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STORIA MODERNA

I temi e le fonti, Guido Dall’Olio

CAP I – Storia moderna, «lungo Medioevo», storia del mondo. Interpretazioni di un’epoca
La disciplina accademica riconosce come “storia moderna” il periodo compreso tra:
1492 → scoperta dell’America e 1815 → fine dell’età napoleonica.
Gli sviluppi più recenti della storiografia hanno messo in discussione la periodizzazione tradizionale.
La storia definita è da March Bloch come “scienza degli uomini nel tempo”. Lo studio di come ci
nostri predecessori hanno ricostruito il loro passato è parte integrante della disciplina.
I brani proposti riflettono il modo in cui alcuni pensatori dal Settecento ad oggi hanno considerato la
“storia moderna”. Ognuno di essi ha fatto affermazioni ancora sottoscrivibili. E’ necessario però
sottolinearne anche i limiti.
1. La modernità di Voltaire, 1700. La perdurante attualità è percepita anche nelle idee del
filosofo francese.
Uno dei filosofi più rappresentativi dell’Illuminismo, osannato ma anche perseguitato per le
sue posizioni anticonformiste, dissacranti e libertarie.
Interesse NON convenzionale alla STORIA che si rivelò in molte sue opere : “Remarques sur
l’historie”, 1742, da cui è tratto il documento.
• Il periodo storico da studiare doveva essere “interessante” per gli uomini del presente.
• Voltaire rifiutava la tradizione antiquaria dominante fino al primo Settecento che rischiava di
rendere la storia “scienza del passato”.
• Lo studioso identificava l’inizio e le caratteristiche della storia “interessante”. Il quadro da
lui tracciato corrisponde a quella che i manuali definiscono come “prima età moderna”, fine
XV sec. (da Rinascimento a scoperte geografiche a Riforma protestante; periodo che
comprende invenzione della stampa; i Turchi penetrano in Europa; una nuova religione stacca
metà dell’Europa dall’obbedienza papale; nuovo sistema politico; periplo Africa; commerci
con Cina ).
• Polemica contro la “storia sacra”, facilmente incline ad ammettere l’intervento diretto di Dio
nella storia.
2. Karl Marx e Friedrich Engels : Il sorgere della borghesia
Karl Marx, Manifesto del Partito comunista, 1848 ( scritto con Engels ).
Marx, per molti considerato esclusivamente il fondatore del comunismo, è filosofo,
economista ma anche storico. Anche Friedrich Engels si dedicò a studi filosofici. Si accostò
alla posizione rivoluzionaria di Marx con il quale collaborò alla stesura del “Manifesto”. Dopo
la morte di Marx curò la pubblicazione dei libri II e III del “Capitale”.
Per Marx l’età moderna fu l’epoca in cui sorse e si sviluppò la borghesia.
Agli occhi di molti studiosi, parve che Marx fosse riuscito a individuare, sotto i valori umani e
politici egualitari emersi dalla Rivoluzione francese, una maschera che nascondeva il dominio
della borghesia sul proletariato.

Nelle epoche passate della storia troviamo un’articolazione della società in differenti ordini.
La società civile moderna non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha sostituito alle
antiche, nuove classi, nuove condizioni, nuove oppressioni e forme di lotta.
Dal popolo minuto delle prime civiltà, sorto dai servi della gleba del medioevo, si sviluppò la
prima borghesia.
La scoperta dell’America, il periplo dell’Africa offrirono terreno fertile alla classe emergente.
L’aumento dei mezzi di scambio e delle merci, diedero al commercio, alla navigazione e
all’industria uno slancio mai conosciuto, un rapido sviluppo all’elemento rivoluzionario entro
la società feudale in disgregazione.
L’industria feudale o corporativa non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi
mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il ceto medio industriale soppiantò i maestri
artigiani.
I mercati crescevano insieme al fabbisogno; neppure la manifattura era più sufficiente. Allora
il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All’industria manifatturiera
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subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari
dell’industria, i borghesi moderni.
La borghesia moderna è il prodotto di un lungo processo di sviluppo.
Ogni stadio di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso
politico.
Dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistato il dominio
politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno il cui potere è costituito da un comitato
che amministra gli affari della classe borghese.
La borghesia dove ha raggiunto il dominio ha distrutto le realtà feudali, patriarcali e idilliache;
il vincolo tra uomo e uomo è limitato al nudo interesse e al “pagamento in contanti”. Ha
inserito lo sfruttamento aperto, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato
d’illusioni religiose e politiche. La borghesia ha strappato il velo sentimentale al rapporto
familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro. Solo lei ha dimostrato che cosa può
compiere l’attività dell’uomo.
3. Benedetto Croce, filosofo, storico e critico italiano (XX secolo) , La storia come “religione
della libertà”.
Fu uno degli intellettuali più influenti nell’Italia del primo Novecento. Scrisse saggi
fondamentali.
Fu oppositore al regime fascista, nel 1925 pubblicò il “Manifesto degli intellettuali
antifascisti”.
Dopo la caduta del fascismo B.Croce fu presidente del partito liberale. Il brano è tratto da “La
storia come pensiero e come azione”, 1928. La visione del mondo di questo intellettuale era
saldamente ancorata ai principi del liberalismo ottocentesco. Le vicende degli uomini erano
viste come un cammino verso la libertà che poteva conoscere anche ardui ostacoli. Croce
sottolineava esclusivamente ciò che corrispondeva alla sua idea di progresso verso la libertà
umana.
La storia come pensiero e come azione iniziava con la classicità greca e romana e si
concludeva con l’età postnapoleonica; questo perché il filosofo non fu in grado di
comprendere totalmente la profonda rottura operata da regimi totalitari nazisti e fascisti.

La libertà è il principio esplicativo del corso storico e l’idea morale dell’umanità.


La filosofia, indagando e interpretando, vede succedere a periodi di maggiore altri di minore
libertà.
Vede le democrazie e le repubbliche (come quelle della Grecia, IV sec o di Roma, I sec, in cui
la libertà rimaneva nelle forme istituzionali ma non più nell’anima e nel costume) , perdere
anche quelle forme come colui che non ha saputo aiutarsi e che invano si è cercato di
raddrizzare con buoni consigli viene abbandonato all’aspra correzione che la vita farà di lui.
Vede l’Italia, esausta e disfatta, dai barbari deposta nella tomba con la sua pomposa veste da
imperatrice, risorgere. Vede i re assoluti che abbatteranno le libertà del baronaggio e del
clero, diventate privilegi, e che sovrapposero a tutti il loro governo, esercitato per mezzo di
una loro burocrazia e sostenuto da un loro esercito, preparare un’assai più larga e utile
partecipazione dei popoli alla libertà politica. Vede un Napoleone distruttore di una libertà
tale solo d’apparenza e di nome e alla quale egli tolse apparenza e nome, agguagliatore di
popoli sotto il suo dominio, lasciar dopo di sé questi stessi popoli avidi di libertà e resi più
esperti di quel che veramente fosse ed alacri a impiantarne, come poco dopo fecero in tutta
Europa, gli istituti.
Se la storia non è un idillio, non è neppure una tragedia degli orrori, ma è un dramma in cui
tutte le azioni, tutti i personaggi sono “mediocri”, colpevoli, incolpevoli, misti di bene e di
male, e tuttavia il pensiero direttivo è in essa sempre il bene, a cui il male finisce per servire
da stimolo, l’opera è della libertà che sempre si sforza di ristabilire, e sempre ristabilisce, le
condizioni sociali e politiche di una più intensa libertà.
4. Norbert Elias, La modernità come (auto) controllo delle pulsioni
Fu il primo a prendere in considerazione nello studio della prima età moderna molti degli
elementi che la storiografia tradizionale aveva rimosso dal proprio campo di indagine, temi
apparentemente marginali come per esempio le buone maniere a tavola, l’aggressività e la
sessualità.
La sua visione mostra come la storia moderna possa essere anche letta come graduale
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imposizione di un ferreo controllo sulle emozioni e sugli impulsi. Questo mutamento
consisteva in un’interiorizzazione dei divieti e delle censure che, da allora, divennero una
caratteristica fondamentale dell’uomo civilizzato. Elias pone > attenzione ai regimi dittatoriali
del ‘900 rispetto a B. Croce.
“Sul processo di civilizzazione”, di cui “La civiltà delle buone maniere”, fonte del brano che
segue.
La prima pubblicazione avvenne nel 1939. Rimase sconosciuta fino al 1969, anno della
seconda pubblicazione della sua grande opera.

A partire dal tardo Medioevo e dal primo Rinascimento vi è stato un forte spostamento
dell’autocontrollo individuale e dell’autocontrollo come automatismo spontaneo,
indipendente da controlli esterni ( = interiorizzazione ).
Questo mutamento delle costrizioni esterne in auto-costrizioni del singolo fa sì che moti
impulsi affettivi possano essere vissuti con minore spontaneità.
Gli autocontrolli individuali spontanei come il “pensare razionale “ e la “coscienza morale” si
inseriscono con fermezza tra gli impulsi dell’istinto e del sentimento e i muscoli del corpo,
impedendo ai primi di dirigere i secondi, di agire in modo diretto.
Gli autocontrolli della civiltà, funzionanti in modo automatico, nell’esperienza individuale
vengono sentiti come un muro tra il “soggetto” e “oggetto” e tra il proprio “sé” e la “società”,
gli altri.
Rinascimento → passaggio ad uno stadio ulteriore di autocoscienza, nel quale il controllo
sugli affetti divenuto auto- costrizione diviene più forte.
Controllo fermo, onnilaterale e uniforme frena tutti gli impulsi più spontanei, impedendo di
sfogarsi in modo diretto e visibile nelle azioni. Questa situazione è vissuta come una gabbia.
Medioevo tardo → gli impulsi, le emozioni si manifestavano in modo più libero, diretto e
scoperto di quanto sarebbe avvenuto in seguito. Siamo soltanto noi, divenuti più moderati, più
misurati e
calcolatori.
La struttura della società modella un determinato standard di dominio degli affetti: nel
Medioevo non esisteva un forte potere centrale che costringeva gli uomini a essere controllati.
Quando in un determinato territorio si consolida un potere centrale, gli uomini vengono
costretti a vivere in pace tra di loro, mutano cosi le pulsioni. Non appena si afferma un potere
centrale non è più possibile abbandonarsi alle pulsioni spontanee.
5. Le strutture e la lunga durata di Fernand Braudel (1958)
Il “lungo Medioevo” di Jaques Le Goff (2004)
Entrambi appartennero alla “scuola delle Annales”, fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien
Febvre. Questi ultimi accogliendo l’apporto delle scienze sociali, innovando la metodologia
della ricerca, facendo largo uso della comparazione e ampliando il ventaglio delle fonti usate,
rivoluzionarono il modo di studiare la storia, allargando gli orizzonti alla storia politico-
istituzionale, alla storia sociale, alla demografia storica, alla storia culturale, materiale e delle
“mentalità”.
Straordinaria estensione che ebbe però ripercussioni sulla periodizzazione delle epoche
storiche.

Braudel : individua nella “lunga durata” e nelle “strutture” elementi che scavalcano le
suddivisioni manualistiche tradizionali. Nei suoi numerosi scritti metodologici sottolineò
l’importanza dei fenomeni che si verificano nell0arco della lunga durata dei secoli,
contrapposta al corto respiro della storia politica e diplomatica.
Struttura → un’organizzazione, una coerenza, dei rapporti piuttosto stabili tra la realtà e le
masse sociali.
Per gli storici una struttura è una connessione, architettura, una realtà che il tempo stenta a
logorare e che porta con sé molto a lungo. Queste strutture diventano così elementi stabili per
un’infinità di generazioni; esse ingombrano la storia, ne determinano il corso. Sono al tempo
stesso sostegni e ostacoli (= si caratterizzano come limiti di cui l’uomo con la sua esperienza,
non può liberarsene).
Lunga durata → approccio degli storici delle Annals. Dà la priorità alle strutture storiche di
lunga durata più che ai singoli eventi.

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Le Goff : teorizza un “lungo medioevo” che dalla tarda antichità arriva fino al Settecento, la
cui unità si fondava sulle lunghe permanenze della vita materiale e delle strutture mentali della
società europea. L’opposizione netta tra Medioevo ed età moderna sfuma in una continuità
che si distacca dalla periodizzazione classica.
Anche la frontiera tra “moderno” e “contemporaneo”, con il trascorrere del tempo, tende a
slittare in avanti. Molti punti di vista tradizionali sulla storia possono essere messi in
discussione d’altro canto da un estremo restringimento dello spazio, come accade per esempio
nella “microstoria.
Il Medioevo emergeva chiaramente dall’Antichità del IV-V sec. non altrettanto chiaramente
terminava alla fine del XV -XVI sec.
Il Rinascimento, secondo Le Goff, non p visto come una rottura. Il Medioevo ha conosciuto
molti rinascimenti ma probabilmente la nascita della scienza moderna nel XVII sec. e gli
sforzi dei filosofi illuministi del XVIII sec. annunciano un’era nuova. Bisogna attendere fino
alla fine del XVIII sec. perché si produca la frattura: la rivoluzione industriale in Inghilterra,
poi la Rivoluzione Francese in ambito politico, sociale e della mentalità, segnano la fine del
periodo medievale.
6. Carlo Ginzburg e Giovanni Levi – Fondatori della “microstoria”
L’area geografica sottoposta a indagine viene limitata al massimo, per poter spingere la ricerca
a profondità non raggiungibili su una scala più ampia. In questo modo emergono chiaramente
le strutture profonde (in senso sociale ed economico ma anche psicologico) che regolano la
vita di uomini e donne oggetto di osservazione.
I più recenti sviluppi del lavoro storico si sono mossi in direzione opposta dilatando al
massimo l’indagine nello spazio. I filoni di studi che hanno privilegiato un’indagine storica su
scala planetaria: World History, storia globale, connessa.
Questo modo di fare storia porta ad una visione consapevolmente globale, planetaria delle
vicende umane, in un certo senso essa realizza la concezione di Marc Bloch “scienza degli
uomini nel tempo”. La World History trae origine dalla “globalizzazione”, ancora in atto
tutt’oggi, che consiste in un vertiginoso aumento delle possibilità di contatto tra una parte e
l’altra del mondo anche quelle prima più remote e inaccessibili. È come se tutti riuscissimo a
vedere il pianeta Terra come un unico ambiente.

Il significato profondo del quotidiano: La microstoria di Giovanni Levi (1985)


“Ho tentato di studiare un frammento minuscolo del Piemonte del Seicento.
Noi guardiamo in genere una determinata società da lontano. Gruppi e persone giocano una
propria strategia significativa, capace di segnare la realtà politica di una impronta duratura,
non di impedirne le forme di dominazione ma di condizionarle e modificarle.
Ho scelto un luogo banale e una storia comune ( = Santena, piccolo villaggio ).
La vita politica, le relazioni sociali, le regole economiche, le reazioni psicologiche di un paese
normale mi hanno consentito di raccontare quante cose rilevanti si possono veder succedere
quando apparentemente non succede nulla. Sono le strategie quotidiane di un frammento del
mondo contadino del Seicento: queste suggeriscono tempi e problemi generali e mettono in
discussione alcune delle ipotesi che una visione da lontano, meno microscopica, ci ha abituato
ad accettare.
Ho inserito la vicenda nel suo contesto locale. La documentazione era basata su dati consueti
che consentissero una biografia collettiva generalizzata: registri parrocchiali, atti notarili, dati
del catasto, documenti amministrativi” .

7. Sanjay Subrahmanyam – Una storia grande come il mondo (2007)


Nel brano di questo storico indiano si evince un quadro sintetico ma suggestivo degli imperi
presenti in tutto il mondo intorno al 1648 e delle loro analogie; veri e propri mondi connessi.
Il punto di vista di Sanjay può essere accolto anche come un’apertura di quel quadro
claustrofobico in cui a volte sembrano costrette le storie che trattano soltanto dell’Europa e
dell’Occidente.
È importante sottolineare che tutto questo non comporta l’abbandono totale dei punti di vista
tradizionali.

Per collocare temporalmente le entità geopolitiche che descrive, lo storico usa l’espressione
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“prima età moderna”. Questa modernità è si vera ma deve essere ridefinita perché riesca ad
abbracciare la storia mondiale.

Il mondo della prima età moderna si presentava come un patchwork di imperi intrecciati, in
concorrenza tra di loro.
Prima della pace di Vestfalia (1648), la mappa politica del mondo presentava, partendo da est
a ovest, la Cina conquistata dai Qing; l’impero muhgal dalla Birmania all’Afghanistan;
l’impero ottomano da Bassora, all’Europa Centrale, al Marocco; l’impero Russo che all’epoca
occupava anche la Siberia e alcune regioni dell’Asia centrale; i esti del Sacro Romano Impero
nell’Europa Centrale; i fiorenti imperi commerciali in Inghilterra e Olanda estesi ad Asia e
America ed infine i grandi imperi di Spagna e Portogallo.
Quello che conta è che tali imperi si siano riconosciuti a vicenda e che di conseguenza abbiano
preso in prestito simboli, idee e istituti gli uni dagli altri.
Alla metà del Cinquecento Carlo V, sovrano asburgico, e il sultano ottomano Suleyman erano
in aperta competizione tra loro per lo status di “signore universale” e condividevano tutta una
serie di ambizioni e orizzonti.
L’idea di “translatio imperii”, trasferimento di modelli e concetti imperiali, spesso descritta
nel senso di una ordinata successione temporale di imperi, può essere estesa anche in una
prospettiva di movimento attraverso una serie di imperi in concorrenza.

CAP II – La vita, la morte, il corpo


1 – I numeri
Alcuni fenomeni perdurano per tutto il periodo preso in considerazione o comunque mutano con ritmi
molto lenti; questi si identificano grosso modo con le “strutture” di Braudel, i cui cambiamenti sono
avvertibili soltanto nella lunga durata. Questa forte continuità è accentuata negli aspetti della vita che
si avvicinano > alla natura quali nascita, morte, durata della vita, corporeità… è importante comunque
considerare che nel tempo e nello spazio cambia la concezione di cosa è “naturale” e cosa no. Un altro
aspetto da non escludere è che quando si considerano gli esseri umani, il mero dato biologico offre
spiegazioni insufficienti ai fenomeni.
Contare uomini e donne dell’Europa moderna è un’operazione complicata. Ruolo importante svolgono
i registri parrocchiali ( quando integri forniscono battesimi, sepolture, matrimoni, stati delle anime
con nominativi di tutti i parrocchiani) spesso redatti in prossimità della Pasqua per verificare il
precetto pasquale.
La documentazione, dove la rete delle parrocchie era solida, poteva risalire fino al tardo medioevo.
La tenuta di questi registri venne resa obbligatoria dal Concilio di Trento 1545 – 63.
Doc. 1 → registro anime parrocchia rurale di Maciolla, Urbino. Elenco completo e nominativo abitanti
parrocchia. Accanto ai nomi riportata età individui, divisi in base all’abitazione in cui risiedono.
Indicazioni composizione famiglie.
Le documentazioni prodotte dalle autorità civili tenevano conto solo dei capifamiglia, ossia coloro che
pagavano le tasse. I registri parrocchiali sono più ricchi di dettagli e fungevano da controllo della
pratica religiosa. Il parroco si preoccupava di specificare “l’honestà” delle anime.
Un’altra funzione dei registri parrocchiali, ormai per noi non più valida, si basava sulla coincidenza tra
appartenenza religiosa alla comunità ecclesiastica e appartenenza alla società civile. Questa
coincidenza era sancita dall’obbligatorietà di battesimo che assumeva doppio significato: di
sacramento e riconoscimento giuridico dell’esistenza di una persona. Questi due aspetti verranno
separati con l’istituzione dello stato civile ad opera della Riv. Francese e poi di Napoleone.
Da questi registri erano esclusi bambini morti senza battesimo, ebrei ( a cui non era consentito
battezzarsi) considerati giuridicamente inferiori ai cristiani.

Doc. 2 → Osservando le due tabelle a e b osserviamo come le fonti siano distribuite in maniera
diseguale.
Le cifre non danno nessuna garanzia ma consentono di avere un’idea generale della consistenza
demografica della popolazione dell’Europa Occidentale e la sua evoluzione nel tempo.
La crescita della popolazione europea avviene in due fasi distinte :

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• A seguito della peste nera del 1300 dove l’Europa perse circa il 30% della popolazione.
Crescita ad onde lente con un periodo di stagnazione nella prima metà del 1600 (“Crisi del
‘600).

• A partire dal 1750 in 50 anni raddoppio del ritmo di crescita, destinato ad aumentare nella
prima metà del XIX sec grazie agli effetti della rivoluzione agricola e industriale e ai progressi
delle scienze mediche.
Uscita “dall’Antico Regime demografico europeo” e ingresso in una nuova fase di continuo e
accelerato aumento della popolazione
Nel dettaglio : differenza di andamento demografico tra le varie aree d’Europa.
Con la crisi del 1600 è evidente la stagnazione in Spagna e Italia, a fronte di una forte ripresa in
Olanda e Inghilterra.
Anche gli incrementi registrati nella seconda metà del 1700 ebbero andamenti differenziati: fortissimi
in Inghilterra, luogo d’origine della rivoluzione agricola e industriale. Andamenti molto scarsi in
Francia a causa dell’innalzamento dell’età del matrimonio e dell’introduzione massiccia della
contraccezione.
Dietro ad alcuni numeri si nascondono tragedie collettive : in Irlanda a metà ‘800 una malattia
distrusse il raccolto delle patate, alimento base della dieta contadina. Ne seguirono una terribile
carestia e l’inizio dell’emigrazione massiccia degli irlandesi verso Inghilterra e Stati Uniti.
2 – Mortalità, nuzialità e natalità
In Antico Regime la crescita della popolazione europea fu costantemente tenuta a freno dalla “crisi di
mortalità”. I fattori erano principalmente tre: epidemie, carestie e guerre.
1. Carestia → il suo innesco generalmente è dovuto a più fenomeni climatici distruttivi che
potevano ridurre o annientare i raccolti. Con l’agricoltura europea di Antico Regime, anteriore
alla diffusione delle nuove tecniche di rotazione è evidente l’impossibilità di accumulare
scorte.
Con la carestia i prezzi dei cereali aumentavano vertiginosamente.
Il potere politico ed economico della città obbligava i produttori contadini a far confluire in
città il loro grano; per questo motivo la campagna in confronto alla città era svantaggiata.
2. Epidemia → nella percezione comune avviene dopo la carestia. I due fenomeni infatti si
presentavano molto spesso in successione. Nonostante la debilitazione dell’organismo per
privazione di cibo, con il conseguente abbassamento delle difese immunitarie, facilita la
propagazione delle infezioni, è anche vero che peste, tifo e colera avevano cause indipendenti
dalla malnutrizione e denutrizione.
Scarse condizioni igieniche di gran parte della popolazione, la mancanza di acqua corrente e
l’inadeguatezza dello smaltimento dei liquami erano le principali cause dell’insorgere delle
malattie più letali dell’Europa moderna. ( Doc. 4 → relativo a abitazioni poveri in un quartiere
di Firenze nel 1620).
3. Guerre → le perdite più gravi derivanti dalle guerre erano imputabili maggiormente ai danni
arrecati direttamente o indirettamente alle popolazioni civili.
Gli eserciti infatti vivevano di saccheggi e rapine ai danni delle popolazioni urbane e
soprattutto contadine che potevano trovarsi in prossimità delle operazioni militari o lungo il
percorso di avvicinamento ad esse. ( Doc. 5 → Sacco di Roma ).
Gli eserciti favorivano la diffusione di epidemie a causa del loro scarso livello di igiene, unito
alla loro costante mobilità.
Doc. 6, tabella → La mortalità infantile era particolarmente elevata. Nel 1700 in Francia, Svezia,
Danimarca e Inghilterra tra il 30 e 50 % dei nati non arrivava al quindicesimo anno di vita.
Non fu solo la mortalità infantile elevata che impedì alla popolazione europea di crescere
indefinitamente. Alcuni studiosi hanno individuato alcuni fattori che contribuirono a limitare e
contenere la natalità.
Questi fattori non sono dettati dalla libera scelta individuale, piuttosto da una serie di costrizioni di
natura socioculturale:

• Forte componente di celibi e nubili, sia per motivi religiosi sia per ragioni legate a meccanismi
di successione ereditaria.
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• Sulla fecondità influiva fortemente l’età del matrimonio, che in gran parte d’Europa
occidentale era relativamente alta rispetto all’inizio della pubertà ( quasi sempre dopo i 20
anni ).
Nelle società non europee la maturità sessuale coincideva con l’inizio dell’attività riproduttiva.
I vincoli sopra descritti erano efficaci solo se esisteva una correlazione stretta tra matrimonio e
procreazione. Di questo si incaricarono le Chiese (cattolica e protestante). Divieti e condanne
riuscirono a far diminuire molto le nascite illegittime, riducendole a una percentuale molto bassa del
totale.
3 – Corpi
Gli uomini e le donne della prima età moderna erano fortemente condizionati dalla religione.
Nonostante ciò era già presente la medicina che si fondava sulla concezione che l’uomo apparteneva
alla natura. Essa faceva ampiamente uso dell’anatomia, ma le sue basi teoriche risalivano all’antica
medicina greca.
La concezione prevalente era quella secondo la quale nel corpo umano si generavano e circolavano
quattro “umori” ( sangue, flegma, bile gialla o collera e bile nera ). Le combinazioni degli umori
prendevano il nome di “temperamenti” e davano luogo a tipi umani differenti, ciascuno contraddistinto
da caratteristiche fisiche e psicologiche diverse.
Anche la differenziazione tra maschi e femmine, oltre che dal diritto e dalla religione era codificata
dalla medicina. Il discorso apparentemente neutro della scienza serviva a giustificare le gerarchie e i
rapporti di potere esistenti nelle società, facendoli sembrare “naturali” e perciò impossibili da
cambiare.
Doc. 7 → Giovanni Marinello, rifacendosi alla definizione aristotelica della donna come “uomo
mancato”, esponeva le concezioni correnti sul corpo delle donne. Il ciclo mestruale era la conseguenza
di una insufficienza nell’assimilazione degli alimenti; durante la gravidanza concorreva a formare latte
materno e feto; aveva un ruolo di sfogo del desiderio sessuale altrimenti incontrollabile. L’utero era
visto come organo mobile, quasi dotato di vita propria. Marinello forniva inoltre una serie di
indicazioni (basate su credenze popolari) nella determinazione del sesso del nascituro.
Marinello sovrapponeva inoltre la polarizzazione di genere (M/F) alla polarizzazione spaziale
(destra/sinistra), anch’essa tutt’altro che neutra : “destrezza” significa abilità; “sinistro” può indicare,
un incidente o una persona dall’aria inquietante. La mano sinistra è detta anche “mano manchevole” e
la destra “dritta”. In inglese come in tedesco “right” e “recht” significano sia “giusto” sia “diritto”.
La posizione di Marinello era largamente dominante.
In Europa, seppur in casi isolati, si innalzarono alcune voci a contraddire la teoria sull’inferiorità della
donna:
Doc. 8 → tratto dal “Cortegiano” di Baldesar Castiglione.
L’interlocutore contraddice il punto di vista tradizionale del proprio avversario, facendo riferimento
alle qualità corporee dalla quale deriverebbero quelle psicologiche.
Le donne erano ritenute essere al centro della fitta rete di relazioni che congiungeva cultura e natura. Il
loro corpo poteva essere letale, ma poteva anche generare desiderio sessuale o difendere i raccolti
dalle infestazioni di parassiti ( → doc. 9a, 9b, 9c ); queste concezioni furono alla base della caccia alle
streghe nell’Età Moderna.
4 – Amore, matrimonio, sessualità
Necessità di tenere le donne sotto la tutela maschile : idea di lunghissima durata.
In Europa le donne ebbero per la prima volta il diritto di voto in Finlandia nel 1906; in Italia nel 1946.
Il significato maggiore del matrimonio era quello di passaggio della donna dal controllo del padre a
quello del marito. Dove il matrimonio non era possibile erano i parenti maschi a decidere di far entrare
la donna in convento e prendere i voti.
Assai comune era il fenomeno della monacazione forzata ( doc. 10 ). Suor Arcangela Tarabotti fece
una riflessione eccezionalmente lucida su questo fenomeno. Il monastero rappresentava uno spazio in
cui si potevano scampare i pericoli a cui le donne erano sottoposte da sposate.
Avere la possibilità di accedere al mercato matrimoniale non significava scegliere liberamente il
coniuge, le decisioni venivano prese dai genitori dei futuri sposi.
Soprattutto nei ceti più abbienti, il matrimonio era considerato un contratto, un’alleanza tra famiglie.
Aspetto che emerge nel doc. 11 → in cui vengono raccontate le nozze di Francesco Giucciardini, in
parte avvenute contro volontà del padre. In questo resoconto manca totalmente l’aspetto religioso.
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Sarà infatti il Concilio di Trento a restituire al matrimonio il carattere sacramentale (1563).
Spesso l’amore veniva visto come conseguenza più che premessa del matrimonio.
Doc. 12 → Leon Battista Alberti descrisse l’amore coniugale “benevolentia” come un legame che,
benchè nato dal piacere dei sensi “voluptà”, si rafforzava con il matrimonio, la convivenza e la nascita
dei figli.
Doc. 13 → Michael de Montaige era un convinto sostenitore della necessaria frigidità dei rapporti
sessuali tra coniugi in quanto troppa passione poteva addirittura far male alla salute.
Nel 1700 i segnali di cambiamento si moltiplicarono soprattutto nell’aristocrazia e nelle classi elevate.
In un romanzo settecentesco inglese restato anonimo viene riportata l’adozione dei “coito interrotto”
come metodo anti concezionale, indice che la sessualità coniugale si stava separando dalla mera
funzione riproduttiva ( doc. 14 ).
Doc. 15 → Affetto che univa Cesare Beccaria alla moglie, unitamente all’uso del “tu2 come forma di
allocuzione può essere preso a esempio di una sensibilità nuova e di una confidenza tra coniugi rara.
Ogni forma di sessualità non finalizzata alla procreazione era fortemente condannata dalle autorità
laiche ed ecclesiastiche in tutta la cristianità occidentale. Per questo motivo le testimonianze relative a
rapporti omosessuali si trovano maggiormente tra i verbali di processi criminali il cui scopo era la
repressione di quelle pratiche, con pene che spesso arrivavano alla condanna a morte.
In molti paesi europei l’omosessualità è stata considerata reato fino a metà del 1900. Per lo stessi
motivo, i documenti attestano con > frequenza rapporti di pedofilia.
Doc. 16 → evidente disparità di età e risorse economiche quella tra ser Biagio Pauli e il sedicenne
Paolino Fondora. Dal documento emerge il trasporto affettivo dell’uomo. Ser Biagio per descrivere i
suoi sentimenti usò il termine “benevolenzia”, impiegato da Alberti per indicare l’amore coniugale.
L’omosessualità femminile è assente dalla documentazione; al contrario di quella maschile, non
comportava la dispersione del seme e quindi era spesso considerata meno grave.
Doc. 17 → riguarda Benedetta Carlini, badessa del monastero teatino di Pescia ( tra Pistoia e Lucca ).
La donna venne sottoposta a due inchieste a causa delle esperienze mistiche che si sospettavano
fraudolente; durante la seconda emerse il suo legame omosessuale con una consorella. Suor Benedetta
venne condannata al carcere per 35 anni dove morì. Si evince lo sconcerto e l’incomprensione che
provocava negli osservatori il legame tra due donne. Una delle caratteristiche dell’omosessualità sia
maschile che femminile che turbava maggiormente le autorità era l’aspetto di sovversione dei ruoli
tradizionali e lo scandalo provocato da “donne che agivano da uomo” e viceversa.

5- Genitori e figli, infanzia e adolescenza


Fino al Seicento l’infanzia non era percepita come classe di età separata dalle altre e con esigenze
proprie.
L’elevata mortalità infantile e le difficoltà legate alla sussistenza spinsero molti genitori a non riporre
troppe aspettative sui singoli figli, sviluppando di conseguenza un minore attaccamento ad essi nei
primi anni di vita. Nonostante ciò nei documenti di età pre-industriale troviamo molte testimonianze
commuoventi di amore dei genitori verso i figli e del grande dolore provocato dalla loro morte (doc.
18).
D’altro canto, esistono altrettanti indizi che sembrano andare in direzione opposta. L’abbandono dei
bambini era una scelta molto diffusa nella prima età moderna. Esistevano istituzioni nell’Europa
Cattolica che si incaricavano di raccogliere gli “infanti esposti”; non sempre erano figli illegittimi, a
volte era l’impossibilità materiale di allevarli che spingeva i genitori all’abbandono.
Doc. 19a→ intenzione di riaccogliere in casa il figlio o la figlia in un momento successivo.
Spesso le precarie condizioni in cui i bambini venivano allevati ne provocava la morte precoce.
Un’usanza diffusissima era quella di consegnare i figli a una balia perché li allattasse. Non si trattava
di una pratica limitata ai ceti superiori, anche se era diffusa soprattutto tra le donne di città.
Il baliatico sopravvisse fino al XVIII sec. Alcuni storici l’hanno considerato sintomo della mancanza
di amore materno. Erano i mariti a spingere le mogli a dare i figli alla balia, per rendere possibile la
ripresa dei rapporti dopo il parto.

8
Cambiamento di lungo periodo nei confronti dell’infanzia e giovinezza nell’età moderna: ai bambini
veniva riconosciuta la facoltà di esercitare forme di giustizia parallele a quelle esercitate dagli apparati
pubblici, alle quali spesso veniva attribuita una valenza sacrale e soprannaturale; esse rafforzavano la
giustizia ufficiale, ma in altri casi potevano metterla in discussione. È come sei i bambini godessero di
una speciale autorizzazione a realizzare le pulsioni violente sempre più marginalizzate nel mondo
degli adulti.
Per quanto riguarda gli adolescenti e i giovani in molte società tradizionali i maschi fungevano da
“tutori del disordine”, potevano rovesciare temporaneamente, in periodo di festa, le gerarchie e i valori
su cui si reggeva la società. Le autorità politiche e religiose della prima età moderna si mostrarono
sempre più intolleranti verso queste forme tradizionali di socializzazione come spiega la protesta del
sinodo di Glarona contro l’indisciplina dei giovani del luogo (doc. 22).
Doc. 23 → Erasmo da Rotterdam sin dai primi del 1500 aveva cercato di instillare la “modestia” nei
fanciulli attraverso l’apprendimento delle buone maniere.
Dai fanciulli si esigeva un atteggiamento interiore di serietà e autodisciplina.
D’altra parte, i divieti che l’umanista fiammingo poneva ai bambini, rivelano come quelle esigenze
educative si scontrassero con le consuetudini ancora piuttosto “indisciplinate”. Oggi le esigenze
educatrici hanno definitivamente trionfato in confronto alla prima età moderna in cui il processo di
civilizzazione era appena iniziato.
6- Visione del mondo
Il cambiamento e la novità erano visti come potenziali elementi di disturbo.
L’idea che intellettuali, filosofi, ma anche uomini comuni, elaborarono e condivisero riguardo la
natura e l’universo era quella secondo il quale vi era un cosmo dominato dall’idea di conformità e
ordine naturale e divino allo stesso tempo.
La filosofia aristotelica, cristianizzata, stava alla base di queste concezioni.
Doc. 24 → Giovan Battista Gelli fornisce spiegazioni che illustrano la Commedia di Dante.
Le idee rappresentavano credenze largamente condivise dalla maggioranza degli uomini e delle donne
della prima età moderna. Secondo questa visione del mondo, ogni elemento (acqua, terra, aria, fuoco)
aveva un “luogo naturale” che occupava in assenza di alterazioni; ciò rendeva ragione del fatto che la
Terra, secondo la cosmologia dominante derivata delle teorie e dalle misurazioni di Tolomeo,
occupasse il centro dell’universo. La lunga resistenza alle rivoluzionarie idee di Copernico si spiega
anche con l’apparente naturalità fisica aristotelica.
L’idea di “natura” in età preindustriale era molto diversa dalla nostra.
Le apparenze sensibili degli esseri viventi, ma anche degli oggetti inanimati, celavano occulte
corrispondenze rette da leggi come la similitudine e il contatto (doc. 25).
Noi oggi chiamiamo “magica” una visione del mondo spiegata in questi termini. La nostra civiltà
infatti è definita come “disincanto del mondo” o della “battaglia antimagica”, che caratterizzarono il
passaggio dalla prima età moderna all’età della Rivoluzione industriale, del capitalismo e razionalismo
scientifico.
La “magia naturale” sottintendeva un mondo animato, in cui gli esseri erano in relazione l’uno con
l’altro grazie a un disegno divino. Concezioni di quel genere potevano essere compatibili con il
cristianesimo, ma le Chiese furono spesso diffidenti. I timori delle gerarchie ecclesiastiche erano
relativi soprattutto al possibile insinuarsi del diavolo nelle operazioni magiche.
Doc. 26 → cosmologia di Domenica Scandella detto Menocchio, mugnaio friulano condannato a
morte per eresia dall’Inquisizione nel 1599.
Davanti al giudice dalle parole pronunciate emerse un “razionalismo” o “materialismo contadino”.
Alcune componenti di questa visione del mondo erano ricavate dalle concezioni di matrice aristotelica,
molto diffuse tra il popolo; ad esempio la mescolanza dei 4 elementi.
Accanto a queste si affacciano idee incompatibili con qualsiasi religione rivelata, come ad esempio
l’affermazione panteistica “che l’aere, terra, foco et acqua sia Dio”, o il ruolo centrale attribuito al
caos primordiale che si sostituiva all’idea cristiana di Dio. Idee accompagnate a una critica sociale,
radicale, con cui il mugnaio smascherava le ipocrisie della società e del clero cattolico.

CAP III – Economia e società


1 – Aspetti della vita economica dell’età preindustriale. Città e campagna
Alla base della storia economica e sociale dell’Europa preindustriale vi sono strutture di lunga durata, i
cui cambiamenti sono maggiormente visibili ed identificabili.
9
Un esempio è la “rivoluzione dei prezzi” (doc. 1). Alla base dell’aumento dei prezzi verificatosi
all’inizio del XVI sec. vi fu l’aumento demografico. Questo portò dapprima all’aumento dei prezzi dei
generi alimentari, poi trascinò con sé tutti gli altri. La rivoluzione dei prezzi durò per quasi un secolo.
Le conseguenze furono molteplici :

• In Europa orientale, il potere della grande nobiltà di origine feudale era ancora molto forte e
legato alla gestione diretta delle proprietà terriere. L’aumento dei prezzi dei cereali accrebbe
ulteriormente la forza dei signori che si arricchirono con le esportazioni verso occidente.
Nessun beneficio ricadde sui contadini, i quali videro peggiorare le loro condizioni
socioeconomiche; in molte aree comparvero vincoli di servitù che legavano gli uomini e la
terra al padrone.

• In Europa occidentale il fenomeno inflazionistico colpì le rendite in denaro, avvantaggiando i


grandi affittuari e favorendo la formazione di una proprietà medio-grande, che fu poi la
protagonista della “rivoluzione agricola”.
In Europa occidentale le campagne, fino al 1700, furono caratterizzate da lunghe permanenze e dal
prevalere della tradizione sulle tendenze innovative. Un esempio di struttura a lunga durata molto
diffusa sono i cosiddetti “open fields” (doc.3) →sistema in cui ogni famiglia di un villaggio contadino
possedeva una o più strisce di terreno di forma allungata in diversi settori, ognuno dei quali
contraddistinto dal diverso orientamento dei campi.
Non esistevano separazioni, dopo il raccolto gli animali potevano pascolare indistintamente su tutti gli
appezzamenti. In alcuni periodi dell’anno, la proprietà delle terre da privata diventava collettiva.
Questo sistema poteva funzionare solo se il ritmo dei lavoratori agricoli era uguale per tutti e se nessun
singolo si ingrandiva troppo a spese degli altri.
In questo modo si esprimeva lo spirito egualitario, collettivistico e tradizionalistico di molte campagne
europee di Antico regime: un sistema pensato per mantenere equilibrio. Difficile era apportare
innovazioni senza stravolgere la mentalità e le abitudini consolidate.
Un ruolo importante è giocato da fiumi, laghi e foreste, fondamentali sia per l’alimentazione, sia per
l’approvvigionamento di legna. Queste zone erano considerate terre comuni dei villaggi e venivano
difese dalle rapacità dei nobili.
L’economia delle società contadine era orientata verso l’autoconsumo.
L’ingresso dell’economia di mercato provocò la fine delle strutture come gli “open fields”,
sostituendole con recinzioni o “enclosures”, che privatizzarono le proprietà collettive.
Nelle città il quadro delle attività produttive si complica: doc. 4 → illustra i pesanti vincoli che
gravavano sulle attività manifatturiere in buona parte dell’Europa dell’Antico regime.
Le corporazioni1, considerate intollerabili residui del passato, vennero abolite nel 1789 dalla
Rivoluzione francese. I padroni delle botteghe artigiane erano legati ai vincoli imposti dalla
corporazione a cui appartenevano. È quindi facile capire perché le manifatture italiane crollarono non
appena si affacciarono sul mercato concorrenti più agguerriti e meno vincolati.
Una delle norme più proibitive, in cui era manifestato un enorme privilegio della città nei confronti
del contado, era quella del divieto di trasferire l’attività produttiva dalla città alla campagna.
Tuttavia quando il potere delle corporazioni cittadine iniziò ad inclinarsi la manodopera ( dal 1600)
venne affidata ai contadini, che potevano sfruttare le lunghe pause che i lavori agricoli subivano nei
mesi invernali e integrare il loro reddito → “industria a domicilio” o “protoindustria” che preparò le
basi della rivoluzione industriale.
Dal tardo ‘500 la tendenza dominante fu quella del “mercantilismo”2 (doc.5) . Le politiche
mercantilistiche miravano ad attuare pesanti forme di protezionismo, incentivando l’importazione di
materie prime e scoraggiando quella di manufatti provenienti dall’estero, attraverso l’imposizione di
dazi doganali alti.
Dove la forza economica e politico-militare di uno Stato era ridotta questo provvedimento assieme

10
all’esclusione degli stranieri dai commerci tra madrepatria e colonie e l’obbligo a commerciare con un
determinato paese solo su navi di quello stesso paese aumentò i lucrosi contrabbandi.
2 – Una società di ceti
I “ceti” o “stati” caratterizzarono la società europea dell’Antico regime.
Le barriere tra i diversi ceti erano ritenute parte di un ordinamento naturale e divino al tempo stesso,
dunque immutabile. I privilegi fiscali di cui godeva la nobiltà rientravano nella normalità
comunemente accettata.
La nobiltà era una qualità innata ed ereditaria (doc.6). Nascita e onore ( legato dapprima alla funzione
militare della cavalleria, passato poi a disegnare una sfera più ampia) in cui rientravano anche la
reputazione, il comportamento in pubblico, il rapporto con il denaro, erano gli aspetti principali della
nobiltà (doc.7) . Se voleva mantenere il proprio statu e il proprio onore, l’aristocratico era obbligato a
spendere in modo vistoso ed ostentato (doc.8) . Incompatibilità tra stile di vita nobiliare e razionalità
economica.
Vi era una grande varietà di nobiltà europee: doc.9 → viene descritto un legame che si venne a
instaurare nel regno di Francia tra la “nobiltà di toga”, ceto che aveva avuto accesso alla nobiltà
tramite acquisto di una carica pubblica, e il potere monarchico. Questo legame fu uno dei fattori che
privarono progressivamente la “nobiltà di spada”, quella di origine feudale-militare, di una parte
consistente del proprio potere a vantaggio dell’assolutismo dei re.
L’ideologia e lo stile di vita della nobiltà si basava su un modello culturale egemone ovvero, vennero
considerati normativi anche degli altri ceti. L’idea di onore pervade tutta la società di Antico Regime.
La parola “borghesia” non esisteva in età moderna. In Francia veniva designata con l’espressione di
“terzo stato”, con la quale venivano indicati tutti i “non privilegiati”, tutti coloro che non
appartenevano né alla nobiltà né al clero (esclusi i miserabili).
Lo “spirito borghese” esisteva; le sue radici risalgono alla tradizione mercantile delle città italiane, in
particolar modo Firenze del tardo Medioevo.

Doc.10 → Leon Battista Alberti esalta la ricchezza e le attività finalizzate a produrla, opponendosi
consapevolmente all’etica nobiliare dell’onore e delle spese improduttive.
La consapevoleza del fatto che i mercanti basavano i loro guadagni vendendo “la fatica” indica che il
valore del lavoro era al centro della visione del mondo di Alberti. Questo spirito borghese declinò
nell’Italia del Seicento, non si spense del tutto e rinacque tra i mercanti del nord Europa.
La cultura degli abitanti delle campagne europee era affidata all’oralità. Essa giunge a noi attraverso il
filtro di osservatori appartenenti agli strati alfabetizzati della società. Essi non sono osservatori
neutrali; spesso sono coloro che esercitano un’azione violenta, di controllo, indottrinamento e
repressione nei confronti di quel mondo.
Il contrasto tra città e campagna e gli stereotipi negativi sull’inferiorità dei contadini appartenevano a
un patrimonio culturale condiviso in Europa e in particolare in Italia.
La differenza tra cittadini e contadini era percepita in termini di natura, di corporeità e fisicità (doc.11-
12). Al di fuori della rigida suddivisione in ordini e ceti si collocavano i gruppi “marginali” ovvero
uomini e donne esclusi dalla normale convivenza civile per le loro condizioni economiche, per il
marchio di infamia ottenuto dalla loro professione oppure ancora perché essi per loro scelta di vita si
autoemarginavano, creando delle vere e proprie sottoculture.
Doc. 13 → fornisce una descrizione filtrata attraverso l’occhio di un giudice seicentesco per quanto
riguarda vagabondi, ciarlatani e questuanti. La criminalizzazione del vagabondaggio e accattonaggio
corrisponde a un cambiamento di lunga durata degli atteggiamenti nei confronti della povertà.
Considerata nel Medioevo come un fenomeno positivo, la povertà cominciò a venir percepita come
minaccia con le conseguenze dell’aumento demografico e della rivoluzione dei prezzi e il precipitare
dell’indigenza di vaste masse di popolazione che vivevano al limite della soglia di sussistenza.
Anni ’20-’30 del 1500 : la mendicità è considerata come un fattore di disordine e di potenziali truffe,
venne quindi proibita. La gestione delle elemosine passò spesso dalle mani della Chiesa e dei privati
cittadini a quella dei governanti municipali o statali, che provvidero a organizzare i contributi in base a
criteri più razionali e burocratici; si distinse tra i poveri “meritevoli” di soccorso e poveri abili al
lavoro. Gli ultimi vennero costretti a lavorare con mezzi violenti sotto la continua minaccia della
reclusione e di punizioni corporali.
3 – Frontiere sociali e religiose: ebrei e musulmani
Le frontiere interne erano rappresentate dalle minoranze musulmane e ebraiche.
11
Gli ebrei, all’inizio dell’età moderna, si trovavano in Spagna, Portogallo, Stati Italiani, in alcune aree
dell’Europa orientale e nell’Impero Ottomano. Erano già stati espulsi nel Medioevo da inglesi e
francesi. A Costantinopoli vi era la più grande comunità ebrea.
L’espulsione dagli ebrei dalla Spagna nel 1492 e la loro conversione forzata in Portogallo nel 1496-7
provocarono migrazioni di massa verso l’Italia e verso l’Impero ottomano; quando anche in Italia le
persecuzioni ecclesiastiche si intensificarono le migrazioni si diressero verso l’Olanda.
Gli ebrei seppero adattarsi agli ambienti in cui si trovavano, riuscendo ad acquisire ruoli fondamentali
nella vita economica e commerciale del paese in cui si insediavano.
Le persecuzioni e l’isolamento, ad esempio nel Ghetti nel 1500 contribuirono a rafforzare l’identità
della popolazione ebraica.
Diverso era il caso dei continui esodi e delle conversioni forzate : gli ebrei risiedenti in Spagna non
cristiani non potevano continuare ad abitarci, questo fenomeno provocò fenomeni migratori, ma nella
maggior parte dei casi fenomeni di conversioni forzate.
In Portogallo in un primo momento (fino al 1507) gli ebrei non cristiani non avevano il permesso di
migrare altrove; erano quindi costretti a restare nello stato, erano quindi obbligati a convertirsi. I
“cristiani nuovi” erano sottoposti a ferrea sorveglianza. Nonostante ciò essi erano continuamente
sospettati di praticare in segreto il giudaismo, nascevano così sospetti e processi che sfociavano in un
uso massiccio e indiscriminato della tortura che portava al rogo intere famiglie (doc. 16).
Il continuo attraversamento delle frontiere religiose tra giudaismo, islam e cristianesimo finì con il
favorire l’insorgere di forme di ibridazione e di scetticismo che prepararono il terreno alla sfiducia
nelle religioni rivelate e alla “crisi della coscienza europea”. L’odio contro gli ebrei fu molto feroce
nella penisola iberica nella prima età moderna, dettato da motivi politici: la Spagna aveva costruito la
propria identità culturale nel corso della “reconquista”, ovvero, dalla lunga e vittoriosa lotta contro gli
arabi che dal VII sec. occupava la penisola, terminata nel XV sec.
L’appartenenza etnica divenne un elemento fondamentale del nuovo Stato: l’assenza di discendenti
arabi o ebrei finì con l’essere considerata requisito indispensabile per coprire cariche pubbliche.
Fu la religione cristiana a fornire gli stereotipi antiebraici più diffusi e duraturi: ad esempio la credenza
secondo la quale gli ebrei, per impastare il pane azzimo con il quale celebravano l’omonima festa,
avrebbero usato sangue di bambini cristiani uccisi appositamente. Questa credenza si diffuse
ampliamente e in modo duraturo.
I papi assunsero atteggiamenti ambivalenti nei confronti delle accuse di “omicidio rituale” :
- Nicolò V e Paolo III la respinsero apertamente.
- Benedetto XIV, considerato aperto ed illuminato le lasciò implicitamente sussistere.
Doc. 19 → descrive la comunità musulmana presente a Granada anche dopo la caduta dell0ultimo
regno arabo in tutta la Spagna (1492). Dalle parole del mercante italiano che visitò quei luoghi
appaiono evidenti sia l’importante ruolo dei mori nell’economia della Spagna mediterranea, sia il buon
grado di convivenza tra musulmani e cristiani.
Con l’andare del tempo, l’intolleranza dei re cattolici, in particolar modo di Filippo II, costrinse i
musulmani alla conversione e al tempo stesso avviò persecuzioni massicce contro i neoconvertiti.
Il risultato fu l’eliminazione della presenza araba in Aragona, a Valencia e Granada. Questo arrecò
danni considerevoli all’economia spagnola e all’aggravamento della crisi del XVII sec.
Al di là degli scontri tra civiltà scorreva una rete intensa di scambi e reciproca curiosità.
Nel 1500 le acque del Mediterraneo erano infestate da pirati barbareschi che catturarono molti
cristiani. Una parte di questi ultimi rimase schiava e venne trattata duramente. L’altra parte, senza
essere costretta, si convertì all’islam integrandosi pienamente nella società musulmana.

CAP IV Le scoperte geografiche e la mondializzazione della storia


1 – La scoperta
La data simbolo proposta come “inizio dell’età moderna” è il 1492, anno in cui Cristoforo Colombo
attraversò l’oceano Atlantico e, persuaso di aver raggiunto l’Asia orientale, sbarcò in un’isola
compresa nell’arcipelago delle Bahamas.
In realtà l’epoca delle grandi scoperte geografiche era iniziata da tempo con le esplorazioni
portoghesi lungo la costa atlantica dell’Africa alla ricerca di un passaggio verso le Indie.
Il passaggio denominato Capo di Buona Speranza, venne raggiunto da Bartolomeo Diaz nel 1487,
superato dieci anni dopo da Vasco da Gama, primo a raggiungere l’India circumnavigando l’Africa,
inaugurando una via per il commercio delle spezie molto più vantaggiosa rispetto a quella percorsa dai
12

)
mercanti genovesi e italiani che passava per Alessandria d’Egitto e dal mar Rosso.
La superiorità dell’itinerario portoghese era evidente già all’epoca: Vasco da Gama descrisse molto
bene i numerosi passaggi, con relativi dazi, che facevano aumentare i prezzi delle spezie importate dai
veneziani (doc.1).
Nell’età delle grandi esplorazioni può essere compresa anche la Cina della dinastia Ming che nei primi
decenni del XV sec. aveva inviato numerose spedizioni nell’oceano Indiano, arrivando sino alle coste
dell’Africa orientale.
L’impresa di Colombo fu finanziata dalla monarchia di Spagna, allo scopo di cercare una nuova via
per le Indie, in concorrenza con il Portogallo.
La volontà di questo progetto era quella di espansione e arricchimento commerciale della Spagna.
Doc. 2 → espansione ed arricchimento sono ben visibili. Si denota inoltre l’ansiosa ricerca di ogni
minimo indizio che denotasse la vicinanza alla terra; non si può fare a meno di notare la precisa
sequenza degli atti compiuti dal navigatore genovese una volta sbarcato.
Colombo innanzitutto ringraziò Dio per la riuscita della sua impresa; diede poi il nome all’isola
appena scoperta (San Salvador = profonda valenza religiosa); infine ne prese possesso a nome dei re
cattolici. Questi tre atti fondamentali d’ora in poi avrebbero caratterizzato l’espansione europea nel
Nuovo Mondo a nome di Dio e dei re.
In questo sbarco gli “indiani” interagiscono con i nuovi arrivati soltanto dopo che la loro isola ha
ricevuto un nome nuovo.
Fu soltanto dopo Colombo che gli abitanti dei Caraibi e di tutta l’America centro meridionale
divennero materia di riflessioni e dispute fondamentali nello sviluppo della coscienza moderna.
Lo sguardo degli europei nei confronti del nuovo continente non era libero da pregiudizi, miti, utopie e
schemi interpretativi spesso deformati.
Il più evidente di questi fraintendimenti fu, da parte di Colombo, la persuasione di essere giunto nelle
“Indie”, in Asia orientale. Nonostante tale errore venisse corretto da li a poco dallo stesso Colombo nel
suo III viaggio e definitivamente da A. Vespucci nel 1503, l’uso del termine “indios” e “indiani” per
indicare le popolazioni dell’America centro-meridionale e settentrionale si è mantenuto sino a noi.
Doc. 3 → illustra lo spirito con cui Colombo si accostava all’America.
L’esploratore, fondandosi su un duplice ordine di considerazioni, in cui le letture e la fede religiosa
avevano un ruolo più decisivo rispetto all’osservazione diretta, arrivò ad identificare un tratto di costa
sudamericana con la sede del paradiso terrestre.
2 – Conquiste e colonie spagnole
Scoperte, esplorazioni ed espansioni territoriali sono realtà intrinseche e non distinte.
La conquista richiedeva una base giuridica. In un primo momento fu la massima autorità religiosa,
papa Alessandro VI, a concedere solo ai re spagnoli il diritto di prendere possesso di tutte le terre
situate ad ovest del meridiano che passava a cento leghe, ad occidente delle isole Azzorre (doc.4) .
La bolla pontificia apparve come un favoritismo da parte del papa spagnolo nei confronti dei suoi
connazionali.
Nel 1494 si giunse ad un accordo tra le due principali potenze impiegate nella navigazione atlantica
attraverso il trattato di Tordesillas, stipulato tra Spagna e Portogallo, che spostò di 200 leghe verso
ovest l’inizio dell’area di colonizzazione spagnola. Si trattava della prima visione del mondo in “zone
di influenza”.
La conquista spagnola si svolse in diverse fasi:
1. Nei primi decenni del Cinquecento venne colonizzata gran parte delle isole caraibiche; queste
fornirono la base di partenza per la conquista del Messico, portata a termine tra il 1520 e il
1540.
2. Negli anni ’30 cominciò l’espansione in America meridionale, terminata nel 1570.
Sulle civiltà che precedettero la conquista, precolombiane, abbiamo testimonianze indirette,
escludendo i reperti archeologici. L’uso della scrittura alfabetica non era infatti conosciuto.
Molto importanti sono le ricostruzioni storiche composte da viaggiatori e missionari, fonti da usare
comunque con cautela tenendo presente il punto di vista eurocentrico e cristianocentrico.
Doc. 5 → Attorno al 1590 il gesuita José de Acosta pubblicò una storia del Nuovo Mondo, restituendo
dignità umana e culturale agli imperi azteco e inca, descrivendo il loro funzionamento prima della
conquista.

13
I conquistadores agivano ufficialmente per conto della monarchia, ma spesso, per eccesso di iniziativa
autonoma, si trovarono in conflitto con i rappresentanti dei re nelle colonie.
All’arrivo degli europei, il totale degli americani si aggirava attorno ai 40 e 70 milioni di individui.
Nell’America centrale e meridionale dominavano due grandi imperi: l’azteco e l’inca.
Doc. 6,7,8,9 → si riferiscono alla conquista del Messico. Illustrano alcuni tra i principali elementi di
superiorità degli spagnoli.
Doc. 6 → fornisce il resoconto della prima battaglia sostenuta da Hernàn Cortés sul suolo messicano.
Offrendo una chiara testimonianza della micidiale potenza di due armi che gli Aztechi non
possedevano ovvero le spade e le armature di ferro, metallo di cui non conoscevano l’uso, ed i cavalli,
animali totalmente estranei per gli americani. A queste, si aggiungevano le armi da fuoco e i batteri
importati dall’Europa.
Cinquecento uomini di Cortés sono riusciti a portare a termine un’impresa così impegnativa come la
conquista della città di Mexico e la sconfitta di Montezuma, imperatore azteco.
Doc.7 → Cortés comprese rapidamente la natura compista e intrinsecamente fragile dell’impero
azteco, nel quale una sola popolazione teneva soggiogate le altre. Sfruttando i risentimenti dei capi
sottomessi da Montezuma, il conquistador si alleò con i più deboli per combattere il più forte,
ottenendo una vittoria schiacciante a danno gli uni degli altri.
Il conflitto in generale coinvolgeva due culture e civiltà estremamente differenti. Una delle >
differenze riguardava la natura e gli scopi delle guerre: per gli spagnoli la guerra era finalizzata alla
conquista del territorio, distruggendo i nemici. Gli Aztechi erano abituati ad usare le armi per ottenere
la sottomissione degli altri gruppi etnici e il pagamento dei tributi. L’uccisione dell’avversario era un
fatto rituale. Alcuni nemici catturati venivano sacrificati agli dei (doc.8), questo fatto riempiva di
orrore e sconcerto gli occidentali, contribuendo a convincerli della propria superiorità.
Prima di essere una sconfitta politico-militare fu quindi una sconfitta culturale (doc.9).
La conquista dell’America meridionale, iniziata da Francisco Pizarro, si svolse in un arco di tempo
più lungo :

• A causa delle difficoltà di penetrazione nel territorio accidentato e ricco di barriere naturali
(Ande, foresta amazzonica);
• Per il perdurare della resistenza indigena.
Gli elementi che componevano la strategia attuata da Pizarro contro gli Incas erano i medesimi che
avevano consentito la vittoria di Cortés sugli Aztechi : superiorità tecnologica, alleanza con i più
deboli, guerra totale.
Doc. 10 → illustra l’incontro-scontro tra civiltà differenti.
Parallelamente alla conquista procedette l’opera di organizzazione politica ed economica dei territori
americani.
I nuovi possedimenti spagnoli vennero dapprima affidati ai capi militari che avevano comandato le
spedizioni, poi inquadrati più stabilmente nell’insieme dei domini della corona spagnola e delle sue
istituzioni.
Furono così distinti in due vice-regni:
1. Nuova Spagna
2. Perù
Entrambi dotati di strutture amministrative ricalcate sul modello spagnolo.
In questi territori prevaleva il dominio dell’uomo sull’uomo, l’encomienda, responsabile, insieme alle
guerre, del genocidio della popolazione india.
Questo fenomeno viene ben descritto nel doc. 11 da Bartolomé de Las Casas : ai coloni spagnoli
veniva affidato un certo numero di indigeni in cambio del solo impegno di nutrirli e di fornire loro
un’educazione cristiana. L’encomendrero aveva il diritto di impiegarli come manodopera nei campi o
nelle miniere. Questo processo finì con il diventare un sistema di schiavitù istituzionale, abolita solo
nel XVIII sec.
3- La colonizzazione inglese
Fino alla seconda metà del 1500 Spagna e Portogallo non ebbero rivali nel Nuovo Mondo.
Già da qualche tempo, le altre principali potenze europee avevano organizzato diverse spedizioni
dirette in America settentrionale.
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A partire dagli ultimi decenni del Cinquecento inglesi, francesi e olandesi cominciarono ad insediare
le prime colonie in Nord America.
Inizialmente le operazioni inglesi furono condotte con mezzi forniti da privati; in un secondo momento
i re d’Inghilterra appoggiarono tali iniziative. Questo aspetto ebbe notevoli riflessi sull’organizzazione
politica delle colonie. Quando la corona cominciò a prendere sotto la sua protezione le compagnie
commerciali dedite all’insediamento in America, concesse loro una serie di diritti e prerogative che
consentivano una forte autonomia (doc.12). Diverse compagnie vennero trasformate in società per
azioni. In altri casi i colonizzatori stessi si costituirono in un “corpo civile e politico” e si diedero
delle leggi.
I “Padri Pellegrini”, fondatori delle colonie più settentrionali americane (doc.13) erano puritani, cioè
intransigenti calvinisti e oppositori della Chiesa nazionale anglicana. Si insediarono nel Nuovo Mondo
con lo scopo di rinnovare la cristianità e fondare una Nuova Gerusalemme.
Le colonie inglesi, con le premesse sopracitate, assunsero un’inclinazione verso la democrazia e il
federalismo3, che avrebbe dato i suoi frutti nel ‘700 con la Rivoluzione americana e la nascita degli
Stati Uniti d’America.
Anche la colonizzazione britannica ha incluso conflitti talvolta molto sanguinosi. Essa si scontrò con
le popolazioni degli “indiani d’America o pellerossa”, oggi chiamati “nativi americani”.
Con il crescere della popolazione di origine europea, si verificò una situazione di conflitto permanente
tra indiani e coloni europei.
Le guerre durarono dal Seicento all’Ottocento. Al termine di questo periodo i nativi americani erano
ridotti considerevolmente di numero a causa dello sterminio operato dai bianchi, ritrovandosi privi
delle loro terre, confinati nelle riserve.
La storia delle popolazioni autoctone del Nord America è difficile da ricostruire poiché esse erano
caratterizzate da una cultura esclusivamente orale.
Le popolazioni del Nord America non lasciarono mai asservire dai bianchi: doc. 14 e 15 → stesi nel
XIX sec. si riferiscono ai due secoli precedenti. Il primo è un antidoto contro ogni mitizzazione delle
origini della storia americana; il secondo è una difesa della civiltà degli indiani d’America contro la
cultura dei bianchi e la loro religione intollerante e ipocrita.
4 – I beni materiali e il commercio coloniale
Le scoperte geografiche del 1400 ebbero grandi conseguenze sul futuro dell’umanità.
Prima della scoperta dell’America, mais, patate, pomodori erano completamente sconosciuti in Europa
ed ebbero un ruolo importante nello sviluppo dell’alimentazione occidentale, in quanto erano piante
adattabili a diversi tipi di clima e a rendimento alto.
Le nuove terre offrivano in abbondanza i loro preziosi prodotti ai colonizzatori e al tempo stesso
diventavano un mercato per altri lucrosi affari.
Nella seconda metà del Cinquecento con la distruzione quasi totale delle popolazioni indie,
nell’America spagnola e portoghese cominciò a scarseggiare la manodopera. Ebbe cosi inizio il
commercio degli schiavi neri.
Doc. 16 → testimonianza di mercante fiorentino.
Gli schiavi provenivano della regione del Golfo di Guinea, dove i portoghesi avevano stabilito le basi
commerciali. Comperati o catturati, poi trasportati sulle isole dell’arcipelago di Capo Verde, gli
africani venivano acquistati dagli spagnoli che a loro volta li rivendevano in America.
Il commercio di schiavi inoltre era fortemente condizionato dalla presenza di pesanti forme di
protezionismo e mercantilismo che per lungo tempo lo resero praticabile quasi solo dai sudditi degli
Stati che possedevano le colonie.
Doc. 17 → proviene dalla stessa fonte e mostra aspetti generali dello scambio tra la Spagna e il
Portogallo da un lato e le Americhe dall’altro. Le colonie fornivano grandi abbondanze di metalli
preziosi e necessitavano di “mercanzie” sofisticate, destinate al consumo degli europei che vi si erano
stabiliti.
Diversa era la situazione in Estremo Oriente, dove i portoghesi, a partire dal loro arrivo in India,
attraverso la circumnavigazione dell’Africa, avevano creato un vasto impero commerciale. Le colonie
portoghesi in Asia si trovavano a fronteggiare civiltà molto evolute: gli imperi cinese, indiano e
giapponese. Esse pertanto furono limitate a piazzeforti strategiche localizzate quasi sempre sulle coste.
15
I portoghesi nonostante tutto trassero notevoli profitti dai commerci delle spezie e dei tessuti pregiati
altamente richiesti in Europa (doc.18).
A partire dal secondo ‘500 e dal ‘600 in avanti, il declino economico della Spagna e del Portogallo
cominciò ad avere pesanti ripercussioni sui loro affari con le colonie. Ne trassero vantaggio potenze
commerciali più dinamiche e innovative come l’Olanda e l’Inghilterra.
L’episodio più significativo di questo passaggio di consegna nel commercio internazionale è la
cessione ufficiale dell’asiento (=esclusiva) della tratta degli schiavi neri all’Inghilterra, avvenuta al
termine della Guerra di successione spagnola, nel 1713. Con quell’atto, Filippo V dava espressione
giuridica di una realtà ormai sotto gli occhi di tutti (doc.19).
5 – I “selvaggi”: la riflessione sull’uomo
Le scoperte geografiche e l’espansione coloniale misero gli europei di fronte a intere civiltà totalmente
sconosciute e che non potevano rientrare negli schemi dello sviluppo dell’umanità comunemente
accettati.
L’incontro con queste popolazioni costituì per molti una sfida intellettuale che consisteva nel riflettere
non solo sui “selvaggi” ma anche su sé stessi e sul significato di “civiltà europea”.
Doc. 20 → esempio di “grado zero” di riflessione. Michele de Cuneo manifesta un’incomprensione
quasi totale per gli uomini da lui osservati. Egli traduce in termini a lui familiari ciò che i suoi occhi
vedono. A questa opera di “traduzione” corrisponde un atteggiamento di condanna morale e infine di
disprezzo.
Doc. 21 → Bartolomé de Las Casas tiene un atteggiamento opposto. Nell’intento di denunciare le
atrocità commesse dai suoi connazionali, il domenicano spagnolo vide negli indios tutte le qualità
positive che un missionario come lui poteva desiderare.
Las Casas si può considerare uno dei fondatori del “mito del buon selvaggio”, concezione secondo la
quale gli esseri umani sarebbero virtuosi per natura, questo implicava un ottimismo sull’uomo.
Questo concetto sarebbe stato pienamente sviluppato dal filosofo illuminista Rousseau.
Doc.22 → Diverso il modo che ebbe Francisco de Vitoria, altro teologo domenicano, di difendere gli
indios. Egli fondò le sue tesi sulla teologia scolastica e sul diritto. Le sue posizioni erano esposte con il
metodo della queaestio, classica disputa universitaria.
Dietro a un linguaggio arcaico, si celavano posizioni assai progredite e anticonformiste.
Doc. 23 → All’altro capo del mondo gli europei ebbero a che fare con civiltà più sviluppate. Nel
valutare l’invettiva dei mercanti arabo-indiani che per primi videro giungere i portoghesi occorre tener
conto della rivalità commerciale e religiosa (islam vs cristianesimo).
Doc. 24 → ci troviamo in un’altra area che offrì molte resistenze alla penetrazione europea: il
Giappone. L’ardore missionario e gli innovativi metodi propagandistici della Compagnia di Francesco
Saverio e i suoi compagni (che compirono molte osservazioni sui giapponesi) , spinsero i membri a
imparare la lingua e a immergersi nella cultura dei paesi in cui vivevano; le loro testimonianze
rimasero per lungo tempo le uniche fonti affidabili sull’Estremo Oriente.
Doc. 25 e 26 → parlano nuovamente dei “selvaggi” americani, uno attraverso l’osservazione diretta,
l’altro con riflessione condotta sulle fonti.
Lo sguardo sugli indios di Jean Léry e Michael de Montaigne era più raffinato e disincantato rispetto
a quello dei loro predecessori.
Entrambi trassero dal confronto con altre civiltà diversi spunti di critica nei confronti dell’Europa.

• Léry con la sua morale da calvinista prendeva pretesto della nudità degli indios per biasimare
gli “eccessi” del lusso occidentale.

• Montaigne comprendeva appieno la natura rituale del cannibalismo, meno condannabile ai


suoi occhi, delle crudeltà dei portoghesi, ma arrivava anche a superare l’etnocentrismo di
colonizzatori e missionari in nome di un moderato e scettico relativismo culturale.
Doc. 27 → una variante del “mito del buon selvaggio” venne proposta da Ludovico Antonio
Muratori. La “felicità” degli indios paraguaiani dipendeva non solo, e non tanto, dalle loro
inclinazioni naturali, bensì dall’opera civilizzatrice dei gesuiti, che avevano creato nei loro territori
delle strutture che egli paragonava alle chiese del cristianesimo primitivo. Muratori aveva in realtà
selezionato dalle sue fonti solo gli elementi che confermavano questa sua convinzione. La sua opera
appartiene al genere dell’utopia più che del saggio critico.

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CAP V – La politica: la nascita dello Stato moderno
1 - Le idee
La riflessione sui modi in cui gli uomini organizzano e riuniscono la società e istituiscono gerarchie e
poteri, fino a giungere agli Stati, organismi complessi ed articolati, costituisce un punto di riflessione
molto importante per quanto riguarda la “prima età moderna”.
Niccolò Machiavelli maturò nel corso della crisi che investì gli Stati italiani tra 1400 e 150.
Gli scritti di Machiavelli rappresentano il riflesso di tale crisi e la volontà di superarla.
Nel 1513 scrisse “Il Principe”, con l’intenzione di tracciare il profilo di un capo di stato privo di
debolezze, quelle debolezze che avevano caratterizzato i governi italiani fino ad allora.
Le leggi della politica dovevano derivare unicamente da: esperienza e “necessità”→ riconoscimento di
una moralità intrinseca alla politica autonoma e diversa dall’etica cristiana.
La riflessione di Machiavelli si sofferma sull’individuo, rivelando la sua piena appartenenza al
Rinascimento italiano (doc.1).
Jean Bodin visse negli anni in cui le guerre di religione tra cattolici e protestanti scossero
profondamente il regno di Francia, fino a far vacillare la monarchia.
Bodin fu impegnato in politica. Egli si riconobbe nel gruppo dei cosiddetti “politiques”, coloro che
rifiutando l’estremismo distruttivo delle fazioni in lotta, caldeggiavano una pacificazione religiosa in
funzione del rafforzamento dello Stato e della monarchia.
Nei suoi “Six livres de la République”, la riflessione sul concetto di sovranità occupa un posto centrale
(doc.2). E’ stato a lungo identificato come fautore dall’assolutismo monarchico. In effetti la sua
affermazione secondo cui il marca è svincolato dalle leggi che egli stesso emana sembra andare
proprio in quella direzione; tuttavia, Bodin ammetteva l’esistenza di leggi superiori, che neppure il re
era autorizzato a violare: ad esempio la legge divina, le leggi costitutive del regno come quelle che
regolavano la successione al trono (doc.3).
Thomas Hobbes teorizzò una sovranità ancora più assoluta di quella delineata da Bodin; il suo punto
di vista è ben espresso nella sua opera più famosa: Leviathan (doc.4). Le turbolente vicende della
Rivoluzione inglese contribuirono senza dubbio ad infondere nelle sue concezioni politiche e
metafisiche una particolare insistenza sull’obbedienza all’autorità.
Per Hobbes lo stato di natura è in realtà una guerra di tutti contro tutti; l’uomo naturale può porre
fine a questa situazione creando un uomo artificiale, cioè lo Stato. È a questa entità che i singoli
trasferiscono gran parte dei loro diritti; ma una volta realizzata questa costruzione vive una vita
propria e fa sì che l’interesse della collettività coincida con l’interesse dello Stato; non sono ammesse
né discussioni né patteggiamenti. Per questo le prerogative del sovrano sono vastissime.
Hobbes presta allo stato le fattezze di un mostro.
John Locke influenzò con la sua filosofia molti illuministi francesi.
Il suo punto di partenza è apparentemente simile a quello di Hobbes: anch’esso riconosce la natura
convenzionale delle istituzioni politiche e parla di un accordo di tutti gli uomini con i propri simili.
Ciò che ne risulta è l’esatto contrario di un potere svincolato da ogni controllo: per Locke il potere
legislativo e quello esecutivo devono essere separati, per garantire i sudditi dalle possibili tentazioni
autoritarie dei governanti. Questo principio è ancora alla base di molte democrazie occidentali
moderne. Locke può essere considerato il capostipite del pensiero politico liberale; è significativo che
egli consideri la conservazione della proprietà privata ( che secondo lui era un diritto naturale ) come
uno dei principali fini delle istituzioni politiche.
2- Le istituzioni e la pratica della politica tra Cinquecento e Seicento
Difficile è tracciare una linea evolutiva per quanto riguarda i modi e le forme in cui si manifestò
concretamente il potere politico nella prima età moderna.
Alcuni sviluppi accomunano però gran parte degli Stati dell’Europa occidentale. All’inizio dell’età
moderna, specialmente nelle monarchie vi fu:
1. Un processo di unificazione territoriale e di centralizzazione: venne ridotto il ruolo dei feudi e
delle aree esenti dalla giurisdizione dei monarchi.
2. A causa del continuo stato di guerra aumentò il peso delle imposte; di conseguenza monarchie
e repubbliche dovettero dotarsi di un efficiente apparato di riscossione, esteso su tutto il
territorio.
Questi mutamenti uniti alla crescente complessità dei governi centrali, avviarono il lungo processo di
burocratizzazione, una delle principali caratteristiche della nascita degli Stati moderni.
17
La catena di rapporti di fedeltà personale tipica del feudalesimo medievale venne sostituita da
un’organizzazione in cui la struttura prevaleva sulle persone.
Venne introdotto il moderno concetto di “ufficio”; gli uomini che occupavano questi incarichi
provenivano dalla borghesia, persone provenienti da un ceto che fino al allora non aveva mai
partecipato al potere.
Anche il modo in cui si rafforzarono i governi centrali presenta dei tratti comuni negli Stati
dell’Europa occidentale, in particolare sempre per le grandi monarchie, anche se i punti di arrivo dei
differenti percorsi potevano divergere enormemente.
Il potere dei re si dispiegava in tre ambiti:
• L’esercito, monopolio di uso della forza sia all’interno sia all’esterno dei confini dello Stato;
• La fiscalità;

• La giustizia: in questo settore si sviluppò una dialettica tra i monarchi e i corpi sociali dei vari
regni. Nel tardo Medioevo gli ordinamenti giuridici preseti in un dato territorio erano molti,
spesso in conflitto tra di loro.
Con la nascita e lo sviluppo delle monarchie moderne, la giustizia dei re in parte si sovrappose
ma in parte rispettò l’esistenza di quelle “giustizie particolari”, prive di codificazione.
In diversi paesi, il contrasto tra l’antico e il uovo diritto venne regolato all’interno di grandi
corti di giustizia che assumeranno il ruolo di sedi di confronto tra i monarchi e detentori di
diritti particolari.
Es. origine del Parlamento inglese (in parte ereditario, in parte elettivo) che con il tempo
divenne una vera e propria rappresentanza della popolazione del regno, dotata di potere
legislativo.
Quasi tutti gli Stati europei, conobbero forme di rappresentanza che erano rigorosamente divise per
ceti (nobiltà, clero, terzo stato), ognuno contraddistinto dal possesso di particolari diritti o prerogative.
Il parlamento inglese può considerarsi una delle prime autentiche forme rappresentative dell’età
moderna.
Caratteristiche salienti dei principali Stati europei:
Spagna : nonostante il matrimonio tra Ferdinando re d’Aragona e Isabella regina di Castiglia
(dal 1469 al 1512), i due regni ebbero monarchi distinti; nel 1506 era re di Castiglia Filippo
d’Asburgo, detto il Bello, figlio dell’imperatore Massimiliano I e sposo di Giovanna, figlia di
Ferdinando e Isabella.
Anche dopo l’unificazione le due parti del regno rimasero istituzionalmente separate sotto molti
aspetti. Continuarono ad esistere rappresentanze, dette Cortes, per la Castiglia e altre per l’Aragona.
La forza che la monarchia castigliana aveva acquisito dopo la fine della riconquista risulta evidente
anche dalla composizione delle Cortes nelle quali erano presenti esclusivamente i rappresentanti delle
diciotto città castigliane con diritto di voto alle Cortes. Venivano trattate soprattutto questioni fiscali
per cui nobiltà e clero non avevano interesse a partecipare. Tali assenze limitavano fortemente il peso
politico delle assemblee.
Le richieste dei rappresentanti ci fanno intravedere le esigenze dei sudditi e la politica attuata dai
monarchi.
1. Si chiedeva che il principe Carlo (futuro Carlo V, figlio di Filippo) crescesse e venisse
educato in Spagna, anziché nei Paesi Bassi dove era nato.
La richiesta rimase insoddisfatta, è evidente il bisogno della presenza fisica del sovrano e
l’esigenza di un e che condividesse la lingua e la cultura dei suoi sudditi.
Il giovane, una volta diventato re di Spagna, si sarebbe scontrato con la propria estraneità al
regno.
2. La seconda richiesta illustra la centralità della giustizia tra gli attributi della sovranità: i sudditi
rappresentavano il loro re come un giudice supremo.
3. L’ultima richiesta esprime la dialettica tra centralizzazione regia e diritti locali, cittadini.
Francia: nel 1500 l’unificazione legislativa e amministrativa del regno di Francia era molto più
solida. L’ordinanza generale emanata a Villers-Cotterets rappresentava uno degli innumerevoli
interventi legislativi attraverso cui i re di Francia si sforzarono di conferire uniformità legislativa e
18
amministrativa al loro regno (doc.7). Riguardava soprattutto la giustizia, ambito nel quale, dietro
l’obiettivo dichiarato di « rendere i processi più brevi » si vede la volontà dei monarchi di affermare le
proprie prerogative in un ambito fondamentale per la sovranità.
Francesco I lo fece innanzitutto nei confronti della Chiesa, i cui privilegi venivano fortemente limitati
rispetto al potere secolare. La compenetrazione tra Chiesa e Stato si rese evidente nell’ordine
impartito dal re al clero di Francia di istituire i registri battesimali.
Doc.8 → tratto dalle memorie del cardinale Richelieu.
Narra lo svolgimento della riunione degli Stati Generali di Francia nel 1614.
Dopo l’assassinio di Enrico IV a opera di un estremista cattolico, il successore Luigi XIII, ancora
minorenne, si trovava sotto tutela della reggente, la regina madre Maria de’ Medici, mentre parte
della nobiltà contestava apertamente il governo.
Attraverso il racconto possiamo osservare la procedura dei lavori: una delle questioni più importanti
che vennero sollevate fu la vendita delle cariche pubbliche e la tassa che consentiva di renderle
ereditarie. Su questo punto vi fu una netta spaccatura tra nobiltà e clero, i quali intendevano far
dipendere privilegi e incarichi unicamente dalla nascita, e il terzo stato, per il quale invece la
possibilità di acquistare cariche pubbliche era un importante fattore di ascesa sociale. Non vi fu una
conclusione precisa nell’assemblea. Gli Stati Generali non sarebbero più stati convocati fino al 1789.
La Francia appare come uno degli stati europei in cui si realizzò maggiormente un governo di tipo
assolutistico. L’apogeo del potere monarchico si ebbe durante il regno di Luigi XIV. L’aspetto più
significativo della sua politica interna fu il massiccio uso degli intendenti (doc.9), ufficiali inviti nelle
province con poteri straordinari e dipendenti direttamente dal re, strumento fondamentale per
l’unificazione politica e amministrativa del regno.
Inghilterra: doc.10 → dal giuramento di fedeltà prestato dal clero inglese a Enrico VIII emerge una
caratteristica generale del potere monarchico nella prima età moderna: la tendenza a sottomettere alla
propria volontà anche questi settori che tradizionalmente erano vincolati ad altre obbedienze, come il
clero. Praticata da tutti i sovrani europei, questa politica in Inghilterra assunse caratteristiche
particolari dopo l’Atto di supremazia, secondo cui il re rappresentava l’unico vertice della Chiesa
nazionale inglese “anglicana”.
La Riforma in Inghilterra, fu, alle sue origini, un fatto politico più che religioso; infatti per tutto il
regno di Enrico VIII mutò solo la forma organizzativa della Chiesa, i dogmi restavano cattolici.
Doc.11 → l’ambasciatore Daniele Barbaro descrisse bene le peculiarità dell’ordinamento politico
inglese secondo cui accanto alla potestà regia assoluta, rappresentata dal cancelliere e dai tribunali
speciali istituiti dal re vi era un’imprescindibile centro di potere: il Parlamento. Benchè sottoposto per
molti aspetti al potere del re, deteneva un potere legislativo più forte rispetto ad altre analoghe
assemblee di altri Stati europei.
Impero : doc. 12 → con le parole di un ambasciatore veneziano descrive la complessa realtà del Sacro
Romano Impero. L’imperatore possedeva doppio status: di sovrano e di monarca.
Carlo V era anche re di Spagna. Di fatto, l’impero era una congerie di Stati di diversa natura ognuno
dei quali era retto da un proprio governo, principesco, ecclesiastico o repubblicano.
Le uniche istituzioni unitarie erano il Consiglio di Giustizia e le Diete.
Se Carlo V fece di tutto per rispettare le consuetudini e le leggi dei territori sotto la sua sovranità di
imperatore, non così si può dire dell’operato di suo figlio Filippo II che ereditò Spagna e Paesi Bassi.

Egli cercò di ispanizzare quei territori attraverso una politica assolutistica, con l’imposizione della
religione cattolica, l’uso di personale spagnolo nei posti di responsabilità e pesanti imposte che
colpivano il fiorente commercio olandese.
Il risultato fu lo scoppio di una grande rivolta da cui nacque la Repubblica delle Provincie Unite.
Nel 1581 gli Stati Generali della nuova repubblica dichiararono decaduto Filippo II dal suo diritto di
sovranità (doc.13) → esempio di come le “antiche libertà” potessero divenire il fondamento di un
diritto di resistenza all’autorità e uno strumento rivoluzionario. La Repubblica divenne un centro di
accoglienza per gli oppositori dell’assolutismo di tutta Europa.
Svezia e Danimarca : area geopolitica con molti tratti comuni ma attraversata anche da forti conflitti.
Con “area scandinava” si intende designare l’insieme dei territori corrispondenti alle attuali
Groenlandia, Islanda, isole Føroyar, Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e isole Svalbard.
L’Unione di Kalmar tenne assieme le tre entità politiche che si contendevano il potere in quest’area: i
regni di Danimarca, Svezia e Norvegia. La Svezia si staccò dagli altri due regni a metà del 1400.
19
L’introduzione della Riforma Protestante diede ai re danesi e svedesi un valido aiuto per la
costruzione di strutture statali di tipo moderno.
Una serie di conflitti forgiarono definitivamente l’identità politica dei due regni. I conflitti erano
incentrati sul predominio nel commercio tra il mar Baltico e il Mare del Nord.
Fino agli inizi del XVII sec. la potenza egemone era stata la Danimarca; verso la metà del secolo la
forza politica e militare della Svezia si impose.
Con le due paci di Brömsebro (1645) e di Roskilde (1658), i re svedesi sottrassero ai loro rivali il
monopolio del passaggio per lo stretto di Oresund ( tratto che congiunge mare del Nord e Baltico) e
recuperarono la Scania e altri territori in mano ai danesi.
La Svezia divenne dominatrice del Mar Baltico. Nel secolo successivo tale primato venne conteso
dalla Russia.
Queste guerre ebbero importanti ripercussioni all’interno dei paesi scandinavi:

• L’organizzazione e il finanziamento degli eserciti imponevano la costruzione e il


mantenimento di apparati burocratici e fiscali tipici dello Stato moderno;
• Lo stato di guerra spinse la politica sempre più verso l’assolutismo.
La Danimarca, a seguito delle ripetute sconfitte militari contro la Svezia si diede un nuovo
ordinamento: la monarchia danese che dal 1665 si trasformò in una monarchia assoluta
(doc.14).
Polonia e Russia : in Polonia il monarca veniva eletto dall’assemblea dei nobili del regno.
Dopo la morte dell’ultimo rappresentante della dinastia degli Jaelloni, il potere della nobiltà, già
molto forte, si accentuò ulteriormente, tanto da riuscire a condizionare i sovrani.
Questi ultimi appartenevano spesso a dinastie straniere (doc.15).
A partire dal regno di Ivan IV il Terribile, la Russia si trasformò in un vero e proprio impero,
estendendosi sempre più verso oriente e contemporaneamente rafforzando le proprie strutture interne.
Questo processo lungo e laborioso incontrò in varie fasi l’opposizione della nobiltà russa, che scatenò
diverse rivolte.
Il codice del 1649 rappresenta la concezione personalistica e autoritaria che gli zar avevano del loro
potere; la minuziosa regolamentazione delle procedure di espatrio, un’efficace espressione del forte
isolamento che caratterizzò la Russia fino al 1700 (doc.16).
Impero ottomano : doc.17 → le parole di Antonio Barbarigo, ambasciatore residente con
giurisdizione sui suoi concittadini abitanti a Costantinopoli, descrivono la vastità dell’Impero
ottomano superiore a qualsiasi altra formazione politica europea.
L’assenza di una stratificazione sociale basata sul predominio della nobiltà in cui tutti erano sudditi del
sultano allo stesso titolo, rappresentava una differenza fondamentale rispetto agli Stati della cristianità
occidentale.
L’ambasciatore veneziano riscontrava, da un lato, “l’infinita obbedienza” dei sudditi, che consisteva in
grande disciplina, soprattutto dal punto di vista militare; dall’altro rivelava l’arbitrio di un potere
apparentemente senza limiti → “dispotismo orientale”.
La descrizione delle udienze dell’imperatore non dipinge una realtà molto lontana dal modo in cui i
sovrani europei sbrigavano le loro pratiche e ascoltavano i sudditi. È evidente l’avversione feroce del
governo ottomano nei confronti degli spagnoli e anche l’indifferenza nei confronti del papa.
Uno stato italiano : doc.18 → lo sguardo dell’ambasciatore veneziano Vincenzo Fedeli sulla Toscana
di Cosimo I de’ Medici restituisce un’immagine ricca di contrasti: alla tranquillità e alla grande
prosperità economica corrispondeva un regime di assolutismo principesco che il suddito di una
repubblica vedeva con profondo orrore. La relazione oltre che il lamento per la libertà perduta dei
fiorentini, lascia intravedere anche uno Stato ben provvisto di strutture giudiziarie e amministrative e
tenuto insieme da una rete di “podestarie, di vicarie e di capitaneati” fuori dalle città. Anche le piccole
entità politiche italiane intrapresero quella via alla modernizzazione e alla costruzione dello Stato
caratteristica di tutto l’Occidente europeo.

CAP VI – La religione: dall’età della Riforma e della Controriforma all’Illuminismo cristiano

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1 – La cristianità tradizionale
Prima della Riforma il cristianesimo europeo era una “lingua” condivisa da tutti dove gli dottrinali
occupavano uno spazio ristretto nella vita dei credenti.
In seguito alla Riforma protestante i fedeli di tutte le Chiese vennero costretti ad aderire a un insieme
di dottrine prestabilite in modo rigoroso dalle rispettive autorità.
Nel Medioevo, a un nucleo ristretto di poche idee fondamentali, corrispondeva una vastissima gamma
di pratiche e di comportamenti religiosi.
All’interno di questo variegato insieme che può essere definito come “pietà” ovvero “devozione
religiosa” vengono riportati due esempi significativi:
Doc. 1 → riguarda gli aspetti privati della devozione; preghiere e rituali messi in atto dal mercante
fiorentino Giovanni Morelli in occasione del primo anniversario della morte del figlio.
Nelle sue parole si intravede uno degli aspetti più importanti della religione cristiana cosi com’era
vissuta dai fedeli, ovvero il suo significato di comunicazione tra mondo dei vivi e mondo dei morti: è
per la salvezza dell’anima del figlio che il padre comincia a pregare Cristo, la Madonna e i Santi;
questi ultimi si presentano come intermediari tra sé e Dio, la loro caratteristica è la “misericordia”.
Morelli prega tenendo davanti a sé una immagine che osserva e bacia.
Il suo sguardo si dirige e si sofferma sul crocifisso e sulle piaghe di Cristo, sull’espressione addolorata
della Vergine e di San Giovanni.
L’immagine usata da Morelli, come le innumerevoli rappresentazioni sacre dell’epoca, faceva
trasparire l’umanità, la fisicità, la sofferenza di Cristo. Essa esaltava il valore salvifico del suo
sacrificio. Il credente veniva spinto a un confronto tra la perfezione di Cristo e la propria vita da
peccatore. Un confronto angoscioso che rischiava di portare alla disperazione.
Morelli trova conforto e fiducia in una serie di gesti , riti e preghiere che lo impegnano con corpo e
anima. Egli è certo che le sue richieste verranno esaudite.
La devozione di quest’uomo resta un fatto privato ed il documento che lo testimonia è quasi unico. Il
cristianesimo tardomedievale, tuttavia, era profondamente integrato alla vita associata, fin quasi a
identificarsi con essa. In nome di Cristo, della Vergine e dei Santi veniva compiuta gran parte degli
atti pubblici, anche quelli civili.
Doc.2 → La dimensione pubblica della religione tardomedievale, rivolta non solo alla devozione ma
anche alle opere di misericordia, è ben rappresentata dagli statuti della Confraternita di Santa Maria
della Vita di Bologna. Le confraternite laicali di fedeli si associavano per pregare e per assistere
poveri e malati; questo fenomeno ebbe una vastissima diffusione in tutta Europa.
Nelle confraternite l’osservazione dei precetti della religione era molto più rigorosa del normale,
infatti, questi gruppi possono essere considerati anche un tentativo di progredire nella via della
perfezione cristiana. La dimensione collettiva e comunitaria tipica delle confraternite è messa in
rilievo dalle disposizioni sulla recita in pubblico delle colpe dei confratelli e da quelle sull’assenza
reciproca in caso di malattia.
Doc.3 → la vita religiosa dei laici era piuttosto intensa; questa affermazione non si poteva sempre fare
per il clero. Francesco Gucciardini ci mostra come il papato, all’inizio dell’età moderna, si fosse
trasformato in una potenza politica terrena che stava abbandonando il lato spirituale.
Nel documento non appare solo la gravità delle accuse di avidità e immoralità rivolte ad Alessandro
VI, ma anche il fatto che le uniche doti riconosciute al pontefice fossero adatte più a un capo politico.
Avidità, ignoranza e vizi venivano rimproverati al clero secolare.
La situazione non era migliore nel clero regolare: anche frati e monaci erano frequentemente accusati
di comportamenti scandalosi e immorali.
Doc. 4 → L’umanista Erasmo da Rotterdam si sofferma su un altro aspetto della religiosità del clero
regolare ovvero il loro attaccamento agli aspetti più ritualistici e deteriori del cristianesimo che
rischiavano di occultare l’autentico messaggio delle Sacre Scritture.
Il contributo di Erasmo al cristianesimo occidentale fu molto importante. L’amore per la cultura
classica e l’esperienza di filologo ed editore gli fecero comprendere che la parola di Dio, essendo stata
comunicata agli uomini con il loro linguaggio, andava sottoposta a un vaglio critico, per stabilirne
precisamente il significato ed evitare i fraintendimenti che si erano creati a causa delle continue
trascrizioni e traduzioni in altre lingue.

Erasmo fu il primo a concretizzare una traduzione latina del Nuovo Testamento che interpretava
l’originale greco.
La corretta comprensione delle Scritture e dei fondamenti della fede cristiana dipendeva dalla
conoscenza delle lingue e delle culture ebraica, greca e latina in cui erano state trasmesse (doc.5).
21
Fu una vera e propria rivoluzione che costò ad Erasmo, oltre che a elogi, anche accuse e condanne.
Secondo l’umanista olandese la teologia com’era stata fino ad allora studiata e insegnata andava
cancellata e sostituita dallo studio delle Scritture attraverso grammatica e filologia.
2 – La Riforma protestante
Inizialmente quella di Lutero non fu tanto una “protesta” quanto una “scoperta” religiosa.
Ciò che tormentava il frate agostiniano era l’angoscia per i propri peccati ed il senso di nullità al
cospetto di Dio.
La coscienza religiosa di Lutero non seppe acquietarsi attraverso i rimedi offerti dal cristianesimo
tradizionale (preghiere, veglie, digiuni, mortificazioni); nemmeno l’assoluzione del confessore lo
lasciava tranquillo.
Doc.6 → questo documento è una ricostruzione offerta da Lutero stesso. La soluzione ai propri
tormenti era arrivata improvvisamente durante una meditazione sulle Scritture.
L’uomo non poteva fare nulla per la propria salvezza: soltanto Dio poteva regalare agli uomini la
propria giustizia attraverso la fede.
Questo concetto era un completo ribaltamento della concezione tradizionale che annullava ogni
“merito” umano nei confronti di Dio.
Nulla di umano contava ai fini della salvezza, tutte le opere buone prescritte o raccomandate dalle
autorità ecclesiastiche erano inutili. Ciò non significava una completa libertà da ogni vincolo morale,
bensì unicamente la negazione del legame tra azioni umane e accumulo di meriti di fronte a Dio.
Togliere ogni idea di merito significava, tuttavia, troncare il ponte tra Dio e gli uomini che la Chiesa
cattolica aveva costruito nel corso dei secoli, un ponte fatto di messe, digiuni, pellegrinaggi ed
indulgenze.
Proprio sulla questione delle indulgenze Lutero si scontrò duramente con il papato: negando il valore
assoluto dell’indulgenza scalzava uno dei fondamenti del potere ecclesiastico.
Doc.7 → nell’inasprirsi dell’incontro Lutero sottopose a minuziosa verifica i sacramenti.
Il riformatore giudicò validi soltanto battesimo ed eucarestia.
La negazione di una distinzione tra chierici e laici basata su un sacramento e l’obbligo del celibato
ecclesiastico abbatteva un altro pilastro su cui si era retto il potere della Chiesa fino ad allora.
Cominciava la costruzione di una nuova Chiesa e finiva l’unità del cristianesimo occidentale.
Lutero dopo questa “fase rivoluzionaria” venne scomunicato dal Papa e bandito dall’Impero.
Iniziò così la costruzione di un nuovo ordine basato sull’obbedienza al potere politico : Lutero
esigeva obbedienza alle autorità da parte dei suoi fedeli in quanto principi, monarchi e governanti
erano tali per volere di Dio ( dichiarazione del trattato sull’autorità secolare, 1523 – doc.8 ).
Questo aspetto negava :
• La pretesa di superiorità del papa sui sovrani temporali;
• I tentativi dei teologi radicali di ribellarsi al potere politico sulla base di motivi religiosi.
La frattura aperta da Lutero diede vita ad un’ulteriore suddivisione della cristianità : Zwingli e
Calvino a loro volta furono fondatori di nuove Chiese.
1. Zwingli : si distaccò dalla posizione di Lutero. La sua formazione di umanista e studiosi di
classici lo portò a interpretare le Scritture con una prospettiva ancora più radicale di quella
luterana, Esso escluse dal proprio credo la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo
nell’eucarestia, che venne così ricondotta al significato simbolico della commemorazione
della passione e morte di Gesù.
Escluse tutte le immagini sacre, considerate come una forma di idolatria, dai luoghi di culto
(doc.9).
Ciò che distinse maggiormente Zwingli (e in seguito Calvino) dalla Riforma luterana era la
riflessione più articolata sul vincolo che tiene uniti i cristiani, sulla Chiesa.
2. Giovanni Calvino : le sue argomentazioni partono dall’idea di potenza e della maestà
assolute di Dio (doc.10).
E’ questa la premessa da cui derivano :
• Il principio di giustificazione per sola fede (condiviso da tutti i riformatori);
• La dottrina della doppia predestinazione secondo cui Dio concede, sin dall’eternità, la
salvezza per alcuni e la dannazione per altri.
Secondo Calvino il credente si deve conformare a quest’ultima concezione senza interrogarsi
22
sui motivi.
L’azione politica dei calvinisti fu spesso tutt’altro che pacifica: Calvino, come tutti i
riformatori, predicava il rispetto verso il potere costituito, non per questo era a favore di una
obbedienza incondizionata all’autorità (doc.11). Per questo motivo il calvinismo sviluppò
molto più spesso del luteranesimo una forza rivoluzionaria capace di espandersi a macchia
d’olio e di resistere attivamente alle persecuzioni.
3 – La Riforma radicale. La tolleranza religiosa nelle idee e nei fatti
Lutero, Zwingli e Calvino →Riforma magistrale : ruolo dominante e la sua alleanza con potere
politico.
Accanto a questa è esistita una “Riforma radicale”, costituita da gruppi minoritari, perseguitati da
tutte le Chiese e da tutti gli Stati. Non si trattò di un movimento omogeneo, ma alcuni principi
fondamentali possono esserne considerati caratteristici.
La concezione della Chiesa, secondo i riformatori radicali era già scomparsa con la morte degli
apostoli. 4
Mentre nella comunità formata da Cristo e dagli apostoli si entrava volontariamente, una Chiesa
fondata sul battesimo dei neonati comprendeva invece la totalità degli abitanti del territorio su cui si
era stabilita quella chiesa.
I riformatori radicali vollero ripristinare il cristianesimo apostolico e perciò fondarono delle comunità
di cui facevano parte solo coloro che avevano sperimentato una conversione religiosa e un profondo
cambiamento interiore. Il battesimo doveva essere un segno visibile di quel cambiamento e doveva
quindi essere somministrato solo a coloro che avevano raggiunto l’età della ragione.
Essi vennero chiamati anabattisti, cioè ribattezzatori; non riconoscendo valido il battesimo impartito
ai neonati, ribattezzavano gli adulti che volevano entrare nella loro comunità.
Le comunità anabattiste erano “sette”, in termine tecnico, senza accezione negativa. La comunità era
comunque composta esclusivamente da membri volontari (doc.12).
Radicale separazione tra la Chiesa e lo Stato : la comunità cristiana, secondo gli anabattisti, non
doveva partecipare alla vita politica e civile perché tale partecipazione ne avrebbe compromesso lo
spirito evangelico; analogamente lo Stato non doveva avere il diritto di intervenire nelle questioni
religiose.
Il rifiuto di giurare e la repulsione per ogni forma di violenza, impedirono agli anabattisti di ricoprire
cariche pubbliche e di compiere atti civili validi. Essi vennero considerati come una minaccia dalle
autorità politiche e religiose europee in quanto minavano alla base l’alleanza tra potere politico e
potere religioso che costituiva il fondamento del cattolicesimo e della Riforma.
L’anabattismo è dunque il filone principale della Riforma radicale. Nonostante il filone fosse
caratterizzato da comportamenti pacifisti, non mancarono casi in cui contrappose una violenza
rivoluzionaria : Thomas Muntzer è un esempio.
Caratteristica importante del suo pensiero è l’accentuato spiritualismo: il criterio di verità nelle
questioni religiose non è solo la Scrittura (com’era invece per Lutero), bensì la “parola interiore”, la
Scrittura interpretata attraverso l’ispirazione di Dio (doc.13).
Nella seconda metà del 1500 quando le Chiese si erano irrigidite e chiuse nelle loro ortodossie e
confessioni di fede, in pochi difesero la libertà di coscienza e tolleranza religiosa.
Fausto Sozzini fu uno di questi difensori. Fondamentale nel suo pensiero è la compiuta
formulazione della tolleranza religiosa (doc.15).

La Riforma radicale si può considerare alla base della tolleranza religiosa benchè nei fatti la
convivenza tra confessioni diverse si impose solo dopo sanguinose battaglie, su iniziativa delle
autorità secolari che vedevano nella pace tra i loro sudditi una condizione indispensabile per
consolidare il proprio potere.
Carlo V si fece rappresentare dal fratello Ferdinando per celebrare la Pace di Augusta 1555
(doc.16a). Essa sanciva la legittimità della Chiesa evangelica, che poteva convivere con il
cattolicesimo solo all’interno dell’Impero inteso come organismo politico: i singoli Stati dell’Impero
– con eccezione delle libere città imperiali – dovevano essere monoconfessionali (cuius regio, eius,
religio = chi governa decide la confessione religiosa).
I problemi lasciati aperti dalla Pace di Augusta furono uno dei motivi dello scoppio della Guerra dei
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Trent’anni, che con la Pace di Vestfalia, stabilì il principio della tolleranza religiosa su basi più
solide.
L’editto di Nantes, emanato da Enrico IV nel 1598 (doc.16b) consentiva la coesistenza di due
confessioni religiose diverse all’interno di un organismo politico unitario vasto come quello del
regno di Francia.
Questo editto sanciva una libertà più estesa rispetto alla Pace di Augusta.
La sua dipendenza dal volere del sovrano tuttavia fu anche la sua debolezza: Luigi XIV nel 1685
rievocò l’editto, in virtù del principio sottolineato da Bodin, secondo cui un re non poteva essere
vincolato da leggi emanate dai suoi predecessori.
4 – Mutamenti nel cattolicesimo: il Concilio di Trento e la Controriforma
La Chiesa cattolica aveva cominciato a riflettere sui propri problemi ancora prima della crisi provocata
dall’impatto con la Riforma.
Con “Riforma cattolica” si intende quel moto di rinnovamento interno alla Chiesa che, in un primo
momento, si era sviluppato indipendentemente dalla polemica contro il cristianesimo.
Il cosiddetto Libellus ad Leonem X 5(doc.17), opera dei camaldolesi veneziani Vincenzo Querini e
Paolo Giustiniani , viene considerato una delle espressioni più significative di tale tendenza.
L’esigenza di una riforma interna alla Chiesa cattolica – affidata del tutto al pontefice –
contemplava il ricorso pesante a strumenti coercitivi come ad esempio la politica conversionistica nei
confronti degli ebrei, oppure la proposta della censura libraria.
Entrambe queste premesse sarebbero state realizzate qualche decennio più tardi, in piena età della
Controriforma, ad opera di una Chiesa rafforzata e rinvigorita dalla lotta contro la Riforma protestante
e dal Concilio di Trento.
A partire dagli anni Cinquanta del 1500, l’Inquisizione romana ( 1542) assunse un ruolo centrale
nella Chiesa cattolica, condizionando anche i conclavi e l’operato dei pontefici.
Le innovazioni proposte da Querini e Giustiniani - riguardo la semplificazione degli ordini religiosi -
non vennero recepite, al contrario si ebbe una complicazione ulteriore degli ordini e congregazioni.
Le nuove istituzioni nate nella Chiesa del ‘500, si differenziavano dalle altre per una più rigorosa
selezione dei propri membri e per un rinnovato impegno nelle attività caritative, nella propaganda
religiosa e nell’evangelizzazione.
Uno dei più importanti ordini nati in questo periodo era la Compagnia di Gesù che divenne in breve
tempo uno dei principali e più attivi sostegni del cattolicesimo romano.
I gesuiti furono i principali protagonisti della riconquista cattolica di vaste zone in cui si era diffusa la
Riforma, come ad esempio la Polonia, completamente ricattolicizzata nel Seicento.
Essi compirono una vasta opera di evangelizzazione nelle campagne e nelle zone marginali,
soprattutto italiane, in cui l’istruzione religiosa, pur cattolica di nome, era carente o assente.
I gesuiti, come mostrano le loro Costituzioni (doc.18) erano dotati di grande determinazione.
La presenza di un quarto voto, faceva in modo che il gesuita si mettesse a completa disposizione del
pontefice. Il percorso per diventare un membro dell’ordine era caratterizzato da un lungo percorso di
esercizi spirituali e autoumiliazioni a cui il novizio doveva sottoporsi.
L’inquisizione e i gesuiti furono tra i più importanti strumenti della Controriforma.
Il Concilio di Trento fu lo sfondo teorico (doc.19) 1545-1563.
Portato a termine in tre fasi e pesantemente condizionato dalla complessa situazione politico-religiosa
europea, il Concilio riunì in sé le esigenze di autoriforma e al tempo stesso di combattere “l’eresia”
protestante attraverso rigorose definizioni dogmatiche (Controriforma).
Espressione di quest’ultima caratteristica sono i decreti riguardanti la giustificazione e i
sacramenti, formulati come condanne dalle dottrine riformate. Altrettanto importanti furono i
provvedimenti di autoriforma, sia per quanto riguarda il culto, sia per quanto riguarda il clero.
Il concilio delineò un modello ideale di vescovo che doveva essere “pastore del suo gregge”.
Il concilio influì notevolmente anche sugli aspetti della “vita civile”, che a quei tempi era
inseparabile dalla religione: il decreto sul matrimonio, riaffermandone la natura sacramentale,
trasformò quello che per lungo tempo era stato solo un contratto tra due famiglie in un atto religioso.
Il concilio di Trento rese obbligatoria la registrazione di battesimi, matrimoni e sepolture da parte
dei parroci.
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Lo slancio attivistico e missionario acquisito dalla Chiesa della Controriforma è chiaramente
avvertibile nell’attività dei gesuiti in quelle zone che, pur situate nel cuore della cristianità (come il
regno di Napoli) rivelano una estrema carenza di istruzione religiosa.
Dal resoconto del doc. 20 emerge la straordinaria sensibilità teatrale dei gesuiti, in grado di attrarre e
di impressionare le folle. Dietro l’apparente ribaltamento della gerarchia sociale messo in scena dai
padri della Compagnia, si scorge un coerente progetto di irreggimentazione delle masse in nome della
religione che si propagava discendendo la scala sociale fino ai “villani”.
5- Cristianesimo e lumi
La Chiesa cattolica resistette all’urto della Riforma e seppe trovare in sé stessa energie sufficienti
per rafforzarsi e consolidare la propria egemonia sulle zone dell’Europa rimaste fedeli a Roma.
La crisi apertasi con l’Illuminismo fu assai più profonda e di lunga durata e coinvolse tutte le
Chiese e le ortodossie cattoliche e protestanti.
Con il XVIII sec. finisce “l’età confessionale”, contraddistinta dalla suddivisione dell’Europa in due
blocchi contrapposti e reciprocamente impermeabili.
Gli esiti della parte più vivace e innovatrice della cultura, sembrano incompatibili con qualsiasi tipo di
religione rivelata.
Almeno fino alla metà del Settecento parve possibile a molti intellettuali europei una riforma del
cristianesimo secondo le nuove esigenze di moderazione, armonia e razionalità.
Doc.21 → nelle parole del moderato illuminista cristiano Ludovico Antonio Muratori si denota
un’attenzione particolare per le vicende terrene piuttosto che alla speculazione teologica.
Questo aspetto ridimensionò molto tutto l’apparato normalmente associato al cattolicesimo della
Controriforma.
Di grande importanza è poi il fatto che il giudizio di Muratori venisse, indirettamente ma
esplicitamente, pronunciato attraverso le parole di una “nobil donzella” inglese, calvinista, che
prendeva le distanze tanto dall’estrema semplificazione del culto riformato, quanto dall’esagerata
proliferazione di devozioni del cattolicesimo. Possiamo considerare questa circostanza come la fine di
un’epoca.
Al di sopra delle confessioni che continuavano a combattersi reciprocamente, risiedeva la “repubblica
letteraria”, alla quale Muratori apparteneva. Questa non conosceva confini di religione e dialogava
usando un linguaggio internazionale della filologia, dell’erudizione e della storia.

CAP. VII – Il Seicento: un secolo di crisi?


I – La crisi italiana e spagnola; il successo olandese e inglese
Gli studiosi si sono interrogati a lungo sull’esatta natura della “crisi del 1600”, senza però giungere ad
una valutazione concorde. L’unico elemento che può fornire un indicatore di una involuzione in atto
su scala europea è il consistente rallentamento di crescita demografica.
Dal punto di vista demografico ed economico-sociale, l’area che manifestò maggiori segni di disagio
fu quella mediterranea, ovvero la Spagna e gli Stati italiani.
La crisi economica italiana fu dovuta in particolare al crollo della produzione manifatturiera nelle
città, in particolare nel settore tessile (doc.1).
Questo rapido declino, secondo alcuni studiosi, era causato dai pesanti carichi fiscali che gravarono
su ogni settore dell’economia, soprattutto nelle zone d’Italia sotto diretto dominio ispanico, come ad
esempio lo Stato di Milano (doc.2) e dal coinvolgimento della Spagna nella guerra dei Trent’anni.
C’erano però ragioni più profonde della decadenza manifatturiera italiana:
1. I tessuti italiani non venivano più preferiti a quelli della concorrenza straniera: erano
rimasti troppo costosi rispetto a un mercato che si stava invece orientando verso la
quantità, la leggerezza e l’economicità. La rigida struttura delle corporazioni, che in altri
momenti si era rivelata efficace, impediva ora alle manifatture italiane di adeguarsi alle mutate
condizioni del contesto socio-economico (doc. 3a-3b). E’ anche vero però che nella seconda
metà del ‘600 si ebbe una forte ripresa delle campagne anche grazie all’introduzione di
nuove coltivazioni e al trasferimento di attività manifatturiere da città a centri minori.
2. Un altro aspetto importante della crisi secentesca italiana riguarda la cultura: se nell’età del
Rinascimento le città, università e corti erano luoghi dove si elaboravano continuamente
25
nuove idee, la pesante Controriforma fece calare su quel mondo una pesante cappa,
mettendo fine al primato culturale italiano e fu la causa principale di un ritardo destinato a
durare a lungo.
L’inquisizione romana e la Congregazione dell’Indice dei libri proibiti non ebbero solo
l’effetto di isolare gli intellettuali dai dibattiti religiosi innescati dalla Riforma protestante
ma, anche, quello di rendere chiusa e provinciale gran parte della cultura italiana (doc.4).
Anche la Spagna cominciò a mostrare segni di debolezza sempre più evidenti.
• La rivoluzione olandese, la Guerra dei Trent’anni e le rivolte del Portogallo e della Catalogna
inghiottirono un’enorme quantità di risorse umane ed economiche.

• I traffici mercantili e l’importazione di oro e argento dai possedimenti americani, dopo


aver raggiunto l’apogeo a fine ‘500, cominciarono a declinare (doc. 5), probabilmente a
causa del progressivo esaurimento di alcune miniere sudamericane.
In Spagna il 1600 fu il secolo dei cosiddetti “arbitrisas”, scrittori che additavano al potere politico i
mali di cui a loro giudizio soffriva la Spagna e proponevano rimedi. Alcune loro analisi possono
essere considerate ancora validi contributi alla comprensione di un fenomeno di non facile
interpretazione.

• Doc. 6 → restituisce la netta percezione di un progressivo peggioramento delle condizioni


di vita già molto viva negli osservatori dell’epoca.
• Doc. 6b → individua una delle ragioni più profonde della debolezza spagnola: grazie alle
ricchezze importate dai possedimenti americani, la Spagna ha potuto prosperare, ma ha
anche imparato a vivere di rendita, senza lavorare le materie prime e riesportare il
prodotto finito, impoverendo la propria economia. Era inevitabile che nei traffici
internazionali si inserissero potenze economiche e commerciali molto più dinamiche e
aggressive.
L’esempio più visibile è quello dell’ascesa al vertice dell’economia delle Province Unite, vittoriose
contro la Spagna. Gli olandesi all’inizio erano specializzati nel commercio di intermediazione
ovvero nell’acquisto di prodotti che venivano immagazzinati e poi rivenduti su altri mercati,
realizzando profitti.
Lo strumento prediletto dal capitalismo olandese erano le grandi compagnie commerciali fornite
di monopolio, la più celebre fu la Compagnia delle Indie Orientali.
Doc.7 → fornisce un’idea del vertiginoso sviluppo dei traffici della Compagnia lungo tutto il 1600.
Si trattava di una vera e propria agenzia coloniale che controllava il commercio e la produzione di
spezie e tessuti a Batavia (odierna Giacarta), dopo aver spazzato via la concorrenza portoghese.

Al fondo di questo successo olandese (doc.8) non vi erano solo ragioni puramente economiche;
grande importanza ebbero la struttura e la composizione sociale del governo repubblicano, nonché
fattori legati alla cultura e alla mentalità.
La lezione olandese fu ampiamente messa in pratica dall’Inghilterra, come mostrano i commerci
inglesi con l’Asia (doc.9), sia gli esiti della Gloriosa rivoluzione 1688-89 che sancirono la
subordinazione della monarchia britannica al Parlamento.
2- Guerre, rivolte e rivoluzioni
a) La Guerra dei Trent’anni (1618 -48) fu uno dei conflitti più vasti e disastrosi di tutta l’età
moderna e coinvolse le principali potenze europee.
I danni arrecati alla popolazione civile dagli eserciti furono incalcolabili e lasciarono un segno
profondo sulla società tedesca (operazioni militari svoltesi > negli Stati compresi nel S.R.Impero).
Doc. 10 → Grimmelshausen visse in prima persona le atrocità di questo conflitto e ne fornì una
testimonianza drasticamente ironica. Dalle sue parole emerge la cruda violenza della guerra, la
brutalità gratuita dei soldati che si abbandonavano a gesti di umiliazione nei confronti degli abitanti
dei villaggi.
In questo conflitto il fattore religioso giocò un ruolo fondamentale. Dopo la sua conclusione i
rapporti fra gli Stati europei furono sempre meno condizionati dalle diverse scelte confessionali:
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• Le clausole religiose del trattato di Osnabruck, inserite nella “pace di Vestfalia”, sancirono
definitivamente la rinuncia degli Asburgo alla cattolicizzazione forzata dell’Impero.
• La pace di Augusta tra Carlo V e i principi protestanti fu completamente superata: la
tolleranza venne estesa anche ai calvinisti, prima esclusi.
Il pluralismo confessionale venne consentito anche all’interno dei singoli Stati
dell’Impero, eccetto i domini diretti degli Asburgo. I sudditi non furono più costretti ad
abbracciare la confessione del principe (doc.11a).
L’Impero riconobbe ufficialmente gli Stati indipendenti delle Province Unite e della
Confederazione Svizzera.
Sul piano politico la Guerra dei Trent’anni vide il ritorno della Francia nel novero delle grandi
potenze politico-militari e l’ascesa di nuove forze, come la monarchia svedese.
Conseguenze politiche per l’Impero: fallito il tentativo di edificare una monarchia assoluta, gli
imperatori non poterono che confermare la struttura federale di quel vasto insieme di Stati sovrani.
b) Le due rivoluzioni inglesi : il Seicento fu anche un secolo di rivolte e rivoluzioni fallite e
soffocate nel sangue.
Nel caso delle due rivoluzioni inglesi il risultato fu invece vittorioso e capace di impregnare del
proprio spirito il futuro di una nazione.
Uno dei principali fattori in gioco fu quello religioso.
Il puritanesimo era una forma estrema di calvinismo, che si contrapponeva nettamente alla rigida
gerarchia della Chiesa nazionale anglicana, controllata dai vescovi e dal re.
Il puritanesimo fu il collante ideologico che consentì una mobilitazione generale contro il monarca
Carlo I Stuart, intenzionato a imporre la propria volontà contro i sudditi e i loro rappresentanti in
Parlamento.
L’Esercito di Nuovo Modello (New Model Army) di O.Cromwell, univa l’organizzazione e la
disciplina dei militari di professione alla coscienza rivoluzionaria dei puritani (doc.12).
Ben presto emersero profonde spaccature all’interno del fronte degli oppositori della monarchia, in
particolar modo nell’esercito.
Il gruppo dei Levellers che si esprimevano attraverso il linguaggio della religione, avanzò proposte
ispirate a principi di democrazia rappresentativa come il suffragio universale maschile per
l’elezione del Parlamento.
I capi dell’esercito considerarono queste idee alla stregua di un attentato all’ordine sociale e alla
proprietà.
Per Ireton e Cromwell valeva il principio secondo cui soltanto chi aveva un interesse economico
da difendere aveva il diritto di essere rappresentato in Parlamento (doc.13).
I Levellers furono uno – tra i più importanti – dei gruppi dissidenti che inaugurarono una tradizione di
non conformismo destinata a durare a lungo nella vita politica e culturale inglese.
Ciò che più colpì fu la condanna a morte del re Carlo I. Era la prima volta, nell’Europa moderna,
che un monarca veniva ucciso da un vero e proprio tribunale rivoluzionario, in nome di una
nuova legalità.
Il linguaggio che pervade gli atti del processo e la sentenza risente di una rappresentazione del potere
politico piuttosto tradizionale in cui il re non poteva stare al di sopra delle leggi in quanto il solo
legittimo produttore e interprete delle leggi era il Parlamento (doc.14). Tale principio rimase saldo
soprattutto quando la minaccia di una dinastia cattolica si profilò all’orizzonte, con il rischio di mettere
in discussione uno degli elemento portanti dell’identità nazionale inglese. Il Parlamento proclamò la
propria centralità nell’ordinamento politico, facendo riferimento ad “antichi diritti e libertà” (doc.15).
c) Le rivolte contadine e la Fronda 6 in Francia : le rivolte contadine scossero profondamente la
Francia. Queste non erano dettate esclusivamente dalla fame e dalla disperazione ma anche dalla
pressione fiscale e il suo aumento, determinato dall’intervento della Francia nella Guerra dei
Trent’anni, dall’ avanzamento del processo di centralizzazione del potere e dai costanti privilegi
della monarchia.
Era anche contro questi mutamenti, percepiti come innovazioni pericolose che le popolazioni
protestavano.
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La ricerca di legittimazione era l’espressione della visione del mondo e della politica tipica di una
società tradizionale come quella contadina, in cui il re era sempre “buono” e i responsabili venivano
identificati nei suoi “malvagi ministri” (doc.16b).
In alcune zone come la Guienna le agitazioni degli abitanti delle province trovarono alimento e
motivazioni politiche nella prima Fronda, alimentata dai Parlamenti nel 1648-49 (doc.16c).
Fenomeno complesso e controverso, considerato da alcuni, di portata limitata, da altri, una vera e
propria rivoluzione, la Fronda fu scatenata da quello stesso profondo mutamento che aveva
contribuito ad alimentare le rivolte contadine: l’affermazione di una monarchia sempre più
assoluta e ansiosa di liberarsi dai vincoli rappresentati dai corpi intermedi.
In Francia tuttavia la monarchia ebbe la forza di imporre la sua volontà ai rivoltosi, i quali del resto,
non intendevano mettere in discussione la monarchia e il sistema politico e sociale dell’Ancien
Regime; ciò sarebbe accaduto con la Rivoluzione del 1789.
3 – Ombre e luci: intolleranza, caccia alle streghe e rivoluzione scientifica
Anche dal punto di vista della storia, delle idee e della cultura il ‘600 fu un secolo di intensi contrasti.
Il filosofo Giordano Bruno e lo scienziato Galileo Galilei furono solo le più famose tra le vittime
dell’Inquisizione romana.
Molti altri uomini e donne pagarono a caro prezzo la loro indipendenza di pensiero e il rifiuto della
disciplina post-tridentina. Anche l’Europa protestane ebbe i suoi eretici e pronunciò condanne e
censure.
La feroce intolleranza del potere non fece vittime solo tra gli oppositori consapevoli; le persecuzioni
di individui – soprattutto di sesso femminile – considerati alleati terreni del diavolo, e per questo
processati e condannati, raggiunse il suo apice tra la fine del 1500 e la metà del 1600.
I fattori che contribuirono a scatenarlo furono in parte di ordine sociale e culturale.
Tali fattori non bastano a spiegare la vera e propria strage di streghe compiuta: a istituire i processi e a
irrogare le pene erano i tribunali laici o ecclesiastici che operavano in base ad una procedura
inquisitoria che lasciava pochissimo spazio ai diritti dell’imputato, facendo largo uso della tortura.
Spesso anche le minime garanzie previste da diritto venivano cancellate, con il pretesto che la
stregoneria fosse un “crimen exceptum” nel quale non valevano le regole stabilite.
La stragrande maggioranza delle vittime della caccia alle streghe venne condannata nel Sacro Romani
Impero, specialmente nei principati ecclesiastici dove i tribunali agivano in totale autonomia, senza il
controllo di un’autorità centrale che intervenisse a moderare l’operato dei giudici.
Dove i giudici erano sottoposti alla supervisione di organismi collegiali, che vigilavano sulla
correttezza della procedura, fu molto più difficile avviare le persecuzioni: le streghe venivano
ugualmente processate in quanto dedite ad attività superstizione ma le condanne a morte furono molto
rare. A partire dal tardo Cinquecento le grandi Inquisizioni centralizzate (spagnola e romana) posero
un argine alle condanne a morte per stregoneria (doc.18).
Da un lato la maggioranza degli europei in questo periodo credeva fermamente all’esistenza della
stregoneria, dall’altro le scienze della natura fecero enormi progressi, dapprima limitati al mondo dei
dotti, poi sempre più divulgati tra le persone comuni.
Importante è la rivoluzione copernicana, dell’astronomo Niccolò Copernico. Questa rivoluzione
capovolse la cosmologia tolemaica, che prevedeva un universo finito con la Terra al centro, attorno
alla quale ruotavano stelle e pianeti. Le motivazioni che portarono Copernico a compiere questa
operazione derivavano in parte dal ragionamento matematico e dall’osservazione ma
maggiormente da un’esigenza di armonia cosmica, estetica.
Copernico intravede solo in parte le conseguenze profonde del suo sistema: l’accettazione delle
nuove teorie comportava l’abbandono totale dell’astronomia, della cosmologia tolemaica e della
fisica aristotelica e di conseguenza l’elaborazione di una scienza interamente nuova. Tale
adeguamento richiese un lungo tempo di elaborazione.
Isac Newton con la teoria della gravitazione portò a compimento ciò che Copernico aveva iniziato
quasi due secoli prima.
Doc.20 → rivela lo sconvolgimento profondo dell’uomo nel pensare di non trovarsi più in un cosmo
finito, ordinato provvisto di un centro ma in un immenso spazio in cui le gerarchie aristoteliche non
valevano più; questo poteva causare, negli animai più sensibili, un disorientamento morale e fisico.

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Galileo Galilei riponeva grande fiducia negli strumenti che aveva a disposizione. Nel doc. 21 lo
scienziato descrive il mondo paragonandolo a un libro che Dio aveva scritto usando un linguaggio: la
matematica.
Il secondo Seicento è stato definito l’età della “crisi della coscienza europea”. Questa espressione
indica il crollo delle certezze che, nel progressivo esaurirsi del confronto tra le diverse confessioni
cristiane, investì la religione tout court, nonché il principio di autorità, preparando il terreno
all’Illuminismo settecentesco.
Baruch Spinoza sostiene che vi sia una sostanziale equivalenza tra Dio e Natura. Questa
affermazione diede vita alla rinnegazione del “soprannaturale”, ad un panteismo7 che i suoi
avversari videro come un ateismo.
Spinoza dissocia ortodossia religiosa e convivenza politica, dando un fondamento politico alla libertà
in materia di fede.
Pierre Bayle trasmise i temi del libertinismo e dello scetticismo8 di fine 1600 all’Illuminismo
europeo. Dovette fare i conti con l’intolleranza e l’oscurantismo dei confessionalismi religiosi
schierandosi non dalla parte dei calvinisti intransigenti ma dalla parte di una possibile conciliazione.
Questo gli creò nemici calvinisti olandesi. Venne accusato di ateismo, mostrando in tutte le sue opere
inconciliabilità tra ragione umana e verità fondamentali delle religioni rivelate, approdando ad
uno scetticismo radicale, uno possibile garante di un’autentica tolleranza religiosa (doc.23).

CAP VIII – La fine dell’Antico regime: Illuminismo e rivoluzioni


1 – L’Illuminismo in Francia
Negli ultimi decenni del Settecento avvenne la nascita e la circolazione di nuove idee.
Tali idee rispecchiavano i mutamenti sociali, politici ed intellettuali in corso nell’Europa del 1700.
In Francia l’elaborazione e la diffusione di opere impregnate della nuova cultura dei Lumi ebbero un
particolare sviluppo; furono soprattutto gli intellettuali francesi a raccogliere stimoli provenienti
dalle aree più diverse e a ritrasmetterli al pubblico colto di tutto il mondo.
Nel 1700 per la prima volta, la circolazione delle idee riuscì a estendersi oltre le ristrettissime
cerchie di letterati, filosofi e teologi. Ciò accadde grazie allo sviluppo della stampa periodica, ma
anche a grandi progetti collettivi come quello dell’Encyclopédie (doc.1). Anche grazie ad opere
come questa il francese divenne la lingua internazionale dell’Europa colta, ruolo che prima era
stato del latino.
Immanuel Kant definisce l’Illuminismo come : «un evento che segnò l’uscita dell’uomo dallo
stato di minorità ». Considerando questa definizione si può comprendere come la novità dei Lumi
non consistesse tanto nell’originalità delle idee in sé per sé, bensì nell’uso di quelle idee come armi
intellettuali per abbattere il vecchio ordine.
Queste caratteristiche sono evidenti in uno degli autori più rappresentativi dell’Illuminismo francese:
Voltaire in cui giungevano a piena maturazione le intuizioni dei pensatori, soprattutto inglesi, del
tardo Seicento e primo Settecento, compresi i deisti 9.
Nelle pagine che Voltaire dedicò alla tolleranza religiosa e alla libertà di pensiero (doc.2) si può
cogliere appieno questa tendenza deista, non priva di sfumature anticristiane.
Per quanto riguarda la riflessione politica, l’Inghilterra era un punto di riferimento per i
francesi. Per quanto l’ordinamento inglese non fosse l’unica fonte di ispirazione di Montesquieu, la
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dottrina della divisione dei poteri – tutt’ora alla base delle democrazie occidentali – risente
fortemente dell’influenza di John Locke, ma anche dell’osservazione diretta del funzionamento
delle istituzioni britanniche, in particolare del sistema bicamerale.
I testi di Montesquieu, durante la Riv. Francese, avrebbero ispirato i moderati e i fautori della
monarchia costituzionale.
Rousseau avrebbe invece fornito materia di riflessione ai più radicali come Roberspierre.
Il contratto su cui si fonda l’ordine descritto da Rousseau ricorda molto da vicino l’alienazione totale
della volontà del singolo a quella dello Stato teorizzata da Hobbes (cap.5); al posto dello Stato,
Rousseau poneva un’entità collettiva come la “volontà generale”, espressione della partecipazione
diretta dei cittadini all’ordinamento democratico (doc.4).
2- Illuminismo e riforme in Europa
Dalla Francia l’Illuminismo si propagò in tutta Europa, producendo risultati sempre originali anche
se appartenenti ad un medesimo clima storico.
In Italia gli inizi di questo fenomeno sono già avvertibili nella prima metà del 1700 con l’opera di
intellettuali come Ludovico Antonio Muratori e Pietro Giannone.
Quest’ultimo trasformò una esercitazione accademica in un’indagine scientifica sul passato, dalla
quale emergevano tutti i “deboli ed arenosi fondamenti” su cui poggiava il potere della Chiesa sulla
società e sullo Stato (doc.5).
Le idee di Giannone sarebbero divenute le basi teoriche della politica giurisdizionalistica dei
sovrani napoletani, finalizzata a ristabilire l’autonomia dello Stato rispetto alla Chiesa e il monopolio
statale sull’applicazione delle leggi, specie quelle coercitive.
Ai tempi di Giannone il potere della Chiesa sugli Stati era ancora forte: egli fu costretto a un lungo
soggiorno all’estero, finendo i suoi giorni a Torino, dopo una lunga prigionia ordinata da Carlo
Emanuele III di Savoia, per assecondare le volontà delle autorità ecclesiastiche.
A poco a poco leggi, istituzioni, usi e costumi che sembravano “naturali” e immutabili
cominciarono ad essere avvertiti come veri e propri retaggi del passato da riformare in modo
radicale. Le idee degli illuministi non influenzarono solo gli ambiti pubblici della politica, economia e
diritto, ma anche la vita familiare e privata (doc.6).
L’aspetto più noto della battaglia dell’Illuminismo riguarda i grandi temi della vita associata.
Nuova e tipica dell’Illuminismo è l’avversione all’ingiustizia del metodo inquisitorio e alla
violenza della tortura e delle pene corporali.
Cesare Beccaria protestò energicamente contro questi abusi attraverso il suo celebre “Dei delitti e
delle pene”. Quest’opera suscitò un eco vasto e profondo in tutta l’Europa (doc.7).
I censori non riuscirono a fermare la circolazione del saggio, che ebbe innumerevoli edizioni e
traduzioni, riuscendo a diffondersi persino nello Stato pontificio.
Beccaria si ispirava alle idee di uguaglianza degli illuministi francesi, in particolare a Rousseau.
Il forte impatto che egli ebbe sugli intelletti fu dovuto alla concretezza delle proposte che formulava
come l’abolizione della carcerazione per debiti, della tortura e della pena di morte.
Alcuni considerarono utopistiche queste idee ma il trattato di Beccaria influenzò diversi sistemi
penali europei.
Le idee dell’Illuminismo raggiunsero i governi europei attraverso canali completamente diversi da
quelli del passato: le gazzette e la stampa periodica, la diffusione nella società civile di nuovi luoghi
di ritrovo come caffè, club e società di vario genere.
Sovrani e ministri si dotarono di strumenti legislativi e amministrativi tesi a razionalizzare e migliorare
la vita economica e sociale degli Stati da loro governati.
Uno degli aspetti più notevoli delle riforme del 1700 riguardò i rapporti fra Stato, Chiesa e società
civile. Il potere del clero, ancora molto forte nell’Europa cattolica, subì forti limitazioni e vide
scomparire aree di esenzione e privilegio.
La Compagnia di Gesù, contestata dai riformatori per il suo eccessivo peso politico, economico e
culturale, strettamente controllato dalla curia romana, venne cacciata da Portogallo, Francia, Spagna,
Regno di Napoli, Ducato di Parma e infine abolita del tutto da papa Clemente XIV.
In molti Stati italiani vennero smantellati i tribunali dell’Inquisizione e venne sottratta alle autorità
ecclesiastiche la censura sulla stampa, che passò a organi dello Stato.
Un’altra serie di riforme riguardò il regime giuridico della proprietà ecclesiastica dal punto di vista
giurisdizionale ed economico.

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– La Rivoluzione americana
Fino alla seconda metà del Settecento i coloni americani trassero molti vantaggi dalla loro
appartenenza all’Impero britannico, dalla difesa militare alla possibilità di beneficiare
dell’immenso sistema commerciale dominato dalla madrepatria.
Solo dopo la Guerra dei Sette anni (1756-63) con la quale la Francia perse quasi tutti i suoi
possedimenti americani a vantaggio della Gran Bretagna, che i governi inglesi cercarono di imporre
alle loro colonie un controllo politico ed economico molto più stretto rispetto al precedente,
inserendo tasse, dazi doganali e altri provvedimenti tendenti all’accentramento.
Ogni singola colonia aveva, sin dalla sua creazione, un’assemblea eletta dai cittadini, che divideva
il potere con i consigli provinciali e i governatori.
La convivenza tra questi due poteri non era mai stata priva di conflitti, ma dopo il 1763 cominciò
a diffondersi l’idea che il re e il Parlamento inglesi non avessero il diritto di imporre tasse e leggi
che non fossero state decise dagli americani stessi.
Agli occhi degli americani, il Parlamento inglese stava esercitando, a loro danno, il dispotismo 10.
Il 4 Luglio del 1776 i rappresentanti delle tredici colonie riuniti in Congresso generale firmarono la
Dichiarazione di indipendenza (doc.10).
La Dichiarazione denuncia la sua matrice illuministica nell’inserimento, tra i diritti naturali
dell’uomo, della “ricerca della felicità”.
La Costituzione, prodotta dalla Rivoluzione americana (doc.11) è un documento più complesso,
frutto del compromesso tra le diverse anime del movimento d’indipendenza, che pure ormai
concordavano sulla forma di governo repubblicana e federale degli Stati Uniti :
a) Antifederalisti → sostenitori della superiorità dei singoli Stati sugli organismi centrali federali,
legati all’idea di una democrazia a base locale e a partecipazione diretta;
b) Federalisti → fautori di un’autorità centrale forte che desideravano investire il governo federale
della sovranità appena sottratta alla Gran Bretagna.
La Costituzione prevedeva la separazione dei poteri11 e l’elezione di una delle due camere
dell’assemblea legislativa federale (Congresso) attraverso il suffragio universale maschile.
Il presidente, detentore del potere esecutivo, veniva eletto dal popolo.
Il sistema elettorale di tipo indiretto lasciava molto spazio ai singoli Stati. La carica del presidente
veniva limitata a 4 anni, con possibilità di rielezione.
La Costituzione riservava agli organismi centrali federali un ruolo piuttosto forte.
A farsi promotori dei primi dieci emendamenti, entrati a far parte nel 1791, furono gli
antifederalisti (doc.12).
Gli emendamenti erano l’espressione della volontà di garantire i diritti dell’individuo e di proteggerlo
contro possibili abusi di potere.
Il secondo emendamento sanciva il diritto per i privati cittadini di tenere e portare armi; occorre dare
una lettura storica di questo emendamento, vederlo cioè in ottica illuministica della trasformazione di
un privilegio normalmente riservato al solo ceto nobiliare in un diritto di tutti i cittadini.
Il quinto e sesto emendamento stabilivano principi più avanzati di quelli vigenti in quasi tutti gli altri
sistemi penali dell’epoca.
Il decimo garantiva ai singoli Stati il rispetto delle loro libertà (entro i limiti loro assegnati), di cui
evidentemente gli antifederalisti non si sentivano sufficientemente sicuri.
I nodi irrisolti della politica americana erano ancora molti come il contrasto politico, sociale ed
economico tra gli Stati del Nord e quelli del Sud, i rapporti con i nativi americani e il problema degli
schiavi neri.
L’evoluzione e l’atteggiamento degli americani verso i neri e pellerossa avrebbe preso due strade
diverse: la lenta e progressiva integrazione per i primi, il genocidio per i secondi.
La nascita degli Stati Uniti rappresenta una profonda novità sotto il profilo politico: il pregiudizio
conservatore secondo cui l’esercizio della democrazia poteva funzionare solo nei piccoli Stati era stato
contraddetto dalla realtà di un grande Stato federale, repubblicano e democratico. Stimolo per il
rinnovamento politico anche nel Vecchio continente.
10
Dispotismo : tirannide che si fonda sulla indiscriminata e violenta imposizione della volontà del più forte.
11
Principio illuminista della separazione dei poteri:
• Legislativo : congresso
• Esecutivo: presidente
• Giudiziario: magistratura : 50 corti statali + corte suprema federale composta da giudici nominati da
presidente.
31
4 – La Rivoluzione francese
Anche la Rivoluzione francese fu un evento complesso, non riconducibile a formule stereotipate.
Al momento delle elezioni per gli Stati Generali, in occasione delle quali vennero redatti i cahiers de
doléances 12 (doc.13), la società e le istituzioni della Francia stavano attraversando un periodo di
crisi. La monarchia si trovava in un vicolo cieco: per risanare il bilancio dello Stato, il re e i suoi
ministri avrebbero dovuto sottrarre privilegi al clero e alla nobiltà.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto era chiaro che era necessario un rimedio straordinario.
Il re nel 1788 convocò gli Stati Generali ( era dal 1614 che clero, nobiltà e III stato non venivano
convocati, chiaro indice dell’elevato grado di centralizzazione assolutistica della monarchia).
I cahiers, redatti in ogni elezione degli Stati Generali assunsero un nuovo significato, soprattutto per
quelli proveniente dal terzo stato: oltre alla contestazione degli “abusi” veniva contestato anche il
sistema stesso cioè i privilegi che rendevano gli uomini qualitativamente uno diverso dall’altro.
Dietro alla richiesta secondo cui il ruolo degli Stati Generali nell’esercizio del potere dovesse
diventare imprescindibile si intravedeva il desiderio di un sistema politico più vicino a quello
britannico, dove il re non poteva legiferare senza Parlamento.
Ben presto gli Stati Generali (o meglio terzo stato + alcuni elementi di nobiltà e clero) si
trasformarono in Assemblea nazionale, che si auto-conferì l’incarico di redigere una costituzione.

Nel 1789 l’Assemblea decretò l’abolizione del regime feudale, delle giustizie signorili, delle
decime, delle venalità delle cariche, dei privilegi.
Questo fu il primo atto di un lungo processo che avrebbe portato a chiamare “Antico regime” tutto ciò
che precedeva le conquiste rivoluzionarie.
Il 26 agosto dell’89 venne approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che
sanciva i principi generali su cui avrebbe dovuto reggersi il nuovo ordine (doc.14).
Influenzata dalle idee filosofiche e politiche illuministiche, la Dichiarazione sanciva la fine della
società di ordini e l’inizio di una società di “cittadini”, uguali nei diritti e nei doveri.
Veniva cosi affermato il diritto di tutti i cittadini alla rappresentanza politica, in modo che la legge,
garante dei diritti e della convivenza civile potesse essere scritta da tutta la nazione.
Stabiliti i principi occorreva tradurli in una costituzione scritta e fortemente strutturata, che
accomunava i rivoluzionari francesi a quelli americani e che esercitò grande influenza sui movimenti
politici successivi.
L’Assemblea costituente concluse i lavori nel 1791. La nuova Costituzione francese includeva come
preambolo la Dichiarazione del 1789, manteneva la forma monarchica di governo ma prevedeva una
rigorosa divisione di poteri secondo il modello di Montesquieu (doc.15 → art.3 : potere legislativo
delegato ad un’Assemblea nazionale composta da rappresentanti a tempo determinato, liberamente
eletti dal popolo. Potere esercitato con la sanzione del re; potere esecutivo delegato al re, esercitato
sotto la sua autorità, da ministri e da altri agenti responsabili; potere giudiziario delegato a giudici
eletti a tempo dal popolo).
Il principio di uguaglianza dei diritti dei cittadini, solennemente affermato nella Dichiarazione del
1789 fu clamorosamente smentito nei fatti dalla suddivisione censitaria tra cittadini “attivi” e
“passivi”. A questi ultimi veniva negato il diritto di rappresentanza.
Nel 1793 avvenne la redazione di un nuovo testo costituzionale (doc.16).
La spinta rivoluzionaria aveva subito una brusca accelerazione a causa dell’inizio della guerra contro
Prussia e Austria destinata ad allargarsi a tutta Europa e la propagazione della Rivoluzione stessa.
In questo clima di emergenza si scoprì che Luigi XVI complottava con la nobiltà emigrata e con i
nemici della Francia per la vittoria della Controrivoluzione.
Luigi XVI venne condannato a morte nel 1793 dalla Convenzione, nuova assemblea incaricata di
stendere la nuova costituzione.
Il testo costituzionale esprimeva i principi di democrazia politica, economica e sociale, punti
condivisi da personalità importanti tra cui Maximilien de Roberspierre.
La Costituzione del 1793 non entrò mai in vigore ma rimase un punto di riferimento per i
democratici di tutta Europa.
Venne introdotto un governo di emergenza – il Terrore - con poteri straordinari che andavano dal
reperire generi alimentari fino all’impiego di forza militare per sconfiggere gli avversari della

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Rivoluzione (doc.17).
I Tribunali speciali mandarono alla ghigliottina un enorme numero di presunti “nemici della
Rivoluzione” (doc.18). Ciò che animava il Terrore era l’utopia di una rinascita non più soltanto
politica, bensì morale, psicologica e religiosa del genere umano (doc.19). Questa prospettiva
mostra la volontà rivoluzionaria di cambiare tutto non solo la forma di governo ma anche i propri
nomi, il calendario, le forme di allocuzione, la vita privata etc.
5- Il periodo Napoleonico in Italia
Napoleone Bonaparte fu al tempo stesso restauratore dell’ordine in patria e propagatore della
Rivoluzione all’estero. In parte dell’Europa continentale le vittorie di Napoleone contro le coalizioni
che tentavano di sbarragli la strada fecero sorgere nuovi governi alleati della Francia, da essa
controllati politicamente e militarmente.
La guerra, iniziata come autodifesa della Rivoluzione, si trasformò in una operazione
espansionistica, portata avanti da un esercito ben organizzato e fortemente motivato.
Una parte della popolazione dei diversi Stati si unì ai francesi per rovesciare i propri governi e dar vita
a quelle che furono chiamate “repubbliche giacobine. Fenomeno evidente in Italia dove sorsero le
repubbliche Cisalpina, Ligure, Romana e Partenopea. Nel doc.21 Giuseppe Pecchio esprime
l’entusiasmo suscitato nei giovani all’arrivo dei francesi e l’accentuazione dell’aspetto “nazionale”
italiano. L’esperienza delle repubbliche italiane – poi unificate e trasformate nel Regno d’Italia –
può essere considerata uno dei punti di partenza del moto di unità nazionale.
Quasi subito apparve chiaro che i francesi perseguivano una politica di sfruttamento delle risorse e
dei territori conquistati, in funzione dei loro obiettivi europei.
Non tardarono così a verificarsi in tutta l’Italia le “insorgenze” antifrancesi (doc.22).
In parte spontanei, in parte organizzati dalle forze controrivoluzionarie, in particolare dal clero, questi
moti crearono molte difficoltà all’organizzazione militare e politica impostata dai francesi in
Italia.
L’Impero napoleonico cadde nel 1813-15.
L’età napoleonica in Europa e in Italia, oltre agli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità della
Rivoluzione (doc.23a), portò importanti trasformazioni in campo legislativo :
• L’organizzazione del territorio venne mutata secondo il territorio francese;

• A tutti i paesi annessi o controllati dalla Francia venne esteso il Codice civile, capolavoro
giuridico del regime napoleonico. Questo era ispirato ai principi della Rivoluzione e
tutelava: libertà del cittadino, uguaglianza giuridica, laicità dello Stato, la proprietà
individuale, vista come uno dei fondamenti della società civile. L’estensione del principio di
uguaglianza provocò l’emancipazione degli ebrei che in molte zone italiane erano ancora
ghettizzati e tenuti in condizioni di inferiorità giuridica.
• Le norme sulla famiglia e sul patrimonio familiare (doc.23c) sottraevano il matrimonio e la
procreazione alla soffocante tutela della Chiesa introducendo il divorzio.
Fedecommesso 13 e primogenitura, consuetudini ereditarie tipiche della nobiltà di Antico
regime vennero proibite.

CAP IX – La fine dell’Antico regime: la Rivoluzione industriale


1 – L’ideologia
La Rivoluzione industriale segna il confine tra l’età moderna e l’età contemporanea.
Le trasformazioni, tutt’oggi in corso, continuano con un ritmo prima inimmaginabile.
La definizione “età pre-industriale” è usata come sinonimo di “età moderna” o “Antico regime”.
Questa rivoluzione è considerata un fenomeno di lunga durata e di portata mondiale; le sue origini
si possono situare precisamente nello spazio e nel tempo, cioè nell’Inghilterra di fine 1700.
I presupposti culturali che resero concepibili, ancor prima che possibili, i cambiamenti di quella
portata ed i mutamenti filosofici ed ideologici che accompagnarono il processo materiale ed
ideologico affondano le loro radici nell’Illuminismo settecentesco.
Guillaume-Thomas Raynal (doc.1) esprime il suo punto di vista sul commercio, operando un
13
Disposizione testamentaria attraverso la quale il testatore istituisce erede un soggetto determinato
(detto "istituito") con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno
automaticamente ad un soggetto diverso (detto "sostituito") indicato dal testatore stesso.
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rovesciamento rispetto alle posizioni dominanti in Antico regime. Esso identificava il commercio
come fonte di libertà e di unione tra gli uomini; riteneva inoltre importante che la “ricerca della
felicità” occupasse un punto centrale.
Posizioni analoghe a questa erano ormai diffuse; dopo la pubblicazione dell’opera di Raynal, la
Dichiarazione di indipendenza delle colonie inglesi del Nord America poneva tra i diritti
fondamentali dell’uomo la “ricerca della felicità”.
L’approdo finale di questi cambiamenti di mentalità fu l’ideologia del progresso. Il doc.2 di Marc
Seguin costituisce un elogio alla ferrovia francese e restituisce il senso dell’enorme distanza storica
che ci separa dall’epoca in cui il testo fu redatto.

2- La Rivoluzione agricola. L’energia e i trasporti


I presupposti che precedettero e accompagnarono la Rivoluzione industriale furono:
agricoltura, energia e trasporti. Per alcune aree dell’Europa, il 1700 fu un secolo di grandi
innovazioni sia nelle tecniche agricole sia nella struttura della proprietà agraria. Senza dubbio
contribuì a questi mutamenti anche la rinnovata attenzione che una consistente parte dell’Illuminismo
dedicò alle campagne.
Ciò che diede un impulso straordinario all’agricoltura del Settecento fu l’incrocio di due fattori, uno
relativo ai metodi di coltivazione, l’altro alla struttura della proprietà terriera (doc.3).
Venne introdotta la progressiva sostituzione della rotazione al primitivo sistema del maggese, che
costringeva gli agricoltori a mantenere a riposto – e perciò improduttiva – una parte consistente della
proprietà.
Questo tipo di miglioramenti aveva buone possibilità di applicazione e di successo solo in proprietà
medio-grandi, rigorosamente individuali. Ciò significa che occorreva eliminare quello che restava
della piccola proprietà contadina e delle proprietà collettive dei villaggi, gli open fields.
In questo contesto comunitario, stante anche la diffidenza dei contadini per ogni tipo di
innovazione, vissuta come potenzialmente pericolosa, era pressoché impossibile introdurre le
innovazioni tecniche sopra descritte, che oltretutto richiedevano una certa disponibilità di capitali per
essere applicate.
Una prima diffusione delle nuove tecniche di rotazione si era avuta fin dal Seicento in area tedesca
e olandese (tab.doc.4); analogamente, la sparizione delle proprietà collettive nel corso dell’età
moderna fu un fenomeno di portata europea, ma le dimensioni che assunsero questi due fenomeni
in Inghilterra superarono quelle di tutti gli altri paesi.
A questi aspetti si affiancarono anche fattori politico-costituzionali come ad esempio la sanzione
giuridica che il Parlamento inglese diede alle espropriazioni di terre collettive e alle enclosures
(recinzioni) operate dai proprietari anche con mezzi violenti e intimidatori (tab.doc 5).
Il risultato di queste innovazioni, alle quali nell’Ottocento si aggiunse l’uso delle macchine, fu una
trasformazione profonda ed irreversibile dell’agricoltura inglese: dalla sussistenza e
dall’autoconsumi si passò a coltivazioni orientate verso il mercato, con forti investimenti di
capitale e grandi profitti. L’agricoltura arrivò a produrre più e meglio di prima, impiegando una
quantità di manodopera inferiore. L’eccedenza di lavoratori agricoli disoccupati finì con il
riversarsi nelle fabbriche, fornendo nuovo impulso al processo di industrializzazione.
Il progresso avanzava in Inghilterra in modo nettamente superiore rispetto al resto dell’Europa
(doc.6). Questo divario si manifestò attraverso degli squilibri in particolare per quanto riguarda le
fonti di energia, per i combustibili legati alla lavorazione del ferro.
Nel 1700 in Inghilterra venne scoperto un metodo che rendeva vantaggioso l’impiego del carbon
fossile anziché della legna per produrre ferro. Questa scoperta, affiancata all’introduzione della
macchina a vapore, fece aumentare la produzione di ferro e carbone richiesti dalla nascente industria
(doc.7 tab. a, b, c).
Un’importanza centrale ai fini del decollo industriale dell’Inghilterra e poi del resto dell’Europa,
ebbero le vie di comunicazione.
Le innovazioni maggiori per quanto riguarda i trasporti riguardavano le vie navigabili e le strade.
Nella seconda metà del ‘700 la costruzione di canali arrivò a collegare le principali città e i centri
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minori. In seguito, furono le tecniche di costruzione stradale a compiere un salto di qualità grazie a
John McAdam (doc.8). I suoi principi cambiarono definitivamente la natura e l’aspetto delle
strade, riducendo molto i costi dei trasporti.
Infine la ferrovia, che nel XIX sec. modificò radicalmente il sistema dei trasporti, impresse
un’ulteriore e brusca accelerazione.

3 – L’organizzazione del lavoro. Le macchine


E’ necessario riflettere sulle ragioni del primato dell’Inghilterra rispetto a tutti gli altri Paesi.
Un’invenzione nasce, si diffonde e si rivela efficace solo se c’è una reale necessità di utilizzarla.
L’Inghilterra del 1700 aveva non solo le risorse per avviare il primo processo di
industrializzazione ma anche un mercato in grado di assorbire, con la sua domanda, una
produzione enormemente aumentata e resa accessibile alle masse dall’uso di nuove tecniche.
• Guerra dei Sette anni → controllo totale dell’Inghilterra sul Nord America;
• Massiccia presenza degli inglesi nei commerci con le colonie spagnole e l’Africa;
• Colonizzazione India e sostituzione da parte degli inglesi di olandesi e portoghesi nei commerci;
• Mercato interno florido accompagnato da un grande benessere;

Londra nella seconda metà del 1700 è ormai centro di traffici mondiali.
La forza dell’Inghilterra era tale che nemmeno l’indipendenza degli Stati Uniti arrecò particolari danni
al suo predominio commerciale, dato che le ex colonie restarono a lungo economicamente dipendenti
dall’antica madrepatria. Ecco quindi che la produzione su scala industriale di manufatti divenne
non soltanto possibile, ma anche necessaria. Questo è ciò che intuì anche Malthus parlando dell’uso
delle macchine nelle fabbriche (doc.10).
Il principio della divisione del lavoro, enunciato dal grande economista Adam Smith (doc.11)
presupponeva una radicale trasformazione del modo di concepire la fabbricazione degli oggetti.
Suddividere il processo produttivo significava sottrarlo al controllo del singolo lavoratore e
razionalizzare, quantificando e monetizzando, l’uso del tempo.
Il tempo del lavoro diverrà un elemento centrale di tutta la Rivoluzione industriale, trasformandosi
in una entità numerica, scandita dalle sirene e dai sorveglianti delle fabbriche e non più legata ai
ritmi della tradizione.
Doc.12 → parla dell’invenzione e del perfezionamento del telaio azionati da una macchina a vapore.
Questo documento ci permette di capire altre importati caratteristiche della prima Rivoluzione
industriale. Questa innovazione, come moltissime altre, si verifica nell’industria del cotone.
Questo materiale si prestava al confezionamento di capi leggeri, pratici e a basso costo; tali
caratteristiche favorirono tra l’altro la diffusione della biancheria in tutti gli strati sociali.
La materia prima non mancava data l’enorme estensione di piantagioni americane, coltivate da schiavi
neri.
Molto importante è anche che l’autore dell’innovazione fosse un dilettante e che la tecnologia
occorrente per realizzare il suo progetto non fosse molto sofisticata né particolarmente costosa.
Il progressivo miglioramento a opera di altri industriali e imprenditori e, infine, il successo del telaio a
vapore così perfezionato nelle principali fabbriche di Manchester e dintorni, danno la misura di quanto
fosse importante il contesto culturale in cui nascevano e si sviluppavano le innovazioni.
Questo esempio è in netto contrasto con ciò che succede nella Germania di Franz Dinnendahl
(doc.13) : l’ambiente che lo circondava era poco aperto alle innovazioni. Egli secondo alcuno non
avrebbe dovuto innalzarsi al di sopra del suo status di artigiano.
Questo episodio è la tipica espressione del perdurare dei pregiudizi dell’Antico regime sull’inferiorità
del lavoro manuale e sulla fissità dell’ordinamento sociale che l’Inghilterra aveva superato.
Dinnendahl operava nel vuoto: fu costretto a costruire da sé i pezzi della macchina a vapore da lui
progettata e solo dopo numerosi tentativi trovò dei fornitori adeguati alla sua innovazione.
4 – Lo sfruttamento del lavoro e le condizioni materiali di esistenza delle classi operaie
L’aumento della produttività del lavoro permise a tutta la società il raggiungimento di un tenore di vita
più elevato della mera soglia di sopravvivenza. Assieme ad altri fattori questo consentì a sua volta
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un’esplosione demografica impensabile in Antico regime.
Se osserviamo da vicino le condizioni di vita e di lavoro in cui versavano gli operai delle fabbriche
e delle miniere dell’Inghilterra ottocentesca osserveremo che questi erano stati sradicati e privati
della rete di solidarietà tipica dell’Antico regime. Vennero ridotti i rapporti di lavoro a meri
calcoli monetari. Gli operai erano costretti a vivere in distretti industriali, venivano sfruttati
senza riguardo al genere o all’età.
Donne e bambini erano più ricercati perché potevano essere pagati di meno.
Doc.14 → rappresenta un’inchiesta parlamentare sulle condizioni di lavoro dei minatori dello
Yorkshire. Questa mise in luce la durezza estrema degli orari di lavoro e delle mansioni affidate a
donne e bambini, oltre che ad un aumento dei figli nati fuori dal matrimonio, legato a una
promiscuità sessuale impensabile fino a non molto tempo prima.
Avere figli in quelle condizioni era un problema: i diritti come la tutela della gravita, del nascituro,
del neonato venivano calpestati dai datori di lavoro.
In alcuni punti del documento il funzionario che svolse l’inchiesta espresse il suo “disgusto” più per il
fatto che le ragazze dovevano vestirsi come gli uomini più che per il trattamento inumano ricevuto.
Le condizioni abitative erano poco salubri, sia per l’inquinamento atmosferico sia per l’improvviso
ed enorme incremento demografico dei centri urbani che rendeva difficile adeguare le infrastrutture
alla nuova situazione in tempi ragionevoli (doc.15a e 15b).
5 – L’organizzazione operaia e gli inizi dello scontro di classe
La disciplina in fabbrica fin dal suo sorgere ebbe un aspetto punitivo e poliziesco dettato dal
pregiudizio secondo cui gli istinti delle classi popolari dovevano essere tenute a freno con la violenza.
Gli operai spesso, soprattutto all’inizio, attuarono una resistenza passiva, manifestata attraverso
pause più lunghe del dovuto o orologi spostati in avanti.
In questo atteggiamento è possibile leggere una primitiva protesta sociale.
Con il Combination Act del 1800, abolito nel 1824, il Parlamento britannico puniva gravemente il
nascente associazionismo britannico, mostrando solidarietà nei confronti dei proprietari e datori di
lavoro (doc.17). Nonostante questi provvedimenti, fiorirono associazioni ogni tipo e ispirazione.
La situazione, unita all’uso della violenza suscitò il luddismo, movimento che identificava nelle
nuove macchine la fonte di ogni male: disoccupazione, bassi salari, mutate condizioni di lavoro,
cattiva qualità dei prodotti. La risposta era la distruzione delle macchine.
Questi atti estremi erano accompagnati dalla permanenza di schemi interpretativi tipici dell’età
preindustriale, come ad esempio la fiducia in un potere politici di per sé equo e benefico “ingannato”
da entità malvage; i luddisti ritenevano la propria azione una sacrosanta difesa della legge, la quale
tutelava tanto le loro condizioni di lavoro quanto la qualità dei prodotti.
Con l’avanzare del XIX sec. le lotte operaie cominciarono a usare sistemi di protesta meno
distruttivi e più organizzati, ad esempio (doc.21) gli scioperi per la riduzione dell’orario di lavoro.
Nel frattempo anche tra alcuni proprietari di fabbriche cominciò a svilupparsi una sensibilità per le
condizioni di vita e lavoro degli operai. In questi uomini stava maturando la convinzione che
l’inferiorità imputata alle classi lavoratrici non fosse naturale, bensì dovuta alle pessime condizioni
della loro esistenza.
Tra le menti illuminate e riformatrici spicca quella di Robert Owen. Esso criticò non tanto gli abusi,
quanto il sistema capitalistico stesso basato sulla competizione tra industrie, padroni e operai,
proponendo un modello di sviluppo in cui le classi sociali collaborassero anziché combattersi.
In un colloqui Owen descrisse i criteri e le motivazioni per le quali non assumeva bambini di età
inferiore ai dieci anni. Nonostante i bambini impiegati nelle mansioni lavoravano dieci – dodici ore
al giorno, è da osservare il rispetto e l’attenzione di Owen per l’infanzia e lo sviluppo fisico e
psicologico del bambino, molto superiori ai valori comuni agli industriali della sua epoca.

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