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letteratura spagnola 3

Vincenzo Esposito

1
Quadro generale OTTOCENTO

Ci troviamo nella prima metà del XIX secolo. La letteratura dell’epoca subisce delle
trasformazioni in base ai cambiamenti che si registrano in ambito ideologico e sociale. Sono gli
anni che vedono il tramonto dell’Ancient régime e l’avvento dello Stato liberale1. La
letteratura si cala nella realtà dell’epoca e diventa il veicolo principale vòlto a consolidare i
valori della nascente borghesia, posta al centro tra la potente aristocrazia e il popolo. La vita
politica spagnola della prima metà del secolo fu caratterizzata da numerose vicissitudini: le
nuove concezioni elaborate dai liberali risultarono troppo progressiste rispetto allo scarsi
grado di sviluppo del Paese; le lotte per l’emancipazione delle colonie, con la relativa perdita
della condizione di superpotenza; la guerra civile tra liberali e assolutisti.

Gli inizi di questo secolo, proprio perché segnati dalla guerra d’Indipendenza2 e
dall’assolutismo di Ferdinando VII3 , non giovarono alla vita scientifica e culturale spagnola,
che conobbe dunque un periodo di stagnazione. Tuttavia, con l’avvento del liberalismo,
incominciò ad instaurarsi un nuovo modello universitario, orientato alla formazione dei
professionisti e che porterà finalmente alla creazione di una facoltà di Scienze esatte, fisiche e
naturali, separate da quelle di Lettere e Filosofia. Durante il terzo decennio, incrementò il
numero di istituzioni, associazioni, circoli, case editrici e della produzione culturale in genere.
Fra queste va ricordato l’Ateneo científico literario y artístico, che fu luogo della libera
discussione della società civile dove si tentò di sistematizzare le idee esistenti in ambito
europeo; per non parlare del Liceo artístico y literario, dove furono frequenti le letture poetiche
che presentavano i nuovi valori, le mostre di pittura e i concerti. Questo è anche un periodo di
forte rivitalizzazione della cultura catalana.

Gli inizi della produzione saggistica del romanticismo spagnolo sono legati al nome di
Mariano José de Larra, la cui formazione risale al socialismo utopico. Sono anni in cui si
diffondono idee progressiste inerenti alla sovranità popolare e alla coscienza di classe. Una
reazione di fronte a quest’ondata di novità si ebbe da parte della corrente tradizionalista

1
Per stato liberale s'intende una forma di Stato che si pone come obiettivo la tutela delle libertà o diritti
inviolabili dei cittadini, assicurata dalla legge.
2
La guerra d'indipendenza spagnola fu il più lungo conflitto delle guerre napoleoniche e venne combattuto nella
penisola iberica da una alleanza di Spagna, Portogallo e Regno Unito contro il Primo Impero francese. La guerra
ebbe inizio con l'occupazione della Spagna da parte dell'esercito francese nel 1808 e terminò nel 1814 con la
sconfitta e la ritirata delle truppe francesi. La guerra distrusse completamente l'economia di Spagna e Portogallo
e portò ad un periodo di guerre civili, fra liberalismo ed assolutismo fino al 1850, guidate da ufficiali addestratisi
nella Guerra d'indipendenza spagnola. L'indebolimento di questi paesi rese difficile il controllo delle colonie
sudamericane e portarono all'indipendenza delle antiche Colonie spagnole d'America e del Brasile dal Portogallo.
3
Fu l’ultimo vero sovrano assoluto per diritto divino in Spagna. Gli inizi di questo secolo sono caratterizzati da
una Francia nel pieno della sua politica espansionistica, Paese che sotto la guida di Napoleone non rinuncia alla
possibilità di invadere la Spagna. Con il consenso delle istituzioni e degli afrancesados (ossia sostenitori spagnoli
e portoghesi degli ideali illuministi, liberali e rivoluzionari francesi, i quali sostennero l'occupazione francese della
penisola iberica ed il primo Impero francese) venne messo sul trono Giuseppe Bonaparte. Questa scelta non fu
appoggiata da tutti, ma anzi, venne vista come un gesto vòlto a usurpare il trono spagnolo da parte dei francesi,
considerati l’origine di ogni male. La fedeltà alla monarchia borbonica si manifestò con un’insurrezione popolare,
ed ebbe così inizio la guerra di Indipendenza. Da questo momento in poi la Spagna vive un breve periodo
caratterizzato da libertà individuali e dalla sovranità popolare, grazie a una costituzione promulgata dalle Cortes
di Cadice. Tuttavia, quando il borbone Ferdinando VII tornò in Spagna, restaurò l’assolutismo, annullando di
fatto i positivi sforzi legislativi delle Cortes di Cadice.
2
rappresentata da Juan Donoso Cortés4 e Jaime Balmes, quest’ultimo appartenente alla
cosiddetta “Scuola catalana” di filosofia5.
In quegli anni, la stampa arrivò a costituire un vero e proprio mezzo di comunicazione per
settori della popolazione sempre più vasti. Da ricordare periodici come EL MERCURIO
GADITANO6, EL EUROPEO, EL ESPAÑOL, EL SIGLO7. Questi periodici e molti altri
trattano di letteratura e belle arti, teoria e critica d’arte, musica e teatro, biografie e articoli di
divulgazione scientifica e naturalistica, satira politica, mondo femminile.
A Madrid e in altre città, diversi editori risposero alle nuove esigenze di mercato nate dalla
soppressione della censura e dall’espansione della cultura liberale e romantica. Ai
cambiamenti registrati in ambito editoriale corrispose un mutamento nel profilo sociale dello
scrittore all’inizio dell’epoca liberale. Appartengono a questa categoria i membri della nobiltà
tradizionale, i borghesi arricchiti e uomini di legge dalle alte cariche statali; scomparvero
invece i numerosi chierici della generazione precedente e il settore più numeroso verrà
costituito dai nuovi componenti della classe media proveniente dalle professioni borghesi. Da
notare, infine, che sono sempre più numerose le donne.
Fatta eccezione di pochi, gli scrittori romantici non riuscirono a vivere del loro mestiere,
nonostante si cimentassero in diversi campi, soprattutto nel giornalismo e collaborassero a
diverse traduzioni.
Se da un lato cambiò il profilo dello scrittore, accadde lo stesso a quello del lettore. Va
ricordato che nel 1830 solo un 10% della popolazione adulta era alfabetizzato. A partire da
quella data, però, aumentò il numero dei luoghi deputati agli spettacoli e vennero aperte
nuove sale di lettura, veri e propri luoghi di diffusione per le tante opere teatrali e per i
romanzi d’appendice, amati soprattutto dalle donne.

Nel 1814 si accese a Cadice un’accesa discussione che contrapponeva i postulati della tarda
cultura illuministica e quelli del romanticismo tedesco di Schlegel. L’ispanista tedesco Böhl de
Faber scrisse un articolo su EL MERCURIO GADITANO nel quale riassumeva le “riflessioni
di Schlegel sul teatro tradotto dal tedesco”.
Secondo i romantici tedeschi, la letteratura moderna traeva le proprie origini dal cristianesimo
e dallo spirito cavalleresco medievale che, nell’isolata cultura spagnola, impermeabile allo
spirito classicista pagano, si erano mantenuti intatti. Secondo Böhl, le sorti della letteratura
spagnola sarebbero dipese principalmente da questi due pilastri, in quanto riteneva il
razionalismo e il classicismo francese (frutto delle idee illuministe) i principali ostacoli alla
libera espressione dei popoli, nonché i responsabili del moderno materialismo e dei disordini
rivoluzionari.
La replica venne dall’illuminista José Joaquín de Mora che, sulle pagine dello stesso
quotidiano, sostenne il valore ancora attuale delle regole classiche e ridicolizzò gli eccessivi
elogi rivolti da Böhl a Calderón8.

4
Col suo ENSAYO SOBRE EL CATOLICISMO, EL LIBERALISMO Y EL SOCIALISMO, Cortés esclude il liberalismo
dalla sua filosofia del pensiero politico, affermando che il vero trionfo del bene consiste nel rifiuto delle idee
socialiste aderendo pienamente al cattolicesimo.
5
Da menzionare due sue importanti opere: EL PENSAMIENTO DE LA NACIÓN, con la quale arrivò ad influenzare
la vita politica del paese, e EL CRITERIO, considerato il catechismo della borghesia spagnola della seconda metà
dell’Ottocento.
6
Periodico sul quale appare un primo intervento sul romanticismo spagnolo a opera di Böhl de Faber.
7
Al quale collaborò José de Espronceda, autore de EL ESTUDIANTE DE SALAMANCA.
8
Visto quasi come il simbolo della tradizione letteraria teatrale spagnola
3
Negli anni a venire la polemica proseguì, finendo per riflettere lo scontro fra la cultura
tradizionalista e nazionalista (identificata col romanticismo) e la cultura liberale (frutto
tardivo dell’illuminismo).

Durante il romanticismo spagnolo, Walter Scott diventa un vero e proprio modello da imitare
per gli autori spagnoli. È dall’autore scozzese che vengono attinte le idee fondamentali del
romanticismo, diffuse dalla rivista culturale EL EUROPEO. La suddetta rivista fu l’organo di
espressione del gruppo denominato Escuela romántico-espiritualista. Alcune fra le idee
principali divulgate dal EL EUROPEO su cosa debba trasmettere il romanticismo sono: la
libertà creativa dell’autore, il sentimento come categoria estetica, l’analogia fra romantici e
classici veri contrapposti ai classicisti, il mondo germanico e cavalleresco, la bellezza e
l’importanza della religione cristiana, la specificità nazionale, l’orientalismo.

Quando il Triennio Liberale si concluse a causa dell’intervento dell’esercito francese9, tutta


una generazione di intellettuali e uomini di scienza che avevano vissuto a stretto contatto con
la cultura europea si videro costretti ad esiliare in Inghilterra e in Francia. Gli esiliati in
Inghilterra, per esempio, si stabilirono nel quartiere di Somers Tower, dove furono costretti a
vivere di sussidi, dell’insegnamento dello spagnolo, e solo in alcuni casi dell’esercizio delle
loro attività professionali. Da sottolineare è la collaborazione con alcune case editrici che
sorsero in Inghilterra per soddisfare il nuovo mercato di lingua spagnola apertosi con
l’indipendenza delle colonie americane. Questi intellettuali realizzarono numerose versioni in
spagnolo di diverse opere e pubblicarono importanti studi in vari campi, generalmente
accompagnati dalla traduzione in lingua inglese.
A contatto con la cultura francese maturerà l’opera di due esuli spagnoli: Martínez de la Rosa
e Ángel de Saavedra.

Dopo la scomparsa de EL EUROPEO, ci pensò don Agustín Durán a introdurre nuovi


elementi nel dibattito sul romanticismo in Spagna. L’autore, sulla scia di Böhl de Faber, si
poneva in contrasto con i critici spagnoli che avevano subordinato il teatro alla poesia,
degradandolo a sterile imitazione dei modelli stranieri. L’autore proponeva quindi la
restaurazione del teatro nazionale in quanto espressione ideale del modo di vedere, di
giudicare ed essere degli spagnoli; acquistava così particolare valore il criticismo storicista e di
conseguenza il teatro di Lope, il primo ad aver rifiutato l’imitazione nel suo processo creativo,
mettendo in scena romanticamente le glorie passate della Spagna, il trionfo dei suoi guerrieri e
dei suoi cristiani, l’amore delicato e cavalleresco, l’onore e la gelosia.
Inoltre, secondo Durán il teatro doveva necessariamente rappresentare tutta la complessità
interiore dell’uomo moderno; poco importava che il raggiungimento di questo scopo
prevedesse la fusione di più generi (comico, tragico, lirico, bucolico, ecc.). Al primo posto
venivano la carica emotiva e l’entusiasmo provocato dall’opera sullo spettatore.
Il discorso di Juan Donoso Cortés informava tutt’altro spirito. L’autore evidenziò i nuovi
valori letterari con accenti illuministici e senza intenzioni nazionaliste. Egli si sofferma molto

9
La spedizione di Spagna fu la campagna militare con cui, nel 1823, il Regno di Francia di Luigi XVIII, in base alla
Santa Alleanza, pose fine al triennio liberale spagnolo, ristabilendo l'assolutismo regio di Ferdinando VII.
Durante il Triennio Liberale, i tentativi di mettere in pratica le idee progressiste delle Cortes di Cadice furono
frustrate sia dalla forte disparità ideologica esistente tra i loro membri, sia dall’isolamento politico dei liberali nel
moderno contesto europeo. Quando intervenne la Santa Alleanza, vennero pienamente restaurati i poteri di
Ferdinando VII. Alla sua nuova ascesa al potere seguì una violenta repressione, con l’esecuzione di tutti i capi
della costituzione liberale e l’esilio di numerosi spagnoli in Inghilterra. È l’inizio della década ominosa (1823-
1833).
4
di più sul valore della poesia, affermando che non è altro che l’espressione energica delle
nostre più intime sensazioni. Sempre secondo Cortés, la poesia ci trascina alla contemplazione
di tutto il bello, l’ideale e il sublime.
Antonio Alcalá Galiano, invece, si focalizza sul processo di denazionalizzazione subìto dalla
letteratura spagnola entrando in contatto con la cultura francese, causa per cui le opere
risultavano sempre incolori e prive di vitalità. Secondo l’autore, per far sorgere criticamente
un’autentica letteratura nazionale, è necessario allontanarsi sia dal classicismo francese sia
dalle esagerazioni straniere. Senza essere imitazione della precedente, la poesia – prosegue
Alcalá – ha tutte le carte in regola per ritornare ad essere espressione di ricordi del passato e
di emozioni presenti, perché in fondo era stata questa l’origine dei romances medievali.
Per quanto concerne il teatro, l’autore fa luce sugli eccessi del teatro francese, i quali non si
sposano con i valori della società spagnola; tuttavia, il teatro romantico tendente
all’esuberanza10 avrà comunque la sua fetta di popolarità. Non mancherà comunque un teatro
più moderato.
Sebbene all’inizio del secolo il romanzo fosse tenuto in poca considerazione, l’Ottocento finirà
per essere comunque definito il secolo del romanzo.

Parlando di romanticismo spagnolo, non si può evitare di menzionare il mito della Spagna
romantica. L’aggettivo venne usato da scrittori e critici tedeschi e francesi sia per indicare le
sorprendenti tradizioni e i modi di vita degli spagnoli, sia per la letteratura della nazione che
ben rappresentava lo spirito cristiano e cavalleresco. Alla diffusione degli ideali romantici in
Spagna contribuirono largamente gli autori tedeschi che avevano aderito al movimento in
Germania, come Böhl de Faber; tra i primi scrittori spagnoli a recepirne le caratteristiche vi
furono Agustín Durán e Antonio Alcalá Galiano; occorre notare che il romanticismo spagnolo
ebbe inizio dopo un lento processo di transizione tra preromanticismo e romanticismo che
durò circa 30 anni. Gli autori romantici spagnoli trassero ispirazione dal Secolo d'Oro e dalle
storie medievali, rivalutando questi due periodi che, nel Settecento neoclassico, erano stati
messi da parte e anzi avversati. La razionalità e la misura che avevano caratterizzato le opere
del neoclassicismo spagnolo furono abbandonate in favore di una maggiore vividezza delle
narrazioni, ricche di emozione e tensione; tutte le regole stabilite nel secolo precedente furono
sovvertite, e si assistette a un'ampia commistione di generi, originata dal desiderio di libertà
tipica del Romanticismo: argomenti solitamente attribuiti alle tragedie entrarono nelle
commedie, e viceversa. La riscoperta del Medioevo mise la letteratura spagnola nuovamente
in contatto con la tradizione prima dimenticata. Dall'oggettività l'attenzione delle opere si
spostò alla soggettività.

L’uomo romantico assapora la realtà che lo circonda mediante i sensi, diffidando delle
apparenze. Della realtà cerca di svelarne i misteri lasciandosi trasportare dall’immaginazione.
L’amore viene concepito nei termini assoluti di vita/morte, ed è un sentimento che lo costringe
a misurarsi con le difficoltà che ne impediscono la realizzazione. La visione dell’amore,
tuttavia, non coincide sempre col fatalismo o la follia; talvolta è incarnato da una donna,
angelo puro portatore di pace e felicità, ed è dunque un sentimento in armonia con la natura
dolce e splendente.
Insoddisfatto della realtà, il poeta romantico si colloca in un passato nazionale più o meno
lontano, come a voler sottolineare l’insoddisfazione del tempo presente. A volte sarà proprio
la storia a divenire oggetto della sua critica, ma non solo; particolare attenzione verrà dedicata

10
rappresentato da Mariano José de Larra e José de Espronceda
5
alle leggende e alle tradizioni religiose, specie di matrice medievale. Vi è dunque una
riscoperta della civiltà cavalleresca cristiana: vengono evocati trovatori e tornei, si indaga sui
tempi dei re goti e in particolare sulla Reconquista, e si drammatizzano quei periodi in cui
l’unità della patria era stata messa in pericolo. In questo periodo sono molto popolari anche le
biografie degli artisti, soprattutto quelle dei letterati (come Quevedo, Garcilaso, Fray Luis,
Calderón), col proposito di recuperare le glorie nazionali. Scarse sono le opere ambientate
fuori dal territorio nazionale ed è anche relativamente ristretto l’interesse per la storia ispano-
americana.
Personaggi storici minori cominciano ad essere visti sotto una nuova luce e diventano
protagonisti assieme a quei soggetti schierati contro un ordine sociale ingiusto e repressivo:
Zorrilla dedica un poema alla figura del contrabbandiere ed Espronceda fa del pirata e del
cosacco i protagonisti delle sue più celebri canzoni. Non vanno dimenticate altre figure
protagoniste di queste opere come banditi, eremiti, pazzi, prostitute, trovatelli, mendicanti, galeotti,
condannati e boia, i quali denunciano le convenzioni sociali, l’ipocrisia e la mancanza di
solidarietà umana. Il poeta diventa il portavoce di una società che corrompe l’essere umano, e
la sua missione è proprio quella di rigenerare quest’ultimo. La condizione di nascita non è più
una barriera insormontabile: ora, l’uguaglianza fra gli uomini e dunque un equilibrio sociale
non vengono più visti come un’utopia.
L’uomo romantico proietta il suo io sul paesaggio circostante, rurale o urbano che sia,
sentendosi dunque parte integrante di tutto il creato. Ad ogni stagione e paesaggio
corrisponde un preciso sentimento. La malinconica attenzione verso il passato medievale
riproduce motivi paesaggistici come il castello, la cattedrale gotica, la cappella sperduta.
Passando alle città, si prediligono quelle cariche di storia, dove grandiosi palazzi si alternano
a stretti vicoli e antiche osterie. Visione e sogno si mescolano di frequente, la materia con il
vuoto, o semplicemente predomina il soprannaturale.

IL TEATRO
Francisco Martínez de la Rosa

Martínez de la Rosa fu uno degli artefici della transizione dall’assolutismo monarchico al


liberalismo moderno.
Autore di formazione neoclassica, mise in scena LA CONJURACIÓN DE VENECIA, la cui
data della prima (1834) coincide con l’inizio del movimento romantico in Spagna. L’opera è un
dramma politico, con trama amorosa e spunti melodrammatici. È un dramma di transizione
nell’avanzata insicura del movimento.

6
L’autore coltivò il genere della tragedia con LA VIUDA DE PADILLA, mettendo in scena la
ribellione comunera11 della Castiglia (sec. XVI), e che poteva didascalicamente essere
paragonata alla situazione di Cadice nel 1812, assediata dai francesi.
Maggiore notorietà gli venne dalla sua versione dell’EDIPO, opera che riflette una marcata
tendenza verso l’utilizzo di elementi romantici, come per esempio la presentazione di un
individuo angosciato dalle domande trascendentali sull’esistenza.

Ángel de Saavedra, duque de Rivas (drammaturgo)

Rivas partecipò alla guerra di Indipendenza (1808), fu un fervente liberale, nonché un


deputato durante il triennio 1820-1823. Fu condannato a morte, quindi dovette partire per un
esilio lungo più di dieci anni che lo portò prima a Londra e poi a Malta, dove rimase cinque
anni, e infine a Orleans, Parigi e Tours.
Tornato in patria fece rappresentare il DON ÁLVARO O LA FUERZA DEL SINO, opera che
può essere considerata il primo e forse migliore dramma romantico spagnolo12. DON
ÁLVARO è un dramma originale: cinque jornadas in prosa e versi, costruito secondo la nuova
estetica che mescola sublime e grottesco, che si svolge n un ampio lasso di tempo e le cui
numerose azioni, che vedono coinvolti ben 56 personaggi, sono ambientate in svariati luoghi.
Don Álvaro è un misterioso nobile “indiano” (ovvero originario dell’America Latina) che cade
preda di un amore contrastato, e per realizzarlo dovrà scontrarsi sia con l’ordine sociale che
con il destino (sino): a esso finirà per soccombere, optando alla fine per il suicidio. Costretto a
vagabondare dalle Indie a Siviglia e a nascondere la sua origine, l’uomo, innamorato della
nobile Leonor, uccide casualmente il padre dell’amata, il quale si era opposto alle loro nozze.
Leonor si ritira in convento e don Álvaro, privato dell’oggetto d’amore, parte per l’Italia.
Dopo tutta una serie di vicissitudini avverse, finirà per ritirarsi nello stesso convento in cui si
trova Leonor senza sapere nulla della sua presenza, poiché la crede morta. Intanto, il fratello
di Leonor, Alfonso, cerca in tutti i modi di uccidere Álvaro, quasi a voler vendicare la morte
del padre. Quando Alfonso viene a sapere del ricongiungimento dei due amanti, sfida Álvaro.
Nonostante sia ferito a morte, prima di spirare, pugnala la sorella, ottenendo così la sua
vendetta. Ecco che quindi viene a manifestarsi la forza ineluttabile del destino. Una scena del
genere vuole sottolineare come la vita dell’uomo sia sempre e comunque caratterizzata dalla
fatalità, da un’inevitabile tragicità. Il picco di quest’ultima viene toccato col suicidio del
protagonista, la cui vita non ha più senso se Leonor è morta.
Dal punto di vista ideologico, l’opera è stata interpretata come denuncia dell’emarginazione o
monito per chi si colloca al margine delle leggi e delle norme sociali stabilite.

11
Nome dato agli abitanti di molti centri della Castiglia che, riuniti in comunidades, parteciparono alla rivolta dei
nobili e del popolo contro i ministri fiamminghi e le truppe di Carlo V (1520-21). Gli insorti furono sconfitti nel
1521, i loro capi ribelli vennero immediatamente decapitati e solo qualche focolaio di rivolta sopravvisse più a
lungo.
12
Tant’è vero che Verdi si ispirerà a quest’opera per LA FORZA DEL DESTINO.
7
Antonio García Gutiérrez

L’opera con la quale García Gutiérrez si mise in luce è sicuramente EL TROVADOR,


un’opera drammatica che raccoglieva già una certa tradizione drammatica. Il dramma, in
prosa e versi, è diviso in cinque atti che danno una notevole complessità scenica a un intreccio
che sembra più adatto a un romanzo che a un’opera teatrale. L’autore stesso definì la sua
opera “dramma cavalleresco” – e non storico – poiché l’Aragona del secolo XV in cui è
ambientato, scossa dalle guerre civili di successione, funge solo da sfondo dei tragici amori di
Leonor e Manrique, il misterioso trovatore che coi suoi canti ispira un’irresistibile passione
nella giovane.
Dramma di intrighi e di passioni scatenate dall’amore e dalla vendetta, EL TROVADOR
presenta in Leonor una vera eroina romantica: il suo accanito sentimento verso Manrique è
tale da spingerla a sfidare il suo stesso sistema di valori personali e convenzioni sociali,
ignorando addirittura la differenza di classe che la separa dallo sconosciuto trovatore.

Juan Eugenio Hartzenbusch

Oltre che poeta, Hartzenbusch fu anche drammaturgo, commediografo, filologo e presidente


della Real academia española.
Dopo alcuni tentativi drammatici, raggiunse la fama con LOS AMANTES DE TERUEL
(1837), storia popolare di origine tradizionale, rielaborazione della novella di Boccaccio
Girolamo e Salvestra. L’autore ne fece un dramma in cinque atti, in prosa e versi, arricchito da
numerosi episodi nuovi e da elementi esotici. L’azione si svolge in Aragona, nel XIII secolo, e
vede come protagonisti una coppia di giovani (Diego de Marsilla e Isabel de Segura)
appartenenti a differenti classi sociali. Il loro amore viene ostacolato dal padre di Isabel, che
pretende da Diego una consistente fortuna per dare il suo consenso alle nozze. L’azione
drammatica, concentrata nei sei giorni che mancano allo scadere del termine concesso, rende
il tempo il protagonista del dramma. Isabel, che aveva giurato fedeltà a Diego, si vede
destinata al pretendente Azagra e finirà per accettare le sue pressanti proposte poiché le è
stata annunciata la morte dell’innamorato. Quando le nozze sono già celebrate, arriva Diego,
ma ormai nessuno può più rompere il patto di fedeltà giurato davanti a Dio, e quindi Isabel
gli chiederà di allontanarsi. Diego – che si manifesta come un ribelle romantico che non
accetta quella che è, a tutti gli effetti, un’ingiustizia – muore poco dopo il rifiuto dell’amata. La
fine di questo legame equivale alla fine stessa della vita, ormai privata di un senso. Poco dopo
8
anche Isabel fa la stessa fine. Dunque, come anche in altri drammi romantici, anche in quello
di Hartzenbusch il tema dell’amore è inesorabilmente unito a quello della morte.
Accanto a questo capolavoro, l’autore produsse un numero consistente di opere teatrali di
diverso genere, tra le quali spiccano i tentativi nel genere della commedia di magia e alcuni
drammi storici.

José Zorrilla (drammaturgo)

Figlio di un severo funzionario di polizia carlista, José Zorrilla abbandonò gli studi
universitari nella città natale di Valladolid, attratto dal fermento letterario della capitale. Dopo
un matrimonio infelice, condusse una vita indipendente, segnata dal tradizionalismo paterno
che non seppe rinnegare, e dalle privazioni economiche, alle quali non riuscì a sottrarsi
malgrado la sua intensa attività letteraria. Visse parecchi anni all’estero, e al suo ritorno in
Spagna proseguirà con una produzione teatrale piuttosto mediocre, in mezzo a mille difficoltà
materiali.
Tra il 1836 e il 1849 Zorrilla svolse un’intensa attività teatrale, un corpus che comprende una
trentina di opere. In contrasto con le esagerazioni del dramma romantico, Zorrilla propone un
tipo di dramma storico consono al conservatorismo ideologico che si stava instaurando nella
società spagnola. Nei suoi drammi, l’interesse dello spettatore viene suscitato dagli intrecci di
sapore storico-leggendario, spesso risolti in maniera ottimistica e gratificante, mediante
l’agnizione. Il suo teatro, caratterizzato da un’ottica patriottica e cristiana, elude i problemi
della sua contemporaneità.
Un’opera di Zorrilla che va assolutamente menzionata è DON JUAN TENORIO. L’autore
sostiene di essersi basato su El burlador de Sevilla di Tirso de Molina e su El convidado de piedra
di Antonio Zamora. In realtà, ci troviamo di fronte a un sostanziale ribaltamento del presunto
modello. Nel Don Juan di Zorrilla ci sono più espedienti drammatici simili alle opere coeve
che a quelle di Tirso e Zamora. Il don Juan di Zorrilla, a differenza di quello di Tirso che
meritava sicuramente la condanna agli occhi di uno spagnolo del XVII secolo, si salverà grazie
alla misericordiosa redenzione dell’amore.
L’opera è divisa in due parti simmetriche, ma nettamente distinte. La prima in quattro atti
sviluppa la storia del libertino e le sue marachelle, compreso l’inganno di doña Ana; segue il
rapimento dell’amata Inés dal convento e la fuga a Siviglia. Quasi alla fine di questa prima
parte, una scena ci mostra un dialogo tra doña Inés e don Juan, un dialogo dalla liricità che
ben suggerisce il tema del dramma, ossia la forza miracolosa dell’amore. La prima parte si
conclude con l’assassinio del Commendatore con un colpo di pistola da parte di don Juan.
La seconda parte è composta di tre atti ed è ambientata sempre a Siviglia. Sono passati cinque
anni durante i quali don Juan ha continuato ad amare doña Inés. Tutto accade in una notte.
Don Juan passeggia, pentito e malinconico, tra le statue dei suoi defunti. Quella di doña Inés,
che è morta di dolore, si trasforma in ombra palpabile che offre a don Juan la salvezza. Don
Juan vacilla e dubita, credendo di essere preda del delirio. A un certo punto tutte le altre
statue si voltano verso di lui. L’uomo allora sfoggia tutto il suo coraggio e invita a cena la

9
statua del Commendatore per dimostrare l’inesistenza della vita oltre la morte. Il
Commendatore accetta il sacrilego invito. Quando si aprirono i sepolcri, don Juan assiste al
proprio funerale, ma mediante il salvifico intervento di doña Inés, don Juan può optare per la
redenzione divina.
Grazie alla rivisitazione di Zorrilla, don Juan diventa così un personaggio romantico che
attraverso l’esaltazione dell’amore raggiunge la salvezza.
Dopo il successo di Don Juan, Zorrilla si dedicò ai drammi storici (basti pensare a TRAIDOR,
INCONFESO Y MÁRTIR). L’autore, che aveva portato gli eroi dei suoi drammi storici verso i
valori patriottici e della tradizione, costruisce un nuovo tipo di personaggio che non si ribella
al destino avverso, ma reagisce con grande dignità umana.
Durante la sua vita, Zorrilla non si è dedicato solo al teatro, ma ha coltivato anche la scrittura
poetica. Di fatti, a completare la sua figura di scrittore romantico ci pensano le sue numerose
raccolte di liriche.

LA POESIA
Via via che ci avviciniamo al 1835, risultano sempre più numerosi i tentativi per trovare
un’espressione nuova per la poesia spagnola. In questa data alcuni autori si riunirono intorno
alla rivista EL ARTISTA, riuscendo a dare corpo a una nuova scuola. I processi che danno
origine al romanticismo spagnolo risultano più facilmente comprensibili se si considera che
già la corrente illuminista e classicheggiante di fine secolo aveva scoperto un nuovo
sentimento della natura e aveva posto maggiormente l’enfasi sui soggetti autobiografici e sulle
meditazioni sociali e filosofiche.
Il poeta romantico, nell’intento di ricreare il passato, lo evoca nei suoi luoghi e nelle sue forme
contrastanti di caducità e splendore, dando il via a un importante sviluppo della poesia
narrativa che ha in Europa modelli come Byron e de Musset. Questo genere fonde narrazione,
dialogo e lirismo descrittivo, e viene considerato da alcuni come la vera poesia del
romanticismo spagnolo.
Tornano in auge i romances; alla vigilia del romanticismo questo genere ricevette un grande
contributo critico da parte di Augustín Durán che, a partire dal 1828, curerà una collana di
Romances. Ma nel 1834 sarà Manuel María de Mármol a ridare dignità creativa pubblicando
una raccolta di suoi romances. L’introduzione al suo Romancero anticipa, di fatto, il noto
prologo-manifesto del duque de Rivas ai suoi ROMANCES HISTÓRICOS. In questo metro
verranno composte altre opere il cui intento era la rievocazione di episodi della storia
spagnola oppure la narrazione di eventi di attualità.

Ángel de Saavedra, duque de Rivas (poeta)

Rivas è considerato il vero iniziatore del genere poetico-narrativo con EL MORO EXPÓSITO.
IN questo lungo poema storico-leggendario composto da 12 canti in endecasillabi, Rivas narra
una nota leggenda che si svolge alla corte del moro Mudarra, un califfo. Lo svolgersi
10
dell'opera è condizionato dall'amore sofferto del protagonista per Kerima e una serie di
intrecci, mantenendo tutti gli elementi propri della tematica romantica: l’agnizione, il viaggio,
la vendetta, l’amore e il caso.
Come è stato già anticipato prima, nel 1841 Rivas raccolse in volume i suoi ROMANCES
HISTÓRICOS13, apparsi negli anni precedenti su alcune riviste. Questi romances rivisitano
diversi episodi e personaggi della storia nazionale: si va da Medioevo all’epoca imperiale, alla
Conquista con Colombo e Cortés14. L’epoca moderna è quella meno presa in considerazione.
Indipendentemente dalla verità storica, i personaggi e le situazioni dei suoi romances servono
a Rivas per evocare ai suoi contemporanei un passato glorioso, mediante un gesto o una
situazione vissuta al limite della drammaticità. Rivas ci tiene a sottolineare i valori che
contraddistinguono la gente del suo Paese, e quini la generosità, l’onore, l’orgoglio, l’eroismo.
In contrasto con la rovina fisica e morale dei suoi tempi, egli propone i valori della patria,
della religione, del merito e dell’amore per il lavoro come i capisaldi della nuova classe media
liberale.

José de Espronceda

Espronceda è l’autore che meglio rappresenta gli aspetto più progressisti del romanticismo
spagnolo, e a testimoniarlo sono opere come EL ESTUDIANTE DE SALAMANCA e EL
DIABLO MUNDO.
Stimolato dagli “istinti di vedere il mondo”, arrivò a Lisbona nel 1827, dove si ritrovò con altri
liberali spagnoli esiliati15. Il suo impegno politico non si arrestò nella capitale portoghese, in
quanto viaggiò spesso fino ad arrivare a Parigi, città nella quale prese parte ai fatti
rivoluzionari del 1830. Una volta tornato a Madrid, partecipò attivamente alla vita politica e
culturale, dedicandosi all’editoria e alle attività del Liceo artístico. Espronceda pose sempre la
sua voce democratica e repubblicana al servizio del popolo e del proletariato, tant’è vero che
per le sue critiche e i suoi attacchi al governo fu oggetto di censura e confino. Durante la
reggenza progressista fu addirittura eletto deputato alle Cortes, ma la sua partecipazione alla
vita parlamentare fu breve poiché morì di malattia in quello stesso anno (1842).
La critica ha visto nell’opera poetica di Espronceda importanti innovazioni, nella metrica,
nella particolare sintassi iterativa, nella tendenza a una depurazione del linguaggio poetico,
aspetti che lo rendono unico fra gli autori spagnoli. Fondamentale, in questo poeta, è
l’intuizione di un’anima vivificatrice dell’universo, un’anima che cerca di captare mediante
l’atto poetico.

13
Diciotto in tutto, composti in ottonari
14
È stato un militare, condottiero e nobile spagnolo. Abbatté l'Impero azteco e lo sottomise al Regno di Spagna.
15
L’autore fu un fervente antiassolutista. L’autore di fatti affermò: “Convinto della verità delle mie opinioni, darò
sostegno sempre e con tutte le conseguenze al santo dogma dell’uguaglianza, senza riconoscere altra
aristocrazia che quella legittima dell’intelligenza e del merito, difenderò allo stesso modo il principio di sovranità
nazionale, e geloso dei diritti e degli interessi del popolo, non abbandonerò mai il mio posto nell’avanguardia
della libertà”.
11
La sua prima fase poetica risente sicuramente della formazione classica ricevuta16. L’anno del
suo trasferimento a Londra (1827) coincide con una seconda fase nella quale l’autore si
avvicina ai poemi di Ossian. Verso il 1832 Espronceda inaugura un filone di poesia
cavalleresca con il CANTO DEL CRUZADO, poema incompleto che segue modelli letterari
storicistici di cupa ambientazione medievale. Ma è a partire dal 1834 che nella sua opera si
avverte la frattura sia con la poetica classica sia con lo storicismo romantico: una volta
assimilate le esperienze poetiche europee, l’autore si focalizzerà nei suoi componimenti
sull’esaltazione della piena libertà individuale, a discapito dei vincoli sociali che avrebbe
trovato sul suo cammino. Per esempio, in El verdugo, El mendigo e El reo de muerte, i personaggi
emarginati sono tutti presentati come vittime di una società ipocrita e indifferente. Tutti i suoi
componimenti successivi saranno caratterizzati da un accento sociale sempre più marcato. In
questi l’idea che l’Europa abbia perso gli ideali autentici, cedendo al degradante
mercantilismo, suggerisce che la presenza del popolo, con la sua onestà e il suo coraggio,
possa risultare vivificante.
Espronceda è anche il poeta dell’amore, e l’oggetto privilegiato di alcuni suoi componimenti è
proprio il motivo delle illusioni perdute. Un esempio è costituito dall’elegia Canto a Teresa,
inclusa ne EL DIABLO MUNDO. All’interno di questa elegia emerge tutta l’esperienza
esistenziale del poeta, di fatti è stata scritta alla morte della sua amata Teresa.
Al genere della leggenda romantica appartiene il già citato EL ESTUDIANTE DE
SALAMANCA, composto da 1704 versi polimetrici (romances, octavillas, ottave reali), diviso in 4
parti asimmetriche nelle quali si alternano narrazione, dialogo e lirismo. Il poema raccoglie e
interpreta varie tradizioni letterarie, tra le quali il mito di don Juan di Tirso de Molina,
Zamora e Byron, la visione del proprio funerale (già utilizzata da vari drammaturghi del Siglo
de oro), e la danza della morte nella quale si consumano le nozze dei cadaveri. Nonostante
queste fonti, l’opera si può comunque considerare originale. Nell’opera emerge l’immagine
tipica dell’uomo romantico che, desideroso di conoscere ardentemente il senso e i confini della
realtà, è disposto ad abbracciare la morte assumendola come destino.
La vicenda, ambientata nella Salamanca medievale, inizia in una notte funerea e
fantasmagorica, con un’esclamazione di una delle vittime del libertino protagonista (Félix de
Montemar), il quale ha ucciso il fratello di una donna da lui oltraggiata. La quarta parte, con i
suoi quasi mille versi, è di molto superiore per estensione alle altre, e dà il senso definitivo
all’opera. Don Félix, senza intimorirsi dinanzi a nulla, insegue una non meglio definita dama
bianca, simbolo della vita umana; la dama, che via via si trasforma in un essere inquietante e
misterioso, lo avverte del pericolo che corre nell’inseguirla, ma Félix non desiste
dall’intraprendere un cammino durante il quale incapperà nel suo stesso funerale.
Nell’inseguire la donna, Félix giunge in un palazzo al cui interno c’è una stanza. Al centro è
posto un catafalco che è insieme tomba e talamo; in mezzo a un ammasso confuso di scheletri,
la donna gli si offre come sposa. Quando il protagonista le alza il velo, è troppo tardi: quella
dama è la morte che lo avvinghia a sé in un mortale abbraccio.

EL DIABLO MUNDO, invece, è il tentativo più ambizioso di estendere la propria riflessione


alla società dell’epoca. Poema polimetrico incompleto formato da un prologo e sei canti, più
alti frammenti di un settimo canto e l’episodio El ángel y el poeta. Le fonti europee sono
sicuramente Byron, Goethe e Schlegel, ma vi sono anche collegamenti intertestuali con lo
stesso EL ESTUDIANTE DE SALAMANCA.

16
Alcuni esempi: il poema epico EL PELAYO e le composizioni liriche che vanno fino al 1832.
12
Dall’opera emerge il personaggio di Lucifero, colui che ha voluto raggiungere l’amore, la
ricchezza e la gloria. Lo stesso rimprovera Dio di aver creato l’uomo e di averlo abbandonato
al suo destino lasciandolo schiavo delle sue passioni.
All’inizio del primo Canto, il senso dell’esistenza viene indagato nel crudo contesto di una
locanda dove troviamo il vecchio don Pablo, disincantato e ormai rassegnato a un’inevitabile
morte. In seguito a un sogno, egli verrà trasformato in un giovane (Adamo) disposto ad
accettare la sfida della vita. Nel secondo Canto Adamo comincia la sua nuova vita senza
memoria né passato, pieno di illusioni e speranze. L’individuo entra in brusco contatto con la
società corruttrice, rappresentata dalla figura di don Liborio, assessore comunale. In seguito a
un tumulto popolare, Adamo si ritrova a vivere tutta una serie di disgrazie, tra cui
l’esperienza in carcere. Qui sarà “educato” dal fuorilegge Lucas. La figlia di Lucas, Salada,
sarà l’unica persona in grado di comprendere l’ingenua bontà di Adamo e la fiducia nella vita
rinascerà attraverso l’amore.
Con il proseguire dei canti, vediamo l’amore di Adamo per Salada vacillare. È in questo
momento che l’uomo si unisce a un manipolo di banditi coi quali assalta il palazzo della
Contessa Alcira (sesto Canto).
Più avanti, camminando per la città scorge attraverso la finestra di un postribolo il corpo di
una giovane morta alla quale tenta di ridare la vita. Scosso da questa scena, l’uomo suggerisce
alla padrona del postribolo (madre della ragazza) di prostrarsi davanti a Dio. La vecchia
risposte tra imprecazioni e litanie, ma è da questo punto in poi che Espronceda rinuncia a
questa storia che, dunque, rimane inconclusa. Così si chiude uno dei capolavori del
romanticismo, nonché primo tentativo in lingua spagnola di creare un’opera incentrata sulla
ricerca di un senso generale della vita e di un ordine nel cosmo.

José Zorrilla (poeta)

I componimenti di Zorrilla sono animati da nostalgici amori, evocazioni di città storiche e


malinconiche descrizioni della natura. Tuttavia, la sua volontà di diventare “il cantore della
nazione” si realizzerà abbracciando i nuovi ideali romantici: il fiero patriottismo e il suo
profondo spirito religioso cristiano. In questo modo, Zorrilla riuscì nel suo proposito di far
rivivere ai suoi lettori il tiempo viejo. Servendosi della libertà polimetrica della leggenda che
alternava abilmente narrazione e dialogo e la digressione personale, il poeta “percorre” con la
sua penna il proprio Paese da cima a fondo: è così che nelle sue opere emerge la Spagna
cavalleresca, eroica e fantastica, cristiana e araba, dai Visigoti agli Asburgo, ma innanzitutto
quella dei “genuini” tempi medievali. Ci troviamo quindi davanti a un ingente corpus17,
prodotto durante quattro decenni circa, scritto in un castigliano purissimo e fondato sui
tradizionali valori della musicalità e sulla capacità di creare immagini suggestive (ormai
consolidate nell’immaginario romantico) che seducono il lettore.

17
Zorrilla si è cimentato con le leggende tradizionali, con la tradizione mariana, con alcune create di suo pugno,
altre appartenenti al genere orientale e persino alcune autobiografiche o dal carattere sociopolitico.
13
Gustavo Adolfo Bécquer

Bécquer ricevette la tradizione educazione umanistica in un ambiente culturalmente ricco


dove maturò un forte interesse per la pittura e per la musica. Attirato dalla gloria letteraria,
abbandonò la natia Siviglia (quando ancora aveva prodotto solo poche poesie di gusto
classicheggiante), per dirigersi verso Madrid. Qui fu adattatore di commedie, zarzuelista18, e
redattore della Historias de los templos de España, opera apprezzabile dal punto di vista
storiografico che lo avvicinò al mondo poetico delle LEYENDAS. La sua attività creativa andò
sempre aumentando a partire dal 1859, anno in cui inizia la pubblicazione di alcune delle
RIMAS e delle leggende su EL CONTEMPORÁNEO.
L’edizione delle RIMAS venne preparata circa dieci anni dopo, tra il 1867 e il 1868: il
manoscritto, consegnato all’amico ministro González Bravo per una presentazione di
prestigio, andò purtroppo perduto durante i moti rivoluzionari del 186819. Quello fu anche
l’anno della separazione dalla moglie e del suo trasferimento a Toledo con i due figli e il
fratello. Vi rimase un anno durante il quale si dedicò alla trascrizione a memoria delle rime
scomparse; sulla copertina del quaderno che le raccoglie leggiamo LIBRO DE LOS
GORRIONES. Tornato successivamente a Madrid, alcuni suoi amici, utilizzando questo
manoscritto, prepararono la prima vera edizione delle RIMAS che apparve nel 1871. Gli
editori eliminarono 3 delle 79 poesie comprese nel manoscritto e le ordinarono seguendo le
fasi della storia d’amore del poeta.
Respingendo quel tipo di poesia romantica che era libera espressione del sentimento, Bécquer
si identificò con la “poesia dei poeti”, priva di artifici e inutili fronzoli, frutto di quelle prime
impressioni/sensazioni che si fissano nella memoria del poeta e che aspettano solo il momento
giusto per essere trascritte su carta, come se fossero evocate dallo spirito. Da questo processo
deriva una poesia naturale, asciutta, breve, una poesia che sfiora appena solo una fra le
infinite idee che popolano la fantasia umana. Di fatti, per Bécquer la parola poetica risulta
insufficiente a colmare l’abisso fra il mondo delle idee e quello della forma.
Seguendo l’ordine dato dai suoi primi editori, sono state stabilite quattro serie che indicano le
quattro frasi dell’amore comprese nelle RIMAS:
1. Nella prima (1-11) sono riunite quelle che toccano il concetto di creazione e di poesia,
essenza d’amore di cui la donna è allegoria.
2. Nella seconda (12-29) l’amore viene dipinto come forza vitale; a questo tema si alterna
quello della galanteria e della profondità del sentimento.
3. Nella terza (30-51) protagonista è l’amarezza e il disinganno d’amore. La concisione e la
drammaticità nell’evocare situazioni personali (come per esempio tradimento subìto) danno

18
Compositore di zarzuelas, e cioè operette serie o giocose di argomento e ambiente spagnoli, costituite da
musica, prosa e danza
19
La Rivoluzione spagnola o La Gloriosa, conosciuta anche come La Settembrina, fu un'agitazione spagnola che
avvenne nel settembre del 1868, che comportò la detronizzazione della regina Isabella II e l'inizio del periodo
denominato Sessennio democratico. Dal 1874 ci sarebbe stata una nuova restaurazione borbonica.
14
unità alle rime, ed è proprio da queste che emerge spiccatamente l’influenza di Ferrán e di
Heine.
4. Nella quarta (52-76), meno omogenea e più complessa, cogliamo il dolore profondo, la
morte, la solitudine, il vuoto.

Pubblicate dopo quelle in versi di Rivas e Zorrilla, le LEYENDAS di Bécquer non si possono
considerare una semplice continuazione del genere. In esse non troviamo più una descrizione
colorita e pittoresca del passato, ma un’autentica creazione artistica soggettiva in cui l’io
narrante si proietta sul mondo narrato. A conferma di ciò, si fa tangibile l’evanescente, il
mistero, il sogno, colori e suoni che riflettono il mondo interiore becqueriano, carico di
suggerimenti simbolici. Amante del passato e delle sue ricchezze artistiche, già in Historias de
los templos de España Bécquer aveva introdotto le manifestazioni della fantasia popolare legate
ai monumenti e ai luoghi descritti. Le tradizioni orali e scritte sono alla base dell’elaborazione
della maggior parte delle sue LEYENDAS (22 in tutto). Accompagnate alcune da
un’introduzione e altre da un epilogo, le LEYENDAS mostrano la competizione fra opposte
forze morali, fino all’esito finale che prevede il pentimento o la punizione. All’interno delle
LEYENDAS ricorrono le manifestazioni del soprannaturale che vivifica le statue, ferma il
tempo, trasforma caprioli in donne, fa volare i cavalli, fa emerge dal nulla antiche rovine,
spinge un organo a suonare da solo. Ambientate di solito in città castigliane, per lo più in un
passato medievale o imprecisato, abbondano di rovine e altri motivi romantici che Bécquer
utilizza per introdurci nel suo personalissimo mondo interiore.
Fra i temi delle sue leggende ne troviamo alcuni legati a tradizioni religiose. Ultimamente la
critica ha sottolineato il fatto che le leggende e le RIMAS fanno parte dello stesso nucleo
poetico, avendo entrambe diversi punti di contatto sia tematico che stilistico. L’amore è il leit
motiv di numerose leggende, rappresentato come una forza universale che tutto avvinghia, e
che talvolta spinge – nella sua ricerca – alla pazzia o a una morte tragica.

LA PROSA
Mariano José de Larra

Figlio di un medico afrancesado, Larra trascorse la sua infanzia in esilio a Bordeaux e a Parigi,
acquisendo una buona formazione nella cultura francese. Nella sua produzione giornalistica,
attaccò la passività degli spagnoli verso l’arretratezza della cultura e delle istituzioni,
proponendo soluzioni ai problemi più attuali. A spingerlo al suicidio a soli 28 anni furono
probabilmente la sfiducia nell’uomo e nella società assieme al fallito tentativo di riconciliarsi
con l’amante Dolores Armijo.
Il posto di rilievo che Larra occupa nella letteratura spagnola è dovuto soprattutto alla sua
prosa giornalistica, nonostante si sia dedicato anche a quella letteraria e al teatro, per non
parlare dei componimenti lirici che scrisse prima del 1830, di stile neoclassico e di spirito
liberale.
15
Egli fu fondatore e unico redattore di riviste come EL DUENDE SATÍRICO e EL
PROBRECITO HABLADOR. Conscio dell’importanza comunicativa del giornale, Larra
sviluppò un alto grado di professionalità e di qualità artistica nelle collaborazioni alle riviste
più importanti dell’epoca.
L’attualità di Larra è dovuta al suo stile moderno, chiaro ed energico, attraverso il quale ha
creato un genere che non ha quasi nulla a che vedere col descrittivismo degli autori
costumbristi. Egli riesce sempre a catturare l’attenzione del lettore cui rivela gli aspetti più
profondi della vita spagnola del periodo romantico.
Nei suoi articoli – raccolti nella COLECCIÓN DE ARTÍCULOS DRAMÁTICOS,
LITERARIOS, POLÍTICOS Y DE COSTUMBRES – propone un’attenta valutazione della
vita letteraria dell’epoca, e in particolare di quella teatrale, nei suoi nessi con la società. Il suo
manifesto critico, LITERATURA (1836), presenta una panoramica delle caratteristiche della
letteratura spagnola, risalendo indietro nel tempo fino ad arrivare agli scrittori del XVIII
secolo, i cosiddetti neoclassici, accusati di aver importato in Spagna il gusto francese. Secondo
Larra, la letteratura è l’espressione autentica della civiltà di un popolo. Il vincolo tra società e
letteratura esigeva un attento esame delle nuove idee provenienti dalla Francia, idee che gli
sembrarono in certi casi troppo avanzate per il grado di sviluppo raggiunto dalla classe media
spagnola, e quindi prive di futuro immediato.
A differenza dei costumbristi, che indirizzavano il loro nostalgico sguardo al passato, Larra si
proiettava verso l’Europa e il futuro alla ricerca della rigenerazione della sua amata Spagna.
Sebbene ammettesse la radicale malvagità della società e il suo inevitabile mascheramento,
egli attribuiva agli ideali sociali maggior valore rispetto a quelli individuali.
Larra ritiene che i colpevoli del ritardo culturale spagnolo siano gli aristocratici, considerati
inutili e sciocchi; anche la classe media diviene oggetto di critica, accusata da Larra di non
aver mantenuto fede ai propositi di rinnovamento che si era prefissata. Egli ironizza sulla
pigrizia, sull’ipocrisia, sulla mancanza di cultura di una classe priva di identità che, da un lato
si avvicinava ai valori dell’aristocrazia e dall’altro alla sguaiataggine popolare. L’interesse di
Larra si rivolge anche agli emarginati della società; se inizialmente considerava questi
individui come parte della massa priva di cultura, in seguito muterà atteggiamento, capendo
dov’è che risiede l’origine del problema: Larra accusa la società per la sua indifferenza verso
queste classi reiette.
I contenuti politici dei suoi scritti furono più evidenti man mano che le maglie della censura si
allentarono. Il regno assolutista di Ferdinando VII era ormai sul viale del tramonto, e i carlisti,
ritenuti retrogradi e oscurantisti, nonché residui di una società superata, divennero oggetto di
una spietata critica. Bersaglio di continue critiche furono anche i liberali moderati, i
rappresentanti della nuova Spagna, accusati di eccessiva prudenza conservatrice e lentezza
nelle riforme. La critica diventò poi protesta quando si passò alla denuncia delle limitazioni
della libertà e persino del carattere repressivo del regime. Quando arrivò al governo il
moderato Istúriz, Larra sospese le critiche per consentire la propria candidatura. Il fatto che
uno scrittore che si era distinto per le critiche al governo diventasse membro del complesso
ministeriale non fu ben visto da alcuni. Per questo motivo Larra difese la propria decisione in
CUATRO PALABRAS DE UN TRADUCTOR, nella quale illustrava il suo programma di
cattolicesimo liberale, di tolleranza e di uguaglianza per tutti davanti alla legge, nonché
assoluta libertà del pensiero scritto. Questo scritto non bastò a scagionarlo dalle accuse di
alcuni liberali stessi, per cui entrò in una profonda crisi. La sua amarezza viene ben espressa
da EL DÍA DE DIFUNTOS DE 1836, scritto nel quale Madrid gli appare come un cimitero
immenso in cui si ergono le tombe dei valori del sistema liberale per i quali aveva lottato.

16
Come è stato già anticipato in precedenza, Larra si è anche cimentato con la prosa letteraria, e
più precisamente col romanzo storico. Sua è l’opera intitolata EL DONCEL DE DON
ENRIQUE EL DOLIENTE, la quale presenta inevitabili somiglianze col modello di Walter
Scott. Tuttavia il protagonista – l’innamorato Macías – differisce per certi versi dal modello
scottiano: per esempio, non incarna il tipico eroe medio, bensì un personaggio privo di
significato storico; inoltre, se i personaggi scottiani nascondevano pudicamente la propria
passione amorosa, qui invece la manifestazione della stessa è più che evidente. Ciò che rende
il romanzo figlio del suo tempo, e dunque romantico, è l’elemento tragico. Svolto con grande
dinamismo, il romanzo dà vita a un universo nel quale la forza della passione amorosa è tale
da generare ribellione, conducendo talvolta anche alla morte.

In secondo piano è rimasta la breve opera teatrale di Larra. Pur rispettando le unità
drammatiche e con un’impostazione formale piuttosto classica, nel suo dramma intitolato
MACÍAS egli vi realizza importanti innovazioni, soprattutto nella caratterizzazione dei
personaggi, nonostante questo personaggio leggendario sia stato già trattato da altri autori,
nonché da Larra stesso nel suo romanzo. Rispetto alla tradizione, Larra costruisce un dramma
in sintonia con lo spirito romantico e liberale. Per quanto sia la struttura dell’opera che la
trama siano piuttosto semplici, questa si focalizza su tematiche come l’autorità paterna, i
privilegi della nobiltà e la condizione subalterna della donna. Inoltre, l’amore qui si manifesta
per la prima volta come forza superiore a qualsiasi vincolo di ordine sociale o trascendentale.

IL COSTUMBRISMO
Durante il terzo e quarto decennio del XIX secolo, molti scrittori si assunsero il compito di
descrivere quei cambiamenti sociali che stavano minando le vecchie tradizioni e istituzioni
dell’Ancient régime. Questi autori avvertivano i mutamenti come perdita o degenerazione di
quelle caratteristiche che avevano reso unico il loro Paese. Prendendo spesso Madrid come
scenario in cui il vecchio e il nuovo si incrociavano, e identificando la nuova idea di nazione
con quella della borghesia, lo scrittore costumbrista dà vita a un nuovo genere, il quadro di
costume, e cioè un testo di breve estensione in cui l’osservazione e la descrizione di scene, di
costumi e di personaggi – tutti presentati come “tipi” la cui esistenza è messa in pericolo
dall’evoluzione dei tempi – si alterna con l’uso della narrazione e del dialogo.

IL ROMANZO PREREALISTA
Fernán Caballero (Cecilia Böhl de Faber)

L’opera di Fernán Caballero si sviluppò in un periodo in cui il genere storico aveva perso
quasi ogni attrattiva, mentre invece guadagnava terreno il romanzo sociale. La donna si formò
culturalmente prima in Germania in un collegio francese, poi a Cadice. Quando decise di

17
dedicarsi alla professione letteraria, erano ormai in auge le tematiche sociali e già in diversi
autori si poteva scorgere un maggiore avvicinamento alla realtà.
Le sue idee tradizionaliste la portarono a percepire i cambiamenti sociali come qualcosa di
pericoloso. Protagonista delle sue opere è quel profondo e sincero sentimento spagnolo che lei
ritrovava, per esempio, nel contadino andaluso, nel quale vedeva ancora vive le virtù religiose
e nazionali. Come affermò la stessa scrittrice, la sua pretesa non era quella di scrivere romanzi,
bensì quadri di costume, ritratti, accompagnati da riflessioni e descrizioni. Il risultato è
evidente nell’opera intitolata LA GAVIOTA (1849), nella quale viene descritta un’Andalusia
idealizzata che preserva ancora le sue antiche tradizioni (in contrapposizione alla materialista
Madrid); anche i personaggi sono altrettanto ben inquadrati, ognuno dei quali incarna un
preciso paradigma di costumi, virtù o difetti. Senza penetrare a fondo nell’individualità dei
personaggi (cosa che avverrà nel romanzo realista trent’anni dopo), LA GAVIOTA presenta
un mondo soggettivo e idealizzato, fatto di storielle, aneddoti, poesie e digressioni
moralistiche. Tutto l’insieme ha lo scopo di descrivere minuziosamente la vita intima del
popolo spagnolo.
Nel suo secondo romanzo, LA FAMILIA DE ALVAREDA, l’autrice dichiara proprio di aver
voluto dipingere “le cose del popolo così come sono”, per “lottare contro l’irruzione di idee
esotiche che ci snaturano e corrompono”. Nonostante la caratterizzazione dei personaggi e la
descrizione degli ambienti siano vividi, l’opera risente ancora di quell’impronta fortemente
romantica che in quegli anni era già superata. Di fatti, per quanto la Caballero sia apprezzata
dalla critica, anche in molti altri romanzi risulta eccessivamente sentimentale e moralista,
ancora troppo distante dal realismo e dalla sua rigorosa oggettività.

IL ROMANZO
Prima dei moti del 1868 non esisteva un retroterra sociale adatto alla nascita del romanzo
borghese, proprio perché in Spagna non si era costituita una classe media che ambisse, come
altrove, a vedere rappresentata in letteratura la propria visione del mondo. L’assenza delle
condizioni storiche necessarie spiega il ritardo con cui la Spagna approdò all’estetica realista.
Ci troviamo in un momento storico particolare in cui si assiste, da una parte, alla presenza
incombente di una massa di proletari in condizioni di vita disumane e, dall’altra, alla nascita
di una classe agiata che ben presto avrebbe preteso il potere politico. Questa situazione diede
vita alle due grandi correnti narrative della seconda metà del secolo:
1. il romanzo realista, che traeva linfa vitale dalle aspirazioni e dalle frustrazioni della
borghesia;
2. il romanzo naturalista, che sceglieva come oggetto di analisi la miseria economica e umana
delle periferie urbane.
Queste due correnti differiscono da quelle omonime europee, in quanto hanno una diversa
impronta tematica e formale, data dal loro specifico rapporto con la classe sociale di
riferimento.
L’aristocrazia non perse mai davvero i suoi privilegi, neanche dopo i moti del 1868, né tanto
meno durante la Restaurazione avviata nel 1875, e continuò ad esercitare il proprio potere
politico attraverso i caciques, i cosiddetti “signori feudali” dal XIX secolo. Anche il potere
ecclesiastico costituì un ostacolo per l’ascesa al potere della borghesia. Inoltre, la
concentrazione in poche mani dei capitali provenienti dall’industria e la mancanza di una
riforma agraria che togliesse le terre ai grandi latifondisti impedirono la realizzazione
dell’ideale sociale della borghesia.

18
Essendo la letteratura specchio della realtà, è logico che i romanzieri spagnoli parlassero poco
della vita in città, della borghesia e del confronto della sua visione del mondo con quella delle
altre classi sociali. Parlavano invece della vita nei piccoli centri di provincia, del conflitto
ideologico tra un protagonista liberale e un cacique conservatore, dell’antitesi città/campagna,
della vita a contatto con la natura, delle meraviglie paesaggistiche e sociali di una determinata
regione, ecc.
Sono tangibili le difficoltà della borghesia nell’imporre il proprio punto di vista ai romanzieri
deputati a ritrarla. Il punto è che i realisti spagnoli, liberali o conservatori che siano,
disprezzano la borghesia, i suoi valori, il capitalismo, la vita materialistica che
l’industrializzazione ha imposto; ma, a differenza dei romantici che in un contesto simile
reagirono rifugiandosi nell’interiorità, l’illusione e il passato, i realisti tentano di conoscere la
realtà circostante e di cambiare ciò che non accettano. Facendo ciò, tuttavia, soddisfano
paradossalmente l’esigenza dei borghesi di far sentire la propria voce.
Ad ogni modo, malgrado tutte le circostanze storico-sociali avverse, anche in Spagna prese
piede il romanzo realista, agevolato sicuramente dal già citato costumbrismo e dai folletines, con
la loro attenzione per la gente comune, la lingua parlata, le vicende futili e quotidiane, e
un’attenzione particolare verso i problemi sociali e le loro cause. Sicuramente a spianare la
strada a questo tipo di romanzo furono, più di tutti, le traduzioni degli autori inglesi del Sette
e Ottocento e dei francesi dell’Ottocento. Bisogna riconoscere che le tecniche narrative e la
concezione della letteratura che gli autori spagnoli assimilavano mediante le traduzioni non
erano estranee alla loro tradizione, visto che i romanzieri europei del Sette e Ottocento
riconoscevano il proprio debito nei confronti della narrativa spagnola del Siglo de oro, dalla
picaresca a Cervantes.

La borghesia che si era affermata nell’ultimo quarto del XIX secolo non aveva ancora
un’identità ben precisa e nessun modello culturale di riferimento, quindi si vedeva costretta a
ricalcare gli usi, il gusto e i comportamenti dell’aristocrazia. Così si spiega tutto un fiorire di
atteggiamenti che mirano verso altre classi, raffigurabili nell’immagine del parvenu20, e cioè
quell’individuo che pur essendo riuscito a salire nella scala sociale, non riesce invece ad
assimilare la nuova condizione, scimmiottando il codice comportamentale dell’aristocrazia,
oppure esaltando fino allo stremo le nuove forme e i nuovi valori di vita. Nasce così la
categoria del cursi, parola senza corrispettivo in altre lingue, che definisce per l’appunto la
tendenza all’ostentazione del codice comportamentale altrui.
In contrapposizione allo sguardo desiderante di chi ambirebbe al possesso di ciò che ancora
non ha, c’è chi invece si rende conto di aver perso le proprie origini in questa corsa alla scalata
sociale. La borghesia della seconda metà dell’Ottocento racchiude in sé proprio il conflitto tra
il desiderio di essere ciò che non è e il rimpianto di ciò che non è più. Nel frattempo, la sua angoscia
esistenziale viene lenita dal possesso di piccoli oggetti, possesso che afferma l’emergere della
nuova società industriale. È così che il borghese scopre il piccolo come dimensione rassicurante
in un mondo sempre più fatto di cose e sempre meno di idee, sempre più popolato da
prodotti industriali, oggetti simbolo della ricchezza materiale e della povertà ideale
dell’epoca.
A controbilanciare questo impoverimento individuale ci pensa lo straordinario sviluppo delle
comunicazioni: grazie alle nuove tecnologie e all’ampliamento delle infrastrutture viarie, la
circolazione delle idee smette di essere privilegio di pochi. La società non è più ordinata
secondo una gerarchia di potere che va dall’alto verso il basso, legittimata da Dio, ma da

20
definizione alternativa: Persona arricchita rapidamente, che, pur affettando presuntuosamente una certa
distinzione, conserva almeno in parte i modi e la mentalità della condizione sociale precedente.
19
individui che hanno gli stessi diritti e doveri, nonché gli stessi desideri. Questa nuova società
propone adesso due nuovi archetipi umani: il produttore e il consumatore. Il mondo della
trascendenza non esiste più. Il romanzo diviene il mezzo perfetto per descrivere – e fissare –
una realtà in continuo mutamento, impossibile da semplificare.

Lo scopo primario del romanzo realista spagnolo è quello di raccontare la realtà così com’è,
senza che la presenza del narratore possa costituire un ostacolo e senza che un’espressione
ricercata possa spostare l’attenzione sul versante estetico. Sulla scia del positivismo, i
romanzieri realisti partono dal presupposto che la realtà sia immediatamente conoscibile
mediante la ragione. Ne consegue che il miglior modo per raccontare la realtà sia l’utilizzo di
una lingua trasparente e quotidiana21, che non abbia nemmeno bisogno di un enunciatore, e
che la struttura narrativa del racconto necessiti della semplicità per rappresentare al meglio il
mondo.
Il romanzo realista rifugge dall’evocazione dei mondi lontani e dei tempi più o meno remoti,
caratteristici invece del suo precursore, e cioè il romanzo storico romantico. La cornice
spaziale raramente valica i confini geografici spagnoli; di solito si narrano vicende futili
avvenuti in qualche paesino o piccola regione, e raramente l’accaduto risale a più di qualche
anno prima. Per contro, i riferimenti a eventi storici contemporanei sono una costante di tanti
romanzi, nel tentativo di tessere una rete di informazioni sull’attualità, condivisa sia dal
narratore che dal lettore.
Nei romanzi realisti il protagonista è l’ambiente sociale, e il personaggio racchiude in sé tutte
le aspirazioni e le frustrazioni di quell’ambiente. Per questo motivo non può essere
eccessivamente individualizzato dal narratore. Al massimo il narratore può ricorrere al
marchio dell’emblema, vale a dire al tic caratterizzante, ai difetti fisici, agli errori
comportamentali. Oppure può rinchiudere il personaggio nella gabbia dell’apriorismo
morale, rendendolo a prescindere un individuo positivo o negativo. Le eccezioni a questa
regola generale si trovano nei romanzi a tesi, in cui il narratore si serve della conversione finale
del protagonista per dare maggiore risalto alla sua tesi. In pratica, all’inizio di un romanzo di
questo tipo il protagonista è l’incarnazione di un certo modello che è coerente con il proprio
contesto di appartenenza e le proprie scelte di vita; tuttavia, l’amore o il rimorso lo fanno
vacillare e lo portano ad accettare il punto di vista opposto, la tesi del libro, appunto, che gli
restituisce l’equilibrio perduto. In questi romanzi l’autore è continuamente presente e la sua
autorità non viene mai messa in discussione dal lettore. All’autore non interessa tanto la
realtà, quanto l’interpretazione della stessa. Il dialogo che instaura con il lettore, inoltre, ha lo
scopo di prevenire le sue ipotetiche domande o dubbi, e ciò che dice viene sempre presentato
come verità inconfutabile. Per questa serie di motivi il romanzo a tesi è ancora lontano dalla
realtà.
Soltanto verso la metà degli anni Settanta gli autori inizieranno ad avvicinare le proprie opere
all’ideale di obiettività e imparzialità del realismo. Per i romanzieri realisti l’impersonalità del
narratore è un dogma necessario22 e i personaggi non sono l’incarnazione di un’idea, bensì
entità in evoluzione attraverso l’interazione sociale.

21
Chi probabilmente si avvicino di più al registro linguistico della gente comune fu Galdós con la sua
straordinaria capacità di riprodurre il dialetto sociale dei bassifondi madrileni. In questo modo lo scrittore
realista cerca di annullare le distanze tra se stesso e i suoi lettori, aumentando l’illusione della presa diretta del
mondo.
22
Valera ricorre, per esempio, al romanzo epistolare per evitare il filtro della voce narrante, mentre Galdós
inventa il romanzo dialogato.
20
Una particolare varietà del romanzo regionalista è costituita dal cosiddetto “romanzo
regionalista”23, e i suoi esponenti maggiori sono Pereda, Valdés e Ibáñez.

L’approdo del romanzo naturalista in spagna lo si deve a una traduzione di un racconto di


Zola (1879), EL ATAQUE AL MOLINO. Il termine “naturalismo”, mutuato dal francese,
divenne poi di uso corrente tra i critici quello stesso anno grazie al saggio EL
NATURALISMO EN EL ARTE di Revilla. Sostanzialmente il naturalismo non introduce
grandi tecniche rispetto al realismo, tant’è che spesso i due termini venivano accostati
all’epoca. Le differenze dal realismo si avvertono, invece, dalle due diverse visioni del
rapporto romanzo-realtà: la realtà non è più trasparente e facilmente descrivibile come prima,
ma bisogna interpretarla per riuscire a scoprire le vere cause dei fenomeni. Il narratore, con
fare scientifico, non deve limitarsi a raccontare quanto accade nella società, bensì svelare
l’esistenza nascosta dei fenomeni sociali. Compito del romanziere sarà osservare direttamente
la vita del gruppo preso in analisi e descriverla nel modo più fedelmente possibile. L’oggetto
prediletto dell’osservazione dei naturalisti saranno i bassifondi della società, perché è tra gli
emarginati che le varie forme di determinismo24 si manifestano più chiaramente. Proprio
perché sono i bassifondi l’oggetto d’indagine dei naturalisti, i protagonisti delle loro storie
sono i proletari, e non gli odiati borghesi. Il tanto deprecato individualismo borghese viene
così messo alla berlina dai naturalisti, nei cui romanzi viene data la massima centralità
all’ambiente naturale o sociale.

Dall’indagine sulle cause dei fenomeni si passa al loro specchiarsi nella mente dei personaggi;
si arriva così al romanzo psicologico o spiritualista. Questo romanzo predilige l’intimismo,
l’etica individuale e l’estetismo. Lo scrittore non presta più la sua voce a un’intera classe
sociale e si arrocca, invece, nel mondo della parola e della bellezza. Dunque, se nel romanzo a
tesi l’attenzione del narratore era rivolta all’astrazione ideologica, e se in quello naturalista era
rivolta alla materialità dell’esistenza, in quello spiritualista è invece rivolta all’interiorità dei
personaggi. Si compie in questo modo un percorso cronologico che porta il racconto
dall’astratto al concreto, dall’esteriorità all’interiorità, e dal generale al particolare.

23
Noto per la sua tendenza a usare i paesaggi e tipi umani di una determinata regione come cornice della
narrazione.
24
I rapporti umani, lo sviluppo dell’uomo nella società, la ripartizione del potere, in pratica tutto ciò che riguarda
la vita delle persone si può spiegare mediante questo principio. Detta in altre parole, concezione filosofica
secondo la quale ogni fenomeno o evento del presente è necessariamente determinato da un fenomeno o
evento accaduto nel passato.
21
Pedro Antonio de Alarcón

Alarcón è un autore di difficile classificazione, in quanto i suoi romanzi rispondono alle


sollecitazioni del romanticismo e a quelle di un realismo prima maniera, con personaggi
tendenti allo stereotipo e con una tesi finale da difendere.
L’impossibilità di coniugare l’innata tendenza verso il sentimento e la passionalità con la
ragione e la riflessività si potrebbe far risalire alla sua formazione intellettuale. Dopo aver
lasciato la Facoltà di giurisprudenza a Granada, dietro consiglio del padre intraprese la
carriera ecclesiastica. Quando la abbandonerà a 19 anni, il marchio del cattolicesimo avrà già
segnato il suo animo per sempre. La scelta di abbandonare la carriera ecclesiastica deve essere
stata vissuta dal giovane Alarcón come un atto di affermazione della propria individualità
contro l’autorità paterna. Il conflitto tra la volontà di ribellione, l’affermazione di sé, la
trasgressione da una parte, e dall’altra il peso della norma, la morale, la religione, l’autorità,
deve essere stato fortissimo se riuscì ad alimentare gran parte della sua produzione narrativa.
Trasferito a Cadice nel 1853 iniziò l’attività giornalistica, diventando direttore della rivista
letteraria EL ECO DEL OCCIDENTE. I romanzi che pubblicò vent’anni dopo (EL
SOMBRERO DE TRES PICOS e EL ESCÁNDALO) risentono molto delle tecniche narrative
che aveva affinato grazie alla sua formazione giornalistica. Di ritorno a Granada, entrò a far
parte della Cuerda granadina, gruppo di giovani scrittori e giornalisti, veri e propri dandies di
provincia, seguaci di Byron, che animavano l’ambiente culturale della città con
rappresentazioni teatrali, conferenze, articoli giornalistici pieni di umorismo e ironia, ecc. La
sfrenatezza della vita a Granada coincide con una concezione della letteratura vista come
gioco, frutto del genio e dell’improvvisazione, e non certo come lavoro continuo e
disciplinato. La vita di Alarcón è sempre stata caratterizzata da un forte impulso all’azione: in
una prima fase della sua vita, l’autore cercò nella politica il fondamento delle proprie idee,
partecipando attivamente a diverse insurrezioni del periodo a fianco dei liberali; in seguito,
invertì la sua tendenza politica, e a fianco dei conservatori riuscì a scalare le vette del potere
fino a raggiungere l’incarico di consigliere di Stato della Restaurazione. Visto il forte impegno
politico, la sua ideologia emerse in tutti i suoi romanzi, non a caso definiti dalla critica come
romanzi a tesi; se i romanzi di altri autori nascevano dalla riflessione sulla realtà che li
circondava, la specificità dell’opera di Alarcón risiede nel fatto che nasce come conseguenza
diretta della sua azione patriottica.
Un punto debole di Alarcón era la sua dipendenza dai giudizi della critica contemporanea,
così marcata da costringerlo ad abbandonare la penna in più di un’occasione. Qui si trova la
chiave del suo atteggiamento verso il lettore: non lo abbandona mai, commenta passi interi
del racconto, espone le sue intenzioni cercando di condizionare, in senso positivo, l’opinione
del pubblico, quasi non si fidasse delle sue reali capacità di giudizio. In pratica, fra il lettore e
l’opera c’è sempre lui.

22
Per ciò che concerne la classificazione dell’opera dell’autore, Ángel del Río divide la sua
produzione in tre diversi periodi:
1. un primo periodo caratterizzato dalla tendenza romantica, sotto l’influsso di Byron, Scott,
Dumas e soprattutto Karr, con narrazioni fantastiche, libri di viaggio e un romanzo romantico,
EL FINAL DE NORMA. Non vanno ovviamente tralasciati i suoi innumerevoli racconti;
2. il secondo periodo è segnato dalle tematiche di tipo nazionalista e popolare (EL
SOMBRERO DE TRES PICOS, ecc.);
3. il terzo periodo coincide con la produzione dei romanzi a tesi (EL ESCÁNDALO, LA
PRÓDIGA, ecc.)

Senza ombra di dubbio, EL SOMBRERO DE TRES PICOS può essere considerato il suo
capolavoro.
L’opera racconta la storia della bella Frasquita e di suo marito Lucas, un mugnaio. I due si
amano teneramente e vivono in serenità, fin quando non arriva a disturbare la loro quiete il
Corregidor, l’autorità giudiziaria e amministrativa della zona. L’uomo si innamora di Frasquita
e, di fronte al suo rifiuto, segue il consiglio del suo servo tendendo una trappola alla coppia
felice. Mediante un banale pretesto, fa allontanare Lucas dal mulino. Lucas, tuttavia, intuisce
l’inganno e torna a casa prima del previsto; su una sedia, davanti al camino, trova i vestiti del
Corregidor e quest’ultimo in persona nel suo letto. La sua vendetta non si farà attendere:
ripagherà il rivale con la stessa moneta andando a fare visita quella notte stessa alla
Corregidora, vestito con i panni del marito di lei25. A questo punto il narratore fa un salto
indietro nel tempo e racconta perché il mantello cremisi e il cappello a tre punte erano stesi ad
asciugare davanti al fuoco: il loro padrone, nel buio della notte, era caduto nel canale che
portava al mulino; colto dal malore, veniva ospitato nel letto del mugnaio mentre Frasquita
partiva alla ricerca di Lucas26. Il finale, in un gioco di equivoci tipico della commedia degli
inganni, vede il Corregidor deriso da tutti e privato dei segni del suo potere (il mantello e il
cappello) a vantaggio di Lucas e della Corregidora, che lo punisce non riconoscendolo davanti
agli altri, e lasciandolo nel dubbio su quanto fosse davvero accaduto tra lei e Lucas.
L’intento più o meno esplicito dell’autore è quello di usufruire delle potenzialità della
tradizione letteraria spagnola contrapponendole al piatto realismo che aveva pervaso il
panorama artistico del periodo, realismo di importazione francese. L’idealizzazione del
passato e di tutto ciò che lo riguarda in contrapposizione alla vacuità del presente è tangibile.
Questo romanzo vuole dunque inneggiare ai fasti di un glorioso passato letterario, ed è per
questo che l’autore si serve del sainete per veicolare un certo tipo di umorismo, dell’entremés
per alcune situazioni, i personaggi stereotipati27, della commedia per certe dicotomie
(essenza/apparenza, ecc.) e il gioco degli equivoci provocato dal travestimento di un

25
Il travestimento, e quindi lo scambio di persona, castiga l’intraprendenza erotica del Corregidor.
Simbolicamente, il travestimento garantisce l’intercambiabilità delle persone che lo indossano, il che va a
cozzare contro la visione aristocratica e immobilista dell’Ancient régime che riservava il privilegio solo a una
cerchia di eletti.
26
Simbolicamente, il momento in cui il Corregidor si spoglia di quegli abiti legati al potere (il mantello cremisi e il
cappello a tre punte) corrisponde a un vero e proprio depotenziamento individuale: da divinità che ricopre
un’alta carica sociale diventa un uomo in carne ed ossa che deve curarsi la polmonite in agguato, dopo essere
caduto nel canale del mulino. Questa caduta dall’alto della dignità sociale alla materialità del corpo non è la
sola: la prima volta che il Corregidor ha provato a sedurre Frasquita è un segno evidente di come si celi, dietro
l’apparente dignità degli abiti che indossa, l’essenza del basso corporeo che lo mette in stretto contatto con la
volgarità terrena.
27
L’effetto comico che producono questi personaggi macchiettistici è incrementato dalla distanza alla quale il
narratore si pone per descrivere le azioni, viste sempre da fuori, senza mai fornire il punto di vista del
personaggio.
23
personaggio, dal dramma per la tematica dell’onore e la vendetta di sangue28, dall’epopea per
la struttura del racconto, ma forse la storia stessa è frutto di echi lontani, visto che
probabilmente proviene dall’antico romance orale della mugnaia onesta.
Pubblicato nel 1875, EL ESCÁNDALO inaugura il ciclo dei romanzi a tesi pubblicati in
Spagna. Il protagonista è Fabián Conde, un uomo dalla vita disordinata, innamorato prima di
una donna sposata, poi della figlioccia di lei; per quest’ultima, Gabriela, prova davvero un
grande amore, ma quando la ragazza viene a sapere del suo rapporto con la matrigna, prima
lo abbandona e poi si ritira in convento. Diego, l’amico di Fabián, ottiene dalla novizia il
perdono condizionato: Fabián potrà tornare da lei solo dopo che lo avrà preceduto la fama
delle sue buone azioni. Per amore di Gabriela, il protagonista intraprende il cammino della
conversione, tant’è che di lui si parlerà come di un angelo benefattore. Ma l’ostacolo della
vecchia reputazione è difficile da rimuovere, e quando Fabián fa la conoscenza della moglie di
Diego, non può evitare che l’evidente desiderio di lei generi un malinteso che sfocerà in un
duello. Per questo motivo Fabián si reca in cerca di aiuto dal padre Manrique. Il tormento del
protagonista è evidente: se da un lato non vorrebbe battersi col suo migliore amico, dall’altro
non può permettere che il credito faticosamente acquisito presso Gabriela venga distrutto
dalle calunnie della moglie di Diego. La soluzione che viene proposta dal padre è drastica:
Fabián dovrà rinunciare a tutto, incluso l’amore per Gabriela, e abbracciare la religione
cattolica; è questa l’unica soluzione al dramma. A questo punto del racconto, si verifica
l’intervento di un deus ex machina: Fabián si ricorda di un caro amico da troppo tempo
dimenticato, Lázaro, a causa di un piccolo screzio. Sarà proprio Lázaro a chiarire tutto tra
Fabián e Diego, il quale, ammalatosi all’improvviso, in punto di morte chiede solennemente a
Fabián di sposare Gabriela.
Un tema che emerge da quest’opera è sicuramente quello dell’adulterio, o comunque
dell’infedeltà amorosa, e le ripercussioni della vicenda sull’opinione pubblica29. Di fatti,
l’equilibrio finale viene ricostituito solo mediante il ristabilimento della verità e la restituzione
al protagonista della sua immagine pubblica, così faticosamente conquistata. L’unico modo
per difendersi dalla maldicenza della gente è quello di condurre un’esistenza secondo i
precetti della religione cattolica ed essere disposti a rinunciare al mondo e alle sue lusinghe,
vivendo così in pace e in armonia con la società e Dio. Questa è la causa (la tesi) che Alarcón
vuole perorare, e cioè che uno Stato, per funzionare perfettamente, deve affidarsi ciecamente
nelle mani della religione, unico e indistruttibile pilastro morale ed etico. Difendere a spada
tratta questa causa è il principale obiettivo dell’autore, anche se ciò si traduce in una
caratterizzazione stereotipata dei personaggi, lontani dalla vita quotidiana. Così, quando il
narratore sperimenta il bisogno di convertirli ad una determinata idea, non li fa evolvere in
maniera lenta e graduale, ma crea un altro personaggio che fornisce esattamente l’elemento
necessario in quella data situazione per raggiungere l’equilibrio desiderato. Ben lontane dal
romanzo realista, queste peculiarità sono più vicine ai romanzi d’appendice (i cosiddetti
folletines). Dal folletín provengono anche la tendenza ai rovesciamenti melodrammatici della
trama; la casualità romantica, che fa sì che il personaggio giusto si trovi nel momento e al
posto giusto; un certo sentimentalismo di maniera; i capovolgimenti improvvisi nei
sentimenti; le ripetute agnizioni, ecc. In questo modo Alarcón sposta l’attenzione verso la

28
Dal teatro Alarcón recupera – in chiave narrativa – il coro, che qui simbolicamente è costituito ai personaggi
anonimi nel popolo, i quali hanno il compito di commentare l’azione e soppesare i comportamenti dei
protagonisti. Anche la concezione delle scene risente molto del teatro: il passaggio dall’una all’altra avviene,
come nella commedia classica, mediante all’arrivo di un personaggio o allo spostamento dell’azione su un altro
scenario, o ancora mediante le tematiche stesse del racconto.
29
È il coro – e quindi l’opinione pubblica – a sottolineare il contrasto tra l’apparenza e l’essenza di Fabián.
24
peripezia, a discapito della psicologia dei personaggi e a un’analisi approfondita del loro
contesto spaziale e temporale.

EL NIÑO DE LA BOLA segna l’inizio della fine della carriera letteraria di Alarcón. La pretesa
dell’autore era quella di scrivere un romanzo realista dove si mostrasse come, senza la
religione, nell’uomo trionfino le basse passioni, gli istinti animaleschi, il lato diabolico. Il
motivo per cui il romanzo non funziona è probabilmente riscontrabile nella mancata
comprensione di Alarcón del realismo, in quanto nell’opera a prendere il sopravvento è
ancora la sua mentalità romantica, un atteggiamento che va quindi a cozzare contro i suoi
intenti iniziali.
L’inizio della storia presenta una comitiva di viaggiatori che, durante il loro cammino,
riconosce Manuel Venegas, figura misteriosa che sta ritornando al paese natio. Grazie a un
flashback del narratore comprendiamo gli antefatti della vita di Manuel: da bambino, oltre a
rimanere orfano, perde anche l’eredità per i debiti contratti da suo padre con don Elias,
l’usuraio della città, allo scopo di finanziare la campagna militare contro i carlisti. Venuto a
conoscenza dei fatti, il bambino, con un precoce senso della giustizia, inizia una silenziosa
protesta davanti al palazzo che gli sarebbe spettato e che ora è divenuto la dimora di don
Elias. Così conosce Soledad, la figlia dell’usuraio, e se ne innamora. Da allora il suo scopo di
vita sarà quello di conquistare Soledad – che condivide i suoi stessi sentimenti – andando così
contro il volere di don Elias. A domare la sua natura troppo “selvaggia” ci penseranno gli
insegnamenti del sacerdote don Trinidad. Ciononostante, Manuel si mostra sempre più
insofferente rispetto a una società che gli nega ciò che gli spetta di diritto, e si rifugia sempre
di più nella natura, dove può dare libero sfogo al lato animalesco della sua personalità. Al
ballo della lotteria del Bambino della palla tenta in un’asta di comprarsi il diritto di ballare con
Soledad, ma Elias offre molto di più, e intanto si avvicina al giovane ricordandogli del debito
che la sua famiglia deve ancora scontare. Manuel parte per l’America, e quando dopo qualche
anno ritorna in patria con una piccola fortuna per ripagare il suo debito e sposare l’amata,
nota che Soledad si è nel frattempo sposata con un altro uomo, Antonio Arregui. Manuel
rinuncia così alle sue pretese su Soledad, e riparte per allontanarsi da tutto e tutti. Quando
sembra che l’uomo abbia ritrovato un po’ di quell’equilibrio perduto, riceve una lettera
appassionata di Soledad che segnerà la tragica fine di entrambi; al ballo annuale del Bambino
della palla, Manuel acquista il diritto di danzare con lei, ma la ucciderà involontariamente in
un abbraccio troppo violento; ciò causerà l’ira di Antonio che porrà fine alla sua vita.
Il personaggio di Manuel è molto taciturno. Il suo silenzio simboleggia l’assenza della cultura,
ed è l’elemento che lo lega alla natura, alle passioni, agli istinti. I precetti religiosi che
apprende riescono solo temporaneamente a tenere a bada i suoi impulsi verso il disordine e la
violenza. Da alcune descrizioni, veniamo a sapere che i valori che suo padre, don Rodrigo, gli
trasmette in giovinezza sembrano più adatti a un cavaliere errante medievale che a un
proprietario terriero di metà Ottocento. Suo padre non ha tanto puntato sull’istruzione,
quanto più sulla fortificazione del corpo mediante prove fisiche piuttosto ardue. Ne consegue
un forte attaccamento alla terra, componente necessaria affinché l’uomo onori le sue origini; di
fatti viene detto che don Rodrigo sia stato un cavaliere discendente addirittura dai principi
mori. Dunque Manuel non è stato educato a “lavorare, commerciare, creare industrie”, e quindi a
occuparsi di faccende che non rispecchiano affatto le sublimi origini di un perfetto cavaliere
andaluso.
Malgrado le sue origini more, la mentalità del cristiano viejo trova pienamente espressione in
Rodrigo; per converso, il suo antagonista, lo strozzino del paese, non può che essere ebreo. Il

25
quadro ideologico che emerge è dunque non solo reazionario30 e anacronistico, ma anche
intriso di pregiudizi razziali che fanno leva su antichi luoghi comuni.
Inoltre, com’è stato già anticipato in precedenza, per quanto il romanzo abbia la pretesa di
criticare il romanticismo accostandosi così al verismo, l’obiettivo non viene raggiunto da
Alarcón: se da un lato l’autore vorrebbe avallare la tesi secondo cui la religione è l’unica forza
necessaria alla civiltà, dall’altro ha caricato di tinte eccessivamente romantiche l’indomita
personalità di Manuel, specie quando si assiste alla sua perdita della fede. Lungo tutto il
romanzo, l’autore non perde occasione di criticare o satireggiare il gusto romantico del
pubblico, senza accorgersi, invece, di quanto romantico risulti invece l’impianto stesso della
sua opera.

Juan Valera

Nato nel 1824 in una famiglia aristocratica nell’attuale Córdoba, Valera venne fin da subito
avviato alla carriera ecclesiastica, da lui abbandonata pochi anni più tardi per dedicarsi allo
studio della giurisprudenza. In questo periodo, tuttavia, si dedica anche alla sua formazione
di scrittore pubblicando poesie e articoli di critica letteraria. Quando si trasferì a Madrid dopo
la laurea, scoprì il mondo dei salotti e dell’alta cultura, dopodiché partirà per Napoli in veste
di addetto culturale dell’ambasciatore spagnolo, suo zio il duque de Rivas. Questo è solo
l’inizio di una lunga traiettoria vitale che lo porterà di ambasciata in ambasciata, sempre
immerso nel mondo delle feste dell’aristocrazia, a contatto coi maggiori esponenti della
culturale locale. La vasta formazione intellettuale di Valera era quella di un esperto
dell’antichità greco-latina, della letteratura classica spagnola e delle lingue e letterature
europee contemporanee. Il vitalismo, la curiosità naturale e il fine senso dell’umorismo
facevano di Valera una persona influente e ricercata negli ambienti dell’alta società. La sua
naturale tendenza al sarcasmo veniva convenientemente temperata dalla tolleranza e dalla
raffinatezza nei modi da aristocratico cosmopolita quale era. In politica si schierò coi liberali e
arrivò a occupare cariche di rilievo nel periodo successivo alla rivoluzione del 1868, in
apparente contraddizione col suo tradizionalismo che lo portava a difendere le usanze
popolari con fervore da costumbrista. Le sue personali contraddizioni, tuttavia, emergono in
campo religioso: benché fosse un convinto cattolico, nelle sue opere prestò una grande
attenzione a tutte le forme di eterodossia cristiana, fino a interessarsi delle religioni orientali,
all’epoca molto in voga. Da non tralasciare il suo fervente anticlericalismo.

Valera conobbe il romanticismo di persona, all’interno della propria famiglia: due dei suoi zii
furono tra i massimi esponenti della prima generazione, e cioè il duque de Rivas e Galiano.
Del romanticismo ereditò la concezione dell’arte come espressione del genio individuale,
l’importanza ricoperta dalla libertà dell’artista, la tendenza all’evasione dalla realtà nella
fantasia, il rifiuto delle scuole e delle etichette. Ciononostante, le sue opere sembrano

30
Dichiaratamente favorevole al ripristino di un assetto sociale e politico storicamente superato.
26
rispondere ai dettami del classicismo, soprattutto per ciò che concerne l’importanza che
Valera attribuisce alla forma e allo stile. Dal neoclassicismo lo separa, comunque, il rifiuto
dell’arte docente: più che insegnare, l’arte doveva allietare con la sua bellezza, tant’è vero che lo
stesso autore affermò che la poesia, e di conseguenza il romanzo, si degradano quando si
mettono completamente al servizio della scienza, quando diventano argomento per la
dimostrazione di una tesi. L’arte non deve presentare la realtà così com’è, bensì come
dovrebbe essere, perché l’arte non è storia ma poesia. Da questa visione delle cose, si capisce
che Valera abbia combattuto i presupposti teorici del naturalismo, corrente che racchiudeva in
sé tutto l’opposto della sua personalissima visione della letteratura.

Valera si è distinto sicuramente per le sue capacità di saggista e critico letterario. Durante la
sua carriera l’autore ha tentato anche la strada del teatro e quella della poesia, benché in
quest’ultimo ambito non abbia brillato per originalità. Tuttavia, se Valera è passato alla storia
della letteratura, lo deve certamente alla sua narrativa. Nei suoi romanzi Valera narra, quasi
sempre, di personaggi dotati di una nobiltà naturale. Le sue eroine sono tutti esseri
eccezionali: al centro delle sue narrazioni si trova sempre una donna bellissima, intelligente,
con doti naturali uniche che spesso la società non è in grado di valutare nel modo giusto.
Valera racconta storie slegate dal suo contesto31, in quanto l’attaccamento a un luogo e a un
tempo determinati avrebbe messo in discussione l’universalità di quei personaggi e delle loro
vicende. Il tema centrale di quasi tutti i suoi romanzi sono le difficoltà amorose di una coppia
che in genere è costituita da un uomo maturo, sulla cinquantina, e una giovane donna di una
ventina d’anni; non sarebbe difficile scorgere una componente autobiografica in questo
impianto narrativo, così ricorrente nell’opera di Valera; come sappiamo, in più di
un’occasione l’autore si è trovato in situazioni analoghe. I suoi personaggi sono esseri vicini
alla perfezione, rappresentanti di idee pure, poco terreni, che si servono di un linguaggio che
non ha niente a che vedere con quello quotidiano, risultando dunque molto lontani dai
personaggi dei romanzi realisti. Secondo la critica recente, questo eccesso di idealizzazione dei
suoi personaggi li rende uguali al loro creatore, sia quando parlano sia quando pensano.
Ad ogni modo, vale la pena di analizzare alcuni dei suoi più noti romanzi, e cioè PEPITA
JIMÉNEZ, JUANITA LA LARGA e MORSAMOR.

PEPITA JIMÉNEZ è un romanzo che combina tecnica epistolare con la narrazione tradizionale
onnisciente.
Nella prima parte, don Luis de Vargas, ricco ereditiere andaluso e seminarista, scrive a suo
zio, il vicario capitolare. Don Luis torna al paese natio per trascorrere un periodo di vacanza
accanto a suo padre; lì la sua fermezza religiosa viene scossa dall’incontro della vedova Pepita
Jiménez, amata contemporaneamente da suo padre don Pedro. Nello scambio epistolare tra
don Luis e suo zio, forte è la componente introspettiva del romanzo, tant’è che la critica ha
accostato le profonde analisi di questa prima parte a quelle che caratterizzeranno il romanzo
psicologico novecentesco.
Nella seconda parte, contraddistinta dall’amore tra don Luis e Pepita, la trama romanzesca
prende il sopravvento sull’introspezione. Dopo il loro primo bacio, don Luis decide di
allontanarsi da Pepita, lasciare il paese e tornare al seminario; ma la sua determinazione si
infrange contro le arti seduttive della donna, prontamente aiutata dalla domestica Antoñona.
Una volta invischiato nella rete della vedova, don Juan subisce una trasformazione,
diventando ciò che Pepita vuole che sia.

31
Anche se spesso ricorre un’ambientazione andalusa, dando quindi alle sue opere una marcata impronta
regionalista.
27
Nella terza parte vediamo don Juan e Pepita coronare il loro sogno d’amore: sono andati a
fare un lungo viaggio, hanno avuto un bambino e nella loro casa regna la felicità.
In questo romanzo, l’amore è rivelatore di conflitti, elemento che sconvolge gli equilibri,
regolati secondo le norme della comunità di appartenenza – il paese per Pepita e il seminario
per Luis. Assistiamo alla lotta tra individuo e società, dettata dall’impossibilità di coniugare le
pulsioni individuali con le norme sociali. Prima di innamorarsi, entrambi vivono una vita di
facciata, una vita che però gli consente di convivere pacificamente con la società
assecondando le sue molteplici aspettative. Il loro amore li trasformerà reciprocamente nel
demonio che offre all’altro la tentazione della carne. Per quanto i due si sforzino di domare
questo sentimento, l’amore non accetta regole e si ribella alle norme sociali imponendo la
propria logica. In virtù della prospettiva individuale imposta dalla struttura del racconto, al
lettore è dato di assistere unicamente ai dissidi di don Luis. A dilaniarlo sono due forze
opposte: da una parte c’è la religione, la morale, l’elevazione spirituale; dall’altra il mondo, la
carne, la bassezza del corpo. Un ruolo importante in questa battaglia lo gioca Antoñona, che
mediante il suo ruolo di mezzana rende possibile l’incontro dei corpi, una volta che le anime
dei due amanti si sono già incontrate. Antoñona costringe don Luis a distogliere l’attenzione
dalle sue aspirazioni mistiche e gli rende presente la parte terrena della sua persona.
In sintesi, don Luis e Pepita sono due persone che appartengono a una determinata logica di
vita e ne cercano un’altra, spinti dall’amore che li unisce, vero motore della trama che origina
il movimento, la necessità di spostamento dei personaggi. Il movimento fa sì che smettano di
essere ciò che erano, diventando così la loro negazione.

Anche nel romanzo JUANITA LA LARGA Valera torna a raccontare la storia del conflitto fra
l’amore e l’ordinamento sociale, anche se in questo caso la prospettiva sarà leggermente meno
trascendente e più ludica rispetto a quella adottata nel romanzo precedente.
Il romanzo parla molto semplicemente di Juanita, un’emarginata che mira a un riscatto
sociale. Gli obiettivi della protagonista, le sue ambizioni di ascesa sociale potrebbero incarnare
le aspirazioni della moderna borghesia che vuole diventare soggetto attivo della storia
contemporanea, acquisendo i modi raffinati, la cultura e gli oggetti della classe dominante.
L’eccessiva attenzione che viene rivolta all’acquisizione del potere devia la nuova classe da
quello che sarebbe dovuto essere il suo vero obiettivo: la sostituzione di una mentalità e un
modo di vita aristocratici con la visione del mondo della borghesia; come risultato, i nuovi
ricchi non riusciranno mai a sbarazzarsi del tutto delle loro umili radici e a liberarsi della
sindrome del parvenu. Ciò descrive perfettamente la nascita del cursi, cioè l’utilizzo di un
codice comportamentale che stride con la propria condizione sociale. Juanita è proprio
l’emblema del cursi.
Ambientato in Andalusia, il romanzo è farcito di pagine dai toni costumbristi, come quelle
dedicate alla festa di Villalegre, luogo dove si svolge la vicenda, con la descrizione della
processione religiosa, gli usi della popolazione in tale circostanza, e via dicendo. Juana paga
con l’ostracismo la condizione sociale della sua famiglia e il fatto che sia frutto di un rapporto
occasionale tra sua madre e un ufficiale che era solo di passaggio. Tuttavia a don Paco,
cinquantenne factotum del cacique del paese, non importano le maldicenze che in paese
ruotano attorno alla ragazza. Infatuato dalla sua persona, chiede di sposarla con una lettera,
ma Juanita, non volendo dare ragione a chi penserebbe male di lei, rifiuta la proposta,
scongiurando i pregiudizi di paese che avrebbero intravisto in questa unione un interesse
economico verso don Paco32. Al contrario, Juanita è pronta a dimostrare all’intero paese e alla

32
Ecco il motivo per il quale Juanita contraccambia il dono fattole da Paco (un vestito). Fargli un regalo
equivalente (un pastrano) le avrebbe permesso di non passare per la mantenuta di un vedovo che puntasse
28
figlia di don Paco, donna Inés, quanto sia importante il suo onore: comincia così la sua
personale crociata alla ricerca del riscatto sociale. L’obiettivo è quello di farsi accettare negli
stessi circoli dell’alta borghesia che adesso la ripudiano. La sua strategia funziona, tant’è che
donna Inés cerca di convincerla a farsi suora, come unico modo per far valere le sue doti
naturali, senza incorrere nello scandalo. Juanita non sa cosa rispondere, ma sa che l’unica cosa
certa è il sentimento che sta nascendo verso Paco. Il suo modo per attirarlo a sé è fargli credere
che sia infatuata del cacique di Villalegre, don Andrés. Paco è disposto a farsi da parte, per cui
si allontana dal paese con l’intenzione di togliersi la vita. In seguito vi ritornerà trionfante
dopo aver liberato un povero sventurato da un sequestro subìto. La sua prodezza gli garantirà
la mano di Juanita, la cui decisione di sposare Paco riceverà, alla fine, il beneplacito di donna
Inés.
Per ciò che riguarda la struttura del romanzo di Valera, sembra che da un lato risenta del
didattismo neoclassico alla Moratín e dall’altra, appunto, il naturalismo. Il suo modo di
sfuggire ai due differenti richiami è quello di servirsi dei codici di rappresentazione
dell’amore del Siglo de oro, dando inoltre al romanzo coordinate tipiche del dramma d’onore o
dei romanzi cavallereschi, se non addirittura risalenti alle opere cervantine.
Come ben sappiamo, convivono in Juanita due condizioni per natura inconciliabili: da un lato
è una donna nobile d’animo, ma il possesso di tale virtù serve a ben poco viste le umili origini
e la sua sventurata nascita. Lo scontro non è in realtà tra Juanita e la popolazione di Villalegre,
ma tra lei e l’opinione pubblica generata da chi ha il potere di plasmarla. Juanita è
consapevole delle sue doti, del suo valore, e non accetta che qualcuno, nel corteggiarla, possa
intravederla come mero oggetto sessuale, separando dunque alcune delle sue caratteristiche
dall’unità globale della persona. Juanita rifiuta la scissione della persona a uso del soggetto
della scissione, e propone, a chi la desidera, l’insieme intero delle sue doti. Colui che accetterà
le sue condizioni, potrà averla per intero.
Facciamo un passo indietro. Prima che Juanita si renda conto di contraccambiare il sentimento
di Paco, è una ragazza che combatte per mantenere alto il suo onore, ma non è sempre
immune alle maldicenze e ai pregiudizi relativi alla sua classe sociale. La ragazza vorrebbe
potersi scrollare di dosso la misera condizione di sarta quale è, ma non è semplice. Ecco
perché l’accettazione del vestito di Paco si tramuta in ostentazione, superbia, caduta nel cursi.
E in effetti Juanita attribuisce al dono un valore non tanto affettivo, quanto più sociale, specie
quando comincia ad immaginare di sfoggiarlo davanti a tutti quando si sarebbe recata in
chiesa il giorno di san Domenico. Durante il corso del romanzo, Juanita si autoanalizza più
volte, e arriva alla conclusione secondo cui difficilmente la gente avrebbe cambiato opinione
su di lei, seppure avesse indossato gli abiti più eleganti o imitato alla perfezione i
comportamenti di una dama. Sarà questa consapevolezza ad indurla a cambiare strategia: se
rivelare a tutti le sue virtù esterne sarebbe stato un buco nell’acqua, allora avrebbe provato a
rivelare quelle interne, e cioè intelligenza, coraggio, moralità. Forse così la sua condizione
sociale e i suoi trascorsi familiari sarebbero stati meglio tollerati, o addirittura ignorati. Per
acquisire posizione, autorità e titolo dovrà conquistare la benevolenza dei tre poteri di
Villalegre: quello politico ed economico di don Andrés, il cacique, quello morale di don
Anselmo, il prete, e quello demagogico fondato sulla vox populi, di donna Inés. Juanita
comprende che l’unica vittoria possibile sull’autorità sociale è una sconfitta individuale, cioè
farsi assimilare dalla società facendo ciò che questa si aspetta che una come lei faccia per essere
ritenuta meritevole di integrazione; l’unico modo per raggiungere la vittoria è interiorizzare
l’autorità stessa, mettere un freno a ogni tipo di pulsione individuale, dare un contegno alla sua

esclusivamente alla sua eredità. Il suddetto regalo, tuttavia, fornisce allo speranzoso Paco una prova del suo
affetto per lui.
29
apparenza esterna. In una parola, sottostare alle repressioni che le vengono imposte dall’autorità.
Stavolta il suo calcolo si rivelerà esatto e riceverà il riconoscimento collettivo. Ciononostante,
non è semplice condurre una vita reprimendo parte della propria natura. Quando Juanita
raggiunge l’integrazione tanto anelata, è come se venisse scissa in due dimensioni di
esistenza. La sua oscillazione tra due codici comportamentali così contrastanti va a ledere la
sua naturalezza: da una parte l’eccessivo controllo, la finzione di accettazione dell’autorità
sociale, e dall’altra la manifestazione della sua natura senza i filtri della cultura; questa
seconda parte si manifesta come regressione all’infanzia. E così quando si trova in difficoltà
vorrebbe ricorrere ai metodi infantili, lasciandosi trasportare dalla natura impulsiva che ha
ereditato dal padre.

L’ultimo romanzo di Valera, MORSAMOR, è stato interpretato come il suo testamento


intellettuale, la summa conclusiva della sua arte e del suo pensiero, nonché delle sue passioni
culturali. Questo ultimo romanzo risente molto delle vicende storiche della Spagna di quegli
anni: perdita delle ultime colonie, crisi dell’identità nazionale, bisogno di ripensare il ruolo
della nazione nel mondo e il suo rapporto con la propria storia; insomma, tutto ciò che diede
origine alla riflessione degli intellettuali del ’9833.
MORSAMOR è la storia di un monaco – frate Miguel de Zuheros – che, arrivato alla fine dei
suoi anni, si rende conto di non aver realizzato alcuna grande impresa che lo possa rendere
immortale. Decide quindi di ricorrere alle arti magiche di frate Ambrosio, un confratello
specializzato nelle arti esoteriche, che gli restituisce la giovinezza affinché possa correggere il
corso della sua vita e compiere gesta che rimarranno impresse nella storia. È così che un
semplice prete si trasforma in un cavaliere – Morsamor, per l’appunto – che parte alla ricerca
di avventure e battaglie degne di un romanzo cavalleresco o bizantino. Dunque, da un lato la
narrazione si configura come romanzo di viaggi e dall’altro come romanzo storico. A un certo
punto della storia, Morsamor si ritrova nuovamente nel suo convento dopo essere ritornato
vecchio: in realtà l’uomo non si è mai mosso da lì e le sue peripezie non sono state che un
sogno indotto da Ambrosio. Dapprima se la prende, ma dopo un periodo di riflessione
capisce la lezione morale che Ambrosio ha voluto dargli e, appagato nei suoi desideri di gloria
e potere, riconciliato con Dio, senza più alcuna ardente ambizione o passione amorosa, muore.
Parte della critica ritiene che il ritorno del personaggio al passato sia stato un reale desiderio
dell’autore, che fantastica sulla possibilità di trarre maggior vantaggio dalle occasioni che la
vita gli ha offerto. Un’altra lettura possibile del romanzo è quella di una personalissimo
contrasto tra i due grandi sistemi che strutturano il mondo religioso di Valera: da una parte, le
religioni orientali e la ricerca della catarsi mediante la trasmigrazione delle anime, raffigurata
dal ritorno alla vita concesso a Morsamor; dall’altra, la purificazione dell’anima cristiana
mediante la grazia divina, l’amore e la rassegnazione nel finale di Morsamor.

33
Con il termine Generazione del '98 (Generación del 98) si indica un gruppo di intellettuali spagnoli dei primi
del XX secolo. L'allusione all'anno 1898 per indicare questo gruppo è dovuta alla guerra ispano-americana
combattuta in quell'anno tra Stati Uniti e Spagna, che costò a quest'ultima la perdita delle sue ultime colonie
d'oltremare, cioè Cuba, Porto Rico e Filippine. Gli scrittori operanti in questo gruppo (Unamuno, Baroja, Azorín,
Machado), benché fossero diversi fra loro per tendenze o per origini culturali, furono tutti impegnati da uno
stesso problema: la disfatta del 1898 e la perdita delle colonie avevano posto una serie di interrogativi angosciosi
sulla decadenza e il futuro della Spagna. Ponendo il problema in termini più concreti, politici e letterati
proclamarono la necessità di sottoporre a revisione totale i valori tradizionali. L’ansia di scoprire la Spagna, di
individuarne l’essenza più profonda e insieme gli elementi validi per il rinnovamento portarono gli uomini del ‘98
a percorrere la propria terra, specialmente la Castiglia; una sensibilità nuova li spinse ad apprezzare il paesaggio
castigliano e a evocarlo con una tecnica e un gusto che non sono lontani da quelli del modernismo con il quale
spesso la Generazione del ’98 si confonde.
30
Anche la questione del genere di MORSAMOR è stata oggetto di dibattito tra i critici. Lo
stesso Valera lo definisce un romanzo cavalleresco in chiave moderna, e in effetti non si discosta
dal canone cavalleresco per quanto riguarda la struttura narrativa, lo spazio concesso al
soprannaturale, la dipendenza del protagonista dall’amore di una donna, ecc. Per gli stessi
motivi è stato definito anche romanzo bizantino, del quale ha ereditato la serialità delle
avventure, il viaggio per mare, il meraviglioso, le agnizioni continue, l’uso della casualità.
L’idealizzazione dei personaggi, la loro mancanza di problematicità col mondo, la serialità
delle avventure, la concezione del tempo e dello spazio e il ricorso alla casualità sono tutti
elementi che non fanno aderire questo romanzo al canone di rappresentazione realista. La sua
non dialogicità, che impedisce al protagonista di evolversi a contatto col mondo, motivò il
pesante giudizio di Emilia Pardo Bazán che definì il romanzo di Valera un semplice racconto
lungo. C’è addirittura chi considera quest’ultima opera di Valera un passo indietro nella sua
traiettoria narrativa, ma l’autore ha lasciato intendere che questa è stata una scelta
consapevole in virtù di una sua personalissima concezione del romanzo, non di certo perché
fosse incapace di assimilare le innovazioni tecniche che in quegli anni si stavano registrando.
In definitiva, si può giudicare MORSAMOR come la sintesi del pensiero di Valera. È evidente
che nel romanzo si produca una sorta di cristallizzazione dei temi favoriti; in questo contesto
di risistemazione del suo mondo interiore, si può capire meglio l’unico insegnamento che
l’autore ci consente di trarre da questo romanzo, e cioè la rinuncia all’orgoglio individuale e
nazionale, e la cancellazione delle ambizioni giovanili, vere e proprie zavorre della vita che
impediscono la reintegrazione dell’essere nella divinità.

José María de Pereda

Pereda è unanimemente considerato dalla critica come il massimo esponente del romanzo
regionalista. Nei suoi romanzi racconta la vita della classe media rurale della sua città natale,
Santander e, come scopo artistico, si prefigge l’obiettivo di preservare gli usi e i costumi di un
mondo che sta per essere travolto dai cambiamenti della rivoluzione industriale. Le tradizioni,
la religione, il matrimonio, il patriarcalismo sono i pilastri su cui si poggia il mondo
perediano. Le sue narrazioni si riempiono di descrizioni a scapito dell’azione, diventano una
presentazione lenta e dettagliata del paesaggio, degli uomini e degli usi della sua terra. Se
oggi una narrazione del genere risulterebbe difficile da leggere, all’epoca Pereda diede una
svolta al romanzo realista per la dignità letteraria conferita alla lingua popolare e per
l’integrazione nella trama romanzesca delle scene e dei tipi del costumbrismo.
Cattolico tradizionalista, Pereda non volle mai trasferirsi nella capitale, decidendo di stabilirsi
nella sua Santander per dedicarsi pienamente alla letteratura, alla famiglia e alla sua regione,
dove era considerato un’autorità. Crebbe in un ambiente privilegiato all’interno di una
famiglia amorevole. Questo, assieme al felice matrimonio, influenzò il carattere e l’ideologia
di Pereda, il quale si diede come missione nella vita la difesa dei valori alla base di tale felicità:
il cattolicesimo, le tradizioni, il matrimonio. Il risvolto negativo della sua ostinata difesa di tali

31
valori è la dipendenza dagli stessi, tant’è che ciò si traduce artisticamente in un incorreggibile
provincialismo.
Pereda visse per un breve periodo a Madrid per avviarsi alla carriera militare, ma l’ambiente
disinvolto della capitale ebbe un impatto negativo sul giovane scrittore, il quale la giudicò
falsa e materialista. Abbandonata definitivamente la carriera militare per dedicarsi alla
letteratura, tornò nella sua città natale, ma neanche Santander era più la stessa: anche lì era
giunta la tanto temuta modernità che modificava la fisionomia del paesaggio e stravolgeva i
modi di vita della gente. Ad incrinare ancor di più il suo equilibrio sopraggiunge la morte
dell’amata madre e anni dopo il suicidio del suo primogenito. Malgrado queste parentesi così
negative, la sicurezza e la protezione totale garantitegli dalla famiglia fissarono nel suo
carattere l’archetipo del patriarca come modello verso il quale tendere.
Per ciò che concerne la sua attività letteraria, egli identificò nel critico il ruolo di guida, di
autorità capace di determinare la sua carriera artistica; è così che spiega il terrore reverenziale
di fronte a qualsiasi critica e la sua risaputa insicurezza. La sua dipendenza dal giudizio altrui
traspare anche nei suoi romanzi, dove l’attenzione per le possibili esigenze del lettore arriva a
essere maniacale. Continuamente il narratore interviene per chiarire le possibili perplessità del
lettore, spiegando i motivi di una determinata scelta tecnica o addirittura scusandosi di averla
compiuta.

La critica suole dividere l’evoluzione della narrativa di Pereda in quattro diverse fasi. Questi
quattro momenti corrispondono alla diversa importanza concessa a un determinato
argomento:
- abbiamo così un primo periodo segnato dal costumbrismo;
- un secondo in cui predomina la tesi;
- un terzo di apertura maggiore in cui prova a raccontare al modo naturalista la Madrid
da lui vissuta34;
- infine, un quarto momento di sintesi e di maggiore serenità, in cui trova finalmente la
sua vena più genuina

Il tradizionalismo di Pereda trova piena espressione nei romanzi a tesi35, nei quali il
liberalismo viene preso di mira. Il liberalismo rompe l’equilibrio del mondo, il disegno sociale
divino, perché propone la ribellione dei meno abbienti, l’esaltazione della materia e del
progresso a discapito dello spirito, dei sentimenti e della natura. Il liberalismo viene qui
dipinto come un’epidemia che arriva da fuori, dalla città, invadendo la campagna beata e
ordinata. I suoi romanzi a tesi non solo sono retti dalla demonizzazione del liberalismo, ma
sono anche costituiti da personaggi che macchiettisticamente possono essere divisi in buoni e
cattivi. Naturalmente, i buoni abitano lo spazio interno che è invaso dai cattivi, arrivati dallo
spazio esterno, dalla città, carichi di idee deleterie; l’insuccesso dell’invasore o la sua
conversione al tradizionalismo restituiscono l’armonia perduta alla comunità.
Altra caratteristica di alcuni dei suoi romanzi è la denigrazione della capitale. Il suo
antimadrilenismo si basa sulla sua esperienza personale nella capitale: la corruzione politica,

34
L’autore ebbe un rapporto conflittuale con Madrid non solo in gioventù, quando tentò la carriera militare; si
trasferì a Madrid anche quando tentò la carriera politica, e la sua permanenza durò solo un anno a causa del
sentimento antimadrilenista della prima volta. Anni dopo fu addirittura nominato membro permanente della
Real academia española de la lengua, ma l’Accademia esigeva dai suoi membri la residenza a Madrid. Davanti a
un simile “problema”, Pereda ebbe la tentazione di rinunciare all’onorificenza, ma fu decisivo l’intervento del
critico Menéndez Pelayo affinché Pereda si convincesse a trasferirsi nella capitale.
35
Los hombres de pro / El buey suelto / Don Gonzalo Gonzáles de la Gonzalera / De tal palo, tal astilla
32
la miseria morale degli aristocratici rovinati, gli usi e i costumi troppo libertini nei salotti alla
moda. Uno dei romanzi che affrontano questa tematica è PEDRO SÁNCHEZ, nel quale viene
narrata la vicenda di un giovane della provincia di Santander che parte per Madrid in cerca di
fortuna e trova l’insuccesso e l’infelicità. L’ambiente dissoluto dei salotti aristocratici della
Madrid dell’epoca viene nuovamente bersagliato in LA MONTÁLVEZ. Nica Montálvez è una
donna piena di qualità, ma l’ambiente in cui vive la spinge verso una vita viziosa; sperpera la
sua fortuna in sontuose feste, si sposa per interesse, commette adulterio e, già vedova, elimina
ogni remora morale dai suoi comportamenti amorosi, dedicandosi solo alla soddisfazione di
ogni suo impulso, come del resto facevano tutte le donne del suo rango.

Maggiore interesse nel lettore moderno possono destare i romanzi del ciclo idealista, chiamati
anche egloghe realiste. L’egloga realista presenta una visione idilliaca del rapporto tra l’uomo e
la natura, vista quasi sempre nel suo doppio aspetto di madre accogliente e matrigna
iraconda, e quindi se da una parte troviamo il locus amoenus, dall’altra ci sono i paesaggi
romantici, con abissi profondissimi, bufere di neve, anfratti oscuri, tempeste marine, ecc.
L’uomo, riuscendo a domarla, finisce per accedere a stadi di saggezza o di potere superiori a
quelli da lui occupati in precedenza.
La società dell’egloga realista è divisa in compartimenti stagni, per cui nel mondo ideato da
Pereda l’ascesa sociale è impensabile. I poveri sono buoni, ubbidienti, rassegnati e felici nei
loro amori senza pretese; invece i ricchi possono ambire a tutto; il loro patriarcalismo, la
protezione che dispensano ai loro sottomessi, garantisce loro la felicità. Non è dunque insolito
che un finale di un romanzo includa, per esempio, una donazione economica del signore di
turno che, così facendo, assicura un futuro libero dalle insidie della miseria a una coppia di
sposini poveri.
I romanzi che appartengono a questo ciclo sono SOTILEZA, LA PUCHERA e PEÑAS
ARRIBA.

SOTILEZA, da alcuni considerato il capolavoro di Pereda, racconta la storia di Silda, una


bambina orfana che vive una vita di stenti e di maltrattamenti con i genitori adottivi. Andrés,
uno dei suoi compagni di gioco, l’unico che appartenga a un rango sociale superiore, la porta
da padre Apolinar affinché lui la affidi a una nuova famiglia. Il prete la affida
malauguratamente a una famiglia che abita nei pressi di quella precedente. Questo fatto lega
ancora Silda a chi un tempo la ospitò. L’unico rapporto sano che aveva instaurato nella
famiglia precedente era quello col fratellastro Cleto, il quale è innamorato della ragazza. Il
punto è che Silda ama, ricambiata, Andrés. Il loro amore è comunque ostacolato dalle
differenze di classe che rendono impossibile un’ipotetica unione ufficiale. Per questo motivo
Silda sceglierà alla fine Cleto, un suo pari. Anche Andrés finirà per accettare il matrimonio
con una sua pari che non ama, accontentando così il padre che vede ricomporsi l’equilibrio
sociale messo in pericolo dai sentimenti interclassisti di suo figlio e Silda. Sembra dunque
evidente quella che è la tesi di fondo del romanzo, e cioè la necessità dell’immobilismo sociale
come pilastro della bellezza del mondo. Questa tesi è tuttavia affiancata da elementi
fortemente costumbristi e autobiografici; Pereda vuole preservare dalla scomparsa definitiva i
segni d’identità di tutto un popolo, il suo. Il voler preservare un mondo tanto caro a Pereda
l’ha spinto ad idealizzarlo eccessivamente, scadendo nell’inverosimiglianza.

PEÑAS ARRIBA viene considerato dalla critica un romanzo di sintesi della narrativa
perediana che racchiude in sé tutte le qualità artistiche e tecniche dell’autore.

33
Marcelo, uomo di mondo e intellettuale, decide di accettare l’invito di suo zio e fargli visita
nella sua Montaña. Lo zio, che non ha figli, è preoccupato per la scomparsa, alla sua morte,
della famiglia Ruiz de Bejos da quelle terre; per questo motivo vorrebbe convincere suo nipote
a rimanere a Tablanca e prendere il suo posto nella gestione dei loro possedimenti e nel
mantenimento dell’ordine e della giustizia sociali. Quando Marcelo arriva a Tablanca, il suo
distacco da cittadino gli impedisce di apprezzare appieno le persone, le abitudini e il
paesaggio. La sua nostalgia della capitale è in aumento, ma dopo un breve periodo di
adattamento, inizia a vedere i lati positivi di un mondo che presto diventerà per lui una sorta
di paradiso terrestre, in cui regna sovrana l’armonia fra gli uomini e la natura. Per adesso è lo
zio il garante di questa utopia sociale, ma in seguito sarà Marcelo colui che dovrà proseguire
l’opera di suo zio, evitando così che quel modello sociale scompaia con l’arrivo di
innovazioni, magari importate dalla capitale. L’attaccamento di Marcelo a Tablanca si
cementifica quando conosce Lita e se ne innamora. Lita è una sorta di emanazione femminile
della terra che lo circonda. Sarà l’amore per lei che lo indurrà a prendere la decisione
definitiva: lo zio può finalmente morire in pace, in quanto è a Tablanca che vuole trascorrere il
resto della sua vita, naturalmente assieme a Lita.
Di per sé la trama è molto esile, di fatti sembra che l’obiettivo di Pereda fosse più quello di
ricreare il suo mondo ideale che narrare una storia vera e propria. Per questo il racconto è
molto incentrato sulla descrizione minuziosa di persone, luoghi e cose, come se Pereda
avvertisse l’urgenza di imprimerli per sempre su carta prima che la contaminazione urbana li
facesse scomparire definitivamente. Dunque, è il costumbrismo ad alimentare il romanzo
regionalista di Pereda, fino a sopraffarne l’impianto narrativo. La comunità descritta da
Pereda rispetta tutti i canoni del bucolicismo: tutti i componenti della stessa sanno di far parte
di una società ideale dove tutti sono uguali, società retta da un governo saggio che non ha
bisogno della cultura per dare vita a leggi che la regolamentino; al contrario, è la natura che
gli ha dato la capacità di autogoverno e allo stesso tempo gli fornisce abbondanza a
sufficienza affinché vivano serenamente e in piena autonomia. In tutto il romanzo, la
descrizione prevale sulla narrazione; l’esigenza di Pereda – e che è alla base della sua
narrativa – è quella rendere ogni evento atemporale; tutto deve restare così com’è e non deve
essere minimamente scalfito dal passare del tempo. Il reazionarismo dell’autore diventa
quindi palese persino nella struttura semantica del romanzo; in pratica, la sua ideologia
plasma la forma della narrazione.
La comunità basata sulla reciproca solidarietà protegge l’armonia del singolo da tutti i
possibili influssi negativi derivanti dal fuori; tutti uniti, in un unico corpo, sotto la guida del
cacique. Questa è la società ideale a cui mira Pereda, una società patriarcale all’interno della
quale le volontà dei singoli coincidono sempre col bene comune, impersonato per l’appunto
nella figura del patriarca. In questo modo i rapporti interpersonali diventano favori reciproci,
regolati dalla bontà naturale degli uomini e sono per giunta così spontanei da non venire
nemmeno considerati come dei servizi, bensì come atti fisiologici dell’organismo sociale. La
metafora del corpo riassume perfettamente il patriarcalismo perediano: il popolo è il corpo e il
cacique la testa.
Se la si osserva attentamente, la società di Tablanca non è esente da difetti: anche se in
apparenza sembra una macchina i cui ingranaggi funzionano alla perfezione, si può intuire fra
le righe che Pereda non ha dato vita a un mondo nel quale vige per davvero la condizione di
anomia36: nel mondo perediano, quella del cacique è in realtà una dittatura che nasce dal
terrore delle nuove idee arrivate dalla capitale. Ecco perché l’autore, per bocca dei suoi

36
Il concetto di anomia significa letteralmente "assenza o mancanza di norme".
34
personaggi, difende la chiusura della sua terra con tutto ciò che le appartiene. Non stupirebbe
affatto se questo strenuo bucolicismo regionalista corrispondesse a una difesa degli interessi
di casta: è probabile che la chiusura all’influsso esterno celi il tentativo di prolungare lo stato
di cose. La continuità del sistema è la chiave di tutto. L’ereditarietà del ruolo del cacique è
fondamentale per la sopravvivenza della società di Tablanca; è così che la figura del cacique
assume connotati feudali, con trasmissione divina del potere e investitura davanti al popolo.
Sarà per l’appunto Marcelo a ricevere la delega divina del potere del vecchio monarca – lo zio
– in punto di morte.

Benito Pérez Galdós

Pérez Galdós nacque nelle isole Canarie ma si trasferì a Madrid per frequentare la facoltà di
giurisprudenza. Interessato più alle lettere che al diritto, non concluse il suo corso di studi e
iniziò la professione di scrittore come giornalista presso diversi quotidiani. Nella capitale ebbe
modo di conoscere gli intellettuali più famosi del tempo. Per una decina di anni Galdós abitò
nei quartieri umili della città, nelle tipiche pensioni destinate agli universitari non madrileni.
Sono anni di gran vagabondare per le strade e per le zone più diverse della capitale, senza una
meta precisa, ma sempre con occhio curioso e analitico.
In compagnia di uno dei suoi fratelli si recò per la prima volta a Parigi nel 1867, in occasione
dell’Esposizione universale. L’esperienza parigina lasciò in lui una profonda traccia culturale.
Fu in questa circostanza che comprò per puro caso una copia di EUGÉNIE GRANDET di
Balzac, opera che gli rivelò la potenza della prosa realista e del romanzo come genere
letterario autonomo. Di fatti, tornato in Spagna mise da parte l’attività teatrale per
concentrarsi sulla stesura del romanzo LA FONTANA DE ORO.
Quando nel 1868 scoppiò la rivoluzione repubblicana e liberale che pose fine al regno di
Isabella II, i suoi familiari, turbati dagli avvenimenti in corso, decisero di ritornare nelle
Canarie. Galdós, al contrario, rimase a Madrid, svolgendo l’attività di giornalista presso
riviste politiche e letterarie.
A partire dal 1898, anno del “disastro di Cuba”, che mise allo scoperto la sostanziale
debolezza militare e politica della Spagna nei confronti degli Stati Uniti, Galdós pubblicò la
terza serie degli EPISODIOS NACIONALES, che già in passato avevano documentato i
momenti più salienti della storia nazionale spagnola.
Profondamente deluso dalla tirannia ideologica del partito monarchico, anni dopo l’autore
dichiarò la sua adesione al Partito repubblicano, per il quale si candidò nella lista di Madrid.
Questa fu però un’adesione di breve durata, in quanto non si tradusse in partecipazione attiva
né in un preciso interessamento per la causa repubblicana. Non meno manipolatore di quello
monarchico, Galdós prese le distanze dal repubblicanismo borghese e si avvicinò al Partito
socialista di Pablo Iglesias, nel quale credette di trovare risposta all’interesse che da tempo
provava per il movimento operario.

35
In virtù della varietà di interessi e per la pratica di scrittura, Galdós può essere considerato lo
scrittore più rappresentativo della seconda metà dell’Ottocento. Questo riconoscimento gli
spetta per essere stato anche, più di chiunque altro, il romanziere di Madrid, luogo per
eccellenza delle dispute tra ideali progressisti da un lato e propositi conservatori dall’altro.
Scrittore realista, Galdós ricerca nella complessa organizzazione urbana il materiale per la
finzione romanzesca: sottoproletariato, piccola e media borghesia, nobili decaduti; quartieri
medio-alti e quartieri bassi, case opulente e case povere; discorsi colti e parlate popolari;
arrivismi, prepotenze e frustrazioni spesso mascherate. Dai suoi romanzi si evince quanto
Galdós abbia chiaro il “senso romanzesco” della vita che, per la sua naturale mutevolezza,
relatività e frammentarietà, non può che essere rappresentata solo parzialmente in rapporto
con un ideale astratto. Ben consapevole del fatto che è la classe media borghese a
rappresentare il “presente sociale”, è a questa che l’autore rivolge il suo interesse di
romanziere.
L’opera di Galdós comprende novantanove titoli, esclusi articoli, discorsi, ecc.: quarantasei
EPISODIOS NACIONALES, trentun romanzi, ventidue testi teatrali. Volendo analizzare il
corpus di opere di Galdós possiamo così raggrupparle:
1. Romanzi della prima epoca
2. Episodios nacionales
3. Romanzi spagnoli contemporanei
4. Drammi e commedie

La prima epoca narrativa comprende i romanzi pubblicati tra il 1870 e il 1880: LA FONTANA
DE ORO, LA SOMBRA, DOÑA PERFECTA, MARINELA, LA FAMILIA DE LEÓN ROCH,
ecc,. Nonostante l’autore abbia affermato di aver voluto proporre in questi romanzi un fatto
drammatico verosimile, la critica ha individuato in ciascuno di essi uno schema ideologico di
fondo, un’ottica “di parte” che stereotipizza i personaggi e le situazioni rappresentati. Il fine
moraleggiante presente in questi romanzi, a favore del progresso contro il diffuso fanatismo
retrogrado, ne inficia il valore estetico. Secondo alcuni amici scrittori e critici, lo scrittore deve
innanzitutto salvaguardare il fine estetico anche nelle sue creazioni più o meno didattiche. La
troppo evidente parzialità, l’eccesso di passione fanno perdere di vista le leggi proprie della
finzione narrativa. Ad ogni modo, la nota dominante che caratterizza questi primi romanzi è
la presenza di un radicalismo ideologico che costruisce mondi fittizi schematici, imperniati sul
costante conflitto fra individuo e società, fra l’ideale progressista e il conservatorismo.

LA FONTANA DE ORO può essere definito come il primo romanzo spagnolo moderno. In
questo romanzo si narrano le situazioni drammatiche del Triennio liberale che vedono come
protagonisti Ferdinando VII e i suoi seguaci da un lato, e quella dei rivoluzionari dall’altro.
uesto tipo di narrazione viene definita “ideologica”, in quanto è l’idea di fondo del romanzo a
governare il personaggio, e non il contrario. Ne consegue uno schema che prevede un giovane
onesto, di buona educazione, pieno di idee o illusioni, che si scontra con un mondo chiuso,
ostile, e ne esce inevitabilmente confitto. Gli eroi galdosiani di quest’epoca, racchiusi entro
uno dei due poli contrapposti (individuo/società, liberale/conservatore), finiscono per
assomigliarsi tutti quanti. Temi ricorrenti sono quello religioso e quello della famiglia,
particolarmente sentiti dal pubblico dei lettori.

La protagonista dell’omonimo romanzo DOÑA PERFECTA è una persona ipocrita,


intransigente e dura. Ella esercita a Orbajosa un potere totale sulle cose e sulle persone e la sua
opposizione a Pepe Rey si traduce in una lotta senza quartiere, che non risparmia neppure sua

36
figlia Rosario. D’altro canto, Pepe Rey, ingegnere dalle idee liberali, esponente della borghesia
progressista, riesce a a tenere testa al dominio che doña Perfecta esercita da sempre ad
Orbajosa. Le due distinte ideologie entrano subito in collisione senza possibili punti di
incontro perché entrambe inflessibili. Per doña Perfecta, Pepe Rey non viene semplicemente
avvertito come avversario personale, bensì come elemento perturbatore di Orbajosa, un
mondo chiuso, bigotto, statico, ma proprio per questo rassicurante. L’uccisione di Pepe Rey,
ordinata da doña Perfecta, segna il rigetto dell’estraneo dal corpo sociale di Orbajosa e il
ritorno alla normalità.

Distribuiti in 46 volumi, gli EPISODIOS NACIONALES comprendono gran parte della storia
della Spagna del XIX secolo. Negli anni ‘70 Galdós pubblicò la prima e la seconda serie,
concepite entrambe come un unicum e aventi lo stesso protagonista. La prima serie inizia con
Trafalgar37 e si chiude con La batalla de los Arapiles38, narrati in forma autobiografica da Gabriel
Araceli. Pur suddivisa in volumi autonomi, la serie si configura come un lunghissimo
romanzo a puntate. Tuttavia, a differenza del romanzo storico alla maniera di Walter Scott in
cui la Storia è il pretesto per rivivere un passato distante e conchiuso, l’opera di Galdós narra
il passato prossimo, vicino a tal punto che potrebbe essere ancora vivido nel ricordo del
reduce che lo ha vissuto.
A partire dalla terza serie cambia radicalmente il rapporto di Galdós con la Storia: l’orizzonte
si amplia fino a comprendere anche il passato più lontano. Cambia anche progressivamente il
suo atteggiamento di identificazione con la borghesia; guarda, invece, con un certo interesse
alla nobiltà rurale, detentrice, a suo parere, dei valori della classe media ideale. Questa terza
serie affronta la storia degli anni 1834-45, vale a dire quelli delle guerre carliste, della reggenza
di Maria Cristina e dell’apogeo di Espartero a fianco di Isabella.
La quarta serie è dedicata per intero al regno di Isabella II dal 1848 al 1869, mentre la quinta –
rimasta inconclusa – riguarda la storia degli anni 1870-1898.

I ventiquattro romanzi scritti tra il 1881 e il 1915 fanno parte dei cosiddetti romanzi
contemporanei e sono principalmente ambientati a Madrid. Nella pratica di scrittura di questa
epoca, Galdós si libera dello schematismo astratto del primo periodo e ciò accade soprattutto
in virtù dei cambiamenti sociali registrati in Spagna. Quella di questo periodo è una società in
fermento e frenetica, una società che non può più ospitare caratteri generici e stereotipati,
bensì individui che si confrontano col magma sociale e con la consapevolezza che non esiste
più una realtà univoca. I personaggi delle opere di quest’epoca assumono su di sé la
responsabilità delle scelte che operano nell’ambiente in cui gli è dato di vivere, un ambiente
che li influenza moltissimo, ma sul quale possono incidere con il loro agire. Tuttavia, questi
individui sono così intimamente connessi con il loro ambiente che talvolta stentano a
acquistare una vita propria. Di fatti, il dramma che si consuma è il dramma della società
piuttosto che quello dell’individuo. Tutto ciò è però coerente con quella che è la scrittura di

37
La battaglia di Trafalgar fu una celebre battaglia navale, molto importante nell'ambito delle guerre
napoleoniche, che vide la schiacciante vittoria della Royal Navy sulla flotta franco-spagnola nel 1805, a largo di
Capo Trafalgar, vicino Cadice. La battaglia fu la tragica conclusione del tentativo fallito di Napoleone di invadere
l'Inghilterra.
38
La battaglia di Salamanca (denominata nella storiografia francese "battaglia delle Arapiles") fu uno scontro
della guerra d'indipendenza spagnola, che si svolse nel 1812 e vide contrapposti Regno Unito, Spagna e
Portogallo contro la Francia. La battaglia terminò con una vittoria anglo-portoghese.
37
Galdós: l’arte del romanzo sta nell’essere “rappresentazione del sociale” e del rapporto
dialettico fra individuo e società. Il progetto dello scrittore di scuola realista, e quindi anche di
Galdós, è quello di costruire un testo che riproduca “l’effetto di reale” nel lettore che,
rispecchiandosi negli eventi narrati, percepisce il messaggio romanzesco come “reale”.
L’autore realista osserva, registra, annota, si documenta, arricchisce le sue conoscenze per
costruire finzioni che siano però alla portata dei suoi lettori.
In generale, il personaggio galdosiano pensa, agisce, esiste come prodotto naturale
dell’ambiente in cui si muove, come suo intrinseco risultato, e per questo quasi sempre
incapace di operare svolte decisive, di produrre cambiamenti significativi. Quasi tutti i
personaggi aspirano alla libertà di scelta e di coscienza, ma quasi nessuno riesce a
concretizzarla; l’idea così diventa idealismo sentimentale, fantasticheria, che può degenerare
nell’ossessione oppure in malattia fisica quando si confronta con l’altro da sé. L’immobilismo
regna sovrano e rigetta il diverso classificandolo come infermo, come nota stonata. Così
finiscono molte eroine galdosiane: dapprima impazienti, eccitate, piene di idee e ambizioni,
devono poi arrendersi di fronte all’evidenza di non avere gli strumenti idonei per attuare il
cambiamento, per vincere le resistenze dell’ambiente.

L’attività teatrale di Galdós procede parallelamente a quella di romanziere. Con la produzione


narrativa condivide l’interesse nei confronti del sociale e il rapporto tra individuo e società. In
particolar modo, il suo interesse è rivolto a quella classe media nella quale aveva individuato
il terreno idoneo allo sviluppo di fermenti innovativi in contrapposizione all’immobilismo
socio-culturale.
Si possono individuare solitamente cinque tipi di personaggi nel teatro galdosiano:
l’autoritario, l’opportunista, i due giovani innamorati, il cosmopolita. Forse più di qualunque
altro personaggio, nel suo teatro spiccano i due giovani innamorati, assieme al conflitto che
sorge tra loro e altri personaggi moralmente corrotti. Nelle tragedie prevale la distruzione
dell’amore giovanile, mentre invece le commedie si concludono con la vittoria dei due
giovani, che è poi la vittoria della nobiltà d’animo sul dispotismo e sulla corruzione, della
volontà sulla debolezza.
Solitamente i drammi di Galdós seguono uno schema che tende a ripetersi: l’azione inizia con
un dettagliato scenario, spesso d’ambientazione naturalista, e la comparsa, in tempi differiti,
di quasi tutti i personaggi, esclusi i due giovani che entrano in scena verso la metà del primo
atto. La seconda parte è riservata per intero ai due giovani e al sorgere del conflitto; nella terza
parte avviene, nelle commedie, il processo di rigenerazione dei protagonisti e a loro
riunificazione; nelle tragedie, la loro distruzione.

38
Leopoldo Alas (“Clarín”)

Leopoldo Alas, noto con lo pseudonimo di Clarín, si distingue dal panorama letterario
spagnolo di fine Ottocento per la sua produzione critica e narrativa, diventando
particolarmente celebre grazie a LA REGENTA (1885). Nel corso della vita di Alas, la storia
della Spagna fu segnata da avvenimenti di rilievo che si ripercossero sull’ideologia politica e
sociale dello scrittore: la rivoluzione liberale del 1868 gli diede l’opportunità di prendere
coscienza dei problemi nazionali e stimolò il suo spirito riformatore al servizio della causa
popolare; la restaurazione monarchica del 1875 provocò la sua reazione polemica, in nome
della democrazia e della repubblica; di fronte al problema coloniale, che condusse al disastro
del 1898, egli sostenne dapprima l’autonomia di Cuba, dopodiché denunciò aspramente
l’inettitudine morale e culturale della Spagna.
Fin da ragazzo Alas dimostrò una precoce propensione per la scrittura giornalistica. Quando
si trasferì a Madrid fondò con tre compagni di università RAGABÁS, una rivista di cui
uscirono solo tre numeri, con articoli di satira politica e sociale e di critica letteraria. Fu nel
1875, anno della Restaurazione, che Alas cominciò a utilizzare il suo pseudonimo in
concomitanza con la collaborazione con il SOLFEO. Da questo momento in poi, Alas cominciò
a collaborare anche con altre riviste, fino a creare una rivista tutta sua nel 1886, i FOLLETOS
LITERARIOS.
Nella scrittura di Alas si distinguono due aree tematiche, la politica e la letteratura, e due
registri espressivi, quello satirico-burlesco o umoristico e quello serio. In ogni caso, emerge
sempre la sua personale concezione morale del giornalismo, basata sul proposito critico e
riformatore. Negli articoli politici, Alas affronta tematiche relative alla necessità di un
risanamento del Paese e critica aspramente la corruzione del parlamento, il caciquismo e la
politica di Cánovas. Negli articoli di critica letteraria, Alas recensisce la produzione nazionale
con una particolare attenzione per il romanzo, prendendo in considerazione i personaggi,
l’azione, il linguaggio impiegato, lo stile e la tesi; adotta, inoltre, una sorta di metodo
comparativo, che consiste nel confrontare due autori o due opere.
Per quanto riguarda la teoria sul romanzo, l’idea di Alas è che ogni espressione letteraria deve
fondarsi sulla realtà, adeguandosi alle circostanze sociali del momento; in poche parole, a ogni
periodo storico corrisponde una peculiare manifestazione narrativa. È soprattutto dagli anni
Ottanta in poi che, con l’avvento del naturalismo, Alas tende a svincolarsi dal romanzo di
idee, per privilegiare la riproduzione mimetica e imparziale della realtà. I personaggi devono
essere immersi in situazioni concrete, che li spingano ad agire secondo il loro particolare
carattere e le pressioni dell’ambiente in cui vivono. Ovviamente, per costruire personaggi di
questo tipo, occorre che l’autore osservi e decodifichi con imparzialità i dati del reale.

La redazione de LA REGENTA inizia nel 1884 e procede con notevole rapidità, tant’è che agli
inizi del 1885 esce il primo volume, seguito pochi mesi dopo dal secondo. Alla base
dell’intreccio si trovano elementi contenutistici in voga nella narrativa europea dell’epoca,
39
come il matrimonio problematico, l’adulterio, la crisi amorosa del sacerdote. La trama ruota
attorno alla figura di Ana Ozores, che in un momento difficile della sua vita ha sposato, non
essendone innamorata, don Víctor Quintanar, un ex regente (ossia presidente di un tribunale)
molto più anziano di lei. Bella e virtuosa, ma vittima di un temperamento nevrotico, Ana
suscita l’attenzione di due uomini influenti nella città provinciale in cui vive: il Magistral (cioè
il canonico della cattedrale) don Fermín de Pas, e il libertino Álvaro Mesía. Contesa dai due
pretendenti, Ana si dibatte tra frustrazione e sensi di colpa, cadendo spesso preda di malattie
di origine nervosa. Dopo aver cercato invano, mediante la religione e la sublimazione mistica,
di reprimere impulsi erotici che il marito non è in grado di soddisfare, Ana cede alle avances
di don Álvaro e consuma l’adulterio. Don Víctor sfida il rivale a duello, ma viene ucciso; gli
ipocriti concittadini hanno tutti il dito puntato contro la Presidentessa alla quale voltano le
spalle, a eccezione di Frígilis, fedele amico dei Quintanar.
Il complesso mondo ricostruito da Alas sottolinea più che mai lo stretto rapporto tra
individuo e ambiente, e di come quest’ultimo possa influenzare pesantemente la personalità
di ciascun personaggio. Così, per esempio, viene giustificato il temperamento nevrotico della
protagonista: è l’educazione impartitale che la rende così, a cominciare dalla severa istitutrice,
fino ad arrivare al padre che la tratta come un oggetto privo di sesso e alle zie che mettono al
primo posto le apparenze per salvaguardare il contegno. Nel racconto principale, l’ambiente
esercita le sue pressioni sull’individuo soprattutto mediante i pettegolezzi, attività costante in
tutti gli spazi sociali di Vetusta, città nella quale si svolge la vicenda. I pettegolezzi e il
costante spiare le azioni altrui ci consentono di comporre il ritratto collettivo di Vetusta, un
ritratto che non ci viene più fornito da un narratore che tutto sa, bensì da molteplici punti di
vista diversi, requisito principale di oggettività. L’invidia, il pettegolezzo e il desiderio di
apparire impeccabili agli occhi dell’altro sono, dunque, le basi del tessuto sociale di Vetusta e
si trasformano in una rete perversa di reciproche pressioni. Per questo motivo, le reazioni e le
vicissitudini di ogni personaggio non sono semplicemente casi individuali, ma dipendono dal
comportamento degli altri.
Sul piano della struttura del romanzo, la prima parte può essere definita “presentativa”,
contraddistinta da un tempo lento, tant’è che in 15 capitoli si narrano gli avvenimenti di
appena tre giorni; nella seconda parte, definita “attiva”, si giunge a coprire l’arco temporale di
tre anni. La descrizione di azioni e discorsi abituali serve per presentare la quotidianità degli
abitanti di Vetusta ed è, allo stesso tempo, un pretesto per dar voce alla pungente ironia di
Alas, rivolta per esempio alla scarsa esemplarità del clero o all’ignoranza dei vetustensi e alla
loro scarsa religiosità.
Nelle pagine iniziali, il narratore introduce i personaggi secondo una tecnica piuttosto
costante: innanzitutto, comincia a presentarli servendosi di ciò che viene detto di loro da altri;
poi, quando entrano in scena per la prima volta, li mostra in un’occupazione particolare. A
primo acchito può sembrare che certi particolari descrittivi siano ininfluenti, ma man mano
che il racconto avanza, si rivelano pienamente funzionali al contesto.

Nel 1891 Alas pubblicò il romanzo SU ÚNICO HIJO, concepito inizialmente come parte di
una trilogia, rimasta tuttavia inconclusa. Il protagonista è Bonifacio Reyes, un uomo debole e
sognatore, ridotto praticamente alla schiavitù dalla terribile moglie Emma Valcárcel, isterica
ed egoista. Bonifacio cerca di evadere dalla sua vita solitaria attraverso la musica del flauto,
finché l’incontro con una cantante d’opera, Serafina Gorgheggi, con la quale intreccia una
relazione amorosa, momentaneamente lo riscatta, facendogli vivere la passione “romantica” a
lungo desiderata. Alas riprende dunque il tema dell’adulterio, questa volta però dalla
prospettiva maschile, ma con una svolta imprevista: anziché provocare un conflitto tra la

40
moglie e l’amante, il tradimento causa una sorta di osmosi fra le due donne, risvegliando
l’erotismo di Emma, mentre Serafina progressivamente si imborghesisce. Deluso dalla fine
della relazione con Serafina, Bonifacio sembra trovare un senso alla sua esistenza quando
scopre che Emma è incinta. La paternità funge dunque quasi da riscatto, è l’inizio di una
nuova vita.
Rispetto a LA REGENTA, questo romanzo sfugge a una precisa classificazione: se da una
parte accoglie le tecniche narrative del XIX secolo, dall’altro sembra già proiettato verso nuove
tendenze, soprattutto l’idealismo. Qui spariscono le dettagliate descrizioni d’ambiente e i
puntuali riferimenti temporali. Dello scenario, sappiamo solo che la vicenda primaria si
svolge in una città provinciale, monotona e triste. Quanto alla cronologia, è possibile cogliere
dei riferimenti al tempo storico che distingue tre periodi, separati l’uno dall’altro da uno
spazio di vent’anni: gli antecedenti si svolgono nel 1840-50, l’azione principale a partire dal
1860, mentre il tempo del narratore si colloca dopo il 1880. Ma ciò che più conta è che il
racconto coincide con un’epoca in cui del romanticismo sono rimasti solo gli elementi più
fatui e deleteri, oggetto dell’ironia del narratore, e che il tempo del romanzo è vissuto dalla
prospettiva interiore dei personaggi, e non più scandito da un calendario oggettivo. Questa,
infatti, è la novità più importante: la realtà esterna sfuma, per lasciare spazio alla vita intima,
espressa in gran parte dai monologhi. Bonifacio non è un uomo in lotta con un ambiente
ostile, bensì un individuo alla ricerca di una propria identità e di una propria ragione d’essere,
che si confronta con se stesso. Tempo e spazio, e quindi ogni dato oggettivo, vengono filtrati
dalla sua personalissima percezione della realtà. Nonostante sia ancora presente un narratore
onnisciente, tende a dare molto spazio al punto di vista del protagonista. Nei confronti dei
personaggi, il narratore rivela una totale assenza di simpatia: ognuno sembra fare la fine che
merita; solo a Bonifacio è concesso un graduale riscatto nel corso del romanzo, fino
all’affermazione finale, in cui egli riesce a mantenersi saldo nella fede, invulnerabile allo
scherno altrui.
L’infrazione di alcune peculiarità naturaliste fa sì che questo romanzo si avvicini molto a
quello novecentesco: al suo interno è presente una continua rottura del sistema di aspettative
del lettore, provocata dalle impreviste svolte della vicenda narrata, con i conseguenti effetti
sorpresa che infrangono la catena della causalità. Di fatti, il narratore onnisciente talvolta si
occulta, evitando di fornire informazioni oggettive su quanto accade. Basti pensare alla
paternità di Bonifacio: il narratore non ci dice se sia davvero Bonifacio il padre di Antonio,
abbandonando così il lettore su un finale aperto, solo con le supposizioni dei singoli
personaggi.

Emilia Pardo Bazán

Emilia Pardo Bazán nacque nel 1851 a La Coruña in una famiglia nobile che non ebbe altri
figli. La contessa manifestò sin da piccola una grande passione per la letteratura: i romanzi di
Hugo, l’Iliade, il Chisciotte, la Bibbia. Frequentando il Colegio Francés della capitale, la
giovane Emilia ricevette i primi rudimenti di quella cultura europea e cosmopolita che la
41
resero una sorta di straniera in patria. Sposatasi già all’età di sedici anni, si trasferì a Madrid e
lì inizio la sua attività di intellettuale. Dopo che suo padre fu eletto deputato alle Cortes, fu
costretto – assieme alla sua famiglia – ad allontanarsi dalla capitale a causa di alcune vicende
politiche nazionali. Per quasi due anni la famiglia Bazán visse all’estero (Italia, Francia,
Inghilterra, Belgio, Austria, ecc.) e questo consentì ad Emilia di entrare in contatto con altri
ambienti intellettuali, altre letterature, come la francese, l’inglese e l’italiana, della quale
apprezzava soprattutto le opere di Manzoni, Foscolo, Alfieri, e dei romantici in generale. In
Francia conobbe addirittura i suoi autori preferiti, tra cui Zola e Hugo. Di ritorno in Spagna,
Emilia trovò un paese in fermento culturale per via della diffusione del krausismo39 e del
nuovo ruolo sociale che la letteratura aveva acquisito in quegli anni. Da questo momento in
poi Emilia decide di recuperare le opere nazionali dei suoi contemporanei, a cominciare da
Valera, Alarcón e Galdós. Grazie alla lettura delle loro opere, scoprì che il romanzo non
doveva essere per forza figlio della fantasia più sfrenata, bensì poteva avvalersi delle doti di
osservazione della realtà del suo autore. Forte di questa scoperta, iniziò a scrivere anche lei. Il
suo primo romanzo, PASCUAL LÓPEZ, si iscrive ancora nella tradizione romantica; la svolta
vera e propria si produce col romanzo successivo, UN VIAJE DE NOVIOS, e un anno più
tardi con LA TRIBUNA. Nei rispettivi prologhi l’autrice rivendica la sua originalità all’interno
di una sostanziale accettazione dei princìpi del naturalismo. Ci vorranno ancora altre letture e
l’elaborazione lenta e riflessiva del saggio LA CUESTIÓN PALPITANTE del 1883 affinché la
Bazán dimostri di aver assimilato a modo suo il naturalismo. Questa evoluzione verrà registrata
in opere come LOS PAZOS DE ULLOA e LA MADRE NATURALEZA, i suoi due capolavori.
Neanche la maternità e la separazione dal marito arrestarono la sua irrefrenabile attività di
scrittrice, nonché la sua vena polemica, tant’è che divenne un personaggio sempre più
popolare e discusso, e in questo venne aiutata anche dal fatto che fu una delle prime donne
scrittrici dell’epoca a conquistare tanta fama.

La vastissima opera della contessa abbraccia un po’ tutti i generi letterari, a cominciare dal
teatro e dalla poesia, ma è senza dubbio alla narrativa e alla saggistica che il suo nome deve
un posto di riguardo in tutte le storie della letteratura. Il suo saggio più noto è il già citato LA
CUESTIÓN PALPITANTE, opera che vide la luce prima sotto forma di articoli nella rivista
LA EPOCA, e poi in un volume nel 1883. Inizialmente il libello non scatenò chissà quali
polemiche, ma dopo qualche mese dalla sua pubblicazione il pubblico lettore di intellettuali si
divise in due fazioni: da un lato gli avversari del naturalismo (Menéndez Pelayo, Valera),
mentre dall’altro i suoi difensori (Clarín, Galdós).
Il movimento naturalista si contrapponeva alla letteratura in voga: se nelle opere di Pereda o
di Alarcón la realtà viene idealizzata per adattarla ai preconcetti dell’autore, la Pardo Bazán
propone una letteratura seria, scientifica e sperimentale, capace di osservare il mondo con
piena imparzialità e di annullare il punto di vista dell’osservatore. Tuttavia, nel saggio non
mancano le critiche della Bazán al movimento, critiche che potrebbero farci quasi dubitare
della sua completa adesione allo stesso. Secondo l’autrice, gli autori francesi non avrebbero
saputo cogliere la vera natura dell’uomo, il libero arbitrio, avendo dato troppa importanza ai
condizionamenti sociali, fisiologici e biologici. Per essere più precisi, per l’autrice il
naturalismo più che un movimento letterario è un insieme di tecniche, più che un’analisi
oggettiva del rapporto romanzo-realtà è una depurazione della retorica dei romanzi alla moda.

39
Il krausismo è una dottrina che difende la tolleranza e la libertà accademiche di fronte al dogmatismo. Deve il
suo nome al pensatore tedesco Krause. Questa filosofia è stata ampiamente diffusa in Spagna dove ha raggiunto
il massimo sviluppo pratico, grazie al lavoro del suo grande diffusore Julián Sanz del Río e della Libera Istituzione
d'Istruzione diretta da Francisco Giner de los Ríos, oltre al contributo di un grande giurista Federico de Castro.
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Citando le parole di Zola, il naturalismo si deve considerare più come un metodo che come una
scuola, metodo di osservazione e di sperimentazione che ognuno usa come può. E in quanto
metodo e non teoria, in quanto tecnica e non cosmovisione, deve essere adeguato alla realtà che
vuole descrivere; ecco perché il naturalismo francese può riflettere più o meno alla perfezione
la Francia, ma non serve per la Spagna. Esistendo già una tradizione realista e naturalista nella
letteratura spagnola, non c’era alcun motivo di seguire i dettami del naturalismo francese; per
la Bazán bastava rifarsi ai modelli di Cervantes, di Quevedo, di Rojas, e ai quadri di
Velázquez e Murillo per trovare il giusto metodo di avvicinamento alla realtà. Inoltre, l’autrice
afferma che, benché naturalismo e realismo siano simili, il realismo supera di gran lunga il
naturalismo, affermazione che sembra preludere alla sua conversione al romanzo psicologico
degli anni Novanta.

Parlando di romanzi, il primo scritto dall’autrice fu PASCUAL LÓPEZ, AUTOBIOGRAFÍA


DE UN ESTUDIANTE DE MEDICINA, romanzo che volge lo sguardo al romanticismo
ancora vivo nei popolari romanzi d’appendice.
Gli elementi propri del naturalismo emergono nel suo secondo romanzo, UN VIAJE DE
NOVIOS, nonché il determinismo40 fisiologico del comportamento dei personaggi, con una
particolare attenzione alle malattie, alle basse passioni, alle deformità.
Soltanto a partire dal suo terzo romanzo, l’estetica naturalista modellerà definitivamente la
sua narrativa, consentendole di analizzare quattro dei settori sociali dell’epoca: il proletariato,
il popolo, la campagna e infine la città. In LA TRIBUNA, la Pardo Bazán osserva
minuziosamente il contesto sociale nel quale vivono i protagonisti della vicenda, analizzando
usi e costumi, le azioni tipiche di un determinato mestiere o di un intero gruppo sociale,
dando così origine a un sorta di “fisiologia sociologizzata”.
Dopo la pubblicazione del saggio sul romanzo russo, LA REVOLUCIÓN Y LA NOVELA EN
RUSIA, la produzione narrativa dell’autrice subisce un radicale cambiamento di rotta, in
quanto assimila nella propria scrittura le tecniche e la visione del mondo da lei
magistralmente esposte nel saggio appena menzionato. Nei romanzi di questa nuova epoca le
azioni dei personaggi sono spiegate non più sulla base di condizionamenti esterni, bensì
partendo dalla loro interiorità, e quindi dalla loro psiche.

Ad ogni modo, il naturalismo della Pardo Bazán trova la sua massima espressione nei
romanzi LOS PAZOS DE ULLOA e LA MADRE NATURALEZA, opere che condividono la
tematica relativa al rapporto uomo-natura, trattata tuttavia in due modalità differenti: nel
primo la natura è presentata come violenta fomentatrice di pulsioni basse, mentre nel secondo
è vista come tenera madre della sensualità e dell’amore.
Nel primo romanzo, il nuovo cappellano del pazo (palazzo) di Ulloa, Julián, trova al suo arrivo
una comunità allo sfascio; il signore, il marchese Moscoso, ha ceduto il governo dei suoi
possedimenti a un suo servo, Primitivo, il quale gestisce a vantaggio del proprio clan i
rapporti economici e sociali del pazo. Poiché il marchese ha avuto un figlio da Sabel, la figlia di
Primitivo, quest’ultimo ha adesso un incontrastato potere sul padrone e sui suoi terreni. La
casa è dunque in quasi completo stato di abbandono, come del resto la famiglia Moscoso. È
così che Julián, appena arrivato, si prende cura dell’economia della proprietà invece di
occuparsi delle anime dei suoi assistiti. Le difficoltà di adattamento del cappellano aumentano
col passare del tempo: egli è un uomo dai modi raffinati, dal carattere debole e dalla salute

40
Il determinismo indica quella concezione per cui in natura nulla avviene per caso, invece tutto accade secondo
rapporti di causa effetto; in parole povere, ogni fenomeno o evento del presente è necessariamente
determinato da un fenomeno o evento accaduto nel passato.
43
cagionevole, e non possiede gli strumenti per fronteggiare la complicata situazione nella quale
si trova immerso. Il marchese prende moglie tra le proprie cugine residenti della capitale;
Nucha, la prescelta, è una donna fragile che patisce la durezza della vita nel palazzo, durezza
mitigata solo dalla presenza di Julián, cittadino come lei e poco abituato alla vita in natura. I
due infatti si innamorano, e quando il marchese Moscoso viene a conoscenza della loro storia,
rimprovera la moglie e costringe il prete a lasciare il palazzo verso una nuova destinazione.
Questo allontanamento causerà a Nucha una depressione così forte al punto da farla
ammalare e morire. Dieci anni dopo, Julián è ormai parroco di Ulloa ed è in visita al cimitero
dove riposa Nucha.
La trama dell’opera viene determinata dal conflitto di due gruppi di individui che
corrispondono a due tipi sociali e culturali diversi: da una parte i personaggi rurali (Primitivo,
Sabel e il marchese), dall’altra i cittadini (Nucha, Julián). I primi si caratterizzano per la loro
dipendenza dalle basse passioni, per la loro carnalità, mentre nei secondi troviamo il
predominio della ragione, il controllo delle proprie emozioni. Nei personaggi rurali
l’intelligenza diventa astuzia, il carisma si trasforma in violenza. Basti pensare a Primitivo e a
come gestisce il potere: egli è disposto a utilizzare la prepotenza e le minacce se deve
vedersela coi suoi pari, e il ricatto e la menzogna se il suo interlocutore è il padrone stesso.
Così come il potere, anche i sentimenti sono proiettati sulla sfera materiale, per cui l’amore
diventa interesse, e la fedeltà al padrone convenienza. Se invece pensiamo a Nucha e Julián,
questi possiedono quell’intelligenza che manca ai loro interlocutori rurali e la cultura che
consente loro di non cedere alle basse passioni e di riflettere prima di decidere. Abbiamo
dunque, da una parte, il mondo civilizzato, statale, ordinato della città, e dall’altra il mondo
selvaggio, anomico e sensuale del palazzo. I significati di ognuno di questi mondi sono
esaltati dal contrasto con l’altro. Il tentativo dell’autrice era, dunque, quello di evidenziare il
contrasto tra cultura e natura introducendo un abitante della città nel disordinato mondo
rurale.

Nel romanzo LA MADRE NATURALEZA i protagonisti sono stavolta i personaggi secondari


presenti in LOS PAZOS E ULLOA, come per esempio Gabriel (fratello di Nucha) e i bambini
Manolita (figlia di Nucha) e Perucho (figlio illegittimo del marchese avuto con Sabel), che
adesso sono diventati ragazzi. I due ragazzi sono fratellastri, ma non sono a conoscenza del
vincolo di sangue che li lega. Entrambi si amano teneramente inconsapevoli di questo
rapporto incestuoso, coadiuvato sicuramente da una cornice naturale rigogliosa e sensuale. Il
loro padre finisce per privilegiare Perucho, nonostante la sua nascita illegale, e ha relegato la
figlia legittima al ruolo di sguattera. Lo zio di Manolita, Gabriel, venuto a conoscenza della
situazione, decide di rimediarvi col suo contributo personale: la sposerà e la porterà in città
con sé. Ma le buone intenzioni di Gabriel si scontrano con la forza dell’affetto che i due
ragazzi provano l’uno per l’altro. Per questo motivo, Gabriel decide di rivelargli la verità,
vista come unico mezzo per evitare l’infrazione del tabù. Perucho, una volta scoperta la verità,
parte disperato per Madrid, mentre Manolita, di salute cagionevole come sua madre,
sprofonda nella depressione e decide di farsi monaca. La scena finale, con Gabriel di nuovo in
cammino verso Madrid, su richiesta di Manolita, per cercare di impedire a Perucho di
suicidarsi, riafferma il messaggio contenuto nel titolo: né la religione né la cultura possono
competere con lo strapotere di madre natura.
La trama di questo romanzo si concentra soprattutto sull’amore tra i due fratellastri e
sull’influsso che la natura ha su di esso. Qui la natura non si limita a fornire la cornice ideale
per l’idillio dei due giovani, ma diventa loro complice e protettrice, quasi fosse una mezzana
vòlta a spingerli all’incesto. Il loro sentimento viene per l’appunto descritto come qualcosa di

44
naturale, sottolineando quanto concetti come tabù, incesto, infrazione alla norma siano puri
artifici umani, barriere che non hanno una logica oggettiva. Benché l’arrivo di Gabriel a Ulloa
rappresenti l’irruzione dell’ordine sociale nel disordine naturale dell’amore incestuoso, la
natura regna sovrana, è onnipotente e soggioga tutti gli individui sottomettendoli alle sue
leggi, ma al contempo è la madre buona che accoglie le sue creature umane con le quali
condivide i suoi doni. Alcuni personaggi di questo romanzo stabiliscono un vero e proprio
dialogo con la natura, come per esempio la Sabia, e cioè la strega che i due ragazzi incontrano
nel loro vagare per i boschi, o Antón il curandero, il quale sente la presenza della natura in
tutto, con una sorta di panteismo pagano di origine ancestrale. Ovviamente, essendo Gabriel il
rappresentante della cultura, non riesce ad ammettere l’idea di base della mentalità dei suoi
oppositori, nonché la loro visione magica del mondo che consente loro di stabilire un dialogo
con la natura.
In definitiva, potremmo dire che la storia di Perucho e Manolita ha quasi una portata mitica. I
due personaggi possiedono caratteristiche quasi simboliche; in essi si racchiude la mascolinità
e la femminilità allo stato puro, senza fronzoli della cultura che impone rapporti mediati dalle
convenzioni sociali e regolati dalle norme e dai divieti della legge. È come se entrambi fossero
gli eroi di una tipica tragedia greca, i quali devono lottare contro una società che vorrebbe si
adeguassero ai canoni di vita consensuali.

Vicente Blasco Ibáñez

Nato a Valenza, Ibáñez ricevette negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza un’educazione


impregnata di cattolicesimo, ma grazie all’influenza che esercitarono su di lui diverse letture
si votò a un implacabile anticlericalismo. Fin da giovanissimo si dedicò all’attività politica tra
le file dei repubblicani federalisti. Dopo un periodo di esilio prima e di carcere poi, ottenne un
seggio di deputato per Valenza nelle Cortes.
Negli anni Novanta, fu capo di un moto organizzato contro il governo conservatore di
Cánovas, per cui fu esiliato a Parigi. La permanenza nella capitale francese risultò molto utile
alla sua formazione politica e letteraria, e in più gli permise di mettersi in contatto con altri
esiliati spagnoli e di conoscere di persona i maestri del naturalismo francese.
Da considerare anche la sua lunga permanenza in Italia, un’esperienza che lo indusse a
scrivere variati libri nei quali documenta le sue impressioni sulla cultura e le realtà del paese,
che da sempre aveva ammirato.
Sempre durante la stessa decade, si diede all’attività editoriale, fondando il giornale
repubblicano EL PUEBLO (nel quale furono pubblicati i suoi romanzi a puntate), e
diventando direttore di diverse case editrici, lavoro che gli permise di dare alla luce i suoi
scritti, oltre a selezionare testi di autori come Dickens, Tolstoj, Dostoevskij, Dumas o Hugo,
nell’intento di mettere alla portata di un pubblico popolare e a prezzi ridotti le opere
contemporanee più notevoli.
45
Il suo temperamento inquieto ed esuberante lo portò a viaggiare in tutto il mondo, dalla
Turchia fino al continente americano, stabilendosi addirittura per qualche tempo in
Argentina. Tornato in Spagna, deluso ormai dalla politica, decise di dedicarsi esclusivamente
alla sua vocazione letteraria. Fu in questo periodo che pubblicò LOS CUATRO JINETES DEL
APOCALIPSIS, opera ispirata agli avvenimenti della prima guerra mondiale e che vede come
protagonista la famiglia Desnoyers, tornata in Francia poco prima dello scoppio del conflitto,
dopo aver fatto fortuna in Sud America. Con questo romanzo si aprirono per l’autore le porte
del mercato editoriale statunitense, cosa che in seguito gli permise l’accesso all’industria
cinematografica di Hollywood. E così, Ibáñez diventò famoso in tutto il mondo e al tempo
stesso raggiunse una più che solida posizione economica. Si dedicò, da allora, a un tipo di
letteratura più facile e superficiale che forse può spiegare la resistenza di molti critici a
includere il suo nome tra i grandi scrittori della fine del XIX secolo.

Ibáñez fu uno scrittore prolifico. La sua produzione comprende romanzi, racconti, articoli
giornalistici, cronache di viaggio, prologhi, traduzioni, discorsi politici e un’opera teatrale (EL
JUEZ). Dai critici è stato definito lo “Zola spagnolo”, in quanto entusiasta seguace del
naturalismo francese, specialmente per ciò che riguarda i romanzi della cosiddetta serie
valenziana. A questi vanno aggiunti i CUENTOS VALENCIANOS.
Riguardo al gruppo di novelle valenziane, la critica ha prestato attenzione soprattutto a certi
aspetti come il costumbrismo, prendendo in considerazione sia l’importanza e l’ampiezza
delle descrizioni di tipi e paesaggi inseriti nell’azione romanzesca, sia loro bellezza e capacità
evocativa. Ad esempio, in ARROZ Y TARTANA, la narrazione segue cronologicamente le
feste e le tradizioni popolari valenziane, le quali fungono da cornice alla storia di doña
Manuela, occupata a simulare una posizione economica e sociale dalla quale, in realtà, si trova
ben lontana. Figlia e sposa di piccoli ma prosperi commercianti, non riesce tuttavia a evitare la
rovina economica e morale della famiglia; in breve tempo scialacqua l’eredità ricevuta nel
tentativo disperato di far dimenticare a tutti il suo passato di bottegaia, integrandosi così
nell’élite della società valenziana.
Il ritratto e la satira di questa società borghese frivola e divisa in rigide caste si focalizza in
FLOR DE MAYO. Qui si descrivono, con grande attenzione ai particolari, le difficoltà che
incontrano i pescatori del Cabañal – quartiere di Valenza – e in particolar modo quelle di
Pasqualet, pescatore tradito da moglie e fratello. La disperazione porterà il protagonista a
sfidare la sorte affrontando una terribile tempesta, che travolgerà non solo la barca – Flor de
Mayo, per l’appunto – ma anche tutte le sue speranze di costruire un futuro migliore per sé e
per la sua famiglia.
Un altro aspetto degno di rilievo è lo studio psicologico di certi personaggi, particolarità che
emerge soprattutto nei protagonisti di ENTRE NARANJOS, tormentati dai loro conflitti
interiori, più ancora che dai condizionamenti sociali. Rafael e Leonora vivono tra gli aranceti
di Alcira – comune di Valenza – una passione amorosa ostacolata dai pregiudizi della piccola
borghesia di cui l’uomo fa parte, contraria ai suoi amori con una donna libera, cantante lirica
dal tortuoso passato; ma, soprattutto, le difficoltà nascono dalla disparità nella personalità
degli amanti. Leonora, dal carattere forte e complesso, non riuscirà a trionfare sulla debolezza
e il conformismo di Rafael.
Nelle opere di Ibáñez si è evidenziato non solo il deciso impressionismo di molte sue pagine,
ma è stata anche elogiata l’efficacia nell’applicazione delle tecniche realiste, ad esempio
nell’uso del linguaggio che, senza abbandonare il castigliano, riesce a creare l’illusione che la
lingua materna dei personaggi sia un’altra. Al di là delle etichette con cui possiamo definirli, è
evidente che questi romanzi manifestino la chiara intenzione di riflettere la realtà socio-

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politica della regione valenziana come paradigma del resto della società spagnola. Inoltre,
benché possa sembrare lontano dai membri della cosiddetta “generazione del ‘98”, con loro
condivide l’atteggiamento e i punti di vista relativi all’atrofizzazione della società spagnola,
sempre più incapace di rigenerarsi, e proprio come loro tenta di combattere le pecche della
sua terra attraverso le sue scelte politiche ma anche attraverso la scrittura. In questi romanzi
dei primi anni del Novecento, Ibáñez affronta piaghe come il clericalismo o il latifondismo,
potenti freni al processo di modernizzazione del paese. Queste opere furono concepite come
reazione alla situazione vergognosa provocata dal disastro coloniale, all’eccessiva
preoccupazione per la gloria passata e al “negligente” progresso contemporaneo. In questo
contesto l’autore si rende conto che la letteratura non deve essere finalizzata alla bellezza, ma
è piuttosto obbligata a rivestire un ruolo attivo nella conquista della libertà, della dignità e del
benessere degli esseri umani.

LA LIRICA
Rosalía de Castro

Il trentennio che va dall’abdicazione di Isabella II (1868) alla perdita di Cuba (1898) vide una
profonda crisi politica, la delusione degli intellettuali, l’amara meditazione sulla vita
nazionale che viene riflessa nel romanzo realista. Questo fu anche un periodo non
particolarmente favorevole al fiorire della lirica, che in effetti appare produzione letteraria
“debole”, segnata da opere dal carattere postromantico e altre da quello verista. Forse
l’aspetto più interessante è costituito dall’apparire, nelle ultime decadi del secolo, dei primi
influssi del simbolismo parnassiano di ascendenza francese, che aprirà la strada al
modernismo di fine secolo.

Rosalía de Castro nacque nel 1837 a Santiago de Compostela, da una madre nubile e un
sacerdote; registrata come figlia di sconosciuti, la sua origine illegittima la segnò
profondamente. Visse con una zia materna e poi con sua madre. Negli anni Cinquanta si recò
a Madrid dove conobbe Bécquer, suo futuro marito, che seguì in varie città. Passò gli ultimi
anni della sua vita in Galizia, fino alla morte per cancro all’utero nel 1885.
Nel suo primo libro poetico, LA FLOR, i contenuti espressi sono veicolati da un romanticismo
alla maniera di Espronceda, ma la sua espressione poetica diverrà nel tempo più contenuta e
intimista mediante l’influenza di Campoamor e di Bécquer, la scelta del gallego e l’imitazione
della poesia popolare.

47
La Galizia descritta dalla de Castro appare abbandonata a se stessa e alla sua arretratezza; è in
questi componimenti dedicati alla Galizia in cui l’autrice sperimenta un repertorio di nuove
forme, dalle strofette popolari al metro medievale di sedici sillabe. La contemplazione delle
bellezze eterne della sua terra diventa stimolo per la riflessione, arricchita sapientemente
dall’uso di motivi folclorici. Proprio come suo marito, gli artifici retorici più utilizzati dalla de
Castro sono legati al parallelismo, veicolo di un’espressione intuitiva del sentimento.

Ramón de Campoamor

Campoamor è forse il poeta più rappresentativo del periodo. Il suo ribellismo insofferente e in
fondo ingenuo (in quanto non supportato da alcuna analisi approfondita della politica o della
società a lui contemporanea) e una certa dose di individualismo lo rendono quasi uno degli
anticipatori del primo modernismo. La sua è una poesia che procede per “narrazioni” brevi,
che tentano di opporsi alla narrazione in prosa, ritenuta esteticamente inferiore, ma che però
si traducono in un “prosaicismo41” della sua stessa poesia.
Nonostante la sua ambizione a indicare messaggi universali, dai suoi componimenti si evince
una povertà piccoloborghese che riflette su casi spiccioli e situazioni ormai completamente
datate: la vecchia del quarantenne o l’ambizione a sposarsi della zitella, ecc.

41
Tono piano e dimesso, medietà stilistica e contenutistica.
48
Quadro generale NOVECENTO

Il 1898 è l’anno della perdita delle ultime colonie dell’antico Impero Spagnolo, nato cinque
secoli prima, sconfitta che però è vittoria per quelle colonie che ottengono così la loro
indipendenza. La nuova colonizzazione dell’Africa settentrionale di certo non compensa
adeguatamente la perdita delle vecchie colonie. Sempre minore diventa la capacità dei
governi che si susseguono durante il regno di Alfonso XIII di affrontare i problemi crescenti,
come per esempio l’acutizzazione dei contrasti sociali, che nel 1909 raggiunge quasi
dimensioni da guerra civile durante la semana trágica de Barcelona. Va ricordato il brusco
aumento del ceto operaio, fenomeno che spinge una moltitudine di persone ad abbandonare
le arretrate campagne – ancora soffocate dal vassallaggio – per trasferirsi nei grandi centri
abitati. Negli anni Trenta l’unità nazionale viene minacciata da movimenti separatisti, dove
una borghesia forte e interessata a una modernizzazione rapita non si sente più rappresentata
dal governo centrale. Non partecipando alla prima guerra mondiale fa sì che la Spagna eviti le
ingenti spese di guerra affrontate dagli altri Stati europei, con un conseguente rafforzamento
della propria economia. Tuttavia, la situazione si aggrava quando Primo de Rivera,
incoraggiato dalla presa del potere di Mussolini in Italia e con l’accondiscendenza del re,
instaura una dittatura attraverso un colpo di stato, una dittatura che però non sarà nulla
rispetto a quella successiva di Franco che durò dal 1939 al 1975. Ad ogni modo, nel 1931 la
sinistra borghese e i socialisti stringono il patto di San Sebastián, col quale si pose fine alla
monarchia e si instaura una repubblica democratica che traghetta la Spagna verso la tanto
anelata modernizzazione. Tutti i cambiamenti in positivo registrati da questa seconda
repubblica inducono la destra a coalizzarsi con l’appoggio delle forze armate e della Chiesa.
Nascono così due movimenti di stampo fascista, e cioè le Juntas de Ofensiva Nacional-
Sindacalista e la Falange fondata dal figlio di Rivera. Sono anni in cui la destra e la sinistra
portano avanti un lungo botta e riposta, fin quando scoppia nel 1936 una guerra civile che
durerà circa tre anni. Da questa guerra i repubblicani escono sconfitti, ed è in questo contesto
che si impone la dittatura di Franco, durata quasi trentanove anni, la quale comporta il
ripristino delle condizioni preesistenti alla seconda repubblica: la riunificazione tra Stato e
Chiesa, il recupero di prestigio e di potere dei militari, la soppressione fisica, l’incarcerazione,
l’isolamento e l’intimidazione degli avversari. Franco evita alla Spagna di impegnarsi nella
seconda guerra mondiale. Negli anni Cinquanta, in tempi di guerra fredda, l’isolamento
internazionale consente al Paese di riprendersi dai disastri della guerra civile. Solo negli anni
Sessanta l’emigrazione, insieme alla parallela crescita del turismo straniero in Spagna,
contribuisce a far uscire il Paese dall’isolamento culturale voluto dal regime, minando così la
compattezza ideologica del corpo sociale e riattivando l’opposizione organizzata della
sinistra. Il pluralismo politico è una realtà di fatto negli anni Settanta, ma è necessaria la morte
di affinché il primo esponente della ripristinata monarchia, Juan Carlos di Borbone, nomini un
governo di transizione che attui le riforme necessarie a permettere il ritorno della democrazia.

Nei primi anni del Novecento, è evidente il ritardo culturale, scientifico e tecnico della Spagna
nei confronti delle grandi potenze del momento. Nel 1900 su 18 milioni di abitanti
l’analfabetismo raggiunge oltre il 60% della popolazione. È dunque evidente che l’educazione
viene presentata come il problema più impellente. Parecchi intellettuali ritengono che la
Spagna debba essere salvata mediante interventi mirati nei principali settori sociali, economici
e giuridici. Da una parte il modello immediato della modernità è l’estero, ma al contempo ci si
convince del fatto che, affinché avvenga una svolta ideologica decisiva, il Paese debba ritrovare
se stesso recuperando un’identità perduta. Il cambiamento parte cercando le radici della crisi nel

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passato, attraverso la riflessione storica, che coinvolge la storia letteraria e filosofica. Inoltre,
viene sviscerato il rapporto diretto tra la terra e lo spirito degli spagnoli: è così che l’intera Spagna,
e in particolar modo la Castiglia, viene riscoperta dai letterati con uno spirito inedito, specie
da quelli provenienti dalle regioni periferiche della penisola. La riscoperta dell’identità
nazionale diventa conseguentemente il pretesto per una riscoperta dell’identità personale.
Saranno proprio i novantottisti ad incentrare la loro poetica su questa riscoperta dell’identità
nazionale.

1) Miguel de Unamuno: I suoi saggi, intitolati EN TORNO AL CASTICISMO e LA CRISIS


DEL PATRIOTISMO, propongono da un lato l’apertura all’Europa e alla modernità, e
dall’altra un’analisi approfondita del popolo spagnolo, considerandone le vicende profonde
dell’agire quotidiano in relazione alla storia collettiva e ufficiale. Nell’opera VIDA DE DON
QUIJOTE Y SANCHO, l’autore riscrive la vicenda cervantina rendendo il protagonista il
simbolo ideale dell’anima spagnola, colui che vive lottando contro un destino spesso e
volentieri avverso. Per Unamuno l’anima della comunità iberica è visibile nel paesaggio,
oggetto di contemplazione che dà luogo a sollecitazioni spirituali, secondo la visione
romantica del paesaggio come stato d’animo.
2) José Martínez Ruiz (Azorín): Come Unamuno, anche Azorín vuole esplorare l’anima del
paesaggio nazionale e delle località minori, con l’intento di cogliere la grandezza del banale e
delle piccole cose, sintomo della vita profonda che si cela nell’umiltà del quotidiano. Nelle
opere ESPAÑA e CASTILLA emerge chiaramente il suo “spirito del 98”, che l’autore avrebbe
esteso anche ad altri colleghi.
3) José Ortega: Anche i primi libri di Ortega si riferiscono al problema nazionale, ma lo fanno
da una prospettiva meno passionale. Secondo Ortega, il fondamento dei mali della Spagna è il
ruolo preponderante che ricoprono le masse inerti. Ortega presenta il ceto intellettuale come
l’unica possibilità di costruire una élite capace di influenzare profondamente la vita della
nazione.
4) Manuel Azaña: Politico e presidente della seconda repubblica spagnola, Azaña crede
fortemente nel fatto che i valori della democrazia possano salvare le sorti della Spagna: egli si
batte nei suoi scritti per la modernizzazione delle strutture di base, a partire dall’educazione,
la concessione dell’autonomia alle regioni meritevoli, la secolarizzazione42 dello Stato e la
risoluzione di problemi impellenti come la disoccupazione e la riforma agraria.
5) Ramón Menéndez Pidal: La questione dell’identità nazionale viene affrontata da Pidal con
rigore scientifico. Con lui la storiografia spagnola entra decisamente nella sua fase moderna.
Pidal studia le origini della lingua (MANUAL ELEMENTAL DE GRAMÁTICA HISTÓRICA
ESPAÑOLA), osservando la tendenza delle forme popolari ad affermarsi nella lingua dotta e
dimostrando che la storia linguistica e quella generale camminano insieme e si chiariscono a
vicenda. Pubblica inoltre edizioni critiche della letteratura medievale spagnola, in particolare
quella del Cantar de Mio Cid.

Il termine “modernismo” non si riferisce ai caratteri specifici posseduti dalle opere d’arte di
un certo periodo, ma suggerisce soprattutto una rottura col passato. In particolare esprime la
volontà di liberazione dai vecchi sistemi, dalle vecchie morali, dai vecchi pregiudizi, dalla
vecchia accettazione fiduciosa dello status quo. Per i suoi propugnatori, il passaggio dal
vecchio al nuovo deve essere drastico, deve nascere da una rottura, una rottura con ciò che ha
prodotto soprattutto l’Ottocento, e cioè il positivismo e il realismo.

42
Fenomeno per il quale la società si allontana da schemi, usi e costumi tradizionali, nonché da posizioni
dogmatiche e aprioristiche
50
Se il positivismo aveva tradito le aspettative di pace e di benessere generale, il realismo non
appariva più in grado di rappresentare il mondo di fronte alla sua perdita di sicurezze. La
realtà non era affatto solida come si pensava, né si prestava a una rappresentazione univoca.
Per questo motivo, gli scrittori modernisti cercano di riflettere la frammentazione, la natura
problematica di una realtà priva di parametri saldi, come pure una diversa consapevolezza
del tempo. La diffusione delle teorie della psicanalisi e di altre scuole psicologiche introduce
nuove prospettive nella visione della coscienza umana, inducendo i narratori a mutare le
descrizioni del comportamento dei personaggi e a riflettere sui limiti dell’io. Il modernismo,
dunque, non può essere un movimento unitario proprio per la sua natura estremamente
composita, sicché uno stesso scrittore può dedicarsi a sperimentare più linguaggi e generi
forgiando così uno stile che può mutare infinite volte nel corso del tempo. Per queste ragioni,
nel modernismo non c’è uno stile preciso individuabile, né ci sono scuole.

I modernisti: Juan Ramón Jiménez

Jiménez ha dedicato interamente la sua vita alla poesia. In gioventù si è lasciato influenzare
dal decadentismo. Le poesie di questi anni sono caratterizzate da tonalità intimiste e scelgono
l’anima come interlocutore privilegiato e come sede dell’essere autentico. Sempre in questi
anni si avvicina al simbolismo, elaborando un lessico riccamente allegorico e scegliendo la
natura come oggetto prediletto dei suoi componimenti,
I SONETOS ESPIRITUALES segnano un primo mutamento di rotta rispetto ai toni
malinconici delle poesie precedenti, e stavolta è l’amore ad avere la centralità assoluta.
La svolta decisamente innovatrice avviene in DIARIO DE UN POETA Y MAR, raccolta nella
quale scarseggiano – a differenza dei componimenti passati – gli aggettivi sensoriali, mentre
invece è possibile riscontrare il verso libero, segno di un affrancamento dalla misura e che si
traduce in dominio della poesia, e non il contrario. La novità più profonda di questi
componimenti è la riscoperta del proprio io, una riscoperta riassunta da simboli specifici, e
cioè l’anima, il cielo e il mare: il poeta si lascia alle spalle il cielo di Spagna, la sua infanzia,
andando incontro alla terraferma del nuovo mondo43, connessa all’amore della donna che
attende al di là della mutevole incertezza delle onde.
Il disaccordo totale con tutta la sua poetica passata avviene in ETERNIDADES, ritenuta
eccessivamente pregna di simboli. Protagonista di questi componimenti è il “nome esatto
delle cose”, vale a dire l’esigenza del poeta di ritrovare la precisa essenza – riversata nella
parola – in ogni cosa, precisazione che comporta ormai l’abbandono della vaghezza degli anni
passati e il primato concettuale. In questa e nelle raccolte successive, la parola è caricata di
significati così profondi da spingere chi le legga ad andare oltre le sue apparenze per capire il
senso ultimo del componimento.

43
Riferimento reale agli Stati Uniti verso cui si è diretto in un momento specifico della sua vita
51
I modernisti: Antonio Machado

A differenza di suo fratello Manuel, Antonio frequenta poco gli ambienti bohémien madrileni,
ma conosce Unamuno, Jiménez e Valle-Inclán. Le sue prime pubblicazioni sono articoli per il
giornale LA CARICATURA. Le sue prime poesie vengono pubblicate su riviste moderniste.
Durante un soggiorno a Parigi – il secondo, per essere precisi – incontra Rubén Darío: è
l’inizio di una lunga amicizia. Alla fine di quello stesso anno – il 1902 – esce SOLEDADES.
Nella vita si è dedicato anche all’insegnamento del francese in alcune province spagnole e
riprende gli studi di filosofia laureandosi a 42 anni. Politicamente parlando, negli anni Venti
Machado riunisce attorno a sé un gruppo di giovani poeti organizzando la Liga Provincial de
los derechos del hombre per promuovere il senso della responsabilità civica. Quando verrà
proclamata la repubblica nel 1931, Machado collabora attivamente alla politica culturale del
governo. Allo scoppio della guerra civile, partecipa alla causa repubblicana con la sua poesia
militante e con la sua presenza. Tuttavia, sarà costretto a un certo punto ad andare via in esilio
con la famiglia a causa dei nazionalisti vittoriosi. Morirà infatti in Francia.
I componimenti racchiusi nelle SOLEDADES (1902 / 1907), soprattutto in quelli della prima
versione, registrano una forte impronta modernista rubendariana. In seguito, si delinea
sempre di più uno stile molto più personale, intimista, cosa che ci viene suggerita dal titolo
stesso della raccolta. Il vagare perenne del poeta senza mai raggiungere un preciso traguardo
è da un lato espressione del trascorrere del tempo, e dall’altro timore di arrestarsi,
preoccupazione della finitezza e del nulla. L’orizzonte che si staglia di fronte al poeta, che
dialoga con se stesso circondato dai fantasmi del passato, è incerto. In SOLEDADES ci sono
immagini tipiche dell’epoca, associate abitualmente alla nozione di decadentismo, come i
giardini abbandonati, i vecchi parchi, le fontane; tutto appare velato da una tonalità che sa di
malinconia, di nostalgia e di delusione. Queste immagini riflettono in molti casi lo stato
d’animo del poeta: esse rappresentano la vecchiaia, il tempo, la morte, l’angoscia e la
solitudine da parte, mentre dall’altra sono un vivace campionario di sensazioni. Lo scopo di
Machado è quello di fissare nell’immagine da lui prescelta la singolarità di un momento
specifico, la sua essenza più profonda. Da questi componimenti emerge il concetto di tempo
come qualcosa di fugace, e ciò spinge l’autore a provare una continua ansia verso il divenire
delle cose, verso il non poter far altro che lasciarsi trasportare dalla corrente della vita morte.
Per questo motivo la poesia è così importante: il suo potere eternante rende atemporali gli
istanti brevissimi della nostra esistenza.
Durante l’arco della sua vita, Machado utilizzerà spesso vari eteronimi44, mediante i quali
l’autore cerca di accentuare il processo di esplorazione della propria identità e arrivando alla
conclusione secondo cui l’essere non è omogeneo, bensì infinitamente scisso. Uno di questi è
Juan de Mairena45, e cioè il Machado degli ultimi anni della sua vita. Juan de Mairena è in

44
Opera letteraria o scientifica pubblicata con un nome diverso da quello dell'autore.
45
L’omonima opera è una raccolta di sentenze, dialoghi e memorie attribuiti a quest’uomo che discepolo di un
certo Abel Martín, che altri non è che un altro eteronimo di Machado.
52
contrasto col ruolo di guida spirituale della nazione attribuito all’élite intellettuale. E così,
l’intellettuale getta la spugna, rinunciando alla pretesa di educare “i più”, poiché il suo unico
interesse è l’uomo. Di questi e altri argomenti si dibatte all’interno dell’opera omonima, che
vede come protagonista Juan de Mairena che parla agli allievi di un corso di ginnastica, nei
quali cerca di instillare l’amore per la verità, una verità che è però sempre provvisoria. In
questo dialogo proposto agli allievi, Machado adotta la chiarezza colloquiale rifuggendo lo
stile ermetico e astratto delle opere precedenti. Inoltre, procede a una revisione critica degli
stereotipi e dei pregiudizi, stimolando l’esercizio dell’intelligenza e dell’autocritica, che è la
base per un rinnovamento morale autentico centrato sulla dignità dell’uomo.

I modernisti: Miguel de Unamuno

Educato secondo i rigidi princìpi cattolici in un ambiente – quello di Bilbao – dominato dalla
borghesia emergente, studia lettere e filosofia a Madrid. La sua prima formazione filosofica è
di stampo positivista, manifestando soprattutto grazie alla conoscenza di Spencer la fiducia
nell’idea di progresso. Amico del socialista Pablo Iglesias, Unamuno scrive articoli per il
partito del quale è membro per un biennio, senza tuttavia abbandonare le teorie per
l’anarchismo teorico. Nel 1897 viene colto da una crisi spirituale, le cui angosce – legate in
particolare al pensiero della morte e alla tentazione del suicidio – vengono annotate su
quaderni che saranno pubblicati postumi con il titolo di DIARIO ÍNTIMO. Da quel momento
Unamuno respingerà ogni rigidità ideologica ed eviterà qualsiasi presa di posizione univoca.
Per il suo atteggiamento fortemente critico contro la dittatura di Primo de Rivera e contro il re,
nel 1924 Unamuno viene inviato al confino nelle Canarie, ma l’autore deciderà di andare
volontariamente in esilio prima a Parigi e poi a Hendaye. Caduta la dittatura, torna in Spagna
nel 1930. Deluso dalla politica del governo, contraria al suo senso della democrazia, Unamuno
è a favore dell’insurrezione militare, convinto che questa potrà correggere le distorsioni della
repubblica. In seguito protesta, in presenza di Franco, contro la brutale violenza del regime
fascista, cosa che gli causerà gli arresti domiciliari.
In virtù di tale carattere, Unamuno è stato all’epoca considerato uno scrittore scomodo,
incarnazione perfetta dello spirito più eterodosso e anticonformista del modernismo
spagnolo. Fin dall’ultimo decennio dell’Ottocento l’attenzione dei suoi contemporanei si
concentra soprattutto sulla sua produzione saggistica ma Unamuno ha sempre amato
considerarsi un poeta, un creatore in versi e in prosa. E proprio come poeta, nel senso stretto
della parola, Unamuno non disdegna la satira e la polemica, ma rivela in larga parte dei suoi
componimenti una vena intimistica che ha come riferimenti i libri dei grandi poeti del
romanticismo, capaci di una sintesi tra pensiero e sentimento: Leopardi, Wordsworth o
Browning. Autore camaleontico, Unamuno sperimenta di continuo forme e linguaggi. La
consapevolezza di Unamuno dell’importanza del linguaggio affiora di continuo nei suoi
scritti, specie nei componimenti poetici: il gioco ingegnoso, a volte concettistico, delle parole,
costituisce un modo di riflettere sul problema dell’espressione e sul potere creativo della

53
parola poetica. Secondo il poeta, deve esistere un’interazione continua fra forme espressive
utilizzate e contenuti: solo in questo modo emergerà uno stile assolutamente personale che
evidenzierà tutta la spontaneità soggettiva dell’autore, nonché gli infiniti volti della sua
personalità.
Un elemento ricorrente nelle sue opere è l’io individuale, dilaniato da continui conflitti e in
lotta per la sopravvivenza. Poiché ragione e fede non possono camminare di pari passo, il suo
concetto della fede è assai particolare: il poeta è consapevole del fatto che gli esseri umani
devono vivere senza aspettarsi alcun aldilà; dunque, per combattere l’angoscia di non poter
prolungare la propria esistenza all’infinito, bisogna vivere tentando di affermare a tutti i costi la nostra
presenza su questa terra fintantoché si è nel seno della finitezza. Ne deriva un’irrequietudine
spirituale che se da un lato scuote lo stesso Unamuno, dall’altro vuole scuotere – e irritare –
anche il lettore, strappandolo all’inerzia passiva e costringendolo ad occuparsi dei problemi
fondamentali dell’uomo.
La sua preoccupazione per i problemi dell’interiorità esistenziale trova nella narrativa uno
strumento di riflessione meno diretto e insieme più complesso. PAZ EN LA GUERRA, titolo
che rivela l’influenza di Tolstoj nella concezione della storia, è un libro che ricostruisce
accuratamente la seconda guerra carlista congiunta ai ricordi della propria infanzia
(Unamuno aveva solo dieci anni quando i carlisti bombardarono la sua Bilbao). Con ciò
l’autore vuole gettare luce sulla intrahistoria, e cioè quella storia interpretata dall’umile e
anonima gente che ricoprì ruoli secondari, gente che però è parte integrante, se non
addirittura fondamentale, della cosiddetta Storia maggiore o ufficiale.
Parlando più approfonditamente di prosa, la differenziazione dei modi narrativi ottocenteschi
viene sottolineata da Unamuno nella teoria della nivola, neologismo che, storpiando la parola
novela46, intende sovvertire gli schemi cui il pubblico era abituato e instillare nel suo lettore
inedite capacità interpretative. Una nivola è di certo il suo romanzo NIEBLA. Il protagonista,
Augusto Pérez, è immerso nella nebbia della non esistenza spirituale fino a quando il caso lo
fa imbattere in un amore che è destinato alla delusione. In una storia ricca di pause e
digressioni, Augusto discute spesso della vita e dell’amore con un amico, oppure con un cane,
l’interlocutore dei suoi monodiálogos. L’insuccesso del suo progetto di riempire con un amore a
caso il vuoto della propria vita mediocre provoca in Augusto l’angoscia esistenziale; per la
prima volta la vitalità si manifesta in lui ma sarà mortifera in quanto non riuscirà a
sopportarla. Il colpo di scena arriva quando Augusto fa visita al suo stesso autore-creatore,
Unamuno, recandosi presso il suo studio di Salamanca e supplicandolo di lasciarlo vivere
ancora, dal momento che la sua esistenza, per quanto vuota e dolorosa, è per lui
irrinunciabile. Da dio del suo romanzo, l’autore rifiuta di mutare l’esito che aveva previsto per
il suo personaggio. Tuttavia, Augusto instilla nel suo onnipotente creatore il dubbio che la vita
“reale” dello scrittore sia, a sua volta, una finzione, il sogno di un altro creatore che potrebbe
porvi fine a proprio piacimento, e annuncia che nonostante la decisione del suo creatore, egli
continuerà a insistere, in base al suo libero arbitrio, sul diritto di sopravvivere e di porre
volontariamente fine alla propria esistenza.

46
Ulteriore definizione: La nivola è un genere letterario ideato da Miguel de Unamuno. Il termine "nivola" appare
per la prima volta come descrizione per il romanzo Nebbia dello stesso Unamuno. Il genere fu creato per
evidenziare la distanza dell'autore dal realismo presente nei romanzi della fine del XIX secolo. Con la creazione di
questo genere letterario, Unamuno si concentrò particolarmente sull'evoluzione e sullo sviluppo psicologico dei
vari personaggi, contrapponendosi al narratore onnisciente in terza persona presente nel realismo. L'idea quindi
è preponderante rispetto alla forma, e in alcuni romanzi di questo genere la distinzione tra autore e personaggi è
spesso labile, tanto da scomparire talvolta (come in Nebbia).
54
I modernisti: José Martínez Ruiz (“Azorín”)

Durante il corso della sua vita, l’autore si dedica soprattutto a battaglie politiche, con articoli e
libelli di stampo anarchico, e a battaglie letterarie, mostrando un atteggiamento fortemente
polemico. Abbandonate le stravaganze giovanili che fanno parte di uno stile di vita bohémien,
José Martínez Ruiz decide di cambiare vita, e questo cambiamento coincide con l’adozione
dello pseudonimo “Azorín”, lo stesso nome che aveva dato al protagonista di un ciclo
narrativo, quasi a sottolineare l’intreccio tra vita e realtà. La chiave della narrativa di Azorín
risiede nell’assenza di trama. Così come nella vita “reale” non esiste una trama, anche il
romanzo deve riflettere questo dato di fatto, mettendo dunque in scena tutta la
frammentarietà della realtà, tutto il suo essere multiforme e talvolta contraddittoria47.
Nei saggi sulla letteratura spagnola, Azorín ci tiene a trasmettere ai suoi lettori il proprio
concetto della lettura come esperienza vitale, o quantomeno di instillare in loro una nuova
sensibilità letteraria. La propensione al saggio incide sulla scrittura di Azorín anche quando
pratica altri generi, più palesemente nei romanzi affini alla critica letteraria (TOMÁS RUEDA,
DON JUAN, DOÑA INÉS). Da questi romanzi emergono svariati elementi che evidenziano
l’adesione all’estetica avanguardista di Azorín, quali gli sdoppiamenti cronologici e spaziali e
l’essenzialità della prosa e del linguaggio.

I modernisti: Pío Baroja

Dovendo seguire i continui spostamenti del padre ingegnere, Baroja conosce sin da
giovanissimo regioni e località che ricompariranno nei suoi romanzi, soprattutto nell’esteso
ciclo intitolato MEMORIAS DE UN HOMBRE DE ACCIÓN. Per quanto abbia esercitato la
professione di medico e abbia lavorato in seguito in una panetteria, la maggior parte della vita
di Baroja è stata dedicata alla letteratura. Uomo solitario e pieno di insicurezze, la vita gli

47
A differenza invece dei romanzi realisti che la rappresentavano come simmetrica, rigida, raccontandoci punto
per punto opere e miracoli del protagonista.
55
appariva come un continuo caos dove erano i forti a dettare legge. Non è dunque un caso che i
personaggi barojiani siano dei disadattati che si oppongono all’ambiente e alla società nella
quale vivono senza tuttavia possedere l’energia sufficiente per portare a termine la loro
battaglia; per questo motivo sono tutti destinati alla frustrazione e alla sconfitta. Ognuno di
essi arriva amaramente a constatare che la vita ha in serbo per loro solo bocconi amari.
Come Unamuno, Baroja pretendeva di scrivere le sue opere narrative affidandosi al caso,
senza un progetto e senza badare alla struttura compositiva. L’autore, di fatti, difende il
romanzo aperto, specie nei confronti di tutte le possibilità della vita e del pensiero,
pretendendo l’assoluta libertà d’invenzione. Quello che conta in un romanziere è la
profondità dei sentimenti, l’immaginazione e la capacità di osservare la vita. Alla sua visione
del mondo come un insieme disorganico e casuale, Baroja risponde con una forma disgregata
e multiforme del romanzo, costituita da un ritmo incalzante delle azioni e da rapidi
cambiamenti di scenario. A tutto ciò si aggiunge un lessico non libresco che produce l’effetto
della spontaneità.
Le opere di Baroja che meglio rappresentano le inquietudini della modernità sono CAMINO
DE PERFECCIÓN e EL ÁRBOL DE LA CIENCIA. Nel primo, l’inquieto protagonista Ossorio
intende percorrere un cammino che lo condurrà alla pace interiore mediante la mistica. Egli
trova, tuttavia, la salvezza non nell’ascesa spirituale, bensì nel matrimonio. Il secondo si
incentra sulle vicende di un certo Andrés Hurtado, giovane madrileno di buona famiglia
borghese, nonché studente di medicina che decide di diventare, per un senso di responsabilità
nei confronti del popolo, un medico di campagna. Tuttavia, a causa delle delusioni che questa
esperienza gli darà, comincia a concepire un forte ribrezzo nei confronti del popolo. Per
questo motivo torna a Madrid e si sposa, trovando la felicità nella sua nuova vita ma,
sconvolto per la morte per parto di sua moglie e per la dipartita del fratello, si uccide, come a
conferma del fatto che è sistematicamente impossibile vivere in un mondo dominato dalla
crudeltà.
La critica delle condizioni della Spagna agli inizi del secolo è ancora più evidente nella trilogia
intitolata LA LUCHA POR LA VIDA. Questa è la storia di Manuel Alcázar, un povero
diseredato di provincia che tenta di trovare la sua strada in una Madrid sordida e oramai
putrefatta. Nonostante la sua innata inerzia, Manuel tenta di assicurarsi una condizione
stabile che ponga fine all’altalena tra disoccupazione, accompagnata da episodi di
delinquenza e lavoro rispettabile.

56
IL TEATRO
Nel primo Novecento lo sviluppo del teatro in Spagna differisce da quello degli altri generi
letterari. Solo i professionisti sanno bene quali sono i generi in voga e di cosa il pubblico
dell’epoca ha davvero bisogno: quest’ultimo, infatti, chiede apertamente di essere intrattenuto
con spettacoli prevalentemente comici, come farse, parodie, vaudeville di breve estensione che
compongono il cosiddetto género chico, nel quale la musica occupa sicuramente un ruolo
importante. C’è da dire, però, che al pubblico borghese – che ha maggiori pretese – vanno
bene anche le emozioni drammatiche, purché non risultino “scomode”.
Uno dei problemi principali che registra il teatro di questi anni è il rifiuto della modernità che
avanza: molti addetti rifiutano l’elettricità, i riflettori e ogni sperimentazione scenografica; si
accontentano perciò dei soliti fondali di carta dipinta, delle luci piatte di proscenio, che
costringono gli attori a una mimica esagerata, di macchinari elementari, non molto diversi da
quelli della comedia del Siglo de oro.
Una delle innovazioni che questo teatro registra, invece, è la presenza più massiccia del ceto
operaio: in queste opere non è necessariamente richiesta la qualità letteraria, in quanto ciò che
conta davvero è la rappresentazione del conflitto tra vecchio e nuovo, tra libertà e convenzioni
sociali. Il problema che incontra questa drammaturgia è che dichiaratamente ideologica, per
cui non sempre incontra i gusti di quel pubblico borghese che preferiva un teatro più
d’intrattenimento.

Jacinto Benavente

È un dato di fatto che Benavente sia il dominatore dei palcoscenici riservati al pubblico
borghese dei primi anni del Novecento. Nonostante la vocazione per il teatro sin da bambino,
inizialmente studiò diritto. Fu la morte del padre che lo spinse a troncare gli studi per
dedicarsi, dopo molte esperienze anche all’estero come attore e impresario teatrale, al teatro e
all’attività letteraria.
I primi drammi messi in scena si basano sul conflitto tra norma etica e trasgressione,
caratteristico della società borghese di Madrid. La novità determinante rispetto alla prassi
teatrale vigente è però l’abolizione dell’artificiosità da tutti gli elementi della rappresentazione
teatrale, dalla parola alle situazioni sceniche. I personaggi sono ora dei normali borghesi che
intessono dialoghi da salotto con toni convenientemente misurati. Nonostante venga ancora
dato spazio all’ambiente dei ricchi e degli aristocratici, Benavente ci tiene a sottolineare
quanto questo sia slegato dai tempi ormai cambiati, evidenziando l’incapacità di costoro di
accettare l’inizio della loro fine, immobilizzati nella loro ipocrisia. Si capisce che
l’impostazione di questo teatro – dove è molto ridotto il ruolo dell’azione per dare spazio,

57
invece, ai moti interiori dei personaggi – trova un pubblico desideroso di riconoscere se stesso
e le proprie consuetudini, preoccupazioni e pregiudizi in ciò che viene inscenato.
Con la sua lunga attività e con l’ampiezza del suo corpus (più di 150 titoli), Benavente
riassume in maniera esemplare le tendenze che si affermano nel teatro spagnolo del primo
Novecento. L’autore fa sì che opera teatrale e realtà coincidano, e ciò avviene mediante la
critica sociale, tralasciando il verso declaratorio a favore della prosa, sostituendo formule
asettiche con la sua esperienza, il melodramma con la commedia; inoltre, contrappone alla
retorica d’effetto un dialogo naturale, ai personaggi di epoche distanti quelli della borghesia,
preferisce a scene forzate situazioni quotidiane. La novità del suo teatro, che esprime anche
tendenze in atto nella narrativa moderna, come la messa in disparte dell’azione a favore
dell’indagine psicologica, diventa una ricetta vincente, per lui e per gli altri scrittori che
vogliono rivolgersi al pubblico che Benavente ha educato.

Ramón del Valle-Inclán

Le biografie a lui dedicate presentano Valle-Inclán come un artista geniale, stravagante e


incline alla provocazione. Lo stesso autore contribuì a creare questa impressione, poiché se da
un lato evitò sistematicamente ogni confidenza su se stesso, dall’altro, come parecchi artisti
dell’epoca, volle darsi un aspetto singolare e inconfondibile, al limite del grottesco. Valle-
Inclán si professa carlista, e quindi sostenitore della fazione più conservatrice dei monarchici.
Forte è il suo rifiuto verso la società industriale, così come forte è l’idealizzazione di un
passato mitico nel quale non esistono tutte le insopportabili contraddizioni del presente.
Pubblicato per la prima volta nella rivista ESPAÑA col sottotitolo “Esperpento”, LUCES DE
BOHEMIA viene pubblicato come libro nel 1924, con l’aggiunta di tre scene che ne accrescono
l’aspetto critico. Esperpento, denominazione che sfrutta i sensi di “ridicolo”, “strano”,
“assurdo”, è il nuovo personalissimo genere che fonde tragico e grottesco. Secondo l’autore,
l’esperpento è l’unica modalità vòlta a descrivere, mediante l’uso della caricatura, il sentimento
tragico della vita spagnola. L’opera è anche una satira dell’ambiente nel quale Valle-Inclán
aveva iniziato la sua carriera.

IL SAGGIO
José Ortega y Gasset è stato un importante critico dei primi del Novecento. Dopo aver
studiato lettere e filosofia a Madrid ed essersi specializzato in Germania, decide di ritornare in
madrepatria. Al suo rientro, entra in polemica con intellettuali come Unamuno, in difesa

58
dell’europeizzazione della Spagna e della necessità di apprendere le conoscenze scientifiche
degli altri paesi.
Nel 1923 fonda la cosmopolita REVISTA DE OCCIDENTE, prestigiosissimo organo
dell’aggiornamento culturale spagnolo, sul quale presenta opere significative
dell’avanguardia europea e spagnola.
Nelle cronache di EL ESPECTADOR (1936-1934) suo stile elegante ma chiaro che conferisce
plasticità alle sue idee tenta di conquistare il lettore al pensiero filosofico, rendendolo più
accessibile e immediato. Sentimenti e pensieri, arte e filosofia, politica e storia, i viaggi
compiuti e i libri letti vengono offerti come guida ideologica ai giovani dell’epoca, visti come
il futuro dell’”anima spagnola”. I temi centrali della sua filosofia sono il prospettivismo e il
raziovitalismo.
Prospettivismo è un termine che è stato coniato da Teicmüller. Esso indica una dottrina
secondo cui il mondo, le cose e gli eventi possono essere analizzati da diversi punti di vista,
ognuno dei quali concorre a comprendere meglio la realtà col proprio limitato, relativo quanto
specifico e necessario apporto.
Il raziovitalismo è un orientamento filosofico. Il termine è formato dalle parole ragione e vita,
due concetti strettamente collegati. Secondo Ortega l'uomo non è un ente dotato di ragione,
ma un essere che deve usare la ragione per poter vivere. La vita è una situazione in cui ci
troviamo per forza, come naufraghi, e in cui bisogna agire se si vuole sopravvivere: questo è il
dramma di ciascuno di noi.

LA GENERAZIONE DEL 27
La possibilità di un rinnovamento nazionale coincise con la partecipazione attiva alla vita
politica dei migliori intellettuali dell’epoca aperti a modelli universali. Dunque, nel periodo
che va dalla sconfitta americana alla prima guerra mondiale si assiste in Spagna al prosperare
di un’intensa attività intellettuale, che tenta il superamento dei miti nazionali pur andando
incontro a svariate contraddizioni interne. In questo clima di cosmopolitismo culturale, viene
fondata nel 1907 la Junta para Ampliación de Estudio, un’istituzione incaricata di promuovere il
miglioramento degli studi superiori, incentivando il confronto tra i discenti e il gusto e le
conquiste europee. Gli intellettuali che presiedono a questa istituzione rifiutano lo spirito
pessimista delle generazioni precedenti, e sono interessati specialmente alla conquista di un
linguaggio autonomo, originale, costituito da elementi tradizionalistici e formule
modernissime, capace di rispondere pienamente a un’esigenza creativa sempre più pura. È un
periodo così intenso e produttivo per poesia e saggistica che si potrebbe addirittura parlare di
un nuovo Siglo de oro, oppure, Edad de Plata, per utilizzare la definizione di José Carlos Mainer.
Lo scoppio della guerra civile nel 1936 interrompe il corso di questo straordinario momento
letterario.

Negli anni Venti, dopo il fervore critico del 98 e il gruppo estetico del modernismo, si afferma
in Spagna un gruppo di poeti che formerà la cosiddetta Generazione del 27. Sulla
denominazione di generación, l’illustre poeta e critico de gruppo Dámaso Alonso ha affermato
che questa definizione voleva semplicemente riunire tutti quegli intellettuali che avevano
obiettivi o interessi comuni, senza dimenticare tuttavia ciò che li distingueva. Interessi che,
insieme alla riscoperta degli autori della tradizione classica (Góngora in particolare), indicano
un superamento e uno sviluppo della corrente simbolista, rivelando una viva attenzione per la
modernità e le nuove estetiche espresse dall’avanguardia europea. Costoro erano:

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- (José Moreno) Villa
- (Pedro) Salinas
- (Jorge) Guillén
- (Gerardo) Diego
- (Federico García) Lorca
- (Vicente) Aleixandre
- (Dámaso) Alonso
- (Emilio) Prados
- (Luis) Cernuda
- (Rafael) Alberti
- (Manuel) Altolaguirre

L’atteggiamento apparentemente disinteressato di molti esponenti della Generazione del 27


appare circoscritto agli inizi del primo ventennio, quando vigeva un forte spirito
individualistico che mirava all’originalità e all’affermazione personale. In seguito, dopo i
drammatici avvenimenti che colpiscono la società spagnola, matura una nuova coscienza
critica che spinge questi intellettuali ad interessarsi e a partecipare alla vita reale e politica del
paese, intervenendo a favore dei comuni ideali sociali.

Il già citato Dámaso Alonso ha motivato il nome di questo gruppo, il quale fa riferimento al
tricentenario della morte di Góngora (1627). La ricorrenza è accolta con clamore dai membri di
questo gruppo ed è favorita dallo spirito di apertura e rinnovamento che contrassegna
l’ambiente culturale spagnolo degli anni Venti, ambiente nel quale si avverte l’urgenza di un
cambiamento nei confronti di una cultura nazionale da tempo atrofizzata.

I membri di questo gruppo sono affiatati, si incontrano, si frequentano con assiduità,


partecipano a incontri letterari, atti pubblici, banchetti, omaggi gongorini. Erano dunque
poeti, intellettuali o acculturati che realizzarono un lavoro sistematico di esplorazione della
lirica spagnola del Siglo de oro, compatibilmente al loro desiderio di novità e alla loro positiva
curiosità per tutto ciò che avveniva fuori dai confini spagnoli. Tale caratteristica aperta al
cosmopolitismo europeo e mondiale dipende molto dall’ambiente culturale in cui si sono
formati48 e alle relazioni umane che hanno intrecciato nel corso della loro vita.

Quando si parla della Generazione del 27, non bisogna trascurare l’importanza esercitata
dall’ANTOLOGIA di Gerardo Diego (uscita nel 1932 e poi in edizione completa nel 1934),
opera che riunisce i testi di diciassette autori, dodici dei quali appartenenti per l’appunto al
gruppo poetico del 27. Occorre dire che l’opera detiene un carattere prettamente collettivo, nel
senso che ogni testo è stato accuratamente scelto e approvato dagli stessi autori per far sì che,
complessivamente, rispecchiasse un certo tipo di gusto e un certo tipo di contenuti. Di fatti, i
vari rappresentati condividono unanimemente l’intenzione di superare il gusto modernista
affermando lo spirito individualista. Tuttavia non vanno trascurate le divergenze interne al
gruppo: le diversità sono tali che, anche quando gli autori condividono alcuni temi o alcuni

48
Basti pensare all’opera riformatrice di Giner de los Ríos (pedagogo e scrittore spagnolo noto per essere stato
tra i primi fondatori della Institución Libre de Enseñanza), indicando nella Residencia de Estudiantes un centro
moderno di studio, nonché palestra permanente di libero pensiero e luogo ideale d’incontro di numerosi poeti e
scrittori del primo Novecento. Negli anni Venti diventa addirittura residenza abituale di alcuni dei membri del
gruppo. Uno di questi, Villa, ha proprio ricordato nel suo libro di memorie il clima ludico e creativo che si
respirava nella loro amata “Resi”.
60
modelli letterari, rivelano comunque molteplicità di interessi, di registri e toni personali che
fanno emergere la loro individualità rispetto all’ideologia collettiva del gruppo.

Ad ogni modo, i risultati emersi dalla lettura dei loro componimenti indicano i principali
orientamenti estetici della Generazione del 27, sospesi fra tradizione e modernità,
contrassegnati da tendenze che possono essere così elencate:
- ammirazione per Góngora e la metafora gongorina;
- poesia pura
- neopopularismo e tradizione colta;
- avanguardia e surrealismo;
- poesia umana e impegno ideologico

Per ciò che concerne l’omaggio a Góngora, l’ispirazione al poeta cordovano si evince dall’uso
abbondante della metafora e dell’aggettivazione, oltre alla ricchezza e alla varietà delle forme
metriche utilizzate, molte delle quali risalgono alle origini (in particolare il romance).

Per quanto riguarda la tendenza verso la poesia pura, questa viene definita – utilizzando le
parole di Salinas – “un’avventura verso l’assoluto”, una poesia elegante che predilige il verso
breve e che è perseguita dalle riviste sostenitrici di un’arte raffinata ed elitaria. Questa
tendenza è pura evasione, piacere estetico, classicismo e neoclassicismo, astrattismo
d’avanguardia. Il suo rigore e la precisa geometria interna implicano una certa distanza dalle
rielaborazioni popolari dei Cancioneros o della poesia colta tradizionale.

L’adesione di alcuni autori del 27 – per esempio Aleixandre, García Lorca, Alberti, Cernuda,
ecc. – alle idee avanguardiste (i cosiddetti ismos: ultraismo49, creazionismo50, surrealismo) ha
aperto un dibattito non ancora risolto, anche per la resistenza degli stessi protagonisti a
riconoscere la loro appartenenza a questa o a quella corrente.

Gli autori del 27: Gerardo Diego

49
Termine di lingua spagnola, è il nome assunto da un movimento letterario nato nella Spagna del 1918 che
ebbe come intenzione dichiarata quella di opporsi al modernismo, che aveva invece dominato nella produzione
poetica spagnola sin dalla fine del XIX secolo.
50
Il creazionismo pretende di fare della poesia uno strumento di creazione assoluta. La poesia trova il suo
significato in se stessa. Così, l'oggetto in sé è la poesia, non ciò che essa tratta.
61
Tra i protagonisti delle vita letteraria, impegnati nella rivalutazione di Góngora, come anche
nella diffusione delle nuove estetiche mediante la creazione di riviste specializzate, Diego è
senza dubbio l’autore più significativo di questo periodo. Nella formazione culturale di Diego,
fondamentale è l’educazione musicale ricevuta (e dunque lo studio del pianoforte). La
conoscenza approfondita della struttura spazio-temporale della musica spiega la sua
assimilazione dei valori plastico-cubisti, espressi dal movimento creazionista. Da un lato è
quindi cultore della tradizione classica, dall’altro delle tendenze moderne, fungendo dunque
da punto d’unione tra passato e presente, tra tradizione e novità.
In molte delle sue opere, l’autore tenta di riunire l’esperienza ultraista a quella creazionista. In
queste opere, il poeta elabora un’immagine indipendente usando un nuovo concetto di spazio
tipografico (presenza di spazi bianchi, eliminazione della punteggiatura, delle pause e delle
rotture del verso), come se il suo scopo fosse andare alla ricerca di un assoluto lirico mediante
una costante ricerca della perfezione.
L’invenzione di rime inedite rivela un modo originale di pensare e organizzare le immagini;
gli accostamenti che crea, spesso e volentieri, si basano puramente sul semplice richiamo
acustico. Non c’è dunque un legame logico tra molti termini che l’autore accosta, quasi come
se volesse affermare una nuova sintassi in cui le immagini scelte, liberate dal peso del loro
significato, cercassero di produrre effetti inediti basati puramente sulla forma (l’accostamento
di due termini che non hanno nulla in comune, ma che vengono associati in virtù della rima
che creano; la disposizione “grafico-visiva” dei termini, e quindi lo sconvolgimento dello
spazio tipografico classico, per seguire un ideale plastico-pittorico proprio del cubismo).

Accanto a quella d’avanguardia, Diego presenta una produzione parallela che egli chiama
“poesia relativa”, basata sulla realtà umana e sentimentale, dove sono evidenti i richiami alla
tradizione letteraria, specialmente a livello formale, ravvisabili nell’uso di moduli classici e
popolari, come il sonetto o il romance, e in genere le varie forme precedentemente utilizzate e
presenti nell’opera di Jiménez, Machado e Unamuno. Ciò non gli impedisce, tuttavia, di dare
vita a combinazioni originali, in un tentativo continuo di ricerca e sperimentazione tecnica.
Motivi sentimentali e spunti paesaggistici, accanto a temi minori, offrono l’occasione per
un’ampia e variegata produzione.

62
Gli autori del 27: Dámaso Alonso

Oltre ai suoi studi su Góngora, fondamentali sono anche quelli su Garcilaso, Quevedo, Lope
de Vega, Fray Luis de León, San Juan de la Cruz, e dei poeti moderni, tra cui molti compagni
di generazione. Le sue numerose opere filologiche costituiscono un caposaldo della filologia
spagnola in virtù della loro alta qualità e della loro serietà scientifica.

Per ciò che concerne la sua produzione poetica, non è abbondante e si limita a quattro libri,
usciti a grande intervallo di tempo l’uno dall’altro, in un arco che copre più di sessant’anni.
Quasi tutta la poesia alonsiana si fonda sull’idea centrale di un mondo privo di certezze
assolute e destinato al caos e al nulla. Ciò determina un sentimento di profonda angoscia e
lacerazione, sentimento che dà vita a una “poesia sradicata” secondo la definizione che
l’autore stesso le diede.

Gli autori del 27: Pedro Salinas

Salinas incarna alla perfezione il modello del poeta-professore, conoscitore profondo della
letteratura spagnola ed europea, impegnato nel campo della critica e dell’attività universitaria
come in quello della poesia, romanzo e teatro. Dopo aver insegnato in Francia e in Inghilterra,
Salinas viene invitato dal Wellesley College negli Stati Uniti; è qui che il poeta abbandona
definitivamente la Spagna, ormai alla vigilia della guerra civile, per non farvi più ritorno. Di
fatti, esule volontario, morirà a Boston.

L’iter biografico di Salinas mostra dunque due tappe principali, separate dallo spartiacque
della guerra civile: la prima, fino al 1935, vissuta in Spagna e in Europa; la seconda in
America. L’opera poetica, invece, si articola in tre momenti distinti e complementari:
63
- dal 1923 al 1931 vengono pubblicate le raccolte PRESAGIOS, SEGURO AZAR,
FÁBULA Y SIGNO;
- dal 1933 al 1938 vengono pubblicate opere di maggior successo come LA VOZ A TI
DEBIDA, RAZÓN DE AMOR, LARGO LAMENTO;
- dagli anni Quaranta in poi, le opere prevalenti sono EL CONTEMPLADO, TODO
MÁS CLARO Y OTRO POEMAS e CONFIANZA.

La prima produzione poetica forma un trittico unitario che segna un distacco dalla
produzione coeva nazionale. Salinas porta alle estreme conseguenze il processo di
sublimazione e astrazione della realtà, scindendola in due parti, l’anima e il corpo. La
tendenza a privare la realtà del suo peso specifico conferisce alla parola un particolare
spessore e in generale traduce in immagini interiori ciò che viene prelevato dal mondo
circostante.

In PRESAGIOS si sentono gli echi di grandi autori come Bécquer, Machado, e più
concretamente di Jiménez, il quale cura la pubblicazione del libro e ne scrive il prologo.
All’interno dell’opera si possono già intuire quelli che saranno i grandi temi della poesia
successiva: la dialettica dell’amore, l’incombere del nulla e del mistero, il presentimento di
un’irrealtà celata dietro gli oggetti effimeri e domestici.
Anche il secondo libro, SEGURO AZAR, aspira a colmare il vuoto dell’astratto con figure
prelevate dallo spettacolo della vita moderna. In pratica, Salinas spoglia gradualmente di
concretezza le immagini che osserva dalla realtà urbana. Le cose, gli oggetti sono lì sulla
pagina unicamente per essere negati: sono il pretesto per denunciare l’assenza della persona
amata raggiungibile solo mediante il sogno e la fantasia.
Con FÁBULA Y SIGNO il poeta guarda al mondo della macchina e della vita moderna,
attingendo con disinvoltura al vocabolario dei movimenti d’avanguardia.

Con la pubblicazione della raccolta LA VOZ A TI DEBIDA, cui seguono le già citate della sua
seconda fase, il tema d’amore irrompe prepotentemente nella poesia di Salinas. Ciò che vuole
Salinas è convertire la sua esperienza individuale in una favola collettiva, senza cadere nel
simbolo.

Nell’ultima fase poetica di Salinas, ad esempio ne EL CONTEMPLADO, si verifica un cambio


di tema e di direzione giacché è ora il mare a essere il referente privilegiato della
contemplazione. Nelle ultime opere, inoltre, si evince una maggiore volontà di partecipazione
alla realtà sociale da parte del poeta. La città è vista come simbolo dell’angoscia e
dell’alienazione umana, così come le moderne conquiste realizzate dal progresso tecnico
vengono viste con sospetto.

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Gli autori del 27: Jorge Guillén

Guillén trascorre lunghi periodi all’estero in qualità di lettore e professore presso le principali
università europee e americane. Allo scoppio della guerra civile sceglie la vita dell’esilio,
rifugiandosi prima negli Stati Uniti e poi in Italia. Tornerà in Spagna solo dopo la morte di
Franco e terminerà dunque i suoi giorni in patria.
Le sue opere più rappresentative sono CÁNTICO, CLAMOR e HOMENAJE.
CÁNTICO, nel riassumere la totalità di un’esperienza poetica, costituisce la testimonianza più
alta dell’esaltazione dell’uomo laico di fronte al creato e alla natura. Rigore, classicismo,
perfezione formale alimentano la parola del poeta, ma anche fede ed entusiasmo dinanzi allo
spettacolo armonioso della bellezza e della vita. Malgrado le critiche mosse da alcuni amici
nei riguardi della sua poesia, accusata di intellettualismo, Guillén continua a proporre una
misura semplice e rigorosa, frutto di maestria formale, accompagnata da una grande fede nei
valori della vita, sia reali che trascendentali. CÁNTICO è dunque la celebrazione
dell’esistenza e della bellezza del creato; il poeta canta l’uomo, l’amore, il sentimento del
tempo, il paesaggio con le sue geometrie spaziali e le stagioni. Tutta questa magnificenza
viene accolta con stupore, quasi fosse un continuo momento epifanico. Guillén contempla
l’universo e gioisce persino di quegli oggetti prelevati dal quotidiano che parrebbero anonimi
(una sedia, un tavolo, un bicchiere d’acqua); questi si impongono non per il loro valore
estetico ma in virtù della semplicità insita nella loro sostanza materica.

Se in quest’opera gli oggetti vengono celebrati ed elevati a categorie astratte, in CLAMOR i


temi preponderanti sono la città, la guerra, la dittatura, temi prima di questo momento inediti
nella poesia di Guillén.

In HOMENAJE si celebrano, invece, i momenti circostanziali dell’intimità personale e


amorosa, insieme ai sentimenti di fratellanza e sofferenza umana.

65
Gli autori del 27: Federico García Lorca

Inizialmente, il grande talento di Lorca si manifesta oralmente, sulla scia della migliore
tradizione giullaresca: il poeta legge, recita, interpreta i suoi versi e le sue pièce teatrali
davanti agli amici e agli studenti dell’università, facendo conoscere le sue opere prima ancora
che siano raccolte e stampate. Tutto questo fervore è sempre stato controbilanciato da
un’enorme autodisciplina: giorno dopo giorno il giovane Lorca sottoponeva la sua opera a un
continuo processo di revisione, correzione, servendosi dei consigli degli amici ai quali
comunicava i propri progetti e sottoponeva la lettura delle sue composizioni.
La sua enorme sensibilità emerge sin dalle prime opere; basti pensare alla raccolta di prose
IMPRESIONES Y PAISAJES, risultato di un’escursione in Castiglia e Andalusia, che fornisce
al giovane poeta l’occasione per un viaggio arricchente, un’esperienza che gli consentirà di
riflettere in maniera diversa sulla vita, religione, arte e poesia.
Nel LIBRO DE POEMAS Lorca dialoga con il paesaggio e gli animali, accogliendo nei suoi
versi inquietudini che affiorano sotto forma di nostalgie, trepidi vagheggiamenti, giovanili
abbandoni, angosce che diventano laceranti, fino a culminare in domande esistenziali.
La raccolta POEMA DEL CANTE JONDO attinge direttamente ai motivi del mondo
andaluso, in particolare all’espressione musicale e alle modalità del cante jondo. Il libro traduce
poeticamente motivi e significati connessi all’espressività di questo canto primitivo, un canto
che manifesta tutto il dolore ancestrale del popolo spagnolo. Essendo per l’appunto un canto, i
versi poetici di Lorca, quando declamati in pubblico, vengono accompagnati dalle note
malinconiche della chitarra che rompe il silenzio delle pause.
ROMANCERO GITANO segna il successo popolare di Lorca, che illustra il lato più
complesso, fragile e doloroso del mondo andaluso. Protagonisti indiscussi sono i gitani: fieri e
indomiti all’apparenza, Lorca empatizza fortemente con la loro sofferenza e ribellione, con
quel primitivismo innocente che contraddistingue le loro esistenze. Come accadrà per la
comunità nera di Harlem in America, Lorca mostra di avere simpatia per chi vive al margine
della società e a diretto contatto con la natura.
Il libro POETA EN NUEVA YORK, frutto dell’esperienza americana, costituisce un
superamento della precedente poetica, che si arricchisce ora di violente e ardite immagini
surrealiste, cariche di una grande forza espressiva, in cui la visione della città americana
restituisce una realtà lacerata e attraversata da profondi contrasti sociali. Le liriche che
compongono quest’opera fanno riferimento a due diverse situazioni psicologiche maturate nel
corso di questa stagione. Innanzitutto il sentimento di protesta contro la metropoli e la civiltà
moderna, dominata dal dollaro e dalla macchina, nei quali Lorca indentifica il simbolo
dell’angoscia e dell’alienazione umana. Il mondo della comunità nera e dei quartieri poveri di
Harlem con gli alcolizzati, gli omosessuali, gli alienati – tutto ciò che esprime dolore e
costituisce anormalità – attrae l’attenzione del poeta, istintivamente portato a solidarizzare
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con loro. L’altro momento del libro è rappresentato dal gruppo delle composizioni nate
durante il soggiorno nel Vermont, e improntate a un sentimento di aperta confessione, di
nostalgia e tristezza, nel ricordo del tempo passato e della felicità perduta.
Il tema della sofferenza viene replicato anche in LLANTO POR IGNACIO SÁNCHEZ,
composto in seguito alla perdita dell’amico torero caduto nell’arena: uomo colto e raffinato,
compagno generoso di molti poeti del gruppo generazionale, autore egli stesso di testi teatrali.
Non vanno dimenticati, in conclusione, gli undici SONETOS DEL AMOR OSCURO, i quali
costituiscono il documento per eccellenza della passione privata, che trova nell’elaborazione
classica del sonetto la veste ideale per la sua rappresentazione.

L’opera teatrale lorchiana, specie quella relativa all’ultima stagione comprendente la trilogia
drammatica BODAS DE SANGRE, YERMA, LA CASA DE BERNARDA ALBA, non fa che
approfondire e allargare il suo personale concetto di dolore e sofferenza, estendendolo a
dimensione universale. I personaggi muovono tutti da un’analoga condizione dolorosa,
denunciano una medesima inquietudine, tentano di ribellarsi agli stessi pregiudizi, alle
vecchie leggi e tradizioni. Per esempio, proprio nella trilogia drammatica succitata, i
personaggi femminili lottano e si ribellano contro un mondo fatto di convenzioni e ipocrisie
che dominano la vita; la loro unica alternativa allo squallore e alla vita spirituale è la
disperazione e la morte.

Gli autori del 27: Luis Cernuda

Grazie a Salinas, Cernuda viene iniziato in gioventù alla lettura dei poeti moderni francesi. A
causa dell’ostilità provata dalla comunità sivigliana nei confronti della sua omosessualità,
Cernuda si trasferisce nella capitale. Per quanto il soggiorno madrileno sia breve, tante
saranno le esperienze che lo segneranno, e tra queste si annoverano anche le amicizie
letterarie che influenzeranno la sua scrittura. Quando andò a vivere in Francia si avvicinò al
surrealismo, del quale condivise la ribellione contro la morale borghese. Abbandonata
l’esperienza surrealista, e influenzato dall’opera becqueriana, Cernuda si dedica a motivi
romantici. Sempre in questo periodo, l’autore matura un forte sentimento di nostalgia verso
un mondo primigenio e pagano, del tutto lontano da quello attuale contraddistinto da
un’inevitabile tragicità. Al termine della guerra civile, Cernuda si rifugia in Inghilterra, negli
Stati Uniti e infine in Messico, luogo che sceglie come paria adottiva e dove terminerà i suoi
giorni.
Nel libro giovanile PERFIL DEL AIRE, influenzato da Bécquer, si può cogliere il sentimento
di nostalgia nei confronti di un “paradiso perduto” d’innocenza e amore.

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Negli anni Trenta nella poesia di Cernuda fa ingresso la tematica della guerra e dell’esilio,
unitamente al motivo della patria sconvolta dall’aggressione e dalla violenza franchista. LAS
NUBES è il libro che segna il passaggio alla fase contemplativa della giovinezza alla visione
tragica della maturità, in connessione con la figa del poeta dalla Spagna.
Durante l’esilio inglese Cernuda inizia a comporre i poemi in prosa OCNOS, un libro che
tenta di esorcizzare la desolata realtà personale mediante l’invocazione di un eden che
riconduce al mondo incontaminato dell’infanzia e dell’adolescenza sivigliana.
La raccolta VIVIR SIN ESTAR VIVIENDO, cominciata in Inghilterra e conclusa negli Stati
Uniti, documenta il momento della crisi esistenziale cui allude lo stesso titolo. Il poeta afferma
di star vivendo un momento di generale apatia che lo allontana da ogni interesse della vita
reale; fortunatamente viene a salvarlo la forza rigenerante dell’amore, nato da un’ultima,
appassionata avventura sentimentale.
Nella grandiosa opera finale, DESOLACIÓN DE LA QUIMERA, Cernuda ripercorre con
sincerità e ironia i temi a lui peculiari: l’amore, la giovinezza rappresentata dalla figura
dell’adolescente, la solitudine e la morte. Permane l’atteggiamento di denuncia e condanna
contro le convenzioni sociali e non manca la critica e la satira mordace contro certi personaggi
pubblici o amici letterati.

Gli autori del 27: Rafael Alberti

Nonostante sembri che Alberti sia inizialmente interessato all’arte, negli anni Venti inizia a
comporre un gruppo di poesie, rimaste a lungo inedite, che gli faranno ottenere in seguito il
Premio nacional de literatura. Come gli altri componenti del 27, anche Alberti celebra l’estro di
Góngora, a cui rende omaggio con CAL Y CANTO. Nello stesso periodo compone SOBRE
LOS ÁNGELES, una delle opere più originali del surrealismo spagnolo. Con la caduta della
monarchia e la proclamazione della repubblica, ha inizio una nuova fase segnata
dall’impegno politico e numerosi viaggi all’estero: in Russia, in Francia, in Argentina e in
Italia.
Alberti definì i suoi POEMA ANTERIORES A MARINERO EN TIERRA la sua “preistoria
poetica”, in quanto documentano l’iniziazione letteraria dell’autore – interessato fino ad allora
alla pittura. La raccolta, basata sull’uso di forme popolari derivate dalla tradizione colta,
rievoca l’esperienza trascorsa nella baia di Cadice. In queste liriche il giovane poeta ricorda
con nostalgia il mare azzurro dell’infanzia e dell’innocenza da cui è stato strappato per vivere
invece nella capitale.
Col già citato CAL Y CANTO, raccolta di sonetti con una sintassi e un’architettura gongorina,
Alberti documenta il passaggio dal manierismo musicale e cancioneril del trittico lirico
all’esplosione onirica e irrazionale tipica di SOBRE LOS ÁNGELES, utilizzando un linguaggio
barocco e al contempo d’avanguardia che imita le immagini cinetiche del fotogramma e il
lessico cinematografico. Fanno il loro ingresso le figure celesti ed enigmatiche degli angeli,
simboli del complesso stato d’animo dell’autore scosso da una violenta crisi interiore. Questa
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crisi si accentua in SERMONES Y MORADAS, specie in concomitanza col precipitare della
situazione sociale del suo Paese. Gli angeli che adesso popolano queste liriche sono figure
terribili e vendicative che traducono la drammatica lotta interiore vissuta dal poeta.
L’adesione al mondo della realtà sociale è sancita dalla pubblicazione della lirica CON LOS
ZAPATOS PUESTOS TENGO QUE MORIR. La composizione può essere considerata il
manifesto della nuova tappa poetica, segnata dalla partecipazione di Alberti all’ideologia di
sinistra. Tema di questa lirica e di quelle dagli stessi toni politici è il senso di ingiustizia
sperimentato da operai e contadini che soffrono il peso di un periodo storico che gli rema
contro. Il libro di apre con le parole del manifesto comunista, e prosegue ripudiando le
vecchie forme del classicismo e della poesia aristocratica a vantaggio di una nuova concezione
dell’arte, intesa come partecipazione e impegno sociale.
Con lo scoppio della guerra civile e la lotta militare contro l’esercito franchista, Alberti diventa
il cantore ufficiale dell’elegía cívica, come avviene col gruppo delle ventiquattro liriche che
compongono MADRID, CAPITAL DE LA GLORIA, esempio perfetto di poesia impegnata
che sottolinea la partecipazione e la militanza politica del poeta. Da questo momento in poi,
comincia per Alberti la lunga stagione dell’esilio in Argentina.

Gli autori del 27: Vicente Aleixandre

A causa di una malattia renale che lo colpì sin dalla prima giovinezza, Aleixandre condusse
una vita tranquilla e appartata, segnata da lunghi periodi di convalescenza e riposo. Pur
avendo studiato diritto ed economia, Aleixandre sarà iniziato alla letteratura da Dámaso
Alonso, che lo avvia all’opera di Rubén Darío. L’isolamento a cui lo costringono le sue
patologie fisiche lo spingono ad approfondire i classici e i contemporanei. Negli anni Venti,
sulla REVISTA DE OCCIDENTE appaiono così le sue prime liriche, che segnano l’ingresso
dell’autore nel gruppo generazionale. A causa della salute cagionevole, Aleixandre non prese
parte ai drammatici eventi della guerra civile, ma collabora comunque alla rivista
rivoluzionaria HORA DE ESPAÑA.
Depositario della grande lezione gongorina e aperto alle innovazioni surrealiste, Aleixandre
svolge un ruolo importante di mediazione fra le diverse scuole poetiche degli ultimi
cinquant’anni della vita culturale spagnola, mantenendo sempre saldo un dialogo continuo
fra gli amici intellettuali nella diaspora politica e, al contempo, mantenendo vivo il legame con
le nuove generazioni di scrittori operanti nella scena nazionale.
In ÁMBITO, il suo primo libro di poesie, emergono già quelli che saranno i temi fondamentali
della poesia alexaindrina: la volontà di rottura dei limiti fisici, il desiderio di identificazione
dell’io con la natura, il panteismo erotico, la vastità delle forze cosmiche e siderali. Tuttavia, se
questa prima raccolta appare un prodotto legato agli schemi letterari dell’epoca, la raccolta di
poemi in prosa PASIÓN DE LA TIERRA manifesta una violenta rottura col passato e l’inizio
di una nuova fase creativa, straordinariamente feconda di risultati e vissuta all’insegna
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dell’esperienza surrealista. Avventura umana nell’inconscio, questa raccolta inaugura un
linguaggio intessuto di simboli e metafore che inseguono un indecifrabile vaneggiamento
onirico, tipico della scrittura automatica. Le immagini utilizzate sono stranianti e corrosive
allo stesso tempo, in quanto fondono elementi del banale e del quotidiano con altri dalla
carica grottesca e onirica.
Le stesse tematiche e le stesse formule stilistiche, seppur con accenti più contenuti, vengono
riprese nella raccolta ESPADAS COMO LABIOS. La parola poeta mostra tutto il suo
carattere metalinguistico e sperimentale. Come nella raccolta precedente, anche qui l’ironia e
la satira vengono utilizzate per ridicolizzare il modello consumistico del vivere moderno, a
favore di una riscoperta di ciò che lega l’uomo alle sue ancestrali origini. L’unione definitiva
con le forze primigenie della natura si compie nel libro LA DESTRUCCIÓN O EL AMOR. La
raccolta, la più importante dell’autore, è un inno alla vita elementare raggiunta mediante
l’atto amoroso: un’ascesa mistica che elimina ogni barriera fisica di sorta per ascendere a uno
stato di purezza originale.
Negli ÚLTIMOS POEMAS si affaccia per la prima volta l’immagine della vecchiaia e del
decadimento fisico. Il poeta canta con lucidità la situazione del vecchio che guarda alla
giovinezza trascorsa con malinconia, come all’unica vera vita vissuta.

LA GENERAZIONE DEL 36
Miguel Hernández

L’iniziazione di Hernández alla letteratura avviene mediante i classici, quali Góngora,


Quevedo, San Juan de la Cruz, Garcilaso. Lo scoppio della guerra civile lo vede prima
volontario nelle milizie popolari e quindi sul fronte antifascista. Terminato il conflitto, è
condannato alla pena capitale mutata poi in trent’anni di reclusione, che sconta passando da
un carcere all’altro fino alla morte, a soli trentadue anni.
Alcune fra le sue raccolte che vanno ricordate sono PERITO EN LUNAS, ispirato a quadretti
di vita campestre; QUIEN TE HA VISTO, opera nata all’insegna della tradizione
calderoniana e costituisce il momento più importante di penetrazione dell’ideale neocattolico;
EL RAYO QUE NO CESA si incentra invece sul quel sentimento d’amore ardente e
inappagato, scaturito dalla relazione che l’autore ha avuto con Josefina Manresa, una sartina
del suo paese.
Dopo il suo trasferimento a Madrid, Hernández abbandona l’ideologia cattolica e provinciale
per aderire al modello vitalistico e surreale proposto dagli amici intellettuali madrileni. Le
nuove composizioni a cui dà vita da adesso in poi hanno un’impronta marcatamente
surrealista nelle quali riversa le sue esperienze di pastore, di contadino, di uomo naturale e
spontaneo. Ciò dimostra che il surrealismo non è stato per Hernández una semplice lezione di
stile, bensì lezione di vita e conquista di libertà.

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Nella raccolta EL HOMBRE ACECHA viene composta verso la fine degli anni Trenta, quando
ormai lo spettacolo quotidiano delle distruzioni e del sangue aveva scavato un solco profondo
nello spirito di Hernández. Questi componimenti manifestano un’acuita coscienza per il
dramma umano e familiare del popolo spagnolo in cui il poeta, ora più che mai, vede
riflettersi il suo.
Il CANCIONERO Y ROMANCERO DE AUSENCIA, pubblicato postumo, raccoglie
composizioni completamente libere da tutte le influenze precedenti (classicismo,
neogongorismo, surrealismo, ecc.). L’opera è un insieme di tanti brevi e struggenti frammenti
di una realtà che sfuma e si perde continuamente; essi richiamano ed evocano la guerra, la
sconfitta militare, le privazioni e la prigione sofferta; o denunciano la morte del primo figlio,
la nascita del secondo, e così via.

IL ROMANZO: DALLA FINE DELLA GUERRA CIVILE ALLA


POSTMODERNITÀ
Camilo José Cela

Cela è nato nel 1926, premio Nobel per la letteratura nel 1989 ed è entrato nel Guinness dei
primati per la quantità di onorificenze ricevute.
Poco dopo la fine della guerra civile, Cela esordisce come scrittore pubblicando LA FAMILIA
DE PASCUAL DUARTE, opera formata da lettere che fungono quasi da materiale d’archivio
della famiglia protagonista. Questa storia truce e “antiesemplare” si riallaccia alla picaresca e
al Chisciotte: quella della pluralità delle fonti di una storia scomoda che esalta la componente
oscura della cultura spagnola. Dalla prigione, e in attesa della pena capitale, il protagonista
Pascual Duarte narra per iscritto la propria storia, che si concluderà prima della fine della
guerra civile. Da un punto di vista strutturale, il testo presenta una tessitura lacunosa,
scandita da riferimenti temporali non sempre facili da decifrare. La vicenda del protagonista
si deduce implicitamente dalle biografie dei suoi familiari: il pare manesco, la madre
alcolizzata, la sorella prostituta, il fratello minorato, la futura moglie che subisce lo stupro
come una prova di virilità. Quando viene ad interrompersi il tempo passato della storia per
essere sostituito da quello presente della scrittura, d’ora in poi la narrazione fluttuerà avanti e
indietro, accumulando materiali sempre più torbidi. Questo è un testo che aspira a simulare il
documento veridico, per cui è fondamentale il ruolo del cosiddetto trascrittore, il quale
affermerebbe di aver non solo purgato la confessione di Pascual di alcuni elementi fin troppo
scabrosi, ma di aver raccolto anche altre testimonianze che potessero completare i dati
mancanti della sua storia.
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Dopo una storia di campagna, l’opera intitolata PABELLÓN DE REPOSO è una storia
ambientata in città, mediante la quale Cela scava nella psicologia di alcuni malati di
tubercolosi che attendono la guarigione o la morte in un sanatorio.
Il terzo romanzo, NUEVAS ANDANZAS Y DESVENTURAS DE LAZARILLO DE
TORMES, rivisita il celebre capolavoro cinquecentesco, attingendo a temi e linguaggi
arcaizzanti. Il risultato è altamente artificioso e Cela stesso ammette di aver sfiorato il
pastiche51.
L’opera davvero di rottura è LA COLMENA: all’interno del romanzo, nella Madrid straziata
dalla guerra civile, oltre trecento personaggi esibiscono bisogni elementari, comportamenti
triviali, parlate comuni, da cui emerge uno stravolgimento dei tradizionali confini tra bene e
male. In una realtà dominata dalla necessità e dalla sopravvivenza, tutto è relativo, per cui
viene a mancare un sano equilibrio tra vizi e virtù. Ogni spaccato di vita affiora per brevi
istanti o per poche ore. Emerge così, come suggerisce il titolo, una funerea città alveare che
rimpicciolisce i suoi abitanti al ruolo di insetti inconsapevoli, preoccupati solo di soddisfare
ogni minimo bisogno materiale. Tutto succede per caso e a tale groviglio di esistenze si addice
un racconto spezzato, sospeso, una narrazione che sembra non avere un senso finale. Ecco che
il lettore, invano, cerca di collegare l’origine alla fine di tante vicende. Ma la grandezza del
romanzo è proprio questa: l’opera vuole somigliare alla vita vera al punto tale da far perdere
le tracce della sua stessa natura letteraria.

Miguel Delibes

Delibes, di Valladolid, è uno scrittore dalla personalità schiva, innamorato della sua terra
d’origine. La Spagna che predilige è infatti una regione antica, la Castiglia delle terre arse e
delle piccole città, dei contadini antiquati e dei borghesi provinciali: luoghi o persone poco o
nulla implicati nei cambiamenti tecnologico-scientifici del secolo scorso. In tutta la sua
vastissima produzione campeggia il sogno umanistico di un rapporto armonioso fra l’uomo e
la natura, in quanto Delibes si è sempre definito un feroce nemico della grande metropoli e di
ogni sua emulazione provinciale.
Alcune opere che vale la pena di menzionare sono LA HOJA ROJA, che presenta il mondo
della provincia dalla parte di un vecchio vedovo in pensione e della su giovane domestica
analfabeta. Sono gli esclusi della società del profitto, solidali l’uno con l’altra in quanto
accomunati da quella solitudine che non conosce alcuna differenza di classe. Trascurato dal
figlio che sta facendo carriera a Madrid, e consapevole di non aver molto altro tempo da
vivere, il padrone sposa la serva per garantirle il futuro.

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Opera letteraria, artistica o musicale in cui l'autore ha deliberatamente imitato lo stile di un altro o di altri
autori.
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Il romanzo CINCO HORAS CON MARIO presenta una veglia funebre paradossale. Mario,
un professore di letteratura di idee liberali, muore all’improvviso nel suo letto, e la moglie
Menchu, casalinga reazionaria, gli resta accanto la notte che precede il funerale. Malgrado la
donna ostenti con familiari e amici tutte le convenzioni tipiche del cordoglio, la vedova vive
quel lutto come un tradimento. Comincia perciò ad apostrofare il cadavere con una sfilza di
recriminazioni, in un discorso a senso unico che riesce a delineare tutta l’ipocrisia della società
del tempo a partire dalle origini.

Juan Goytisolo

Goytisolo è nato a Barcellona e trascorre la maggior parte della sua vita fra Marrakech e
Parigi. L’autore ha sempre avuto una forte avversione contro ogni forma di dogmatismo, sia
esso familiare o religioso, politico o culturale. Di idee filocomuniste e di estrazione borghese,
Goytisolo è convinto che il romanzo moderno debba essere parziale, ambiguo, relativista, per
cui uno stesso fatto può avere più di una versione. Secondo l’autore, il romanziere è un
osservatore di fenomeni pragmatici che non intende giudicare ma solo descrivere, per cui va
lasciato ai personaggi il compito di presentarsi da soli attraverso lunghe sequenze dialogiche.
Tuttavia, mettere in pratica tutto questo non è semplice, per cui la carica innovatrice di questo
nuovo tipo di romanzo risulta intrappolata fra la complessità degli intenti teorici e
l’inadeguatezza dei risultati testuali.
Nel 1956 l’autore decide di trasferirsi a Parigi, a quel tempo rifugio di molti spagnoli contrari
al regime di Franco e centro di vivaci dibattiti nel campo delle scienze umane. Questo
trasferimento è un drastico segno della sua sprovincializzazione. L’autore, da questo
momento, fonde nelle sue opere vita privata e la politica, con lo sguardo straniero di chi ha
solo punti di riferimento instabili e comincia a disconoscere le proprie origini. In quel periodo
di esilio volontario, il fatto che i suoi libri siano proibiti in Spagna gli appare più liberatorio
che penoso, un incentivo a disfarsi anche sul piano affettivo dell’ormai tanto odiata identità
spagnola. L’incontro a Parigi con un immigrato arabo di cui si innamorerà gli dischiude
contemporaneamente il mondo dell’amore omosessuale e della civiltà islamica. Da questo
momento in poi, l’autore rompe col passato e questa rottura emerge moltissimo dai romanzi
di quegli anni: in ogni opera Goytisolo cerca di fondere se stesso e ciò che scrive, l’artista e
l’opera.
Le tappe fondamentali della sua vita vengono raccontate in una trilogia che vede come
protagonista una sorta di alter ego dell’autore: Álvaro Mendiola. In questi tre libri si assiste
all’indagine sulle cause dell’esilio volontario di un catalano che vive a Parigi; la distruzione
dei valori della Spagna cattolica da parte della dittatura; l’Islam come modello di una nuova
esistenza, dopo una deludente rivisitazione della storia occidentale, finita con il rifiuto della
lingua castigliana. In virtù di tutte queste tematiche trattate, il confine tra realtà e finzione è
dissolto: mediante le evidenti intrusioni autobiografiche dell’autore, egli sottopone se stesso e
le sue esperienze personali a un rimescolamento di attributi, ruoli e fini.

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