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Raccontare la storia

La letteratura italiana e la Seconda guerra mondiale


Torna la libertà di parola dopo il
ventennio fascista

Alberto Moravia viene tenuto sotto controllo per aver
descritto, nel romanzo Gli Indifferenti (1929) la decadenza
morale e l’avidità dell’alta borghesia romana, che aveva
appoggiato l’ascesa di Mussolini insieme alla cosiddetta
“nobiltà nera”
 E’ la storia di una famiglia dell’alta borghesia in cui la madre,
in difficoltà economica, riceve dal suo amante un prestito del
quale lui reclamerà la restituzione. La madre preferirà dargli
in moglie la giovane figlia invece di vendere la villa in cui
abitano, simbolo di prestigio sociale. Il figlio Michele,
consapevole di tutto questo, sente che dovrebbe indignarsi
per la situazione, ma non ci riesce perché in realtà non gliene
importa nulla, è, appunto, indifferente.
Torna la libertà di parola dopo il
ventennio fascista
Ignazio Silone pubblica “Fontamara” in Svizzera
nel 1933, storia di un paese di contadini dell’
Abruzzo che si ribellano contro le ingiustizie dei
ricchi e dei potenti appoggiati dalle autorità
fasciste, in particolare la deviazione delle acque
del piccolo torrente che serviva il paese a
vantaggio delle terre di un ricco possidente. Il
brutale intervento intimidatorio delle squadracce
fasciste metterà momentaneamente fine alla
protesta, ma si apre la possibilità di una futura
resistenza.
Calvino e il desiderio di raccontare

Lo scrittore Italo Calvino, che ha attraversato la cultura italiana
dal Neorealismo al Postmoderno, ha descritto nel 1964
(prefazione a “Il sentiero dei nidi di ragno”) il desiderio di
raccontare liberamente che gli italiani manifestavano subito
dopo la guerra
 La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di
raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di
persone e pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero
raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano
occorse, e così ogni avventore ai tavoli delle «mense del
popolo», ogni donna nelle code ai negozi; il grigiore delle vite
quotidiane sembrava cosa
d’altre epoche;
ci muovevamo
in un multicolore
universo di storie.
Il Neorealismo

E’ una corrente letteraria e cinematografica che si ripropone di


descrivere la realtà della guerra e delle precarie condizioni di
buona parte del popolo italiano che precedentemente non si
potevano neanche ammettere.

Darà i suoi migliori risultati nel cinema, con registi quali Roberto
Rossellini e Vittorio De Sica, ai quali si devono film come
“Roma città aperta” e “Ladri di biciclette”, girati all’aperto
in una capitale devastata dalla guerra con la partecipazione
importante di attori non professionisti.
Neorealismo e ideologia
Il Partito comunista italiano e altre formazioni di
sinistra hanno avuto un ruolo importante nelle
attività di opposizione al fascismo, soprattutto
nella Resistenza, il movimento armato col quale
molti italiani, prevalentemente giovani, hanno
rifiutato di servire la Repubblica di Salò e si
sono rifugiati in montagna per opporsi alle
truppe nazifasciste con l’aiuto degli americani.
Neorealismo e ideologia
Questo ha fatto sì che il
movimento sia stato
accusato di avere un
orientamento ideologico
favorevole all’Unione
Sovietica, dalla quale fin
dagli anni Trenta erano
giunte precise indicazioni sui
contenuti e lo stile che le
opere letterarie e figurative
dovevano assumere
(realismo socialista)
.
- l’arte e la letteratura
devono essere
comprensibili per il
popolo, questo implica il
rifiuto del simbolo e
dell’arte simbolista, visti
come il prodotto della
borghesia decadente;
- esaltazione delle qualità
morali del popolo,
abbandonato a condizioni di
miseria e oppresso dal
fascismo;
- condanna della borghesia,
vista come una classe
sociale immorale e
parassitaria
L’atteggiamento
degli intellettuali italiani
In realtà solo una minoranza degli intellettuali italiani si è
adeguato alle indicazioni che provenivano da Mosca
(Renata Viganò, Vasco Pratolini)
Alcuni, come Elio Vittorini, autore di “Uomini e no” e
Ignazio Silone, di cui si è parlato prima le hanno
contestate apertamente e sono giunti alla rottura col
Partito comunista.
Altri, come Cesare Pavese, che pure era stato
condannato al confino come simpatizzante comunista,
hanno evidenziato nelle loro opere modi di intendere la
guerra molto diversi, pur senza aprire una polemica
scoperta.
La rivendicazione dell’autonomia
Alcuni intellettuali italiani si sono opposti a queste imposizioni:
- Elio Vittorini, romanziere ed editorialista, usa largamente il
simbolo nei suoi romanzi, in particolare in “Uomini e no”
rappresenta i collaborazionisti della Repubblica di Salò come
cani, che leccano la mano del padrone anche se è sporca di
sangue.
A causa di una polemica col
segretario del Partito Comunista
Palmiro Togliatti gli sarà tolta
la direzione di una rivista
culturale dell’epoca,
Il Politecnico.
La rivendicazione dell’autonomia

Anche Ignazio Silone, di cui si è parlato sopra,


ha abbandonato la militanza comunista,
definendo se stesso
“un socialista senza partito
e un cristiano senza Chiesa”
L’atteggiamento
degli intellettuali italiani
In generale si può dire che gli intellettuali di sinistra in Italia e
anche in Francia hanno inteso il comunismo come difesa dei
lavoratori dalle ingiustizie e non come dittatura del
proletariato, condannando gli orrori del regime staliniano.
Negli anni ‘70, i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo
hanno preso le distanze da quello sovietico, dando origine al
cosiddetto eurocomunismo.

Enrico Berlinguer, storico


segretario del
Partito Comunista Italiano
L’ eurocomunismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Eurocomunismo
Con eurocomunismo si indica il progetto politico-ideologico di un
marxismo intermedio al leninismo e al socialismo. Fu un progetto
che dal 1976 coinvolse i tre partiti comunisti (escludendo i partiti
dell'Est Europa) più grandi d'Europa: Partito Comunista Italiano,
Partito Comunista Francese e Partito Comunista di Spagna.
Ebbe anche l'appoggio del Partito Comunista di Gran Bretagna.
… Proposero forme di cooperazione politica che portassero al
governo ampie coalizioni, superando le ristrette prospettive delle
alleanze a sinistra. L'idea di non uscire dallo schema delle
istituzioni democratiche, ma di portare le forze del lavoro al
potere attraverso il gioco del pluralismo e del suffragio universale,
informava tutta questa strategia.
Per il futuro prospettavano società in cui la democrazia venisse
estesa in tutti i suoi aspetti e in cui la gestione dell'economia
si basasse su forme di commistione pubblico-privato. A livello
internazionale la questione fondamentale era guadagnare
una posizione indipendente da Mosca, negando qualsiasi tipo
di partito o stato guida e rivendicando l'autonomia di
elaborazione politica di ciascun partito rispetto alla propria
situazione nazionale di riferimento. A questo, negli ultimi anni,
si assommò la sempre crescente critica rispetto alle
condizioni della democrazia dei Paesi al di là della cortina di
ferro.
Per i critici invece questa "svolta" fu un mero tatticismo
per ampliare il proprio consenso
L’atteggiamento
degli intellettuali italiani
Esistono però alcuni punti di riflessione importanti che
emergono dall’analisi di varie opere che parlano di
guerra e di Resistenza sui quali vale la pena
soffermarsi:
- se muori combattendo per la libertà non sei sconfitto, la
vera sconfitta è quella di chi si piega all’oppressione;
- la morte del partigiano o del deportato non è vana, ha
aperto la strada al ritorno della libertà;
- il nemico è pur sempre un essere umano e la sua morte
è un fatto grave che interroga le coscienze e non deve
causare compiacimento.
Modi diversi di raccontarela Resistenza
L’esperienza della guerra è stata
raccontata in modi diversi,
considereremo i casi di
Renata Viganò,
Beppe Fenoglio
e Cesare Pavese.
Renata Viganò
Militante del Partito Comunista, ha combattuto personalmente
insieme al marito nella zona del Polesine.

Il suo romanzo “L’Agnese va a morire” (1949) racconta la


presa di coscienza politica di una donna non più giovane che
per vivere ha sempre fatto la lavandaia.
Suo marito, attivista del Partito Comunista, viene arrestato,
deportato e muore.
Rimasta da sola, guardata con sospetto dalle sue vicine di
casa che collaborano con gli occupanti nazifascisti, Agnese
trova conforto solo nella presenza della gatta di suo marito,
che lui le aveva raccomandato al momento dell’arresto.
Renata Viganò
Quando un tedesco uccide la gatta, la rabbia di Agnese esplode
e lo colpisce, credendo di averlo ucciso, per poi raggiungere
le bande partigiane e svolgere, in un altro luogo, l’attività di
staffetta.
Un giorno, durante un rastrellamento, il tedesco, che non era
ovviamente morto, la riconosce e la uccide, ma, come si è
detto, non è la morte la vera sconfitta.
Renata Viganò
Il romanzo racconta in modo preciso ed efficace la vita
quotidiana della popolazione civile durante l’occupazione
nazifascista ed ha ricevuto il Premio Viareggio.

L’aspetto discutibile è l’adesione piuttosto acritica alle


indicazioni del cosiddetto realismo socialista che veniva
dall’Unione Sovietica: alcuni passaggi (comunque brevi) sono
dichiaratamente propagandistici, l’immagine dei partigiani è
agiografica, solo luci e niente ombre.
Beppe Fenoglio
Nato ad Alba, in provincia di Cuneo nel 1922,
appassionato cultore della lingua inglese e della
letteratura anglosassone, allora sospetta al regime
perché libera e priva di censure, ha partecipato alla
guerra partigiana che ha poi descritto in molti dei suoi
romanzi, insieme alle difficili condizioni dei contadini
nelle Langhe tra le due guerre. E’ morto nel 1963.

Da “Il partigiano Johnny”


Beppe Fenoglio
I suoi personaggi sono però lontani da ogni ideologia: la
guerra, per lui è “Una questione privata” (titolo di un
romanzo del 1963).
E’ una delle tante disgrazie che possono accadere, un
aspetto della “malora” (La malora, romanzo breve del
1954) che colpisce in particolare i ceti sociali più
http://dizionari.corriere.it/dizionario_francese/
bassi, i contadini.
Di fronte alla durezza della vita, bisogna lottare per la
propria dignità con impegno ed energia, senza
perdersi in lamentele.
malheurs.m. 1 disgrazia f., sciagura f., guaio m.2
sfortuna f. • par ‹malheur›  malauguratamente
http://dizionari.corriere.it/dizionario_francese/Francese/M/malheur.shtml?refresh_ce-cp
Beppe Fenoglio
La politica, in particolare quella rivoluzionaria, non
ha risposte da dare agli esseri umani che si
battono contro il loro destino di sofferenza, l’unica
cosa che si può fare è affrontarlo con dignità.
Durante la sua esperienza partigiana era passato dalla brigata
Garibaldi ai cosiddetti autonomi o badogliani perché non ne
condivideva più l’impostazione ideologica e la scarsa
efficienza militare, come spiega nel racconto “I ventitrè
giorni della
città di Alba”

« Io non sono rosso, sono badogliano. Questo ti solleva un


pochino, eh?[2] »
(Il protagonista Milton al milite della RSI suo prigioniero)
Una questione privata

Il partigiano Milton* sospetta che il suo amico Giorgio,


anche lui ribelle e catturato dai fascisti, abbia avuto
una relazione con Fulvia, la ragazza di cui è
innamorato. Cattura allora un milite della RSI per
effettuare uno scambio e poter chiarire la situazione,
ma la cosa non va a buon fine.
Il prigioniero tenta la fuga e Milton lo uccide, per poi
essere coinvolto in uno scontro dal finale ambiguo.
Non è chiaro se Milton sia sopravvissuto o se sia morto
portando con sé il dubbio sulla lealtà del suo amico.
Il partigiano Johnny
E’ incerto anche il destino di Johnny, il più celebre dei partigiani
di Fenoglio, protagonista di un romanzo lasciato incompiuto,
di cui si conoscono due diversi finali.
Il messaggio di Fenoglio è sempre lo stesso: non importa
sapere se siano sopravvissuti o no, l’importante è aver
difeso la propria dignità e la libertà di tutti.
E’ importante l’uso di nomi ed espressioni inglesi, in particolare
ne “Il partigiano Johnny”, che sono un omaggio alla grande
passione dell’autore per il mondo anglosassone.
Cesare Pavese

Nato a Santo Stefano Belbo in provincia di Cuneo


nel 1908, è stato considerato uno dei più
importanti letterati del secondo dopoguerra,
vincitore di numerosi premi letterari ed ha
assunto un ruolo importante nella casa editrice
Einaudi di Torino.
Tutto questo non ha contribuito ad attenuare la
crisi esistenziale che l’ha sempre tormentato e
che l’ha indotto a togliersi la vita nel 1950.
La casa in collina
Corrado, personaggio autobiografico, è un professore
che sfugge ai bombardamenti di Torino rifugiandosi
nelle Langhe, Si unisce ai frequentatori di un’osteria, le
Fontane,che scopre essere gestita da un suo amore
del passato, Cate, che ha un figlio, Corrado
(chiamato da tutti Dino), che, per motivi anagrafici,
potrebbe essere addirittura suo figlio. Corrado infatti
anni addietro aveva interrotto la relazione con Cate per
scansare le responsabilità di un rapporto maturo ed
anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive
con apparente indifferenza le vicende storiche che
accadono intorno a lui.
http://www.oilproject.org/lezione/cesare-pavese-ro
manzo-la-casa-in-collina-guerra-suicidio-5938.htm
l
La casa in collina
Corrado si unisce al gruppo dell’osteria e, pur non
scoprendo mai la verità circa la paternità di Dino, inizia
a trascorrere molto tempo con lui. Nel frattempo il
protagonista si interroga anche sul suo amore per
Cate, che forse non si è del tutto estinto, e sul suo
impegno storico e civile in un drammatico frangente
storico, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Tuttavia Corrado non esterna mai le proprie idee e
non si risolve mai all’azione, osservando da
spettatore la barbarie della guerra, che devasta il
mondo delle Langhe, strettamente legato ai suoi
ricordi infantili.
La casa in collina
La situazione è sconvolta da una retata dei nazisti, che
all’osteria arrestano Cate e gli altri amici di Corrado. Dino
raggiungerà il protagonista al collegio in cui si è rifugiato,
ma presto sceglie di arruolarsi nelle fila partigiane.
Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una
scelta, decide di tornare al paese natale e alla sua “casa in
collina”. Durante il viaggio di ritorno, incappa in
un’imboscata partigiana e la vista dei cadaveri dei fascisti
gli suggerisce amare e disilluse riflessioni sul senso della
guerra, dell’esistenza, sostenendo che, siccome tutti gli
esseri umani sono cittadini del mondo e condividono
certezze e contraddizioni “ogni guerra è una guerra
civile” (frase che ha suscitato discussioni).
La casa in collina
Per Cesare Pavese, che non ha combattuto tra i
partigiani, le Langhe, dove la bellezza del
paesaggio contrasta con la durezza della vita
dei contadini, sono anch’esse una
rappresentazione delle profondità della
mente umana, nelle quali si nasconde la
predisposizione alla violenza e alla
distruzione, spesso rappresentate nei suoi
romanzi (La luna e i falò).
La guerra è una manifestazione degli istinti
sanguinari che si nascondono nell’inconscio
umano e a tratti si rivelano in modo drammatico
nella vita privata e nella storia.
La guerra e i simboli
La politica non può cambiare questa realtà.
Anche se Pavese era comunista e per questo è stato
condannato al confino in Calabria, la sua descrizione
della guerra ha caratteristiche esistenziali e non
ideologiche.
Corrado è assimilabile alle figure degli “inetti” del
primo Novecento, la sua è una profonda incapacità di
vivere che non può essere cancellata dalla militanza
politica.
Il largo uso che Pavese fa del simbolo non era in accordo
con le indicazioni del realismo socialista (ricordiamo il
caso di Elio Vittorini citato sopra).
La guerra e i simboli
D’altra parte i simboli sono sempre stati elementi
irrinunciabili nella letteratura e nelle arti figurative,
pensare di metterli al bando era cosa priva di senso.
La stessa Renata Viganò, rigorosamente realista,
trasforma la gatta di Agnese nel simbolo del
focolare domestico e degli affetti familiari devastati
dalla guerra.
Il fuoco, che per Pavese era, in gioventù, simbolo di
festa, di calore umano, diventa in guerra elemento
distruttore di vite e di tutto ciò che l’uomo
costruisce a fatica (Apocalypse Now).
(Saba, La capra)
Le tragedie della guerra al fronte
La ritirata dell’Armir
Iniziata con una travolgente avanza delle truppe
tedesche in territorio sovietico, l’Operazione
Barbarossa venne fermata dal “generale inverno” e
dalla controffensiva dell’Armata Rossa. La battaglia per
la riconquista della città di Stalingrado, occupata dai
tedeschi, si risolse in una vittoria per i sovietici ed iniziò
una disastrosa ritirata.
Le tragedie della guerra al fronte
La ritirata dell’Armir
Mussolini aveva inviato in Russia un corpo di spedizione che
prese il nome di Armir ed era composto, nel momento della
ritirata, prevalentemente da Alpini provenienti dall’Italia
settentrionale.
La sua speranza era quella di partecipare alla spartizione del
bottino, ma i risultati furono tragici. Le dotazioni dell’Armir
erano carenti sotto tutti i punti di vista: armi, viveri, materiale
non erano adeguati a sostenere i soldati nella dura realtà
dell’inverno russo.
Soverchiati dalla travolgente controffensiva sovietica, alla quale
non potevano opporsi con armi che si inceppavano di
continuo per il freddo, molti alpini morirono congelati nella
ritirata, cadendo sfiniti senza riuscire più a reagire e rialzarsi.
La gran parte di quelli che sono stati fatti prigionieri sono
morti di stenti e di freddo.
In generale però la popolazione russa ha manifestato
solidarietà verso gli alpini, accogliendoli nelle isbe e
condividendo il poco cibo che avevano, dato anche il
fatto che si erano comportati più umanamente delle
truppe di occupazione tedesche.
Mario Rigoni Stern
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1º novembre 1921 – Asiago,
16 giugno 2008) è stato un militare e scrittore
italiano….Il suo romanzo più noto è “Il sergente nella
neve (1953)”, un'autobiografia della ritirata di Russia.
Primo Levi lo definì "uno dei più grandi scrittori italiani"[3].
Ha scritto la prefazione del testo di cui parleremo, di un
autore cuneese certo molto meno noto di lui
Giuseppe Bruno tra alpini e muli
Nato a Torino nel 1913, ha vissuto molti anni a Cuneo. E’ stato un
militare di carriera, quando è partito per la Russia era tenente
veterinario.
Ha descritto con commozione le sofferenze dei suoi alpini e dei
muli che curava con grande passione, ammirando il coraggio
che non solo i soldati ma persino le bestie hanno dimostrato in
quelle circostanze.
Deve la sua salvezza e quella dei suoi uomini alla solidarietà di
una spia russa, alla quale aveva curato il bambino gravemente
malato e degli altri civili,
in favore dei quali si era prodigato
anche se erano nemici.
Giuseppe Bruno tra alpini e muli
La guerra viene descritta da un punto di vista molto
particolare, in cui la sofferenza dei muli, quella dei
soldati e quella dei civili diventa un sentimento
universale, degno del massimo rispetto.
Vengono raccontati episodi della guerra in cui le
persone, anche su fronti diversi, hanno voluto credere
alla solidarietà reciproca e all’umanità, in contrasto con
la folle volontà di sterminio dei dittatori.
Il primo prigioniero

All’inizio della guerra, l’Italia ha aggredito la


Francia, cosa per noi del tutto innaturale.
E’ interessante quello che Bruno dice del primo
prigioniero, un francese probabilmente ex
italiano.
Il linguaggio del realismo
Facciamo un’ultima osservazione sul linguaggio del
Neorealismo e, in generale, di moltissimi testi a carattere
realistico del secondo Novecento italiano riguarda l’uso del
dialetto, da quello centro-meridonale di Silone al
piemontese di Fenoglio e alle citazioni in bergamasco e
veneto di Bruno.
L’ uso più o meno esteso del dialetto non per sottolineare
l’inadeguatezza di chi lo parla ma per elevarlo a lingua di
chi ha saputo essere un eroe della vita quotidiana.
Nella letteratura successiva agli anni ‘50, ad esempio in
Pasolini, è stato visto anche come un modo per sfuggire
all’omologazione culturale imposta dalla televisione .
Il Neorealismo cinematografico
Ha dato esiti migliori del romanzo neorealistico, producendo
capolavori riconosciuti dalla cinematografia internazionale
come Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945) e
Ladri di biciclette di Vittorio de Sica (1948).
Le scene, girate all’aperto e non in studio, mostrano la
devastazione delle città italiane, in particolare Roma,
durante la guerra.
Avvalendosi di molti attori non professionisti, anche
bambini, questo cinema ha dato alla gente di tutti i giorni
una dignità, pur nelle sue inevitabili sofferenze e anche
espedienti per “tirare a campare” come poche altre opere
hanno saputo fare.

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