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Cristianesimo e chiesa
Il medioevo viene spesso definito l'età della fede; il medioevo sarebbe stato un'epoca di
incertezza di coerenza spirituale, le concezioni cristiane sulla creazione, il peccato, la
redenzione resa possibile dal sacrificio di Cristo e la salvezza ultraterrena come fine
supremo di ogni attività e ogni istituzione umana, costituirono i riferimenti essenziali della
vita intellettuale e morale dell'epoca medievale.
L'influenza del cristianesimo fu ancor più profonda nel campo dell'educazione morale e
sentimentale.
La pratica religiosa, la vita della chiesa, tutto ciò che aveva attinenza con l'esercizio della
vita cristiana e il conseguimento della salvezza, furono materie di continue, preoccupate
verifiche e persino di conflitti, che rendono la storia del cristianesimo medievale tormentata
e spesso drammatica.
La pratica del monachesimo fu una risposta indicativa nella adozione di regole di vita
particolari creando le giuste condizioni per realizzare la vocazione cristiana.
Le fonti e i materiali istituzionali della vita monastica variavano col tempo, abbandonando
gli aspetti esteriori dell’ascesi per dare risalto all'atteggiamento interiore di penitenza, ma
rimase a lungo viva la concezione che il mondo non consentiva di praticare una vita
veramente cristiana.
Nella tradizione cristiana la pratica delle virtù spirituali non è da sola sufficiente alla
salvezza: un complemento indispensabile è costituito dai sacramenti, possano essere
impartiti solo da persone che hanno ricevuto una particolare consacrazione grazie alla quale
diventano mediatori dello Spirito. Su questo fondamento si è costituita nella Chiesa cristiana
la specializzazione del clero, un corpo di consacrati che uniscono la funzione di predicare a
quella di impartire i sacramenti, in forza di essa esercitano anche un autorità sui fedeli,
sanzionata dalla facoltà di escludere gli empi dai sacramenti stessi. La funzione
sacramentale del clero costituì però un fattore di turbamento per la cristianità medievale. Ci
si interroga sulle condizioni che rendono un sacerdote capace di impartire validamente i
sacramenti. Si giunse anche a mettere in discussione la necessità della mediazione
ecclesiastica. Posizioni estreme giunsero a negare la funzione dei sacramenti per la salvezza
del credente.
La Chiesa, condannò come eretiche queste dottrine e perseguita i loro seguaci.
Il sistema dottrinale basato sulla fede fu soggetto a incertezze e inquietudini. Quando quella
più larga circolazione dell'informazione culturale si diffuse in un complesso di concezioni
risalenti alla filosofia greca, riguardanti la natura, il mondo, l'uomo, che finivano per
configurare un sistema di interpretazione dell'universo alternativo a quello cristiano, si
affermò il problema dell'uso di tali conoscenze. La Chiesa compì uno sforzo poderoso per
assorbirli nella propria dottrina, cristianizzandole. Tuttavia esse conservarono il loro
carattere eteronomo e la loro suggestione per la speculazione filosofica e scientifica dando
luogo in molti casi alle singole dottrine della doppia verità, una fondata sulla ragione, l'altra
sulla fede, visto che non c'era un espediente per sfuggire alle responsabilità del pensiero, ma
l'affermazione e l'esigenza di due sistemi di conoscenza paralleli, inconciliabili e egualmente
validi, che peraltro metteva in crisi l'unità della coscienza cristiana.
Il medioevo fu caratterizzato dalla continua tormentata ricerca dei modi di realizzare la vita
cristiana, senza però approdare a una conclusione definitiva, cioè definendo delle soluzioni
istituzionali soddisfacenti.
Il potere e i suoi limiti
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L'idea di Medioevo nasce con l'Umanesimo italiano tra il XIV e il XV secolo, innescando
delle polemiche giunte fino al '700, e prima tra tutte fu la polemica sull'operato della
Chiesa.
Durante l'età romantica il Medioevo fu in un certo senso rivalutato, ed inteso come periodo
ricco di sentimento, irrazionalità e di fede religiosa.
Lo storico Ranke, conservando il carattere romantico della storia, aggiunse che è importante
ricostruire i fatti così come sono realmente accaduti e che una fonte è tanto più attendibile
quanto più vicina ai fatti (positivismo dell'800).
In Italia chi si dedicò alla storiografia medievale è Benedetto Croce, superando la
concezione positivistica e affermando che lo storico deve rappresentare la realtà sulla base
delle sue intenzioni.
Nel corso del '900 con l'irrazionalismo, il Medioevo assunse le caratterisctiche di una civiltà
al tramonto, epoca di crepuscolo, durante la quale si cercava rifugio nei riti religiosi,
realizzando una vera evasione dalla realtà.
Les annales (corrente storiografica del XX secolo) faceva confluire in essa lo studio di
diverse discipline, metttendo a confronto diversi aspetti della storia.
Le
invasio
ni
indoeur
opee si
esapans
ero su
tutti i
fronti,
fino poi
a
fondersi
con le
popolaz
ioni
latine.
Come i
cinesi
anche i romani cercarono di fronteggiarle con delimitazioni territoriali, sia di tipo naturale
(corsi di fiumi) o costruendo limitanei, l'opera maggiore è il Vallo di Adriano in Britannia
(122/127 d.C.).
L'Impero Romano era delineato territorialmene dai limes, al di fuori dei quali i Germani si
spostavano ed erano organizzati in clan, all'interno c'erano invece le città romane. Esse si
basavano sull'esempio greco assimilato in seguiro alle conquiste di Macedonia, Egitto e
Siria. La città romana non aveva mura, il centro era detto urbs; la campagna era suddivisa a
forme geometriche lungo gli assi principali urbani (cardo e decumano); la zona tra il centro
e la campagna era detto suburbio.
Tra il I e il II sec d.C. si registra una fioritura della cultura, ed entrano in crisi le varie
religioni politeistiche.
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Il mito della razza pura dei Germani è presente nell'opera di Tacito del 98 d.C (Germania),
nella quale si promuoveva già l'idea che i Germani fossero nativi proprio delle regioni che
occupavano. Tale posizione si diffuse sempre di più fino a formulare quel nazionalismo
tedesco che poi ha preso pienamente forma alla fine del 1700. In realtà tali presupposti sono
del tutto infondati in quanto si è attestato dagli ultimi studi che la civiltà germanica si formò
lentamente e solo in seguito alle espansioni dei popoli indoeuropei dell'Europa del nord.
Individuiamo tre grandi fazioni germaniche:
- quella settentrionale
- quella orientale
- quella occidentale
Dopo che Cesare conquistò definitivamente la Gallia, Romani e Germani si fronteggiarono,
stando a stretto contatto, sulle rive del Reno, che segnava il confine dell'impero. Questo è
valso fino al 406, quando i Germani penetrarono dentro i confini, prendendo piede fino alle
terre del Mediterraneo.
C'è da dire che, oltre ai violenti scontri, tra i due popoli si realizzarono significativi
momenti di scambi, sia commerciali che culturali, vale a dire sui metodi di coltivazione e
lavorazione dei metalli. Tali informazioni ci sono ben note dalla documentazione di due
grandi opere: il De Bello Gallico di Cesare (51 a.C) e da Germania di Tacito (98 d.C).
I Germani erano dediti alla caccia e alla guerra, praticavano l'agricoltura con metodi
primitivi, per questo le terre in poco tempo diventavano sterili ed erano costretti a spostarsi
continuamente; l'unica ricchezza che conservavano era il bestiame.
L'autorità riconosciuta dal popolo era solo il duce, capo militare e valoroso guerriero, che
trasmetteva la sua potenza eriditariamente.
I duces avevano maggiore potere solo in tempo di guerra, mentre tutto il resto del popolo
era ritenuto alla pari, senza alcuna distinzione sociale. Proprio per lo stretto contatto con la
civiltà romana, ricca di rigide regole gerarchiche, cominciarono a costituirsi anche tra i
guerrieri germanici i primi gruppi, con ognuno un suo capo scelto, e non più semplici
gruppi di clan legati dal solo vincolo di parentela.
Una delle popolazioni germaniche che ha più risentito dell'influenza delle tradizioni esterne
furono i Goti, i quali partiti dalla Scandinavia migrarono verso il nord del mar Nero, e in
questo spostamento, a causa delle varie inglobazioni, essi mutarono completamente, sia dal
punto di vista religioso, sia sulla struttura sociale, che sul modo di combattere, delineando
quelli che poi furono i Germani Orientali.
Intanto sul fronte occidentale i Germani penetravano sempre di più nei confini romani,
infatti essi divennero fondamentali per l'impero sia nel reclutamento dell'esercito, che per il
ripopolameno delle regioni confinanti; e fu in tal modo, a partire dal III sec., che cominciò
l'ascesa dei barbari all'interno della società romana.
Così facendo in un primo momento l'Impero riuscì a fronteggiare la grande crisi,
accogliendo lungo i confini tribù di Franchi, Alemanni e Burgundi, e respingendo invece
le pressioni dei Goti lungo il Danubio (269).
Si visse un periodo di moderato equilibrio tra il mondo barbaro e l'impero romano, ma che
fu sconvolto con l'arrivo degli Unni. Essi erano l'insieme di ragguppamenti di più popoli
mongolo-turchi, che si spingevano verso occidente, e che lungo il percorso inglobarono a
loro gli Alani, gli Ostrogoti e i Visigoti, fino ad ottenere di potersi stanziare in Tracia, dove
si sostanziavano con i tributi dei popoli locali. Ma la quiete durò poco, vista la ribellione
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Questa fu un'originale
forma di
collaborazione, anche
se inizialmente
segnata da molte
contrapposizioni,
come ad esempio
l'elezione del re, che
fu caratterizzata da
una serie di
compromessi e dalla
mediazione
dell'episcopato. Tali
accordi venivano
sanciti
periodicamente
durante i Concili di
Toledo, fino ad
arrivare nel 589,
quando l'intero popolo dei Visigoti si convertì al cattolicesimo.
Tale equilibrio permise di vivere in concordia e stabilità, e ciò fu possibile fino al 711, data
di rivoluzione a causa dell'invasione araba. Nella stessa trappola stavano cadendo anche i
vicini Franchi, ma questi però furono capaci di fermare l'onda araba nel 732 a Poitiers.
I Franchi a differenza dei Visigoti mantennero un aspetto molto frammentario, anche se a
partire dal 482 il re Clodoveo inglobò definitivamente i vari gruppi sotto il suo dominio,
dando origine alla potenza della dinastia Merovingia.
I suoi successi espansionistici, che lo portarono a dominare l'intera Gallia e alcuni territori
al di là del Reno, furono possibili grazie alla collaborazione con l'aristocrazia locale e con
l'episcopato cattolico, portando i Franchi, prima ancora dei Visigoti, alla conversione.
Ciò portò ad un accellerato avvicinamento delle due popolazioni e alla formazione di un
vero e proprio stato, con a capo un ceto dirigente misto, quindi alla luce di una fusione
totale sotto tutti gli aspetti.
Alla morte di Clodoveo il regno fu diviso in quattro parti tra i figli, che con il tempo
comportò una forte distinzione: la Neustria, l'Austrasia, l'Aquitania e la Borgogna. Tale
prvvedimento non fece bene allo Stato, che si trovò in mezzo a guerre fratricide ed
espansionistiche.
La stabilità si ritrovò solo nell'VIII sec. grazie alla politica salda e unitaria di Pipino il
Breve.
In seguito agli sviluppi che si sono verificati dopo le invasioni barbariche del IV-V sec. ai
danni di quello che una volta era l'Impero Romano d'Occidente, è facile trovare parecchi
punti in comune tra i vari popoli che hanno preso piede:
- la struttura gerarchizzata della società romana ha prevalso e modificato la loro
organizzazione;
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La riconquista dell'Italia avviata da Giustiniano nel 535 fu guidata dal generale Belisario, il
quale subito riuscì nella conquista di Ravenna e a spingere i Goti oltre il Po.
Lo stesso accadde nel 542, quando tentarono di risalire con a capo il re Totila furono
sconfitti, questa volta dal generale bizantino Narsete, anche se le resistenze continuarono a
durare lungo l'Appenino fino al 555.
Il progetto bizantino oltre alla riunificazione territoriale prevedeva la restaurazione degli
antichi rapporti sociali e amministrativi, secondo la "prammatica sanzione".
I primi proveddimenti furono:
- restituzione delle terre, animali e schiavi ai vecchi proprietari;
- le chiese cattoliche riebbero gran parte dei beni confiscati dagli ariani;
- l'Italia fu divisa in distretti con a capo uno iudex, per la parte amministrativa, e un dux,
per la gestione militare;
- furono diminuite le spese pubbliche e aumentate le tasse, per poter continuare a finanziare
le mire espansionistiche.
Nel frattempo che l'impero organizzava le sue conquiste, nel 568 in Italia giunsero i
Longobardi, popolo germanico originario della Scandinavia, con a capo il re Alboino.
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Contemporaneamente agli scontri tra Bizantini e Persiani, nelle terre desertiche dell'Arabia
si stavano registrando una serie di eventi che poi avrebbero portato alla costituzione di una
nuova grande civiltà, che mossa dalla nuova religione, l'Islam, si sarebbe avviata alla
costruzione di un vastissimo impero. Tali fatti ebbero un'influenza enorme sull'intero mondo
civilizzato, ecco perchè si parla di "conquista araba".
Uno dei maggiori storici sostiene nella tesi di Pirenne (dal quale prende il nome) che le
numerose invasioni germaniche avvenute nei territori dell'antico Impero Romano, in realtà
non mutarono la fisionomia delle città e dell'organizzazione politico-militare, ma ciò
avvenne solo con l'arrivo degli Arabi, che invadendo il Mediterraneo, provocarono una crisi
commerciale e la scomparasa delle città, costringendo gli Occidentali a chiudersi in
un'economia agraria, e da qui la nascita dei feudi.
Non tutti concordano con questa posizione, sottolineando che: la crisi occidentale si era
avviata già da molto tempo prima, solo il suo apogeo viene a coincidere con l'espansione
araba (VII-VIII sec); inoltre non è vero che i commerci furono completamente bloccati,
visto che l'Oriente continuava a fornire oro, stoffe e papiro. Quello che invece rimane certo
è il fatto che gli Arabi costrinsero l'intero Occidente ad una riorganizzazione, e proprio da
questo la Chiesa di Roma e il Regno dei Franchi seppero trarne vantaggio e consolidare il
loro potere.
L'aspetto geografico della penisola arabica la divide:
- nella parte centro-settentrionale, prevalentemente desertica, abitata anticamente dai
nomadi Beduini, che sopravvivevano grazie all'allevamento, al commercio carovanico e alle
razzie, e anche da alcuni popoli sedentari;
- nella parte meridionale, dove il clima è più mite grazie alle piogge, qui avvenivano la
maggior parte degli scambi commerciali tra l'Oceano Indiano e il Mediterraneo; quindi
popolata da gruppi diversi e da una civiltà elevata rispetto alle tribù del nord. Non a caso in
queste zone si costituirono diversi regni che raggiunsero anche un elevato sviluppo.
Anche se con più ritardo e lentamente, importanti centri nacquero anche nella parte
settentrionale, che non a caso era più vicina agli Egiziani, ai Macedoni, ai Persiani, ai
Romani e ai Greci. Però se da un lato la civiltà riuscì a prendere piede nell'intera penisola,
dall'altra conobbe un periodo di forte regresso sia politico che culturale, a causa di
parecchie invasioni e del crollo della gigantesca diga di Marib.
Per la maggior parte la società araba era basata sulle tribù, visto come il primo sintomo di
instabilità; esse decidevano ogni tipo di movimento e ad esse spettava qualunque tipo di
decisioni, prese sulla base della Sunna, serie di insegnamenti ereditati dagli antenati.
Alla guida di ogni tribù c'era un capo elettivo, un consiglio e un giudice; la donna era vista
come una merce di scambio, ed era ceduta ala marito dietro pagamento.
Ancora più instabile era il quadro religioso: erano quasi tutti politeisti, ma si
differenziavano da zona in zona; ogni gruppo aveva il proprio culto, che divenatava meta di
pellegrinaggio e punto di scambi commerciali.
Solo piccole comunità seguivano l'Ebraismo e il Cristianesimo (onofisita o nestoriano).
Questo complesso e frammentario stato dell'Arabia d'altra parte aveva il ruolo fondamentale
di incontro dei commercianti occidentali con quelli indiani, e questo permise la costruzione
di importanti centri, come Makkah (Mecca).
A gestirla furono i capi delle tribù Quraish, i quali ne sfruttarono la posizione geografica e
l'abbondanza di sorgenti, trasformandola in un grande centro commerciale e religioso.
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A differenza del mondo bizantino e della potenza araba, l'Occidente cristiano tra il VI e il
VII secolo cadde in una grave decadenza, sia per quello che riguarda l'urbanesimo che la
società.
Le vecchie città romane vengono quasi completamente abbandonate, poichè il popolo
preferiva zone più facilmente difendibili. Anche la rete viaria fu sfasciata, ormai priva di
ogni tipo di manutenzione, ne restarono solo il tracciato pieno di polvere e fango, e ne tanto
meno furono mezzo di scambio e punti di incontri, spostando il commercio in tutt'altri
centri.
Tuttociò segnò un inevitabile peggioramento dell'ambiente, quindi decadimento di argini di
fiumi e canalizzazione delle acque, e la quantità di terre incolte aumentò clamorosamente.
Nelle zone d'Europa centro-orientale presero ad estendersi anche le foreste, le steppe e le
paludi, a seconda del clima più umido o più secco.
Questo aspetto, e l'elemento del bosco in genere, per la generazione medievale segnò
qualcosa in più di un semplice fattore economico e ambientale, infatti ad esso la gente
riconduceva credenze e storie dell'immaginario, trasformandolo nel mondo delle meraviglie
e del mistero.
Inoltre nelle foreste si praticava la caccia, da parte sia dei poveri contadini che dei nobili, si
raccoglievano frutti selvatici, la legna per il riscaldamento e la costruzione di case e attrezzi,
e si portavano al pascolo gli animali.
Abbiamo già detto che la causa principale del disgregamento urbano fu lo spopolamento di
città e campagne; tale fenomeno ebbe inizio già dal II-III secolo, quindi da questo punto di
vista l'arrivo dei barbari fu inteso come un fatto positivo, ma ciò non bastò, visto il loro
esiguo numero.
Il perchè di una diminuzione così netta della popolazione è dato dalle numerose guerre,
devastazioni ed epidemie di vario genere, che provocarono una forte debilitazione e
abbassamento delle nascite. Una delle zone maggiormente colpita fu proprio l'Italia.
La crisi demografica inevitabilmente influì sull'economia e sull'organizzazione
dell'agricoltura, così che molti provvedevano al fabbisogno alimentare autonomamente,
sfavorendo ogni tipo di scambio. D'altra parte la produttività stessa era minima, a causa di
attrezzi rudimentali e della perdita delle avanzate tecniche di lavoro sia della terra che di
amministrazione. Questo diminuiva ancora di più la quantità di soldi a disposizione dei
contadini, che si vedevano costretti ad arrangiarsi, costruendo da sè gli attrezzi, e coltivando
terre distanti, con diversi prodotti, per poterli poi consumare.
È stata ipotizzata anche una teorica divisione e gestione delle terre, e cioè che il villaggio
abitato si trovasse al centro di altre zone, che a seconda della produttività si trovassero più
o meno vicine ad esso. Il guadagno proveniva suprattutto dagli orti, bassa invece era il
rendimento di cereali, ecco quindi che fu necessario integrare con pesca, caccia e
allevamento.
La mancanza di concime animale veniva soppiantata da altre tecniche: il sovercio
(interramento delle piante), il debbio (incendio delle stoppie), il maggese (alternanza di un
periodo di riposo per un pezzo di terra).
Spesso chi coltivava non era il proprietario, così come chi allevava il bestiame, poichè
queste erano considerate condizioni servili. Tale meccanismo si era avviato già in età
romana, quando i grandi proprietari terrieri abbandonarono la lavorazione diretta, lasciando
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La diffusio
ne di tale fenome
no dipende
va dalle zone, a
seconda dei funzion
ari dello stato, se
riuscivano o meno a
mantenere un certo
equilibrio di giustizi
a, come accadde
in Italia grazie
alla presenz
a del governo
di Bisanzio. Così le
terre vennero
distinguendo si in
massericcio , se date
in concess
ione a coloni liberi o
servi, e in riserva
padronale se
gestita direttam
ente dal propriet
ario o ammini
stratori di sua
fiducia.
L'insieme delle
due parti era detta
curtis o villa,
che compre
ndeva anche una terza parte fatta di boschi, prati, stagni, che venivano sfruttati sia dai
proprietari che dai loro dipendenti.
Il lavoro delle prestazioni d'opera da parte dei servi e dei coloni, era indispensabile per la
gestione della riserva padronale. Alcuni dati ci arrivano grazie ai polittici, cioè inventari che
elencavano ogni singolo bene di una villa o di un grande monastero, e nei quali venivano
registrati anche il numero di giornate complessivo di cui necessitava un determinato terreno.
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Come abbiamo già visto alla morte di Clodoveo il regno dei Franchi fu diviso in Neustria,
Austrasia, Borgogna e Aquitania, dove non tanto i sovrani, ma i maestri di palazzo o i
maggiordomi detenevano il potere.
Nel corsi del VII secolo emerse tra tutte l'Austrasia governata dalla famiglia dei Pipinidi, e
più precisamente con Pipino di Heristal riuscì ad imporsi sull'intero territorio, lasciando da
parte solo l'Aquitania, che si era identificata come una realtà autonoma e indipendente.
Il successo espansionistico fu portato avanti dal figlio Carlo Martello, realizzando una
ricomposizione politico-territoriale fino ad inglobare nuove terre, corrispondenti all'attuale
Germania, Olanda, l'Aquitania e fino ad oltrepassare i Pirenei. Qui dopo aver sconfitto i
Visigoti si trovò di fronte all'avanzata degli Arabi, che riuscì a fermare nel 711 a Poitiers.
Grazie al prestigio che si era saputo conquistare, alla morte del re merovingio, Teodorico
IV ereditò il trono, che poi divise tra i suoi figli, Carlomanno e Pipino il Breve.
I due però non furono capaci di mantenere una collaborazione, così si preferì riunire il
regno sotto il "re fantasma" Childerico III.
Intanto anche la Chiesa non abbandonò i suoi progetti di evangelizzazione, così papa
Zaccaria mandò Bonifacio a predicare a Frisoni e Sassoni, il quale anche se ci rimise la
vita, avviò la realizzazione di molte sedi vescovili, coinvolgendo anche territori di
dominazione franca, tra il 742/4 furono indisse ben tre Concilii che permisero la
riorganizzazione della Chiesa franca.
Nel 750 Carlomanno lasciò campo libero al fratello ritirandosi nel monastero di
Montecassino, così Pipino il Breve ottenne il potere con l'approvazione di papa Zaccaria,
attraverso la benedizione di Bonifacio. Il benestare sacro che aveva ottenuto furono le basi
di quello che poi sarà una monarchia di diritto divino. La consacrazione sacrale divenne
ufficiale quando papa Stefano II si recò in Francia per chiedere aiuto contro i Longobardi.
La dinastia dei Pipinidi raggiunse tali traguardi, oltre che per la loro indubbia capacità
amministrativa, anche perchè in molte tribù franche era rimasta viva la loro attitudine alle
armi, che per di più si andava affinando con le nuove tecniche di combattimento e grazie
all'armatura e e alle armi più resistenti.
L'esercito solitamente era costituito da giovani guerrieri, che formavano il seguito armato
dei sovrani (trustis), i quali per tenerli presso di loro anche in tempi di pace e conservare il
loro giuramento di fedeltà, o li facevano rientrare tra i loro familiares, o li accasavano
mediante la concessione di terre.
Man mano che i diritti e i doveri dei guerrieri si andavao definendo fu istituita una vera
cerimonia (dell'omaggio), con la quale si stabiliva il legame con il sovrano, che a sua volta
gli dava il titolo di vassus, e la ricompensa che riceveva era detta feudo.
Il prestigio del guerriro oltre che dalla bravura e dalla sua prestanza fisica, dipendeva anche
dall'armatura che poteva permettersi, quindi dalla condizione sociale della famiglia di
provenienza. E proprio grazie a questo tipo di sostegno, ampliando i rapporti vassalatico-
beneficiari, la dinastia dei Pipinidi non trovò alcuna difficoltà a spodestare i Merovingi.
Messo in piedi un meccanismo così efficiente fu facile per i Franchi portare avanti i progetti
espansionistici. I primi ad essere colpiti furono i Longobardi, che con il re Astolfo stavano
cercando di impossessarsi dell'intera penisola italiana, ma quando si trovarono alle porte di
Roma, il papa Stefano II chiese soccorso ai Pipini (confermando loro il titolo di protettori
della Chiesa romana), che nel 755 mandarono le loro truppe in Italia, costringendo Astolfo
a donare alla Chiesa i territori che avevavno sotratto ai Bizantini, e a rifugiarsi a Pavia.
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Carlo Magno prima della sua morte divise il regno secondo la tradizione franca tra i suoi tre
figli: Carlo, Pipino e Ludovico il Pio, ma la morte prematura dei primi due concentrò il
potere nelle sole mani di Ludovico, che assunse così anche il titolo imperiale nel 814.
Questi si preoccupò molto del rapporto con la Chiesa, con l'idea di governare insieme una
sola comunità. Inoltre una delle sue prime preoccupazioni fu la successione, ordinò
l'indivisibiltà dell'impero, lasciando l'ereditarietà nelle mani del primogenito Lotario, e agli
altri due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, assegnò il controllo delle zone periferiche.
Lotario intanto venne mandato in Italia dove nel 824, con nuovi Capitolari, imponeva alla
Chiesa la Costitutio Romana, e cioè che il papa doveva giurare fedeltà eterna all'imperatore
e che poi questo dovesse essere consacrato.
Purtropo le cose non andarono come Ludovico il Pio aveva prestabilito, poichè Lotario non
seppe mantenere con fermezza il suo ruolo, e spinto dalla moglie, Giuditta di Baviera, e dai
fratelli, scatenò una rivolta contro il padre, che cercò di evitare lo sfascio aumentando i suoi
uomini di fiducia.
Intanto anche il mondo ecclesiastico cercava di recuperare potere, e Agobardo, arcivescovo
di Lione e Giona, emanò un nuovo principio, e cioè che quando l'imperatore per qualsiasi
motivo non sarebbe riuscito ad adempire i suoi compiti la Chiesa si assumeva il diritto di
intervenire.
Queste furono le basi per la riconquista del potere da parte della Chiesa.
Alla morte dell'imperatore, i fratelli ribelli sovrastarono Lotario, così Ludovico il
Germanico e Carlo il Calvo (successore di Pipino) stipularono un patto nel 838 a
Stransburgo, promettendosi aiuto reciproco davanti ai soldati francesi e tedeschi,
formulando il giuramento in entrambe le lingue. Inoltre nell'843 con il Trattato di Verdun
l'impero fu diviso definitivamente: a Carlo il Calvo la parte occidentale, a Ludovico il
Germanico la parte orientale, a Lotario la parte centrale e il titolo imperiale, anche se in
effetti, visto che il suo territorio era nettamente inferiore a quello dei fratelli, il suo era solo
un titolo onorario.
Alla morte di Lotario gli successe il figlio Ludovico II, che si impegnò in Italia contro i
Saraceni. Alla sua morte nel 876, proseguì la sua opera lo zio Carlo il Calvo. Nell'884,
rimasto il regno senza eredi diretti, salì al trono il figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il
Grosso, riunendo così il vecchio impero di Carlo Magno.
La stabilità però durò poco, infatti presto il sovrano, sottomesso dalle insistenze dei
Normanni e dell'aristocrazia, abdicò e si ritirò in un monastero. Così il regno fu di nuovo
diviso: nella parte orientale prese potere Arnolfo di Carinzia, in Francia divenne re
Oddone e il Regno d'Italia fu affidato a Berengario, marchese del Friuli.
Lo smembramento non si verificò solo a livello politico, ma si riscontrò in molteplici
aspetti, addirittura tra le organizzazioni ecclesiastiche. Inoltre il gran numero di vassalli di
cui si era circondato l'imperatore stava acquisendo sempre di più potere, e i marchesi, i
duchi e i conti si combattevano tra di loro con seguiti armati. Frequenti erano gli scontri
anche con le signorie monastiche signorili, questi però godevano dell'immunità dalle leggi
imperiali, costituendo veri Stati nello Stato, cominciando ad esercitare un'autonomia
amministrativa, giuridica e militare. Queste signorie vengono chiamate Signorie bannale,
che differivano dalle Signorie feudali, anche se molte non erano riconosciute valide nè dal
re e nè dagli altri signori; quindi non erano altro che grandi proprietari terrieri che
esercitavano poteri che in realtà non erano mai stati conferiti loro.
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In questo periodo l'Italia, più che delle altre regioni europee, presentava un carattere
estremamente frammentario:
- Il settentrione e la parte del centro costituivano il Regno d'Italia.
- Puglia, Basilicata, Calabria meridionale e parte della Campania appartenevano all'Impero
bizantino.
- Le poche restanti terre della penisola erano ancora nella mani dei Longobardi, come il
ducato di Benevento, che poi si divise formando anche quello di Salerno, dal quale poi si
distacco la contea di Capua. Questi scontri interni tra i duchi Longoibardi permisero ai
Saraceni, al Regno d'Italia e all'Impero bizantino di recuperare spazi.
Quando l'Imperatore Ludovico II scese in Italia per combattere i Saraceni e liberò Bari,
portò l'emiro prigioniero a Benevento. Qui governava il principe Adelchi, che per evitare il
sopravvento del potere carolingio, tradì l'imperatore e si alleò con l'emiro, facendo
prigioniero Ludovico II, e rilasciandolo solo quando promise di lasciare l'Italia senza
vendetta.
Nei ducati di Napoli, Gaeta e Amalfi, anche se in teoria sottostavano a Bisanzio, i duchi
amministravano auonomamente e si difendevano nelle lotte contro i Longobardi.
- Poi c'erano le grandi signorie di Montecassino (terra di San Benedetto) e di S.Vincenzo al
Volturno (terra di San Vincenzo), privilegiate fin dai tempi di Carlo Magno, godendo
dell'immunità e della protezione imperiale; ma ben presto caddero anche loro nelle mire
espansionistiche.
- Da non trascurare è la presenza del papato, che rivendicava una funzione universale, sia
politica che religiosa, in buona parte del Lazio, delle Marche e dell'Umbria.
- Intanto gli Arabi nel 902 vevano conquistato l'intera Sicilia e si muovevano lungo le coste
del Mediterraneo.
Il Regno d'Italia dopo l'estromissione al trono di Carlo il Grosso (887) passò sotto la guida
del marchese Berengario, ma dopo poco contro di lui si levò Guido, il duca di Spoleto; alla
morte di questo gli successe il figlio Lamberto, che provò ad invadere i territori pontifici,
ma subito dopo papa Formoso chiamò in suo aiuto il re di Germania Arnolfo di Carinzia,
che fu così riconosciuto re d'Italia e poi anche imperatore.
Colpito da un malanno Arnolfo lasciò campo libero a Lamberto, che questa volta fu invece
sconfitto dal marchese Berengario, che si era sempre tenuto pronto per tornare all'attacco.
Ancora una volta i dissidi interni spodestarono il potere e fu proclamato imperatore
Ludovico di Provenza, anche se le due fazioni opposte si fronteggiarono per molto tempo,
fino a quando Berengario non l'ebbe vinta ancora una volta nel 905. Ludovico di Provenza
fu rispedito in Francia, il Garigliano fu liberato dai Saraceni, Roma fu resa più sicura, e
Berengario ottenne così la corona imperiale da papa Giovanni X; ma nel 924 un nuovo
nemico prese l'attacco, Rodolfo di Borgogna, che lo sconfisse definitivamente.
Anche questa volta la stabilità durò pochi anni, fino a quando prese il potere Ugo di
Provenza, che grazie all'appoggio dei marchesi di Toscana riuscì a governare fino al 946,
ma poichè la sua voglia di imporsi provocò l'ira dei feudatari, che capeggiati da Berengario
d'Ivrea, sostenuto dal re di Germania Ottone I di Sassonia, lo sconfissero, e approfittando
della morte del figlio Lotario, Berengardo divenne re d'Italia.
Era rimasta però Adelaide, vedova di Lotario, che perseguitata dal nuovo re, chiese aiuto al
re di Germania, che subitò ne approfittò sposando la vedova, scese in Italia e sottomise
Berengario; che però fu comunque lasciato alla guida del regno in qualita di vassallo.
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Alla fine dell' VIII secolo l'Impero bizantino comprendeva circa 1/3 del territorio dominato
al tempo di Eraclio (610-641), in seguito ai vari attacchi degli Arabi, Slavi e Bulgari. Ma
verso la metà del IX sec. dopo una lunga resistenza riuscì a recuperare alcune terre ed a
rinnovare l'amministrazione del governo.
Una tecnica, già utilizzata da Maurizio e Eraclio, che si andò sempre più diffondendo, fu
l'istituzione dei temi, dando nelle mani degli stratega poteri civili e militari, e rendendo i
soldati, detti stratioti, colonizzatori e proprietari di terre, che potevano ereditare ai figli
insieme all'obbligo del servizio militare. Oltre a questi si andava formando una classe di
piccoli proprietari, che risultarono fondamentali per l'economia dello stato.
Complessivamente l'Impero bizantino si concentrò sulle risorse interne acquistando una
forte identità orientale e rurale. Infatti anche dal punto di vista linguistico si passò dal latino
al greco e dall'appellativo "Imperator" al titolo "Basileus"; lo stesso accadde per le leggi,
superando il diritto romano e introducendo la pena dell'accecamento e del taglio del naso.
Uno dei temi principali in questo periodo per l'Impero bizantino fu la lotta al culto delle
immagini (controversia iconoclasta).
Il dissenso partì dalle province orientali, poichè più influenzate dall'Islamismo e dal
Giudaismo, inoltre queste zone poichè più esposte alle invasioni esterne ricoprivano un
notevole peso politico sull'intero stato.
Il movimento prese pienamente forma quando salì al trono Leone III l'Isauro, proveniete
da una famiglia di stratioti e giunto al potere facendo carriera nell'esercito.
Il nuovo sovrano, forse sia per motivazioni spirituali, ma soprattutto per ridare unità allo
stato, indebolendo anche così la potenza dei monaci, che ormai avevano raggiunto quasi una
totale indipendenza e grande popolarità, emanò nel 726 un decreto che vietava il culto delle
immagini di ogni genere (sulle tavolette di legno e negli affreschi), ordinandone la
distruzione. Fu inevitabile lo scontro tra il patriarca di Costatinopoli e il papa Gregorio III
che presto scomunicò l'imperatore e i suoi sostenitori.
Il figlio di Leone III, Costantino V, proseguì sulla stessa ideologia del padre, inoltre
collezionò importanti vittorie contro gli Arabi e i Bulgari, e diminuì ancora di più il potere
e le ricchezze dei monaci. Pero' gli imperatori Isaurici se da una parte avevano conquistato
la stabilità sul fronte orientale, d'altra parte ebbero il malcontento delle regioni occidentali,
come l'Italia e la Grecia.
A seguire gli successe Costantino VI, sotto la tutela della madre Irene, che fatto uccidere il
figlio, divenne lei stessa imperatrice.
A questo punto l'ideologia degli imperatori Isaurici venne abbandonata, fu fatto patriarca un
iconodulo e con il VII Consiglio di Nicea nel 787 l'iconoclasmo fu condannato come
eresia.
La situazione però non era affatto stabile, la stessa imperatrice non era riconosciuta come
tale, nemmeno dal papa che in questo periodo coronò il sogno di Carlo Magno, rendendolo
Imperatore. Questi volendo stabilire una collaborazione con Bisanzio pensò di sposare
l'Imperatrice, ma questa fu deposta nel 802, costringendo Carlo Magno ad aspettare
l'imperatore Michele I nel 812 per stabilire un accordo di collaborazione.
Dopo di che, con al potere bizantino Leone V si ebbe l'avvento del II iconoclasmo,
combattuto definitivamente da Michele III.
Con la fine di questa lunga disputa coincise un periodo di tregua da parte del nemico arabo,
la ripresa della grande proprietà terriera, ma anche la crisi dei piccoli proprietari, come
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Tra le nuove organizzazioni politiche dell'XI sec. che colpirono profondamente l'Impero
bizantino abbiamo trovato due potenze occidentali, i Normanni e i Veneziani, che per la
prima volta dopo la caduta dell'Impero Romano riuscirono a prevalere sull'Oriente. Ciò
segnò l'inizio di una nuova era e di nuovi scambi commerciali.
Superato il cosiddetto secolo di ferro, e la paura apocalittica della leggenda dell'anno
Mille, si registrò una notevole ripresa, come l'aumento demografico, l'evoluzione delle
tecniche agrarie e nuovi commerci.
Le città si ripopolarono e le terre per la coltivazione furono ampliate, inoltre tra l'XI e il XII
secolo nacquero molti altri villaggi, e anche la qualità della vita migliorò, visto l'aumento
della sua durata media.
C'è da dire anche che tali fenomeni non furono omogenei in tutte le regioni d'Europa, dato
che le situazioni, sia geografiche (terre coltivabili), che politiche (invasioni esterne) erano
molto differenti tra le varie zone.
Nel caso in cui le terre per l'agricoltura non abbondavano si cercava di trovare un accordo
tra il proprietario, o gli enti ecclesiastici, e il coltivatore. Infatti chi possedeva curtes o
villaggi ne cedeva una parte, mettendo il contadino in condizione di lavorarla, e questi lo
pagava solo quando cominciava il raccolto.
Ecco che lo spostamento di numerosi coloni venivano a costituire nuovi centri abitati, detti
villenuove o borghi franchi, gestiti sotto il cordinamento dei signori proprietari.
Ad occuparsi della terra furono anche i nuovi ordinamenti monastici, i certosini e i
cirstensi, i quali seguendo uno stile di vita all'insegna del lavoro e della povertà (secondo la
regola benedettina), si rifugiavano in zone molto isolate, dovendo così provvedere ad ogni
necessità. Oltre ai dislocamenti e alla rivitalizzazione dell'agricoltura da parte dei coloni, in
alcune zone vennero realizzate grandi opere, un esempio eclatante è quello della costa dei
Paesi Bassi; qui il paesaggio era caratterizzato da estese paludi e acquitrini, e ci vivevano
solo pescatori e produttori di sale. Nel giro di 2-3 secoli la zona fu completamente
bonificata con dighe e canali di drenaggio, e liberate le terre dal sale si procedette all'avvio
della coltivazione e dell'allevamento, ottenendo ottimi risultati. Tutto ciò fu possibile grazie
all'investimento economico dei Conti di Fiandra, nonchè proprietari di queste zone.
Simili sviluppi si registrarono anche in Spagna, dove i Cristiani erano alle prese con la
riconquista delle terre invase dagli Arabi, e in Germania che allargò le sue frontiere sia
verso il Baltico che verso i popoli slavi.
Per tali opere i principi territoriali si servirono di una grandissima quantità di uomini che,
ottenendo privilegi signorili, erano addetti a creare colonie di contadini.
Seguendo questa politica i domini cominciarono ad ampliarsi, e con essi anche
l'evangelizzazione dei popoli.
Il fatto che gruppi sostanziosi di contadini erano disposti ad affrontare lunghi viaggi per poi
stanziarsi in terre sconosciute e ostili, era giustificato dall'incremento demografico e dalla
loro voglia di sottrarsi al potere signorile, al punto che questi dovettero mettere sotto
controllo le partenze, e a cominciare a rilasciare una serie di diritti ai loro dipendenti.
In tal modo dove più e dove meno la struttura della curtis fu modificata, e grazie ad una
maggiore autonomia di gestione delle terre, i contadini più capaci incrementarono
notevolmente la produzione e i guadagni.
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La svolta culturale operata da Carlo Magno interessò soprattutto il recupero del patrimonio
letterario classico e della lingua latina, che dalla corte imperiale fu trasferito alle cattedrali
e alle abbazie. A continuare la tradizione carolingia fu la Germania con gli imperatori di
Sassonia, anche se ci furono molte influenze francesi.
Verso la metà dell IX secolo anche in Italia meridionale, grazie al contatto con il mondo
greco e arabo, si stavano avviando importanti centri culturali.
In Italia settentrionale si lavorava invece alla rinascita del Diritto romano di Giustiniano, e
proprio nel campo giuridico, come in medicina, gli italiani contribuirono allo sviluppo della
cultura europea.
La Francia appariva fiorente in quasi tutti i campi: arti liberali (trivio e quadrivio), filosofia,
teologia e poesia, sia latina che volgare.
Lo sviluppo che si avviava nel IX secolo ha la sua più grande realizzazione quando si
parlerà di "rinascita del XII secolo".
La cultura passò dalle mani dei grandi monasteri agli ordini religiosi di nuova fondazione e
alle cattedrali, che erano avvantaggiate dal fatto che si trovassero al centro delle città.
In Francia settentrionale furono fondate le maggiori scuole cattedrali, governate dai vescovi,
qui però non venivano seguiti programmi precisi nè riconosciuti titoli, ciò avverrà solo con
l'istituzione delle università. A differenza dell'istruzione superiore già conosciuta nel Mondo
Antico, nelle università ci si organizzava per facoltà e con determinati piani di studio.
Esse nacquero da associazioni per studenti e professori, con difficoltà si ottenne il
riconoscimento da parte delle autorità civile ed ecclesiastica, e alla concessione di privilegi
per gli studenti più poveri. In seguito furono fissati programmi di studio, lo stipendio per gli
insegnanti e le modalità di esame.
Le facoltà a scelta erano quattro: delle arti, del diritto (civile e canonico), medicina e
teologia. La prima università dell'Europa è considerata la Scuola Medica Salernitana,
anche se le origini non sono ben attestate, ci si basa su numerosi trattati di medicina e
filosofia scritti o tradotti dal greco e dall'arabo. Nel 1231 con la prima delle Costituzioni si
decise che dopo l'esame di laurea bisognava presentarsi all'imperatore per ottenere la
licenza. A Bologna l'università nacque per opera di organizzazioni laiche, costituite dagli
Ultramontani (provenienti d'oltalpe) i e Citromantani (provenienti da varie parti d'Italia). A
Parigi l'università nacque per opera della cattedrale di Notre Dame, che portava con sè il
maggior numero di insegnati, che decisero così di organizzarsi autonomamente per sottarsi
al potere degli arcivescovi.
Una filiazione di Parigi fu l'università di Oxford seguita da Cambridge.
Dalla tradizione bolognese nacquero invece quella di Padova; nel 1224 Federico II fondò
l'Università di Napoli, con l'obiettivo di formare personaggi in grado di amministrare
quello che poi sarebbe stato il Regno di Sicilia.
Con le stesse intenzioni anche i pontefici assunsero il controllo totale o parziale delle
università.
Così nel corso del'300 le Università, in un modo o nell'altro, si trovavano sottoposte al
controllo dei poteri pubblici. Anche se esse conservavano una certa autonomia, dal punto di
vista organizzativo rispettavano delle regole comuni: i corsi si tenevano nelle case dei
maestri o in sale affittate, invece gli eventi ufficiali nelle chiese o nei conventi;
l'insegnamento di divideva in due momenti, sulla lectio (lezione), durante la quale si
leggeva e commentava, e sulla disputatio (disputa) cioè veniva presentato un tema agli
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La nuova società europea che si andava costituendo aveva bisogno di una maggiore
garanzia di sicurezza e di controllo. In mancanza di un forte potere politico il primo
provvedimento fu preso dalla Chiesa con l'Organizzazione delle Paci di Dio, dove i
protagonisti furono i vescovi, che con grandi assemblee riorganizzarono l'ordine pubblico,
a partire dalle chiese alle classi sociali più deboli, muovendosi contro i violenti, cioè i
signori dei castelli e il loro esercito.
Oltre a provvedere alla protezione dalle guerre, si cercò a delimitare i periodi in cui essa si
potesse esercitare, anche se non sempre tali regole furono rispettate, provando a disciplinare
l'ordine dei cavalieri e dei bellatores. Così man mano il codice di comportamento
cavalleresco si definì sempre di più, e si rivolgeva in particolar modo ai giovani, i quali
oltre alla vita avventurosa si dedicavano anche a conversazioni amorose e alla lettura di
poesie e romanzi cavallereschi. Tale stile di vita fu molto influente nell'Italia dei Comuni, e
fu spesso celebrato da poeti e scrittori. Resta il fatto che essi conducevano una vita violenta,
e solo con il Concilio di Norbona nel 1054 si ufficializzò che i cavalieri non dovessero
uccidere i cristiani, diventando così i veri difensori armati del Cristianesimo.
Ancora una volta notiamo come le mancanze del potere politico venissero sopperite con
metodi alternativi, e che quando nel corso del XII secolo si tentò di avviare una ripresa
amministrativa, il cardine dei cambiamneti rimase nelle mani dei rapporto feudo-
vassallatici. Infatti questi, nati inizialmente per garantire il controllo territoriale e dare
sostegno armato ai sovrani e ai signori, ormai avevano raggiunto un prestigio tale da essere
strumento di governo. Tale situazione fu attestata anche dall'evoluzione dei loro diritti
ereditari e da una raccolta di pratiche giuridiche Libri Feudorum che definivano in tutto e
per tutto il sistema feudale. D'altra parte gli studi dei giuristi sul diritto romano faceva
riconoscere nello Stato l'unica istituzione che detenesse il potere, anche se in una realtà così
frammentaria era impossibile riconoscere il valore di uno Stato unito.
C'è da dire però che intanto il rapporto feudo-vassallatico aveva perso la sua originaria
funzione militare, trasformandosi solo in un fatto politico e con l'unico obbligo di versare
una tassa al signore a cui si apparteneva. Tale meccanismo si affermò in tempi e luoghi in
maniera diversa, e talvolta intorno ai signori, altre a principi, altre volte attorno a città-stato.
Lo sviluppo si notò soprattutto in Inghilterra e in Italia meridionale per opera dei Normanni.
Le comunità cittadine dell'Italia, oltre che da artigiani e mercanti, erano composte anche da
una media-piccola nobiltà fondiaria e spesso il loro signore era il vescovo, il quale però non
era l'unico a svolgere l'attività amministrativa, ma si divideva il potere con i conti, le
cattedrali e i monasteri. Una gestione così disgregata non era capace di far fronte alle
tensioni sociali e agli scontri tra le famiglie più importanti, che tendevano sempre ad
incrementare il loro prestigio e la loro ricchezza.
Un esempio è Milano, dove come abbiamo già visto i grandi vassalli si scontravano con i
piccoli feudatari valvassori, poichè questi chiedevano il diritto di ereditarietà, che poi fu
concesso loro dall'imperatore Corrado II; ad un certo punto però dovettero superare le loro
divergenze e unire le forze per combattere contro il popolo, che ormai stanco delle loro
violenze, aveva innescato un movimento di rivolta. Si giunse ad un accordo tra le parti, ma
l'equilibrio rimase instabile, anche a causa delle riforme politiche e religiose che si stavano
attenuando per la lotta alle investiture. A tal proposito si formò la nuova magistratura dei
consoli, nata dall'accordo di alcune famiglie, che rendendosi consto dell'indebolimento dei
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Dalla seconda metà del XII secolo il papato assunse sempre di più le sembianze
monarchiche; e ciò si realizza ancor di più quando alla morte prematura dell'imperatore
Enrico VI coincise il fatto che divennepapa Innocenzo III, ambizioso e promotore della
supremazia spirituale e politica, approfittando della condizione instabile degli stati
circostanti.
Questo tipo di politica pontificia emerse in particolar modo in Sicilia, ritenuta già feudo
della Chiesa. Quando morì la regina Costanza, vedova di Enrico VI, lasciò il figlio
Federico II sotto la tutela di Innocenzo III, che lo incoronò all'età di soli 14 anni nel 1208.
Intanto il papa aveva conferito la corona imperiale ad Ottone di Brunswick, ma questi non
rispettando i patti, e tentando addirittura di colpire il Regno di Sicilia, fu cacciato e
scomunicato, passando il titolo imperiale al giovane Federico. Intanto Innocenzo non
perdeva di vista le vicende dei regni di Aragona, Portogallo, Bulgaria e Serbia. Oltre a porre
attenzione alle crociate contro i Musulmani, e al desiderio di accorpare la Chiesa d'Oriente,
Innocenzo III si dedicò ai movimenti eretici e in particolar modo si scagliò contro i Catari,
ormai numerosi e ben organizzati, soprattutto nelle città di Albi, nella contea di Tolosa. Qui
vigeva una forte autonomia amministrativa, caratterizzata dalla fiorente cultura provenzale,
e che ben accoglieva l'ideologia dei Catari. Lo scontro vero e proprio ebbe inizio inseguito
al fatto che alcuni dei Catari uccisero un legato papale, questo portò alla decisione da parte
del papa di indire una crociata contro di loro, alla quale presero parte molti dei cavalieri del
nord della Francia, con la speranza di ricevere gli stessi meriti spirituali dei combattenti
crociati partiti per la Terrasanta, e inoltre di poter godere della fiorente economia della
regione di Tolosa.
Furono realizzati saccheggi e razzie terribili e a pagare con la vita furono anche gli abitanti
cristiani; gli assedi furono molti e ripetuti, poichè il papa, facendosi forza del contingente
armato che gli prestava servizio, indicava, a seconda dei propri interessi, quali fossero i
principali nemici della fede, arrivando a promuovere numerose crociate contro i sovrani e i
principi ghibellini.
Ancora una volta il movente spirituale fu superato da quello politico.
Il traguardo di Innocenzo III si segnò con il Concilio Lateranense (1215) nel quale stabilì
quali fossero i doveri degli eccelesiastici e dei fedeli.
In Francia il successore di Luigi VII fu il figlio Filippo Augusto, cha avviò una politica di
rilancio sia all'interno, consolidando gli obblighi feudali, sia all'estero, puntando ad
indebolire il vassallo inglese, dove reganava Enrico II, ed escogitando la strategia di
conquistarsi la fiducia del figlio Riccardo Cuor di Leone, e insieme al quale partecipò alla
III crociata, ma come prestabilito, non esitò a tradirlo.
Alla morte di Enrico VI in Sicilia e di Riccardo in Inghilterra, lo scenario politico europeo
si indebolì, e gli unici arbitri restarono papa Innocenzo III e il re di Francia Filippo Augusto.
In Inghilterra aveva preso potere Giovanni Senzaterra, che venne condannato per aver
tradito gli obblighi vassallatici (fallonia) nei confronti del sovrano francese, perdendo gran
parte dei territori feudali, e per evitare l'attacco diretto all'Inghilterra, dichiarò l'intero regno
feudo della Chiesa. I due sovrani però si ritrovarono in cotrapposizione in un'altra
occasione, in terra tedesca, quando Innocenzo III mosse una coalizione contro l'imperatore
Ottone, che aveva tra i suoi alleati Giovanni Senzaterra, mentre Filippo Augusto si era
schierato da parte del papa (la domenica di Bouvines).
Il prestigio della monarchia francese andò sempre di più crescendo, allargando i domini e
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Agli inizi del '300 in Europa si registra un rallentamento sotto tutti i punti di vista.
Il rapporto tra terre coltivabili e popolazione giunge al limite, poichè le tecniche agricole in
atto non permettevano il pieno sfruttamento del terreno, che in poco tempo diveniva poco
produttivo. Ciò portò ad un aumento dei prezzi in maniera esponenziale, incidendo
addirittura sul tasso di mortalità e di natalità, a causa delle continue carestie. Un fattore che
influenzò sia il calo della produzione agricola, che l'insorgere di malattie, fu il
peggioramento del clima, più freddo e piovoso. Inoltre l'esodio dalle campagne alle città
portò alla concentrazione del popolo in aree ristrette, alimentando la possibilità di contagio,
soprattutto a causa della scarsa igiene.
Tra le varie ondate epidemiche la più nota è quella del 1348, detta "peste nera", la peste
bubbonica. La diffusione non fu omogenea in tutte le zone dell'Europa, ma quasi ovunque si
registrarono vuoti di popolazione. Nello stesso anno ci fu un forte terremoto che provocò
quasi 10000 morti, seguito da altre numerose catastrofi naturali.
A sconvolgere l'Europa tra il '300 e il '400 ci fu un altro fattore: la guerra, essa non era più
quella di episodi lievi e circostritti, ma passò ad essere una condizione perdurante nel tempo
e fatta di assedi e saccheggi, fino a colpire l'economia dell'Europa intera.
In Itlaia nel 1282, e per 90 anni ci fu la Guerra del Vespro, su territori della Sicilia,
Calabria e Campania. Qui gli Aragonesi (Almugaveri) innescarono una serie di guerriglie,
tanto da incidere sia sull'economia che sul livello demografico. Tale fenomeno presto si
diffuse in tutta Europa, e i protagonisti principali furono le milizie mercenarie, costituite da
bande armate, che erano capeggiate da esponenti della piccola nobiltà. Questi erano di gran
lunga più esperti dell'esercito dei cavalieri feudali, i quali prestavano servizio solo
seguaendo i patti stabiliti con il proprio signore, e non erano per nulla abituati a combattere
per così tanto tempo, nè tanto meno ad intendere la guerra come l'annientamento del
nemico, ma per loro essa era come un'avventura e simbolo di destrezza, paragonabile ad un
torneo.
Poi c'erano gli eserciti dei Comuni, fatti dal popolo, che si dimostravano esperti e valorosi;
ma la situazione si incrinò quando la democrazia comunale cominciò a regstingersi,
concentrando la gestione urbana nelle mani di pochi (oligarchia).
Le numerose guerre che gli stati dovettero fronteggiare portò all'aumento delle spese, che
ricaddero interamente sul popolo, creando una precaria situazione finanziaria. Intanto le
compagnie di ventura (bande armate) si diffondevano in maniera capillare, arrivando ad
avere complesse organizzazioni interne, dove i capi oltre ad essere signori della guerra
erano diventati veri e propri imprenditori economici, grazie all'accumulo dei bottini ricavati
dai saccheggi.
In questo clima è facile intuire che sia nelle città, che nei centri rurali, cominciavano a
nascere numerose rivolte; infatti soprattutto il popolo contadino subì gravi perdite a causa
della mancanza di produzione, dell'aumento delle tasse, e per il fatto che in molti furono
costretti ad arruolarsi.
Uno dei moti contadini più famosi è quello della Jacquerie francese del 1358; poi a seguire
ci fu quella inglese del 1381 che arrivò ad interessare anche operai, artigiani ed
ecclesiastici, riscontrando migliori risultati; un altro caso fu quello della Catalogna, dove
gran parte della popolazione si ritrovò a stare in condizione servile, così nel 1462 si
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Si viene a delineare l'ideologia che ogni sovrano ha il suo regno, superando definitivamente
la struttura imperiale, e di questo ne risentì molto anche la supremazia papale.
Gli eventi importanti che si registrano agli inizi del '300 furono:
- Il re di Francia Filippo IV il Bello unì per la prima volta Parigi agli Stati Generali, quindi:
clero, nobiltà e borghesia.
- Papa Bonifacio VIII, che successe al papa angelico Celestino V, proveniente dagli ordini
dei mendicanti, indisse l'Anno Santo (Giubileo) per tutti coloro che avveno visitato le
tombe degli Apostoli.
- Nel comune di Firenze si crearono le opposte fazioni dei guelfi bianchi e guelfi neri
(sostenuti da Bonifacio)
- Nel 1302 Bonifacio emanò la Bolla Una Sanctam, e con essa riaffermava la sottomissione
al pontefice di ogni uomo e quindi di ogni autorità.
- Bonifacio realizza a pieno l'ideologia dei suoi predecessori Gregorio VII e Innocenzo III,
ma stavolta lui non era circondato da teologi e giuristi, dei quali invece si servì il nemico re
di Francia per portarlo davanti al tribunale, ma la popolazione insorse e riuscì a liberarlo.
- Bonifacio VIII muore dopo pochi giorni e la sede papale da Roma viene spostata ad
Avignone (dal 1309 al 1376) con Clemente V, poichè si temeva l'ostilità dei Romani.
- In Inghileterra Enrico III cercò di ritrattare le concessioni date da Giovanni Senzaterra con
la Magna Charta, suscitando la rivolta dei baroni; così il Consiglio Comune del Regno
divenne Parlamento, costituito da una Camera dei Pari e da una Camera dei Comuni.
Il consolidarsi delle autorità politiche sia in Francia che in Inghilterra creò degli scontri, ed
entrambe si contendevano le terre delle Fiandre e della Scozia; proprio riguardo alla Scozia
nacquero numerosi conflitti tra il 1294-1475 (Guerra dei cent'anni). Dal 1380 entrambi i
paesi erano scossi dalle numerose battaglie e dai conflitti interni, così il re inglese Enrico V
per dare una svolta si alleò con il Duca di Borgogna Giovanni Senza Paura contro il re di
Francia Carlo VI, che dopo varie sconfitte accettò il Trattato di Troyes, dando in sposa la
figlia e quindi la successione del Regno ad Enrico V.
(Tutta la Francia attraversa un periodo in cui il senso di patriottismo provocò numerose
incursioni, tra cui ricordiamo quella di Givanna d'Arco).
Il potere tornò nelle mani dei francesi con Cralo VII, che insieme al figlio Luigi XI, applicò
diverse innovazioni, anche anti-feudali per recuperare i territori.
La Guerra dei Cent'anni servì per rinnovare le tecniche militari, ma d'altra parte, soprattutto
l'Inghilterra ne uscì malridotta, e dopo il regno di Enrico VI il potere venne conteso tra gli
aristocratici, innescando una gierra civile tra i sostenitori della Casa di York (rosa bianca) e
quelli della Casa di Lancaster (rosa rossa), da qui la Guerra delle due rose.
Dopo vent'anni di conflitto salì al trono Riccardo IV di York, ma dopo solo due anni una
nuova rivolta diede inizio alla dinastia dei Tudor.
Enrico VII Tudor intraprese la restaurazione del regno sottraendosi al potere del parlamento.
- Nella Penisola Iberica dopo la Reconquista:
il Portogallo con la monarchia di Giovanni I si rafforzò, con grandi sviluppi nelle attività
marinare.
In Castiglia prediligeva il peso della nobiltà, fino a quando le città non si riunirono in
fratellanze all'interno della corte del Parlamento.
Nel regno d'Aragona, la città di Aragona puntava verso la Castiglia e la Francia
meridionale, invece la Catalogna e Barcellona verso il sud e il Mediterraneo. Anche se ad
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Fin da subito l'organizzazione dei Comuni apparì molto instabile sia a causa del fatto che
sempre più famiglie avevano in mano l'economia e i commerci, e sia per l'incapacità di darsi
delle leggi salde. Inoltre l'aristocrazia non fece che peggiorare il funzionamento
dell'istituzione comunale, poichè tendeva sempre di più ad aumentare il proprio potere
grazie alle clientele vassallatiche e ai contatti con i nobili della città.
A tal proposito riportiamo alcuni esempi di Comuni dove prese il sopravvento la signoria
cittadina:
- Ferrara, nel 1240 dopo vari scontri tra aristocratici la famiglia degli Estensi riesce a salire
al governo della città, grazie all'appoggio di altre famiglie e ai numerosi patrimoni fondiari;
- nel Veneto, la famiglia dei Romano riuscì a dominare tutta la zona prealpina fino al 1259,
l'esponente maggiore fu Ezzelino III da Romano;
- con lo stesso metodo si affermò anche Oberto Pelavicino, dapprima solo in Padania, poi
anche in Piemonte, Lombardia ed Emilia, poi perse tutto con l'arrivo in Italia di Carlo
d'Angiò.
Nella maggior parte dei casi queste signorie cittadine si mostrarono poco stabili,
diversamente invece accadde per quelle famiglie a carattere militare, che da tempo avevano
imparato a convivere nell'ambiente comunale, oltre che a gestire i feudi.
A tal proposito ricordiamo i Visconti a Milano e i Malatesta a Rimini. Le signorie arrivano
a sostituirsi del tutto ai comuni, anche se questi non vennero subito smantellati, e si parla
del fenomeno della criptosignoria. Così come negli altri casi anche a Milano il processo di
trasformazione fu piuttosto lento, l'istituzione rimase in vigore a lungo, anche se solo
formalmente, e una svolta si ebbe solo nel 1294 con il conferimento del titolo di vicario
imperiale a Matteo Visconti, quindi il potere signorile si configura come una vera nomina e
non solo come una fiducia del popolo. In alcuni casi però i comuni resistettero per tutto il
corso del '300 come in Toscana. A Firenze la svolta avvenne nel 1342, durante un periodo di
grande difficoltà, a causa delle lotte tra nobili e popolo grasso (ceto dei grandi mercanti) e
per le agitazioni dei salariati. Il protagonista fu un avventuriero francese Gultieri di Brienne,
duca di Atene, protetto da Roberto D'Angiò. Nella sua signoria persero ogni potere sia i
grandi (nobili), che lo avevano sostenuto, che il popolo grasso. Il suo atteggiamento tiranno
fu subito condannato, e già dopo un anno fu cacciato. Questo episodio contribuì, come
anche in altri luoghi, alla costituzione di regimi oligarchici, ad esempio a Bologna (famiglia
dei Principi) e a Genova, dove le diverse fazioni si organizzarono in clan.
Ecco che si andava formando una nuova classe sociale, il Patriziato cittadino, e cioè
l'insieme di quelle famiglie di alta borghesia, che provenivano dai vecchi ceti cavallereschi
o mercantili, ma che ormai avevano assunto uno stile di vita aristocratico, pur mantenendo
sempre vivi i valori di ordine e razionalità.
A tal proposito un esempio eclatante fu Venezia, che nonostante la sua economia, fatta di
commercianti e imprenditori, quindi con una scarsa presenza di salariati, e nonostante si
fosse mostrata aperta ad accogliere le famiglie arricchite, divenne una delle città più chiuse
e con la Serrata del Maggior Consiglio (1297) si riservava l'ingresso al goverso solo a
determinate famiglie.
A Firenze, dopo la cacciata del tiranno, il duca di Atene, il popolo si scatenò contro le case-
fortezze dei più grandi della città, furono ripristinati gli ordinamenti di giustizia, e le
famiglie meno possedenti divennero popolani: fusione tra nobiltà guelfa e grandi mercanti
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Nel 1309 la sede papale viene spostata ad Avignone, in seguito al conflitto tra il re di
Francia Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII. In questo periodo tutti i papi, come la gran
parte dei cardinale e del personale della curia, erano provenienti dalla Francia, sopratuttto
meridionale. Solo nella scelta di vescovi e abati la Chiesa dovette continuare a scendere a
compromessi con i vari sovrani.
Gli uffici più importante dello Stato pontifico era la Cancelleria, che provvedeva all'ordine
dei documenti, e la Camera Apostolica, addetta alle finanze, infatti una serie di funzionari
giravano su tutto il territorio cattolico per raccogliere le imposte. Le entrate erano notevoli,
ma d'altra parte lo erano anche le spese, per poter mantenere una corte maestosa e ricca,
capace di accogliere i più grandi letterati e artisti d'Europa.
Tutta questa situazione non poteva che suscitare lo sdegno e la ribellione dei fedeli che
avrebbero voluto una Chiesa più vicina agli ideali del Vangelo e impeganta nella guida
spirituale. Nei confronti di questi gruppi popolari, la Chiesa adottò atteggiamenti
estremanete repressivi, dichirandoli eretici.
Tra i maggiori movimenti ricordiamo:
- I seguaci di Segarelli, di carattere pauperistico, fratelli apostolici che non accettavano la
nuova normativa di trasferire i nascenti ordini a quelli già approvati dalla Santa Sede.
Trovarono poi la loro guida in Dolcino da Novara (Fra' Dolcino).
- In Inghilterra e in Europa si diffuse l'insegnamento del teologo Giovanni Wiklyf, che
partiva dalla critica alla eccessiva modernizzazione della Chiesa per arrivare alla
contestazione di elementi fondamentali della Dottrina. I suoi seguaci erano chiamati
lollardi, e nonostante le numerose condanne a rogo il lollardismo si protrasse per tutto il
'400.
- Giovanni Huss, elaborò un rifacimento delle teorie del teologo Wiclyf, soffermandosi più
sulle critiche riguardo al clero che sulla Dottrina.
Il movimento hussista ebbe gran successo in tutta la Boemia.
Nonostamte i continui appelli che venivano fatti ai papi per far ritorno alla sede originaria di
Roma, la residenza Avignonese risultava fin troppo comoda e tranquilla.
Il primo che provò a far ritorno fu Urbano V nel 1367, ma resistette solo 3 anni, fu poi il
suo successore Gregorio XI, che protetto da bande armate, si ristabilì a Roma.
Il problema sorse alla sua morte, quando i Romani con manifestazioni rivoltose
intimidirono i cardinali abbligandoli a scegliere un papa italiano, Urbano VI, arcivescovo di
Bari. D'altra parte i cardinali francesi ritennero nulla questa elezione e nominarono ad
Avignone Clemente VII.
Si costituirono parallelamente due Collegi Cardinalizi, ognuno indipendente dall'altro. Tale
scisma abbassò ulteriolmente il prestigio della Chiesa, che fu ancora di più attaccata dalle
accuse di carnalità e voglia di potere.
Si credette di trovare una soluzione convocando un Concilio Universale e deponendo
entrambi i papi ed eleggendone uno nuovo, Alessandro V; successe che entrambi i pontefici
si rifiutarno di dimettersi, e così i papi divennero tre.
Alla luce di tante controversie in molti, tra teologi e sovrani, convennero all'idea che solo il
Concilio potesse essere lo strumento giusto per ripristinare la vecchia dottrina della Chiesa
e per riorganizzare la struttura del clero e la distribuzione delle varie cariche. Così il 5
novembre del 1414 i Padri Conciliari si riunivano a Costanza, approvando il decreto Haec
Sancta, secondo il quale si sanciva che il Concilio Universale ha autorità si tutti i cristiani,
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Nella seconda metà del '400 tutti gli stati europei si trovarono a fare i conti con gravi
problemi di riassetto interno, e nel caso particolare della penisola italiana i protagonisti
erano tutti quegli stati regionali che a turno avevano cercato di prendere il potere sull'intero
territorio, ma che erano sempre falliti.
Facendo un breve riassunto della situazione ricordiamo il Ducato di Milano, qui Filippo
Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo, avviò il recupero dei territori persi in seguito alla
morte del padre, affiancandosi Francesco Sforza, Noccolò Piccinino, Francesco Bussone (il
Conte di Carmagnola), e alleandosi con quelle città toscane che temevano l'espansione di
Firenze. Fu inevitabile la costituzione di una coalizione opposta, messa su da tutti quelli che
si sentivano minacciati dalla potenza viscontea: Firenze, Venezia, il papato e i Savoia,
dando inizio ad una serie di scontri che durò per più decenni.
In questa situazione così instabile fu determinante il ruolo dei mercenari, che passavano da
una parte all'altra a seconda del maggiore interesse che ne ricavavano, così i principi per
obbligarli alla fedeltà si univano a loro con vincoli matrimoniali o concedendo terre. Questo
fu il caso del conte di Carmagnola, al quale il Visconti diede in sposa sua nipote Antonia,
ma ciò non valse la sua lealtà, infatti presto passò dalla parte di Venezia assicurandole una
preziosissima vittoria. Nonstante tutto in seguito a vari insucessi e accusato di tradimento, il
Senato veneziano lo convocò, lo processò e lo decapitò.
Se le cose non andavano in maniera brillante per i Visconti sul fronte veneziano, non era la
stessa cosa contro Firenze, la quale si vedeva sempre costretta a mantenersi sulla difensiva.
Si provò a raggiungere un accordo con la Pace di Ferrara nel 1433, ma fu solo un tragua
momentanea dopo di che i Visconti ripartirono all'attacco puntando ancora più in alto verso
la conquista di Umbia e Marche.
Nel resto dell'Italia la situazione non era più tranquilla, infatti era in corso il conflitto tra
Luigi III d'Angiò e Alfonso d'Aragona per la successione di Giovanna II.
A Firenze a causa delle continue sconfitte contro il ducato milanese il regime oligarchico
degli Albizzi perse molti consensi facendo spazio a quello che poi sarebbe stata la grande
potenza della famiglia dei Medici.
A Milano, con un nuovo accordo, il duca di Milano diede sua figlia in moglie a Francesco
Sforza, che però non si perse d'animo a prendere parte alla coalizione avversa al suocero. A
complicare ancora di più la situazione a Milano fu la morte senza eredi diretti del duca nel
1447, innescando una disputa infinita tra i vari rivendicatori del titolo, ma alla fine le
famiglie del patriziato decisero di mettere su un regime oligarchico, instaurando la
Repubblica Ambrosiana.
Dopo tanti anni di lotta Milano si ritrovò a dover fare i conti con tutte quelle signorie che
rivendicavano la loro indipendenza, Firenze non era riuscita a ricavare nessun vantaggio
territoriale, solo Venezia si andava affermando come una delle più grandi potenze italiane
grazie alla politica espansionistica, che addirittura la portò a minacciare i territori lodigiani.
In visione di ciò Milano tentò di trovare una soluzione efficace, così la città fu messa nelle
mani di Francesco Sforza, il quale riuscì a sconfiggere i Veneziani a Caravaggio nel 1448,
e sfruttando anche i diritti che aveva ereditato dal matrimonio con la figlia del Visconte, si
fece proclamare duca. Venezia non si arrese, anzi continuò la lotta facendosi forza
dell'alleanza dei Savoia e di Napoli, mentre al fianco di Milano s'era schierata Firenze.
Alla notizia della caduta di Costantinopoli e all'appello del papa di una crociata contro i
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-
Venezia
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prese sotto protezione alcune città albanesi e greche che temevano la potenza dei Turchi.
Per quello che riguarda il commercio i veneziani riuscirono a mantenere una certa
indipendenza, anche se la nuova potenza orientale pretendeva il pagamento di tasse gravose,
e fu questo a spingerli verso i mercati di Alessandria d'Egitto.
- A Milano Francesco Sforza si dedicò alla costruzione di un elevato consenso cittadino, e
alla coesione con Firenze e Napoli nell'interesse dell'intero territorio. A livello locale riavviò
la l'attività agricola e delle manifatture, nonchè il finanziamento di grandi opere pubbliche.
Il suo successore fu il figlio Galeazzo Maria, che però non attenuando una politica prudente
come quella del padre nel 1476 fu assassinato. La vedova Bona di Savoia, prese in
affidamento il figlio successore Gian Galeazzo, però dopo gli fu impedito dal cognato,
fratello del duca defunto, Ludovico il Moro, che prese in mano il potere in nome del
nipote.
- La signoria dei Gonzaga a Mantova e quella degli Estensi che gestivano Ferrara, Modena
e Reggio erano specializzate nell'arte dei condottieri e il loro destino a lungo fu quello di
sapersi destreggiare tra le grandi potenze espansionistiche di Milano e Venezia. Uno dei
personaggi più importanti fu Borso d'Este, uno degli artefici della Lega italica.
- Ad est della penisola c'era il Principato ecclesistico di Trento, ad ovest i tre marchesati
di Salluzzo, Monferrato e Ceva, e la contea di Asti.
- Il Ducato di Savoia, divenne tale grazie ad Amedeo VIII, il quale inglobò anche Nizza
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451 d.C. La battaglia dei Campi Catalaunici è l'ultima grande vittoria di un Esercito
Romano contro i barbari e per certi versi l'esempio più alto della nuova realtà militare,
costituita dai cosiddetti eserciti romano-barbarici, che si è andata sviluppando negli ultimi
secoli. Artefice della vittoria non è più solo la compattezza delle legioni ma anche la furia e
il vigore fisico con cui combattono i suoi alleati. Roma non è più in grado di affrontare da
sola le orde barbare ma deve chiedere alleanza a re di altri regni limitrofi per difendere i
suoi confini. E' sia un chiaro sintomo di debolezza sia l'avvisaglia di quanto accadrà nel
futuro più prossimo dove i re stringeranno e rinnegheranno alleanze coi vicini per
combattere una serie infinita di guerre.
Ma torniamo ai Campi Catalaunici.
Nella lunga serie di successi militari questo è forse uno dei più importanti. Certo non apre la
strada a nuove conquiste, ma consentirà al mondo classico e al mondo barbarico, civilizzato
da secoli di contatti con l'Impero, di difendersi dall'attacco selvaggio dei barbari Unni.
Attacco che se portato a termine avrebbe forse segnato terribilmente il futuro di tutta
l'Europa e del bacino del Mediterraneo.
Dopo il trasferimento di fatto del centro dell'Impero a Bisanzio la minaccia barbara era
diventata costante. Si erano susseguite una serie infinita di battaglie e scontri di confine
culminate nella terribile sconfitta di Adrianopoli (378 d.c.) nella quale un intero esercito
imperiale guidato dall'Imperatore d'Oriente Valente era stato massacrato dai Visigoti di
Fritigerno. Le proporzioni dell'immensa sconfitta non avrebbero consentito più, alla
macchina bellica romana, di riprendersi completamente. Il mito dell'invincibilità delle
legioni già minato dalla sconfitta delle legioni del legato imperiale Varo nel 9 d.c. nella
Selva di Teutoburgo era definitivamente segnato. Proprio la frequenza con cui i barbari si
affacciavano ai confini di Roma avevano indotto Teodosio a dividere l'Impero fra i suoi due
figli Arcadio e Onorio, il primo in Oriente e il secondo in Occidente, nel tentativo di rendere
la difesa del "limes" più facile. Purtroppo, così come già era successo per Marco Aurelio
con Commodo, i figli non furono all'altezza del padre. Ma la fine purtroppo era già prossima
e una serie di imperatori tanto corrotti quanto inetti non avrebbero potuto certo rinviare oltre
l'inevitabile.
Le cause delle grandezza di Roma erano state la saldezza dell'organizzazione politica e
militare. Roma era sinonimo di certezza del diritto e, sovente, pace e prosperità. Ma a questa
grandezza esterna si contrappose a lungo andare la debolezza di una classe di comando
sempre più lasciata in mano ai propri desideri di potere e alle proprie debolezze di uomini
che al proprio dovere di governare per il bene di Roma. La repubblica era stata in grado di
produrre per lungo tempo una classe dirigente che, pur con episodi di corruzione e
malgoverno, era riuscita a porre alle basi del proprio agire il bene supremo della città eterna.
Ora non era più così.
L'esercito rimase per secoli l'ultimo baluardo delle antiche virtù repubblicane. Era un
esercito molto diverso da quello riorganizzato da Mario nel I secolo a.C. Quello aveva
dovuto rinunciare a reclutare i soli cittadini Romani dando l'avvio ai primi soldati di
professione, l'esercito imperiale invece, era costituito in massima parte da schiavi, stranieri
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Se questa era la situazione da parte romana andiamo ora a vedere come si presentava lo
schieramento Unno.
Le poche notizie che sappiamo degli Unni ci vengono dalla Cina. Erano un popolo nomade
del deserto della Mongolia che viveva in moltissimi minuscoli gruppi. L'aridità delle terre
che erano abitate dagli Unni era tale che veniva loro consentita solo la pastorizia e, ancor
più, la pratica del brigantaggio. Ma se era tanto rozza la loro vita di tutti i giorni altrettanto,
se non di più, era la loro cultura, limitata all'etica della guerra, ovunque e contro chiunque,
per la pura sopravvivenza del proprio gruppo. Il solo reale segno lasciato dalla civiltà, si fa
per dire, unna è il terrore che veniva suscitato nei popoli che si apprestavano a rimanerne
vittima. Nessuno scritto, nessuna opera architettonica, nulla, solo morte e distruzione dietro
di loro. Negli anni antecedenti il 370 d.C. li troviamo ancora a terrorizzare la Cina, ma poi
definitivamente respinti e probabilmente ricacciati ancora più a ovest dagli Avari si
affacciarono in Europa. E' il 375 d.C. e gli Unni assoggettarono rapidamente le popolazioni
che abitavano lungo il corso del Danubio ( alani, ostrogoti ..). Neanche le legioni romane
erano riuscite a fermarle e sotto il comando del loro nuovo capo Attila si affacciarono via
via anche verso le opulente Province della Gallia e verso l'Italia.
Ma chi era Attila? Certo non era un semplice barbaro ignorante come tanti capi del suo
popolo. Le sole fonti peraltro ci vengono da cronisti e poeti latini, bizantini e germanici che
ci dipingono un uomo non comune per coraggio e ferocia. Attila è addirittura un eroe in
alcune saghe nordiche (Le sue gesta, quelle del suo cavallo e della sua spada magica sono
protagoniste dell'ultima parte della saga Niebelungen Lied ambientata nella capitale del suo
regno Etselenburg (l'odierna Buda). E' interessante notare come il cavallo (Bucefale-
Alarico) e la spada (Excalibur-Artù, Durlindana-Orlando), siano tratti comuni di molte
saghe medievali tese ad esaltare oltre che le virtù dell'eroe anche quelle dei suoi principali
compagni d'avventura, il cavallo e la spada.
Proprio la spada era stata per Attila, diremmo oggi, un ottimo veicolo pubblicitario per
rivendicare il suo primato sul popolo unno. Ci riferisce un cronista romano, allora
ambasciatore presso la sua corte, che in una delle sue prime campagne il re si era mostrato a
tutte le sue truppe brandendo un'antica spada di ferro che pretendeva essergli stata donata
dal Dio della guerra come prova del fatto che lui, Attila, era una sua reincarnazione.
Un'abile mossa, non c'è che dire, soprattutto se si tien conto che il popolo unno adorava fin
dai tempi più antichi una spada nuda come loro dio.
Nel 445 Attila dominava su un territorio che approssimativamente corrisponde alla zona che
va dal nord del Danubio e del Mar Nero sino ad Est del Caucaso e parte dell'antica Tracia e
dell'odierna Ungheria. In quell'anno fonda Etselenburg, sulle rive del Danubio, dopo essersi
liberato del fratello Bleda che sino ad allora aveva gestito insieme a lui il potere.
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Nelle prime ore della mattina Ezio fece occupare le colline che dominavano il campo di
battaglia da una forte schiera di sagittarii (arcieri) e da altre truppe scelte conquistando così
un decisivo vantaggio strategico, la possibilità di dominare il campo di battaglia. Resosi
conto dell'importanza delle posizione acquisita dai Romani Attila condusse una serie di
furiose cariche di cavalleria con l'intendimento di riconquistare la posizione. Tutto fu inutile
e le cariche vennero respinte con un consistente perdita di uomini da parte unna. L'azione
degli arcieri di Ezio sarà uno dei fattori di questa battaglia anche in altre fasi dello scontro.
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Attila, di solito molto deciso questa volta attese, forse quasi presagisse, da inguaribile
superstizioso, la sconfitta.
Neanche il sole sorto dalle nebbie ad illuminare il campo di battaglia fece decidere uno dei
due contendenti a muoversi. Ezio preferì conservare il vantaggio della sua posizione e
decise di non sfruttare il sole che splendeva negli occhi del nemico.
Questa tattica attendista fu ben ripagata dal nervosismo che cominciava a diffondersi sempre
più fra le truppe a cavallo unne.
L'Esercito Romano non era forse all'altezza dei legionari di Cesare ma certo, sia le truppe di
Ezio che quelle dei due re gallo-Romani Teodorico e Sangibano, sapevano come rimanere a
piè fermo incuranti del caldo e del nervosismo. Fu la chiave di volta della battaglia. Come
un abile giocatore che non ha fretta di prendere la decisione giusta ma attende il momento
opportuno per sfruttare l'errore nemico, così Ezio e le legioni attesero che Attila facesse la
prima mossa.
Alle tre del pomeriggio, finalmente col sole alle spalle, Attila decise di lanciare i suoi
all'attacco.
Il tratto di terreno che separava i due schieramenti venne percorso d'un fiato dai barbari
mentre i Romani rinserravano i ranghi coprendosi con i larghi scudi rettangolari. Dietro
questi scudi gli arcieri presero a bersagliare le schiere nemiche mietendo vittime mentre le
prime linee lanciato i giavellotti contro l'avanguardia unna si disponevano a reggerne l'urto.
I morti da parte unna si contavano già a centinaia.
Il cozzare delle armature dei soldati dei due eserciti fu terribile e per lungo tempo la polvere,
le urla e il sangue impedirono di avere chiara la situazione. Gli unni però, perso il vantaggio
della forza d'urto della cavalleria, si videro imprigionati in un corpo a corpo che premiava la
pesantezza dell'equipaggiamento difensivo e offensivo romano. Questi ultimi infatti
potevano disporre di corazze che coprivano tutte le parti vitali del corpo ed erano addestrati
a combattere fianco a fianco come un uomo solo mentre gli unni con armature più leggere e
armi meno potenti faticavano ad infliggere perdite consistenti allo schieramento di Ezio.
Visto che il centro-destra dello schieramento ben conteneva le orde unne, i Visigoti sulla
sinistra si lanciarono sull'ala destra unna. Teodorico, che combatteva in testa a tutti, venne
ucciso ma i Visigoti anziché sbandare dopo aver perso il loro capo raddoppiarono gli sforzi
mettendo in fuga gli Ostrogoti ed attaccando sul fianco gli stessi Unni di Attila.
Rotta la foga dell'attacco unno avevano preso ad avanzare compatte ed ordinate anche le
forze di Ezio ed il re unno rischiava di trovarsi accerchiato in balia del nemico. L'ala destra
era stata sbaragliata e Attila, resosi conto che la battaglia era perduta, decise di radunare l'ala
sinistra del suo schieramento e gli Unni rimastigli nell'accampamento per cercare di
riorganizzare una difesa durante la notte.
Aspettandosi un attacco per la mattina successiva fece disporre alla meglio tutti i carri
attorno all'accampamento e vi fece appostare i suoi migliori arcieri.
Aveva deciso che nessuno avrebbe potuto vantarsi di averlo preso vivo e dopo aver fatto
accatastare tutte le ricchezze che aveva razziato durante la campagna vi fece disporre le
mogli attorno e lui si mise in cima, pronto a darsi fuoco e morire in mezzo ai suoi uomini
piuttosto che cadere in mani romane.
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Molto
più
probabil
mente
fu la
notizia
di due
eserciti,
uno
raccolto
da Ezio
e l'altro
dall'Imp
eratore
d'Oriente Marciano che marciavano verso il nord con l'intenzione di intrappolarlo che lo
fecero precipitosamente abbandonare la penisola.
Ritornato ad Etselenburg morì poco dopo in circostanze misteriose. Fu infatti trovato morto
affogato nel proprio sangue di fianco alla giovane moglie, appena sposata, dopo un
banchetto nel quale aveva bevuto e mangiato in eccesso.
Avvelenamento? Regicidio?
Più semplicemente si trattò forse dell'ennesima, più grave emorragia di quelle che già in
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In chiusura vale forse la pena di riportare integralmente due deliziosi brani tratti da "L'Italia
dei secoli Bui" di Indro Montanelli e Robeto Gervaso:
"…Giordane ci ha lasciato testimonianza di come i Gioti videro gli Unni quando questi
apparvero nei loro territori: "Quando il re Filimer" egli scrive "ebbe condotto il nostro
popolo dalla Svezia in Scizia, trovò in mezzo alla popolazione del luogo certe streghe che
egli scacciò per via dei loro malefizi. Esse si persero nel deserto dove incontrarono gli
Spiriti del Male che errano in quei paraggi e che se le presero come concubine. Dalla loro
unione nacquero gli Unni, creature giallognole di odio, piccole, ferocissime, e incapaci
perfino di articolare i loro pensieri.".
Giordane, da buon goto, aveva ragione di fornire un ritratto così malevolo degli Unni: i
suoi antenati erano stati, dopo gli Alani, le loro prime vittime in Europa…".
Se questa era la visione del goto Giordane, altrettanto interessante è la descrizione
riportata da Ammiano Marcellino nel 395 c.d. di un ufficiale di una armata iperiale di
guarnigioni in Tracia:
"…Raccontò la terrificante apparizione, sulle rive del Danubio, di certi uomini piccoli e
tozzi, imberbi come eunuchi, con orribili volti i cui tratti umani sono appena riconoscibili.
Piuttosto che uomini si direbbero bestie a due zampe. Portano una casacca di tela con
guarnizione di gatto selvatico e pelli di capra intorno alle gambe. E sembrano incollati ai
loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro
affari, vi prendono le loro deliberazioni. Vi fanno perfino cucina, perché invece di cuocere
la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra la coscia e la groppa del
quadrupede. Non coltivano i campi e non conoscono la casa. Scendono da cavallo solo per
andare a trovare le loro donne e i bambini, che seguono sui carri la loro errabonda vita di
razziatori".
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