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IL ROMANTICISMO

Partendo dal carme dei sepolcri di Foscolo, possiamo individuare alcuni elementi romantici,
tra cui la presenza di una poetica precisa, la poesia sepolcrale, del gusto lugubre che si era
diffuso in Inghilterra tra il 700 e l’800. Il romanticismo, infatti, si diffonde in Inghilterra, Francia
e Germania, partendo da radici diverse che alla fine si accomuneranno.
1. Inghilterra: gusto dell’ horror, il lugubre, il sepolcrale. I luoghi tipici del romanticismo
inglese sono, infatti, castelli abbandonati con sotterranei, luigi misteriosi, case in
campagna che non lasciano spazio alla serenità e paesaggi inquietanti con tombe
sparse per le città ed il gusto che prevale è quello pittoresco.
2. Germania: Sturm und Drang, movimento dell’Università di Jena, movimento delle
negatività. Negare tutto ciò che non è l’io, tutto ciò di estremo ed affermare l’io come
potenza, che deve affermare se stesso contro la natura. Lo sturmer è colui che cerca
di combattere la potenza e quando non ci riesce, si suicida. Il suicidio è, infatti,
un’affermazione di sé e non una fuga dalla realtà. Con la definizione della ragione
che, da sola, sconfigge l’ignoranza ed induce al progresso, il filosofo Kant da una
definizione della potenza dell’individuo. Tutto l’illuminismo ed il razionalismo di Kant
troverà una contrapposizione all'idealismo tedesco dei filosofi Hegel, Fichte e
Schelling. L’idealismo romantico, infatti, si finta sulla contrapposizione tra l’io ed il
non io e sul superamento di questa dialettica “io, non io”. Successivamente, Hegel,
cerca di trovare un superamento dello spirito, attraverso l’idea, riuscendo.
3. Francia: il romanticismo assume delle caratteristiche nazionali e sarà più legato alla
storia, a causa della rivoluzione francese, di Napoleone, il quale lascia l’idea di
libertà, patriottismo; nonostante fosse stato un dittatore, aveva gettato le basi del
codice civile e del liceo; aveva saputo raccogliere l’eredità dell’illuminismo e farlo
diventare nazionalismo francese. Il romanticismo quindi si afferma principalmente
come storicismo e gli intellettuali faranno discorsi più politici e storici, che filosofici.
CONTESTO STORICO
L’età napoleonica si conclude nel 1814 con la sconfitta a Waterloo ed il congresso di Vienna
(1814-1815) a cui parteciperanno Austria, Russia, Prussia ed Inghilterra ed altre delegazioni
di paesi. Tutti questi paesi avevano un obiettivo in comune ovvero quello di andare contro la
Francia. L’anno dopo, la Francia partecipa, perché le potenze si rendono conto che
isolandola avrebbero perso tutti. Con l’ingresso della Francia vengono definite le sanzioni.
Al congresso vengono sancite le due facce dell’Europa:
1. Paesi conservatori e tradizionalisti: Russia, Prussia ed Austria
2. Paese liberale: Inghilterra
Il congresso, inoltre, era fondato su due principi:
1. Politica dell’equilibrio: definisce le linee generali secondo cui tutti i paesi vincitori
devono controllare che la Francia non faccia più rivoluzioni; sancisce, inoltre, la
collaborazione tra Russia, Prussia ed Austria. Stiamo parlando della triplice alleanza
che solo in seguito verrà firmata dall’Inghilterra diventando quadruplice.
2. Principio di legittimità: la situazione europea doveva tornare a com’era prima della
rivoluzione francese. I sovrani legittimi che erano stati spodestati dovevano tornare
sul trono. In Italia, inoltre, vengono riconfermati gli Asburgo ed i Borbone.
Mentre Prussia, Russia ed Austria erano caratterizzate da un regime conservatorio e
concezione monarchica dello stato, l’Inghilterra aveva avuto una rivoluzione industriale e la
seconda era in procinto di iniziare. Nasce così la classe operaia, il concetto di lavoro e la
politica legata al capitalismo ed al socialismo.
L’Inghilterra firma l’alleanza perché altrimenti sarebbe uscita dalla diplomazia europea,
però con la consapevolezza che l’Europa avrebbe poi dovuto scegliere tra il liberalismo ed il
conservatorismo.
Il congresso di Vienna mette in piedi un’ideologia di regime perché dopo la rivoluzione
francese non si poteva ignorare tutto quello che era successo. L’America era poi considerata
l’emblema della libertà. Tutto ciò scatena il risorgimento, reazione e rivoluzione. Tutto quello
che il congresso di Vienna mette in atto, scatenerà una grande reazione a catena. In Europa
scoppieranno i moti risorgimentali, ovvero la risposta al congresso, in tre ondate:
1. 1820-21
2. 1830-31
3. 1848
Furono tutti fallimentari ad eccezione di quelli della Grecia e del Portogallo. La rivoluzione
era in nome della libertà e della patria, che fanno vita al concetto di Nazione ed identità
nazionale.
IL ROMANTICISMO ITALIANO
Il romanticismo italiano ha forti radici patriottiche , storiche e politiche ed è legato al
Risorgimento, proprio per la situazione politica opprimente dei tre governi: gli asburgo
(Lombardia, Veneto, Toscana); i borbone (Regno delle due Sicilie) e lo stato della chiesa;
l’unico stato indipendente era quello dei savoia (con cui si chiuderà l’unità d’italia).
Di conseguenza, gli intellettuali sono tutti artisti che risentono di questa oppressione. Le
società segrete, come quelle della carboneria, saranno formate da studenti universitari ed
intellettuali, così come molti intellettuali parteciperanno ai moti risorgimentali, che falliranno
per la mancata partecipazione popolare.
I moti del 20-21 tra Spagna e Napoli, falliranno completamente. Con la comparsa di
Giuseppe Mazzini, ci sarà la nascita della giovane Italia e fonderà anche un movimento in
cui sarà capo.
Anche i moti del 30-31 falliranno perché lo stesso Mazzini non comprende che finché c’è il
problema sociale della fame, il popolo non scende a combattere: la questione sociale viene
prima della questione politica.
I moti del 48, invece, saranno gli unici che riusciranno a scatenare qualche effetto positivo in
Europa, ma non in Italia, dove si dovrà aspettare il 1860 con l’unità d'Italia, che in realtà non
sarà mai veramente unita fino al 900, per la presenza di terre irredenti (non risorte), non
liberate dallo Stato della chiesa.
PIANO CULTURALE
I poeti ed i letterati romantici italiani si sentiranno molto vicini al romanticismo francese, con
cui c’è una corrispondenza politica perché la Francia era stata la patria della rivoluzione
francese dove la libertà non era stata soppiantata. In Francia Madame de Staël dà vita ad un
movimento che ha a che vedere con lo svecchiamento della letteratura: invita gli intellettuali
europei ad un nuovo tipo di letteratura, non più classica, ma moderna e libera. La letteratura
romantica, infatti, vuole essere libera, popolare, innovativa e soprattutto realista. Infatti gli
intellettuali ricercano una diffusione a livello popolare, nazionale delle opere d’arte: la cultura
diventa autentica solo se il popolo si può rispecchiarsi in essa; la lingua deve essere
flessibile e comprensibile a tutti. A differenza del romanticismo europeo, quello italiano non
può pensare alla filosofia, non essendo libera non poteva dare vita ad una letteratura ed a
un pensiero liberale, proprio a causa del risorgimento.
Nel Romanticismo italiano si possono individuare due linee di tendenza:
1. la linea oggettiva : contiene in sé generi precisi: il romanzo storico (i promessi
sposi) ed il racconto storico, tutto ciò che è una rappresentazione oggettiva della
realtà. Tutto questo sarà la prosa (anche se c’è una poesia oggettiva). I temi
ricorrenti sono: l’oppressione con i rapporto oppressione-oppressi, il potere,la
rivoluzione, la miseria. La narrazione deve essere oggettiva ed il narratore è
onnisciente. Si parte da un episodio passato che interessa tutti. Il romanzo storico si
evolve, poi, nel romanzo sociale che si evolve a sua volta in romanzo naturalista in
Francia e verista in Italia. Il romanzo naturalista cerca di fotografare la realtà come
un’immagine della natura, quindi tutto quello che viene narrato deve essere
scientificamente vero. Il romanzo verista è il romanzo più vero in assoluto; scompare
il narratore onnisciente e non si sa chi è l’autore. Il verismo porterà, infatti, ad una
vera e propria evoluzione della scrittura.
2. la linea soggettiva : è lirica, autobiografica, rappresentativa dei sentimenti
dell’anima. I temi sono il rapporto io-natura, l’affermazione di sé contro la potenza
della natura, l’ansia del limite e della mortalità, il concetto del desiderio,
l’irraggiungibilità della metà, della sofferenza e malinconia. I generi vanno dal
romanzo autobiografico ed epistolare, alla poesia e alla lirica individuale, dove il
soggetto diventa il centro della rappresentazione. Parte da Foscolo, per affermarsi
completamente con Leopardi, l’unico paragonabile a Dante e che riuscirà a superare
i confini del romanticismo italiano, essendo considerato universale. La poesia di
Leopardi si afferma come rivoluzionaria e darà vita ad una lirica non solo oggettiva,
ma libera dagli schemi.
ALESSANDRO MANZONI
Il contesto dei primi venti anni dell’800, oltre ad essere pre romantico è
contemporaneamente neoclassico e illuminista. Tre correnti che rientrano nella figura di
Manzoni, anche se la sua opera e la sua personalità sono diverse da Foscolo. Manzoni deve
un tributo altissimo all’opera di Foscolo e quella di Parini, infatti le radici della poetica
manzoniana sono illuministe. Un momento di antitesi è raggiunto quando, soprattutto dopo
la conversione nel 1810, Manzoni si definisce autore cattolico. Oltre le radici illuministe gioca
in manzoni il rapporto indiretto che lui ebbe dietro le quinte con il patriottismo italiano ed il
risorgimento.
VITA
Manzoni morì come senatore del regno d’Italia .Egli non era il figlio di Pietro Manzoni, ma di
Giovanni Verri e Giulia Beccaria ed era circondato da un Illuminismo puro. Pietro Manzoni
invece lo educò in una scuola tradizionale con un’educazione cattolica. Ci fu una svolta
quando, diventando grande, Manzoni vuole andare dalla madre a Parigi, dove viveva con il
conte Carlo Imbonati, che Manzoni non riesce a conoscere perché era morto qualche giorno
prima. Nonostante ciò Manzoni scrive l’ode “In Morte di Carlo Imbonati”, in cui lui immagina
di chiedere a Carlo Imbonati cosa deve fare uno scrittore per diventare grande. Continua ad
immaginare che Carlo gli risponde di non tradire mai il santo vero, ovvero la verità storica. A
Parigi viene introdotto dalla madre nel cerchio degli ideologi di cui facevano parte Claude
Flavier, Sophie de Compostie e Madame de Stael. Gli ideologi gli danno la concezione
storica dell’arte della letteratura: alla base della loro visione c’è l’Illuminismo e Manzoni,
quindi, diventa illuminista, ma il suo Illuminismo è fondato su un forte storicismo, sul
realismo e l’onestà intellettuale.
Giulia Beccaria combina il matrimonio tra Manzoni Enrichetta Blondel, ovvero la figlia del
conte Blondel. Questa famiglia, oltre ad essere ricca, era fortemente calvinista.
Prevale, quindi, una rigidità morale ed una visione estrema della vita e anche il senso del
lavoro. Infatti si sposarono con un rito calvinista. Nel 1810 c’è la sua conversione al
cattolicesimo intesa come una reale adesione al cattolicesimo perché Manzoni era già
cattolico. Secondo la tradizione nella notte delle nozze di Napoleone I con Maria Luisa
d’Austria, non trovando la moglie, va nella chiesa di San Rocco dove prega la grazia divina
di trovare sua moglie. All’uscita della chiesa, Manzoni ritrova sua moglie ed avviene la
conversione. Manzoni e la moglie affrontano questa conversione soprattutto perché nella
loro vita era entrato il vescovo Eustachio Degola, un giansenista fortemente cattolico.
Enrichetta si converte, la famiglia di lei si allontana ed i due si sposano con un rito cattolico e
da questo momento Manzoni si definisce un attore illuminista e cattolico.
Questi due termini sono opposti perché l’Illuminismo è ateo. Nonostante ciò Manzoni riesce
a fondere per la prima volta nelle sue opere l’Illuminismo ed il cattolicesimo e parla, quindi,
di un Illuminismo-Cristiano.
Dal momento della conversione inizia il quindicennio creativo di Manzoni che comincia con
gli inni sacri e lo porterà fino ai promessi sposi.
1. Inni Sacri : i primi sacri non sono profondi quanto la Pentecoste perché questa fu
scritta nel biennio del 1820 e 1822 quando Manzoni scrive anche l’Adelchi e inizia a
gettare le basi del romanzo e lode del 5 maggio.Manzoni dà vita ad una lirica
religiosa corale dove il protagonista e la coralità della preghiera, non l’io, per
trasferire il concetto della preghiera nella poesia
2. Le Odi : dopo aver scritto la prima ode, Manzoni la interrompe e inizia scrivere la
prima tragedia de “Il conte di Carmagnola”
「 Ricordiamo, inoltre, che Manzoni scrive generi diversi perché la sua concezione della
letteratura è multi prospettica: infatti non esiste il singolo genere, bensì più generi in cui lo
scrittore si deve cimentare. Manzoni scrive di tutto tra inni, odi, tragedie, romanzo e preso
dalle sue crisi scatenate dai sensi di colpa e lutti, inizia un’opera , la lascia, si dedica ad un
altro genere, e poi la riprende. Questo è sinonimo di irrequietezza interiore che lo porta a
voler dare sempre di più. Manzoni dando vita ai promessi sposi, romanzo fondamentale
italiano, stabilisce una lingua italiana comprensibile a tutti, un toscano comprensibile, perché
doveva essere eletto da tutti. 」
Il passaggio da inni sacri alle odi è quasi naturale perché Manzoni ha un legame con il
Risorgimento ed il patriottismo, per cui già i titoli delle odi ci suggeriscono il motivo della
scelta:
3. Marzo 1821 : moti del 1820 1821: elogio al Risorgimento e al sacrificio della patria,
nonostante i moti falliranno
4. 5 Maggio : nasce l’esigenza di raccontare il senso autentico della vita di Napoleone,
esiliato è morto sull’isola di Sant'Elena. Elogio completamente diverso dagli altri
rivolto a Napoleone perché quando questo muore, Manzoni non elogia le sue
avventure, bensì cerca di raccontare i suoi ultimi giorni di vita, immaginandolo da
solo mentre ripensa la sua vita e chiede a Cristo di essere perdonato e accolto.
Questa prospettiva è già morale e religiosa.
5. Le tragedie: il passaggio dalle odi alle tragedie è più complicato. Manzoni è attratto
dal genere tragico, ma si pone un problema che era già sorto con Tasso ovvero le tre
unità aristoteliche di azione, tempo e spazio. La tragedia è un genere che tende alla
sublimazione dei moti dell’anima e che presenta un singolo momento storico che
viene elevato, catarsi (rito di purificazione). Nella sua poetica Aristotele aveva detto
che la tragedia doveva essere divisa in cinque atti, doveva rispettare l’unità di tempo,
spazio e azione.
Se un episodio nella realtà durava cinque ore, deve essere rappresentato in cinque
ore ed il luogo deve essere lo stesso. Aristotele affermava anche che la tragedia
doveva per forza finire con la morte perché doveva avere un finale tragico.
Come Shakespeare si pose il problema rispettando solo l’unità di azione e non quella
di tempo e spazio, così fa Manzoni. Manzoni decide di scrivere le tragedie perché
quel genere elevato che gli dà la possibilità di partire da un evento storico passato
che ha visto il sacrificio di grandi uomini, permettendogli di rappresentare il vero
storico, che però non può esserci se non si rispettano le unità di tempo e di spazio.
Manzoni risolve questa problematica affermando che il vero storico è dato dall’unità
di azione e poi deve poter inventare, ricamare la storia, per rappresentare anche la
passione, i sentimenti, dati dalla nostra immaginazione. Manzoni fa coniugare il vero
storico con il vero poetico, ovvero quello che i personaggi potevano veramente
sentire in quel momento, o pensare. Inizialmente Manzoni fu criticato da Monsieur
Chauvet, con cui inizia uno scambio di lettere. In una di queste lettere, Manzoni
afferma che l’opera d’arte deve avere
1. l’utile per scopo
2. l’interessante per mezzo
3. il vero per soggetto
LE OPERE
I primi anni del quindicennio creativo di mansioni sono ancora caratterizzati dall’esplorazione
della scrittura e della letteratura volte a rappresentare il senso più vero della fede.
GLI INNI SACRI
Il progetto di manzoni era quello di comporre 12 inni per celebrare le festività più importanti
dell’anno liturgico, ma ne portò a termine solo 5, di cui i primi 4 verranno pubblicati molto
prima della pentecoste
Tra i primi quattro (La Resurrezione, Il Nome di Maria, Il Natale e La Passione) e la
Pentecoste c’è una grande differenza sul piano lirico. Scrivendo e celebrando le festività
attraverso gli inni, Manzoni vuole spronare il credente ad una fede autentica. I momenti di
cui scrive, inoltre, si rinnovano in eterno perché eterna è la fede cristiana che l’uomo deve al
Dio Cristiano. Si tratta di un progetto etico-pedagogico, in quanto Manzoni vuole svelare il
senso più autentico della fede, dimostrare che questa va coltivata e tutelata, ma soprattutto
va condivisa in una comunità corale, attraverso la preghiera.
Per la prima volta Manzoni eleverà i momenti più veri della storia cristiana (epica cristiana).
Per Manzoni la fede deve essere condivisa perché il valore della fede, l’incontro dell’uomo
con Dio, deve avvenire prima in una situazione di preghiera e meditazione individuale. Poi,
inoltre, è fondamentale che tutti i cristiani si riuniscono in uno spazio di accoglienza per
elevare un’unica voce corale al loro Dio.
Con gli inni sacri nasce per la prima volta una lirica epica, corale.
STRUTTURA INNI SACRI
La struttura è uguale per tutti gli inni
1. Parte iniziale : viene espresso il soggetto tematico dell’inno.
2. Parte seconda : si narra l’evento, come e quando è avvenuto.
3. Parte finale : l’evento viene elevato ad un momento eterno, si rinnova anno per anno
in eterno.
Nell’inno de “La pentecoste” è sempre presente la coralità lirica.
Manzoni non usa mai l’io, ma sempre il “noi”. La sintassi metrica è molto semplice e vicina al
popolo, non c’è l’endecasillabo perché Manzoni vuole renderla una poesia diretta e
popolare, una preghiera elevata da tutti, che possa rendere tutti gli uomini uguali.
Mentre negli altri inni usa l’ottonario o il decasillabo, nella Pentecoste, Manzoni, ricorre al
settenario con una sintassi ancora più semplice e molto incisiva. La pentecoste celebra uno
dei momenti in più importanti di tutta la storia del cristianesimo -> La discesa dello spirito
santo sugli apostoli 50 giorni dopo la resurrezione, emanando su di loro la luce della verità
cristiana, portandoli a capire che la loro missione era quella di diffondere il vangelo.
La scrittura è profondamente più matura e Manzoni ci lavorerà molto più tempo rispetto agli
altri.
Specchietto Manzoni
Quando si parla di Manzoni parliamo di cattolicesimo liberale derivante dalle due radici
illuministe che raccolse dopo l’incontro con gli ideologi in Francia: il
concetto dello storicismo.
La radice cattolica è data dalla sua formazione e dall'influenza che ebbe su di lui il
calvinismo, grazie alla moglie ed a Eustachio Degola, un giansenista.
Essendo queste sue radici opposte, Manzoni riesce a lavorare su entrambe
contemporaneamente rivedendo sul piano cristiano la sua concezione della storia.
La storia è un ciclo di eventi legati gli uni agli altri attraverso un sistema di causa-effetto, in
cui l’uomo è libero fino a quando deve arrendersi e non può decidere la scelta degli eventi,
fino a che l’uomo non riesce, con la ragione, a spiegarsi il senso delle cose ed ad agire
secondo questo. Quando non riesce a farlo, l’uomo si rifugia nella fede.
Il Dio di manzoni è un dio che salva dal dolore e accoglie tutti i credenti.
Per quanto riguarda la giustizia, c’è una differenza tra la prima opera ed il romanzo: fino
all’adelchi, il cattolicesimo liberale di manzoni afferma che dio è la nostra salvezza non sulla
terra, ma una volta morti (provvida sventura)
La provvidenza divina interviene senza però poter cambiare ciò che l’uomo fa, il male non
può sparire e agirà solo dopo la fine.
Nel romanzo, il cattolicesimo liberale assumerà una nuova piega: il Dio scenderà nella
storia, l’ideale diventa reale, la fede assicura la salvezza sulla terra. Questa concezione
cambia perché Manzoni si rese conto che solo grazie alla fede,che era intervenuta per lui,
era riuscito a sopravvivere a tutti i dolori della sua vita come ad esempio la morte della
moglie e dei figli. Inoltre, scrivendo un romanzo in cui i personaggi principali rappresentano
la massa, doveva dare al popolo la certezza che primo poi la fede premio.
LE ODI CIVILI
L’ode “5 Maggio” che Manzoni scrive dopo aver saputo della morte di Napoleone, si
inserisce in una poetica che è sullo stesso piano della Pentecoste. Questa è la concezione
della provvida sventura. Tuttavia, non si tratta di un inno a Napoleone per esaltare le sue
gesta, bensì vuole affrontare la morte dal punto di vista umano. Manzoni prova ad
immaginare quello che Napoleone avrebbe potuto pensare e dire addio: verosimiglianza.
Per la prima volta compare la provvidenza divina che accoglie la preghiera di Napoleone
subito prima di morire riconciliato con Dio.
LE TRAGEDIE
Con la pubblicazione de “Il Conte di Carmagnola” si scatenarono delle polemiche sulla sua
decisione di sacrificare l’unità di tempo e di spazio, e conservare solo quelle d’azione, di cui
rappresenta teatralmente solo un momento, mentre la storia è presentata dall’antefatto.
Tra le critiche c’è anche quella di Monsieur Chauvet a cui Manzoni scrive una lettera in cui
spiega la differenza tra il romanzesco e il romanzo: Manzoni dice che l’invenzione da sola
non serve a niente in quanto non insegna niente ed è quello che lui chiama romanzesco,
che dovrebbe essere eliminato.
Mentre in Inghilterra il romanzesco era esaltato e aveva un significato positivo, per Manzoni
ha un’accezione negativa: falso, inventato ed inutile. L’invenzione può servire solo per dare
supporto alla storia; laddove la storia non ci fornisce indicazioni sui sentimenti e pensieri dei
personaggi, subentra l’invenzione sulla base della storia.
Nella lettera che Manzoni scrive a Cesare d’Azeglio, si parla del romanzo. Durante la
scrittura dei promessi sposi, Manzoni era arrivato al punto di quasi di distruggere il romanzo,
assolto dei dubbi che gli dicevano di aver inventato tutte aver tradito il vero dato che i
promessi sposi rispondevano più romanzesco che il romanzo.
Nella lettera Manzoni dirà che la letteratura deve avere:
1. l’utile per scopo
2. il vero per il soggetto
3. l’interessante per mezzo.
Manzoni scrisse le due tragedie, “Il conte di Carmagnola” e “L’Adelchi” a una distanza di
tempo fondamentale: mentre la prima era un’opera ancora poco organica e scolastica,
nell’Adelchi Manzoni compie un salto di qualità, rientrando nel biennio più importante della
sua produzione insieme alla “Pentecoste” e il “5 Maggio” in cui esprime la presenza divina
nella storia solo sul piano dell’eternità: la provvida sventura.
Dio ci manda dolori in cui vediamo uno spiraglio di luce e di salvezza dato dalla provvidenza
che ci aiuta se abbiamo fede una volta morti.
Per scrivere le tragedie Manzoni si documentò sul soggetto delle opere. Nel caso
dell’Adelchi scrisse addirittura un saggio sulla discesa dei longobardi in Italia, la storia
longobarda: Manzoni parte dallo studio delle fonti:
1. Historia Longobardorum di Paolo Diacono
2. La questione longobarda : La chiesa ha fatto bene ad intervenire e chiamare i
franchi?
Ci sono due correnti di pensiero: secondo la prima la chiesa avrebbe fatto bene perché
altrimenti longobardi avrebbero conquistato tutta l’Italia, secondo la seconda la chiesa non
doveva intervenire perché se non l’avessero fatto e i longobardi avessero conquistato l’Italia,
questa sarebbe stata già unità.
L’ADELCHI
Il motivo per cui sceglie di rappresentare la storia dei longobardi, è perché Manzoni era
sempre stato interessato alla questione longobarda e al conflitto che aveva determinato la
sorte della storia italiana. Manzoni era d’accordo con il sodalizio dei franchi con la chiesa.
Inoltre scrive un saggio perché vuole dimostrare che non esiste opera d’arte che non debba
essere supportata anche dalla con documentazione storica .Infatti nei promessi sposi
documenta la storia nel romanzo stesso. Entrambe le tragedie rappresentano un conflitto il
cui tema è la ragion di Stato: il conflitto tra la sfera privata e il senso del dovere che prevale
sui sentimenti e le scelte affettive della sfera privata che deve essere sacrificata per salvare
lo Stato
Trama -> Desiderio, re longobardo, aveva fatto un patto con Carlo Magno dando in sposa la
figlia Ermengarda, in cambio della promessa di non oltrepassare il limite territoriale dello
Stato della chiesa. Desiderio trasgredisce il patto invadendo il territorio della chiesa e il Papa
chiede aiuto a Carlo Magno che scende in Italia ed è costretto a ripudiare Ermengarda la
quale si era innamorata del re e non riusciva a staccarsi dal dolore della perdita del suo
amore. Ermengarda si rifugia presso il convento delle sorelle, dove lei ancora non riusciva a
superare quel dolore che la porterà alla morte.
Stessa sorte di Ermengarda, sarà subita dal fratello Adelchi che, volendo la pace tra i due
popoli, cerca di far ragionare il padre, ma è costretto a scendere in campo a combattere
contro la sua volontà quando i duchi longobardi tradendo desiderio, passano dalla parte di
Carlo Magno, e morirà vittima della ragion di stato come la sorella. Quando Desiderio, fatto
prigioniero da Carlo, verrà a sapere che suo figlio sta per morire chiede di andare a salutare
il figlio, che gli dirà che sulla terra c’è spazio solo a quelli che o subiscono il torto o lo
infliggono, ma non c’è una terza possibilità: o oppressi oppressori.
I quattro personaggi sono solo Carlo, Desiderio, Adelchi ed Ermengarda; tutto il resto fa
solo la scena.
Ci sono due simmetrie di coppia: Carlo ed Ermengarda; Desiderio e Adelchi.
La ragion di Stato sacrifica i sentimenti: Desiderio e Carlo sono accomunati dalla
prevaricazione politica, con la differenza che mentre Desiderio perde, Carlo vince.
Adelchi ed Ermengarda fanno prevalere i sentimenti e sono accomunati dalla sconfitta.
Manzoni non riprende il modello delle tragedie classiche, in cui il coro era fondamentale per
la catarsi e rappresenta i sentimenti della collettività; bensì dà al coro una funzione nuova,
considerato il cantuccio lirico del poeta.
Nella prefazione de “Il Conte di Carmagnola” , Manzoni dice che il coro sarà un cantuccio
cioè un momento lirico in cui il poeta potrà parlare dei fatti, potrà esprimere la sua opinione e
la sua visione oggettiva della vicenda. Manzoni introduce la provvidenza divina attraverso un
personaggio preciso ovvero il Diacono Martino, che rivelerà a Carlo Magno il passaggio
segreto che gli permetterà di sorprendere i longobardi alle spalle e rappresenta la
provvidenza che interviene nella storia dalla parte del bene, quello dei franchi che aiutano la
chiesa. Diacono Martino è uno Sturmentum Dei.
POLEMICA TRA CLASSICI E ROMANTICI
Partendo da Madame de Staël, un altro intellettuale che partecipa a questa polemica fu
Giovanni Berchet, autore di quello che è considerato il manifesto del romanticismo italiano:
“Lettera Semiseria Di Grisostomo Al Suo Figliuolo” in cui afferma che l’opera d’arte e la
letteratura in generale devono essere soprattutto popolari, ovvero di quel popolo borghese
che rappresenta la maggioranza compresa tra:
1. Ottentotti : la fascia di ignoranti, senza cultura, analfabeta che non può essere
compresa nella letteratura
2. Parigini : intellettuali illuministi francesi, coloro che esagerano la raffinatezza e la
sofisticatezza dei parigini che non possono scendere ai livelli della folla. Infatti è
proprio Giovanni Berchet a criticare gli illuministi che avevano voluto creare una
cultura globale, ma che rimaneva ancora destinata solo a certe élite
Dunque la letteratura deve scendere livelli del popolo, della parte che lavora e produce:
ovvero la borghesia. Berchet afferma che la poesia non penetra nell’anima dell’ottentotto
perché non trova la strada di entrarvi: in quello parigino riesce ad entrare, ma solo
accompagnato da paragoni e razionalità perché la fantasia e il cuore non rispondono ai loro
ideali essendo abituati alla retorica e all’artificio. Di conseguenza ci si rivolge al popolo, per
cui la letteratura romantica deve essere viva, moderna, popolare e deve poter parlare di
cose vere. Il poeta non deve cercare la lode dei parigini o degli ottentotti, ma solo i suoi
elettori sono quelli del terzo Stato: la borghesia.
POESIA DEGLI ANTICHI E POESIA DEI MODERNI
Quando si è diffuso il romanticismo in Germania uno dei termini più dibattuti, oltre il rapporto
uomo-natura, fu quella del rapporto uomo-natura per gli antichi e quello per i moderni; dando
vita alla differenza tra la poesia degli antichi e la poesia dei moderni di cui trattarono i fratelli
Schlegel e Schiller.
I fratelli Schlegel, partendo dal poeta tedesco Novalis, affermano che ci sia una differenza
tra la poesia degli antichi e quella dei moderni. La vera poesia è quella degli antichi in
quanto avendo un rapporto autentico con la natura, non potevano fare altro che generare
una poesia autentica ed ingenua: gli antichi, non potendo spiegare i fenomeni della natura,
avevano fatto ricorso al mito e avevano fatto prevalere l’istinto sulla ragione. Leopardi
definirà tutto questo “fanciullo”. C’era un rapporto armonico con la natura, non di
opposizione, perché l’uomo non ne aveva paura: la natura non era onnipotente. All’ingenuità
degli antichi, è poi sopraggiunta la consapevolezza di moderni che viene dall’arrivo della
ragione e la fine dell’illusione, che ci dà uno strumento di protezione dal male. Il rapporto con
la natura si è quindi alterato, non è più autentico. Con la ragione si è persa la fantasia, ma
senza di essa non ci sarebbe stato il progresso con le varie rivoluzioni. Rispetto alle altre
poesie però ha privato gli uomini del fanciullesco e dell’irrazionale. Infatti la poesia dei
moderni non può che essere razionale o come viene definita “sentimentale” ovvero filosofico
e razionale. All’armonia degli antichi si contrappone la disarmonia dei moderni.
I moderni,però, possono cercare di riprodurre il rapporto antico che gli antichi avevano con
la natura attraverso l’immaginazione.
Schiller affermava che “Il sentimento che ci spinge ad amare la natura è simile al
sentimento con cui rimpiangiamo la perduta età dell’infanzia, la sola natura integra, che
possiamo ancora incontrare quando si cresce e che ci ricondurre alla nostra infanzia”
GIACOMO LEOPARDI
La città di Recanati, definita da Leopardi il borgo selvaggio in cui nacque, fu per lui una
prigione esistenziale, ma anche una spinta alla composizione di versi scaturiti da questa
condizione di isolamento intellettuale che costituisce una delle prime cause della sua
infelicità. Recanati rappresentava una situazione troppo conservatrice per non sviluppare in
lui delle reazioni di dolore.
Il padre, Monaldo, aveva una vastissima biblioteca dove avvenne la formazione di Leopardi
e dove questo iniziò a studiare, spinto dalla curiosità; nonostante la biblioteca fosse
disorganizzata e disorganica, priva di un’organizzazione logica e cronologica tra i testi greci
e latini e testi moderni.
Anche la madre, molto fredda e distaccata dei figli, fu una fonte di dolore, con cui Leopardi
non riuscì mai ad avere un vero rapporto madre-figlio. La donna riuscì anche a salvare il
patrimonio familiare che il padre non era riuscito ad amministrare, facendo di lei una donna
tirchia, calcolatrice e che sacrificò l’amore per i figli.
Lo studio, svolto nella biblioteca del padre, venne considerato e definito da Leopardi
“Sette anni di studio matto e disperatissimo” in un periodo in cui doveva crescere, come
scrive una lettera all’amico di famiglia, Pietro Giordani.
La formazione che ebbe era così completa che a 14 anni traduceva dall’ebraico in greco ed
in latino ed il padre si rese conto che era inutile mandarlo a scuola dal momento che la sua
istruzione era superiore a quella dei coetanei e anche degli adulti. Tuttavia questo studio
matto ci costò la salute, perché ne uscì con un’anomalia posturale che andò a
compromettere la colonna vertebrale, ma anche con problemi ai polmoni e alla vista.
L’infelicità di Leopardi potrebbe partire da questo disagio fisico, che lui fa diventare poi
motivo di riflessione. Partendo da se stesso, superando il livello individuale, cerca di riflettere
sul tema dell’infelicità a livello cosmico: non può essere l’unico ad essere infelice.
Nonostante ciò che si crede la sua infanzia non fu dedita solo allo studio, ma si divertiva e
giocava; il problema era che non usciva mai dal borgo di Recanati, da casa sua, tranne che
per compiere le sue solite passeggiate che le porteranno a scrivere l’infinito.
Fin da subito camicia a maturare l’idea di una fuga a 16 anni, quando aveva già acquisito
una erudizione completa, una preparazione scolastica di base che spaziava nelle letterature,
nelle lingue ebraico, greco e latino, nell’astronomia e negli altri aspetti della natura a
carattere scientifico e spaziale.
Pessimismo Leopardiano
A partire dai 16 anni scopre la poesia greca di Omero, Saffo ed altri.
Questa cosa porta al passaggio dall'erudizione al bello della poesia, di cui parla nello
Zibaldone: scopre la bellezza della poesia classica che porta alla consapevolezza che anche
lui sarà uno scrittore ed un poeta. Matura questo passaggio soprattutto traducendo l’Odissea
e l’Eneide. Questo passaggio comporta, inoltre, la messa a punto del primo livello del
pessimismo leopardiano che si divide in tre spettri:
1. pessimismo storico
2. pessimismo cosmico
3. pessimismo eroico
La prima visione del pessimismo storico coincide con il passaggio dall’erudizione al bello
della poesia, con cui Leopardi inizia ad aprirsi alla letteratura italiana moderna, scoprendo la
polemica tra classici e romantici, a cui partecipa dietro le quinte, attraverso l’amico Pietro
Giordani schierandosi dalla parte dai classici, dicendo che la letteratura italiana non può
essere sempre vicino alla classicità, dove sono contenuti tutti i modelli e la verità della
poesia stessa.
Si avvicina quindi ai discorsi di Schiller e Schlegel in cui questi affermavano che solo nella
poesia classica poteva esserci autenticità perché ancora autentico il rapporto con la natura.
A differenza dei classicisti, lo schieramento di Leopardi non è da considerare formale, bensì
romantico, in quanto schieratosi dalla parte dei classici che aveva scoperto da poco, aveva
scoperto l’illusione e l’ingenuità del mondo antico. Leopardi capisce che disprezza il mondo
contemporaneo, che insegue il progresso e la ragione e che, come dirà nello Zibaldone, è
stato capace di compromettere il rapporto con il mondo della natura e distruggere l’illusione,
la bellezza del rapporto armonico che gli antichi avevano con la natura. Da queste
considerazioni nasce il pessimismo storico: una visione secondo la quale l’infelicità
dell’uomo non è data dalla natura, ma dalle ragioni individuali. L’uomo si è allontanato
spontaneamente dalla natura e la colpa è della storia, quindi dell’uomo che ha preferito il
progresso all’illusione.
Guardando se stesso, Leopardi dirà appunto che l’infanzia è stato il periodo dell’illusione,
ma mano che si cresce invece subentra la riflessione, che è data dalla ragione.
Contemporaneamente alla stesura dello Zibaldone, iniziava lo scambio di lettere con
Giordani a cui confidò il suo desiderio di fuga e cominciò a mandare le prime opere. Giordani
comprende la sua necessità e cerca anche di mediare con la madre e del padre. L’amicizia
con Giordani, politicamente alto e fortemente illuminista, solidifica la piattaforma della
classicità e gli trasmette il seme dell’Illuminismo, la conoscenza del mondo moderno:
attraverso Giordani, Leopardi inizia a spostarsi inconsapevolmente dall’asse classico a
quello illuminista, con una visione razionale.
Iniziando a riflettere, un po’ fuori da Recanati e dall’Italia, su temi filosofici:
1. L'anti religiosità, che porta a pensare che se non si crede in Dio si crede la ragione
2. La mancata esistenza di Dio
3. Il libero arbitrio umano
4. Il rapporto tra l’individuo e società
5. La condizione dell’infelicità, che non è causata solo dall’allontanamento dello
stato di natura, ma dalle problematiche che appartengono al genere umano in quanto
umano.
Questa riflessione porta al passaggio dal bello della poesia al vero della poesia.
Leopardi è filosoficamente e razionalmente infelice: ha acquisito, rispetto al pessimismo
storico, la certezza che la condizione dell’infelicità non è solo individuale, ma è globale e
quindi cosmica: partendo da se stesso Leopardi vede che la sua capacità di riflettere
sull’universo gli permette di rapportarsi con l’intero universo. La ragione che ci ha fatto
allontanare dalla natura è stata data dalla natura stessa perché la natura ci mette al mondo
e ci dà un corpo destinato ad andare avanti, che progredisce fino a che si inizia ragionare.
Quando si cresce e quindi si invecchia si acquisisce la concezione del tempo e la
consapevolezza di essere mortale e quindi limitato. In questo caso sopraggiunge il dolore.
Oltre alla ragione, la natura ci ha dato l’immaginazione, con cui possiamo vedere di entrare
nella percezione sensoriale di qualsiasi cosa perché l’immaginazione è la categoria
percettiva che può farci spaziare nell’infinito. Infatti l’immaginazione non conosce confini
LE OPERE
Al pessimismo storico corrispondono le canzoni di argomento civile: una prima produzione
poetica in cui Leopardi, dopo aver scoperto il bello della poesia, non si è ancora allontanato
dalla sua formazione erudita. Il passaggio filosofico dal bello al vero coincide con il primo
tentativo di fuga da Recanati, fallito perché scoperto dal padre. La costrizione in questo
borgo selvaggio fa sì che Leopardi comincia a mettere a punto i primi esperimenti di poesia:
i piccoli idilli tra cui, nel 1819, l’infinito . Tuttavia, non c’è un confine netto tra i due periodi, in
quanto Leopardi fa un passaggio graduale dall’una all’altra.
L’opera di Leopardi segue sempre un andamento fortemente lirico, anche se le tematiche
sono filosofiche. Dopo la prima fase della produzione, che comprende le canzoni civili ed i
piccoli idilli, Leopardi passa ad un altro tipo di prosa, non molto lontana dalla lirica: le
operette morali rappresentano la prima vera opera del pessimismo cosmico. Si tratta di
favole allegoriche, di argomento satirico, che, essendo fantastiche, continuano ad avere una
prosa lirica allegorica; costituiscono infatti una pausa tra i piccoli idilli ed i grandi idilli,
conosciuti anche come i canti pisano-recanatesi. Le operette morali precedono i grandi idilli
nei temi, ma si differenziano nella poetica: nelle operette morali si ricorre a favole e
personaggi fantastici per parlare di temi dei grandi idilli.
Nei grandi idilli, Leopardi meditò il suicidio, ma non lo fece perché la sua non vita, il suo
rifiuto della vita si trasforma in poesia. Stando a Recanati, ogni grande idillio, parte da una
scena di paesaggio di Recanati stessa. L’esistenzialismo di Leopardi non poteva che
generare una poesia altissima per cui più si soffre e si medita sul dolore cosmico, più l’unica
possibilità di sfogare questo dolore è la poesia.
Specchietto Leopardi
Leopardi va via da Recanati e riesce a mantenersi con un assegno del padre, per poi fare
amicizia con il gruppo dei grandi amici di Toscana che l’aiuteranno, mentre lui vive di
traduzioni e quel poco di fama che avevano ottenuto le sue poesie che avevano iniziato a
girare. Alcuni dei suoi rifugi furono a Bologna e Firenze, ma inizialmente con il suo primo
tentativo di fuga era arrivata a Roma, dove scoprì che il mondo non era tanto distante e
diverso da Recanati: prima disillusione, nello Zibaldone dirà che con la caduta del velo
dell’illusione, aveva scoperto il vero arido.
In Toscana le cose vanno meglio, ma dopo aver scritto le operette morali, la sua salute si
aggrava e a causa della non conta di denaro, da Pisa è costretto a tornare a Recanati dove
resterà per 18 mesi. Questi sono considerati dal Leopardi il periodo più buio della sua vita in
cui però scriverà le sue opere più grandi: i grandi idilli, scritti tra Pisa e Recanati, che
rappresentano la massima estensione della riflessione filosofica secondo cui nulla resta, se
non l’infelicità e la morte.
Specchietto n.2 Leopardi
Durante l’ultima fase del pessimismo storico in cui Leopardi scrive piccoli idilli e le canzoni,
egli scrive un saggio intitolato “Il discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” in
cui, riprendendo il ragionamento che sta facendo sul piano filosofico, riprende il rapporto tra
classico e romantico affermando che l’illusione è perduta, il rapporto armonico tra antichi e
moderni non c’è più. E, la vera poesia, quindi, è quella degli antichi. I moderni hanno la
poesia sentimentale: Leopardi riprende ciò che diranno i fratelli Schlegel e Schiller e va oltre.
Ciò non toglie che moderni hanno la possibilità di ricostruire in maniera razionale l’armonia e
l’autenticità della poesia degli antichi grazie all’immaginazione: la consapevolezza razionale
ci aiuta a ricostruire artificialmente un processo illusorio immaginativo degli antichi, cercando
di potenziare il più possibile le percezioni; il processo immaginativo non ci porta a perdersi
nella falsità perché siamo sempre consapevoli nella ragione. Nell’infinito Leopardi ricorre un
tipo di processo immaginario servendosi delle percezioni, soprattutto quelle visive e uditive:
rimanendo però consapevole di essere seduto sul colle, grazie alla vista e all’udito riesce a
spaziare e a sollevarsi talmente tanto fino a che la mente si stacca dal corpo, riuscendo a
produrre liricamente un processo immaginativo, artificiale e a naufragare nel mare
dell’infinito.
TEORIA DELL’INFINITO E DEL VAGO
Si tratta di riflessioni generate dalla propria esperienza percettiva, espresse nello Zibaldone.
Leopardi afferma che il problema dell’infelicità dell’uomo è dovuto dalla consapevolezza dei
propri limiti, soprattutto corporei. Il rapporto tra finito ed infinito provoca dolore, come la
limitatezza corporea: se desideriamo di essere altrove, l’immaginazione può portarci solo
con la mente, ed il corpo resta dov'è, e quindi un limite terreno, materiale ed imprescindibile.
Il dolore è dato anche dalla presenza, attraverso l’immaginazione le sensazioni dell’idea di
indefinitezza: l’uomo prova un piacere per tutto quello che non ha limiti, l’illimitato, indefinito,
il vago; proprio perché dotato dell’immaginazione e della facoltà sensoriale che lo portano a
non avere spazio e tempo ed una dimostrazione proprio il sogno.
Le parole infinito, illimitato, esteso e vago hanno l’esistenzialismo del tempo e dello spazio:
l’infinito è tale sia nel tempo sia nello spazio, contrapposto al circoscritto cioè il non finito.
Nello zibaldone Leopardi affronta l’analisi di alcuni stati dell’animo che poi rappresentano gli
idilli. La poetica dell’indefinito e del vago spiega il perché Leopardi considera poeticissime le
parole con cui lui descrive l’indefinito, ovvero quelle che non sono geometriche, che non
hanno un significato scientifico o circoscritto, quindi le parole che hanno in sé l’idea del
vago.
● Le parole come ad esempio irrevocabile o irrimediabile produrranno una
sensazione piacevole perché danno l’idea del senza limite.
● Le parole come lontano o antico sono poeticissime e piacevoli perché destano idee
vaste ed indefinite e non determinabili e confuse.
● Sono poeticissime tutte le parole che riguardano la sera, la notte ed il notturno
perché nella notte, confondendo gli oggetti, l’animo non concepisce che
un’immaginazione vaga e indistinta sia di esso che di quanto ella contiene tutte le
parole che, così come tutti gli aggettivi verbi e nomi, tendono al vago e l’indefinito.
TEORIA DEL PIACERE
Dalle teorie dell’indefinito in cui Leopardi afferma che siamo portati romanticamente
all’infinito attraverso l’immaginazione, Leopardi dice che arriviamo alla teoria del piacere.
Se l’immaginazione può proiettarsi ovunque, anche il nostro desiderare è infinito: per
Leopardi infatti il piacere non è legato ad un oggetto, bensì è il piacere legato al desiderio
dell’oggetto: desiderare il piacere è una cosa perenne nella vita umana. La continua ricerca
del piacere può però provocare dolore nel momento in cui non riusciamo a conseguirla. Il
piacere è esteso per durata e spazio: le due teorie sono collegate.Una volta conseguito il
piacere l’uomo ne comprende limiti. Ne “La quiete dopo la tempesta”, Leopardi affermerà
che il piacere nasce solo dal dolore perché non siamo in grado di provare piacere
continuamente in quanto il piacere dura poco ed è una pausa tra un dolore e l’altro: tedio,
senso di noia, profondo e quasi esistenziale. Leopardi non dà né una valenza negativa, ma
positiva, perché è un non sentimento quindi significa che c’è assenza di sentimenti.
Se non sento nulla, non provo piacere ma di conseguenza non soffro nemmeno. Per
rappresentare questo pensiero Leopardi ricorre ad un vocabolario dell’indefinito e del vago.
Poetica: termini polisillabici e parole che in sé non hanno niente di geometrico, razionale o
definito: le poesie dell’infinito devono avere delle parole infinite, razionali che hanno tanto
significato.
L'idioletto leopardiano fa riferimento soprattutto agli aggettivi e i suoi verbi sono sempre
quasi all’infinito.
“Sebbene l’uomo desidera sempre un piacere infinito, tuttavia egli desidera sempre un
piacere materiale sensibile. Sebbene quella infinità del piacere ci faccia velo per credere che
si tratti di qualcosa di spirituale”
Essendo legato a sensazioni materiali, il piacere non può che essere relativo alla
temporaneità. Il desiderio è legato al corpo e al fisico.Il piacere spirituale che noi
concepiamo non è altro che l’infinito stesso. Le nostre sensazioni e i nostri desideri non si
estendono mai fuori dalla materia come ad esempio il corpo.
La felicità è confinata, ma sempre nei limiti della materia.
POETICA DELLA RIMEMBRANZA
Alle due poetiche sull’indefinito e sul piacere, si aggiunge una terza teoria che riguarda la
rimembranza ovvero la ricordanza. Leopardi afferma che è uno dei due piaceri più dolci e il
ricordare perché ti riporta al passato. Il passato dell’infanzia è però diverso da quello
adolescenziale: quando ricordiamo, guardiamo di essere stati i bambini. Il processo
automatico del ricordo porta l’adulto quasi sempre all’infanzia.
Per Leopardi l’età della vita sono tre: l’infanzia ovvero l’età più bella perché quella
dell’ingenuità e dell’inconsapevolezza e della speranza; una volta cresciuti godiamo della
speranza avuta prima, ma soffriamo perché dopo l’adolescenza c’è la vita adulta.
Secondo Leopardi non c’è niente di più bello del ricordare in infanzia, ovvero la vera e
propria attività di tornare indietro con la mente, creando piacere. La ricordanza è uno stato
mentale. Tutto sarà molto più poetico, se è ricordato. Il ricordare porta alla commozione, che
a sua volta crea la poesia. Se non c’è il ricordo, non ci può essere la poesia. Leopardi
afferma che la ricordanza essenziale è fondamentale nel sentimento poetico: il presente non
può essere poetico perché il poetico si trova sempre nel passato lontano e nel vago.
PESSIMISMO EROICO
L’ultimo periodo della vita di Leopardi fu turbolento.
Conobbe una dama di nome Fanny Targioni Tozzetti, per la quale compose un lungo ciclo di
poesie chiamato “Ciclo di Aspasia” .Dopodiché si trasferì con l’amico Antonio Ranieri a
Torre del greco per ragioni legate alla sua salute. Qui matura l’ultimo periodo del suo
pessimismo ovvero il pessimismo eroico, questo aggettivo è legato a “La ginestra”.
Nei 18 mesi passati a Recanati, Leopardi arriva al culmine del suo dolore e dell’infelicità e
contempla il suicidio. Non si toglie la vita perché in lui scatta la resistenza eroica, quindi
cadono tutti i fili. Non c’è niente prima e dopo della vita, l’unica cosa che resta solo è la vita,
il tempo che c’è stato dato. Per l’ultima volta decise di provare a tracciare quello che
Leopardi chiamò una catena sociale dove tutti sono uniti contro la natura e sono uniti nel
dolore eroicamente, ed eroicamente resistono. Meglio la verità condivisa, che portare il peso
della verità da solo. Il pessimismo eroico è il superamento del pessimismo cosmico e serve
a capire che la vita è così e fare in modo che nessun altro uomo si illuda.
GLI IDILLI
Il termine idillio proveniente dal greco significava quadro pastorale e rappresentava
un’armonia tra l’uomo e la natura in cui ogni elemento dell’umanità era in perfetta armonia
con la natura. Leopardi sconvolge tutta questa terminologia e se ne impossessa per darne
un nuovo significato. Nella sua poesia la parola idillio vuol dire avventura dell’animo mio
ovvero una rappresentazione ed un’analisi di una situazione interiore in cui il poeta prova a
riflettere sulla propria condizione esistenziale e su quella altrui. Di conseguenza anche il
linguaggio è del tutto diverso. I piccoli e grandi idilli furono poi raccolti e rinominati Canti.
A differenza dei piccoli idilli, quelli della prima stagione, i grandi idilli, conosciuti anche come
canti pisano-recanatese, sono più lunghi rappresentano la massima espansione del
pessimismo cosmico. In tutti gli idilli però sia nei piccoli che nei grandi, si parte da un incipit
apparentemente descrittivo con riferimenti al paesaggio per poi passare ad una riflessione a
carattere filosofico in cui l’io lirico domina come travaglio di vita interiore e come confronto
con la condizione degli altri uomini e dell’umanità. L’incipit quindi è un pretesto.
Altre novità riguardano la lingua, infatti Leopardi inventa il verso libero.
L’endecasillabo sciolto e l’assenza di rime è una novità a livello europeo ed anche il
linguaggio è sciolto e semplice, ma non per questo è poco profondo.
Al centro degli idilli c’è un tema che si snoda attorno a l’io e alla natura.
1. Prima stagione : la natura ha una valenza positiva e fa riferimento al pessimismo
storico
2. Seconda stagione : la natura ha una valenza negativa e fa riferimento al
pessimismo cosmico in cui la natura è un meccanismo caotico fatto di leggi proprie.
LE OPERETTE MORALI
Le operette morali furono scritte nel momento in cui, sul piano della letteratura italiana,
abbiamo dei riferimenti fortissimi come i promessi sposi di Manzoni.
Con le operette morali, Leopardi, come aveva già fatto con gli idilli, mette a punto una nuova
lingua ovvero la lingua della prosa satirica che come dirà nello Zibaldone, al pari della
tragedia, cerchi di rappresentare ironicamente e satiricamente, come se fosse una
commedia, dei temi fondamentalmente tragici. Leopardi utilizza questa lingua comico
satirica ambientando queste prose satiriche in contesti e situazioni un po’ al limite della
realtà, inverosimilmente surreali: i personaggi morti che agiscono da vivi, contesti spaziali e
temporali fuori dalle realtà.
Le 20 operette morali furono pubblicate nel 1827 e possono essere collocate tra i piccoli ed i
grandi idilli; e sono la rappresentazione in prosa dei temi dei grandi idilli
1. Infelicità umana
2. Noia
3. Tedio
4. Nullità dell’essere rispetto all’infinito
5. Decadenza dei costumi perfetti.
La forma delle operette è quella del dialogo ed il modello di Leopardi è Luciano di Samosata,
scrittore satirico greco da cui Leopardi prende spunto per poi rivedere completamente
dialoghi satirici.
I personaggi sono immaginari, fantastici o umani-animali. Pur essendo scritte in prosa, le
operette mantengono sempre un andamento lirico, rendendole percorsi di riflessione.
Leopardi considera l’ottocento un secolo viziato e corrotto in cui i vizi degli uomini sono
vergognosi. Leopardi recupererà il proprio Illuminismo definendo il periodo del romanticismo
superbo e sciocco: dopo che l’uomo aveva fatto di tutto per progredire con la mente, ritorna
nella superstizione e l'ignoranza con il romanticismo. Leopardi,quindi, si sente estraneo a
questo secolo.
IL NICHILISMO LEOPARDIANO
Altro tema riguardo l’esistenza di Dio intesa come religione negativa, è il nichilismo
leopardiano. Nichilismo significa affermazione che nulla esiste, non negare che qualcosa
esiste; è la religione del nulla: se non esiste nulla noi non possiamo affermare che esista
qualcosa. Manzoni invece parte dalle stesse promesse leopardiana ma mentre Leopardi
supera questo pessimismo con il pessimismo stesso, Manzoni avrà la salvezza della fede.

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