Sei sulla pagina 1di 9

2.

Gli studia humanitatis in Italia e la diffusione dell’Umanesimo in Inghilterra

Introduzione
Nel testo di Michele Stanco si parla di letteratura inglese di età umanistica in riferimento al
periodo che va dall’ascesa al trono di Enrico VII a quella di Elisabetta (1485-1558) e di età
rinascimentale dal regno di Elisabetta a quello di Giacomo I (1558-1625).
Il processo della Riforma è non avrebbe potuto avere luogo se non ci fossero state altri due
fenomeni, cioè: l’invenzione della stampa da parte di Gutenberg da una parte, e la grande
esperienza dell’Umanesimo e poi del Rinascimento, dall’altra che segna un vero e proprio
momento fondamentale nella storia culturale europea.

Luoghi comuni storiografici


Umanesimo e Rinascimento sono due concetti strettamente connessi. L'Umanesimo è quel
movimento di carattere più teorico ed intellettuale che poi precede la fioritura delle arti
propria dell'età rinascimentale.
Soltanto in anni recenti (seconda metà del Novecento) si è dimostrato come fallace un luogo
comune storiografico, che ebbe larga fortuna per circa un secolo, e che vedeva
nell’Umanesimo e nel Rinascimento un momento di cesura radicale rispetto all’età
oscurantista rappresentata dal Medioevo. L’idea di una cesura tra la cultura
umanistico-rinascimentale e il Medioevo si afferma nel contesto della storiografia europea in
realtà nell’Ottocento. A promuoverla è soprattutto un’opera che è di Jacob Burckhardt, uno
studioso tedesco che pubblica un volume dal titolo La civiltà del Rinascimento in Italia. La
storiografia più recente ha dimostrato come in realtà quest’idea di una cesura fosse
soprattutto partorita dagli stessi umanisti per marcare la propria differenza rispetto alla
tradizione. Fu, appunto, uno dei primi umanisti italiani, Flavio Biondo, a parlare di Media
Aetas (‘età media’), cioè del Medioevo come un’età oscurantista e a contrastare questo
periodo con la rinascita della cultura europea rappresentata proprio dall’esperienza
umanistica. La storiografia più recente ha messo in evidenza come anche nel corso di questa
lunga fase storica, che prende il nome di Medioevo, ci fossero state numerose rinascite, cioè
momenti di fioritura delle lettere e delle arti (uno di questi coincidente con la cosiddetta
rinascita carolingia con Carlo Magno tanto per dirne una). Ha messo in evidenza anche quelli
che sono gli elementi di continuità o importanza della stessa eredità medievale per la
cultura umanistico-rinascimentale. La stessa parola Umanesimo viene coniata anch’essa
nell’Ottocento. Il termine Humanismus viene usato per la prima volta in Germania nel 1800.
Nella sua versione inglese, Humanism, viene usato per la prima volta da uno dei grandi
intellettuali vittoriani, Matthew Arnold.

L’Umanesimo
L’Umanesimo è un grande movimento letterario, culturale, ideologico e artistico che si
sviluppa in Italia tra la seconda metà del XIV secolo e il principio del XVI secolo. Quello che
gli stessi umanisti consideravano come proprio maestro è Francesco Petrarca, il quale fu il
primo intellettuale europeo ad inaugurare un nuovo modo di guardare alla cultura classica.
L’Umanesimo si caratterizza proprio per questo, cioè per una riscoperta della cultura
classica concepita come modello in base al quale fondare una nuova civiltà. Il movimento
nasce in Italia. Il centro propulsore fondamentale è Firenze e poi si diffonde in tutt’Europa. Il
fenomeno dell’Umanesimo nasce in Italia in quel momento perché ci sono delle peculiari
condizioni politiche, cioè si erano affermati ormai da tempo i Comuni o le Città-stato che si
autogovernavano, erano gelose della propria indipendenza e della propria libertà. All’interno
di questa situazione si sviluppa una nuova cultura in cui questi intellettuali umanisti
concepiscono il proprio ruolo, non soltanto come quello di pensatori in astratto, ma di
pensatori il cui pensiero si traduce in un impegno civile diretto. Questo il motivo per il quale,
a proposito della prima fase di Umanesimo, si parla anche di Umanesimo civile o civico. Il
modello di tutti costoro è la Roma repubblicana (preimperiale). L'intellettuale non veniva
concepito dai protagonisti della prima stagione dell’Umanesimo come una figura avulsa dalla
società, ma come una figura la cui azione si doveva dispiegare all’interno della società, che
aveva una responsabilità civile. Questa è una definizione di più largo respiro. 
La parola Umanesimo deriva da un’espressione che è humanae litterae che definisce come
prima cosa un programma pedagogico. Nella sua accezione più ristretta, il termine
Umanesimo definisce prima di tutto un programma pedagogico, quello degli studia
humanitatis, che però è coerente con questa definizione di più largo respiro.
Un programma pedagogico secondo il quale alle tradizionali discipline che avevano
caratterizzato lo studio nelle scuole e nelle università del Medioevo, cioè del trivio
(grammatica, retorica e logica) e del quadrivio (matematica, astronomia, geometria e
musica) vengono opposte gli studia humanitatis (‘studi dell’umanità’), che si sostanziano
dello studio di discipline che privilegiano la sfera del linguaggio, ovvero grammatica e
retorica (si intende soprattutto lo studio della lingua latina), storia, poesia e filosofia
morale. 
Programma pedagogico che si fonda sullo studio dei classici e li vede integrarsi anche con
altri saperi all’interno di un più complessivo progetto di rinnovamento e di perfezionamento
individuale e sociale. Programma pedagogico che privilegia le arti del linguaggio perché il
linguaggio è la facoltà che definisce l’umano.
Peter Burke, un famoso e importante storico inglese, commenta a proposito della scelta di
questo programma pedagogico: 

“Il lettore può legittimamente chiedersi cosa ci fosse di particolarmente umano negli studi
letterari. Leonardo Bruni, uno dei primi umanisti e uno dei personaggi di spicco del
movimento che portò alla rinascita di questi studi, scrisse che erano definiti in questo modo
perché perfezionavano l'uomo. Ma perché questi cinque ambiti del sapere erano considerati
come strumento di perfezionamento dell'uomo? Perché non altri saperi? L'idea di base era
che l'uomo si differenziava dagli animali innanzitutto per la capacità di articolare un
linguaggio e, conseguentemente, per la capacità di distinguere il bene dal male. Senza il
linguaggio e la ragione non c'è possibilità di distinguere bene o male. Per questo, i campi
fondamentali dello studio erano quelli che avevano un rapporto con il linguaggio:
grammatica o retorica o con l’etica, filosofia morale. E tanto la storia quanto la poesia, le
altre due discipline che rientrano in questo programma, erano considerate come una forma
di etica applicata che insegnavano agli studenti come seguire i buoni esempi ed evitare quelli
cattivi.” 
Dunque, un programma pedagogico che rientra in un nuovo ideale di cultura. Una cultura
basata sulle arti del linguaggio e sul modello dei classici. Classici latini in primo luogo ma
anche sulla riscoperta della civiltà greca. Un altro elemento decisivo per l’affermazione della
cultura umanistica sono gli studi greci, cioè la scoperta della civiltà greca grazie soprattutto a
un fenomeno che è l’arrivo di intellettuali bizantini da Costantinopoli in Occidente,
soprattutto in Italia. Fenomeno che subisce un’accelerazione significativa dopo che
Costantinopoli, capitale dell’Impero romando d’Oriente, cade nelle mani dei turchi nel 1453.
Dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi moltissimi eruditi bizantini giungono in
Italia e contribuiscono, quindi, a far conoscere la cultura greca classica, che era caduta
nell’oblio in età medievale, in occidente.
Gli studia humanitatis, così concepiti, sono strumento di rinascita dell’antico e rappresentano
l’espressione di una nuova civiltà. Gli studia humanitatis vengono concepiti come riscoperta
dell’antico nella sua dimensione storica, spogliato delle incrostazioni che si erano
accumulate nel corso del Medioevo. 

La nascita della filologia


L’Umanesimo si definisce e si caratterizza per una grande operazione culturale, un modo
completamente nuovo di studiare i classici attraverso l’indagine filologica. Umanesimo e
filologia sono due facce dello stesso fenomeno. Non è che fino a quel momento, cioè fino
all’inizio del Quattrocento, i classici fossero stati ignorati. In realtà, gli umanisti possono
studiare i classici perché nel corso di tutto il Medioevo i monaci nei monasteri si erano
impegnati a trascriverli (spesso non dalla lingua originale ma dalla traduzione, soprattutto
dalle versioni in latino e in arabo per quanto riguarda i testi della cultura greca classica).
Quindi, in realtà la cultura classica non era caduta nell’oblio durante il Medioevo. La stessa
filosofia scolastica, che sarà la corrente di pensiero dominante a partire dall’anno 1000 in
poi, legge i classici alla luce della parola della Sacra Scrittura. La cultura classica viene letta e
interpretata come prefigurazione di quello che verrà poi rivelato con la venuta di Cristo e
con l’avvento del Cristianesimo. I classici non vengono letti e interpretati all’interno del
proprio contesto storico, ma vengono proiettati in una dimensione astorica e letti, alla luce
della successiva rivelazione cristiana, come prefigurazioni di verità che soltanto il
cristianesimo rivelerà.
Questo tipo di approccio alla cultura classica viene totalmente rifiutato dagli umanisti i quali
si propongono di leggere i classici collocandoli nella loro dimensione storica, cioè li
contestualizzano, li leggono per quello che sono, come espressione di una cultura autonoma.
E soprattutto gli umanisti si propongono di affrontare lo studio dei classici da un punto di
vista scientifico. Questo significa che uno dei problemi fondamentali era quello di definire
prima di tutto quale fosse la vera autentica versione di un testo che si era tramandato
attraverso infinite copie prodotte all’interno dei monasteri. Copie che necessariamente
potevano contenere errori dovuti appunto a cattive interpretazioni del copista, errori di
trascrizione e così via. La scienza che fa tutto questo è la filologia. Uno dei criteri
fondamentali era la comparazione tra diversi testimoni, cioè versioni di uno stesso testo al
fine di identificare le costanti e varianti e e poi di elaborare un metodo attraverso cui
pervenire poi possibilmente alla redazione di un testo che doveva essere il più vicino
possibile all’originale.
Tant’è vero che quando un umanista, Pomponazzi, riscopre Aristotele in greco, lo rilegge e fa
notare che non aveva sostenuto l’immortalità dell’anima, mette in crisi l’intero impianto
della filosofia di San Tommaso. Aristotele diventa la massima auctoritas della cultura
medievale. L’orientamento di pensiero dominante a partire dal XIII secolo, cioè la scolastica,
elabora un pensiero che mira a tenere insieme religione e filosofia, dove per filosofia si
intende fondamentalmente la logica aristotelica. Aristotele è la massima autorità di pensiero
tant’è vero che nella cultura medievale si diffonde l’uso per fondare un’argomentazione di
dire ipse dixit (‘l’ha detto lui’, cioè Aristotele) dunque è vero. Un Aristotele che però era
conosciuto attraverso il filtro delle altre lingue, non delle sue.
Tra i padri della scienza filologica Lorenzo Valla, il quale, proprio grazie al metodo filologico,
fa una scoperta destinata a mutare la storia perché scopre che la cosiddetta Donazione di
Costantino, un documento del IV secolo d. C. con cui l'imperatore Costantino concedeva al
Papa Silvestro il potere sull’Italia centrale, legittimandolo quindi. Valla si rende conto,
attraverso uno studio testuale, che il latino della Donazione di Costantino in realtà è un latino
molto più tardo, troppo barbaro per essere del IV secolo. Dimostra, quindi, come in realtà la
Donazione di Costantino è un falso storico di origine medievale. Valla, inoltre, è anche colui il
quale propone il latino di Cicerone come modello da seguire. Il latino, in età umanistica,
diventa la lingua della comunità intellettuale europea. Gli intellettuali europei comunicano
tra loro, non nelle lingue volgari, ma in latino e scrivono le loro opere sia in latino che in
volgare.

Il primo Umanesimo
Il primo a avvicinare i classici in questa prospettiva sarà Petrarca e il primo umanista, forse il
maestro degli umanisti, sarà proprio un allievo di Petrarca, Coluccio Salutati, cancelliere
della Repubblica fiorentina. A lui dobbiamo la riscoperta delle Lettere ai familiari di Cicerone
e di numerose altre opere classiche. Insieme a lui, questa prima stagione dell’Umanesimo
fiorentino vede le figure di Niccolò Niccoli, di Leonardo Bruni e di Poggio Bracciolini. Poggio
Bracciolini fu uno di coloro i quali contribuirono alla diffusione dell’Umanesimo e della
cultura umanistica in Inghilterra.
La vita di Coluccio Salutati ricopre sostanzialmente l’ultima parte del Trecento (muore nel
1406). Coluccio Salutati incarna un modello di intellettuale che è quello dominante nella
prima fase dell’Umanesimo fino agli anni Quaranta e Cinquanta del Quattrocento, cioè
quello di un intellettuale che è impegnato anche nella vita civile e politica della sua città.
Con lui inizia questo movimento tra i cui protagonisti abbiamo Leonardo Bruni, anche lui
esponente dell’Umanesimo civile, convinto assertore della necessità per l’intellettuale di
impegnarsi nella vita pubblica e soprattutto critico nei confronti della cultura medievale.
Quella cultura nella quale a contare era soprattutto il peso della tradizione. La tradizione
rappresentava un’autorità.
Poggio Bracciolini probabilmente è stato uno dei più grandi scopritori di manoscritti
contenenti testi della cultura latina soprattutto. Durante i suoi viaggi in Europa, nelle abbazie
di Cluny e di San Gallo, riscopre una serie di opere che sono Le Istituzioni di Quintiliano, le
Silvae di Stazio, le Punica di Silio Italico e soprattutto il De Rerum Natura di Lucrezio.
In realtà non è che i classici fossero sconosciuti in età medievale. Anzi, tutt’altro. I classici ci
sono pervenuti soprattutto grazie all’azione dei monaci che negli scriptoria dei monasteri
ricopiavano i testi degli antichi. Quello che è successo nel medioevo è che si sono
tramandate le opere della latinità. Per quanto riguarda invece la civiltà greca, i testi dei greci
sono stati sì tramandati, ma non nella versione originale in greco, bensì nelle versioni latine,
che erano traduzioni delle versioni in arabo dei testi greci, in particolare di Aristotele.
Averroè e Avicenna, due grandi pensatori arabi, traducono Aristotele in arabo. Nel
Medioevo, Aristotele viene conosciuto non nell’originale greco, ma nella versione appunto
latina elaborata a partire spesso dalla versione araba.
La cultura umanistico-rinascimentale non è solo privilegio di quelle che noi chiamiamo
discipline umanistiche. In realtà, la cultura umanistico-rinascimentale non è solo questo.
Anche se è vero che tutti i personaggi che fin qui abbiamo citato si occupano
fondamentalmente di lettere, c’è una figura del primo Umanesimo, quella di Leon Battista
Alberti, che incarna al meglio la possibilità invece di tenere insieme cultura umanistica e
cultura scientifica. Leon Battista Alberti incarna proprio l’ideale umanistico della totalità. La
sua produzione intellettuale avviene su un triplice versante:

1. quello della creazione letteraria;

2. quello della riflessione teorica;

3. e quello dell’applicazione pratica (fu anche architetto).

Quindi, un profilo intellettuale multiforme, scientifico e umanistico, teorico e pratico. è la


figura che più di tutte, forse l’unica assieme naturalmente a Leonardo, incarna questa
possibilità di integrare i due saperi, umanistico e scientifico.
Riscoperta dei classici, che pure erano noti, perché la cultura medievale aveva sì guardato ai
classici ma lo aveva fatto da una prospettiva astorica. Il senso della storia è pressoché
assente nella cultura medievale. I classici erano stati letti in funzione soprattutto della
possibilità di individuare nessi, contenuti che fossero in accordo con quelle che erano state le
rivelazioni del cristianesimo. Lo studio dell’antichità non era stato in quanto tale. Non
desiderio di conoscenza di una civiltà altra e diversa, ma in che modo quella civiltà ha
anticipato ciò che poi soltanto la rivelazione cristiana ci ha detto. Nei testi dei grandi autori
della classicità è possibile scorgere verità che sarebbero state poi rivelate soltanto dal
cristianesimo. Quest’approccio viene rifiutato dagli umanisti in nome della necessità invece
di riscoprire quei testi prima di tutto cercando di capire innanzitutto quale fosse la versione
più vicina all’intenzione dell’autore. Erano testi che venivano copiate. Copiando si può
incorrere in una serie di errori. Gli umanisti si pongono il problema di come ripristinare un
testo quanto più vicino possibile a quello che doveva essere il testo originale. A questa
domanda risponde la nascita di una nuova disciplina che è la filologia o la critica testuale.
Contemporanea a quella del Valla è l’attività di un altro grande umanista che è Flavio Biondo
il quale è uno di coloro ai quali si deve la definizione di Medioevo. È lui che parla Media
Aetas. Ed è il fondatore degli studi storici secondo un metodo moderno.

“Secondo gli umanisti anche i testi latini classici erano stati per lungo tempo male
interpretati quando non erano andati completamente perduti. La riscoperta dei classici
costituì un evento emozionante nella vita di studiosi come Petrarca, Coluccio Salutati, al
quale serve appunto la scoperta delle Epistole di Cicerone e Poggio Bracciolini. Si scoprì che
differenti manoscritti dello stesso testo contenevano letture, cioè interpretazioni, dei
medesimi termini fondamentali diverse, e su questa base furono messe a punto tecniche di
critica testuale volte al recupero di quello che l'autore aveva originariamente scritto, prima
che la catena dei copisti alterasse il senso. Dei testi classici, che erano stati conosciuti
durante il medioevo, vennero date nuove interpretazioni. Questo approccio filologico viene
applicato anche alle Sacre Scritture: si studia nell'originale greco il Nuovo Testamento e la
Bibbia non più nella vulgata di San Girolamo, cioè nella versione latina, ma nell’originale
ebraico.”

Il pensiero di due pensatori, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, verrà conosciuto e
diffuso in tutt’Europa e anche in Inghilterra e eserciterà una profonda influenza anche su
molti intellettuali del Rinascimento inglese.
Marsilio Ficino è probabilmente il pensatore più rilevante della cultura umanistica. Il suo
nome si associa alla cosiddetta filosofia neoplatonica. Grazie anche alla protezione di
Lorenzo de Medici, Marsilio Ficino, che ad un certo punto della sua vita, nel 1473 si fa
prete, fonda un’accademia a Firenze, che è l’Accademia neoplatonica, che eserciterà una
vastissima influenza sulla cultura europea rinascimentale.
L’obiettivo del progetto culturale di Marsilio Ficino è quello di conciliare religione cattolica e
filosofia, in particolare filosofia platonica. A Ficino dobbiamo una particolare concezione
della filosofia, come pia filosofia, alla quale dà voce in un testo che si chiama De christiana
religione (‘Sulla religione cristiana’) nel quale sostiene l’esistenza di una pia filosofia, cioè
dimostra come i misteri della rivelazione in realtà trovino il loro fondamento in una sorta di
religione naturale universale che accomuna tutti gli uomini a prescindere dal tempo e dal
luogo ma che però in virtù del tempo e del luogo si manifesta secondo riti, credenze,
formule diversi. Esiste, cioè, comune a tutte le religioni, un sentimento naturale, comune a
tutti gli uomini che prescinde dalla storia ma che si cala nella storia e si manifesta in rituali,
credenze e formule diverse alla quale Ficino dà appunto il nome di pia filosofia.
L’opera più importante di Ficino è la cosiddetta Teologia platonica e già questo titolo
esemplifica il progetto culturale di Ficino (tenere insieme cristianesimo, teologia e
platonismo). Un Platone riletto anche attraverso figure come quelle di Plotino, cioè quei
pensatori antichi che già nell’antichità erano ritornati a Platone. Teologia platonica è
un’opera ha segnato non soltanto il rinascimento italiano, ma la cultura europea in toto nella
quale Ficino riprende la concezione della cosiddetta catena dell’essere, secondo la quale la
creazione del creato ha una struttura gerarchica: il vertice è Dio; poi ci sono le intelligenze
angeliche; l’anima razionale; l’uomo, l’essere nel quale spirito e materia si fondono; la vita
vegetativa; il regno animale e infine quello minerale.
L’uomo è l’unico essere a partecipare di una doppia condizione: è corpo ed è anima.
L’essere umano viene collocato in una posizione di assoluta centralità all’interno di questa
catena dell’essere, è l’elemento di congiunzione tra queste sfere, è copula mundi. È in
questo che risiede la straordinaria dignità dell’uomo. Il concetto della dignità dell’uomo è
tutto rinascimentale.
Ficino spiega in cosa consiste la grandezza dell’essere umano proprio in virtù di questa sua
capacità di tenere insieme l’alto e il basso, lo spirituale e il materiale:
“Non si sforza l'anima di diventare tutte le cose? Come l'uomo è tutte le cose? Essa vive la
vita delle piante nella funzione vegetativa, la vita dei brutti nell'attività sensibile, la vita
dell'uomo quando con la ragione tratta di affari umani, la vita degli eroi investigando le cose
naturali, la vita dei demoni nelle speculazioni matematiche, la vita di Dio facendo per grazia
divina tutte queste cose. Il genere umano nel suo complesso tende a diventare il tutto
perché vive la vita del tutto. Perciò ebbe ragione Trismegisto [1] di chiamare l'uomo un
grande miracolo. Egli si serve degli elementi, misura la Terra, scruta la profondità del tartaro,
il cielo non gli sembra troppo alto né il centro troppo profondo, gli intervalli dei tempi e dei
luoghi non impediscono di correre dappertutto, in qualunque tempo nessuna parete gli
impedisce di sentire, nessun confine gli basta. Dunque, si sforza di comandare, di essere
lodato, di essere eterno come Dio.’’
- Teologia Platonica

[1] Mitica figura di filosofo dell'antichità che Ficino avrebbe riscoperto e che è esponente di
una concezione sincretica della religione e della filosofia.

L’altra opera fondamentale di Ficino è il Commento al Convivio di Platone noto anche come
Simposio. Il Simposio è quel dialogo platonico dedicato all’amore. Ficino scrive un
commento al Simposio in cui offre una concezione dell’amore ispirata al pensiero di Platone
come atto cognitivo per eccellenza che avrà una larghissima fortuna nella cultura
rinascimentale. Il canzoniere shakespeariano deve molto a questa concezione dell’amore
platonico, così come viene proposto da Ficino nel suo commento al Simposio.

“L’anima purgata degli strumenti dei sensi per mezzo della disciplina, si desta alquanto e in
questo lume naturale, una volta spogliata del peso dei sensi, comincia a risplendere e
l'ordine naturale delle cose ricerca, cioè è spinta a conoscere, a interrogarsi su quale sia
l'ordine naturale delle cose, nella quale investigazione si avvede essere un sapiente
architettore del mondano edifizio. Interrogandosi su quale sia l'ordine naturale delle cose,
l'anima comprende che questo ordine è il frutto di una mente, la mente del sapiente
architetture del mondano edifizio, che è Dio. A questo punto, compreso questo, l'anima
esso fruire desidera, cioè desidera il contatto con Dio. Questo architettore, solo con
soprannaturale lume può essere inteso, il lume della ragione, e però la mente
dall’inquisizione della propria luce a recuperare la luce divina è mossa e allettata, cioè la
ragione, che si interroga su quale sia l'ordine del mondo, nel momento in cui comprende
che quest’ordine è il frutto di una mente ordinatrice che è quella di Dio entrare in contatto,
conoscere Dio. Questo allettamento è il vero amore. Il vero amore è la possibilità di cogliere
anche nella sfera del fenomenico i segni della volontà ordinatrice di Dio. Il Fair Youth che
Shakespeare ama, non lo ama solo in virtù della sua bellezza singolare, ma perché
attraverso quella bellezza si manifesta l’idea stessa della bellezza. La bellezza come essenza.
La possibilità attraverso l’uso della ragione di arrivare alle essenze. I fenomeni non sono
altro che manifestazioni di essenze immutabili verso le quali la mente indagatrice dell’uomo
è rivolta.
- Commento al Simposio

Questa concezione si diffonderà in tutta Europa. Tutta la filosofia di Ficino pone l’accento su
questa questione della dignità dell’uomo. Dignità che risiede proprio in questa possibilità,
che è solo dell’uomo, di tenere insieme i diversi livelli della gerarchia dell’uomo.
Il concetto della dignità dell’uomo è sviluppato ulteriormente da un altro pensatore che
avrà larga popolarità in Inghilterra che è Giovanni Pico della Mirandola. Pico della
Mirandola visse pochissimo (29 anni). Uomo di straordinaria cultura, visitò le università di
tutt’Europa e autore dell’orazione che è De hominis dignitate (‘La dignità dell’uomo’) in cui
riprende e rafforza l’idea ficiniana dell’uomo come compendio del creato, addirittura
immaginato da Dio, perché vi fosse qualcuno in grado di intendere la ragione di un’opera
così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne l’immensità. Dio ha bisogno di qualcuno
che comprenda il senso della sua creazione. Questo qualcuno è l’uomo. In Ficino la dignità
dell’uomo è sancita dalla sua essenza dinamica di mediatore e riformatore universale. Tale
dinamismo trova una sottolineatura ulteriore nella concezione di Pico per il quale la dignità
dell’uomo risiede fondamentalmente nel libero arbitrio, nella sua capacità di
autodeterminarsi. Il dibattito sul libero arbitrio si svilupperà poi, qualche decennio dopo,
quando con la Riforma Martin Lutero scriverà il De servo arbitrio, cioè sosterrà invece
l’assenza del libero arbitrio da parte dell’uomo. L’uomo non è autodeterminato.
La cultura umanistica e rinascimentale si fondano su questa forte idea dell’umano. L’uomo è
la creatura che tutto può. Un’idea che di lì a poco verrà messa in crisi da una serie di fattori,
tra cui una delle questioni centrali sarà il venir meno della concezione tolemaica
dell’universo, secondo la quale la terra è al centro del creato, e l’avvento del pensiero di
Copernico e poi più tardi ancora di Galileo, contribuisce fortemente a mettere in crisi
quest’idea della centralità dell’uomo che è così fortemente sostenuta da questi intellettuali
Dire che la terra è solo uno dei tanti pianeti che girano attorno al Sole o peggio ancora dire,
come dirà Giordano Bruno che per questo verrà arso vivo, che esistono forse infiniti mondi e
noi siamo un nulla in un infinito ha generato un cambio radicale di prospettiva e di
paradigma. Questo passaggio dall’ottimismo della cultura primo-rinascimentale alla crisi del
tardo Cinquecento e poi del primo Seicento, dovuta appunto alle nuove scoperte
scientifiche e una mutata concezione dell’universo, affiora nelle opere di Shakespeare, in
particolare nelle grandi tragedie.

L’Umanesimo in Inghilterra
L’Umanesimo si diffonde anche in Inghilterra attraverso i viaggi che gli umanisti italiani
fanno verso gli altri Paesi europei e i viaggi verso l’Italia da parte degli intellettuali di altri
Paesi. Molti giovani europei si recavano, per esempio in Italia, a studiare, non tanto le
discipline umanistiche, quanto piuttosto giurisprudenza e medicina nelle università di
Padova e Bologna. Ma l’Umanesimo si diffuse in Inghilterra anche grazie all’invenzione della
stampa nella metà del Quattrocento ad opera di Gutenberg.
Tra questi uno degli esponenti dell’Umanesimo è Thomas Linacre che si laurea proprio a
Padova in medicina, ma qui, in Italia, ha anche occasione di approfondire lo studio del greco
sotto la guida di un importantissimo personaggio che è Poliziano, uno dei grandi esponenti
della letteratura umanistica fiorentina.
Un’analoga esperienza la ebbe William Grocyn il quale, tornato in Inghilterra insegnò greco
ad Oxford.
Forse quello che è sicuramente uno dei più importanti umanisti del tempo è John Colet che
fu amico di Erasmo, che tradusse la vita di Pico della Mirandola scritta dal nipote, che fu
fondatore della St. Paul’s School (‘Scuola della cattedrale di San Paolo’) a Londra, in cui
veniva attuato il programma umanistico. John Colet è colui il quale, per esempio, fa
conoscere i pensatori italiani a Thomas More. Thomas More, che è forse la maggiore figura
della cultura umanistica inglese, non era mai stato in Italia e conosce Pico attraverso Colet,
il quale tra l’altro ebbe un lungo carteggio con Marsilio Ficino.
L’altra grande figura è quella di William Lyly fu autore di un’importante grammatica latina,
che diventerà proprio il testo di studio della lingua latina in Inghilterra redatta insieme a
John Colet.
Tra le grandi figure dell’Umanesimo europeo c’è Erasmo da Rotterdam (Erasmus Desiderius
è lo pseudonimo latino), che ebbe una relazione significativa di amicizia e di sodalizio
intellettuale con Tommaso Moro. Intellettuale olandese, Erasmo da Rotterdam incarna
questo modello tutto umanistico e rinascimentale dell’intellettuale cosmopolita che si
muove attraverso l’Europa, che vive di contatti e concepisce la cultura come esperienza
aperta, cosmopolita. Erasmo, come ogni umanista, aveva grande interesse per i classici ma a
partire dai trent'anni si dedica allo studio delle Sacre Scritture e lo fa però secondo il
metodo umanistico, cioè attraverso gli strumenti della critica testuale. Anche nel suo caso, il
progetto culturale era di sintetizzare cristianesimo e classicità.
Erasmo fu grande amico di Tommaso Moro, e la sua opera più importante, Encomium moriae
(‘Elogio alla follia’), è anche nel titolo un tributo alla figura di Tommaso Moro (moriae, la
parola greca per follia, evoca il nome di Tommaso Moro). È un’opera di straordinaria
erudizione scritta in latino, com’era d’uso al tempo, in cui si manifesta quello che viene
definito lo spirito erasmiano: passa in rassegna vizi e virtù dell’umanità utilizzando la figura
della follia, facendola parlare che guarda gli usi e i costumi degli uomini prendendosene
gioco. È un’opera con una forte dimensione ironica. È un compendio di umorismo, ironia ed
erudizione in cui la follia sorride dei vizi e dei limiti dell’uomo, ma allo stesso tempo, pur
stigmatizzandoli, ha uno sguardo benevolo, tollerante. Grande ideale etico che Erasmo
sostiene è appunto quello della tolleranza.

Potrebbero piacerti anche