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IL ROMANTICISMO

Il Romanticismo è un movimento culturale, letterale e artistico che è nato in Germania e in Inghilterra (si
diffonde poi in tutta Europa) nel corso del XIX secolo. Il Romanticismo si oppone a tutti gli ideali
dell’Illuminismo e pone come tema fondamentale l’importanza dell’individuo e quindi l’importanza dell’io.
Il termine romantic inizialmente aveva una accezione negativa in quanto richiamava i romanzi cavallereschi,
con il tempo si fece strada una nuova accezione, il termine romantic si inizia ad usare per far riferimento ai
paesaggi selvaggi e la sensazione di indefinito (es: i giardini inglesi e la natura selvaggia). La seconda
accezione del termine romantico pian piano prevalse sul primo ed in Germania furono proprio i letterati del
tempo come August Schlegel e in seguito Madame de Stael che sancirono l’inizio di un nuovo tipo di arte
che si oppone a quella “classica”.

In Germania il Romanticismo ha inizio nel 1797 quando Fridrich Schlegel (fratello di August) progettò la
rivista Athenaum. Nella rivista venivano pubblicati degli articoli nei quali gli autori proponevano il proprio
punto di vista, in modo che potessero discutere tra di loro sulle proprie idee.

In Inghilterra ha inizio nel 1796 quando Wordsworth e Coleridge pubblicarono Le ballate liriche costtuite
nella prefazione dal manifesto di questa nuova poetica

In Italia ebbe inizio nel 1816 quando sulla rivista La Biblioteca Italiana venne pubblicato un articolo di
Madame de Steal che provocò una serie di repliche che diedero via ad un dibattito tra i classicisti e i
romantici

In Francia iniziò nel 1813 quando apparve la traduzione degli scritti di Madame de Steal La Germania e
quelli di August Schlegel Corso sull’arte e sulla letteratura drammatica

L’inizio della rivoluzione industriale favorì l’ascesa di una nuova classe sociale quella della borghesia la
quale si fondava sui principi di libertà e di fiducia nelle proprie forze. Lo sviluppo delle macchine a vapore
portò un grande tasso di impoverimento della popolazione, la quale fu costretta a trasferirsi nei quartieri
operai e vivere in condizione igieniche del tutto precarie. La borghesia divenne la classe sociale
predominante, al contadino si sostituì il proletario.

Questo sviluppo industriale interessò anche l’editoria, però che cosa successe? Di fatto l’autore scriveva più
opere perché il suo lavoro era destinato ad un largo pubblico ma di fatto allo stesso tempo le sue libertà
iniziarono a limitarsi in quanto doveva seguire le leggi imposte. Interessante è che proprio in questo
periodo, in Francia, venne introdotto il diritto di proprietà letteraria, l’odierno diritto d’autore.

IL ROMANTICISMO TEDESCO

Alcuni degli esponenti più importanti del romanticismo tedesco furono i fratelli August e Friedrisch Shlegel.
Grazie alla loro rivista riuscirono a porre i concetti chiave di questo nuovo movimento letterario, in
particolare infatti si concentrarono più sulla differenza tra il classico ed il romantico

Il romantico: misurarsi con l’infinito (August Schlegel)

- Vengono indicate le caratteristiche della poesia romantica facendo paragoni con quella classica
- Il romantico si basa sul distacco tra mondo moderno e il mondo antico
- L’uomo è destinato ad essere immortale facendo nascere in lui la consapevolezza dell’infinito
- L’infinito allo stesso tempo rileva un valore insufficiente all’esperienza terrena
- La felicità non appartiene a questo mondo e gli oggetti, che sono effimeri, non potranno mai
riempire il vuoto del nostro cuore
- Obiettivo fondamentale della poesia romantica è unire sensi e anima
IL ROMANTICISMO INGLESE

Per quanto riguarda la prima generazione dei poeti romantici inglesi, troviamo Wordworth e Coleridge che
furono i primi a trovare in maniera del tutto indipendente dei punti in comune con la poesia inglese e quella
tedesca. I soggetti della poesia romantica sono: la natura e a vita di tutti i giorni e quindi anche tutte le
emozioni degli artisti. I due artisti concordano sul fatto che non esiste una gerarchia tra tutti i generi
letterari, in quanto ritengono la poesia il genere unico per eccellenza, e anche il fatto che si dovesse usare
un linguaggio che sia il più vicino possibile a quello comune. Nella seconda generazione di artisti troviamo
Byron, Shelley. I loro eroi sono ribelli,solitari e perseguitati da un tragico destino

IL ROMANTICISMO FRANCESE

L’esponente più importante fu Victor Hugo che con il suo scritto Cromwell sintetitta i caratteri della poetica
romantica. Come i tempi sono diversi rispetto a quelli antichi: si esige una nuova religione che sarà il
cristianesimo, il verso non dovrà più essere l’alessandrino ma deve essere un verso ricco di enjambements.

LA LETTERATURA PREROMANTICA

Il componimento tipico della cultura preromantica è quello formato dall’incrocio di un componimento


breve, e quindi il poemetto, e una tematica malinconica come per esempio la morte. I preromantici per
eccellenza e che seguiranno le informazioni appena dette sono gli inglesi Eduard Young e Thomas Gray. Le
loro poesie sono caratterizzate da una meditazione struggente, quindi con le loro opere di fatto ci
anticipano i temi che poi si tratteranno nel Romanticismo. Con la poesia a versi sciolti di Young, chiamata in
Italia Le notti, le tematiche affrontate: la religione e questo sentimento di malinconia diede inizio in Italia al
genere delle poesia notturna. Gray invece si concentrò più sull’antichità italiana, tra le sue opere più
conosciute troviamo Elegia scritta in un cimitero di campagna. Già dal titolo vediamo la ripresa
dell’antichità in quanto l’elegia era tipica della poesia latina, ma in questo caso con molta più accentuazione
alla malinconia e alla soggettività sentimentale.

Nel preromanticismo italiano non ci sono delle figure di rilievo, all’Italia comunque arrivarono le
informazioni e anche i componimenti da altre nazioni, infatti ci fu un tempestivo lavoro di traduzione tra gli
artisti del momento, in particolare tra il 1760-1790. Il più celebre traduttore del periodo è Melchiorre
Cesarotti, che tradusse tra il 1763-1772 si dedico alla traduzione delle Poesie di Ossian figlio di Fingal,
antico antico poeta celtico. Nel 1772 tradusse anche Elegia scritta in un cimitero di campagna di Gray. In
questo modo la poesia sepolcrale e la notturna si diffusero anche in Italia. Altro traduttore importante fu
Aurelio de’ Giorgi Bertola, grande conoscitore della letteratura tedesca che scrisse Idea della bella
letteratura alemanna. Lo scrittore che più di altri fece proprie le caratteristiche del preromanticismo fu
Ippolito Piedimonte autore di Poesie campestri e in seguito le Prose, traduttore dell’Odissea.

IL ROMANTICISMO ITALIANO

Il romanticismo in Italia nacque a Milano nel 1816, quando venne pubblicato nella rivista La Biblioteca
Italiana l’articolo di Madame de Stael Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni. In questo l’autrice esorta gli
italiani a tradurre non solo le opere dei classici ma anche gli autori tedeschi e inglesi. Secondo la poetessa
sarebbero state molto utili le traduzioni di Shakespeare. L’articolo purtroppo o per fortuna venne preso
molto sul serio che però suscitò grande scalpore e provocò una serie di repliche. I classicisti, dopo aver letto
questo articolo, punti da questo fatto di arretratezza culturale risposero subito. Pietro Giordani fu colui che
rispose all’articolo di Madame de Stael che anch’esso venne pubblicato ne la Biblioteca italiana. Con il suo
articolo Giordano rivendica la validità della scuola italiana e dubita che si possano aggiungere temi nordici
sul tronco classico della letteratura italiana. A questo dibattito intervenne anche Giacomo Leopardi ma non
trovando pubblicazione nella rivista ne per quanto riguarda le due lettere ne per quanto riguarda Discorso
di un italiano intorno alla poesia romantica, nel quale rifiuta il consiglio di tradurre le lingue moderne ma di
incentrarsi di più sullo studio delle lingue classiche. Altri letterati come Pietro Borsieri, Giovanni Berchet e
Ludovico di Breme appoggiarono la tesi di Madame de Stael. Borsieri ribadì l’importanza delle traduzioni
mentre Berchet condannò la mitologia dichiarando che la religione dei moderni fosse il cristianesimo.
Affermò anche che gli argomenti trattati nella poesia dovevano essere popolari, in modo tale che anche la
classe medio - bassa potesse capirla. Anche Moti, maggior esponente del neoclassicismo, intervenne
appoggiando i classicisti con lo scritto Sermone sulla mitologia, dove esaltava la bellezza e la solarità dei
miti classici.

Il Romanticismo in Italia è caratteristico poiché si instaurò relativamente tardi rispetto agli altri stati e in
più nasce in seguito ad una conoscenza dei testi romantici tedeschi. Bisogna comunque tenere in
considerazione il fatto che i lombardi ed i piemontesi erano gli eredi dell’Illuminismo, quindi
inizialmente furono rifiutati gli aspetti più innovativi ed originali del Romanticismo. Per questo il
Romanticismo italiano viene chiamato Romanticismo moderato, la cui caratteristica fondamentale è
quella della poetica del vero. I manifesti più importanti del Romanticismo sono quelli di Manzoni
quando pubblicò nel 1823 la Lettera a Monsieur Chauvet, nello stesso anno scrisse anche a Cesare
d’Azeglio la lettera Sul Romanticismo e anche I Promessi Sposi. Una differenza tra il Romanticismo
europeo e quello italiano è che in quello italiano ci fu, così come nell’arte, un revival del medioevo. Gli
artisti trovarono in quell’epoca i valori a loro tanto cari come la libertà, l’indipendenza e il patriottismo.

Una questione fondamentale durante questo periodo è quello della lingua. Questo problema era molto
sentito poiché la distanza tra la lingua parlata e quella scritta era tale per cui le opere potevano essere
lette solo da una ristretta minoranza. I romantici però volevano che la loro letteratura fosse utilke a
tutti e che quindi fosse accessibile a tutti. Nacque quindi un dibattito sulla lingua:

- I classicisti puristi ritenevano il ‘300 il secolo d’oro della lingua e quindi e proponevano una
imitazione
- I classicisti come Monti che si opponevano alla lingua usata da tanti letterari nel ‘700, in quanto
secondo loro avevano fatto un eccessivo ricorso ai francesismi ed ai neologismi
- I romantici che avevano come obiettivo quello di accostare sempre si più la lingua scritta a quella
parlata

A questo dibattito ebbero la meglio i romantici, si vedrà con Manzoni nell’ultima edizioni de I Promessi
Sposi dove adottò il fiorentino parlato dai fiorentini colti come modello per uniformare la lingua scritta,
infatti la sua fu la prima opera letterarie veramente popolare.
NICCOLO’ FOSCOLO (UGO FOSCOLO)

- Nasce il 6/02/1778 a Zante (Grecia)


- Nel 1788 il padre di Ugo muore, così l’anno dopo tutta la famiglia si trasferisce a Venezia
- Nel 1792 Foscolo arrivò in Italia e volendo integrarsi sempre di più inizia lo studio della lingua e
della letteratura italiana e classica
- La sua produzione letteraria iniziò proprio in questi anni ma non abbiamo alcun testo in quanto nel
1803 Foscolo diede fuoco al suo lavoro giovanile ripudiandolo
- Nel 1792 ci troviamo nel quarto anno della rivoluzione francese, quattro anni dopo Napoleone
arriva in Italia e prende tutta la parte nord della penisola  fu in questi anni che Foscolo inizia la
sua attività politica (era anche controllato dalla polizia)
- Nel 1796 scappò a Teolo
- L’anno dopo si trasferisce a Bologna, inizia la carriera militare e scrive anche l’ode dedicata a
Napoleone A Bonaparte liberatore. Il titolo dell’ode rivela tutta la sua stima e l’entusiasmo che
Foscolo aveva per Napoleone
- Nel 1797 Foscolo torna a Venezia, il 17/10/1797 viene firmato il Trattato di Campoformio con il
quale Napoleone cede tutti i suoi territori austriaci e Venezia
- Per Foscolo che credeva molto in Napoleone fu un colpo durissimo, infatti l’anno dopo trovandosi a
Venezia sotto territorio austriaco si trasferì a Milano
- A Milano inizia la sua carriera da giornalista, inizia a frequentare letterati come Parini e Monti
- A Milano ci stette poco infatti ritornò a Bologna per iniziare una prima stesura delle Ultime lettere a
Jacopo Ortis
- Fece anche un soggiorno a Genova dove scrisse l’ode A Luigina Pallavicini caduta da cavallo,
ricominciò a scrivere l’Ortis e nello stesso anno ristampò l’ode a Bonaparte precedendola con una
lettera nella quale Foscolo invita Napoleone di restituire la libertà degli italiani e di dimenticare
dalla memoria il Trattato di Campoformio
- Nel 1800 i francesi ripresero il loro potere nella repubblica cisalpina e quindi Foscolo intraprese
delle missioni diplomatiche, nello stesso anno si innamora anche di Isabella Roncioni
- I primi anni dell’800 furono anni critici per Foscolo: nel 1801 il fratello ricordato nel sonetto In
morte del fratello Giovanni
- Quando Napoleone radunò in Francia un’armata che avrebbe invaso l’Inghilterra, Foscolo si unì. In
Francia conobbe alcuni prigionieri inglesi tra cui anche la figlia di uno Fanny Hamilton con la quale
ebbe una bambina
- Nel 1806/1807 tornò in Italia e scrisse il carme Dei sepolcri che venne stampato nel 1807
- Intanto l‘anno dopo venne nominato professore all’università di Pavia di lingua italiana e latina
- Nel 1811 viene rappresentata a Milano la sua tragedia Ajace ma che fu subito proibita dalla censura
e venne invitato a lasciare il territorio
- Si trasferì a Firenze dove scrisse la maggior parte delle Grazie e scrisse anche la tragedia Ricciarda
- Nel 1814 torna a Milano dove gli viene offerta la direzione della rivista La Biblioteca Italiana
- Nel 1815 va in esilio in Svizzera a Zurigo dove pubblica una nuova edizione dell’Ortis
- Dopo la Svizzera va a Londra dove esce l’edizione definitiva dell’Ortis
- Gli anni successivi saranno caratterizzati da delle difficoltà economiche anche se poi riesce
comunque a pubblicare due saggi critici
- Il 10 settembre 1827 muore a Londra
- LE ULTIME METTERE A JACOPO ORTIS

Dopo aver conquistato una certa padronanza nel linguaggio poetico italiano alla fine del 1798 Foscolo si
cimenta con un romanzo che lo terrà impegnato fino al 1817: le Ultime lettere di Jacopo Ortis. Iniziò la
stesura di questo romanzo a Bologna nel 1798 presso il tipografo Marsigli che però ne stampò solo una
parte del romanzo. Dopo l’invasione austro – russa (1799) Marsigli affidò il completamento del romanzo ad
Angelo Sassoli. Nel 1800 questa versione venne poi stampata definitivamente da Marsigli. Foscolo però non
soddisfatto rinnega questa stampa e comincia a curare personalmente il romanzo, facendo uscire una
nuova edizione a Milano nel 1802 (considerata prima edizione completa). Il romanzo ebbe subito un gran
successo, tanto che prima che uscisse la versione definitiva circolavano già alcune versioni gravemente
scorrette che però ebbero grande successo. Durante l’esilio in Svizzera Foscolo elaborerà un’altra versione
con all’interno una Notizia bibliografica nella quale racconta la genesi dell’opera, ne rivendica l’originalità.
Questa versione venne pubblicata a Zurigo nel 1816. Nel suo periodo trascorso in Inghilterra Foscolo
preparò un ultima versione del romanzo, composto da due libri, venne pubblicata nel 1817.

Le edizioni da tenere in considerazione sono quelle del 1800, del 1802 e quella del 1816/1817. Quali sono le
differenze principali tra le tre edizioni? Nella prima edizione il romanzo è ambientato tra il 3 settembre
1797 e il 31 maggio 1798, dove però viene lasciata in disparte la questione politica del periodo mentre
molto presente è il tema amoroso: (1) Jacopo è infelice per colpa di Teresa, vedova con un figlio, che ama
Odoardo (un amico di Jacopo). (2) Nella edizione del 1802 Teresa è una fanciulla il cui padre l’ha promessa
in sposa a Odoardo. Tra Jacopo e lei inizia una storia amorosa anche se di fatto impossibile. Jacopo
rendendosene conto si allontana da Teresa ed inizia un pellegrinaggio formativo. Quando viene a
conoscenza del matrimonio tra la sua amata ed Odoardo si rifugia nei colli Euganei e si suicida. (3) Nella
edizione del 1816 non avvengono cambi drastici alla trama, ma Foscolo invece si concentrerà più sulla
questione linguistica: farà delle correzioni linguistiche e stilistiche. Una differenza molto importante con le
altre edizioni è che on quella pubblicata Zurigo si trova, all’interno del romanzo, una lettera in più datata 17
marzo che contiene n attacco a Napoleone. Nell’edizione del 1817 (Londra) il romanzo viene diviso in due
parti.

Di fatto Ortis e Foscolo sono la stessa persona. Questo si vede perché i rapporti tra autore e personaggio
non vengono distinti (questo poi sarà una caratteristica del romanticismo). Questa mancata distinzione tra
personaggio e autore è una novità nell’opera rispetto alla classica separazione tra la personalità dell’artista
e l’opera. Tra l’autore ed il personaggio c’è però una differenza: Jacopo si suicida, Foscolo no.

Il suicidio dell’Ortis porta con se 3 tematiche principali: la tematica politica, quella amorosa e quella
esistenziale.

1. La delusione politica deriva dal Trattato di Campoformio (con il quale Napoleone cede la repubblica
veneta all’Austria). Fu un brutto colpo per tutti colore che, come Foscolo, credevano nella libertà
nate dalla rivoluzione francese. Proprio con l’apertura del romanzo (Il sacrificio della patria nostra è
consumato: tutto è perduto) si capisce il fallimento del periodo rivoluzionario.
2. La tematica dell’amore fonde come un risarcimento alla delusione politica: il suo amore impossibile
è caricato di una responsabilità esistenziale molto forte. E’ possibile che dopo la venuta a
conoscenza del matrimonio combinato di Teresa quello stesso giorno decida di uccidersi5
3. Queste delusioni politiche e amorose portano a confermare il pessimismo, in quanto il tema
principale del libro non è né la politica né l’amore ma il suicidio. Infatti il tema del suicidio si vede
dall’inizio del romanzo. Secondo Foscolo l’Ortis si deve “guadagnare” il suicidio. I viaggi, i
pellegrinaggi e gli incontri che farà servono non a modificare la sua intenzione ma servono a
trasformare un gesto così egoista in un gesto maturo. Il suicidio dell’Ortis è l’esito estremo di una
rabbia e di un odio che non potendo rivolgersi contro altri assumono oggetto se stesso.
Il linguaggio riprende molto quello della poesia, nonostante questo l’opera è una novità nel panorama
italiano: Foscolo cerca di trovare una lingua da romanzo facendo comunque rifermento alla lingua letteraria
ma allo stesso tempo fare un uso linguistico vivo e coerente.

Aspetto tranquillamente la morte

Nella prima lettera del romanzo Jacopo si rivolge all’amico Lorenzo mentre con il Trattato di Campoformio
(1797) Napoleone cedeva la Repubblica veneta all’Austria. Il crollo dell’illusione politica porta con sé il
crollo di tutte le altre, così che il romanzo si apre sotto una suggestione eroico-negativa di stampo
alfieriano. Jacopo ha lasciato la nativa Venezia, ritirandosi sui colli Euganei, per sfuggire le persecuzioni che
contro di lui metteranno prevedibilmente in opera gli austriaci.

Nell’incipit sono identificati subito alcuni temi fondamentali:


1. Patria: il “sacrificio” della patria significa che “tutto è perduto”. La tragedia collettiva diventa subito
personale
2. Esilio: la fuga di Jacopo è causata dalla preghiera della madre, non è un atto di viltà, ma di pietà filiale. La
tragedia non è più solo politica, diventa intima e familiare.
3. Integrità personale: Jacopo deve trasferirsi anche dai Colli Euganei, perché tradito e perseguitato:
l’invettiva contro gli Italiani servi e pavidi, che per opportunismo isolano i patrioti si riferisce all’idea
dell’intellettuale incompreso, che si eleva moralmente al di sopra della massa gretta e ipocrita. Il testo si
conclude con la disperazione nell’esito positivo della lotta soprattutto per l’esiguità del numero dei “pochi
uomini buoni”, che potranno solo compiangere l’eroe sconfitto recandosi sulla sua tomba, infatti la morte è
l’unica soluzione alla tragedia collettiva e personale.
Stile
Lo stile dell’Ortis è definito di “prosa lirica”, reso attraverso periodi brevi, in cui sono frequenti le
interrogative retoriche che sottolineano il carattere eroico e impulsivo di Jacopo. Il tono è elevato, alto e
solenne, perché Jacopo scrive in modo concitato e appassionato. Foscolo utilizza le frome poetiche nella
prosa per ottenere questo effetto, infatti l’incipit è costituito da un endecasillabo “Il sacrificio della patria
nostra”, e due quinari “è consumato” e “Tutto è perduto”. Tali scelte formali rendono il passionato, il
trasporto emotivo con cui Jacopo scrive e a cui Foscolo tende, passando dal tono tragico, alto, solenne,
spezzato da esclamazioni frequenti, a quello elegiaco, di descrizione di sentimenti puri e sereni che
comparirà in lettere successive.
Temi
Subito nella prima lettera compaiono i temi fondamentali del romanzo: le illusioni. La patria perduta, da cui
fugge per evitare di tradire, il legame con la famiglia — soprattutto il desiderio di protezione per la madre
— , l’ansia di libertà, la coerenza spinta fino al sacrificio personale. Il dilemma di Jacopo assume fin dal
primo testo una dimensione universale, infatti la sua disperazione non è solo individuale, ma di tutta la sua
generazione che deve scegliere tra ideali e opportunità.

Inoltre la prima lettera anticipa al lettore attento la conclusione della tragedia: il presagio del suicidio
esprime l’intolleranza di Jacopo rispetto al compromesso e la volontà di compiere un atto eroico che sia di
monito a tutti. Jacopo, non potendo vincere (cioè realizzare le illusioni), afferma la sua dignità con la morte,
nella quale si intravede il desiderio di essere ricordato come figura esemplare.
La terra è una foresta di belve

La lettera è divisa in due parti (due giorni). Nella prima parte Jacopo Ortis fa una lista di pro e contro al
suicidio, nella seconda parte il protagonista si abbandona a considerazioni filosofiche sulla natura,
sull’uomo e sulla storia.

Nel suo vagabondare per l’Italia Jacopo, cedendo alle insistenze di Lorenzo e della madre, si reca a
Ventimiglia, da dove dovrebbe emigrare in Francia per sfuggire alle persecuzioni politiche. Qui giunto,
tuttavia, anziché attraversare il confine , decide di tornare a morire nella sua patria. Dopo aver preso questa
decisione fatale. Jacopo espone le sue riflessioni conclusive sulla Storia e sulla condizione umana.

La personificazione della Natura esprime il senso di minaccia e l’inospitalità del luogo, essa si mostra solitaria
e minacciosa, schiacciando così ogni forma di vita. Infatti la lettera si apre con la descrizione di un paesaggio
montuoso, pieno di ghiacciai e burroni, che riflette lo stato d’animo del protagonista: emerge un senso di
morte incombente e sempre presente nelle molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati. Dunque
il paesaggio — tragico, grandioso, spaventoso e affascinante — riflette la condizione interiore di Jacopo. Il
suo animo sconvolto annuncia l’avvicinarsi della tragedia e la Natura porta gli stessi segni di morte che
Jacopo ha dentro di sé e di lacerazione interiore, espressa dall’erosione del torrente Roja, che ha spaccato in
due questa immensa montagna.

Jacopo rivendica, inutilmente, di essere un italiano, perché è consapevole della decadenza della patria. La
riflessione sulla misera situazione politica italiana apre alla nostalgia per le glorie passate dell’Impero
romano. La nazione, infatti non ha più il prestigio conquistato nell’antichità, ma è sottomessa ai popoli
stranieri.

La riflessione razionale denuncia in modo perentorio la vanità delle illusioni e degli ideali che potrebbero
dare un senso alla vita, tuttavia contemporaneamente Jacopo esprime con passione sentimenti di
disperazione e di ribellione suscitati dall’inaccettabilità di questa situazione. Questo andamento per opposti
conferisce una tensione drammatica alla sintassi, che alterna frasi recise e lapidarie con periodi ampi e
articolati, ricorre all’anafora e all’apostrofe nei momenti più incalzanti e concitati e evidenzia frasi
esclamative e interrogative di forte impatto emotivo.

La riflessione di patriota si amplia verso una considerazione complessiva della Storia dell’umanità, descritta
come un meccanismo feroce, dominato dalla violenza e modellato da una legge ciclica e inesorabile di pesi e
contrappesi, sulla quale l’uomo non ha alcuna possibilità di azione.

Emerge dal lungo excursus sul passato la vanità della storia che si caratterizza per essere una lotta cieca per il
potere, nella quale i vincitori di oggi saranno i vinti di domani. La Storia appare, perciò, come un ciclo
ininterrotto e insensato di nascita e di morte, che produce solamente sofferenze inutili, indipendenti dal
valore degli uomini e delle cause per le quali combattono.

Il pessimismo foscoliano comprende anche la Natura, che appare regolata da un ciclo di trasformazioni in cui
ogni processo è solo uno stato transitorio prima della morte. Tale visione del mondo suscita in Jacopo
sgomento, non incitamento alle grandi azioni; la gloria stessa è per Foscolo un nome vano destinato a
estinguersi nel giro di qualche generazione.

La riflessione di Jacopo giustifica la sua scelta di suicidio, perché la sua concezione lucidamente materialistica
e razionale della realtà svela il carattere illusorio di tutti gli ideali e i valori per cui varrebbe la pena di vivere,
e l’eroe che non accetta di scendere a patti con i limiti dell’esistenza non ha altra strada che rinunciare alla
vita stessa.
Il suicidio di Jacopo

Jacopo, ormai disperato, ritorna sui Colli Euganei, si chiude nello studio, esaminando tutte le sue carte, che
in parte distrugge. Si allontana di nuovo e va dalla madre, per un ultimo abbraccio, poi torna sui suoi passi e
prima di morire, scrive due lettere, una a Lorenzo e una a Teresa. Jacopo si uccide la notte del 25 marzo.

Il suicidio non è improvviso, bensì è un atto lungamente meditato e accuratamente preparato (l’ultima visita
a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l’ultima
passeggiata….), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza. La decisione di
uccidersi rappresenta, l’affermazione e bisogno di libertà, denuncia di oppressione e protesta contro la
società e il destino

Per l’estremo saluto Jacopo torva il coraggio di rivolgersi direttamente a Teresa, attraverso un testo che solo
apparentemente è espressione emozionata e spontanea, infatti si coglie l’attenzione alla scelta delle parole
giuste per far accettare alla donna amata la sua decisione estrema.

L’addio di Jacopo si estende alla Natura, a tutti gli esseri viventi, rivendicando il perdurare fino all’ultimo
delle passioni e delle illusioni. Dopo solo la notte eterna attenderà Jacopo, che non ha alcuna speranza in
una vita ultraterrena, esprimendo così il rigido materialismo di Foscolo e rendendo ancora più eroico il suo
sacrificio in nome del rifiuto di ogni forma di compromesso.

Il gesto di Jacopo non è un suicidio improvviso, bensì un suicidio lungamente meditato e accuratamente
preparato (l’ultima visita a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da
consegnare a Teresa, l’ultima passeggiata….), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e
impotenza. Il riferimento evangelico (Gesù nel Getsemani dice “Allontana da me questo calice”) collega la
morte imminente di Jacopo al sacrificio di Cristo, immolatosi per salvare l’umanità

Dopo aver rievocato i giorni felici nella prima parte della lettera, Jacopo annuncia la separazione e la propria
morte.

L’eroismo del suicidio risiede nella coerenza di Jacopo alle proprie scelte morali, il rifiuto della vita assume
così il significato di modello per le generazioni future, esso dà senso a tutta la vita del giovane.

Quello dell’Ortis è, ad una lettura più attenta e profonda, un doppio suicidio in quanto le ragioni che lo
spingono al gesto estremo sono duplici: l’amore impossibile per Teresa e la lotta, ugualmente impossibile,
per la patria. E perciò quello che Jacopo cerca e trova nel suicidio è la rappresentazione estrema di ciò che
cercano tutti i romantici: l’infinito, la tensione eterna verso di esso.

Sarà Lorenzo a trovare il corpo insanguinato di Jacopo, al collo del quale scoprirà l’immagine della donna
amata. La descrizione particolareggiata degli oggetti sullo scrittoio di Jacopo ha un significato simbolico, in
quanto tutto allude alla precarietà della vita: la Bibbia rimanda ad una ricerca spirituale — già evidenziata
nella lettera indirizzata a Teresa — tuttavia è chiusa, poiché Jacopo non vi ha trovato conforto; la lettera alla
madre, corretta e interrotta, alludono all’inutilità dello scrivere di fronte alla vita interrotta di un figlio;
l’orologio è metafora del trascorrere del tempo.

Nella lettera scritta a Lorenzo in quello stesso giorno ha indicato le sue ultime volontà, che verranno
rispettate: “Fa’ ch’io sia sepolto, così come sarò trovato, in un sito abbandonato, di notte, senza lapide, sotto
i pini del colle che guarda la chiesa. Il ritratto di Teresa sia sotterrato col mio cadavere”. In questo modo
Jacopo fa apparire come libera scelta la sepoltura in terra non consacrata, visto che ai suicidi all’inizio
dell’Ottocento non erano concessi riti funebri né tombe entro i cimiteri, in quanto peccatori irredimibili.
LE ODI E I SONETTI

Tra il 1798 – 1799 Foscolo mandò alla stampa la sua raccolta di poesie chiamata le Poesie. L’edizione finale
contava in totale 2 odi e 12 sonetti. Lr die odi sono ispirati ad avvenimenti reali: la prima alla caduta da
caballo di Luigia Pallavicini e l’altra alla guarigione della malattia di Antonietta Arese. Questi eventi reali ma
allo stesso tempo anche crudi vengono trascritti attraverso una dimensione simbolica e uno sfondo
mitologico.

Nei sonetti invece vi è un continuato autoritratto in versi, in cui si delinea la figura dell’autore dotato di
passione e di sentimenti. Nell’edizione finale i sonetti sono 12, un componimento per ogni mese. Il primo
sonetto Alla sera ha una funzione introduttiva poiché riassume le tematiche e le caratteristiche
fondamentali degli altri 11 sonetti. Il blocco di sonetti però va interpretato come 1 + 11 così da recuperare
un tema tipico del Romanticismo cioè la presenza dell’io.
ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)

- Nato a Milano dal conte Pietro Manzoni e Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria (autore Dei delitti
e delle pene)
- All’età di 11 anni venne mandato al collegio di Merate presso i padri somaschi
- L’anno dopo i genitori si separarono e la madre si trasferì a Parigi qualche anno dopo con il
compagno
- Nel 1797, per paura dell’arrivo delle truppe napoleoniche nel territorio, i collegiali vennero
trasferiti in Svizzera
- Nel 1798 cambiò collegio, passò dai padri somaschi ai barnabiti a Milano, dove ci rimane fino al
1801 quando rientrò a casa
- Nello stesso anno scrisse Del trionfo della libertà + alcuni sonetti e odi
- Fu amico stretto con Monti, il quale molto spesso lo rimproverava per la sua condotta non del tutto
corretta
- Nel 1803 il padre lo trasferì a Venezia in quanto era preoccupato per le sue amicizie che riteneva
pericolose, idealmente che moralmente
- Dopo il soggiorno a Venezia, a Milano conobbe Vincenzo Cuoco un intellettuale napoletano.
- Avvenimento decisivo nella sua vita fu il rincontro con sua madre a Parigi, che lo aveva invitato per
fare la conoscenza del compagno Carlo Imbonati, poco prima del suo arrivo però il compagno morì
- Proprio in questa occasione Manzoni scriverà un poemetto a lui dedicato In morte di Carlo
Imbonati, che costituì l’inizio della sua fama.
- Da Parigi, Manzoni insieme alla madre, tornarono più volte in Italia  nel 1807 tornarono in Italia
per la morte del padre
- Nell’ottobre dello stesso anno Manzoni conobbe quella che poi diventerà sua moglie Enrichetta
Blondel. Nel giugno del 1808 la coppia insieme alla madre tornarono a Parigi dove poi nacque la
loro primogenita il 23 dicembre
- Nel 1809 scrisse il poemetto l’Urania, mentre nel 1811 scrisse A Partenide
- Fu proprio in questo periodo che Manzoni inizia un cammino spirituale che lo condusse alla
conversione, tanto che fece battezzare sua figlia con rito cattolico e ricelebrò le nozze con Blondel
secondo il rito cattolico
- Questa sua attaccatura a Dio, condusse sua moglie all’abiura del calvinismo e all’ingresso di
entrambi alla chiesa cattolica
- Questa sua conversione ebbe delle conseguenze anche nella sua scrittura, in quanto abbandonò i
suoi progetti e cominciò la stesura di Inni sacri, il progetto però rimane incompiuto
- Nel 1815 uscirono i primi 4: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale e La Passione
- Questo per Manzoni fu un periodo di grande creatività in quanto nel 1817 riprende gli Inni Sacri e
scrive La Pentecoste, compone la Parte prima delle Osservazioni sulla morale cattolica, le tragedie Il
conte di Carmagnola e Adelchi. Compone anche le odi Marzo 1821 e Il cinque maggio
- Scrive anche Fermo e Lucia che poi verrà rielaborati nei Promessi Sposi
- Definì i caratteri della sua poetica in due lettere: la prima Lettera a Monsieur Chauvet, la seconda la
lettera Sul Romanticismo a Cesare d’Azeglio
- Il conte di Carmagnola e Adelchi ebbe molto successo tanto che venne recensito anche da Goethe,
nel 1822 tradusse Il cinque maggio
- Tra il 1833 muoiono sia la moglie Enrichetta che la figlia Giulia. Nel 1837 si risposa con Teresa Borri,
vedova del conte Stampa
- Nel frattempo esce l’edizione definitiva de I Promessi Sposi
- Nel 1860 è nominato senatore del Regno d’Italia
- Il 22 maggio 1873 morirà a causa di una caduta avvenuta il 6 gennaio (inciampa su un gradino della
chiesa) dalla quale non si riprenderà più.
- LE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA E L’ADELCHI

Innanzi tutto, in questo periodo del Romanticismo molti artisti romantici si cimentarono con le tragedie
e di conseguenza il teatro poiché offriva un rapporto diretto con il pubblico e con la lingua usata al
tempo, la comprensibilità di quello che si stava vedendo faceva si che l’autore potesse trasmettere la
sua idea oppure il suo modo di vedere il mondo.

Manzoni in totale scrisse 3 tragedie: Il conte di Carmagnola, l’Adelchi e Spartaco di cui però stese solo il
materiale preparatorio. La stesura della tragedia Il conte di Carmagnola fu molto laboriosa: iniziò nel
1816 e fu pubblicata nel 1820. Le cause che lo indussero ad impiegarci così tanto tempo furono da una
parte la necessità di approfondire i problemi teorici e morali della tragedie, dall’altra la volontà di
Manzoni di terminare Osservazioni sulla morale cattolica (1819). L’ Adelchi venne iniziata il 7 novembre
1820 e venne terminata il 21 settembre 1821. In questo caso la stesura durò poco in confronto alla
revisione a cui venne sottoposta la tragedia dovuto alla censura austriaca. Queste due tragedie furono
accompagnate nelle prefazioni da un’approfondita riflessione teorica sulla tragedia: Manzoni sosteneva
che tra le unità di Aristotele, la più importante fosse quella di azione  individuare una serie di
avvenimenti e legarli tra di loro con rapporto di anteriorità o posteriorità. L’unità di azione quindi non
significa scegliere un solo avvenimento ma optare per una concatenazione dei fatti.

- I PROMESSI SPOSI

Nel 1821, Manzoni interrompe la stesura dei promessi dell’ Adelchi per dedicarsi ai primi capitoli del
Fermo e Lucia. Ma perché abbandona la tragedia per intraprendere un romanzo? Manzoni si rende
conte che il romanzo storico gli consente di manifestare pienamente il suo desiderio di rappresentare il
“vero”: in tal modo potrà descrivere un’epoca, mettendone in risalto non solo gli avvenimenti storico –
politici ma anche i modi di vivere, le opinioni e i riflessi che quei fatti avevano esercitato sulla vita degli
uomini del tempo. La verità storica infatti doveva essere integrata con le vicende dei personaggi
inventati. L’invenzione doveva mantenersi fedele alla realtà, ispirandosi quindi ad un criterio di
“verosimiglianza”.

Nello scrivere la sua più grande opera, Manzoni dichiara di essere stato influenzato da Walter Scott
autore del romanzo storico Ivanhoe, ambientato in Inghilterra nel XII sec. Manzoni afferma anche, a
differenza di Scott, che cerca di seguire una rigorosa sequenza storica e una rigorosa analisi psicologica
dei personaggi. Cercando anche di combattere lo “spirito romanzesco”, quindi quella tendenza di
delineare sfondi storici artificiosi con numerosi colpi di scena.

Nel 1821 Manzoni progetta un romanzo ambientato a Milano nel Seicento il Fermo e Lucia, titolo
provvisorio che prende dal nome dei due protagonisti. La prima edizione venne pubblicata nel 1827, ma
non soddisfatto dell’opera inizia un lavoro di revisione che si concluderà definitivamente con l’edizione
finale nel 1840. La scelta del Seicento come periodo storico in cui ambientare un’opera letteraria era
del tutto nuova. I motivi dell’interesse di Manzoni verso questo periodo storico vengono analizzati nella
lettera a Fauriel, dove possiamo capire che il Seicento colpì a Manzoni perché sullo sfondo denso di
irrazionalità che dominava poteva dare luogo a due risultati: da una parte gli uomini avrebbero potuto
provocare i peggiori delitti, dall’altra sarebbero stati benefattori delle più grandi virtù.

Il 24 aprile del 1821 iniziò la stesura della prima edizione dei Promessi Sposi con il nome di Fermo e
Lucia. Nello stesso anni termina anche l’ Adelchi. La prima edizione del romanzo si conclude ne 1823,
dopo un periodo di correzione durato un anno i primi 11 capitoli erano pronti per la stampa, il secondo
tomo fu stampato nel 1825 e il terzo nel 1827. Nello stesso anno uscirono in tre tomi I Promessi Sposi.
Storia milanese scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni.
Quando inizia la stesura dell’opera Manzoni si pone il problema di utilizzare una lingua che sia in grado
di raggiungere un pubblico vasto e di cultura media. Con l’ultima fase finale di correzione dell’opera, le
modifiche sono quasi totalmente di carattere linguistico per adeguare la forma al tono medio, parlato,
con un riferimento diretto alla lingua fiorentina colta ed eliminando le espressioni più antiquate. La
soluzione del problema della lingua è di notevole importanza perché conduce alla creazione di una
lingua letteraria, ma allo stesso tempo vicina con il parlato. Per Manzoni è indispensabile farsi capire
per penetrare nelle coscienze delle persone.

Don Abbondio (I capitolo)

Nel primo capitolo vediamo l’entrata in scena di Don Abbondio, uno dei protagonisti del romanzo.
Uomo tranquillo e abitudinario, ogni sera una passeggiata lo conduce sempre nei medesimi posti: un
tabernacolo all’incrocio di due viette. Una sera proprio durante la sua passeggiata, proprio prima che
l’incrocio si possa dividere, Don Abbondio incontra degli individui dall’aspetto inquietante. Con la
comparsa dei bravi, Manzoni ci mette al corrente della loro identità e degli incarichi che questo tipo di
criminali svolgeva. Il racconto riprende con la scena del dialogo tra Don Abbondio, che ormai aveva
verificato l’impossibilità di trovare una via di fuga, e i bravi, che gli intimavano di non celebrare le nozze
tra Renzo e Lucia, previste per l’indomani. Il mandante di tutto ciò è don Rodrigo (il capo dei bravi). Don
Abbondio incapace di contrastare la volontà del del signorotto, si dichiara disposto all’ubbidienza. La
narrazione si interrompe di nuovo con una riflessione sulla figura di Don Abbondio: si era fatto
sacerdote non per vocazione, ma per garantirsi i privilegi di una vita tranquilla.

- L'incontro tra Don Abbondio ed i Bravi permette a Manzoni di fare una digressione sul clima di
violenza che caratterizza il Ducato di Milano sotto la dominazione spagnola
- I deboli devono subire le angherie dei potenti e non sono tutelati dalla Giustizia. All’interno di
questo duro quadro sociale si inserisce Don Abbondio NOTA 1
- Da qui la sua decisione di inserirsi in una classe riverita e potente come quella ecclesiastica e di
elaborare un sistema di totale neutralità o di schieramento con il più forte come metodo di difesa
dai pericoli del mondo esterno.
- La filosofia di vita di Don Abbondio è quella di essere neutrale: la volontà di non scegliere mai da
che parte stare. Quando invece è obbligato a doversi schierare tende sempre a schierarsi dalla
parte del più forte, ma allo stesso tempo cerca sempre di rimanere in buoni rapporti con l’altro
- Il realismo, che è caratteristica peculiare di Manzoni, si può iniziare a vedere da un lato nella
descrizione dei luoghi che sono molto precise e dall’altro anche nella capacità di motivare
psicologicamente la paura di Don Abbondio e i suoi comportamenti
- Don Abbondio quindi, uomo di chiesa (bene), accettando le richieste fatte da don Rodrigo si trova
di fatto dalla parte del’oppressore di Renzo e Lucia: infatti Manzoni nel testo dirà che si trova a
scaricare la pressione del proprio male umore su persone che sono incapaci di fare il male
- Per quanto riguarda i bravi non viene detto molto: viene descritto il loro abbigliamento e dai gesti e
dalle parole traspare tutta la loro arroganza.
Il duello di Lodovico (IV capitolo)

All’inizio del 4 capitolo fra Cristoforo, sollecitato dalla richiesta di aiuto di fra Galdino, si sta dirigendo da
Lucia. La vicenda del romanzo si interrompe con un flashback che informa il lettore del passato di fra
Cristoforo. In gioventù, Lodovico (questo era il nome del frate) era il figlio di un ricco mercante di stoffe
(borghesia). Nonostante egli possedesse di una cospicua ricchezza, le sue origini, non nobili, destavano
avversione nei coetanei appartenenti all'aristocrazia. Si era quindi messo a contrastarli, prendendo le difese
dei più. Era però obbligato a ricorrere a metodi illegali e a servirsi, se necessario, dell'appoggio dei bravi. Un
fatto imprevisto cambia per sempre la vita di Lodovico. Un giorno, mentre percorreva le strade della sua
città, viene sfidato a duello da un nobile per una questione di precedenza. Cristoforo, il servitore di
Lodovico, interviene in difesa del padrone e muore, trafitto da un colpo di spada infertogli dal nobile. In
preda alla rabbia, Lodovico uccide il rivale. La folla, che si era radunata per assistere alla disputa, riconosce
le buone ragioni del comportamento di Lodovico che, approfittando della confusione, riesce a raggiungere
un convento di frati cappuccini, poco distante dal luogo dello scontro. Qui egli chiede e ottiene di godere
del diritto di asilo, che affermava l'inviolabilità dei luoghi sacri da parte della giustizia. Ottiene quindi
l'approvazione del superiore del convento e, per non dimenticare quel tragico fatto, prende il nome del
servo che era morto per lui, chiamandosi da quel momento in poi fra Cristoforo.

- Il quarto capitolo far emergere tre tematiche importanti:


1. La contrapposizione tra istinto e senso morale: sono le due opposizioni che caratterizzano il
personaggio di padre Cristoforo combattuto tra l’impulsività del proprio carattere, che lo porta a
commettere azioni gravi, e la pulsione di giustizia che va esercitata rispettando le regole morali;
2. La conversione: la scelta della vita monacale è ciò che permette a Lodovico di scoprire, dopo un
faticoso percorso, la sua vera identità. Essa non avviene all’improvviso, sulla scia di un impulso
emotivo, ma è a lungo ponderata e maturata;
3. La potenza del bene: la scena del perdono evidenzia come il sentimento del bene sia possibile
anche per coloro per tutta la loro vita ne sono stati estranei. Manzoni la fa emergere dalla
contrapposizione tra la teatralità della scena nel palazzo del fratello dell’ucciso, che doveva
rappresentare la spettacolarizzazione dell’umiliazione di frate Cristoforo, e il reale pentimento e
sconforto provati dal frate. La finzione teatrale è vanificata dal trionfo del sentimento vero, della
sincerità.
- In poche righe di descrizione emerge tutta la complessità della personalità di Cristoforo la cui indole
impetuosa e passionale viene tenuta a freno da un grande e continuo esercizio di volontà e di
razionalità.
- La conversione ha avuto su Cristoforo l’effetto di indirizzare verso il bene le tendenze caratteriali
con cui è nato ma non le ha cancellate ed in lui vi sarà sempre questa lotta tra il temperamento e la
volontà religiosa che contribuirà a conferire drammaticità al personaggio.
- Padre Cristoforo non è un personaggio storico, è un personaggio d’invenzione, ma Manzoni lo
costruisce tenendo conto delle fonti storiche, cioè testi dell’epoca che documentano certe vite di
santi. NOTA 2
Suor Gertrude, “La sventura riposa” (X capitolo)

Nel capitolo IX il narratore, dopo aver accompagnato Agnese e Lucia al convento della “signora”, inizia a
raccontare la storia della monaca Gertrude: sin da quando era piccola, Gertrude è stata educata con lo
scopo che poi sarebbe diventata una suora, la ragazza però prova in tutti i modi a scampare da questo suo
destino pianificato da quando è nata. Gertrude cercherà più volte di convincere il padre a non mandarla in
monastero ma il suo futuro è già stato decido: entrerà in monastero perché questa è la sola decisione
onorevole che le resti. In un momento di debolezza dialogando con il padre, la giovane pronuncia un Ah si!
che il padre volutamente interpreta come un'accettazione della sua proposta. Il mattino seguente,
accompagnata da tutta la famiglia si reca al monastero di Monza dove la sta spettando la badessa. La
mattina successiva, Gertrude viene sottoposta a un esame da parte del vicario delle monache, il sacerdote
che ha il compito di verificare l'autenticità delle vocazioni. Dopo un anno di noviziato, pronuncia i voti
perpetui e diventa monaca per sempre. Nominata maestra delle educande, il suo comportamento nei
confronti delle giovinette che le sono state affidate oscilla tra modi altezzosi e aspri e una confidenza
eccessiva e sguaiata. Gli anni trascorrono senza mutamenti di rilievo, quando Gertrude conosce Egidio, un
criminale che abita presso il convento. Prende così avvio una relazione che condurrà i due protagonisti a
essere rispettivamente la complice e l'esecutore di un terribile omicidio. Una conversa, dopo una lite nella
quale aveva minacciato di rivelare ciò che sapeva del legame proibito, scompare nel nulla: fanno pensare
che sia fuggita, probabilmente in Olanda. Le suore non sanno però che il suo corpo è seppellito
provvisoriamente nel terreno del monastero. Lucia e Agnese vengono presentate a Gertrude circa un anno
dopo quegli eventi delittuosi. Terminato il flashback sulla vita della monaca, il narratore ci riporta al tempo
del racconto, informandoci che Gertrude ha deciso di accordare la sua protezione alle due donne.

- Il capitolo costituisce la seconda parte del lungo flashback (iniziato nel cap. IX) con cui l'autore
racconta la passata vicenda di Gertrude, che la porta alla forzata monacazione e poi al delitto: il
vero protagonista, almeno fino all'ingresso della giovane in convento, è il principe padre, che spinge
la figlia a prendere il velo con ostinazione caparbia e con una sottile abilità psicologica che rasenta
in certi momenti la perfidia.
- Tutto avviene secondo le regole spietate del decoro nobiliare e dell'onore aristocratico, per cui alla
fine Gertrude accetta di entrare nel chiostro dove, così almeno crede, potrà godere dei privilegi che
le spettano come dovuti al suo rango nobiliare
- La visita di Gertrude al convento di Monza, dove chiede alla badessa di essere ammessa nel
chiostro, avviene in modo pubblico e ha tutti i caratteri di un'esibizione della potenza della famiglia
agli occhi degli altri nobili e del popolo: c'è una certa teatralità in questa sorta di messa in scena, in
cui gli abitanti della città sono gli spettatori e la badessa e gli altri sono gli attori che recitano la loro
parte guidati dal principe
- La scena ha qualche analogia con quella in cui Lodovico, divenuto fra Cristoforo, va a chiedere
perdono al fratello dell'uomo che ha ucciso
- Compare il personaggio di Egidio, il giovinastro che diventa amante di Gertrude e commette
insieme a lei il delitto della conversa che, venuta a sapere del loro segreto, minaccia di rivelarlo: il
tutto viene sinteticamente riassunto dall'autore, che non scende nei dettagli della relazione
clandestina né del delitto
Il rapimento di Lucia (XX capitolo)

Accompagnato da alcuni suoi bravi, don Rodrigo viene condotto alla presenza del signore, al quale chiede
aiuto per rapire Lucia. L’Innominato, datogli il suo assenso, lo congeda dopo averlo avvisato che avrebbe
presto ricevuto istruzioni. Rimasto solo, l'innominato si trova indispettito d'aver dato la sua parola a don
Rodrigo. Da tempo, il terribile uomo aveva incominciato a provare una specie di fastidio per le sue imprese
criminali. La vecchiaia incombente e il pensiero della morte, con la conseguente possibilità del giudizio
divino, lo inducono a riflettere sulla propria vita, nello storzo, fino a quel momento rivelatosi inutile, di
tornare l'uomo di un tempo. L'esistenza di Dio lo aveva sempre lasciato indifferente, sebbene talora ne
sentisse dentro di sé la voce. Allo scopo di mettere a tacere questo turbamento, l'innominato si impegnava
in azioni pericolose, per convincersi che nulla fosse cambiato: ecco perché aveva accettato di rapire Lucia,
pensando di sfruttare l'intervento di Egidio e le sue relazioni con la monaca di Monza. Congedatosi da don
Rodrigo, l'innominato fa chiamare il Nibbio, un bravo coraggioso e fedele, che dovrà recarsi a Monza, per
comunicare i suoi ordini a Egidio. Questi risponde prontamente che l'impresa si prospetta facile e sicura,
potendo egli contare sulla complicità di Gertrude. Costei inorridisce all’idea di tradire Lucia, ma, non
avendo la forza morale di ribellarsi a Egidio, ubbidisce. Nel giorno stabilito per il rapimento, Gertrude
chiede a Lucia di portare un suo messaggio al padre guardiano del convento dei cappuccini. Nonostante
cerchi di opporre resistenza, la giovane accetta ed esce dal monastero. Gertrude sembra ripensarci e la
richiama indietro; poi, ripreso il controllo delle proprie emozioni, finge di istruirla sulla strada da percorrere
e, cosi facendo, la consegna al suoi rapitori.

La conversione dell’Innominato (XXI capitolo)

L'innominato pensa di far avvertire don Rodrigo affinché la ragazza venga portata via, ma poi si risolve a far
visita alla sconosciuta, nell'intento di scoprire come abbia potuto far compassione al capo dei suoi bravi.
L'innominato si reca da Lucia, che giace raggomitolata in un angolo della stanza in cui è stata rin-chiusa, e le
ordina di alzarsi, lasciando intendere che sia in suo potere aiutarla. Le parole rassicuranti del temibile
signore non impediscono alla prigioniera di implorare la liberazione: Lucia la chiede in nome di quel Dio che
perdona tante cose per un gesto di misericordia. Commosso da quelle parole, l'innominato si congeda, con
la promessa che si sarebbe fatto rivedere l'indomani. asciata sola, Lucia si trova in uno stato tormentoso
che non è sonno e neppure veglia. Sotto il peso dei ricordi di quella tremenda giornata, cade in preda alla
paura del futuro, che si prospetta pericoloso e incerto tanto da farle desiderare la morte. Atterrita e
angosciata, sente il bisogno di un contorto e lo trova nella preghiera, che le offre qualche motivo di
speranza. Comincia quindi a recitare il rosario, pensando che le sue suppliche sarebbero state più efficaci se
accompagnate da un sacrificio: pertanto fa voto di verginità, rinunciando alle nozze con l'uomo amato.
Tranquillizzatasi e ritrovata la serenità, alla fine si addormenta. Nello stesso momento, ma in un altra parte
del castello, anche l'innominato non riesce a prendere sonno. Dapprima si rimprovera di aver voluto
incontrare Lucia, le cui parole lo hanno turbato più di quanto voglia ammettere: infatti egli non si è mai
lasciato commuovere da chi implorava pietà. Analizzando il proprio passato, prova tristezza e spavento per
gli atti compiuti e disgusto per e imprese che lo attendono. Decide quindi di liberare la prigioniera, un'
innocente che soffre per la sua decisione di aiutare un malvagio meschino come don Rodrigo. Continuando
nel doloroso esame di coscienza, le sue imprese gli si rivelano in tutta la loro mostruosità: disperato,
impugna un'arma, con Ta quale intende mettere fine a una vita scellerata, ma poi si trattiene pensando a sé
stesso cadavere, esposto al dileggio di chiunque, e alla possibilità che non esista un'altra vita dopo la morte
e che quindi il suicidio si riveli inutile. Un barlume di contorto gli giunge dalle parole di Lucia (Dio perdona
tante cose, per un'opera di misericordia!) e lo conduce a fare progetti per l'avvenire. All'alba, sente da
lontano uno scampanio festoso, al quale si aggiunge l'insolito movimento di persone che allegre e evstite di
festa, sembrano dirigersi verso una meta comune. Incuriosito, manda un bravo a informarsi di quanto sta
accadendo.
Il “sugo” della storia (XXXVIII capitolo)

Le nozze vengono celebrate e il contratto di vendita delle proprietà è redatto da un notaio che ha sostituito
il dottor Azzeccagarbugli, morto di peste. Nessun impegno trattiene più i due sposi, che pensano ai
preparativi per la nuova residenza. Il distacco dal paese natio provoca tristezza, ma Renzo e Lucia sono
ormai convinti che il loro avvenire sia altrove, senza dimenticare che la vista di quei luoghi non potrà che
rinnovare brutti ricordi. Nel nuovo paese di residenza, i due sposi non trovano la tranquillità che cercavano
da tempo. I nuovi compaesani avevano immaginato che Lucia fosse una giovane di straordinaria bellezza,
cosa che avrebbe spiegato la persecuzione di don Rodrigo e l'incrollabile fedeltà di Renzo verso di lei. La
realtà invece risulta inferiore alle aspettative e le critiche che colpiscono la giovane offendono Renzo e lo
fanno diventare scontroso e antipatico. Una nuova occasione si presenta a Renzo: alle porte di Bergamo
viene messo in vendita un filatoio il cui proprietario era morto di peste. Bortolo è attirato dall'affare, ma
non dispone del denaro sufficiente per l'acquisto, così propone al cugino di entrare nell'impresa come
socio. Gli affari vanno bene e, poco prima che sia trascorso un anno di matrimonio, ai due sposi nasce una
bambina, che viene chiamata Maria. Seguiranno altri figli, che danno un bel daffare alla nonna, Agnese. Da
parte sua, Renzo ama ricordare il passato, riconoscendo che nella vita occorre essere giudiziosi e prudenti.
Lucia invece ribatte di essersi comportata sempre bene, ma che questo non l'aveva messa al riparo dai guai.
Dopo aver dichiarato che anche dai guai si può trarre insegnamento per una vita migliore, purché si abbia
fiducia nella Provvidenza, il narratore si congeda dai lettori.

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