piccoli feudatari valvassori, poichè questi chiedevano il diritto di ereditarietà, che poi fu
concesso loro dall'imperatore Corrado II; ad un certo punto però dovettero superare le loro
divergenze e unire le forze per combattere contro il popolo, che ormai stanco delle loro
violenze, aveva innescato un movimento di rivolta. Si giunse ad un accordo tra le parti, ma
l'equilibrio rimase instabile, anche a causa delle riforme politiche e religiose che si stavano
attenuando per la lotta alle investiture. A tal proposito si formò la nuova magistratura dei
consoli, nata dall'accordo di alcune famiglie, che rendendosi consto dell'indebolimento dei
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vescovi, e con lo scopo di riportare una pace interna, assunsero direttamente il governo
della città. Inoltre fu costituito un Consolato, una magistratura collegiale, fatta di valvassori
e cittadini, tra cui mercanti e artigiani.
I Comuni non si costituirono in egual modo e negli stessi tempi dappertutto, però possiamo
individuare un periodo comune che va dal 1080 al 1120, lo stesso della lotta per le
investiture.
In alcuni casi la gestione era nelle mani dell'aristocrazia, ma in molte altre situazioni furono
i mercanti e gli imprenditori a prendere in mano la città, questi venivano proclamati consoli
e gestivano ogni aspetto della vita urbana. L'organizzazione comune a tutte le città era
costituita dall'Arrengo, un'assemblea di cittadini che decidvano sui problemi generali, e dal
collegio e dai consoli, che esercitavano il potere esecutivo e restavano in carica da sei mesi
ad un anno.
In seguito l'assemblea generale fu divisa in Collegio maggiore e Collegio minore, invece le
modalità di elezione mutavano da città a città.
La realtà comunale non si istituì in seguito a rivolte, ma con la presa di coscienza di quei
notabili che già affiancavano il vescovo nell'amministrazione, e ridimensionando sempre di
più il suo potere interno, ma conservando la sua autorità per i contatti esterni. Inoltre la
nuova organizzzaione non voleva lasciare fuori controllo le aree contadine, come invece era
successo fino ad ora, così alla fine del XII secolo tutte le città avevano ampliato il loro
governo sulle campagne ciscostanti e talvolta anche oltre.
Dopo il Concordato di Worms del 1122 il potere imperiale aveva perso il suo fondamento
sacro, quindi fu costretto a riformulare i principali elementi che gli garantivano la
governabilità, tali elementi furono trovati nella cultura giuridica e dallo studio del diritto
romano.
Il primo ad attuare questa svolta fu Federico, detto Barbarossa.
Lasciato il trono Enrico IV, questi non aveva assicurato nessun successore, così presero la
gestione i principi tedeschi, creando due fazioni opposte, i guelfi (sostenitori del castello
bavarese di Welf) e i ghibellini (sostenitori del castello di Weiblingen) i quali si spartivano
il potere una volta a favore dell'uno e una volta a favore dell'altro, indebolendo così
enormemente l'autorità imperiale. La situazione mutò quando fu eletto Federico Barbarossa,
duca di Svevia, nel 1152, la cui madre era della casa di Baviera. Questi mostrò subito di
voler ripristinare il vecchio potere imperiale e nella dieta di Costanza ribadì che potere
politico e potere spirituale dovevano collaborare ed avere pari diritti, accordandosi con papa
Anastasio IV, che per ridare prestigio alla Chiesa Romana gli propose l'incoronazione da
imperatore a Roma.
A tale assemblea si aggiunsero alcuni inviati delle città lombarde a chiedere aiuto contro le
mire espansionistiche di Milano, così Federico si vide costretto a dedicarsi a quelle realtà
comunali italiane che ormai sfuggivano al controllo dello Stato. Anche in Germania si erano
costituiti dei comuni, ma verso questi i funzionari imperiali conservavano ancora enormi
poteri, a differenza di quelli italiani che ormai si autogestivano in tutto e per tutto. È chiaro
come questa situazione ostacolava gravamente i progetti di ripristino e rivalutazione di
Federico. Così nel 1154 si presentò in Lombardia dove indisse la dieta di Roncaglia, qui i
funzionari milanesi non solo furono privati dei diritti che si erano arrogati su Como e Lodi,
ma anche di tutte le altre regalie, e fu distrutta Tortona, alleata di Milano. Dopo di che
Federico si diresse a Roma, abbattè il regime comunale a favore del papa, dal quale ottenne
l'incoronazione (1155).
L'imperatore fece ritorno in Germania, ma dopo qualche anno (1158) tornò e convocò una
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seconda dieta a Roncaglia; questa volta si fece affiancare da quattro famosi giuristi
dell'Università di Bologna, e dai quali si fece indicare tutti i poteri regi e li fece
sottoscrivere nella Costitutio sulle regalie. Tutti questi diritti (battere moneta, pedaggi,
tasse, multe, etc.) che ora venivano rivendicati, erano da tempo nelle mani dei Comuni, e
che ora potevano conservare solo in cambio di contributi allo Stato e solo se riconoscevano
la loro dipendenza all'imperatore.
Federico emanò anche la Costitutio sulla Pace, proibendo le leghe tra le città e le guerre
private; inoltre lasciò libero il diritto della proprietà privata a patto che i signori si
riconoscessero suoi vassalli. I suoi programmi di restaurazione tentarono di recuperare
anche quei diritti pubblici che ormai erano nelle mani degli ecclesiastici. È facile capire che
tali interventi provocarono forti opposizioni, non solo da parte dei comuni veneti e
lombardi, ma anche del papa Alessandro III.
Ma l'imperatore reagì con forza, costringendo il potenfice a rifugiarsi in Francia e
opponendogli l'antipapa Vittore IV, e assediando Milano. Le rivolte però continuarono e nel
1164 a Verona si istituì la Lega veneta, e poi la Lega cremonese, che assime costituirono la
Lega Lomabarda (dal Giuramento di Pontida del 1167) con sede centrale ad Alessandria,
alla quale fu dato questo nome in onore del papa Alessandro III, che si era unito a loro.
Federico tentò di assediare la città, ma non ci riuscì, e costretto a tornare in Germania a
causa dei dissidi interni con i feudatari, sulla strada del ritorno fu colto di sorpresa e
sconfitto dalla Lega lombarda a Legnano.
A questo punto fu necessario stipulare un trattato di pace, riconoscendo di nuovo papa
Alessandro III, ricondendogli le vecchie regalie, e ponendolo come mediatore con i comuni.
Anche se questo non fu ben accettato dalle organizzazioni locali, ci fu un periodo di tregua,
durante il quale l'imperatore si dedicò alle questioni inetrne.
Nel 1183 a Costanza si elaborò un trattato di pace, con il quale si conservavano i diritti
pubblici dell'imperatore e venivano riconosciute ai comuni della Lega le regalie di cui già
godevano in cambio di un'idennità. Man mano tali concessioni si estesero al resto dei
comuni, che alla morte di Federico Barbarossa (1190) e di suo figlio Enrico V (1197)
approfittarono della crisi imperiale per realizzare la conquista del contado.
Inoltre il vescovo fu estromesso da ogni potere politico, furono istituite sedi comunali
lontane dalle cattedrali, e si elaborò uno statuto (codice di leggi). Sulle zone limitrofe
furono edificati i borghi franchi, fortezze nelle quali vivevano addetti alla valorizzazione
delle terre e alla difesa dagli attacchi esterni.
Un'altra trasformazione fu segnata dal passaggio dal Colleggio dei Consoli al Podestà, a
causa del fatto che la classe dirigente cominciava a chiudersi sempre di più, e quindi
aumentava vertiginosamente la distinzione tra nobiltà (fatta di mercanti, artigiani,
proprietari) e il resto del popolo, così la soluzione fu quella di scegliere una figura esterna
che detenesse il potere, e che facesse applicare le decisioni prese dal Collegio dei cittadini.
Il podestà forestiero solo per poco riuscì a mantenere una pace, che presto fu stravolta dalle
rivolte nobiliari. Queste famiglie, a seconda delle conoscenze e delle possibilità, si
organizzarono in clan armati, dividendosi a loro volta in guelfi (aderenti al partito
filopapale) e in ghibellini (filoimperiali), anche se poi tale distizione si trasformò solo in
una questione di etichetta.
Per quello che riguarda il popolo si mostrava unito solo per combattere la violenza dei
nobili, ma anch'esso rilevava forti tensioni tra i vari gruppi, e gli scontri erano numerosi
vista la molteplicità di categorie che ne appartenevano, così che anche loro si organizzarono
in associazioni, dette societas populi.
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Inoltre troviamo una terza parte, costituita da coloro che venivano esplulsi dalle città e
confiscati di ogni bene; questi si organizzarono nel Comune degli Estrinseci, stabilendo
contatti con i partigiani della città e con i comuni rivali, grazie ai quali talvolta ritornavano
in patria.

Nobiltà > Clan


Popolo > Societas Populi
Fuoriuscenti > Comune degli Estrinseci

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La diffusione dei rapporti feudali
L'inghilterra, il Mediterraneo e le Crociate

Tra i secoli XI e XII i rapporti feudo-vassallatici raggiunsero la massima diffusione nelle


zone di conquiste; così come fecero i cavalieri della Nomandia (Francia sett.) quando, con
Canuto II il Grande, si mossero alla volta del Mar Baltico, conquistando la Danimarca, la
Norvegia e l'Inghilterra, anche se solo per poco. Infatti l'Inghilterra recuperò l'indipendenza
con il re Edoardo il Confessore, anch'egli di origine normanna; poi gli successe il cognato
Arnoldo II, che però fu deposto da Guglielmo, duca di Normandia, detto il Conquistatore.
In questo periodo la Francia e l'Inghilterra instaurarono un legame molto forte, oltre che per
la creazione di nuovi rapporti feudali, anche per l'influenza che esercitò la cultura francese.
In Inghilterra furono lasciate le organizzazioni in contee, ma furono sottoposte al controllo
regio tramite dei funzionari, sceriffi e giudici. Per quello che riguarda il diritto giuridico e
l'economia esse furono delegate alla Camera dello Scacchiere, e inoltre tutte le proprietà
del regno furono registrate nel Domesday Book. In questa direzione la monarchia inglese
crebbe sempre di più, in particolar modo quando salì al trono Enrico II, che allargò il
dominio nel territorio francese grazie all'eredità paterna degli Angiò e alle continue
pressioni che esercitò sulla corona francese, impadronendosi anche della Bretagna.
Intanto che i cavalieri normanni andavano alla conquista dell'Inghilterra, altri gruppi
provenienti dalla Normandia si aggiravano nel Mediterraneo verso l'Italia meridionale, qui
si posero però non come conquistatori, ma come cavalieri in cerca di fortuna, mettendosi al
servizio dei poteri locali (in seguito all'accresciuto indice di natalità).
Il loro insediamento fu facilitato dalla frammentaria situazione politica e territoriale,
caratterizzata dalla forzata convivenza dei proncipati Longobardi, dei duchi di Bisanzio o
autonomi, e del dominio musulmano.
Un primo tentativo di unificazione fu attuato dal principe di Capua, aggregando sotto il suo
governo tutti i territori della Longobardia Minore e aggiudicandosi un feudo da Ottone I:
Spoleto e Camerino. Ma presto il proncipato di Salerno insorse, riconquistando l'autonomia,
come anche Benevento, e riuscì ad imporsi sui ducati di Amalfi, Sorrento e Gaeta,
servendosi proprio dei mercenari normanni. D'altra parte questi rendendosi conto delle
ricchezze che poteva preservare il territorio italiano, cominciarono a divenatre i veri
protagonisti delle guerre, offrendo servizi a seconda dei propri interessi.
Tra i capi militari normanni ricordiamo:
- Rainulfo Drengot, al servizio del duca di Napoli contro il Principe di Capua, che ottenne
il titolo di conte di Aversa fino a puntare all'assedio di Capua.
- I militari normanni al servizio del Principato di Salerno contro i Bizantini, raccolsero parte
della Puglia e della Basilicata, costringendo i beneventani a mettersi sotto la protezione
pontificia. Tra questi combattenti c'erano i fratelli d'Altavilla, Guglielmo Braccio di
Ferro, Unfredo e Roberto il Guiscardo.
Per fermare l'avanzata normanna si costituì una coalizione, gestita dal papa Leone IX, il
quale da una parte doveva provvedere alla protezione di Benenvento e dall'altra voleva
sottrarre i territori al patriarca di Costantinopoli. Purtroppo i le azioni del pontefice fallirono
e presto fu fatto prigioniero, fu liberato solo quando riconobbe legittime le conquiste
normanne; l'accordo si perfezionò a Melfi nel 1059 con Roberto il Guiscardo e Riccardo,
che giurarono fedeltà al nuovo al nuovo re Niccolò II, in cambio dei ducati di Puglia,
Calabria, Sicilia e Capua.
In fratello minore Ruggiero (Gran Conte) tentò di allargarsi versò i territori della Sicilia
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musulamana, che stava attraversando un periodo di instabilità politica, tanto da concedere il
dominio francese per una trentina di anni, anche se si continuava ad assistere ad una
clamorosa evoluzione della coltura arabo-sociliana.
Sulla penisola il Guiscardo sottomise Bari, fino a quel momento ancora sotto i Bizantini,
Amalfi e parte dell'Abruzzo e poi anche Salerno. Nel 1081 si lanciò alla conquista di
Costantinopoli, anche se dovette tornare per difendere i suoi territori dall'imperatore Enrico
IV, e quando tentò di nuovo il viaggio verso oriente, morì sulla nave nei pressi di Cefalonia.
In seguito il regno normanno entrò in una fase di grave declino, che fu arrestata dal figlio di
Ruggero il Gran Conte, Ruggero II, il quale riuscì a prendere pieno dominio sulla Sicilia,
divenne duca di Puglia e di Calabria, e approfittando della crisi della Chiesa si fece
incoronare e di Sicilia dall'antipapa Anacleto II; cosìtituì così quel regno che se pur tra alti
e bassi, e cambi di dinastie, avrà vita fino al 1860.
Nel 1139 completò anche la conquista di Napoli, costituendo uno degli stati meglio
organizzati del tempo, poichè sia Ruggero II che i suoi successori seppero ben sfruttare le
organizzaizoni impostate dagli Arabi e dai Bizantini, traendone tradizioni e insegnamenti, e
che ora facevano capo agli uffici centrali di Palermo. Diedero vita ad un efficiente apparato
burocratico, basato sulla costituzione di una piramide feudale, come in Francia, e sul
controllo ecclesiastico, come in Oriente.
Nonostante tutte le popolazioni sottomesse conseravassero una certa autonomia, come
anche le abbazie, tutto si basava su un equlibrio tra forze locali ed autorità regia.
Quindi il Regno di Sicilia si confugurava come uno Stato feudale, dove attraverso i legami
tra feudatari e vassalli si riusciva a controllare le organizzazioni locali e a detenere il potere
pubblico. Solo dopo molto tempo si risentì la pesantezza di tale meccanismo rispetto alle
gestioni che vigevano nel resto d'Italia, dove i Comuni avevano affermato la propria
autonomia e attivato un dinamismo sociale.
I Normanni dell'Italia meridionale furno anche tra i protagonisti delle crociate, uno degli
eventi più significativi di tutto il Medioevo.
Nel 1095 durante il Concilio di Clemond Ferrand il papa Urbano II, condannando le lotte
fratricide, aveva esortato chi ne era stato coinvolto, a fare un pellegrinaggio di purificazione
in Terrasanta, e di portare aiuto alla Chiesa d'Oriente, impeganta lì nelle lotte contro gli
infedeli. L'incitamento del papa fu ben accetto, visto che proprio in questo periodo tutta
l'Europa era pervasa da una forte voglia espansionistica, anche a causa della crescente
popolazione e dei crescenti mercati, nonchè da una instabilità religiosa alimentata dai
predicatori itineranti.
Come abbiamo visto i fattori che influenzarono tali scelte furono molteplici, ma non si può
dire che fossero determinanti; infatti a far muovere i cavalieri feudali dell'Occidente fu
soprattutto lo spririto religioso. A tal proposito ricordiamo ancora una volta quanto la
religione permeava in tutto e per tutto la vita dell'uomo medievale.
Il primo a farsi interprete di questo movimento spirituale, fu il predicatore Pietro l'Eremita
che nel 1095 promosse la Crociata dei poveri, coloro che ne presero parte si misero in
viaggio verso oriente compiendo saccheggi e massacri sugli Ebrei, fino a giungere a
Costantinopoli, dove l'imperatore Alessio Camneo assicuò loro viveri e armi in cambio dei
territori che avrebbero conquistato contro Ebrei e Musulmani, e del riconoscimento della
sua superiorità nelle nascenti formazioni politiche.
La spedizione partì nel giugno 1097 (prima crociata), si svolse in mezzo a difficoltà sia
climatiche che di gestione, poichè lo stesso contingente occidentale era costituito al suo
interno da storici nemici, al capo dei quali fu messo Goffredo di Buglione (duca della
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bassa Lorena), che non sempre riuscì a mantenere il controllo. Nonostante le difficoltà nel
1099 giunsero alla conquista di Gerusalemme, con un massacro quasi totatle della
popolazione ebraica e musulmana. Però prima di giungere alle porte della Città Santa il
contingente subì gravi perdite, soprattutto a causa dei vari capi militari che decisero di
fermarsi lungo la strada per impadronirsi dei territori che attraversavano, e diventando poi
vassalli del Regno di Gerusalemme, che toccò a Goffredo di Buglione, succeduto dopo dal
fratello Baldovino. Questi servendosi dei vari legami feudo-vassallatici, sia costituiti dal
fratello, che formandone dei nuovi, e persuadendo i pellegrini a rimanere, riuscì a
consolidare il proprio potere. Nonostante tutto le condizioni rimanevano critiche, e solo con
l'aiuto monastico-militare (gli Ospedalieri di San Giovanni, i templari, i Cavaliei Teutanici)
e delle Città marinare italiane, riuscirono a tenere a bada le pressioni interne.
C'è da dire che la vittoria dei Franchi, così venivano chiamati gli Occidentali, fu possibile
anche grazie alla contemporanea crisi del mondo musulmano, che però agli inizi del XII
secolo con l'emiro Ziuki si avviò verso la ripresa, riconquistando il dominio tra il Tigri e
l'Oronte e facendo pressione sugli stati crociati. Ecco che allora i più potenti sovrani
d'occidente, il tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII e il re di Sicilia Ruggero II, si
organizzarono per una nuova spedizione (seconda crociata), ma che fallì a causa del fatto
che ognuno di loro tendeva a perseguire i propri interessi personali; così il musulmano
Saladino nel 1187 riuscì ad entrare a Gerusalemme. Tale sconfitta provocò una reazione
immediata dell'Occidente (terza crociata) e questa volta scesero in campo Federico
Barbarossa, il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Francia Filippo Augusto, ma
i risultati furono scarsi, riuscendo a recuperare ben poco e lasciando Gerusalemme ai
Musulmani.
L'entusiasmo spirituale e religioso che aveva mosso la prima crociata ormai era svanito, e
tutto si era ridotto ad un fatto politico e di potere, conteso tra il papato, l'Impero e tutti gli
altri stati.
Intanto a Federico Barbarossa era successo Enrico VI, che però fu sostituito da un figlio
illegittimo di Ruggero II, Tancredi di Lecce. Questi pose le basi per una fiorente politica
contro i Bizantini e gli stati musulmani del Mediterraneo; però alla sua morte prematura
sopraggiunse un arresto.
A Gerusalemme Saladino era morto, lasciando il suo impero in frantumi. Ecco che
l'Occidente quindi torna all'attacco e questa volta se ne fece promotore papa Innocenzo III,
che intendeva ridare Gerusalemme ai cristiani e di ricondurre a sè la Chiesa d'Oriente,
approfittando del declino bizantino.
Così nel 1202 (quarta crociata) i crociati si riunirono a Venezia, dove il doge si servì di
loro per puntare alla conquista definitiva di Costantinopoli, e qui trovarono l'imperatore
Alessio, disposto a partecipare alla spedizione in Oriente e riunificare la Chiesa. Il sovrano
non seppe mantenre il giusto controllo tra gli occidentali e gli orientali, tanto che fu deposto
dagli stessi crociati, che saccheggiarono la città fondando l'Impero Latino d'Oriente,
spartito tra Baldovino di Fiandra, Venezia ed altri contingenti minori.
Questa nuova organizzazione politica fin da subito si presentò molto debole, e lo stesso
progetto di riunificazione delle due Chiese decadde. Gli ostacoli erano alimentati da molti
fattori: l'ostilità della popolazione anti-occidentale, la costituzione di numerosi staterelli
autonomi, la coalizione di Pisani e Genovesi contro i Veneziani. Infatti Genova appena ebbe
occasione nel 1261 strinse un patto con il signore di Nicea, Michele Paleologo, aiutandolo
nella conquista di Costantinopoli, dove si proclamò re e vi rimase fino alla venuta dei
Turchi nel 1453.
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Il desidero da parte del papato di riconquistare i territori dlle Terrasanta era ancora vivo,
così Innocenzo III, poco prima di morire, organizzò la quinta crociata, nel 1215, ma si
concluse non appena giunti alla foce del Nilo.
Negli anni a venire Luigi IX si concentrò sull'Egitto con due spedizioni nel 1248 (sesta
crociata) e nel 1254 (settima crociata) entrambe fallite, prima con la prigionia e poi con la
morte del re.
C'è da dire però che nel 1229 grazie a Federico II fu stipulato un patto con il Sultano del
Cairo, che cedette Gerusalemme ai cristiani in cambio dello smantellamento della fortezza.
Ciò provocò la caduta della città in mano dei saccheggi turchi nel 1244.

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La ripresa della lotta tra papato e impero e le monarchie dell'Europa Occidentale

Dalla seconda metà del XII secolo il papato assunse sempre di più le sembianze
monarchiche; e ciò si realizza ancor di più quando alla morte prematura dell'imperatore
Enrico VI coincise il fatto che divennepapa Innocenzo III, ambizioso e promotore della
supremazia spirituale e politica, approfittando della condizione instabile degli stati
circostanti.
Questo tipo di politica pontificia emerse in particolar modo in Sicilia, ritenuta già feudo
della Chiesa. Quando morì la regina Costanza, vedova di Enrico VI, lasciò il figlio
Federico II sotto la tutela di Innocenzo III, che lo incoronò all'età di soli 14 anni nel 1208.
Intanto il papa aveva conferito la corona imperiale ad Ottone di Brunswick, ma questi non
rispettando i patti, e tentando addirittura di colpire il Regno di Sicilia, fu cacciato e
scomunicato, passando il titolo imperiale al giovane Federico. Intanto Innocenzo non
perdeva di vista le vicende dei regni di Aragona, Portogallo, Bulgaria e Serbia. Oltre a porre
attenzione alle crociate contro i Musulmani, e al desiderio di accorpare la Chiesa d'Oriente,
Innocenzo III si dedicò ai movimenti eretici e in particolar modo si scagliò contro i Catari,
ormai numerosi e ben organizzati, soprattutto nelle città di Albi, nella contea di Tolosa. Qui
vigeva una forte autonomia amministrativa, caratterizzata dalla fiorente cultura provenzale,
e che ben accoglieva l'ideologia dei Catari. Lo scontro vero e proprio ebbe inizio inseguito
al fatto che alcuni dei Catari uccisero un legato papale, questo portò alla decisione da parte
del papa di indire una crociata contro di loro, alla quale presero parte molti dei cavalieri del
nord della Francia, con la speranza di ricevere gli stessi meriti spirituali dei combattenti
crociati partiti per la Terrasanta, e inoltre di poter godere della fiorente economia della
regione di Tolosa.
Furono realizzati saccheggi e razzie terribili e a pagare con la vita furono anche gli abitanti
cristiani; gli assedi furono molti e ripetuti, poichè il papa, facendosi forza del contingente
armato che gli prestava servizio, indicava, a seconda dei propri interessi, quali fossero i
principali nemici della fede, arrivando a promuovere numerose crociate contro i sovrani e i
principi ghibellini.
Ancora una volta il movente spirituale fu superato da quello politico.
Il traguardo di Innocenzo III si segnò con il Concilio Lateranense (1215) nel quale stabilì
quali fossero i doveri degli eccelesiastici e dei fedeli.
In Francia il successore di Luigi VII fu il figlio Filippo Augusto, cha avviò una politica di
rilancio sia all'interno, consolidando gli obblighi feudali, sia all'estero, puntando ad
indebolire il vassallo inglese, dove reganava Enrico II, ed escogitando la strategia di
conquistarsi la fiducia del figlio Riccardo Cuor di Leone, e insieme al quale partecipò alla
III crociata, ma come prestabilito, non esitò a tradirlo.
Alla morte di Enrico VI in Sicilia e di Riccardo in Inghilterra, lo scenario politico europeo
si indebolì, e gli unici arbitri restarono papa Innocenzo III e il re di Francia Filippo Augusto.
In Inghilterra aveva preso potere Giovanni Senzaterra, che venne condannato per aver
tradito gli obblighi vassallatici (fallonia) nei confronti del sovrano francese, perdendo gran
parte dei territori feudali, e per evitare l'attacco diretto all'Inghilterra, dichiarò l'intero regno
feudo della Chiesa. I due sovrani però si ritrovarono in cotrapposizione in un'altra
occasione, in terra tedesca, quando Innocenzo III mosse una coalizione contro l'imperatore
Ottone, che aveva tra i suoi alleati Giovanni Senzaterra, mentre Filippo Augusto si era
schierato da parte del papa (la domenica di Bouvines).
Il prestigio della monarchia francese andò sempre di più crescendo, allargando i domini e
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consolidando il controllo sull'aristocrazia.
La sconfitta a fianco dell'imperatore tedesco portò Giovanni Senzaterra a dover affrontare le
reazioni negative del popolo, alimentate dal loro dissenso al fatto che avesse dichiarato
l'Inghilterra feudo della Chiesa.
La protesta prese il sopravvento al punto che gli ecclesiastici e i baroni costrinsero il re a
firmare la Magna Charta (1215), conferamata poi nel 1217 da Enrico III.
Con questo nuovo patto venivano ufficializzati tutti i diritti dei nobili e del clero, e riportate
tutte le concessioni ottenute, inoltre il sovrano si impegnava a non poter introdurre nuove
tasse senza la lora approvazione.
La loro organizzazione aveva preso forma nel Consiglio Comune del Regno.
La Magna Charta è intesa come il fondamento della Costituzione parlamentare, anche se
inizialmente il suo scopo era solo quello di vigilare sull'operato del sovrano; per questo in
seguito segnerà il punto di partenza dei movimenti liberali dei cittadini. Nell'immediato
però la Magna Charta peggiorò la situazione del paese, infatti il papa contestò il re,
annullando tutte le concessioni che aveva dato; nemmeno i ribelli lo sostennero, che invece
approfittarono della crisi per portare al trono Luigi, figlio del re francese Filippo Augusto,
che però fu presto sosituito dall'erede legittimo Enrico III, costringendolo a tornare in
Francia, dove accolse l'eredità paterna.
La domenica di Bouvines oltre a segnare la sconfitta di Giovanni Senzaterra e
l'affermazione di Filippo Augusto, fu anche l'inizio del mito di Federico II, definito da
subito meraviglia del mondo.
Infatti in questa occasione fu incoronato re di Germania dall'arcivescono di Megoza in
cambio dell'amanzaione della Bolla d'Oro di Eger, con la quale rinunciava ai diritti
imperiali stabiliti con il Concordato di Worms, riguardo all'elezione di vescovi e abati.
Nonostante Innocenzo III avesse cercato di evitare che lo Stato della Chiesa si venisse a
trovare circondato dal potere imperiale, alla sua morte Federico II venne meno alla
promessa di rinunciare al Regno di Sicilia conferendo al figlio Enrico, già re di Sicilia, il
titolo di re dei Romani, designandolo come suo successore. Inoltre egli stesso ottenne il
titolo imperiale dal papa Onorio III in cambio della sua partecipazione alla crociata per la
riconquista di Gerusalemme.
Tornato nelle terre del Regno di Sicilia, Federico II trovò la situazione precipitata, poichè le
organizzazioni locali ne avevano appofittato per espandere la loro autonomia. Cercò di
ripristinare l'ordine con la Dieta di Capua nel 1220, obbligando l'abbattimento delle
fortezze abusive e recuperando i diritti regi. Nella stessa Sicilia riuscì a recuperare il
dominio sconfiggendo i Saraceni, i quali furono deportati a Lucera, lasciandoli liberi di
professare la loro fede, in cambio del loro servigio per tutta la durata della dinstia Sveva.
La politica federiciana fu alquanto moderna, sia per la gestione economica, favorendo gli
scambi, sia per la parte amministrativa, curando al formazione di funzionari politici
all'interno dell'Università di Napoli (1224), prima università statale del mondo occidentale.
I piani di Federico II si andavano sempre di più chiarendo, e provò ad ufficializzarli in una
dieta a Cremona, ma le città longobarde, preoccupate, ricostituirono la vecchia Lega,
appellandosi al pontefice Onorio III, il quale stava ancora aspettando che l'imperatore
partisse per la crociata. Federico II, capita la delicata situazione, annullò la Dieta e fece
ritorno al sud, durante il viaggio si fermò a Pisa dove ancora una volta manifestò il suo
grande interesse per la scienza e la filosofia.
Morto Onorio II divenne papa il cardinale Ugolino da Ostia, cioè Gregorio IX, che impose
subito a Federico II di partire per la Terrasanta, il quale convocò crociati e pellegrini a
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Brindisi, ma a causa di un'epidemia dovette tornare, il papa non credendo alla sua malattia
lo scomunicò.
Nonostante ciò, guarito, ripartì per la crociata, e grazie alla sua cultura e diplomazia riuscì a
stipulare un trattato con il saladino di Gerusalemme. Tale mossa fu ritenuta scandalosa per il
papa, che mosse contro lo stesso Fedeico una crociata. Federico ne uscì vittorioso e alla fine
con il papa Gregorio IX sancì la Pace di Ceprano (1230), con la quale veniva ritirata la
scomunica a patto che egli rinunciasse al controllo sul clero.
A questo punto l'impertaore si dedicò completamente alla nuova amministrazione politica,
contraddistinta dalla Costituzione di Melfi (1231), un codice di leggi che mettevano
insieme il diritto romano e la legislazione normanna, e questo grazie all'aiuto dei giuristi
Pier della Vigna e Taddeo Sessa. Inoltre provvedette alla difesa territoriale con
l'edificazione di una rete di castelli. Nonostante la sua efficace politica, la Germania fu
molto trascurata, lasciando quasi totale autonomia ai principati tedeschi, e anche qui emanò
la Costituzione di pace imperiale, riordinando il diritto penale tedesco.
Il figlio Enrico, rimasto al controllo della Germania, si ribellò al padre, che in nessun modo
lo perdonò, facendolo arrestare e trasferendo i suoi poteri all'altro figlio Corrado IV.
Nel 1237 Federico II pensò che era giunto il momento di sopraffare la Lega lombarda, e
così fece a Cortenuova; ma i comuni della lega mantennero la coalizione confidando
nell'aiuto di papa Gregorio IX. Infatti si costituì un vero e proprio patto tra tutti i nemici di
Federico, per organizzare un attacco dal mare al regno di Sicilia. Il pontefice lanciò la
seconda scomunica all'imperatore dando inizio ad una lunga ed aspra guerra, che divenne
ancora più dura per mano di papa Innocenzo IV. Infatti gli ultimi anni di Federico furono
terribili, addirittura il papa indisse una campagna diffamatoria contro di lui, designadolo
come l'anticristo, e ponendolo sotto l'assedio di francescani e domenicani.
Le rivolte continuarono lungo tutto il Regno, i comuni della fazione ghibellina passarono a
quella guelfa. Morì il 13 dicembre del 1250 a Castel Fiornetino, presso Lucera; fu sepolto
nel Duomo di Palermo. Federico II ha rappresentato uno dei personaggi più importanti e
rivoluzionari del medioevo, e con il suo amore per la cultura innescò il successo e lo
splendore della corte palermitana e della Scuola Poetica Siciliana.
Nel 1254 morì anche il figlio Corrado IV e solo nel 1273 fu eletto il debole Rodolfo
d'Asburgo, che abbandonò quasi completamente sia i territori dell'Italia che quelli della
Germania.
Sul trono del regno di Sicilia prese posto il figlio naturale di Federico II, Manfredi, che
però fu presto sconfitto da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, chiamato in
Italia dal papa, deciso ad eliminare definitivamente la dinastia di Federico. Il nuovo
sovrano, grazie alla sua esperienza francese riuscì a consolidare quello che era già stato il
potente Regno degli Svevi.
Spostando lo sguardo alla penisola iberica notiamo che tra i secoli XI-XII prende forma una
liberazione dal dominio musulmano, la cosiddetta Reconquista.
Le prime rivolte si registrano fin dall'inizio dell'VIII secolo e a seguire per i due secoli
successivi; ma non si trattava di vere e proprie campagne militari, ma solo di colonizzazioni
e costruzioni di nuovi villaggi. Si giunse così all'XI secolo quando, approfittando della crsi
del califfato di Cordova, le mire espansionistiche aumentarono, alimentate tra l'altro da
motivazioni sia di tipo politico che religioso, proprio come una crociata.
Contro i Musulmani si unirono francesi e normanni, e lo scopo comune era soprattutto
quello di sottometterli politicamente, lasciandoli poi liberi in cambio di tasse.
La Spagna era così divisa:
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- il Regno di Leon nella parte nord-occidentale
- il Regno di Navarra nella parte nord-orienatale
- il Regno di Castiglia nella parte centrale
- il Regno di Aragona presso la catena dei Pirenei
Il movimento espansionistico si concluse verso la metà del '200, concedendo ai Musulmani
una piccola parte del territorio in qualità di tributari di Castiglia.
L'organizzzaione dei nuovi stati cristiani si andava definendo, conquistanto sempre di più
prestigio ed autonomia, sia politico che economico.

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L'AUTUNNO DEL MEDIOEVO E LE ORIGINI DEL MONDO MODERNO

L'Europa tra crisi e trasformazione

Agli inizi del '300 in Europa si registra un rallentamento sotto tutti i punti di vista.
Il rapporto tra terre coltivabili e popolazione giunge al limite, poichè le tecniche agricole in
atto non permettevano il pieno sfruttamento del terreno, che in poco tempo diveniva poco
produttivo. Ciò portò ad un aumento dei prezzi in maniera esponenziale, incidendo
addirittura sul tasso di mortalità e di natalità, a causa delle continue carestie. Un fattore che
influenzò sia il calo della produzione agricola, che l'insorgere di malattie, fu il
peggioramento del clima, più freddo e piovoso. Inoltre l'esodio dalle campagne alle città
portò alla concentrazione del popolo in aree ristrette, alimentando la possibilità di contagio,
soprattutto a causa della scarsa igiene.
Tra le varie ondate epidemiche la più nota è quella del 1348, detta "peste nera", la peste
bubbonica. La diffusione non fu omogenea in tutte le zone dell'Europa, ma quasi ovunque si
registrarono vuoti di popolazione. Nello stesso anno ci fu un forte terremoto che provocò
quasi 10000 morti, seguito da altre numerose catastrofi naturali.
A sconvolgere l'Europa tra il '300 e il '400 ci fu un altro fattore: la guerra, essa non era più
quella di episodi lievi e circostritti, ma passò ad essere una condizione perdurante nel tempo
e fatta di assedi e saccheggi, fino a colpire l'economia dell'Europa intera.
In Itlaia nel 1282, e per 90 anni ci fu la Guerra del Vespro, su territori della Sicilia,
Calabria e Campania. Qui gli Aragonesi (Almugaveri) innescarono una serie di guerriglie,
tanto da incidere sia sull'economia che sul livello demografico. Tale fenomeno presto si
diffuse in tutta Europa, e i protagonisti principali furono le milizie mercenarie, costituite da
bande armate, che erano capeggiate da esponenti della piccola nobiltà. Questi erano di gran
lunga più esperti dell'esercito dei cavalieri feudali, i quali prestavano servizio solo
seguaendo i patti stabiliti con il proprio signore, e non erano per nulla abituati a combattere
per così tanto tempo, nè tanto meno ad intendere la guerra come l'annientamento del
nemico, ma per loro essa era come un'avventura e simbolo di destrezza, paragonabile ad un
torneo.
Poi c'erano gli eserciti dei Comuni, fatti dal popolo, che si dimostravano esperti e valorosi;
ma la situazione si incrinò quando la democrazia comunale cominciò a regstingersi,
concentrando la gestione urbana nelle mani di pochi (oligarchia).
Le numerose guerre che gli stati dovettero fronteggiare portò all'aumento delle spese, che
ricaddero interamente sul popolo, creando una precaria situazione finanziaria. Intanto le
compagnie di ventura (bande armate) si diffondevano in maniera capillare, arrivando ad
avere complesse organizzazioni interne, dove i capi oltre ad essere signori della guerra
erano diventati veri e propri imprenditori economici, grazie all'accumulo dei bottini ricavati
dai saccheggi.
In questo clima è facile intuire che sia nelle città, che nei centri rurali, cominciavano a
nascere numerose rivolte; infatti soprattutto il popolo contadino subì gravi perdite a causa
della mancanza di produzione, dell'aumento delle tasse, e per il fatto che in molti furono
costretti ad arruolarsi.
Uno dei moti contadini più famosi è quello della Jacquerie francese del 1358; poi a seguire
ci fu quella inglese del 1381 che arrivò ad interessare anche operai, artigiani ed
ecclesiastici, riscontrando migliori risultati; un altro caso fu quello della Catalogna, dove
gran parte della popolazione si ritrovò a stare in condizione servile, così nel 1462 si
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organizzarono in una Revuelta General, sostenuta dalla monarchia in lotta con la nobiltà.
In Italia meridionale inizialmente si regiastrarono solo brevi episodi rivoltosi, ma poi con la
nascita del brigantaggio la diffussione di tali eventi fu enorme.
In Italia centro-settentrionale resisteva invece una situazione economica più stabile, grazie
allo sviluppo che si era avviato nel settore dell'artigianato e delle industrie tessili. La crisi
economica però in qualche modo toccò anche loro a causa della riduzione delle botteghe e
del sopravvento che stava prendendo la figura del mercante-imprenditore; inoltre gli operai
venivano costretti a lavorare senza tutela sindacale, ad essere giudicati dai tribunali dei loro
datori di lavoro, e a subire le conseguenza del mercato. Ecco che quindi fu inevitabile lo
scoppio delle prime ribellioni, ancora più accese a causa dei licenziamenti obbligati di
alcune fabbriche, che a seguito dell grave del calo demografico, si ritrovarono a fare i conti
con la sovrapproduzione.
La rivolta più nota è quella di Firenze nel 1378, quando gli operai, i Ciompi, chiesero di
modificare completamente le loro condizioni di lavoro e i rapporti con l'amministrazione,
riuscendo ad ottenere la creazione di tre nuove arti e la partecipazione al Priorato
(magistratura cittadina), ma tale concessione durò poco, visto che le richieste aumentavano
al punto da rompere ogni alleanza.

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Il consolidamento delle istituzioni monarchiche in Europa

Si viene a delineare l'ideologia che ogni sovrano ha il suo regno, superando definitivamente
la struttura imperiale, e di questo ne risentì molto anche la supremazia papale.
Gli eventi importanti che si registrano agli inizi del '300 furono:
- Il re di Francia Filippo IV il Bello unì per la prima volta Parigi agli Stati Generali, quindi:
clero, nobiltà e borghesia.
- Papa Bonifacio VIII, che successe al papa angelico Celestino V, proveniente dagli ordini
dei mendicanti, indisse l'Anno Santo (Giubileo) per tutti coloro che avveno visitato le
tombe degli Apostoli.
- Nel comune di Firenze si crearono le opposte fazioni dei guelfi bianchi e guelfi neri
(sostenuti da Bonifacio)
- Nel 1302 Bonifacio emanò la Bolla Una Sanctam, e con essa riaffermava la sottomissione
al pontefice di ogni uomo e quindi di ogni autorità.
- Bonifacio realizza a pieno l'ideologia dei suoi predecessori Gregorio VII e Innocenzo III,
ma stavolta lui non era circondato da teologi e giuristi, dei quali invece si servì il nemico re
di Francia per portarlo davanti al tribunale, ma la popolazione insorse e riuscì a liberarlo.
- Bonifacio VIII muore dopo pochi giorni e la sede papale da Roma viene spostata ad
Avignone (dal 1309 al 1376) con Clemente V, poichè si temeva l'ostilità dei Romani.
- In Inghileterra Enrico III cercò di ritrattare le concessioni date da Giovanni Senzaterra con
la Magna Charta, suscitando la rivolta dei baroni; così il Consiglio Comune del Regno
divenne Parlamento, costituito da una Camera dei Pari e da una Camera dei Comuni.
Il consolidarsi delle autorità politiche sia in Francia che in Inghilterra creò degli scontri, ed
entrambe si contendevano le terre delle Fiandre e della Scozia; proprio riguardo alla Scozia
nacquero numerosi conflitti tra il 1294-1475 (Guerra dei cent'anni). Dal 1380 entrambi i
paesi erano scossi dalle numerose battaglie e dai conflitti interni, così il re inglese Enrico V
per dare una svolta si alleò con il Duca di Borgogna Giovanni Senza Paura contro il re di
Francia Carlo VI, che dopo varie sconfitte accettò il Trattato di Troyes, dando in sposa la
figlia e quindi la successione del Regno ad Enrico V.
(Tutta la Francia attraversa un periodo in cui il senso di patriottismo provocò numerose
incursioni, tra cui ricordiamo quella di Givanna d'Arco).
Il potere tornò nelle mani dei francesi con Cralo VII, che insieme al figlio Luigi XI, applicò
diverse innovazioni, anche anti-feudali per recuperare i territori.
La Guerra dei Cent'anni servì per rinnovare le tecniche militari, ma d'altra parte, soprattutto
l'Inghilterra ne uscì malridotta, e dopo il regno di Enrico VI il potere venne conteso tra gli
aristocratici, innescando una gierra civile tra i sostenitori della Casa di York (rosa bianca) e
quelli della Casa di Lancaster (rosa rossa), da qui la Guerra delle due rose.
Dopo vent'anni di conflitto salì al trono Riccardo IV di York, ma dopo solo due anni una
nuova rivolta diede inizio alla dinastia dei Tudor.
Enrico VII Tudor intraprese la restaurazione del regno sottraendosi al potere del parlamento.
- Nella Penisola Iberica dopo la Reconquista:
il Portogallo con la monarchia di Giovanni I si rafforzò, con grandi sviluppi nelle attività
marinare.
In Castiglia prediligeva il peso della nobiltà, fino a quando le città non si riunirono in
fratellanze all'interno della corte del Parlamento.
Nel regno d'Aragona, la città di Aragona puntava verso la Castiglia e la Francia
meridionale, invece la Catalogna e Barcellona verso il sud e il Mediterraneo. Anche se ad
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un certo punto gli Aragonesi si trovarono in forte difficoltà e furono costretti a rivolgersi
anch'essi verso il Mediterraneo, conquistando le Baleari, Valencia, la Sicilia e la Sardegna,
scontrandosi così con Genovesi e Pisani.
Con il matrimonio di Ferdinando di Castiglia e Isabella d'Aragona non ci fu la fusione dei
due regni, ma insieme tentarono comunque di far nascere una coscienza nazionale spagnola;
e proprio loro fronteggiarono il grande evento della scoperta dell'America di Cristoforo
Colombo, il quale ebbe dai sovrani i finanziamenti, e con la Capitolazione di Santa Fè
acquisì il titolo di ammiraglio, vicerè e governatore delle terre scoperte.

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Potere e società nel Mezzogiorno Angioino-Aragonese

Mentre in Europa si andavano sviluppando le nuove monarchie e le innovazioni


politiche.amministrative, il Regno di Sicilia diventava sempre di più bersaglio delle mire
espansionistiche dei popoli stranieri e del papato.
Partiamo dalla Battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266, durante la quale muore
Manfredi segnando la fine della dinastia sveva e la conquista da parte di Carlo d'Angiò,
fratello del re di Francia Luigi IX, sostenuto dal papa Urbano IV, che mirava a ripristinare il
vincolo feudale del regno meridionale nei confronti della Chiesa.
Il progetto del giovane sovrano era quello di trasformare la Sicilia nel punto cardine di
un'intera egemonia europea, ma i primi ostacoli vennero fuori con papa Clemente IV, in
seguito al saccheggio di Benevento, città che godeva della protezione pontificia. Purtroppo
il re non riuscì a tenere a freno i sopprusi dei funzionari francesi, e la situazione precipitò
quando arrivò in Italia Corradino di Svevia, innescando una lunga serie di rivolte. Il
sovrano applicò una dura repressione, sconfiggendo Corradino e rinnovando
l'amministrazione dei feudi, accogliendo molti cavalieri francesi. Ed è proprio in questo
clima che nel 1282 il lunedì di Pasqua avviene lo scontro tra i giovani siciliani e i soldati
francesi (Rivolta del Vespro).
In quel periodo re Carlo stava organizzando una spedizione alla volta di Costantinopoli,
quindi si può anche pensare che tale rivolta non sia stata solo una conseguenza del
malcontento popolare, ma una vera e propria congiura organizzata contro il re dagli sconfitti
sostenitori degli Svevi, in collaborazione con il re aragonese Pietro III e l'imperatore
bizantino. Infatti Pietro III si era sposato con Costanza, figlia di Manfredi, rivendicando i
vecchi diritti regi, e ambendo all'espansione nel Mediterraneo in concorrenza agli Angioini.
A peggiorare la situazione del Regno di Sicilia c'era il fatto che i sudditi erano mossi
puramente da questioni militari, così chè presto le maggiori città dell'isola si distaccarono
dal potere centrale, ancora di più quando la capitale fu spostata a Napoli.
In seguito alla Rivolta del Vespro i Siciliani offrirono la corona al re aragonese, contro il
quale però si scagliò papa Martino IV, che indisse una crociata, guidata dal re di Francia
Filippo l'Ardito. Lo scontro si placò nel 1295 grazie a papa Bonifacio VIII, che con il
Trattato di Anagni impose all'aragonese Giacomo II a rinunciare alla Sicilia in cambio di
Sardegna e Corsica. I siciliani non accettarono tale decisione, e proclamarono re il figlio di
Giacomo II, Federico, fino a quando nel 1302 Bonifacio con la Pace di Caltobellotta lo
riconobbe re di Trinacria, con il patto che alla sua morte l'isola dovesse ritornare agli
angioini. Ciò non successe, e fallirono i tentativi di riappropriazione sia di Roberto D'Angiò
che della nipote Giovanna I, costretta nel 1372 a firmare il Trattato di Avignone.
Subito dopo la Rivolta del Vespro la dinastia degli Angiò attraversò un periodo difficile,
anche a causa della sconfitta nelle acque del Mediterraneo durante la battaglia intavolta da
Carlo II lo Zoppo (figlio del re angioino) contro la flotta aragonese. Ma il ritorno di Carlo
fece in modo che la situazione non precipitasse, anzi dopo l'ufficiale separazione dalla
Sicilia, ha inizio un tempo di splendore per il Regno di Napoli, e questo anche grazie al
sostegno papale e dei ricchi signori toscani.
Napoli rinasce sotto tutti i punti di vista, divenne uno dei primi centri commerciali e
culturali d'Europa, in più s'aggiunse un rinnovamemento edilizio e urbanistico.
Il protagonista dell'età dell'oro napoletana fu il re Roberto, detto il Saggio, che riunì nella
sua corte personaggi come Petrarca, Boccaccio, Giotto.
Allargando lo sguardo sull'intera penisola, notiamo come nel giro di un secolo essa appaia
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molto cambiata: al centro-.nord molti comuni si accorpano tra loro o ad altri stati signorili;
al sud i centri tendevano ad allontanarsi dal potere centrale del regno e a costruire organi di
amministrazione comunale. A tal proposito il sud era movimentato da una serie di scontri
tra classi e famiglie per la gestione del potere e sulla distribuzione delle tasse. I comuni
meridionali erano detti Università, all'interno delle quali si distinguevano i nobili dai
popolani, i quali erano quasi del tutto esclusi dalle cariche elettive.
Il ruolo dei Comuni per la monarchia angioina divenne sempre più fondamentale soprattutto
nei periodi di crisi, quando ebbe bisogno di risorse e denaro.
Nel 1343 sale al trono di Napoli Giovanna I, nipote di Roberto, e ha inizio un periodo di
lunghi scontri tra i tre rami della casa d'Angiò: Durazzo, Taranto e Ungheria.
Roberto per placare gli animi combina il matrimonio della nipote con il figlio del re
d'Ungheria, Andrea, ma nel 1343 questi viene assassinato dai parenti degli altri rami, così il
fratello dell'ucciso, re Luigi il Grande d'Ungheria nel 1348 invade il Regno, ma dopo non
molto si vide costretto a ritirarsi nel 1352.
Giovanna I si risposò con Luigi di Taranto, avviando insieme un'opera di restaurazione. La
regina si risposò altre due volte ancora, ma senza partorire mai eredi, così al momento della
successione scelse come suo successore Luigi d'Angiò, fratello del re di Francia, al quale
però si contrappose Carlo III di Durazzo, che nel 1381 si impadronì di Napoli, facendo
imprigionare e uccidere la zia Giovanna I.
Il nuovo sovrano intraprese una politica espansionistica; gli successe il figlio Ladislao, che
invece si concentrò sui territori italiani, e sugli scontri con Luigi II, successore di Luigi
d'Angiò.
Nel 1404 salì altro la sorella di Ladislao, Giovanna II, che per contrastare Luigi III (figlio
di Luigi II), adottò come figlio il re d'Aragona Alfonso V, creando le basi della dinastia
aragonese.
Dopo la Rivolta del Vespro la Sicilia rimase sotto il dominio aragonese, anche se dovette far
fronte costantemente alle pressioni di Napoli. A tal proposito tutti i baroni siciliani, pur
appartenenedo a fazioni opposte (latina o catalana) dovettero unire le forze, però i contrasti
interni continuarono a tal punto da dividere l'isola prima in due e poi in quattro parti. I
dissidi vennero placati con l'arrivo del re Pietro IV d'Aragona, che mise a capo dell'isola il
nipote Martino e lo guidò nella lotta contro i baroni, istuìituendo un parlamento articolato in
tre bracci (nobiltà feudale, clero e cittadini). Alla morte di Martino la Sicilia perse del tutto
l'autonomia, ormai legata completamente al Regno d'Aragona, prima passò sotto Martino il
Vecchio, poi a Ferdinando di Castiglia e quindi al figlio Alfonso il Magnanimo, futuro re
di Napoli.
Intanto successe che Giovanna II revocò l'adozione nei confronti di Alfonso d'Aragona,
scegliendo invece come suo successore Luigi III d'Angiò, che in seguito ad un conflitto
ebbe la meglio (1424).
Nel 1435 Luigi III e Giovanna II muoiono, così Alfonso riprende l'attacco con Renato,
fratello del defunto, ma l'aragonese fu sconfitto dai genovesi, fatto prigioniero e consegnato
al duca di Milano, alleato degli angioini. Ma Alfonso fu capace di ribaltare la situazione,
facendosi liberare e ottenenedo la fiducia del ducato di Milano. Riprese così la lotta, fino a
quando giunse a Napoli e ricostrituì il vecchio Regno di Sicilia. Questo periodo durò grande
prestigio a tutto il meridione e uno splendore economico che durerà fino al XVII secolo.
Lo sviluppo politico amministrativo fu possibile grazie alla chiamata di grandi
professionisti europei; dal punto di vista culturale Napoli divenne uno dei centri della
nascente cultura umanistica. Alla sua morte Alfonso designò come suo successore il figlio
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Ferrante, assegnandogli il trono napoletano, invece al fratello Giovanni assegnò il resto del
Regno e la Sicilia. Ferrante continuò sulla stessa linea politica del padre, contrastando il
potere feudale.

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Chiusure oligarchiche e consolidamento delle istituzioni nell'Italia centro-
settentrionale

Fin da subito l'organizzazione dei Comuni apparì molto instabile sia a causa del fatto che
sempre più famiglie avevano in mano l'economia e i commerci, e sia per l'incapacità di darsi
delle leggi salde. Inoltre l'aristocrazia non fece che peggiorare il funzionamento
dell'istituzione comunale, poichè tendeva sempre di più ad aumentare il proprio potere
grazie alle clientele vassallatiche e ai contatti con i nobili della città.
A tal proposito riportiamo alcuni esempi di Comuni dove prese il sopravvento la signoria
cittadina:
- Ferrara, nel 1240 dopo vari scontri tra aristocratici la famiglia degli Estensi riesce a salire
al governo della città, grazie all'appoggio di altre famiglie e ai numerosi patrimoni fondiari;
- nel Veneto, la famiglia dei Romano riuscì a dominare tutta la zona prealpina fino al 1259,
l'esponente maggiore fu Ezzelino III da Romano;
- con lo stesso metodo si affermò anche Oberto Pelavicino, dapprima solo in Padania, poi
anche in Piemonte, Lombardia ed Emilia, poi perse tutto con l'arrivo in Italia di Carlo
d'Angiò.
Nella maggior parte dei casi queste signorie cittadine si mostrarono poco stabili,
diversamente invece accadde per quelle famiglie a carattere militare, che da tempo avevano
imparato a convivere nell'ambiente comunale, oltre che a gestire i feudi.
A tal proposito ricordiamo i Visconti a Milano e i Malatesta a Rimini. Le signorie arrivano
a sostituirsi del tutto ai comuni, anche se questi non vennero subito smantellati, e si parla
del fenomeno della criptosignoria. Così come negli altri casi anche a Milano il processo di
trasformazione fu piuttosto lento, l'istituzione rimase in vigore a lungo, anche se solo
formalmente, e una svolta si ebbe solo nel 1294 con il conferimento del titolo di vicario
imperiale a Matteo Visconti, quindi il potere signorile si configura come una vera nomina e
non solo come una fiducia del popolo. In alcuni casi però i comuni resistettero per tutto il
corso del '300 come in Toscana. A Firenze la svolta avvenne nel 1342, durante un periodo di
grande difficoltà, a causa delle lotte tra nobili e popolo grasso (ceto dei grandi mercanti) e
per le agitazioni dei salariati. Il protagonista fu un avventuriero francese Gultieri di Brienne,
duca di Atene, protetto da Roberto D'Angiò. Nella sua signoria persero ogni potere sia i
grandi (nobili), che lo avevano sostenuto, che il popolo grasso. Il suo atteggiamento tiranno
fu subito condannato, e già dopo un anno fu cacciato. Questo episodio contribuì, come
anche in altri luoghi, alla costituzione di regimi oligarchici, ad esempio a Bologna (famiglia
dei Principi) e a Genova, dove le diverse fazioni si organizzarono in clan.
Ecco che si andava formando una nuova classe sociale, il Patriziato cittadino, e cioè
l'insieme di quelle famiglie di alta borghesia, che provenivano dai vecchi ceti cavallereschi
o mercantili, ma che ormai avevano assunto uno stile di vita aristocratico, pur mantenendo
sempre vivi i valori di ordine e razionalità.
A tal proposito un esempio eclatante fu Venezia, che nonostante la sua economia, fatta di
commercianti e imprenditori, quindi con una scarsa presenza di salariati, e nonostante si
fosse mostrata aperta ad accogliere le famiglie arricchite, divenne una delle città più chiuse
e con la Serrata del Maggior Consiglio (1297) si riservava l'ingresso al goverso solo a
determinate famiglie.
A Firenze, dopo la cacciata del tiranno, il duca di Atene, il popolo si scatenò contro le case-
fortezze dei più grandi della città, furono ripristinati gli ordinamenti di giustizia, e le
famiglie meno possedenti divennero popolani: fusione tra nobiltà guelfa e grandi mercanti
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(Patriziato Cittadino Fiorentino).
Questo nuovo ceto non si mostrava capace di fronteggiare le grandi diffocoltà, quindi si
verifica una crescita del debito pubblico, crollo delle grandi banche, agitazioni di salariati, il
tutto peggiorato dalla peset nera del 1348.
In tali condizioni diverse famiglie cercarono di prendere il sopravvento sulla città, e quella
che più riuscì ad affermarsi fu quella degli Albizzi.
La nascita delle Signorie in Italia corrispose alla realizzazione di una politica
espansionistica, quindi alla formazione di Stati a dimensione regionale, a prescindere dal
tipo di governo.
- Il ducato di Milano corrispondeva grosso modo al territorio dell'attuale Lombardia.
- Firenze nel 1450 comprendeva gran parte dell'attuale Toscana, tranne Lucca e Siena.
- Venezia conservava il suo obiettivo di raggiungere il dominio del Mediterraneo Orientale,
questo la portò in lungo conflitto con Genova, che aveva avuto già la meglio su Pisa, e che
nel 1380/1 le inflisse una dura sconfitta. Ma Venzia riuscì a risollevarsi grazie alla
mediazione del conte di Savoia, e nel primo decennio del '400 comprendeva un territorio
piuttosto vasto.
- In Piemonte cresceva la potenza dei Savoia, giungendo a mettere le mani fino alla Pianura
Padana, comprendendo l'intera regione, tranne Asti e Monferrato.
- Lo Stato Pontificio si costituisce con la giustificazione di tutelare la libertà della Chiesa, e
comprendeva le attuali regioni di Lazio, Umbria, Marche e parte dell'Emilia Romagna.
Inizialmente era costituita solo da quelle zone che dai Franchi erano state tolte ai Bizantini
e donati alla Chiesa, che con la crisi imperiale riuscì definitivamente ad accorpare. Man
mano si cerò sempre di più di trasformare questo dominio in un vero e proprio stato.
Gestire dei territori così vasti il più delle volte si mostrò quasi impossibile, quindi si
preferiva comunque mantenere in vita i vecchi Comuni, delegati alla gestione delle
questioni locali, e ad appoggiarsi alle vecchie istituzione feudo-vassallatiche.
Questo accadde soprattutto sotto i Visconti a Milano.
A Firenze ci si organizzò con nuovi statuti che donavano maggiori libertà a contadi rurali.
Venezia lasciò la gestione locale ai patriziati urbani, ma diminuendo il loro potere.
Savoia divise il potere in dodici province (baliaggi) rette da funzionari scelti dal duca.

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La Chiesa tra crisi istituzionale e dissenso religioso

Nel 1309 la sede papale viene spostata ad Avignone, in seguito al conflitto tra il re di
Francia Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII. In questo periodo tutti i papi, come la gran
parte dei cardinale e del personale della curia, erano provenienti dalla Francia, sopratuttto
meridionale. Solo nella scelta di vescovi e abati la Chiesa dovette continuare a scendere a
compromessi con i vari sovrani.
Gli uffici più importante dello Stato pontifico era la Cancelleria, che provvedeva all'ordine
dei documenti, e la Camera Apostolica, addetta alle finanze, infatti una serie di funzionari
giravano su tutto il territorio cattolico per raccogliere le imposte. Le entrate erano notevoli,
ma d'altra parte lo erano anche le spese, per poter mantenere una corte maestosa e ricca,
capace di accogliere i più grandi letterati e artisti d'Europa.
Tutta questa situazione non poteva che suscitare lo sdegno e la ribellione dei fedeli che
avrebbero voluto una Chiesa più vicina agli ideali del Vangelo e impeganta nella guida
spirituale. Nei confronti di questi gruppi popolari, la Chiesa adottò atteggiamenti
estremanete repressivi, dichirandoli eretici.
Tra i maggiori movimenti ricordiamo:
- I seguaci di Segarelli, di carattere pauperistico, fratelli apostolici che non accettavano la
nuova normativa di trasferire i nascenti ordini a quelli già approvati dalla Santa Sede.
Trovarono poi la loro guida in Dolcino da Novara (Fra' Dolcino).
- In Inghilterra e in Europa si diffuse l'insegnamento del teologo Giovanni Wiklyf, che
partiva dalla critica alla eccessiva modernizzazione della Chiesa per arrivare alla
contestazione di elementi fondamentali della Dottrina. I suoi seguaci erano chiamati
lollardi, e nonostante le numerose condanne a rogo il lollardismo si protrasse per tutto il
'400.
- Giovanni Huss, elaborò un rifacimento delle teorie del teologo Wiclyf, soffermandosi più
sulle critiche riguardo al clero che sulla Dottrina.
Il movimento hussista ebbe gran successo in tutta la Boemia.
Nonostamte i continui appelli che venivano fatti ai papi per far ritorno alla sede originaria di
Roma, la residenza Avignonese risultava fin troppo comoda e tranquilla.
Il primo che provò a far ritorno fu Urbano V nel 1367, ma resistette solo 3 anni, fu poi il
suo successore Gregorio XI, che protetto da bande armate, si ristabilì a Roma.
Il problema sorse alla sua morte, quando i Romani con manifestazioni rivoltose
intimidirono i cardinali abbligandoli a scegliere un papa italiano, Urbano VI, arcivescovo di
Bari. D'altra parte i cardinali francesi ritennero nulla questa elezione e nominarono ad
Avignone Clemente VII.
Si costituirono parallelamente due Collegi Cardinalizi, ognuno indipendente dall'altro. Tale
scisma abbassò ulteriolmente il prestigio della Chiesa, che fu ancora di più attaccata dalle
accuse di carnalità e voglia di potere.
Si credette di trovare una soluzione convocando un Concilio Universale e deponendo
entrambi i papi ed eleggendone uno nuovo, Alessandro V; successe che entrambi i pontefici
si rifiutarno di dimettersi, e così i papi divennero tre.
Alla luce di tante controversie in molti, tra teologi e sovrani, convennero all'idea che solo il
Concilio potesse essere lo strumento giusto per ripristinare la vecchia dottrina della Chiesa
e per riorganizzare la struttura del clero e la distribuzione delle varie cariche. Così il 5
novembre del 1414 i Padri Conciliari si riunivano a Costanza, approvando il decreto Haec
Sancta, secondo il quale si sanciva che il Concilio Universale ha autorità si tutti i cristiani,
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compreso il papa, in quanto il suo potere deriva direttamente da Cristo.
Vengono deposti i tre papi e viene eletto Martino V. Si decise inoltre che il Concilio si
dovesse riunire ogni 10 anni, ad eccezione del primo che doveva esserci dopo 5 anni e del
secondo dopo 7, ma in tali occasioni non si giunsero a grandi risultati, soprattutto riguardo
al tema della riforma della Chiesa, a causa dei molteplici pareri discordanti.
Il successore di Martino V fu Eugenio IV, il quale non accettando di sottomettersi al potere
del Concilio ordinò di sospenderlo, e si trasferì in Italia prima a Ferrara, poi a Firenze, per
riunirsi con vari teologi e discutere sulla riunificazione con la Chiesa orientale.
Tale atteggiamento portò i conciliaristi, che rimasti a Basilea, a processare e deporre
Eugenio IV, e fu proclamato papa Felice V.
A Firenze intanto continuava il processo di riunificazione delle due Chiese (6 luglio 1439),
ma i conciliaristi non riuscirono a placare i contrasti interni, così nel 1449 Felice V fu
costretto a ritirarsi, e fu accettato come unico pontefice il romano Niccolò V.
Si è visto come nemmeno il movimento conciliarista riuscì ad operare dei cambiamenti
all'interno della Chiesa, quindi i maggiori sovrani europei decisero che l'unica strada da
seguire era quella di trovare degli accordi con il pontefice, che in cambio del
riconoscimento della sua autorità, lasciava loro il controllo sulle cariche principali e il
diritto di tassare i beni ecclesiastici. In Francia si costituì una vera e propria Chiesa
nazionale (gallicana), dove il sovrano condannò ogni intervento pontificio
sull'organizzazione dei beni e con la Prammatica sanzione di Bouges si proclamò
protettore della Chiesa Gallicana.
In seguito a questa riorganizzazione di cariche e poteri, la Chiesa potè dedicarsi al recupero
della dottrina, e tra i vari teologi che operarono si distinse Enea Silvio Piccolomini, che
divenne papa con il nome di Pio II, e nel 1460 pubblicò la Bolla Execrabilis, affermando il
ruolo del papato come guida suprema della Cristianità ed escludendo la possibilità che il
Concilio vi si potesse sovrapporre.
In questo periodo si andò sempre più consolidando il prestigio del Collegio Cardinalizio,
che divenne la rappresentanza delle varie famiglie principesche dell'Europa, le quali si
assicuravano volta per volta di avere un cardinale in famiglia che tenesse d'occhio la
gestione dei beni ecclesiastici.
Un altro fenomeno che prende piede in questo particolare periodo di riorganizzazione della
Chiesa è il nepotismo. Tutto nasce in seguito al fatto che dopo gli anni dello scisma il
Cardinale Egidio d'Alboino cercò di ristabilire l'autorità pontificia per poter reprimere le
autorità cittadine e dominazioni signorili. Così i pontefici per mantenere il controllo sui vari
possedimenti affidavano cariche e signorie ai loro parenti, e il primo ad ingegnare questa
prassi fu papa Martino V, che proclamò cardinale suo nipote Prospero Colonna.
Inoltre dal punto di vista economico la Chiesa si dotò di un vero e proprio sistema fiscale, in
modo da potere accrescere le entrate, le quali consentirono allo Stato pontificio di
procurarsi un esercito armato di mercenari e di rinnovare l'aspetto edilizio e urbano di
Roma, attirando i più grandi artisti dell'epoca rinascimentale (mecenatismo).
Anche se da come si è visto le cariche più alte del clero erano più impegnate nelle questioni
politiche e amministrative, che in quelle pastorali, va' detto che i fedeli non vennero
abbandonati. Infatti a tal proposito fu fondamentale il ruolo delle parrocchie, delle
confraternite e dei vicari vescovili che seppero ben assolvere il compito di guida dell'anima.
Proprio in quest'ottica nasce il Movimento dell'Osservanza all'interno dei vari dei vari
ordini religiosi, che richiamava al rispetto delle regole e della dottrina, esercitando anche
una grande influenza sul piano sociale e politico.
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Alla ricerca di un difficile equilibrio.
Politica e cultura dell'Italia del Quattrocento

Nella seconda metà del '400 tutti gli stati europei si trovarono a fare i conti con gravi
problemi di riassetto interno, e nel caso particolare della penisola italiana i protagonisti
erano tutti quegli stati regionali che a turno avevano cercato di prendere il potere sull'intero
territorio, ma che erano sempre falliti.
Facendo un breve riassunto della situazione ricordiamo il Ducato di Milano, qui Filippo
Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo, avviò il recupero dei territori persi in seguito alla
morte del padre, affiancandosi Francesco Sforza, Noccolò Piccinino, Francesco Bussone (il
Conte di Carmagnola), e alleandosi con quelle città toscane che temevano l'espansione di
Firenze. Fu inevitabile la costituzione di una coalizione opposta, messa su da tutti quelli che
si sentivano minacciati dalla potenza viscontea: Firenze, Venezia, il papato e i Savoia,
dando inizio ad una serie di scontri che durò per più decenni.
In questa situazione così instabile fu determinante il ruolo dei mercenari, che passavano da
una parte all'altra a seconda del maggiore interesse che ne ricavavano, così i principi per
obbligarli alla fedeltà si univano a loro con vincoli matrimoniali o concedendo terre. Questo
fu il caso del conte di Carmagnola, al quale il Visconti diede in sposa sua nipote Antonia,
ma ciò non valse la sua lealtà, infatti presto passò dalla parte di Venezia assicurandole una
preziosissima vittoria. Nonstante tutto in seguito a vari insucessi e accusato di tradimento, il
Senato veneziano lo convocò, lo processò e lo decapitò.
Se le cose non andavano in maniera brillante per i Visconti sul fronte veneziano, non era la
stessa cosa contro Firenze, la quale si vedeva sempre costretta a mantenersi sulla difensiva.
Si provò a raggiungere un accordo con la Pace di Ferrara nel 1433, ma fu solo un tragua
momentanea dopo di che i Visconti ripartirono all'attacco puntando ancora più in alto verso
la conquista di Umbia e Marche.
Nel resto dell'Italia la situazione non era più tranquilla, infatti era in corso il conflitto tra
Luigi III d'Angiò e Alfonso d'Aragona per la successione di Giovanna II.
A Firenze a causa delle continue sconfitte contro il ducato milanese il regime oligarchico
degli Albizzi perse molti consensi facendo spazio a quello che poi sarebbe stata la grande
potenza della famiglia dei Medici.
A Milano, con un nuovo accordo, il duca di Milano diede sua figlia in moglie a Francesco
Sforza, che però non si perse d'animo a prendere parte alla coalizione avversa al suocero. A
complicare ancora di più la situazione a Milano fu la morte senza eredi diretti del duca nel
1447, innescando una disputa infinita tra i vari rivendicatori del titolo, ma alla fine le
famiglie del patriziato decisero di mettere su un regime oligarchico, instaurando la
Repubblica Ambrosiana.
Dopo tanti anni di lotta Milano si ritrovò a dover fare i conti con tutte quelle signorie che
rivendicavano la loro indipendenza, Firenze non era riuscita a ricavare nessun vantaggio
territoriale, solo Venezia si andava affermando come una delle più grandi potenze italiane
grazie alla politica espansionistica, che addirittura la portò a minacciare i territori lodigiani.
In visione di ciò Milano tentò di trovare una soluzione efficace, così la città fu messa nelle
mani di Francesco Sforza, il quale riuscì a sconfiggere i Veneziani a Caravaggio nel 1448,
e sfruttando anche i diritti che aveva ereditato dal matrimonio con la figlia del Visconte, si
fece proclamare duca. Venezia non si arrese, anzi continuò la lotta facendosi forza
dell'alleanza dei Savoia e di Napoli, mentre al fianco di Milano s'era schierata Firenze.
Alla notizia della caduta di Costantinopoli e all'appello del papa di una crociata contro i
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Turchi, Venezia subito approfittò per spostare la sua attenzione verso l'Oriente, per impedire
la perdita del predominio commerciare che si era conquinstata negli ultimi decenni. Così si
giunse ad un accordo tra le grandi potenze della penisola, la Pace di Lodi del 9 aprile 1454.
Tale unione fu maggiormente rafforzata dalla costituzione della Lega italica, alla quale
presero parte anche Napoli e il duca d'Este, promettendosi di proteggere gli equilibri interni
e di difendersi a vicenda dagli attacchi esterni.
Forniamo ora un quadro completo della situazione degli stati italiani.

-
Venezia
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sue
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dei
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ee
prese sotto protezione alcune città albanesi e greche che temevano la potenza dei Turchi.
Per quello che riguarda il commercio i veneziani riuscirono a mantenere una certa
indipendenza, anche se la nuova potenza orientale pretendeva il pagamento di tasse gravose,
e fu questo a spingerli verso i mercati di Alessandria d'Egitto.
- A Milano Francesco Sforza si dedicò alla costruzione di un elevato consenso cittadino, e
alla coesione con Firenze e Napoli nell'interesse dell'intero territorio. A livello locale riavviò
la l'attività agricola e delle manifatture, nonchè il finanziamento di grandi opere pubbliche.
Il suo successore fu il figlio Galeazzo Maria, che però non attenuando una politica prudente
come quella del padre nel 1476 fu assassinato. La vedova Bona di Savoia, prese in
affidamento il figlio successore Gian Galeazzo, però dopo gli fu impedito dal cognato,
fratello del duca defunto, Ludovico il Moro, che prese in mano il potere in nome del
nipote.
- La signoria dei Gonzaga a Mantova e quella degli Estensi che gestivano Ferrara, Modena
e Reggio erano specializzate nell'arte dei condottieri e il loro destino a lungo fu quello di
sapersi destreggiare tra le grandi potenze espansionistiche di Milano e Venezia. Uno dei
personaggi più importanti fu Borso d'Este, uno degli artefici della Lega italica.
- Ad est della penisola c'era il Principato ecclesistico di Trento, ad ovest i tre marchesati
di Salluzzo, Monferrato e Ceva, e la contea di Asti.
- Il Ducato di Savoia, divenne tale grazie ad Amedeo VIII, il quale inglobò anche Nizza
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riorganizzando il territorio in province e castellanie. In seguito però la situazione divenne
più delicata e la pressione del ducato di Borgogna e della Svizzera divenne sempre più
pericolosa.
- La repubblica di Genova, essendosi sempre concentrata sui commerci, si trovò a fare i
conti con la mancanza di una salda forza armata, e così con l'avanzata dei Turchi si trovò a
perdere il controllo della riviera ligure e della Corsica, e talvolta anche l'autonomia della
stessa città a favore di Milano, del papato e dei francesi; d'altra parte intraprese prima di
tutti le rotte oceaniche.
- Lucca, Siena e Bologna in qualche modo, pur dovendo sempre mantenersi sulla difensiva,
riuscirono a conservare l'ordinamento comunale, anche se nel caso dell'ultima più volte
cedette al potere dei Visconti o del papa.
- Per quello che riguarda l'autorità papale essa arrivava a coprire anche vaste zone della
Romagna.
- Nella seconda metà del '400 Firenze assunse un ruolo predominate in tutta la penisola e
anche fuori, grazie alla politica applicata prima da Cosimo dei Medici e poi del nipote
Lorenzo il Magnifico.
Fondamenatali furono le alleanze, prima con Venezia, poi anche con Milano, in seguito
anche con il re di Napoli e al tempo del papa Innocenzo VIII riuscì ad assicurarsi anche la
protezione del papato dando in sposa la figlia di Lorenzo al figlio naturale del pontefice.
Lo scopo di Lorenzo fu soprattutto quello di rinforzare il proprio potere cercando di
svuotare quello dell'istituzione comunale, ma nonostante tutto non riuscì a smontarla del
tutto, in effetti la loro era solo una signoria di fatto e non legittima e questo non escudeva
che le altre famiglie tentassero in ogni modo di emergere. A tale avviso ancora una volta fu
decisiva la politica nepotisica di Sisto IV, il quale vedendosi riufiutata dai Medici la
richiesta di aiutarlo a riscattare Imola dal duca di Milano per darla poi a suo nipote
Girolamo Irario, tolse loro la gestione delle finanze papali affidandole invece alla famiglia
dei Pazzi e nominò arcivescovo uno della stessa famiglia, Francesco Salviati. Lorenzo
riuscì ad ottenere il trasferimento di questi a Pisa, ma i Pazzi continuarono la lotta ideando
una congiura alle sue spalle.
Il 26 aprile del 1478 a Firenze durante la funzione liturgica alcuni sicari si avventarono su
Lorenzo, che riuscì a rifugiarsi, e il fratello, Giuliano, che invece rimase ucciso. Ne seguì
l'uccisone di molti della famiglia dei Pazzi, e di conseguenza il papa scomunicò Lorenzo, si
alleò con il re di Napoli e con Siena, con i quali combattè contrò l'intera città di Firenze, che
si vide infliggere una pesante sconfitta a Poggio Imperiale. La situazione si placò solo
quando Lorenzo decise di andare a parlare con il re di Napoli Ferrante, e ottenne da lui
l'appoggio, in tal modo il papa dovette scendere a copromessi.
Di fondamentale importanza fu l'allenaza che si venne a creare tra Milano, Firenze e Napoli,
soprattutto in risposta alla congiura organizzata dai baroni meridionali contro Ferrante.
Infatti questi già da tempo erano preoccupati dalla polica accentatrice e antifeudale degli

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aragonesi, così approfittando del distacco della monarchia con il papato, intrepresero una
coalizione con papa Innocenzo VIII contro il re; a loro si unirono anche i Veneziani, già da
tempo in conflitto con Napoli. La disputa si placò grazie a Lorenzo, che appoggiato da
Milano, riuscì ad instaurare una pace nel 1486, con la quale il re si impegnava a pagare il
tributo di vassallaggio alla Chiesa e a perdonare i ribelli. Il dovere di Ferranrte fu espletato
solo a metà, infatto come ne ebbe occasione fece arrestare i maggiori personaggi che
avevano preso parte alla congiura.
Fin quando valsero i patti stabiliti l'Italia riuscì a vivere un periodo di equilibrio stabile, ma
non appena dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, di papa Innocenzo VIII e di re Ferrante
ebbe inizio un periodo fatto solo di guerre e invasioni da parte di tutta Europa, per potersi
accaparrare il predominio su quel Paese che era diventato la culla della nuova cultura
dell'Umanesimo e del Rinascimento.
A tal proposito va ricordato che già alla fine del Trecento diversi letterati, seguendo
l'esempio di Petrarca, si erano messi alla ricerca degli antichi testi latini, che fino a quel
momento venivano utilizzati solo come modelli formali, senza mai essere stati presi
veramente in esame.
Il progetto fu quello di scoprire quali fossero i principi e i valori morali degli antichi, di
coloro che avevano vissuto al tempo della grande Roma, e di poter poi prendere da loro
insegnamento ricongiungendo quella storia che nel recente passato aveva attraversato un
periodo di stallo intermedio, e per questo motivo detto Medioevo.
E proprio etichettando tale epoca come una fase di decandenza in tutti i campi del sapere,
nasce la polemica sul Medioevo.
Alla riscoperta di quegli scritti ormai persi, e alla ricerca di un dialogo con gli antichi, i
maggiori letterati e filologi riportarono alla luce molte delle grandi opere fino ad allora
dimenticate.
Uno dei problemi che si sollevò nella rinascita dell'antica cultura, fu l'opposizione che si
creò tra l'esaltazione del mondo classico e quindi anche dei vecchi riti pagani, con
quell'identità crestiana che per tutta l'epoca medievale si era radicata nell'animo delle
persone e nei modelli di formazione.
Nonostante questa notevole difficoltà l'Umanesimo riuscì ad affermarsi e diede vita a
diverse accademie, oltre a trasformare molte corti in centri di scambio tra letterati e artisti.
Nell'ottica di questo movimento culturale è importante ricordare la grande importanza che
ricoprì Firenze; possiamo distinguere tre fasi: la prima laica e repubblicana, la seconda fatta
di filosofia e che vedeva in Lorenzo il Magnifico l'incarnazione del modello platonico del
pricipe-filosofo, e proprio grazie alla famiglia dei de' Medici fu possibile riunire a Firenze
tanti grandi ingegni, e la terza quella della filologia, una scienza che prende forma in questo
periodo, e che vedeva nello studio testi classici e nella loro imitazione, il punto di partenza
per la creazione di uno scritto e di un pensiero.
Come Firenze anche Roma ebbe un ruolo importante, e qui ciò fu possibile grazie al
mecenatismo dei papi; inoltre anche la corte di Napoli raccolse diversi grandi personaggi,
grazie ai quali fu possibile la creazione di una splendida biblioteca. Ciò non toglie che nel
resto delle corti d'Italia il fenomeno del mecenatismo fu presente e portò grandi ricchezze
alle varie città. Durante il periodo dell'Umanesimo e del Rinascimento, oltre alla letteratura
e all'arte, registrò un grande sviluppo anche la musica, infatti per la prima volta divenne
disciplina professionale. Inizialmente nel '400 la musica italiana ebbe un gran successo
nell'ambito popolare e profano, ma successivamente il '500 è stato detto "il secolo d'oro
della musica sacra".
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La presenza di grandi personaggi all'interno delle corti, oltre a donare prestigio alla corte
stessa, era una vera e propra risorsa prima di tutto per il talento che prestavano ai sovrani e
all'intera comunità e in secondo luogo anche per l'apporto politico, divenendo dei veri e
propri ambasciatori della corte che li ospitava in tutta Europa, segnando quella che sarà poi
chiamata la nascita della diplomazia moderna.
Questi cambiamenti rappresentavano solo una minima parte dell'intera trasformazione degli
stati europei, i quali cominciavano a sentire l'esigenza di sistemi amministrativi e finanziari
più stabili, così come per l'ambito militare fu necessario attivare nuove formazioni, proprio
in virtù di quelli che erano stati i grandi condottieri del passato. Nonostante tutto gli Stati
italiani non seppero giungere quel livello tale che permettesse loro di competere con il resto
d'Europa, e ciò provocò la dispersione delle grandi menti e dei grandi artisti accolti alla
corte dei sovrani esteri.

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APPROFONDIMENTO

INNVMERA CADAVERAT: un'infinità di cadaveri.

451 d.C. La battaglia dei Campi Catalaunici è l'ultima grande vittoria di un Esercito
Romano contro i barbari e per certi versi l'esempio più alto della nuova realtà militare,
costituita dai cosiddetti eserciti romano-barbarici, che si è andata sviluppando negli ultimi
secoli. Artefice della vittoria non è più solo la compattezza delle legioni ma anche la furia e
il vigore fisico con cui combattono i suoi alleati. Roma non è più in grado di affrontare da
sola le orde barbare ma deve chiedere alleanza a re di altri regni limitrofi per difendere i
suoi confini. E' sia un chiaro sintomo di debolezza sia l'avvisaglia di quanto accadrà nel
futuro più prossimo dove i re stringeranno e rinnegheranno alleanze coi vicini per
combattere una serie infinita di guerre.
Ma torniamo ai Campi Catalaunici.
Nella lunga serie di successi militari questo è forse uno dei più importanti. Certo non apre la
strada a nuove conquiste, ma consentirà al mondo classico e al mondo barbarico, civilizzato
da secoli di contatti con l'Impero, di difendersi dall'attacco selvaggio dei barbari Unni.
Attacco che se portato a termine avrebbe forse segnato terribilmente il futuro di tutta
l'Europa e del bacino del Mediterraneo.
Dopo il trasferimento di fatto del centro dell'Impero a Bisanzio la minaccia barbara era
diventata costante. Si erano susseguite una serie infinita di battaglie e scontri di confine
culminate nella terribile sconfitta di Adrianopoli (378 d.c.) nella quale un intero esercito
imperiale guidato dall'Imperatore d'Oriente Valente era stato massacrato dai Visigoti di
Fritigerno. Le proporzioni dell'immensa sconfitta non avrebbero consentito più, alla
macchina bellica romana, di riprendersi completamente. Il mito dell'invincibilità delle
legioni già minato dalla sconfitta delle legioni del legato imperiale Varo nel 9 d.c. nella
Selva di Teutoburgo era definitivamente segnato. Proprio la frequenza con cui i barbari si
affacciavano ai confini di Roma avevano indotto Teodosio a dividere l'Impero fra i suoi due
figli Arcadio e Onorio, il primo in Oriente e il secondo in Occidente, nel tentativo di rendere
la difesa del "limes" più facile. Purtroppo, così come già era successo per Marco Aurelio
con Commodo, i figli non furono all'altezza del padre. Ma la fine purtroppo era già prossima
e una serie di imperatori tanto corrotti quanto inetti non avrebbero potuto certo rinviare oltre
l'inevitabile.
Le cause delle grandezza di Roma erano state la saldezza dell'organizzazione politica e
militare. Roma era sinonimo di certezza del diritto e, sovente, pace e prosperità. Ma a questa
grandezza esterna si contrappose a lungo andare la debolezza di una classe di comando
sempre più lasciata in mano ai propri desideri di potere e alle proprie debolezze di uomini
che al proprio dovere di governare per il bene di Roma. La repubblica era stata in grado di
produrre per lungo tempo una classe dirigente che, pur con episodi di corruzione e
malgoverno, era riuscita a porre alle basi del proprio agire il bene supremo della città eterna.
Ora non era più così.
L'esercito rimase per secoli l'ultimo baluardo delle antiche virtù repubblicane. Era un
esercito molto diverso da quello riorganizzato da Mario nel I secolo a.C. Quello aveva
dovuto rinunciare a reclutare i soli cittadini Romani dando l'avvio ai primi soldati di
professione, l'esercito imperiale invece, era costituito in massima parte da schiavi, stranieri
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e barbari che peggioravano sempre più la qualità media del soldato romano. Al principio del
II secolo d.C., durante l'Impero di Adriano, l'esercito era composto da una coorte di mille
uomini (coorte miliaria) e dietro di lei serravano le altre nove coorti, armate con lunghe
lance e pesanti scudi. Con Alessandro Severo (III sec. d.C) delle legioni rimase sempre più
solo il nome. Armamento sempre più pesante, grande dispiego dell'artiglieria, baliste,
catapulte, e un uso delle cavalleria pesante (catafratti) sempre più frequente.
L'esercito di Ezio era dunque solo un lontano parente delle legioni condotte da Cesare a
conquistare la Gallia e sempre più simile ad un esercito medievale, anche se più nutrito e più
disciplinato.

Se questa era la situazione da parte romana andiamo ora a vedere come si presentava lo
schieramento Unno.
Le poche notizie che sappiamo degli Unni ci vengono dalla Cina. Erano un popolo nomade
del deserto della Mongolia che viveva in moltissimi minuscoli gruppi. L'aridità delle terre
che erano abitate dagli Unni era tale che veniva loro consentita solo la pastorizia e, ancor
più, la pratica del brigantaggio. Ma se era tanto rozza la loro vita di tutti i giorni altrettanto,
se non di più, era la loro cultura, limitata all'etica della guerra, ovunque e contro chiunque,
per la pura sopravvivenza del proprio gruppo. Il solo reale segno lasciato dalla civiltà, si fa
per dire, unna è il terrore che veniva suscitato nei popoli che si apprestavano a rimanerne
vittima. Nessuno scritto, nessuna opera architettonica, nulla, solo morte e distruzione dietro
di loro. Negli anni antecedenti il 370 d.C. li troviamo ancora a terrorizzare la Cina, ma poi
definitivamente respinti e probabilmente ricacciati ancora più a ovest dagli Avari si
affacciarono in Europa. E' il 375 d.C. e gli Unni assoggettarono rapidamente le popolazioni
che abitavano lungo il corso del Danubio ( alani, ostrogoti ..). Neanche le legioni romane
erano riuscite a fermarle e sotto il comando del loro nuovo capo Attila si affacciarono via
via anche verso le opulente Province della Gallia e verso l'Italia.

Ma chi era Attila? Certo non era un semplice barbaro ignorante come tanti capi del suo
popolo. Le sole fonti peraltro ci vengono da cronisti e poeti latini, bizantini e germanici che
ci dipingono un uomo non comune per coraggio e ferocia. Attila è addirittura un eroe in
alcune saghe nordiche (Le sue gesta, quelle del suo cavallo e della sua spada magica sono
protagoniste dell'ultima parte della saga Niebelungen Lied ambientata nella capitale del suo
regno Etselenburg (l'odierna Buda). E' interessante notare come il cavallo (Bucefale-
Alarico) e la spada (Excalibur-Artù, Durlindana-Orlando), siano tratti comuni di molte
saghe medievali tese ad esaltare oltre che le virtù dell'eroe anche quelle dei suoi principali
compagni d'avventura, il cavallo e la spada.
Proprio la spada era stata per Attila, diremmo oggi, un ottimo veicolo pubblicitario per
rivendicare il suo primato sul popolo unno. Ci riferisce un cronista romano, allora
ambasciatore presso la sua corte, che in una delle sue prime campagne il re si era mostrato a
tutte le sue truppe brandendo un'antica spada di ferro che pretendeva essergli stata donata
dal Dio della guerra come prova del fatto che lui, Attila, era una sua reincarnazione.
Un'abile mossa, non c'è che dire, soprattutto se si tien conto che il popolo unno adorava fin
dai tempi più antichi una spada nuda come loro dio.
Nel 445 Attila dominava su un territorio che approssimativamente corrisponde alla zona che
va dal nord del Danubio e del Mar Nero sino ad Est del Caucaso e parte dell'antica Tracia e
dell'odierna Ungheria. In quell'anno fonda Etselenburg, sulle rive del Danubio, dopo essersi
liberato del fratello Bleda che sino ad allora aveva gestito insieme a lui il potere.
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Interessante è citare una leggenda abbastanza diffusa all'epoca anche in ambiente romano
nella quale si diceva che l'omicidio di Bleda da parte di Attila era stato modellato su quello
di Romolo ai danni di Remo affinchè proprio Etselenburg fosse la nuova Roma.
Probabilmente un'altra buona opera di marketing oppure la materializzazione di un timore
che da tempo correva presso il popolo romano. Il 445 infatti aveva chiuso il XII secolo di
vita dalla fondazione di Roma e tanti dovevano essere i secoli di vita riservati all'urbe dai 12
avvoltoi visti da Romolo in occasione della sua gara con Remo per decidere chi dovesse
essere il padrone della città che stavano per fondare . Si diceva anzi che proprio l'uccisione
del fratello fosse il prezzo pagato da Romolo per i dodici secoli di grandezza di Roma e non
una semplice disputa di confine. Sorprendente è anche pensare come gli stessi Romani
cristiani ritenessero possibile l'avverarsi della profezia che riguardava Attila. Anche il re
barbaro stesso forse finì per crederci tanto è vero che dopo cinque anni (450 d.c.) mosse con
un consistente esercito verso l'Impero Orientale mettendolo a ferro e fuoco, saccheggiando
le provincie più vicine al suo regno e poi dirigendo verso il cuore dell'Impero d'occidente, la
Gallia.
Ottenuta la collaborazione di uno dei tanti re franchi che da tempo coabitavano la provincia
insieme ai governatori imperiali, Attila riuscì a passare tranquillamente il Reno poco al di
sotto dell'odierna Coblenza con un esercito di forse 700.000 uomini (il dato, riferito dai
cronisti dell'epoca, è da ritenersi eccessivo). Sconfisse il re dei Burgundi che si opponeva al
passaggio delle sue truppe, quindi divise le sue forze in due gruppi. Il primo si diresse a
Nord ovest verso le odierne Torres ed Arras mentre il grosso dell'esercito sotto il suo
comando distrusse i paesi della zona dell'odierna Besancon, nella regione dei Burgundi, e si
accinse ad attraversare la Loira. Il piano prevedeva che l'ala destra a nord proteggesse i
franchi alleati, che l'ala sinistra a sud impedisse ai Burgundi di riorganizzarsi bloccando i
passi alpini mentre il centro si dirigeva verso Orléans. Davanti a lui ormai rimanevano solo
il re dei Visigoti Teodorico e l'ultimo grande erede della tradizione militare romana, il
generale Ezio. Orléans resistette valorosamente per diversi giorni consentendo ai due
eserciti di Ezio e di Teodorico di riunirsi nei pressi del fiume Marna. Saputo dell'avvenuto
ricongiungimento Attila richiamò immediatamente le sue due ali e lasciò l'assedio di Orleans
concentrando l'intero esercito nella piana dei Campi Catalaunici, l'odierna Chalons-sur-
Marne. Si narra che proprio durante la ritirata da Orleans un eremita cristiano, visto Attila
marciare in testa al suo esercito, si avvicinasse al re unno dicendogli: " Tu sei il flagello di
Dio per il castigo dei cristiani". Attila, sempre pronto a cogliere queste opportunità di
marketing, adottò prontamente quell'appellativo e con esso passò alla storia.
Il campo di battaglia scelto con oculatezza da Attila era particolarmente favorevole alle
manovre della cavalleria, il nerbo dell'esercito unno. Ezio e Teodorico comandavano le ali
dello schieramento romano mentre al centro era stato posto l'esercito degli Alani comandati
del re Sangibano, la cui fedeltà era però dubbia. Di fronte a loro si schieravano gli unni di
Attila al centro con sulle ali gli ostrogoti e i Gepidi di Ardarico.

Nelle prime ore della mattina Ezio fece occupare le colline che dominavano il campo di
battaglia da una forte schiera di sagittarii (arcieri) e da altre truppe scelte conquistando così
un decisivo vantaggio strategico, la possibilità di dominare il campo di battaglia. Resosi
conto dell'importanza delle posizione acquisita dai Romani Attila condusse una serie di
furiose cariche di cavalleria con l'intendimento di riconquistare la posizione. Tutto fu inutile
e le cariche vennero respinte con un consistente perdita di uomini da parte unna. L'azione
degli arcieri di Ezio sarà uno dei fattori di questa battaglia anche in altre fasi dello scontro.
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Ora i Romani disponevano del vantaggio strategico di poter aspettare l'attacco unno da una
solida posizione difensiva, mentre la grande massa di cavalleria unna aveva dalla sua parte
la forza d'urto.

Attila, di solito molto deciso questa volta attese, forse quasi presagisse, da inguaribile
superstizioso, la sconfitta.
Neanche il sole sorto dalle nebbie ad illuminare il campo di battaglia fece decidere uno dei
due contendenti a muoversi. Ezio preferì conservare il vantaggio della sua posizione e
decise di non sfruttare il sole che splendeva negli occhi del nemico.
Questa tattica attendista fu ben ripagata dal nervosismo che cominciava a diffondersi sempre
più fra le truppe a cavallo unne.
L'Esercito Romano non era forse all'altezza dei legionari di Cesare ma certo, sia le truppe di
Ezio che quelle dei due re gallo-Romani Teodorico e Sangibano, sapevano come rimanere a
piè fermo incuranti del caldo e del nervosismo. Fu la chiave di volta della battaglia. Come
un abile giocatore che non ha fretta di prendere la decisione giusta ma attende il momento
opportuno per sfruttare l'errore nemico, così Ezio e le legioni attesero che Attila facesse la
prima mossa.
Alle tre del pomeriggio, finalmente col sole alle spalle, Attila decise di lanciare i suoi
all'attacco.
Il tratto di terreno che separava i due schieramenti venne percorso d'un fiato dai barbari
mentre i Romani rinserravano i ranghi coprendosi con i larghi scudi rettangolari. Dietro
questi scudi gli arcieri presero a bersagliare le schiere nemiche mietendo vittime mentre le
prime linee lanciato i giavellotti contro l'avanguardia unna si disponevano a reggerne l'urto.
I morti da parte unna si contavano già a centinaia.
Il cozzare delle armature dei soldati dei due eserciti fu terribile e per lungo tempo la polvere,
le urla e il sangue impedirono di avere chiara la situazione. Gli unni però, perso il vantaggio
della forza d'urto della cavalleria, si videro imprigionati in un corpo a corpo che premiava la
pesantezza dell'equipaggiamento difensivo e offensivo romano. Questi ultimi infatti
potevano disporre di corazze che coprivano tutte le parti vitali del corpo ed erano addestrati
a combattere fianco a fianco come un uomo solo mentre gli unni con armature più leggere e
armi meno potenti faticavano ad infliggere perdite consistenti allo schieramento di Ezio.
Visto che il centro-destra dello schieramento ben conteneva le orde unne, i Visigoti sulla
sinistra si lanciarono sull'ala destra unna. Teodorico, che combatteva in testa a tutti, venne
ucciso ma i Visigoti anziché sbandare dopo aver perso il loro capo raddoppiarono gli sforzi
mettendo in fuga gli Ostrogoti ed attaccando sul fianco gli stessi Unni di Attila.
Rotta la foga dell'attacco unno avevano preso ad avanzare compatte ed ordinate anche le
forze di Ezio ed il re unno rischiava di trovarsi accerchiato in balia del nemico. L'ala destra
era stata sbaragliata e Attila, resosi conto che la battaglia era perduta, decise di radunare l'ala
sinistra del suo schieramento e gli Unni rimastigli nell'accampamento per cercare di
riorganizzare una difesa durante la notte.
Aspettandosi un attacco per la mattina successiva fece disporre alla meglio tutti i carri
attorno all'accampamento e vi fece appostare i suoi migliori arcieri.
Aveva deciso che nessuno avrebbe potuto vantarsi di averlo preso vivo e dopo aver fatto
accatastare tutte le ricchezze che aveva razziato durante la campagna vi fece disporre le
mogli attorno e lui si mise in cima, pronto a darsi fuoco e morire in mezzo ai suoi uomini
piuttosto che cadere in mani romane.

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Quando il mattino successivo illuminò la scena dei 165.000 caduti, prevalentemente Unni,
per ordine di Ezio i Romani e i Visigoti non si mossero lasciando che Attila riconducesse il
suo esercito sconfitto verso il suo regno.
Molto si è discusso sul perché Ezio non proseguì la battaglia. Probabilmente, oltre a voler
evitare nuove ingenti perdite con l'attacco ad un campo seppur malamente fortificato,
all'astuto generale romano non sfuggiva il pericolo che avrebbe corso l'esercito latino, solo
un terzo delle forze di cui disponeva Ezio, nel caso che i barbari alleati si fossero accordati
per tradirlo e poi per attaccarlo. Teodorico era morto infatti e il principe Torrismundo che si
era distinto in battaglia ed era stato nominato suo successore sul campo poteva non essere
un alleato fidato come il primo.
Gli assalti di Attila contro l'Impero d'Occidente non tardarono a rinnovarsi , ma non furono
mai più così pericolosi come quello che aveva minacciato l'intero Impero prima della
sconfitta dei Campi Catalaunici.
Appena due anni più tardi infatti (452 d.c.) Attila scese in Italia dove saccheggiò Vicenza,
Verona, Bergamo e Brescia e dove distrusse completamente, fra le altre, la fiera Aquileia che
gli aveva resistito per diversi giorni.
Giunto fino a Pavia si fermò improvvisamente. Le cause non furono mai note.
C'è chi dice che superstizioso com'era non volesse procedere oltre per paura di fare la stessa
fine di Alarico. Chi dice che fu l'incontro con il papa Leone I con il quale si era incontrato
sulle rive del Mincio.

L'incontro tra Attila e Papa Leone I. (dipinto di Raffaello)

Molto
più
probabil
mente
fu la
notizia
di due
eserciti,
uno
raccolto
da Ezio
e l'altro
dall'Imp
eratore
d'Oriente Marciano che marciavano verso il nord con l'intenzione di intrappolarlo che lo
fecero precipitosamente abbandonare la penisola.
Ritornato ad Etselenburg morì poco dopo in circostanze misteriose. Fu infatti trovato morto
affogato nel proprio sangue di fianco alla giovane moglie, appena sposata, dopo un
banchetto nel quale aveva bevuto e mangiato in eccesso.
Avvelenamento? Regicidio?
Più semplicemente si trattò forse dell'ennesima, più grave emorragia di quelle che già in
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passato l'avevano colpito.
La fine di Attila fu anche la fine del regno Unno che si disgregò in brevissimo tempo poco
dopo la morte del suo artefice.

In chiusura vale forse la pena di riportare integralmente due deliziosi brani tratti da "L'Italia
dei secoli Bui" di Indro Montanelli e Robeto Gervaso:

"…Giordane ci ha lasciato testimonianza di come i Gioti videro gli Unni quando questi
apparvero nei loro territori: "Quando il re Filimer" egli scrive "ebbe condotto il nostro
popolo dalla Svezia in Scizia, trovò in mezzo alla popolazione del luogo certe streghe che
egli scacciò per via dei loro malefizi. Esse si persero nel deserto dove incontrarono gli
Spiriti del Male che errano in quei paraggi e che se le presero come concubine. Dalla loro
unione nacquero gli Unni, creature giallognole di odio, piccole, ferocissime, e incapaci
perfino di articolare i loro pensieri.".
Giordane, da buon goto, aveva ragione di fornire un ritratto così malevolo degli Unni: i
suoi antenati erano stati, dopo gli Alani, le loro prime vittime in Europa…".
Se questa era la visione del goto Giordane, altrettanto interessante è la descrizione
riportata da Ammiano Marcellino nel 395 c.d. di un ufficiale di una armata iperiale di
guarnigioni in Tracia:
"…Raccontò la terrificante apparizione, sulle rive del Danubio, di certi uomini piccoli e
tozzi, imberbi come eunuchi, con orribili volti i cui tratti umani sono appena riconoscibili.
Piuttosto che uomini si direbbero bestie a due zampe. Portano una casacca di tela con
guarnizione di gatto selvatico e pelli di capra intorno alle gambe. E sembrano incollati ai
loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro
affari, vi prendono le loro deliberazioni. Vi fanno perfino cucina, perché invece di cuocere
la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra la coscia e la groppa del
quadrupede. Non coltivano i campi e non conoscono la casa. Scendono da cavallo solo per
andare a trovare le loro donne e i bambini, che seguono sui carri la loro errabonda vita di
razziatori".

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