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Introduzione promessi sposi

La situazione storica
Manzoni progetta i Promessi Sposi nella primavera del 1821 (fatti ambientati nel 1600), poco dopo il
Congresso di Vienna (1814-1815). Con questo evento inizia il periodo della restaurazione, cioè l’azione delle
principali potenze europee (Gran Bretagna, Austria, Russia e Prussia) di riportare sul trono i sovrani
spodestati da Napoleone e tornare all’antico ordine sociale e politico, esistente prima della Rivoluzione
Francese (1789).

Il tentativo di riportare l’ordine non viene accettato dalla nuova borghesia (classe economica dominante),
che sostiene l’ideologia liberale (società libera da qualsiasi potere politico). Tende a raggiungere
l’indipendenza nazionale in Italia, Polonia e Belgio.

L’Italia era divisa in molti stati, quasi tutti sotto il controllo dell’Austria, che governava direttamente il regno
Lombardo-Veneto, il più ricco, il più viva culturalmente. Gli altri stati principali erano:

 Regno di Sardegna  Stato della chiesa


 Granducato di Toscana  Regno delle due Sicilie

La situazione letteraria
Gli ideali che ispirano i fatti politici della prima metà del 1800 trovano espressione nel Romanticismo, un
movimento culturale che diffonde le aspirazioni borghesi dell’epoca.

Le nuove poetiche letterarie e gli ideali liberali penetrano rapidamente nel regno Lombardo-Veneto con lo
scopo di raggiungere l’unità dell’indipendenza d’Italia, così Milano diventa il centro principale di
elaborazione delle nuove idee romantiche e liberali del Romanticismo e del liberismo politico (Milano è il
luogo dove vive Manzoni).

Romanticismo europeo
Vasto movimento culturale, che interessa l’Europa da fine 1700 alla prima metà del 1800.

Si sviluppa in Germania, intorno ad una rivista chiamata “Athenӓum”, si afferma anche in Inghilterra. Esso si
oppone all’Illuminismo e al Classicismo. Sostiene l’Idealismo, il ritorno al cristianesimo e i valori nazionali
(concetto di patria), esalta la fantasia, i sentimenti e la creatività del “genio”, preferisce Dante Alighieri e
William Shakespeare.

Romanticismo lombardo e italiano


Nasce nel 1816 con i “tra articoli” (manifesti) scritti da tre sostenitori delle idee romantiche: Ludovico di
Breme, Pietro Borsieri e Giovanni Berchet. Il tutto nasce con la polemica classico-romatica. Si sviluppa con
la rivista “il concigliatore” (1818-1819). È redatto dai tre uomini pria citati e da Ermes Visconti, è diretto da
Silvio Peluco.

Accetta alcuni aspetti del Romanticismo:

 Originalità (no imitazioni)


 Esempi moderni (no canone antico)
 Temi moderni (no mitologia greca/latina)
 Ritorno al cristianesimo
Ha come obbiettivi:

- Realizzare una cultura moderna rivolta a una cerchia più ampia, rappresentata da piccola e media
borghesia (popolo).
- Fare uso di un linguaggio semplice, vicino al parlato, anche al dialetto secondo l’opportunità.
- Produrre una cultura in grado di diffondere idee e conoscenze, utile e impegnata in un’azione di
rinnovamento morale di formazione della conoscenza, di stimolo a partecipare ai problemi posti
dall’unificazione d’Italia

Il romanzo nell’eta’ romantica e il passaggio dal romanzo gotico al


romanzo storico
Nel 1700 in Inghilterra il romanzo è già in pieno sviluppo, e questo genere diventa dominante in Europa
durante il periodo del romanticismo, ciò è dovuto ad alcune motivazioni:

 Il rifiuto delle regole classiche, cioè di un canone classico, che favorisce un genere “nuovo”, privo di
regole determinate dalla tradizione.
 Lo sviluppo della borghesia e la cerchia più vasta di pubblico richiedono un genere scritto in forma
semplice e accessibile a chi ha una cultura media o medio bassa.
 Gli autori in Inghilterra e in Francia non sono più di ceto nobiliare, ma di estrazione borghese, essi
agevolano un genere che può incontrare il successo di un largo pubblico.

In Italia il romanzo si sviluppa tardi (rispetto agli altri paesi europei) per ragioni economiche e sociali. Alla
fine del 1700 i romanzi sono pochi, hanno ancora forma classicistica e sono rivolti a una cerchia ridotta di
lettori. In Italia il genere del romanzo si impone con il Romanticismo, in particolare con Alessandro
Manzoni, il quale è convinto che il romanzo abbia pari dignità a quella di ogni altro genere letterario,
soprattutto se esso utilizza i fatti inventati per descrivere la società in tutti i suoi aspetti, attraverso
un’analisi rigorosamente storica. Manzoni può essere ritenuto come il fondatore del romanzo italiano.

Il romanzo nasce in Italia come romanzo storico ed è presente fino al 1840, quando compaiono altri tipi di
romanzo: romanzo-confessione (Nicolò Tommaseo); romanzo sociale di ambiente rusticano.

Romanzo storico
In Italia il romanzo storico segue il modello inglese di Walter Scott (Ivan Hoe, pubblicato nel 1819).il
romanzo storico di Scott ha punti differenti rispetto al romanzo gotico, già presente in Inghilterra alla fine
del 1700, che aveva materia medioevale. Nel romanzo storico di Scott la storia determina la psicologia e le
azioni dei personaggi. In quello gotico a storia non è riprodotta con un’analisi rigorosa. Come in Scott così in
Manzoni, la storia è protagonista, e dalla storia deriva il comportamento dei personaggi. Il romanzo storico
in Europa si sviluppa nel periodo del romanticismo, perché ha vivo questo senso della storia, che permette
di rivalutare epoche passate come il Medioevo, epoche in cui sono affondate le radici dell’unità nazionale
dei principali paesi europei (il romanticismo considera i momenti in cui nasce lo spirito nazionale di un
popolo).

In Italia Manzoni per ii suoi drammi (il Conte di Carmagnola e l’Adelchi), sceglie il Medioevo come epoca
storica, mentre per il romanzo dei Promessi Sposi sceglie il 1600, perché vuole attirare l’attenzione del
lettore sulla dominazione straniera in Italia e creare un parallelo tra la dominazione spagnola in Italia nel
1600 e la dominazione austriaca nel 1800, dopo il Congresso di Vienna.

Manzoni conosce i romanzi di Scott, sia nelle traduzioni francesi, sia in quelle italiane. Nei romanzi di Scott, i
personaggi-protagonisti se rappresentano classi elevate sono storici, mentre se rappresentano classi
inferiori sono inventati. Nel romanzo dei Promessi Sposi, Manzoni sceglie come protagonisti due personaggi
“umili” (Renzo e Lucia) creati dalla propria fantasia.

La genesi dei Promessi Sposi e la storia del testo: da “Fermo e Lucia” alla
“quarantana”
Manzoni legge nel 1821 la traduzione francese del romanzo storico di Scott “Ivanhoe”, in quella primavera
decide il progetto dei Promessi Sposi. Così il 24 aprile del 1821 ne inizia la stesura, durante il ritiro nella casa
di campagna di Brusuglio. La scelta del periodo storico (17° secolo) e il tema (matrimonio contrastato) sono
suggeriti a Manzoni da alcune letture sulle vicende milanesi, introno al 1630: “la storia patria del canonico \
milanese Giuseppe Ripamonti”, “economia e statistica di Melchiorre Gioia” (studioso dei decreti annonari
del governo spagnolo durante la carestia del 1628).

Manzoni scrive due capitoli del romanzo, poi interrompe l’opera per terminare “l’Adelchi”, poi riprende
nell’autunno del 1821 e la chiude il 17 settembre del 1823.

All’inizio sono quattro tomi, che denomina “Fermo e Lucia”, i nomi dei due protagonisti. Nel primo tomo i
protagonisti sono i due promessi sposi, nel secondo tomo è Lucia, nel terzo Fermo e nel quarto i due
promessi sposi. L’impianto dell’opera all’inizio è molto rigido. La lingua ha dei costrutti e dei termini
milanesi e francesi. Manzoni poi rielabora “Fermo e Lucia” fino al 1826 e stampa il romanzo nel 1827, la
così detta “ventisettana”, con il titolo “i Promessi Sposi”.

Questa edizione abolisce la suddivisione precedente nei quattro tomi e il racconto si snoda per 38 capitoli
senza fratture interne, viene meno l’impianto rigido dei quattro tomi. Il rigorismo etico, il pessimismo sono
equilibrati e moderati, la revisione linguistica elimina i francesismi e si avvicina al toscano vivo, Manzoni
dopo la ventisettana va a Firenze per sperimentare direttamente l’uso della lingua toscana nelle
conversazioni con gli amici e si accorge che la lingua della “ventisettana” è lontana da quella viva di uso
quotidiano. Quindi si orienta verso il fiorentino parlato dalle persone colte (borghesia colta) di Firenze.
Quindi inizia la revisione linguistica della “ventisettana”, che egli stesso definisce “risciacquatura in Arno”,
che compie in un decennio.

Nel 1840/1842 viene pubblicata la terza edizione, quella definitiva, detta “quarantana”, con il seguente
titolo “i Promessi Sposi: storia milanese del XVII secolo, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni”. L’opera
è composta dai 38 capitoli, da una introduzione e da un’appendice finale, con il titolo “la storia della
colonna infame”.

La cultura e la poetica di Manzoni: il progetto letterario del romanzo e


l’autocritica della vecchiaia
Manzoni ebbe come maestri dal punto di vista letterario li illuministi lombardi (Parini, Verri, Beccaria) e gli
illuministi francesi (Fauriel). Sentì l’influenza di Pascal (scrittore francese giansemista, corrente filosofica
che ragiona sul bene e il male), durante il ritorno al cristianesimo (la conversione). Illuminismo,
cattolicesimo e romanticismo lombardo, in Manzoni si fondo insieme, e vengono a formare la sua poetica,
nella quale l’arte è un mezzo per migliorare gli uomini da punto di vista morale. La sua poetica è contenuta
principalmente nei seguenti scritti:

 “lettera al signor Chaubet”


 “la lettera sul romanticismo”

La sua poetica (elementi che riguardano l’autore e lo contraddistinguono) si fonda sui seguenti elementi:

- Il dramma storico che segue le regole della verosomiglianza


- Il contenuto dei drammi deve basarsi sul vero storico e sul vero morale
- Lo scrittore deve attenersi alla storia
- Lo scrittore deve attenersi alla realtà
- Si deve rifiutare la mitologia
- Occorre usare un linguaggio realistico e rivolgersi ad u pubblico popolare e borghese

Nella “lettera sul romanticismo”, l’autore sostiene che:

- Il fine dell’arte e l’utile


- L’oggetto dell’arte è il vero
- Il mezzo dell’arte è il dilettevole

L’arte deve porsi il fine di migliorare gli uomini dal punto di vista morale, deve fondarsi sulla realtà (vero
storico), deve servirsi di argomenti che interessano il maggior numero di persone.

Manzoni progetta i Promessi Sposi come romanzo realistico e popolare, scritto in uno stile accessibile a un
pubblico vasto, con contenuto storico e morale, che serve di insegnamento politico e religioso.

La grande novità del romanzo sono i due protagonisti, due personaggi umili del popolo che diventano
borghesi, quindi il progetto di Manzoni è di avere un nuovo pubblico borghese e nazionale, protagonista di
un disegno morale e politico. La poetica di Manzoni si discosta dal concetto del romanticismo europeo,
secondo il quale l’arte ha valore assoluto, invece per Manzoni l’arte dipende dalla sua finalità pratica e
morale. Egli afferma che la verità storica contiene la verità morale e religiosa, l’unica attività letteraria
moralmente possibile è quella rigorosamente storica, che fa conoscere il modo di essere dell’umanità, e
non quell’attività letteraria che crea situazioni di fantasia e invenzione.

La struttura del romanzo e l’organizzazione della vicenda


La vicenda della narrazione inizia il 7 novembre 1628, e finisce agli inizi di novembre del 1630. L’8
novembre del 1628 doveva essere celebrato il matrimonio tra Renzo e Lucia, ma un signorotto locale, Don
Rodrigo invaghitosi della ragazza lo impedisce.

La vicenda dei fidanzati si può riassumere in questi termini: dopo il tentativo fallito di sposarsi,
presentandosi improvvisamente davanti a Don Abbondio, Renzo e Lucia fuggono dl paese, separandosi.
Lucia va in un monastero a Monza, dove Gertrude (la monaca di Monza) permette che venga rapita su
ordine dell’Innominato, che diventa poi coadiuvante i due giovani, e del cardinal Borromeo che li protegge.
Intanto Renzo va a Milano, partecipa ai tumulti di San Martino, viene arrestato e poi riesce a fuggire nel
bergamasco. Lucia nel frattempo fa voto di castità ed è ospite di donna Prassede a Milano. Sopraggiunta la
peste, Don Rodrigo si ammala di questo morbo e muore. Renzo appena guarito ritrova Lucia nel Lazzaretto,
anche lei da poco guarita. Frate Cristoforo scioglie il voto di castità della ragazza, così i due giovani si
sposano e si trasferiscono nel bergamasco.

La struttura presenta 6 nuclei narrativi:

 il primo va dal primo all’ottavo capitolo : Renzo e Lucia sono insieme al villaggio, e la loro fuga dopo
il matrimonio di sorpresa fallito.
 Il secondo va dal capitolo nove al dieci: vicenda di Lucia a Monza.
 Il terzo va dal capitolo dieci al diciassette : Renzo a Milano tra i tumulti, il suo arresto e la fuga nel
bergamasco
 Il quarto va dal capitolo venti al ventotto : Lucia viene rapita dall’Innominato ed è ospite di donna
Prassede.
 Il quinto va dal capitolo trentatré al trentacinque : viaggio di Renzo dal bergamasco fino al paese,
dal paese a Milano per ritrovare Lucia nel lazzaretto e poi di nuovo al paese.
 Il sesto va dal capitolo trentasei al capitolo trentotto : Renzo e Lucia sono insieme al paese, dove si
sposano e poi nel bergamasco dove mettono su famiglia.

e 3 digressioni:

 Capitolo diciotto e diciannove : digressione relativa all’incontro tra il Conte Zio e il Padre Provinciale
e alla storia dell’Innominato.
 Capitolo da ventotto a trentadue : digressione sulla carestia, sula guerra, sulla peste e sulle vicende
di Don Abbondio, Agnese e Perpetua che fuggono all’arrivo dei Lanzichenecchi.
 Capitolo da nove e dieci: digressione sulla storia di Gertrude.

Per quanto riguarda la fabula (insieme di eventi raccontati in ordine cronologico) si snoda in tre momenti:

1. Tentativo di eliminare l’ostacolo e la fuga di Renzo e Lucia.


2. L’arrivo a Monza e la separazione dei fuggiaschi (Renzo a Milano e Lucia in convento a Monza).
3. Il ritrovamento della coppia, sullo sfondo di una Lombardia devastata dalla guerra e dalla peste.

L’intreccio (insieme eventi nell’ordine i cui sono raccontati effettivamente nel testo), lungo l’asse centrale
della fabula si inseriscono le digressioni, i raccordi, i flash-back:

 Le digressioni, oltre a quelle citate prime all’interno dei nuclei narrativi, nel quarto capitolo, prima
viene presentato il personaggio di fra’ Cistoforo e poi viene raccontata la sua storia.
 I raccordi sono l’allontanamento di fra’ Cristoforo permette di capire alcuni aspetti della storia di
Lucia.
 I flash-back: solo all’inizio del terzo capitolo, il lettore comprende il motivo del rinvio delle nozze,
quando Lucia descrive le molestie di Don Rodrigo.

Il sistema dei personaggi principali e il ruolo dei personaggi minori


Il sistema dei personaggi presenta la struttura del triangolo amoroso (c’è un lui, una lei e un altro) e del
matrimonio contrastato (Renzo e Lucia non possono sposarsi a causa del rivale di Renzo, Don Rodrigo). In
realtà questo sistema ha uno schema binario, in rapporto al messaggio ideologico–religioso del romanzo:
contrappone buoni e cattivi (positivi e negativi), vittime e oppressori.

I personaggi principali sono 8, quattro laici (Renzo, Lucia, Don Rodrigo, l’Innominato) e quattro religiosi (fra’
Cristoforo, cardinal Borromeo, Don Abbondio, Gertrude). Da una parte ci sono i “buoni”, ossia le due
vittime (Renzo e Lucia) e i loro due coadiuvanti (fra’ Cristoforo e il cardinal Borromeo), dall’altra parte ci
sono i due oppressori (Don Rodrigo e l’Innominato) e i loro due strumenti (Don Abbondio e Gertrude).
Anche il mondo religioso è diviso in due coppie: potere spirituale vero (fra’ Cristoforo e cardinal Borromeo)
e il potere spirituale falso (Don Abbondio e Gertrude). Queste coppie da un lato rappresentano la chiesa
popolare (fra’ Cristoforo contro Don Abbondio) e dall’altro la chiesa “potente” (cardinal Borromeo contro
Gertrude). Anche il mondo laico presenta due coppie: Renzo e Lucia contro Don Rodrigo e l’Innominato.

Il sistema dei personaggi considera sfere sociali diverse: dal mondo popolare a quello borghese fino a
quello nobiliare; dagli operai fino ai padroni di filande; dalla chiesa povera a quella potente; dal mondo dei
frati cappuccini a quello del monastero di clausura.

Anche i personaggi minori hanno funzione realistica e rappresentano ambienti sociali diversi, ci sono:

 I contadini Tonio e Gervaso


 I cittadini a Milano
 Le autorità politiche (don Ferrer e il Conte Zio)
 I borghesi intellettuali di provincia (dottor Azzeccagarbugli)
 I letterati nobili (don Ferrante)

Questi personaggi sono degli individui e dei tipi, cioè hanno un carattere ben individuato e un
comportamento tipico di una classe sociale (ad esempio il mercante dell’osteria di Gorgonzola, il quale ha
un carattere abitudinario ed esprime le ideologie conservatrici dei commercianti, interessato solo alla logica
del commercio e pesa solo ai suoi interessi).

Il tempo, lo spazio, i cronotopi e i personaggi di Renzo e lucia


La vicenda del romanzo occupa l’arco di tempo di due anni (novembre 1628-novembre 1630) e si estende
per 38 capitoli. Per raccontare i primi quaranta giorni (dal 7 novembre alla 15 dicembre del 1628), sono
impiegati 25 capitoli (i primi 17 narrano gli avvenimenti di una settimana) e sono impiegati 13 capitoli per
raccontare le vicende di 22 mesi circa. Per i primi 25 capitoli è molto il tempo del racconto, mentre è poco il
tempo della storia, negli ultimi 13 capitoli è poco il tempo del racconto e molto il tempo della storia. Nella
prima parte il tempo del racconto è maggiore rispetto a quello della seconda parte, in quanto il narratore
adotta una forma analitica di narrazione, cioè si sofferma a presentare i personaggi principali, l’ambiente e
altri particolari, perciò risulta dominante l’azione narrativa. Nella seconda parte il tempo della storia è
maggiore rispetto a quello della prima parte, in quanto il narratore adotta la tecnica del riassunto nella
narrazione, per cui l’azione narrativa si rallenta, ristagna. Il narratore invece accelera nel tempo della storia
e fa evidenziare il momento etico-riflessivo, legato alla carestia, alla peste, al ruolo della Provvidenza
(Provvidenza divina). Il momento di svolta del rapporto tra il tempo del racconto e il tempo della storia
avviene fra il capitolo 25 e il capitolo 26, subito dopo la conversione dell’Innominato e subito dopo il
secondo incontro con il cardinal Borromeo e il secondo addio di Lucia al suo paese.

La vicenda si svolge fra due ambienti: il paese e la città. All’inizio questi due cronotopi si pongono nel
romanzo in antitesi: il paese è il luogo di vita tranquilla, quotidiana, semplice, famigliare e ordinata;
dall’altro la città è luogo di vita movimentata, innovativa, caotica. Questi due luoghi poi presentano
entrambi violenza, egoismo, male, miseria, fame e sofferenza per la guerra e per la peste. Renzo nel paese
vive a proprio agio, mentre in città (Milano), si trova disorientato, quindi si muove tra il paese e la città, è
sempre in cammino e in viaggio, per cui il suo spazio è quello della strada. Per Lucia invece lo spazio è la
casa, con l’intimità domestica. Un altro spazio di rilievo nel romanzo è quello del castello, legato ai
personaggi di Don Rodrigo e dell’Innominato.

Il realismo storico
Nel romanzo la storia è uno dei grandi protagonisti, essa condiziona i comportamenti dei personaggi, per
cui anche quando i personaggi sono frutto dell’invenzione dell’autore (cioè inventati), essi hanno uno
spessore storico, sociologico, economico e culturale. Ben individuati nel romanzo sono non solo alcuni
personaggi storici come il cardinal Borromeo o la monaca di Monza, ma anche avvenimenti storici
realmente successi nella Lombardia del 1600:

 La guerra per la successione dei ducati di Mantova e del Monferrato


 La carestia
 La peste

Questi fatti storici sono stati ricostruiti da Manzoni, attraverso la ricerca e la consultazione di documenti, di
libri di storie, di economia. Egli in virtù del realismo storico, il romanzo presenta dei tipi socialmente e
storicamente ben caratterizzati (ad esempio il padre di Gertrude è collegato i pregiudizi di casta sociale).
Nel romanzo Manzoni propone anche grandi rappresentazioni realistiche, per esempio:

 La famiglia di Tonio riunita a cena attorno alla poca polenta


 I poveri per la strada nella città di Milano
 I monatti con i carri pieni di cadaveri dei morti appestati.

Manzoni dimostra questo realismo storico anche nel presentare i ritratti dei personaggi di autorità, come il
padre di Gertrude, don Ferrer, il Conte Zio, il padre provinciale e il fratello dell’ucciso. Attraverso di loro
l’autore descrive gli aspetti negativi del 1600, cioè di un secolo dominato dalla teatralità e dal vuoto
formalismo (preoccupati solo ad apparire), da una cultura sterilmente erudita e senza fini sociali e morali, in
parte presenti in ogni tempo.

Il narratore onnisciente, il destinatario del romanzo, le scelte stilistiche e la


rivoluzione linguistica manzoniana
Nei Promessi Sposi il narratore si sdoppia:

 nell’anonimo, l’autore del manoscritto del 1600 che trascrive in barocco la storia di Renzo e Lucia,
raccontata a lui dallo stesso Renzo (Manzoni finge di aver trovato questo manoscritto e di aver
preso spunto da esso)
 nel narratore onnisciente, che è Manzoni, il quale rielabora la storia di Renzo e Lucia (raccontata da
Renzo e trascritta dall’anonimo) e che la trascrive in moderno

(Nel capitolo 33 si coglie che Renzo, probabilmente aveva narrato la sua storia all’anonimo del 1600, del
quale Manzoni nell’introduzione dice di aver ritrovato un manoscritto e di averlo poi rifatto.

Siamo dunque difronte ad una “narrazione a strati” che si avvale di tre voci distinte:

1. Renzo che racconta la propria storia


2. L’anonimo che trascrive la storia di Renzo in uno stile barocco
3. Manzoni che rielabora la storia raccontata da Renzo e trascritta dall’anonimo, trascrivendola in
italiano moderno

Di queste tre voci noi lettori percepiamo direttamente solo l’ultima, che è quella del narratore onnisciente e
per mezzo di questa percepiamo anche le altre due. Infatti talvolta Manzoni riporta delle opinioni attribuite
all’anonimo, talvolta invece lascia a Renzo il compito di commentare la storia dal suo punto di vista).

Il narratore onnisciente ne sa più dell’anonimo, anche perché ha controllato su altri documenti se la


narrazione è vera. Il narratore onnisciente è presente in maniera costante in tutto il romanzo, poiché
conosce presente-passato-futuro dei suoi personaggi. Interviene a commentare, a giudicare dal punto di
vista morale, politico e religioso indicando dove stanno il bene e il male. I suoi interventi non esibiscono mai
toni polemici o eccessivi ma puntualizzano quanto sia difficile conoscere fino in fondo l’animo e il cuore
umano. Il narratore spesso focalizza la narrazione attraverso i punti di vista dei personaggi, i quali
introducono nella narrazione linguaggi diversi tra loro. Però questa focalizzazione interna multipla, che è
sempre subordinata all’ onniscienza del narratore.

Nel progetto di Manzoni c’è l’intento di rivolgersi, con il suo romanzo a un pubblico vasto, cioè composto da
borghesi e da ceti popolari alfabetizzati (artigiani e piccoli borghesi).

Nell’esercizio del formulare giudizi morali, il narratore onnisciente (Manzoni) usa costantemente l’ironia,
che varia dal sarcasmo ala parodia allo scherzo umoristico. Questa ironia del narratore colpisce spesso
ferocemente i governanti e i politici che vengono meno ai loro doveri (come una sorta di rimprovero), ma
colpisce anche i difetti e le miserie dell’animo dei protagonisti. L’ironia è esercitata dal narratore anche su
sé stesso quando dice “pensino ora i miei venticinque lettori”.
Nei Promessi Sposi sono presenti vari registri linguistici e stilistici (si va dall’eloquio solenne del cardinale
alla parlata colloquiale di Perpetua). Dopo revisioni linguistiche operate al Fermo e Lucia, alla ventisettana e
alla quarantana, Manzoni in definitiva usa una lingua viva, vera e parlata; formata da vocaboli derivati dal
toscano parlato. Manzoni nei Promessi Sposi cerca di costruire una struttura agile, con dei periodi costruiti,
ora in modo classico ora imitando il discorso parlato, ricchi di anacoluti (espressioni senza il nesso
sintattico), di ellissi (omissione di elemento grammaticale) e di espressioni vivaci e popolaresche.

Ideologia religiosa e politica


Il problema della giustizia, del male, della responsabilità umana delle proprie azioni è un tema
fondamentale, il narratore onnisciente appare nel romanzo come un dispensatore di giustizia, dimostra di
voler misurare meriti e colpe di ogni personaggio, è un moralista rigido, autoritario e inflessibile. Egli è di
religione cattolica ma avverte anche un’inquietudine di tipo giansemistico, difronte al problema della
giustizia e al problema della salvezza di ogni uomo. Nella sua convinzione religiosa, l’autore sceglie come
protagonisti del romanzo persone umili, appartenenti al popolo, egli circonda questi “umili di luce positiva”
e li rende portatori di valori elevati: sono persone oneste, laboriose, generose e religiose in modo profondo
e spontaneo. Essi devono combattere le ingiustizie sociali ma secondo la carità cristiana e non con lotte
politiche (Manzoni condanna i cittadini milanesi in rivolta contro le autorità, dal capitolo 12 al 17 dove
vengono descritti i tumulti di Milano). Il modello migliore per l’autore è quello di un popolo operoso,
paziente, rassegnato, pronto ad accettare l’esistente ordine delle cose e a sopportare dolori e miserie, che
lo rendono più vicino a Dio. La posizione di Manzoni nei confronti degli umili è quella di un liberale
moderato di ispirazione cattolica.

In ambito politico l’autore accetta le posizioni del liberalismo politico e del liberismo economico, che la
borghesia del periodo del Risorgimento sostiene. Questa posizione di Manzoni si coglie chiaramente
quando Manzoni alla fine del romanzo trasforma Renzo da operaio a imprenditore. Questo fatto mostra ai
lettori una prospettiva della borghesia in campo sociale ed economico, rappresentando i tumulti di Milano
e criticando autorità politiche e disordini popolari, Manzoni si mostra a favore della liberà dei commerci,
bloccati da leggi doganali assurde e sostiene che si devono rispettare la logica de mercato e la legge della
domanda e dell’offerta. Inoltre secondo egli le masse popolari con i loro comportamenti dimostrano
ignoranza e istintività, che non servono a risolvere il problema della giustizia e della politica economica.
Secondo Manzoni l’egoismo economico e gli errori dei ceti dirigenti possono essere attutiti solo con attività
caritatevoli da parte dei bravi cristiani, e con l’intervento, con la mediazione della chiesa. Perciò l’autore si
propone di conciliare la politica e la religione, cioè si propone di mettere accanto alla politica moderata
liberale, la carità cristiana.

Autoritarismo e problematicità’ del messaggio manzoniano


Nei Promessi Sposi si colgono due aspetti:

1. Un disegno pedagogico e la volontà dell’autore di educare un destinatario di massa


2. Un atteggiamento autoritario e moralistico, perché Manzoni distingue in modo rigido il bene dal
male, i buoni dai cattivi, e inoltre interviene con giudizi dal punto di vista morale

Manzoni con il romanzo prevede diversi livelli di lettura:

 Un vasto pubblico
 Una cerchia più ristretta con cui l’autore discute di problemi morali e religiosi.

Il messaggio insito nei Promessi Sposi, riguardante il significato ultimo della vita e il problema del bene e del
male è complesso e non evidente alla prima lettura. Per esempio, il vasto pubblico nella conclusione del
romanzo coglie il lieto fine: finalmente si realizza il matrimonio.
Il lettore attento coglie che i promessi sposi sono un romanzo senza idillio cioè la loro conclusione è
problematica, ciò vale a dire che all’uomo i guai, le disgrazie e il dolore possono capitare in qualunque
momento senza poterli spiegare storicamente.
L’uomo dotato di fede ritiene che anche la sofferenza è una “provvida sventura” ma quest’u ultima non è
compresa dalla ragione umana.
Di fronte al male l’uomo deve comportarsi secondo la morale cattolica e la ragione umana, perché solo in
questo modo l’uomo può superare le forze negative della natura.
Dio nel romanzo è presentato come dispensatore di giustizia biblica e di consolazione cristiana ma resta
nascosto.
La natura e la storia umana appaiono in una luce negativa come disordine degli egoismi contrapposti ma il
significato della vita umana è oggetto di fede.
Il messaggio di Manzoni non è autoritario ma aperto, attuale, moderno.
In lui convivono:
 il cattolico della provincia lombarda
 il grande intellettuale Europeo illuminista e giansenista
 il messaggio critico e problematico e autoritario.

La fortuna dei promessi sposi


I promessi sposi hanno avuto tanta fortuna in Italia ma poca in Europa, in Italia i Promessi Sposi sono stati
letti come lettura scolastica obbligatoria e nella seconda metà dell’800 questa opera è stata letta per
imporre un modello linguistico unitario.
Nel 1900 la critica ha sostenuto che nei promessi sposi c’è un eccesso di propaganda religiosa, altri hanno
visto in Manzoni un autore positivo, fiducioso nell’azione della provvidenza.
Negli ultimi due decenni del 1900 la critica ha visto nel romanzo Manzoniano l’epopea della provvidenza
oggi sottolinea l’aspetto negativo della storia, la dimensione tragica ei il carattere enigmatico della
provvidenza.
Alessandro
Alessandro
Manzoni
Manzoni era legato all’Illuminismo lombardo e questo gli deriva per tradizione dalla sua famiglia. Era figlio
di Giulia Beccaria e nipote di Cesare Beccaria (illuminista e autore dell’opera “dei delitti e delle pene”).
Alessandro Manzoni nasce il 7 marzo del 1785, il suo vero padre era Giovanni Verri, fratello di Pietro Verri,
fondatore della rivista illuminista lombarda chiamata “il caffè”. Il padre legittimo era il conte Pietro
Manzoni, che si separò da Giulia Beccaria, la quale si trasferì a Londra, poi a Parigi, convivendo con un certo
Carlo Imbonati e lascia il figlio Alessandro con il padre a Milano. Il giovane Alessandro non accettò la rigida
educazione del padre e in campo politico seguì le ideologie Giacobine (giacobinismo: atteggiamento politico
estremista rivoluzionario presente a Parigi durante la Rivoluzione francese nel 1789).
In campo letterario decise di seguire le posizioni neoclassiche, che avevano come modelli Giuseppe Parini e
Vincenzo Monti. Si avvicina poi ad un’ideologia liberale su influenza di un altro letterato Vincenzo Cuoco.
Tra il 1805 e il 1810 Manzoni vive a Parigi con la madre, essendo morto da poco il convivente della madre,
al quale dedicò un carme “in morte di Carlo Imbonati”, in cui dimostra di essere legato all’illuminismo
lombardo.
A Parigi frequenta gli illuministi francesi e diventa amico di Claude Fauriel, un letterato aperto alle idee
romantiche. Ciò segna il passaggio di Manzoni dall’Illuminismo al Romanticismo, scrisse però un’ultima
opera classica “Urania” (1809). Nel 1810 si convertì al cattolicesimo, grazie all’influenza della moglie
Enrichetta Blondel, una donna molto religiosa, all’influenza dell’abate Eustachio Begola e di Luigi Tosi, sua
guida spirituale.

[Manzoni in campo religioso vive un processo (evolutivo):

 All’inizio diviene cattolico con la conversione ne 1810


 Poi diventa ateo
 E poi diventa giansenista]

Nel 1810 celebrò il matrimonio con Enrichetta Brondel, con rito religioso. Tornato a Milano tra il 1812 e il
1815 Manzoni scrisse 4 inni sacri, avrebbe dovuto scriverne 12 in realtà, poiché corrispondevano alle
principali festività del calendario. Alla fine dopo i primi quattro riuscì solo a comporre il quinto e un
frammento del sesto.

Tra il 1815 e il 1825 si incontra a Milano con i suoi amici (Visconti, Fauriel e Grossi) e compone:

 Due tragedie (“il conte di Carmagnola” “Adelchi”)


 Due odi (“il cinque maggio”, “marzo 1821”)
 Un trattato storico
 Degli scritti di poetica

Tra il 1821 e il 1823 scrive “Fermo e Lucia” e “la colonna infame”. Fra il 1825 e il 1827 scrive la
“ventisettana”, cioè la prima edizione dei Promessi Sposi. Nel 1827 Manzoni fece un viaggio a Firenze per
imparare meglio il fiorentino e procedere a fare una revisione linguistica del romanzo.

Dal 1833 al 1844 Manzoni ha avuto un periodo difficile, poiché in quegli anni morirono la moglie Enrichetta,
la figlia Giulia, altri figli e l’amico Fauriel. In questi anni è occupato nella questione linguistica, finchè giunge
ad affermare che la base unitaria dell’italiano scritto è il fiorentino vivo/parlato. Nel 1837 si risposa con
Teresa Borri, vedova Stampa.

Completata la revisione scritta del romanzo, lo pubblica a dispense nel 1840.

Nel 1850 pubblica due scritti di poetica in cui critica i generi letterari misti di storia e invenzione, l’unica
attività che ritiene utile è la storiografia.

Nel 1860 viene ritenuto il maggior scrittore italiano e viene nominato senatore del regno d’Italia da Vittorio
Emanuele e partecipa alla proclamazione del regno d’Italia nel 1861.

Nel 1864 fa vota a favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze.

Nel 1868 scrive una relazione sulla lingua e la sua posizione linguistica venne accolta dallo stato italiano,
nasce così il manzonismo linguistico, imponendo nelle scuole il fiorentino come lingua unitaria.

Manzoni muore il 22 maggio del 1873 all’età di 83 anni, in seguito ad una caduta davanti al sagrato della
chiesa di San Fedele, dove si recava ogni mattina per assistere alla messa.
Introduzione del
romanzo
Finto ritrovamento di un manoscritto/Qualche anticipazione dell’argomento
Nell’introduzione l’autore trascrive un presunto manoscritto di un autore del 1600 che finge di aver trovato
questo manoscritto in stile barocco e racconta la storia di Renzo e Lucia, una storia milanese del 17° secolo,
che viene rielaborata da Alessandro Manzoni. Poiché lo stile del manoscritto è barocco, cioè pieno di
metafore, di giochi intellettuali, di subordinate e di forme ridondanti. L’autore pensa di abbandonare
l’impresa e di rinunciare a raccontare la storia contenuta nel testo seicentesco. Poi invece poiché questa
storia è interessante e piacevole da raccontare, Manzoni decide di farne una trascrizione in stile e lingua
moderni.

Riflessioni dell’autore
Il primo narratore della storia è l’anonimo del 1600, autore del manoscritto in barocco. Il secondo narratore
della storia è Manzoni, autore del romanzo in lingua moderna, che si sdoppia in due figure di narratore, il
secondo è onnisciente, quindi in questa prima parte scritta in stile barocco amplifica le espressioni
ampollose e magniloquenti dello stile del 1600, e ne accentua polemicamente i tratti stilistici, facendo una
parodia, poiché per lui questi tratti non sono accettabili. Quindi l’autore/narratore Manzoni con la parodia
sottolinea i seguenti aspetti:

1. Linguaggio e stile magniloquenti e ampollosi, opposti al gusto popolaresco e al realismo tipici del
romanticismo lombardo e dello stesso Manzoni;
2. La mancanza di misura, di descrizione, di equilibrio sostenuti invece dalla cultura classica e
illuministica
3. Il costume spagnolesco dell’adulazione e dell’iperbole
4. Il gusto classico della mitologia
5. A filosofia ispirata all’aristotelismo della filosofia Scolastica medioevale, riproposta nel 1600 dai
gesuiti.

Manzoni evidenzia che la storia è la protagonista fin dall’introduzione.


CAPITOLO 1
Il primo capitolo si può suddividere in tre parti, tre di queste sono informative/descrittive, e sono la prima
la terza e la quinta sequenza. Nella prima sequenza Manzoni descrive il paesaggio del lago di Como e in
particolare la zona vicino a Lecco (dal verso 1 al 50). Nella terza descrive i Bravi e le ragioni storiche del loro
trionfo (dal 73 al 176). Nella quinta descrive Don Abbondio, la sua psicologia e le giustificazioni storiche di
quella psicologia (dal 326 al 409).

Ci sono le altre tre sequenze che sono rappresentative, che sono la seconda, la quarta e la sesta. Nella
seconda rappresenta la passeggiata di Don Abbondio (dal 51 al 72). Nella quarta presenta il dialogo tra Don
Abbondio i Bravi e il soliloquio di Don Abbondio (dal 177 al 325). Nella sesta c’è il dialogo tra Don Abbondio
e Perpetua (dal 410 fino alla fine del primo capitolo).

Aspetti significativi

1. Descrizione iniziale del paesaggio: l’ambientazione geografica rivela un narratore onnisciente che
vede il paesaggio dall’alto, lo descrive in modo articolato e minuto ma con distacco, in modo
oggettivo. I Malavoglia di Verga iniziano con la rappresentazione dei personaggi che il narratore
vede dal basso, a pari livello del narratore. I Promessi Sposi iniziano invece con la descrizione
geografica dell’ambiente in cui si svolgono le azioni che il narratore onnisciente vede dall’alto.
2. L’excursus (panoramica) storico sulle grida e sui Bravi : il narratore presenta i Bravi - malfattori,
sgherri al servizio di un potente per il quale compiono ruberie, omicidi, delitti e per il quale tendono
insidie agli altri. A causa di questi malfattori Milano e la Lombardia vivono una miseria intollerabile.
Perciò i vari governatori di Milano che vis via si succedono decidono di cacciare via i Bravi per
ripulire la città ed emanano delle leggi dette gride, contro di loro. Queste gride via via diventano
con i loro divieti con le loro pene sempre più minacciose e severissime ma non risolvono il
problema perché i Bravi aumentano al tempo della storia dei Promessi Sposi. Alla fine queste gride
sono servite per dimostrare l’impotenza del governo di allora. Manzoni riporta in corsivo queste
gride scritte nel linguaggio ampolloso del 1600 come quello del manoscritto anonimo che Manzoni
finge dii aver ritrovato e che in un primo momento voleva riscrivere.
3. La figura di Don Abbondio : è al centro della vicenda, è oggetto di attenzione complessa da parte di
Manzoni, sia nell’incontro con i suoi antagonisti sia nello sfogo con un personaggio complementare
(Perpetua), sia nella lunga digressione che chiama in causa l’individuo e la società (la giustizia nel
1600). È uno dei personaggi più riusciti del romanzo, poiché tende ad essere opportunista ed
egoista; è incline a essere debole, pauroso, tranquillo e abitudinario. Il suo carattere e la situazione
storica lo inducono al compromesso e alla complicità con il più forte (accetta di non fare il
matrimonio tra Renzo e Lucia). Manzoni lo osserva con ironia e lo condanna dal punto di vista
morale, però ha per lui un atteggiamento di comprensione e di pietà.
4. Il personaggio di Perpetua: è un personaggio complementare, descritto con vivacità realistica e
popolaresca. Ha un linguaggio immediato, diretto, ingenuo e espressivo. Per questo personaggio
Manzoni ha come fonti la commedia di Goldoni e quella dialettale. È una donna dotata di carattere,
è intraprendente e saggia.
5. Protagonisti assenti: Renzo e Lucia che sono i protagonisti del romanzo nel colloquio tra Don
Abbondio e i bravi sono semplici termini del discorso. Nemmeno Don Rodrigo è direttamente sula
scena. L’accordo è preso tra intermediari, da un lato ci sono gli emissari del signorotto e dall’altro
l’officiante del matrimonio, senza che i reali antagonisti (Don Rodrigo, Renzo e Lucia) si scontrino
faccia a faccia. Quindi il racconto si svolge per gradi e affronta il tema della responsabilità dei
complici.

TITOLATURA DELLE SEQUENZA


(1-47) Descrizione dei luoghi in cui c’è il paese dei due Promessi Sposi.

(48-72) Passeggiata di Don Abbondio.

(73-188) L’incontro con i Bravi.

(189-239) La minacciosa intimazione dei Bravi a Don Abbondio

(240-356) Ritratto di Don Abbondio.

(357-388) Soliloqui di Don Abbondio.

(388-423) il personaggio di Perpetua.

(424-446) La confessione di Don Abbondio.

(447-474) I pareri/consigli di Perpetua

RIASSUNTO

Il capitolo si apre con una dettagliata descrizione del paesaggio del lago di Como, citando nomi e
descrivendone confini e strade. Manzoni precisa la data della vicenda, cioè il 7 novembre 1628, ai tempi
della dominazione spagnola in Italia. Per una delle strade descritte in precedenza viene introdotto il
personaggio di Don Abbondio, il curato di una delle terre che vengono accennate nella descrizione, che sta
tornando a casa sua mentre legge il breviario. Quando la strada forma un bivio vede poco lontano due
ombre, una a cavalcioni del muretto che delinea la via e l’altro anch’esso appoggiato ma dall’altro lato della
strada. La prima cosa che venne in mente a Don Abbondio fu quella di cercare vie di fuga tra i muretti che
raggiungevano la vita dei passanti, ma non trovò nessuno squarcio. Decise così di affrontare il problema e si
ritrova a parlare con i due uomini, dei bravi mandati da Don Rodrigo per fargli disdire il matrimonio tra
Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, intimorendolo. Nel mentre i bravi se ne stanno andando Don Abbondio
si pente di aver accettato e cerca di ritrattare con i due uomini, che ormai sono troppo lontani. Assorto nei
suoi pensieri non si accorge di essere arrivato a casa sua, dove trova Perpetua, la sua serva. Dopo ricevute
richieste decide così di raccontarle quello che era successo, raccontando l’incontro con i bravi e chi li
mandava. Perpetua decide così di consigliare al suo padrone di riferire tutto all’arcivescovo, ma Don
Abbondio liquida il discorso dicendo che ci penserà lui durante la notte e che i suoi consigli non servono a
nulla.
CAPITOLO 2
La parte iniziale accorpa prima e seconda sequenza, e sono la parte iniziale del capitolo. La terza, quarta e
quinta sequenza sono il corpo della vicenda. La sesta, la settima e l’ottava vicenda sono il finale.

Il capitolo ha una struttura simmetrica:

 La parte iniziale e la parte centrale si svolgono nella casa e vicino alla casa di don Abbondio. La
parte finale si svolge per strada e a casa di Lucia
 Si hanno i due contrapposti: nella prima parte i cattivi da un lato e i potenti dall’altro, con Don
Abbondio che collabora con i cattivi. Il messaggio che viene trasmesso è il concetto del male, cioè
della società corrotta. Nella seconda si hanno i buoni e i deboli, gli umili, gli onesti, le vittime dei
potenti. Il messaggio è quello del bene, dell’interiorità cristiana che si oppone al male.

Aspetti significativi

 Il binomio inganno violenza la complicità di Don Abbondio: nel primo incontro con Renzo Don
Abbondio mette in atto il suo piano fondato sulla capacità di inganno della cultura e della parola.
Questa unica risorsa (usare inganno contro Renzo) che si offre a Don Abbondio è la complice
naturale della violenza di Don Rodrigo: Don Abbondio infatti non si limita a chinare passivamente la
testa davanti ai bravi, ma usa attivamente la sua ragione, cioè le sue conoscenze, il linguaggio
stesso della chiesa e della legge per rafforzare il torto inflitto a Renzo, riemerge così il tema
dell’alleanza tra la violenza e l’astuzia.
 Divario tra realtà e apparenza: Renzo astuto e violento: da questo momento si sottolinea il dissidio
tra realtà e apparenza che ricorre nel romanzo. Questo tema è già presente nell’inganno di don
Abbondio ed è drammatico negli equivoci di cui Renzo è vittima. Nel secondo incontro di Renzo con
don Abbondio affiora per la prima volta il tema della casa violata, cioè dell’intimità domestica fatta
oggetto di violenza. Questo tema ritorna più volte nel romanzo, ora è Renzo che recita la parte
dell’astuto e del violento con successo: quando Renzo mette mano al pugnale, ma questo
atteggiamento è solo un mezzo di difesa perso per forza di cose. Il gioco delle apparenze allude
ironicamente a una realtà opposta: quella dell’innocenza e del torto subito.
 Superamento della volontà di vendetta: la mediazione di Lucia: il cammino di Renzo dopo le due
scene con don Abbondio è il passaggio dal luogo dell’inganno al luogo del bene, quindi alla casa di
lucia. Parallelamente si compie l’evoluzione del personaggio di Renzo, dallo spirito di vendetta egli
passa al recupero della sua indole cristiana. La vittoria sull’odio è un altro tema ricorrente, a questo
valore Renzo giunge solo con la mediazione, cioè con l’aiuto di Lucia.
 Protagonisti uniti: i due protagonisti Renzo e Lucia sono accumunati dalla coscienza dell’offesa:
insieme ora cercano di ricostruire la festa interrotta
 Lotta tra bene e male: da un lato don Abbondio si comporta come coadiuvante delle forze del male,
dall’altra Renzo e Lucia sono rappresentanti degli umili e dei deboli, quindi vittime dei soprusi dei
potenti. Si colgono due campi contrapposti: quello dei cattivi e quello dei buoni, quello di una
società corrotta e quello del bene, ovvero quello della bontà cristiana. Da una parte sono in azione
le forze del male e dall’altra quelle del bene, soffocate da minacce e inganni

Divisione in sequenze

(1-33) La notte di Don Abbondio.

(34-137) Colloquio tra Renzo e Don Abbondio.


(138-179) Renzo fa parlare Perpetua.

(180-247) Nuovo colloquio tra Renzo e Don Abbondio.

(248-264) Don Abbondio rimprovera Perpetua.

(267-313) Renzo si reca a casa di Lucia.

(314-332) Lucia in abito da sposa.

(333-358) Colloquio tra Renzo e Lucia.

RIassunto

Don Abbondio trascorre una notte agitata, sconvolto da ciò che gli era successo durante la giornata. Egli è
tormentato dalle minacce ricevute e perciò ha paura, è pentito di aver confessato il tutto a Perpetua nella
disperazione di trovare un modo per non celebrare il matrimonio e ha paura della reazione di Renzo. Don
Abbondio decide infine di ritardare il matrimonio di circa cinque giorni, grazie alla sua autorità, per arrivare
nel periodo dove le nozze sono proibite, avendo così più tempo per ragionare. Il mattino seguente Renzo si
reca a casa di Don Abbondio per definire gli aspetti finali della cerimonia. Il giovane viene insospettito dai
modi incerti del curato quando lo accoglie. Renzo ha la sensazione che ci sia sotto qualcosa e durante la
conversazione sente questa sensazione che cresce. Don Abbondio inizialmente finge di non ricordarsi della
data e finge di non sentirsi bene, sostenendo che mancano alcune formalità da sbrigare prima delle nozze.
Per confondere il ragazzo aggiunge al suo discorso delle parole in latino, ma Renzo lo interrompe ogni volta
dicendo “cosa vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. Don Abbondio infine propone di rimandare di almeno
quindici giorni le nozze e Renzo accetta con riluttanza la proposta e se ne va salutando. Fuori dalla casa il
ragazzo vede passare Perpetua e si avvicina alla donna cercando di scoprire cosa stava succedendo
veramente. Man mano che la serva parla i sospetti del ragazzo si fanno certi. Renzo dopo aver parlato con
Perpetua si dirige alla casa del curato per farlo parlare. Entra nel salotto e lo chiude a chiave, iniziando a
fare il nome di Don Rodrigo. Una volta rimasto solo con Don Abbondio accusa la serva di aver parlato e le
ordina di dire a tutti che il curato era ammalato. Alla fine colto veramente dalla febbre si ritira in camera da
letto. Renzo uscito dalla casa del curato si dirige in modo furioso verso casa sua. Gli piacerebbe punire Don
Rodrigo e vendicarsi del torto subito, ma il pensiero di Lucia lo raddolcisce subito. Pensa che la ragazza
sappia tutto ma che non gli abbia detto niente. Decide così di recarsi a casa dell’amata e la fa chiamare, nel
mentre racconta tutte le vicende ad Agnese, la madre di Lucia. La sua amata dopo aver sentito la storia si
dispera, facendo capire che il gesto del signorotto locale non era una novità poiché era già successo
qualcosa.
CAPITOL
O3
La vicenda è ambientata nel pomeriggio e nella serata dell’8 novembre 1628.

ASPETTI IMPORTANTI

 Il primo tentativo di soluzione del problema: svelato da Lucia l'antefatto della vicenda finora
rimasto misterioso, inizia dai consigli di Agnese il tema di una ricerca della mediazione, che
sostenga e difenda i diritti dei deboli presso i forti. Questo tema diventa fondamentale nel
romanzo, ed è il tema della giustizia, per Renzo si tratta dell'appello a questo uomo dotto, il dottore
azzeccagarbugli, superiore ai poverelli. Questo è il primo ricorso alla giustizia che si sostituisce al
progetto di violenza di Renzo e al progetto di fuga di Lucia, ed è proprio Renzo, ancora una volta in
cammino, il portavoce di questa speranza nella giustizia che nasce nella casa delle due donne e che
si fa azione e movimento, sperano di trovare la soluzione al problema
 Il binomio inganno violenza; la complicità del dottore Azzecca-garbugli : nell'incontro con il dottor
Azzecca-garbugli torna il tema delle falsificazioni al quale si presta il linguaggio. Il discorso del
dottore è un abile gioco di omissioni e di dissimulazioni: ne risulta sulla bocca del personaggio una
satira inconsapevole, autodistruttiva (cioè si distingue da sé), questa satira non ha bisogno di
commenti da parte dell'autore, ed è la satira della giustizia stessa, quindi il dottore, conforme al
modello del l'avvocato, dalla parlata abile quanto falsa fa onore al suo nomignolo sfruttando e
complicando i garbugli. Quindi questo dottore diventa l'emblema, la figura simbolica, cristallizzata
della cultura asservita e delle categorie corrotte che tradiscono i loro doveri.
 Il divario realtà-apparenza; Renzo è creduto un bravo dal dottor Azzecca-garbugli : il dottore
Azzecca-garbugli ha famigliarità con la violenza, perché abituato a difendere sempre le persone; qui
entra in gioco l'equivoco del dottore su Renzo: lo crede un bravo. Questa vicenda dell'errore vede
capovolgersi l'atteggiamento del dottore: prima è solidale con il supposto bravo-colpevole (Renzo è
creduto dal dottore un bravo che ha compiuto un'offesa a qualcuno e che ora gli chiede di
difenderlo) poi alla scoperta del malinteso il dottore Azzecca-garbugli disprezza Renzo, lo allontana
in modo scortese, così facendo il dottore passa dalla complicità con il supposto- colpevole al
ripudio, cioè al l'abbandono dell'innocente. Qui ritorna l'aria di braveria di Renzo, già accennata nel
secondo capitolo, mitiga espressione della violenza di quei tempi ed è solamente un suo aspetto
esteriore, che in realtà nasconde in condizione dello presso, della vittima, dell'innocente.
 Il secondo tentativo di soluzione del problema; racconto nel racconto d Fra Galdino: prima che
Renzo sia di ritorno dal colloquio con il dottore e riferisca l'esito del colloquio con questo
rappresentante delle autorità civile, fra Galdino viene chiamato dalle due donne a farsi tramite di
un messaggio all'autorità religiosa (padre Cristoforo). L'ingenuo racconto del miracolo delle noci
narrato dal frate questuante (cerca elemosina) apre un intervallo nel romanzo, infatti il discorso di
Fra Galdino alle due donne non suscita in loro reazioni particolari, ne ha dei collegamenti diretti con
la situazione penosa che sta accedendo nella casa di Lucia di cui fra Galdino è ospite. i personaggi
del racconto di fra Galdino illustrano i rapporti tra il convento e i suoi benefattori. Quindi l'eroe di
questo racconto è il convento stesso, che ha il privilegio di essere una vera e propria potenza
giustiziera e che è forte del l'appoggio divino. In una cornice storica (quella in cui Manzoni fa una
parentesi storica sulla condizione dei frati cappuccini del 1600) viene preparato l'ingresso di padre
Cristoforo che libertà e autonomia di azione come i suoi confratelli, molto presenti nel 1600.
Questa libertà ne avevano può rare vittoria e sconfitta, rispetto e disprezzo
 L’episodio di Azzecca-garbugli e la fine trasparenza tra rapporto e cose; l'equivoco del dottore nel
scambiare Renzo per un bravo ha valore metaforico: evidenzia gli aspetti negativi del 1600, infatti il
cometa mento di Azzecca-garbugli dimostra come questo secolo sia un mondo capovolto, dove le
gride possono essere usate contro la legge, i prepotenti sono difesi, le vittime sono colpevoli, i
sostenitori delle ingiustizie son galantuomini, la verità diventa menzogna, così Renzo innocente,
secondo l'avvocato ha torto, linguaggio e cultura sono usati a fini di menzogna e ingiustizia
(confronta don Abbondio e il dottor Azzecca-garbugli) e sono usati alterando la relazione con la
realtà. L'episodio dell’avvocato che legge e cavilla sulle grida è un bozzetto che raffigura un quadro
di ambiente del 1600 dove lo sfarzo, la pompa, la decadenza vanno di pari passo, inoltre dove il
personaggio principale mostra l'aspetto dello scroccone e dell’imbroglione.
 Renzo e Lucia: Renzo è ancora in cammino per strada per recarsi dal dottor azzeccagarbugli, lucia
per strada incontra Don Rodrigo. Renzo è sulla strada come luogo che lo apre all’esperienza e agli
incontri, mentre lucia si sente più sicura e difesa nell’intimità delle mura domestiche. Renzo ha un
carattere sicuro e impulsivo, ma da Azzecca-garbugli è impacciato e timoroso, forse condizionato
dal nuovo ambiente cittadino. Qui Renzo comincia a dimostrare i suoi aspetti limitati, mentre Lucia
dimostra la sua autonomia e le sue decisioni da adulta: non dice ad Agnese e a Renzo dell’incontro
con Don Rodrigo.
 L’episodio di fra Galdino come esempio di pluristilismo : è un esempio di realismo e pluristilismo.
REALISMO: il linguaggio del racconto del frate con la personalità ingenua del frate e con la figura
dei frati cappuccini del 1600. PLURISTILISMO: il racconto che riflette le prediche dei religiosi al
copulino per catturarne l’attenzione, si coglie lo stile della predica popolare che si accosta a quello
classico del romanzo e a quello parodico dell’introduzione. In conclusione cogliamo nel romanzo
diversi registri linguistici

DIVISIONE SEQUENZE
(1-49) Lucia racconta alla madre e a Renzo l'incontro con don Rodrigo
(50-74) proposito di vendetta di Renzo
(75-98) consiglio di Agnese
(99-275) Renzo dal dottore Azzecca-garbugli
(276-386) Fra Galdino
(387-411) ritorno di Renzo

RIASSUNTO
Lucia confessa alla madre e a Renzo che un giorno per strada aveva incontrato Don Rodrigo e dal conte
Attilio (cugino del signorotto). Nell’allontanarsi con passo svelto, la ragazza sente i due scommettere fra di
loro. L’episodio si ripete anche il giorno seguente e Lucia capisce di essere l’oggetto della scommessa,
decide così di raccontare il tutto a fra Cristoforo, che le aveva suggerito di velocizzare le nozze. Agnese
finito il racconto della figlia, convince Renzo a recarsi a chiedere aiuto al dottor Azzecca-garbugli. Giunto al
suo studio Renzo a malapena riesce a dire il suo problema, per via della fretta dell’avvocato. Il dottore
pensa che Renzo sia un bravo e gli legge delle grida che trattano il suo caso per farli capire le pene a cui
sarebbe andato incontro. Quando finisce di leggerle l’avvocato nota che Renzo in realtà non porta il ciuffo,
e si congratula con lui per esserselo tagliato, aggiungendo che non serviva, poiché aveva tirato fuori dai
guai malviventi che avevano commesso misfatti maggiori. Comunica infine come vuole agire verso il prete e
gli sposi che hanno subito il torto, mostrandogli anche il modo in cui lo avrebbe tolto dai guai. Renzo
rimane sorpreso dalle parole dell’avvocato e confessa che era stato lui ad aver subito il torto, visto che Don
Rodrigo aveva impedito di convenire a nozze con Lucia. A questo punto rimane sorpreso anche il dottore,
accusando il giovane di raccontare fandonie e lo caccia in malo modo dallo studio, restituendogli i capponi
che aveva portato in dono. Mentre Renzo si trova a Lecco, Agnese e Lucia decidono di ricorrere all’aiuto di
padre Cristoforo. Mentre stanno decidendo come riuscire a contattare il frate cappuccino, bussa alla loro
porta fra Galdino, incaricato dal convento di Pescarenico, di raccogliere le noci date in offerta dai fedeli.
Mentre Lucia si reca a prendere le noci, Agnese chiede al frate come stava andando la raccolta, sviando
l’argomento delle nozze, e iniziano a parlare della carestia. Il frate racconta la storia di un fatto miracoloso
avvenuto in passato, mostrando che l’elemosina può far tornare l’abbondanza. Lucia torna con un gran
numero di noci, per far si che il frate non debba più andar in giro a elemosinare, ma possa tornare subito in
convento, e lo incarica di chiedere a fra Cristoforo di recarsi da loro il prima possibile. Il frate lascia la casa
felice per l’elemosina. Renzo torna a casa e si congratula in modo ironico con Agnese per il consiglio che
aveva dato e racconta la vicenda. Agnese vorrebbe difendere la sua posizione, ma la figlia interrompe la
discussione tra i due e dice che spera nell’aiuto di fra Cristoforo. Le donne salutano Renzo che torna alla
propria casa
CAPITOLO 4
Inizia il 9 novembre 1628. Parte con la descrizione del paesaggio, un paesaggio autunnale, dove sono
evidenti gli elementi significativi che evidenziano la miseria e la carestia di quel periodo.

 I mendicanti laceri diretti al convento


 I contadini svogliati che lavorano nei campi
 La fanciulla magra.

Segue poi la descrizione di Padre Cristoforo, sta uscendo dal convento di Pescarenico e si reca a casa di
Lucia, di cui viene raccontata tutta la sua storia con l’analessi, cioè “un racconto nel racconto”; dove si
racconta che prima di farsi frate si chiamava Ludovico, ed era figlio di un mercante, educato in modo nobile
e voleva competere con i nobili signori, creando in lui una sorta di crisi interiore portando al desiderio di
cambiare vita e di farsi frate. Ciò perché il suo animo era veramente nobile. Infatti egli non sopportava le
angherie, i soprusi e le vendette. In lui c’era il desiderio di vendicare i torti subiti dai poveri. Un giorno viene
a duello con un potente per una questione futile: il diritto di precedenza su una strada. Ne seguono fatti
cruenti, l’uccisione di Cristoforo, che accorreva in aiuto del padrone, e l’uccisione del rivale da parte di
Ludovico, che viene ferito e mandato in un convento di frati cappuccini, dove matura la decisione di farsi
frate e di prendere il nome di Cristoforo (in ricordo del servo morto). Il giorno seguente va dal fratello
dell’ucciso a chiedere perdono per l’atto compiuto, nel castello del gentiluomo, dove c’erano molti uomini
per umiliarlo. Alla fine viene perdonato dopo un atto di umiliazione. Da quel giorno dedica la vita a
difendere gli oppressi, a difendere i deboli.

Il capitolo si chiude quando il frate giunge alla casa di Lucia.

ASPETTI IMPORTANTI
1. La nuova ripresa del racconto : l’intero capitolo è su padre Cristoforo, sul quale si concentra tanta
attesa e speranza da parte di tutti i protagonisti. Per sottolineare il clima di speranza, la descrizione
inaugura una specie di nuovo inizio del romanzo verso la metà della prima macrosequenza, che
abbraccia i capitoli dal primo all’ottavo, e verso la metà vi è questo nuovo inizio, dove abbiamo
delle sottili allusioni alla natura descritta nel capitolo iniziale, che hanno però funzione diversa:
 Il primo è un paesaggio geografico a meno antecedente la storia particolare dei promessi sposi e la
storia universale dell’umanità;
 Il secondo è un paesaggio storico, che rivela la miseria e la carestia del tempo, inoltre le rotture
dell’equilibrio che avviene è dato dal peccato originale.
2. La storia e il racconto, la funzione del flash-back : alla descrizione del volto del personaggio segue il
lungo flash-back che sospende in una pausa riflessiva la narrazione principale del romanzo, quindi
la ricchezza di avvenimenti fa di queste pagine un racconto nel racconto, che accresce l’interesse
per il personaggio del padre, e motiva i suoi passi successivi, il tempo del racconto principale si
ferma, per dare spazio a un passato, nel quale la vita di un individuo emerge dalla storia di una
società.
3. Comportamento padre Cristoforo : è schietto, vero, non è né vittima del formalismo né della
teatralità, ma usa i gesti della religione in modo reale e sincero, superando la teatralità e toccando i
sentimenti del nobile, da cui accetta un pane, che però non sente come un segno di riconciliazione,
ma in modo tale che si possa ricordare sempre la colpa commessa (l’uccisione del fratello del
nobile).
4. Carattere padre Cristoforo: restano elementi del carattere di Lodovico, “impeto antico e indole
focosa”, frenati da una profonda forza di volontà, dalla prudenza e dalla rassegnazione. L’impeto
antico è un modo spontaneo per opporsi all’ingiustizia in difesa dei deboli, l’indole focosa è
l’atteggiamento che lo oppone ai nobili, mettendo in rilievo l’indole di giustizia.
5. Presenza della storia: all’interno di questo capitolo vi sono degli aspetti fondamentali del 1600
 Gusto del vuoto formalismo (aspetto esteriore, apparenza, forma non sostanza) cavalleresco e
nobiliare: si coglie nella scena del duello, dove una questione futile si trasforma in dramma, il
formalismo cavalleresco si trasforma in una questione importante.
 Senso del puntiglio (ostinazione tenace dovuta all’orgoglio) : è dovuto all’orgoglio e si coglie
ancora nel duello. La legge dell’ostinazione tenace condiziona i due litiganti che non vogliono
estinguere il torto e la giusta direzione dei fatti.
 Gusto della teatralità: il fratello dell’ucciso che attende padre Cristoforo, il quale vuol chiedere
perdono. Qui il fratello sancisce in modo teatrale, il perdono. Il padre con la sua umiltà rovescia
il tutto e non maschera i rapporti reali, tantoché disorienta il gentiluomo, sconvolgendo il
formalismo.
6. Sequenza narrativa del flash-back: nella narrazione le sequenze fondamentali sono due
 Viene dato l’antefatto sociale degli eventi decisivi, seguiti dalla scena dialogata e dal suo epilogo
sanguinoso
 Il rumoroso produce un rinnovamento profondo nel protagonista che sbocca in una nuova scena
dialogata (l’incontro con il fratello dell’ucciso, che porta ad ottenere il perdono).
Dei due momenti principali (duello e dialogo) viene sottolineato il fato scenico, creato dai
testimoni. I momenti tragici della vicenda possono suggerire richiami ad altre storie esemplari, a
storie di santi e riformatori, come ad esempio San Francesco d’Assisi.
7. Trasformazione dei ruoli, il “convito d’amore”: nella scena del perdono, che consacra la vocazione
di Cristoforo, sono contrapposti i simboli dell’orgoglio e dell’umiltà, secondo uno schema consueto
alle tradizioni religiose. Qui però sembra che i ruoli si capovolgano, creano un nuovo equilibrio tra i
personaggi. Prima l’orgoglio del nobile aveva generato l’orgoglio di Cristoforo provocando il duello,
ora è l’umiltà che produce umiltà, facendola sorgere da profondi sentimenti. Si chiude il cerchio di
un esempio morale e religioso, che al problema della violenza dà la risposta del perdono, qui
l’umile (Lodovico), che sii abbassa, viene innalzato secondo l’insegnamento evangelico, ed è
reintegrato in una società divenuta di fraterna, qui l’orgoglioso (gentiluomo), chinandosi verso
l’inginocchiato (Lodovico), innanzandolo si fa umile a sua volta, c’è l’inversione dei ruoli e codesta
inversione del ruolo reciproco è sottolineata anche dell’ironia. Una cosa simile si estende pur con i
limiti del reale alla folla dei presenti: almeno per un momento si attua il convito d’amore di
comunione sociale, del segno concreto del pane e del perdono.
8. Il narratore onnisciente: Manzoni raccontando la storia di padre Cristoforo dimostra di conoscere
tutto. Fa così con tutti i personaggi principali del romanzo, cioè presentare un personaggio prima
della sua entrata in scena. Essa è una tecnica della prima metà del 1800, non seguita nella seconda
metà (ad esempio Verga, con i Malavoglia, non presenta i personaggi, è il lettore che scopre
attraverso il contesto, i giudizi degli altri personaggi e le loro azioni).

DIVISIONE SEQUENZE
(1-31) Il triste paesaggio autunnale.

(32-43) Descrizione fisica e psicologica di padre Cristoforo.

(44-89) L’educazione di Lodovico (polemica del padre).

(89-111) L’indole di Lodovico.

(112-182) L’incontro con un prepotente.

(183-268) Lodovico si fa frate.


(269-329) Il perdono.

(340-371) Il pane del perdono.

(372-401) La vita claustrale di padre Cristoforo.

RIASSUNTO
Quando padre Cristoforo esce dal convento di Pescarenico per recarsi a casa di Lucia, il sole sta sorgendo. Il
frate mentre sta camminando prova una profonda tristezza e un forte presentimento su quello che sta
andando a sentire, pensando sia una sciagura. Per comprendere al meglio il personaggio di padre Cristoforo
bisogna prima conoscerne la storia. L’uomo era prossimo ai sessant’anni, e il suo aspetto umile non
nascondeva in modo completo il suo spirito fiero e inquieto. Il suo vero nome era Ludovico, ed era figlio di
un ricco mercante, il quale poteva permettersi la vita da signore spendendola per dimenticarsi il suo
passato. Pur crescendo in modo nobile, non è mai riuscito a integrarsi con la vera nobiltà. Il rifiuto lo portò
alla decisione di operare contro di loro, contro i loro atti di prepotenza, diventando protettore degli
oppressi e vendicatore dei torti. Per diventare tutto ciò dovette circondarsi di bravi, andando contro la sua
coscienza, la quale lo spingeva a farsi frate. Un giorno, per via di una futile disputa con un nobile arrogante,
per una questione di precedenza su una strada, finì con la morte di Cristoforo, il servitore di Ludovico, per
mano del nobile, e la morte del nobile stesso per mano di Ludovico. Il giovane viene portato in un convento
di frati cappuccini, dove decide di farsi frate e di prendere il nome di Cristoforo. Dopo essersi fatto frate
decide di dare tutti i suoi averi alla famiglia del servitore. Prima di partire per il convento dove avrebbe fatto
il suo tirocinio, decide di incontrare la famiglia del nobile che aveva ucciso per chieder loro perdono. Il
fratello dell’ucciso per celebrare il proprio orgoglio ripagato decide di organizzare una festa. Qui il
comportamento umile del frate riesce a far commuovere i presenti, convincendoli che la sua conversione
era sincera e riuscendo a farsi perdonare dal fratello del nobile. Come simbolo del perdono, il frate riceve
dal nobile del pane, che sarebbe stato conservato per ricordarsi del peccato commesso. La decisione di farsi
frate non spense il suo desiderio di difendere gli oppressi. Quando il frate raggiunge la casa delle due donne
viene accolto da Agnese e Lucia, le quali lo stavano aspettando.
CAPITOLO 5
Luoghi principali: casa di Lucia e palazzotto di don Rodrigo

Aspetti importanti
 Nuclei principali: il capitola presenta 3 nuclei principali
1. Dialogo tra padre Cristoforo e Renzo – il frate esorta il giovane alla pazienza e alla fiducia in
Dio. In questo capitolo possiamo notare la somiglianza nei due personaggi, poiché il frate è
un uomo d’azione che agisce in prima persona e Renzo vuole farsi giustizia.
2. Rappresentazione del “palazzotto” di don Rodrigo – il signorotto non è descritto a tutto
tondo, come viene fatto con gli altri personaggi, ma ne viene descritta la dimora: un piccolo
castello che mostra la vana gloria, il potere, la doppia personalità del personaggio, il quale è
cattivo ma ha un minimo di morale, a differenza del cugino.
3. Discussione che si svolge alla tavola di don Rodrigo tra i commensali – la disputa si svolge
principalmente tra il podestà e il conte Attilio. Il primo ricorre al formalismo mentre il
secondo alla legge della forza e della potenza. Don Rodrigo rimane neutrale, l’avvocato per
rimanere da entrambe le parti usa la doppiezza.
 Padre Cristoforo e Renzo: mentre Renzo parla con il frate fa capire che si è rivolto a degli amici,
provocando la rabbia del frate. Le ragioni private rimandano al passato del frate. Mentre quelle
morali, cioè religiose e politiche lo spingono a esortare Renzo alla pazienza e all’abbandono alla
volontà di Dio, confidando in lui. In questa scena il padre si comporta come un padre nei confronti
di Renzo. Alle parole del frate però non seguono i fatti, poiché egli non rinuncia a andare ad
affrontare don Rodrigo, mostrando l’immagine di un uomo di azione che non si ferma di fronte al
nemico. Si possono perciò trarre due conclusioni:
1) Da un lato la contraddizione fra ideale e reale, assumendo l’aspetto di contrasto fra le idee
e le azioni
2) Dall’altro il suo rapporto con Renzo, che non si esaurisce nell’atteggiamento paterno ma è
più sottile e complesso

Padre Cristoforo assume il ruolo di mediatore tra l’impulsività di Renzo e la prepotenza di don
Rodrigo.

 Don Rodrigo e il suo “palazzotto” : del signorotto non sappiamo niente dell’aspetto fisico. La
rappresentanza del castello è un tòpos del romanzo gotico e di quello storico, qualificandosi per lo
spazio con il dominio che esso esercita sul territorio circostante e per il tempo con la storicità degli
interni, con le generazioni che si sono succedute.
 La disputa: la discussione prima si volge a parlare sulle norme cavalleresche, poi sulla guerra del
Monferrato e infine sulla carestia, dove vediamo di nuovo il podestà contro il conte Attilio. Secondo
il primo, essendo uomo di legge conta il formalismo giuridico, mentre per il conte contano solo il
potere nobiliare, i privilegi medievali e la legge della violenza. Don Rodrigo, mentre assiste mostra
l’atteggiamento neutrale di una persona che non vuole farsi nessuno come nemico. In realtà il
conte e il podestà hanno in comune il fatto che per guidare l’operato degli uomini deve esserci il
rispetto per le forme. Entrambi continuano a ignorare la sostanza morale delle questioni su cosa
stavano dibattendo. Durante la discussione l’avvocato rivela la doppiezza della discussione
osservando come la morale del frate sia giusta per la chiesa ma non nella realtà. Il passo tra le
questioni di cavalleria ai problemi politici del Monferrato, è breve, infatti l’argomento viene
introdotto dal padrone di casa, per troncare la discussione precedente. Anche con questo
argomento il conte e il podestà vogliono mostrare la propria autorità, dove il secondo vanta
l’amicizia con il castellano milanese, mentre il primo mostra le sue associazioni milanesi. La
presunzione dei due dimostra la loro ignoranza. A chiudere la disputa è il padrone di casa che
propone un brindisi.

Titolatura delle sequenze


(88-132) Il palazzo di don Rodrigo.

(133-145) Padre Cristoforo nella sala dei convitati.

(146-167) I commensali.

(168-181) Il convito al banchetto.

(182-285) Discussioni su un problema di cavalleria.

(286-371) Discussioni sulla guerra del Monferrato.

(372-403) Accenno alla carestia.

riassunto
Quando padre Cristoforo arriva a casa di Lucia, quest’ultima scoppia a piangere, i suoi presentimenti
diventano ancor più fondati, in particolare dopo aver sentito Agnese che gli spiegava quello che era
successo. Il frate inizia così a pensare a qualche soluzione mentre rassicura le due donne. La soluzione
migliore a cui il frate pensa è quella di andare da don Rodrigo e affrontarlo, per provare a persuaderlo e a
fargli cambiare intenzione. Nel frattempo giunge alla casa di Lucia e Agnese, Renzo il quale aveva provato a
chiedere aiuto a dei suoi amici per farsi giustizia, ma il tutto invano, poiché al nome di don Rodrigo tutti si
rifiutavano. Il frate sentite queste parole lo rimprovera e gli dice di lasciarsi guidare dalla fede. Dopo aver
parlato con Renzo, Lucia e Agnese, padre Cristoforo lascia la casa e si dirige vero il palazzo del signorotto.
Attorno al palazzotto c’è un villaggio, abitato da contadini e da bravi. Quando il frate arriva al portone trova
due guardia, che dopo averlo riconosciuto chiamano il vecchio servitore per far aprire il portone.
Quest’ultimo lo porta nella sala da pranzo, dove si trovavano a tavola don Rodrigo, suo cugino Attilio,
l’avvocato Azzecca-garbugli, il podestà e altri due commensali. Il conte Attilio e il podestà stanno
questionando riguardo questioni di cavalleria. Il frate anche trovandosi in quel palazzo per un determinato
motivo, quando gli viene posta una domanda, non risponde, sperando di parlare con don Rodrigo al più
presto. Dal canto suo il signorotto prova invece a rimandare il colloquio, ponendo domande e
provocandolo. Stanco della discussione sulla cavalleria, don Rodrigo rivolge il tema della discussione sulla
guerra di successione per il ducato di Mantova. Anche se l’argomento della discussione cambia, non cambia
il modo, infatti il conte Attilio e il podestà tornano a battibeccare e don Rodrigo si vede costretto a
intervenire per far tacere il cugino, per poi proporre un brindisi per far smettere il commensale. Con l’elogio
dell’avvocato al vino, l’argomento del discorso cambia nuovamente, e si inizia a parlare della carestia,
attribuendo all’unisono la colpa ai fornai. Come nelle precedenti discussioni possiamo trovare dei
disaccordi, difatti secondo il conte Attilio dovrebbero essere tutti impiccati; mentre secondo il podestà
dovrebbero ricevere un processo regolare. Don Rodrigo, quando nota che il frate non ha intenzione di
andarsene, decide di affrontarlo, conducendolo con sé in un’altra sala.
CAPITOLO 6
Novembre 1628

Gli episodi sono ambientati in due luoghi principali, e in due luoghi secondari. I primi sonno il palazzotto e la
casa di lucia, i secondari la dimora di Tonio e la trattoria del paese.

Le azioni:

 l’incontro e dialogo tra don Rodrigo e padre Cistoforo.


 il progetto di Agnese a Renzo e lucia, quello di prendere di sprovvista da don Abbondio, andando con
due testimoni e pronunciare davanti a loro il matrimonio.
 Renzo va dall’amico Tonio a chiedere di fargli da testimone, con lui raggiunge la trattoria per chiamare
Gervaso, fratello di Tonio, che Renzo ha scelto come secondo testimone.
 ritorno di fra Cristoforo a casa di Lucia.

ASPETTI IMPORTANTI

 Tema della provvidenza divina : inteso come aiuto di Dio verso le creature del mondo. Nella seconda
sequenza compare un personaggio sec, un vecchio servitore, che rappresenta per il padre una luce
di speranza e l’intervento della provvidenza. Il dio di Manzoni è un dio nascosto, che si rivela ne
profondo dell’animo umano, come crisi interiore. Quando i personaggi entrano in crisi è perché
l’autore fa entrare l’intervento di dio.
 Come padre Cristoforo si schiera contro don Rodrigo : il padre è il personaggio positivo, rappresenta
il bene e fa una lotta indifesa dei valori cristiani (giustizia fede e morale), degli umili, dei poveri,
degli innocenti. Don Rodrigo è negativo, rappresenta il male, coltiva il capriccio della passione, il
puntiglio, la vanagloria. Il padre e l’altro sono due posizioni morali contrapposto e sono due anime
diversamente turbate ma in modo diverso. Il frate è combattuto per il suo temperamento
guerresco e i sentimenti di prudenza e moderazione dall’altro, nel signorotto contrastano
arroganza, prepotenza, forza e timore e senso di colpa dall’altra, questo contrasto tra il bene e il
male sotto intende l dottrina giansemistica. Vivono due duelli, da un lato abbiamo quello visibile del
confronto diretto, che si svolge con toni minacciosi, dall’altro quello nascosto che vivono
segretamente nel loro animo. Il primo vede vittorioso don Rodrigo, perché caccia il frate con insulti
irrispettosi; il secondo segna il trionfo del frate, che con le sue parole profetiche minacciose scuote
l’animo del signorotto
 Le figure di Agnese e Lucia : Agnese è la donna saggia, che si vanta di avere questa esperienza
propria della sua vita, fondata su un fatto reale accaduto ad una sua amica, del quella era stata
diretta testimone, vantandosi di sapere anche le esperienze altrui. Dall’altro Lucia segue in odo
determinato la legge del dover essere, senza lasciarsi vincere da motivazioni contingenti, per cui
non si sente a suo agi a compiere il matrimonio clandestino proposto dalla madre, volendo mette in
atto la legge dell’essere. Agnese ritiene corretto che i poveri si destreggino con abilità e sotterfugi,
per sopravvivere alle leggi e alle norme imposte dalla classe dominante, estranee alla povera gente.
Lucia invece ritiene ce l’unica via sia quella di ubbidire senza transigere alla dottrina cattolica.
 Il realismo manzoniano: in questo capitolo è evidente in due momenti, nella presentazione della
cena a casa di Tonio e nel discorso di Agnese ai due promessi per cercare di convincerli. Quanto alla
presentazione il realismo è presentato in modo sobrio e intenso, con una descrizione di casa
rustica, di casa di poveri contadini durante una carestia. Il realismo è accentuato da alunni
particolari: per esempio la posizione di Tonio, con un ginocchio posato sullo scalino del focolare e
con un mattarello ricurvo in mano, che usava per rimescolare la polenta nel paiolo, le ceneri che
stavano attorno al fuoco e il colore bigio della polenta, fatta con grano saraceno, denotando la
povertà della famiglia, che viene fissata dai commensali affamati, e lo sguardo proprio sbieco e
rabbioso (sguardo non sereno), anche dei piccoli figli di Tonio per il cibo scarso. Il realismo nel
discorso è nel linguaggio e nella cultura di una donna del popolo, presa dalla cultura cristiana,
all’ambiente della chiesa, con linguaggio semplice elementare, un linguaggio diverso da quello
biblico e dal quello elevato del frate, (qui entra il pluristilismo).

TITOLATURA SEQUENZE
(1-106) Colloquio tra padre Cristoforo e don Rodrigo.

(107-169) Il vecchio servitore.

(170-271) Il piano di Agnese.

(272-350) Renzo in cerca di testimoni.

(351-380) L’opposizione di Lucia.

(381-385) L’arrivo di padre Cristoforo.

RIASSUNTO
Don Rodrigo conduce il padre in una sala appartata, dove inizia il dialogo tra i due. Il signorotto si mostra
arrogante, interrompendo svariate volte in modo aggressivo padre Cristoforo. Quest’ultimo prova a
mantenere la calma, cercando di rimanere il più diplomatico possibile, in particolare nel chiedere di cessare
le oppressioni verso Lucia, così da permettere il matrimonio tra i due giovani. La situazione precipita
quando don Rodrigo accusa il frate di provare interesse per la giovane e propone di condurla al suo
palazzotto per tenerla al sicuro, dando inizio ad una rissa verbale. Il frate dichiara che non aver più paura
per Lucia, perché la proteggerà la giustizia divina. Don Rodrigo si infuria e ciaccia via padre Cristoforo in
malo modo dal suo palazzotto. Mentre si sta allontanando il frate viene avvicinato dal vecchio servitore che
lo aveva accolto, e dichiara di aver ascoltato il dialogo di nascosto, mostrando di aver intenzione di aiutare il
frate cappuccino: promette di raccogliere informazioni e di recarsi ogni giorno in convento per aggiornare
padre Cristoforo. Quest’ultimo torna a casa da Agnese e Lucia, per informarle dei fatti accaduti, con l’animo
un po' più sollevato. Agnese nel frattempo ha elaborato un piano, proponendolo ai due promessi:
presentarsi di sorpresa dal curato con due testimoni e far celebrare il matrimonio. Anche se contro volontà
del parroco il matrimonio avrebbe avuto valore a tutti gli effetti i due giovani avrebbero così potuto lasciare
il paese. Lucia però è contraria al piano della madre, mentre Renzo si trova d’accordo con la suocera e
decide di andare a trovare l’amico Tonio, il quale lo invita all’osteria del paese per chiamare il fratello
Gervaso e per spiegar loro il piano. Tonio e Renzo si accordano per la sera del giorno seguente e Renzo
torna dalle due donne e annuncia di aver convinto Tonio. Rimane solo da pensare a Perpetua, compito di
cui se ne fa carico Agnese.
Capitolo 7
Due complotti: in casa di Agnese e al palazzotto di don Rodrigo con il rapimento di lucia. Complotti in due
luoghi contrastanti, l’introduzione che richiama l’inizio de secondo capitolo.

Aspetti importanti:
 Il capitolo si articola in 3 parti:
1. Il narratore racconta come la mattina del 10 novembre 1628 in casa di Lucia fervono i
preparativi per il matrimonio di sorpresa da compiere la sera stessa.
2. Il narratore per analessi racconta come don Rodrigo a palazzo trascorre la serata del 9
novembre e racconta la decisione presa da quel signorotto con il suo bravo fidatissimo, il Griso.
3. Il narratore racconta i fatti che avvengono simultaneamente e in parallelo la sera del 10
novembre al calar del sole, de quali sono protagonisti i personaggi antagonisti:
- Agnese Renzo, Lucia e i testimoni da una parte
- Don Rodrigo e i bravi dall’altra.

Il narratore gestisce gli eventi con tecniche narrative precise:

- L’analessi: per riferire ciò che la sera prima era accaduto al palazzotto di don Rodrigo
- L’ellissi: non vuole dire i ragionamenti tenuti dal signorotto e dal Griso nel momento di
decidere il rapimento di lucia
- Ricostruisce a posteriori la simultaneità dei fatti, narra i fatti in successione nelle prime
due parti del capitolo
- Ricostruisce i fatti simultaneamente in parallelo nella terza parte
 Crisi d’identità di Don Rodrigo : egli rivela una personalità complessa, le parole profetiche del padre
provocano in lui un forte turbamento, per cui ha una crisi psicologica, allora cerca di superarla, ma
non la cancella affatto, cerca di rimuoverla in 3 momenti, la sera del 9 novembre, dopo aver
cacciato il padre dal palazzotto:
1. Il confronto con le immagini dei suoi antenati raffigurati nei quadri appesi sul muro della sua
sala
2. La passeggiata che fa in abito da parata, accompagnati dalla scorta di 6 bravi, come prevedeva il
cerimoniale.
3. La visita alla casa di malaffare.

La rimozione della crisi avviene a gradi, attraverso questi 3 momenti: nel primo momento davanti ai
ritratti dimostra esitazione e vorrebbe rinunciare all’impresa di superare questa crisi, poi gli
antenati lo spronano a mostrare il potere con il cerimoniale, così fa la passeggiata e la visita alla
casa. La mattina seguente sembra aver superato la crisi e il turbamento nato dalle parole di padre
Cristoforo

 Falso idillio della sera paesana : l’autore inserisce una pausa dedicata all’atmosfera del villaggio
prima dello svolgersi degli avvenimenti. I paesani si apprestano alla quiete. L’umile fede contadina
si esprime con la preghiera, in un’atmosfera di raccoglimento e pace.

Divisione sequenze
(1-48) Padre Cristoforo sul fallimento del suo tentativo di colloquio con don Rodrigo.

(49-132) Lucia acconsente al matrimonio di sorpresa.


(133-159) Agnese manda Menico da padre Cristoforo.

(160-183) I falsi mendicanti.

(184-347) Il piano di don Rodrigo: rapire Lucia.

(348-442) Renzo all’osteria con Tonio e Gervaso.

(443-499) Agnese, Renzo, Lucia e i due testimoni vanno da Don Abbondio per il matrimonio clandestino.

riassunto
Arrivato a casa delle due donne il frate comunica a Renzo, Lucia e Agnese di non esser riuscito a far
cambiare idea a don Rodrigo. Aggiunge di aver trovato un aiuto, senza entrare in particolari. Renzo nel
mentre si adira e il frate prova a calmarlo e di presentare l’indomani una persona fidata per ricevere notizi.
Infine lascia l’abitazione per tornare al convento prima che facesse buio. Renzo arrabbiato per l’ennesimo
fallimento riferito dal frate e dalla decisione di Lucia di opporsi al matrimonio di sorpresa, arriva a
minacciare di farsi giustizia da solo, riuscendo a convincere lamata a acconsentire al matrimonio. Lucia
promette di presentarsi davanti a don Abbondio, mentre Renzo le promette un’altra volta che non avrebbe
fatto scandali e torna a casa. Il giorno dopo Renzo, Lucia e Agnese si incontrano per rifinire gli ultimi dettagli
del piano che avrebbero messo in atto quella sera. Poiché Renzo non si fida ad andare al convento di
persona per paura che il piano venga scoperto da frate Cristoforo, Agnese esce di casa e incarica Menico di
andarci, promettendogli soldi al suo ritorno. Per tutta la durata della mattina a casa di Agnese e Lucia si
presentano dei bravi travestiti da pellegrini e viandanti. Uno di loro entra all’interno della casa e finge di
sbagliare uscita per curiosare meglio. Dopo il colloquio con fra Cristoforo, don Rodrigo era furibondo per le
parole pronunciate dal frate, e dopo aver camminato nella sala osservando i quadri dei suoi antenati decide
di uscire. Esce seguendo il cerimoniale e facendosi scortare da sei bravi, aggirandosi per le strade del paese
tra gli inchini dei paesani, cercando di ritrovare il suo orgoglio e dimostrando la sua potenza. Tornato a casa
viene deriso dal conte Attilio, con il quale cena, e propone di raddoppiare la posta in pallio della
scommessa. La mattina dopo il signorotto di sveglia di nuovo come prima e decide di far chiamare il Griso.
Egli è il capo dei bravi e don Rodrigo gli chiede di organizzare il rapimento di Lucia e portargliela la sera
stessa, per imporre silenzio a Agnese e incutere timore a Renzo, facendogli passare il pensiero di ricorrere
alla giustizia. La mattina seguente viene utilizzata dai bravi e dal Griso per perlustrare la casa di Agnese e
Lucia e torno al palazzotto per definire il piano. Appena scopre le intenzioni di don Rodrigo, il vecchio
servitore parte per informare padre Cristoforo. Nel frattempo i bravi, uno dopo l’altro, si avviano verso il
casolare abbandonato. Tre di loro vengono mandati all’osteria per tener d’occhio la situazione del paese.
Renzo, Tonio e Gervaso si recano all’osteria, dove incontrano i bravi che li osservano in malo modo. Renzo
cerca di ottenere dall’oste informazioni, ma egli li descrive come galantuomini; ma quando la stessa
domanda viene riferita dai bravi egli risponde, dando informazioni sul terzetto. Quando Renzo, Tonio e
Gervaso escono dall’osteria, i due bravi li seguono, ma appena vengono notati si fermano e tornano
indietro. I tre passano vanno a chiamare Lucia e Agnese per recarsi dal curato e poterlo convincere a fare il
matrimonio di sorpresa. Arrivati alla canonica Renzo e Lucia si nascondono, mentre Tonio i presenta alla
porta, che gli viene aperta da Perpetua, usando la scusa che deve pagare il debito che ha con don
Abbondio. Agnese dopo ver rassicurato la figlia va a parlare con Tonio, fingendo di esser capitata lì per caso
Capitolo 8
Capitolo pilastro del romanzo, fa da snodo tra prima l’arte e seconda parte del romanzo. Le vicende
avvengono tra la sera del 10 novembre e la mattina dell’11 novembre 1628.

Aspetti importanti

 Notte imbrogli: di Renzo e Agnese e quello di don Rodrigo e quello fallito di padre Cristoforo che
prova a avvisare per tempo Renzo e Lucia del pericolo d’imminente: ossia il rapimento di Lucia da
parte dei bravi e di don Rodrigo, ma Menico che doveva portare il messaggio del padre, quando
giunge a casa di Lucia trova il Griso e i bravi. I due progetti avvengono simultaneamente, ma
l’autore presenta per primo quello del matrimonio di sorpresa, poi per analessi quello del
rapimento. Il primo progetto fallisce, perché don Abbondio è veloce e pronto nel reagire di fronte al
tentativo di Renzo e Lucia di pronunciare la formula del matrimonio. Il secondo progetto fallisce
perché il Griso e gli altri bravi entrano nella casa di Agnese, quando lei è Lucia sono già uscite per
andare da don Abbondio. Renzo Lucia e Agnese fallito il matrimonio di sorpresa fuggono vero il
convento di Pescarenico: vanno da padre Cristoforo perché informati da Menico, sanno che la casa
è occupata dai bravi. Anche i bravi fallito il rapimento al suono delle campane a martello, in seguito
alle grida di aiuto di don Abbondio fuggono per il timore di esser stati scoperti e tornano al
palazzotto di don Rodrigo a mani vuote. Renzo, Agnese e Lucia giunti al convento vengono accolti
da padre Cristoforo, il quale ringrazia Dio nel vederli e li fa entrare. Poi il padre manda le due donne
al sicuro a Monza, al convento della città e Renzo a Milano, al convento dei frati cappuccini di Porta
orientale. Prima di farli partire vuole che tutte pregassero dio perché li assisteste nel viaggio e
desse loro la forza di affrontare le difficoltà, vuole anche che pregassero per il signorotto.
Dopodiché Renzo Lucia e Agnese uscirono dalla chiesa, si avviarono verso la riva del lago, dove saliti
su una barca presero il largo verso la riva opposta, i passeggeri si voltarono indietro a osservare il
loro paese rischiarato dalla luna. Lucia diede questo addio accurata ai suoi Monti e alla sua terra,
fiduciosa in Dio, che non turba mai la gioia dei suoi figli, se non prepararne loro una migliore.
 Gioco di simmetrie: nella prima parte appaiono i movimenti di Renzo, Lucia e Agnese. Nella
seconda i movimenti del Griso e dei bravi. Questi movimenti contengono tre progetti
1. Matrimonio di sorpresa
2. Rapimento di Lucia
3. Avviso di padre Cristoforo tramite Menico
Queste azioni avvengono simultaneamente e la simmetria è data dalla conclusione negativa dei
progetti. Vi è anche l’alternarsi degli spazi chiusi, aperti e chiusi, aggiungendo l’alternarsi di luce e
buio. Gli elementi umoristici e comici sottolineano i gesti falliti e l’impotenza degli uomini nel
realizzare il progetto. L’autore dimostra di aver creato un meccanismo perfetto, dove ogni
elemento si incastra alla perfezione negli altri, con perfetta sincronia.
 L’egoismo della folla: in questo capitolo compare per la prima volta la folla in azione, che si
comporta ingenuamente e istintivamente, seguendo l’azione o la voce dei più (cioè della
maggioranza), quando la folla sa che le due donne sono salve torna tranquilla alla propria casa. La
folla cerca di salvare l’onore del paese e oppone al fatto che le due donne vengano portate via.
Vediamo anche la figura del console, che ha un atteggiamento insicuro, stando tra la folla e quando
deve prendere una decisione si comporta come Ambrogio (il sagrestano): egli comanda di suonare
le campane come se non si sentisse di intervenire, poiché non vuole contrapporsi con i potenti
malfattori. Il console durante il giorno è combattuto tra il dover far il suo dovere (informare il
podestà dell’accaduto) e il tacere e fare finta di niente per mantenere il quieto vivere. I bravi
intervengono presso il console per fargli seguire la seconda posizione e subito egli acconsente
subito. Qui emerge il pessimismo manzoniano circa la natura umana, dove si notano i
comportamenti egoistici
 Addio monti: in questo paso Manzoni esprime il suo sentimento lirico e morale. Il palazzotto rompe
questo momento di idillio e riporta la realtà dei fatti, crudele che si può cogliere il punto di vista di
Lucia, rielaborato da Manzoni con l’espressione delle condizioni morali e religiose. È un momento
di forti emozioni per la ragazza, che nel lasciare il suo paesello lo guarda in ogni angolo con un forte
sentimento di nostalgia, arrivando al pianto. L’addio segna anche l’addio al primo nucleo narrativo,
perché nei primi 8 capitoli il romanzo è definito romanzo paesano, cioè ambientato nel paese di
Renzo e Lucia. Da questo moneto inizia un altro romanzo, nel quale i due promessi sono costretti a
vivere lontani l’uno dall’altro e a vivere avventure in luoghi altrettanto lontani.

Titolatura sequenze

(1-93) la spedizione di Renzo: sorpresa a don Abbondio

(94-119) Renzo e Lucia alla presenza di don Abbondio

(120-149) le grida di don Abbondio

(149-164) il sagrestano suona a martello

(165-214) i bravi nella casa di Lucia: altro fallimento

(214-251) il ritorno di Menico

(252-310) Agnese si libera di perpetua e fugge con Renzo, Lucia e Menico

(311-386) il popolo in piazza e alla casa di Lucia

(387-424) verso il convento di Pescarenico

(425-520) l’incontro con padre Cristoforo

(521-552) l’addio al paese

Riassunto

Don Abbondio dopo che Perpetua lo informa dell’arrivo di Tonio, interrompe la lettura e dice alla serva di
far entrare l’uomo assieme al fratello. Quando Perpetua torna dai due fratelli per farli entrare, nota anche
Agnese, la quale la coinvolge in una conversazione riguardante delle calunnie sul suo conto. Mentre i due
fratelli entrano in casa, vengono seguiti da Renzo e Lucia, che si nascondo nell’ombra per non essere notati
dal curato, attendendo il segnale. Arrivato alla presenza di don Abbondio, Tonio salda il suo debito,
dandogli le monete e volendo indietro la collana della moglie. Mentre Tonio e il curato stanno compilando
la ricevuta, i due promessi escono dal nascondiglio e si mostrano a don Abbondio. Mentre Renzo riesce a
pronunciare la formula per intero, Lucia viene interrotta dal curato, il quale riesce a scappare e dopo essersi
chiuso in un’altra stanza, chiede aiuto urlando dalla finestra. Le urla del curato svegliano Ambrogio, il
sacrestano, il quale si precipita a suonare le campane, richiamando così la gente del paese. I tre bravi che
Renzo ha incontrato all’osteria, ritornano pe riferire tutto al Griso, ma prima si accertano che tutti i paesani
fossero rincasati. Tornati al casolare, coordinati dal Griso, tutti i bravi si dirigono verso la casa di Lucia, ma la
trovano completamente vuota. Il capo dei bravi inizia a pensare alla probabile presenza di una spia
all’interno del gruppo. Mentre i bravi sono occupati a controllare la casa, dal convento di padre Cristoforo
torna Menico, per riferire le indicazioni del frate. Il giovane viene afferrato da due bravi e urla. In soccorso
di Menico arrivano i rintocchi delle campane. Sentito il rumore i due uomini lasciano andare il ragazzino, il
quale corre vero la chiesa, mentre i bravi terrorizzati scappano e ritornano al palazzotto dopo che il Griso li
richiama. Renzo e Lucia escono dalla casa di don Abbondio e raggiungono Agnese. I tre si allontanano per
evitare di essere visti dalla gente che stava andando al paese, nel mentre incontrano Menico, che riporta
l’ordine del frate di raggiungerlo al convento di Pescarenico. Mentre la gente si radunava in piazza il curato
li ringrazia per essere accorsi con così tanta premura e dice che in casa si erano intrufolai dei malviventi che
poi erano fuggiti. Quando tutti tornano a casa don Abbondio torno a litigare con Perpetua. Nel frattempo
gira voce che alcuni uomini armati volessero uccidere un pellegrino che alloggiava a casa di Agnese e Lucia,
allora gli abitanti di precipitano alla dimora delle due donne ma la trovano completamente vuota.
Inizialmente chi era accorso alla casa non trovando né Agnese né Lucia pensava che fossero state rapite dai
malviventi, ma poi giunge la notizia che madre e figlia son riuscite a mettersi in salvo. Dopo questa lieta
notizia tutti tornano alle proprie abitazioni. Il giorno seguente, due bravi del signorotto avvicineranno il
console, e gli chiederanno minacciando di non dire niente al podestà riguardo ciò che era successo la sera
precedente. Renzo Lucia e Agnese continuano la fuga verso il convento, attraversando i campi. Si fermano
solo per ascoltare la vicenda di Menico, il quale viene rimandato a casa. Arrivati al convento, padre
Cristoforo li fa entrare
e illustra il piano che aveva in mente, cioè la fuga. Dopo aver pregato tutti insieme i tre salutano e
ringraziano il frate e dopo aver lasciato il convento. Dopo aver lasciato il convento Renzo, Agnese e Lucia si
dirigono verso il lago, dove trovano un’imbarcazione che li aspettava. Dopo che l’imbarcazione prende il
largo i tre danno in modo silenzioso addio al paese e Lucia inizia a piangere silenziosamente in segreto.
RIASSUNTO CAPITOLI 1-8
I primi otto capitoli sono una sorta di primo romanzo, la vicenda si svolge nel paese. L’antefatto è la
manovra di don Rodrigo nell’impedire il matrimonio, poiché si è invaghito di Lucia. L’ostacolo è grave, si
cercano aiuti invano e la mossa dei protagonisti culmina con la fuga dal paese, segno di sconfitta e di
salvezza. C’è anche la mossa dell’antagonista che non riesce a portare a segno il rapimento della ragazza. I
capitoli sono ricchi di avvenimenti, dialoghi, azioni, pause descrittive e digressioni poste con le emozioni.
Esse precisano situazioni di equilibrio e di frattura, di attesa. Il fondale delle scene è il paese, il punto focale
è la casa di Lucia, dove si elaborano i piani d’azione.

Le tre azioni che allontanano i protagonisti dal paese sono:

1. L’andata a Lecco di Renzo per parlare con il dottor Azzecca-garbugli.


2. La visita di padre Cristoforo al palazzotto.
3. La fuga da Pescarenico.

Tempo

I movimenti dei personaggi sono raccolti in poche giornate, dalla sera del 7 novembre alla notte degli
imbrogli del 10 novembre:

 Capitolo 1: sera del 7 novembre.


 Capitolo 2 e 3: 8 novembre.
 Capitolo 4 fino al capitolo 7: 9 novembre.
 Capitolo 7 e capitolo 8: 10 novembre.

Sequenze narrative

1) Equilibrio che si spezza ponendo un problema.


2) I protagonisti attraversano peripezie per cercare di risolverle.
3) I protagonisti raggiungono un esito: la fuga.

Simmetrie con la vita di padre Cristoforo

Lo stesso schema si ripropone nella digressione sulla vita di padre Cristoforo:

1) Conflitto tra lui e il nobile.


2) Duello.
3) Uccisione del nobile.
4) La volontà di espiazione.
5) L’umiliazione in pubblico.
6) Il perdono ottenuto.

Personaggi

Ci sono:

 Gli oppressi: Renzo e Lucia


 Gli intermediari: don Abbondio e padre Cristoforo
 L’oppressore: don Rodrigo
Capitolo 9
Il capitolo 9 è diviso in 3 parti:

 la prima parte è quella del viaggio notturno in baroccio (carretto) verso Monza, dove Renzo Lucia e
Agnese arrivano all’alba dell’11 novembre; qui fanno colazione ed è l’ultima volta che Renzo e
Lucia stanno insieme, infatti Renzo parte per Milano, mentre il barocciaio porta Agnese e Lucia al
convento dei cappuccini indicato da fra Cristoforo.
 La seconda parte del capitolo riguarda l’incontro di Agnese e Lucia con la monaca di Monza; infatti,
il padre guardiano che dirige il convento indirizza le due donne a lei perché le ospiti nel monastero.
 La terza parte del capitolo è una analessi che racconta la storia di Geltrude, da quando è nata. È la
storia di Gertrude che viene obbligata dal padre a farsi monaca per lasciare il patrimonio al suo
fratello maggiore.

Aspetti importanti
 Tempo storia e relazione con tempo del racconto : il capitolo 8 segna la fine del primo nucleo
narrativo del romanzo, ambientato a Pescarenico, paese dei due promessi sposi, e caratterizzato
dalla presenza sulla scena di entrambi. Con il capitolo 9 ha inizio il secondo nucleo del romanzo, più
breve, infratti comprende solo il 9 e il 10 e che ha una funzione di passaggio, da qui in poi due
fidanzati si separano e saranno sulla scena solo uno alla volta. In questi capitoli (9 e 10) vengono
narrate brevemente le vicende di Lucia e Agnese nel convento, ma poi Manzoni attraverso una
lunga analessi, ci racconta la storia di Gertrude. Finita questa fa un accenno alla vita in convento
delle due donne che andrà avanti per circa un mese. Il primo nucleo narrativo, quindi, comprende: i
primi 8 capitoli e il tempo della storia narrata va dal pomeriggio del 7 novembre alla notte del 10. Il
secondo nucleo narrativo è cronologicamente più lungo perché va dalla mattina dell’11 novembre e
dura circa un mese, cioè il tempo di permanenza delle due donne in convento. Inoltre, nella lunga
analessi che descrive la storia di Gertrude, il narratore torna in dietro di 25 anni cioè da quando
Gertrude è nata alla sua vita attuale in monastero. Il tempo del racconto nel primo nucleo, quindi, è
lento e analitico: 3 giornate in 8 capitoli. Nel secondo, allungandosi il tempo della storia, il tempo
del racconto è più condensato.
 Umili e mitizzazione ideologica/paternalista: Nel nono capitolo ci sono due figure di umili: il
barcaiolo che traghetta i fuggitivi e il barrocciaio che li porta a Monza. Entrambi vogliono aiutare i
promessi sposi e Agnese e rifiutano la ricompensa di Renzo: infatti Manzoni ci dice che puntano a
una ricompensa più grande, cioè quella divina. Loro, infatti, sono l’esempio della carità Cristiana
che emerge in contrasto a tanti comportamenti opportunistici (don Abbondio) il loro aiuto lo
prestano con il cuore e non per pura formalità. Anche il padre guardiano è lontano da questo
sentimento di carità, infatti l’aiuto che presta alle donne fa parte di un rapporto di favori tra i
cappuccini di Monza e quelli di Lecco. Manzoni ci mostra in questi comportamenti degli umili il suo
populismo, ovvero considera gli umili i prediletti da Dio. Questo populismo però non esclude un
atteggiamento di Manzoni di superiorità e ironico paternalismo come avevamo visto nei confronti
di Agnese e Perpetua; anche qui viene sottolineato dal modo di parlare e dal discorso del
barrocciaio e del suo modo tipico dei più umili di trasportare in leggenda la vita die nobili, così
come fa nel raccontare a Lucia e Agnese la vicenda famigliare di Gertrude.
 Gertrude e il principe padre : il realismo storico di Manzoni si manifesta anche nell’utilizzo nella
narrazione di personaggi realmente esistiti, tra cui Gertrude cioè la monaca di Monza. Manzoni,
infatti, si ispira a Marianna de Leyeva, donna realmente esistita, figlia di un nobile spagnolo, il conte
di Monza Martino de Leyeva e orfana di madre. Prese i voti per volere di suo padre con il nome di
suor Virginia, nome di sua madre, morta quando era ancora piccola. È stata una religiosa italiana
protagonista alla fine del 1500 di uno scandalo che sconvolse Monza. Essa, infatti, ebbe una
relazione sentimentale con un conte ma che venne poi scoperta. L’arcivescovo Federico borromeo
ordinò per suor Virginia un processo canonico al termine del quale fu condannata a essere “murata
viva” in una piccola cella con una sola feritoia, ovvero privata di qualsiasi comunicazione con
l’esterno. Manzoni ci presenta questo personaggio con una certa partecipazione e pietà verso la
stessa per la pressione psicologica che ha subito fin da piccola e che l’hanno trasformata in
aguzzina. Più volte Manzoni pone l’accento sul rovesciamento delle situazioni, anche in questo caso
ci presenta il tema dell’educazione rovesciata, ovvero della psicologia di suo padre e della sua
famiglia applicate in senso negativo e distruttivo. Nella vicenda di Gertrude emerge infatti la
costrizione psicologica usata dal principe padre per creare in Gertrude il senso di colpa e portarla a
diventare monaca. Suo padre non dirà mai a sua figlia di farsi monaca ma fin dalla sua nascita cerca
di condizionarla nelle immagini e nei comportamenti verso questa strada; agisce così per via
subliminale e con delle suggestioni e mai con una persuasione diretta. Vengono anche poi descritti i
sentimenti della ragazza e le sue reazioni alla pressione che subisce che la condizioneranno nei
rapporti e nel suo comportamento nei confronti di Lucia: Gertrude, infatti, tende a identificarsi in
Lucia e teme non solo per una sua curiosità morbosa che sia Agnese ad aver complottato il rifugio
in monastero. Si addolcisce solo quando sente le parole dirette di lucia che dice che lei ama Renzo
e vuole sposarlo per propria volontà.

Divisione sequenze
(1-52) Arrivo a Monza e separazione da Renzo.

(53-90) Agnese e Lucia al convento dei frati cappuccini.

(91-245) L’incontro con la monaca di Monza.

(114-142) Descrizione aspetto monaca di Monza.

(143-369) Storia della monaca di Monza.

(370-407) Gertrude chiede al vicario di entrare in convento.

(408-437) Gertrude trascorre un mese a casa prima dell’esame del vicario.

(438-353) La simpatia per il paggio, il pentimento e la decisione di rientrare in convento.

Riassunto
Grazie alla barca preparata in precedenza dal frate, Renzo, Lucia e Agnese raggiungono la riva opposta del
lago. Dopo esser scesi dalla barca e aver salutato il barcaiolo, riprendono subito il loro viaggio su un carro.
Quando arrivano a Monza il sole è già sorto, e decidono perciò di fare colazione in un’osteria e poi si
separano, mantenendo la speranza di potersi rincontrare al più presto. Renzo si dirigerà a Milano, mentre
le due donne si dirigeranno al convento dei cappuccini di Monza, dove verranno accolte dal padre
guardiano, il quale le conduce, con debita distanza per non dare scandalo, al monastero della signora, dove
prova a ottenere ospitalità per Agnese e Lucia. Il frate chiede di poter parlare con Gertrude, una monaca di
nobili origini e potente di famiglia. Madre e figlia vengono introdotte nel parlatorio del monastero, dove
incontrano la monaca di Monza. La religiosa ha circa 25 anni e il suo viso mostra una bellezza quasi sfiorita.
E sue labbra e il suo sguardo mostravano uno stato d’animo molto agitato, delle volte superbo e altre
iracondo, con momenti in cui era timida, spaventata e tormentata. Anche il portamento aveva qualcosa di
misterioso e strano. Gertrude vuole sapere la storia di Agnese e Lucia nei particolari. La madre non riesce a
finire la frase che viene zittita dallo sguardo del padre guardiano, il quale racconta di persona cioè che era
successo senza entrare nei particolari. La monaca però non ne rimane soddisfatta e dopo aver sentito che il
signorotto aveva perseguitato la giovane ragazza con le lusinghe, decide di interrogarla di persona per
averne la conferma dei fatti. Lucia talmente è imbarazzata che non riesce a parlare, perciò Agnese decide di
parlare al suo posto, ma viene fermata subito dalla monaca stessa. La giovane ragazza alla fine riesce a
trovare le forze per parlare e convince Gertrude a dar loro protezione. La monaca dà indicazioni per far si
che si esegua la sua volontà e si congeda. Per comprendere al meglio il personaggio di Gertrude dobbiamo
conoscerne la storia. Gertrude è l’ultima figlia del principe feudatario di Monza, il quale è risoluto a tenere il
suo patrimonio unito, per poter sostenere il decoro del titolo famigliare, facendo prender ei voti a tutti i figli
cadetti e a tutte le figlie, poiché l’unico erede doveva essere il primogenito. Perciò il futuro della ragazza era
già stato prestabilito dai genitori, e durante la sua infanzia sia i genitori che i parenti avevano provato a
spingerla verso la vita consacrata, non manifestando la loro volontà. Ogni volta le venivano regalate delle
bambole vestite da monache e santini, e ogni complimento e/o rimprovero che riceveva alludevano al suo
futuro da badessa. A sei anni viene mandata all’istituto di Monza per essere istruita, e sia la badessa sia le
monache sapevano quanto fosse importante avere il principe dalla loro parte, perciò portarono avanti ciò
che aveva iniziato la famiglia della piccola, concedendole ogni privilegio e rendendole una vita gradita nel
chiostro. I discorsi delle compagne su matrimoni e argomenti simili la distolsero dalla via sulla quale era
stata indirizzata, mostrando così i primi segni di rifiuto della vita che le aspettava, decidendo di avvisare il
padre attraverso una lettera, non ricevendo però una risposta. Gertrude dovette passare un mese nella
casa paternale, prima di vestire l’abito monacale. Qua la ragazza voleva viver parte dei godimenti che aveva
sempre sognato, ma non assaporò altro che una nuova clausura, ancor più triste di quella vissuta in
convento: difatti nessuno le rivolgeva parola o affetto. L’unico che le rivolse attenzioni fu un paggio, del
quale se ne invaghì, e dunque decise di scrivere una lettera, che cadde nelle mani del padre, facendo così
scoppiare uno scandalo e la conseguente clausura avvenuta in carcere. Quando Gertrude viene
imprigionata, il suo odio verso la carceriera aumenta, poiché era la donna che aveva scoperto la lettera, e
per via dei maltrattamenti psicologici la ragazza è costretta a scegliere la vita consacrata.
Capitolo 10
Come nel nono prevalgono gli spazi chiusi, con la casa di Gertrude e il convento monastero. Qua continua
l’analessi della stori di Gertrude. Il padre dopo aver letto la lettera della figlia la manda a chiamare. Quando
ella arriva e vede il padre gli si butta ai piedi e lui dice che è meglio che entri in convento, intimorendo la
figlia, la quale dici sì.

Aspetti importanti
 Il principe padre, la figlia e la monacazione coatta: l’episodio di Gertrude occupa la seconda metà
del capitolo nono e metà del decimo. Nel nono il narratore che ricostruisce la vicenda della ragazza,
quindi la narrazione si sviluppa con la forma della diegesi (narrazione condotta dal narratore). Nel
capitolo decimo accanto alla diegesi c’è la mimesi, cioè viene condotto dai personaggi, con parti
dialogate dove parlano i personaggi, i dialoghi sono tra: Gertrude-padre, Gertrude-badessa,
Gertrude-vicario. Questo capitolo evidenzia usi e costumi del tempo, e perciò ha caratterizzazione
storica e sociale. Quindi in questo capitolo emergono l’importanza dell’educazione e l’importanza
dell’educatore, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 anche i gesuiti avevano evidenziato
l’importanza dell’educazione, mirando all’aspetto formale, generando la reazione degli illuministi e
dei giansemisti. Manzoni pone in luce negativa l’operato educativo del padre, perché questo
operato educativo va contro i precetti morali e religiosi e cade nel formalismo, e nella psicologia
della cultura giansemitica. Quindi il principe padre è un abile registra, si serve delle parole per
dominare la volontà di Gertrude, stravolgendone le parole, un suo timido sì diventa una sua
volontaria accettazione del velo monastico. Questa teatralità e mancanza di trasparenza tra nomi e
cose, sono tutti caratteri del ‘600, già emersi nella storia di padre Cristoforo nel quarto capitolo.
Quindi Gertrude è la vittima, poiché oppressa e costretta a fare propria la logica di colui che è il suo
oppressore

Divisione delle sequenze


(1-174) Le feste per Gertrude che ha deciso di prendere il velo.

(175-255) La visita al convento per la richiesta ufficiale di Gertrude.

(256-299) La scelta della madrina.

(300-385) L’esame del vicario.

(386-414) Gertrude monaca per sempre.

(415-483) Gertrude maestra delle educande.

(484-540) Egidio. Qua si chiude l’analessi iniziata nel capitolo nove.

(541-579) Gertrude si interessa di Lucia

Riassunto
Il principe decide di sfruttare il momento di debolezza della figlia per poter raggiungere il suo obiettivo,
ingigantendo così lo scandalo e terrorizzando la ragazza che accetta infine di farsi monaca. Ottenuto questo
consenso appena accennato, egli decide di iniziare ciò che avrebbe portato la ragazza a vestire l’abito
monacale: la ragazza difatti viene riempita di congratulazioni e affetto. Il principe organizza un colloquio
immediato con il vicario, il quale avrebbe testato la vocazione di Gertrude, pranzi, passeggiate e
ricevimenti, i quali si succedono uno dietro l’altro, non lasciando alla ragazza il tempo di ragionare a cosa le
sarebbe successo. Il padre le suggerisce le risposte alle domande del vicario, utilizzando lo scandalo come
arma per farle paura, forzando così Gertrude a percorrere le ultime tappe prima di indossare gli abiti
monacali, cioè chiedere in modo ufficiale alla badessa di poter vestire l’abito e confermare al vicario
ispettore la vocazione. Gertrude diviene perciò una monaca. Gli ultimi giorni che passa alla casa paterna si
trasformano in uno strazio per la giovane, che chiede di entrare in convento il primo possibile. Quando
Gertrude si trova al chiostro non riesce a sottomettersi e ad accettare il suo destino, ha un animo
tormentato tra fede, rabbia per non essersi riuscita ad opporre, desiderio di poter godere delle passioni
terrene e pentimento per la condotta immorale. Gertrude provava astio verso le altre suore e educande, e
di fatti si vendicava per via della sua condizione infelice. Dopo un po’ si innamorò di Egidio, un signorotto
senza scrupoli che abitava nel palazzo adiacente al cortile del convento, il quale Gertrude aveva il privilegio
di poter frequentare. Dopo un periodo di serenità, la giovane monaca viene minacciata da una serva che
non riusciva più a sopportare i maltrattamenti verbali che riceveva, portando Gertrude all’omicidio. Il
giorno seguente tutto il convento iniziò a cercare la donna scomparsa. Gertrude rimane come tormentata
dal pensiero della serva uccisa. La monaca di Monza inizia a voler sapere sempre di più da Lucia, e inizia a
fare domande indiscrete, mettendo a disagio la giovane. Agnese giustifica Gertrude, dicendo alla figlia che
le persone altolocate hanno un po’ tutte del pazzo.
Capitolo 11
Inizia la vicenda di Renzo, il nucleo narrativo è la storia di Renzo a Milano, che si protrae fino al capitolo 17.
Sono due parti, la prima con protagonista don Rodrigo e la seconda con Renzo.

Prima parte: racconto retrocede a notte 10 novembre, descrivendo don Rodrigo in palazzotto, che aspetta
ritorno bravi per rapimento Lucia e per presentare colloquio con Griso su fallimento impresa. Giorno dopo,
11 novembre, il capo bravi si reca in paese pe indagare su notte passata, don Rodrigo incontra il cugino e
accetta sconfitta, chiedendogli aiuto. Il cugino promette attraverso conte zio e podestà punizione del
parroco. Il signorotto saputa la fuga e la separazione dei due promessi manda luogotenente a Monza per
saper dove è lucia, il Griso la mattina del 12 novembre parte per Monza.

Seconda parte: Renzo raggiunge Milano dove trova farina e pani per terra, e capisce che la città è in rivolta
contro i fornai, e va al convento a cercare padre Bonaventura al quale deve consegnare una lettera di fra
Cristoforo. Il padre è assente, e Renzo incuriosito dal tumulto va a vedere osa sta succedendo.

Aspetti importanti:

 Capitolo di trapasso e importante snodo tra le vicende : il capitolo 11 da inizio a un nuovo nucleo
narrativo, cioè Renzo a Milano. La prima parte ha come ambiente il borgo paesano e il palazzo del
signorotto. La seconda parte è ambientata a Milano, dove Renzo partecipa ai moti popolari di san
martino. Si passa da un ambiente famigliare a Renzo alla città, dove Renzo non si muove con
sicurezza, ma si sente spaesato
 Le similitudini animalesche e il ricorso manzoniano alla similitudine : in questo capitolo ricorrono
diverse similitudine animalesche, la prima è quella del branco di segugi che torna deluso,
similitudine rivolta ai bravi che ritornano dal padrone. A questa segue quella del cane da pagliaio e
quella del lupo affamato che scende dai monti, entrambe rivolte al Griso. Un’altra similitudine è
quella del bambino che riconduce al recinto i maiali, rivolta a Renzo. In queste similitudini cogliamo
il pessimismo dell’autore nei riguardi dell’uomo, quindi ha una concezione pessimistica della natura
umana, paragonando il mondo degli uomini a quello delle bestie, attraverso le similitudini possiamo
cogliere il giudizio ironico e sarcastico che l’autore ha verso gli uomini. Manzoni fedele
all’illuminismo e alla ragione illuministica usa la similitudine perché conserva distinti i due campi
posti a confronto, e rifiuta invece la metafora, propria del simbolismo perché sovrappone e fonde i
due elementi posti in relazione, non mostrandoli ben distinti. La similitudine manzoniana implica
ironia e un procedimento razionale, inoltre suscita riflessione e reazioni critiche.
 Renzo a Milano: Renzo a Milano è spaesato, resta meravigliato alla vista del duomo e fa un
confronto tra il duomo e la cima del Resegone (monte famigliare a Renzo). Il duomo e il Resegone
son i due poli opposti, al paese si sente sicuro, e in città vive nuove esperienze e dunque non si
sente sicuro, difatti difronte alla vista del duomo e all’incontro con il gentile signore che gli indica la
via e alla famiglia che torna a casa con il pane dopo l’assalto a panificio ha due reazioni: una
suggerita dai ricordi dell’infanzia, dai miti e dalle leggende del mondo alla rovescia, e perciò del
paese della cuccagna, l’altra dalla sua esperienza di vittima delle oppressioni e delle ingiustizie, per
qui simpatizza per i rivoltosi. Quindi l’autore ha un atteggiamento moderato: condanna i tumulti e
la folla, poiché li vede come qualcosa di irrazionale, attirando Renzo in modo istintivo.

Titolatura sequenze
(-28) don Rodrigo attende ritorno bravi.

(29-73) La relazione del Griso.

(74-141) Il conte Attilio promette di rivolgersi al conte zio.

(142-222) il Griso riferisce le notizie raccolte in paese.

(223-249) Don Rodrigo manda il Griso a Pescarenico.

250-300) Don Rodrigo manda il Griso a Monza.

(301-319) Don Rodrigo pensa a colpire anche Renzo.

(320-394) Renzo a Milano.

(394-464) Pane e farina per terra.

(465-488) Renzo giunge al convento.

Riassunto
Tornando alla notte degli imbrogli, vediamo Don Rodrigo che attende nel palazzotto l’arrivo del Griso e dei
bravi che dovevano portare Lucia. Quando vede arrivare il gruppo senza la giovane rimprovera il Griso, ma
dopo aver sentito le parole del capo dei bravi si trova concorde nel pensare alla presenza di una spia
all’interno del gruppo dei bravi e inizia a prova a rimediare ai rimproveri iniziali. Infine chiede al Griso di far
tacere il console minacciandolo e di provare a ottenere informazioni sugli avvenimenti della notte
precedente. Il giorno dopo è il giorno di San Martino, nonché il giorno del termine della scommessa con il
conte Attilio, il quale schernisce il signorotto. Don Rodrigo racconta tutto quello che era successo la sera
prima, aggiungendo il dialogo che aveva fatto con padre Cristoforo. Il cugino decide di prendersi tutto il
carico e di occuparsi del frate, sfrattando il conte zio, il quale gli deve dei favori. Nel frattempo il Griso inizia
a ricostruire gli avvenimenti della sera prima, grazie alle testimonianze di Perpetua, Gervaso e la moglie di
Tonio che danno informazioni agli abitanti del villaggio, i quali riescono a ricostruire il mosaico con il
tentativo de matrimonio a sorpresa fallito, e della fuga al convento di Pescarenico. L’unica cosa che rimane
misteriosa è la presenza de del pellegrino e dei bravi a casa di Agnese e Lucia. Il Griso dopo esser tornato
riferisce tutto al padrone, il quale lo manda a Pescarenico per scoprire le mosse die tre fuggitivi. Qua scopre
che le due donne sono al convento di Monza e Renzo sta andando verso Milano. Il capo dei bravi viene
dunque mandato a Monza per continuare le ricerche. Questa volta vorrebbe ritirarsi dall’incarico, usando la
scusa che in quella città il padrone non aveva tutta quella fama, visto che non aveva una taglia sulla testa.
Don Rodrigo però rimane fermo sulla decisione presa, dicendo che non credeva al fatto di non essere così
poco famoso. Il signorotto dopo che il Griso parte, decide di affidarsi al dottor Azzecca-garbugli per far
allontanare Renzo da Lucia, facendolo così cacciare dallo stato. Tornando su Renzo, egli saluta le due donne
e si mette in viaggio verso il convento indicatogli da padre Cristoforo. Durante il viaggio alterna momenti di
rabbia a momenti di pietà. Quando arriva in città capisce che c’è in corso una sollevazione popolare e che
erano stati presi d’assalto i forni, difatti erano sparsi ovunque pani e farina, e le persone erano ricoperte di
farina da capo ai piedi. Dopo aver raccolto tre pani e intenzionato a pagarli, Renzo si avvia verso il convento
di padre Bonaventura. Quando arriva il padre guardiano gli riferisce che il frate non è presente e gli
consiglia di aspettare alla chiesa. Renzo preferisce andare a vedere cosa stava succedendo in città, attratto
dal tumulto.
Capitolo 12
Si divide in due parti:

 La prima presenta la digressione sulla carestia, uno dei temi fondamentali, le cause e come le
autorità spagnole la combattono.
 La seconda mette in scena Renzo che entra a far parte della folla, dapprima come spettatore
dell’assalto al forno delle grucce da parte della folla (11 novembre 1628) e poi come attore che
segue la folla diretta verso la casa del vicario id provvigione.

Manzoni dice che le cause della carestia sono due:

1. Scarso raccolto del 1628


2. Lo sperpero dei prodotti agricoli causato dalla guerra per la successione al ducato di Mantova e del
Monferrato, la quale ha fatto rincarare il prezzo del pane, perciò la folla chiede un prezzo del pane
giusto, Antonio Ferrè, gran cancelliere spagnolo in sostituzione di Gonzalo, fissa il presso massimo
del pane, scontentando i fornai, poiché lavoravano in perdita. Il governatore Gonzalo interviene a
sedare le proteste dei fornai, imponendo prezzi più favorevoli, scatenando l’ira del popolo.

Nella seconda parte entra in scena Renzo, che assiste alla scena e poi agisce, con la folla grida degli slogan
contro i fornai, contro il vicario di provvigione e in piazza del duomo assiste la folla che brucia gli attrezzi del
forno e le madie (casse per il pane) e poi va con la folla verso la casa del vicario di provvigione (una delle
magistrature milanesi, cioè colui che amministrava i rifornimenti del ducato e della città di Milano).

Principali magistrature:

 Governatore: Rappresentatore del re di spegna, don Gonzalo;


 Gran cancelliere: spagnolo, curava amministrazione giuridica e fiscale;
 Capitano di giustizia: responsabile cause criminali e polizia;
 Magistrato di sanità: controllava igiene pubblica di tutto lo stato;
 Vicari generali: controllavano funzionari prescerici;
 Vicario di provvigione: organizzava rifornimenti alimentari
 Podestà: giurisdizione su Milano e territori circostanti

Era in corso la guerra dei trent’anni, iniziata nel 1618 finendo nel 1648, con episodio la successione dei
ducati di Mantova e Monferrato, dove vediamo lottare tra di loro spagna e Francia.

Aspetti fondamentali

 in campo economico Manzoni dimostra un’ideologia liberista, sostenendo il libero mercato, ed è


contrario all’intervento del governo nel rapporto merci e prezzo, poiché i prezzi devono fluttuare
liberamente seguendo la legge della domanda e dell’offerto. Le idee si ispirano a quelle affermatesi
in Inghilterra con la rivoluzione industriale e diffusi in Europa on l’illuminismo. La sua posizione
liberista si cogli quando egli polemizza contro le autorità della Milano del 1628, le quali hanno
imposto il prezzo del pane, e quando va contro queste leggi doganali assurde e la mancanza di
libertà nei commerci. L’autore sostiene una linea politica moderata, sostenendo parità tra le classi
sociali, sostiene che il giusto equilibrio dei contrasti non si raggiunge con la violenza da parte di una
classe sociale ma con la mediazione da parte di tutte le classi sociali. Secondo Manzoni le
disuguaglianze economiche e politiche, le ingiustizie sociali devono essere limitate, ridotte e risolte
non con la lotta politica ma con la carità cristiana. Per l’autore i poveri devono aver fiducia nella
provvidenza, cioè in una giustizia divina, su questa terra essi devono essere pazienti e operosi e
confidare nell’aiuto divino.
 Manzoni poeta degli umili o descrittore impietoso del popolo come marmaglia? : Manzoni non
idealizza la folla in rivolta, anzi ha un atteggiamento negativo verso di essa, che reclama in rivolta i
propri diritti. Nell’autore c’è questo populismo (idealizzare, idoleggiare il popolo) solo verso gli
umili, che sono i prediletti di dio. E condanna la folla per motivi filosofici e psicologici: Manzoni
condanna la folla quando manifesta la sua natura malvagia quando si rivolta, in questa situazione la
folla ha atteggiamenti irresponsabili, poiché travolta da istinti perversi. La quale corrompe anche
Renzo, che si fa trascinare come in un vortice. La condanna della folla in rivolta passa da Manzoni a
verga: nei Malavoglia si nota la folla in rivolta quando verga ironizza contro il popolo che si ribella ai
dazi che venivano imposti, notiamo sempre questa condanna alla folla, nel mastro don Gesualdo,
quando verga presenta in modo comico e caricaturale il popolo sceso n piazza nei moti carbonari
del 1821, e in quelli risorgimentali del 1848

Titolatura sequenze
(1-97) La carestia a Milano.

(98-136) I primi tumulti.

(137-232) Assalto al forno delle grucce.

(233-313) Renzo davanti al forno delle grucce in piazza del duomo.

(314-357) Renzo in piazza Cordusio.

Riassunto
Quell’anno era il secondo di carestia. In quello precedente vi era stato uno scarso raccolto, degli sprechi e
l’esagerata pressione fiscale erano stati compensati dalle provviste che si erano accumulate negli anni
precedenti. L’anno successivo si arrivò impreparati e di conseguenza la situazione iniziò a precipitare: la
scarsa disponibilità delle materie prime portò al rincaro del prezzo del pane, la cui causa iniziò a essere
attribuita a chiunque possedesse del grano, come i fornai o i coltivatori. Il popolo chiese interventi decisivi
da parte delle autorità e fu ascoltato dal cancelliere Antonio Ferrer, che, facendo le veci del governatore
Gonzalo Fernandez de Cordova, fissò il prezzo del pane ad un valore sì popolare ma sottocosto, ipotizzando
cioè un costo della materia prima decisamente inferiore al reale. La legge era ingiusta ma venne fatta
rispettare dal popolo stesso, che, capendo facilmente quanto la situazione fosse insostenibile, decise di
ottenere il massimo vantaggio e prese d’assalto i forni. Furono ovviamente, a questo punto, i fornai a
lamentarsi, minacciando di chiudere bottega e lasciando tutti a stomaco vuoto. Don Gonzalo, informato
della situazione, incaricò una giunta di stabilire un prezzo equo: fu inevitabile il rincaro, i fornai respirarono
ma il popolo si infuriò. La sera prima dell’arrivo di Renzo le strade iniziarono a riempirsi di gente carica di
rabbia. Il mattino seguente vennero assaliti e derubati i garzoni incaricati di portare il pane alle famiglie più
abbienti: è l’inizio del tumulto di San Martino. L’animo della folla si accende e viene quindi preso d’assalto
un forno, quello “delle grucce”. Il capitano di giustizia e la sua scorta di alabardieri tentano di frenare il
tumulto, ma sono costretti a rifugiarsi nel forno insieme ai proprietari ed ai garzoni di bottega, che per
allontanare la folla iniziano anche a lanciare pietre dalle finestre, facendo così i primi morti ed esasperando
ulteriormente la folla. Aperta finalmente una breccia, quel forno viene infine completamente saccheggiato,
mentre gli altri, informati in anticipo della situazione, corrono subito ai ripari e riescono ad evitare di subire
la stessa sorte. Spinto dalla curiosità, ascoltati i discorsi delle persone incontrate sulla via, che iniziano ad
attribuire la colpa di tutti i loro mali al vicario di provvisione, Renzo arriva davanti al forno delle grucce.
Molte persone stanno uscendo in quel momento dal negozio portandosi dietro oggetti di ogni tipo. Renzo
segue la folla e raggiunge così la piazza del Duomo, dove è stato acceso un falò per completare la
distruzione. Il ragazzo critica in cuor suo le azioni dei tumultuosi e ne capisce il controsenso: gridano ‘viva il
pane’ ma se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne’ pozzi?. Giunge la notizia che siano
iniziati nuovi disordini presso il forno in piazza Cordusio e tutti si muovono in quella direzione. La notizia è
però falsa, c’è gente armata in difesa della bottega, e la folla minacciosa ripiega quindi verso l’abitazione del
vicario di provvisione.
Capitolo 13
Siamo ancora nella vicenda di Renzo. Questo capitolo è il capitolo di Ferrer, il gran cancelliere. Fin dall’inizio
i due protagonisti sono la folla e il vicario. A metà capitolo compare terzo protagonista, don Antonio Ferrer,
che interviene in aiuto del vicario di provvigione. Il capitolo si apre con l’immagine del vicario terrorizzato
dalla folla in tumulto, mostrando di essere un pusillanime per il suo comportamento difronte alla fola
inferocita, presentata con metafore e con l’immagine della burrasca, della grandine, del tuono, della piena
di un fiume e dei cavalloni dell’acqua del mare. A folla inferocita sta assediando la casa del vicario e sta
tentando di forzarne il portone chiuso. Renzo sta volta non funge da spettatore dei tumulti e delle
aggressioni, ma viene trascinato dal vortice dei fatti, partecipando attivamente all’assedio della casa del
vicario. Il suo intento è quello di evitare spargimento di sangue, inoltre difronte a un dimostrante
intenzionato a linciare il vicario, lo prega di evitare di uccidere un cristiano. In tal modo egli rischia di essere
scambiato per una spia e di essere picchiato dalla folla in lotta. Due fatti evitano che egli venga malmenato:

 L’arrivo di due uomini che stanno pertanto una scala per salire alla finestra della stanza del vicario
ed entrare in casa
 L’arrivo di don Ferrer in carrozza, il quale finge di essere venuto a prendere il vicario per portarlo in
prigione, ma in realtà per salvarlo. Don Ferrer apre un varco tra la folla con la carrozza, giungendo
al portone della casa del vicario e se ne va. Renzo sostiene Ferrer e cerca con altri che il vicario non
cada nelle mani della folla in tumulto.

Aspetti importanti

 Le figure di Ferrer e il vicario : I protagonisti del capitolo sono due personaggi autorevoli: il vicario e
il grande cancelliere. Ferrer riprende caratteristiche di personaggi già incontrati, cioè il capitano di
giustizia (capitolo 12(, il padre di Gertrude (capitolo 9-10), il podestà di lecco e il fratello dell’ucciso
(capitolo 4): ferrer come il podestà ha il senso della legge, come il capitano di giustizia si rivolge al
popolo ricevendo comprensione, come il padre di Gertrude raggiunge i suoi risultati usando
finzione e apparenza e come il fratello dell’ucciso è teatrale e sa recitare bene. Egli è molto politico,
finge affetto e simpatia verso il popolo solo per ingannarlo in modo migliore, ha un linguaggio abile
e gestuale, adottando il bilinguismo (usa lo spagnolo con il vicario come lingua della verità, e
l’italiano come lingua di finzione con la folla). In Manzoni c’è questo plurilinguismo che in questo
capitolo è presente con risultati artisticamente positivi. L’autore condanna Ferrer come
rappresentante del potere politico spagnolo, potere che mostra tendenza all’apparenza, alla
teatralità, al formalismo e all’improvvisazione. Ferrer è un personaggio dalla figura complessa,
costruito sull’ironia. Il vicario invece è un personaggio comico, pusillanime, pauroso e infantile.
 La folla e la posizione politica di Manzoni : la folla viene presentata dall’autore come una forza
naturale (la paragona a un temporale, a un mare in tempesta, a un torrente), è spinta da istinti, da
irrazionalità, da passionalità, è un corpo senza cervello. Essa è attratta dai non violenti e non
compie il linciaggio e del vicario, poiché fermati dall’arrivo di Ferrer, che ha saputo conquistarla
grazie al prezzo del pane ribassato. Della folla Manzoni ha una visione ironica e distaccata, ne
condivide il liberismo (dottrina economica che si basa sul principio del libero scambio, che deve
essere libero, e non ostacolato da barriere doganali e da tasse governative) moderato e cattolico.
negli anni 80 e 90 del ‘900 si è tenuto un dibattito sull’ideologia politica di Manzoni, con chi lo
definiva un borghese democratico che guarda con simpatia al popolo, e ci lo definiva un
antidemocratico perché in più momenti disprezza la folla e la definisce marmaglia.

Divisione sequenze
(1-73) L’assalto alla casa del vicario.

(74-103) Renzo protesta e rischia il linciaggio.

(104-188) L’arrivo del cancelliere Ferrer.

(189-246) Renzo partigiano di Ferrer.

(247-298) Ferrer tra la folla le sue lusinghe.

(299-388) Ferrer porta in salvo il vicario.

Riassunto
La folla si dirige verso il palazzo del vicario, il quale viene avvertito tardi del pericolo che sta per abbattersi
su di lui, e l’unica soluzione che ha è quella di barricarsi in casa e nascondersi. Renzo viene travolto da ciò
che succede e si butta nella mischia per sua volontà, con l’intenzione di fare il possibile per salvare il vicario,
poiché molti lo vogliono vedere morto, mentre altri spinti dall’orrore verso un omicidio decidono di opporsi
a questa decisione. La folla prova a scardinare il portone della casa del vicario o di aprirsi un varco in
qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo. Si cerca di scardinare la porta o di aprire un varco nelle mura in
qualunque modo e con qualunque mezzo. Arrivano i soldati spagnoli inviati dai magistrati, ma la folla che si
è radunata è oramai troppo numerosa e l’ufficiale al comando non osa intervenire. La loro immobilità viene
interpretata come paura e la gente inizia quindi anche a schernirli. L’intenzione dei più facinorosi di
uccidere il vicario è più che evidente. Un uomo anziano mostra spavaldo il martello ed i chiodi con cui è
intenzionato ad attaccare il pover uomo ad una battente della porta. Renzo non riesce a trattenere il
proprio orrore e rischia per questo il linciaggio. Viene salvato dagli uomini a lui vicini e dalla confusione
creata da una lunga scala che si tenta di far arrivare fino al palazzo. Un movimento iniziato ad una estremità
della folla annuncia l’arrivo di Ferrer. I più violenti vorrebbero portare a termine l’impresa, la fama del
cancelliere aiuta però i loro oppositori a muovere la folla ad accettare che il vicario venga portato in
prigione. La loro intenzione in realtà è solo quella di metterlo in salvo lontano dal tumulto. La fazione
violenta è costretta ad abbandonare ogni tentativo di scardinare la porta del palazzo; la fazione buona
diviene ora quella attiva, operando per far avanzare la carrozza di Ferrer. Tra i più attivi c’è Renzo, che ha
saputo essere quel Ferrer lo stesso citato nella grida che tratta il caso suo. Durante tutto il viaggio
attraverso quel mare di folla, breve per distanza ma lungo per durata, il cancelliere comunica a gesti e
parole con le persone che lo circondano. Abbondanza, pane, prigione e castigo sono le parole che usa
maggiormente, consapevole che sono quelle che il popolo si aspetta si sentire. Alterna a queste anche
espressioni spagnole, non comprese dalla folla, che esprimono le sue vere intenzioni: sarà gastigato… si es
culpable. Giunto finalmente alla porta del palazzo, il cancelliere entra nell’abitazione e porta poi fuori in
salvo il pover uomo, facendolo infine salire ed acquattare nella carrozza. La fazione buona è nel frattempo
riuscita a mantenere una corsia libera nella folla e il viaggio di ritorno avviene più facilmente. Anche in
questa occasione Ferrer mantiene un dialogo con la folla, utilizzando questa volta le espressioni in spagnolo
per spiegare il senso vero delle sue parole al vicario. Giunti all’estremità della folla e quindi oramai in salvo,
il cancelliere ringrazia ironicamente l’ufficiale dell’esercito per l’aiuto dato. Il guidatore della carrozza lancia
i cavalli al galoppo, senza più curarsi di doversi mostrare benevolo verso le persone a piedi. Ferrer inizia poi
a preoccuparsi per le possibili reazioni dei suoi superiori ed il vicario, infine, si dimette dalla carica e si
dichiara intenzionato a vivere il resto della vita da eremita.
Capitolo 14
Ser dell’undici novembre 1928. Due parti con dialoghi. Le due azioni si sviluppano in luoghi diversi:

- La prima in un luogo aperto: vie di Milano


- La seconda: in un luogo chiuso: osteria della luna piena

In entrambi i luoghi Renzo diventa un predicatore politico, ma ubriacatosi vive un’esperienza negativa,
degradante. La prima parte si collega immediatamente con la fine del capitolo 13, quando si allontana la
carrozza di Ferrer, portando in salvo il vicario. La folla si disperde in pioli gruppi, in uno dei quali si trova. A
causa dei fatti vissuti e della sua ingenuità sembra trasformarsi in predicatore politico, dove fa il primo
discorso in pubblico, dicendo che è bene fidarsi del cancelliere ma anche di mobilitarsi a avvisare il
cancelliere di cosa sta succedendo. La seconda parte si svolge nell’osteria, frequentata dai rivoltosi,
giocatori d’azzardo e ladruncoli. Terminato il primo discorso chiede di un’osteria e uno sconosciuto si offre
di accompagnarlo, lo sconosciuto è in realtà una spia della polizia. All’osteria Renzo tiene il suo secondo
discorso pubblico, mescolando questioni private con le questioni pubbliche, bisogno di pace e giustizia del
popolo milanese. L’oste riconosciuto l’accompagnatore di Renzo e volendo far vedere che rispetta la legge
chiede a Renzo di scrivere il suo indirizzo e i dati personali. Renzo già mezzo ubriaco si rifiuta di scrivere,
mostrando diffidenza verso la cultura, con uno stratagemma lo sconosciuto fa dire a Renzo nome e
cognome e poi se ne va via. Renzo, ubriaco resta all’osteria, venendo preso in giro da chi si trovava nel
locale

Aspetti importanti

 Il tema dell’osteria: nel romanzo sono presentate 3 osterie: la prima quella del paese natale di
Renzo, dove si reca con Tonio e Gervaso la sera del matrimonio; la seconda quella milanese della
luna piena dove si ubriaca; la terza quella che incontreremo nel capitolo 16, dove ascolterà il
resoconto dei tumulti che stavano avvenendo dalla voce di un mercante. La più ampia e dettagliata
è la seconda, che presenta alcuni elementi del modello (topos) della caverna diffuso nella
letteratura italiana a partire dalla poesia realista del ‘300 (per esempio Angioleri, o anche nella
pittura con Caravaggio). Da un lato è un luogo chiuso, dove uno trova rifugio e ristoro dopo il
lavoro, qui arrivano le notizie del tumulto, dall’altro si pone in contrasto con l’esterno, se fuori c’è
subbuglio e movimento, all’interno ci sono gioco, trasgressione, improduttività, dovuti al fatto che
si mangia, di beve si gioca e dalle persone che frequentano li posto, perciò la polizia interviene a
controllare. Questa osteria richiama quella della Santuzza nei Malavoglia di Verga.
 La figura dell’oste: l’oste della luna piena richiama quella della notte degli imbrogli, anche questo
prima prova a cercare ai suoi interessi cercando di rispettare la legge, chiedendo le generalità a
Renzo, il quale voleva dormire. Questo oste è enigmatico, sornione, sembra assente e poi è
caratterizzato da questo disegnare delle figure nella cenere, in realtà è un atteggiamento
apparente, poiché controlla tutto con attenzione.
 I discorsi di Renzo e la funzione educativa dell’episodio : nei due discorsi di Renzo sono messi in
evidenza alcuni particolari:
1. Correlazione tra esperienze private, con Tendenza a esprimere in pubblico valori universali
2. Un piano politico democratico e riformista che si basa su “pane e giustizia” da realizzare nel
rispetto della legge, della non violenza e dell’intervento del popolo.
3. Contrapposizione tra lingua orale e quella scritta, cioè tra volgare, visto come sinonimo di
giustizia, poiché lingua degli umili e dei poveri e il latino, visto come lingua d’inganno a
sfavore dei poveri.
4. Cultura popolare formata da argomenti biblici, appresa in chiesa e da elementi della
tradizione carnevalesca, questa tradizione si fonda sul ridere, su gioco, sul vino e sulle
battute argute.
Il primo il terzo e il quarto punto costituiscono il realismo dell’autore. Essi si intrecciano con il
secondo che è più morale e politico democratico. L’intero episodio ha questa funzione orale,
l’esperienza dell’osteria è negativa, poiché lo porta in una condizione di degrado, poiché si ubriaca,
cade nell’inganno e ne viene deriso. Da questa esperienza ne esce più maturo. Quella dei tumulti è
altrettanto negati e rispetto agli altri personaggi dimostra più moralità, poiché dimostra orrore per
le violenze. E a fine capitolo notiamo come il nome di Lucia abbia un forte legame simbolico

Divisione in sequenze

(1-101) Renzo predica tra la folla.

(102-131) Renzo cerca alloggio all’osteria della luna piena.

(132-230) Renzo all’osteria della luna piena dove si rifiuta di dare le sue generalità all’oste

(231-416) Renzo si lascia scappare nome e cognome.

Riassunto

Partita la carrozza di Ferrer con a bordo il vicario, la folla inizia a dileguarsi ed i soldati possono raggiungere
la porta dell’abitazione e mettersi a guardia. Continuano comunque a formarsi capannelli di persone. In
ogni luogo vengono discussi gli avvenimenti, raccontate le esperienze personali e programmate le azioni
per il giorno successivo. Mentre è alla ricerca di un’osteria, dove mangiare ed anche poter dormire (è ormai
troppo tardi per andare al convento), Renzo si imbatte in uno di questi gruppi e non può trattenersi da
esporre la propria opinione. Le ingiustizie, sostiene Renzo, non riguardano solo il pane. Ciò che è stato fatto
in quella giornata andrebbe riproposto anche per far cessare tutte le altre forme di tirannia. Bisogna
informare Ferrer che c’è una lega di potenti che blocca l’applicazione delle sue grida. Il popolo dovrebbe
quindi dargli l’aiuto necessario per farle rispettare. Terminato il suo comizio, il giovane chiede che gli venga
indicata una buona osteria e subito un uomo si propone di condurlo in una che, dice, fa giusto al caso suo
(intendendo la prigione). Renzo è però troppo stanco ed entra nella prima che incontra, l’Osteria della Luna
Piena, invitando la sua guida a seguirlo per bere qualcosa insieme. L’oste riconosce subito il compagno del
ragazzo, è un informatore della polizia, e capisce subito che ci sono guai in vista. La cucina dell’osteria è
piana di loschi figuri intenti a giocare d’azzardo, puntando, molto probabilmente, i soldi rubati nella
giornata.
Non appena seduto, Renzo mostra trionfante l’ultimo dei pani raccolti per strada, dichiarando apertamente
di averlo avuto gratis. Si affretta poi a sostenere di non averlo rubato ma semplicemente trovato in terra e
di essere quindi disposto a pagarlo al legittimo proprietario. Le sue parole non vengon9 però prese
seriamente e tutti ridono. La richiesta dell’oste di conoscere il nome, il paese di origine ed altre
informazioni personali, richieste per legge, spingono Renzo, tra un bicchiere di vino e l’altro, ad iniziare una
nuova arringa sul valore ed il rispetto delle grida. Il vino gli ha ormai dato alla testa ed il discorso del
giovane, intessuto di riferimenti vaghi a fatti personali, con particolare attenzione a non fare alcun nome, si
fa sempre più confuso. L’oste insiste nella richiesta tenendo sempre lo sguardo sul compagno di Renzo, che
risponde allo sguardo in modo minaccioso, facendo così capire all’uomo di interrompere
quell’interrogazione troppo scoperta.
L’informatore della polizia riesce invece con un espediente a far confessare a Renzo le proprie generalità.
Propone infatti, come soluzione al problema del pane, di fornire ad ogni uomo un foglio che ne riporti
nome e cognome, il numero di pani ed il relativo prezzo a lui concesso. Sul suo, sostiene, si potrebbe
leggere: Ambrogio Fusella, spadaio con moglie e quattro figli; gli si dia tot pane a tot prezzo. Renzo cade
nella trappola e compila così verbalmente il proprio foglio personale. Ottenute le informazioni volute,
l’uomo saluta subito Renzo e lascia rapidamente l’osteria. Il giovane prosegue la serata continuando a bere
ed a fare comizi. Le parole fanno però sempre più fatica ad esprimere il suo pensiero ed alla fine diviene lo
zimbello della brigata, stuzzicato e canzonato da tutti gli altri presenti.
Capitolo 15
Continua la vicenda di Renzo, che è ubriaco, e ne dimostra la decadenza, e ne perde l’autonomia. Il tema
del capitolo è la furbizia. La vicenda è collocata tra la notte dell’undici e la mattina del dodici novembre. La
notte si trova all’osteria con l’oste. Il capitolo è strutturato in 3 vicende, le prime due la notte la terza la
mattina seguente, in ciascuna delle 3 sequenze si fronteggino due personaggi:

 Prima: Renzo e l’oste


 Seconda: L’oste e il notaio
 Terza: Il notaio e Renzo

La prima sequenza si svolge nell’osteria, la seconda per la strada e al palazzo di giustizia dove si trova
questo “notaio criminale”, ossia il magistrato a cui l’oste presenta denuncia a Renzo. La terza si svolge in
due luoghi diversi, prima all’osteria dove Renzo viene svegliato dai birri la notte dell’11 venuti ad arrestarlo,
poi per le vie di Milano che Renzo percorre con le manette ai polsi. Ogni sequenza è collegata da un
personaggio: l’oste, che lega la prima con la seconda e il notaio la seconda con la terza. Renzo è
protagonista in prima e terza, creando continuità con il capitolo 14 all’inizio e con il 16 alla fine. La scena si
dilata dall’osteria al palazzo di giustizia, poi dal palazzo di giustizia all’osteria e poi alle vie di Milano.

Aspetti importanti
 Il notaio: altro personaggio autorevole che compare nella storia. Appare in tre momenti
1. Al palazzo di giustizia nella veste di esercitare il potere, si dimostra arrogante, autoritario,
brutale per i rimproveri verso l’oste che ha ospitato un tipo come Renzo
2. All’osteria della luna piena lo troviamo in un atteggiamento “magneroso”, cioè cerca di
convincere Renzo ad andare al palazzo di giustizia senza farsi notare dalla gente, ma dando
l’impressione di essere un ladro colto sul fatto
3. Nella strada nell’atteggiamento di un ipocrita, che vuol far credere di essere arrivato li per
caso

Questo personaggio è un falso, cioè un ingannatore, un ipocrita, come altri personaggi di autorità,
come il capitano di giustizia o Ferrer, vuole far credere di essere ben disposto verso il popolo,
utilizzando a sua volta un doppio linguaggio per uscire dalla situazione di disagio e imbroglio. Come
altri personaggi è un “furbo di professione” come azzecca garbugli, che riescono nella furbizia solo
quando sono sostenuti dalla forza di qualcuno, è un personaggio privo di senso morale, è un
meschino, burocrate, cinico, tutto preso dalla carriera e dall’amore verso la cappa nera che
indossava.

Divisione sequenze
(1-75) Renzo va a letto.

(76-212) La denuncia dell’oste al notaio criminale.

(213-384) Renzo arrestato e portato via dai birri.

(385-422) Renzo sfugge ai birri.


Riassunto
Renzo, ormai completamente ubriaco, viene convinto ad andare a dormire dall’oste, che è quindi costretto
a sostenerlo di peso, a trascinarlo fino alla stanza e quindi anche ad aiutarlo a svestirsi. L’uomo, cercando di
approfittare della condizione del giovane, cerca ancora di convincere Renzo a dichiarare il proprio nome e
cognome. Anche questa volta però senza successo e si accontenta infine di essere riuscito almeno a farsi
pagare. Non appena Renzo si è addormentato, l’oste incarica la moglie di accudire alla cucina,
raccomandandole di tenersi fuori da ogni discorso, e si reca infine al palazzo di giustizia per denunciare
l’accaduto. Durante tutto il viaggio, l’uomo maledice Renzo per aver scelto la sua osteria e lo definisce un
asino, sottolineando il fatto che credendo di essere furbo è invece finito nella trappola dell’informatore
della polizia. Giunto a destinazione, l’oste denuncia al notaio criminale la presenza nella sua osteria di un
giovane che si è rifiutato di dichiarare la propria identità, scopre però, con grande sorpresa, che l’altra
persona è più informata di lui, conoscendo infatti anche l’identità del suo ospite. Il notaio sottopone poi
l’oste ad un pressante interrogatorio, quasi con l’intenzione di incastrarlo per complicità, chiedendogli
infine anche di fare la guardia a Renzo. Il mattino seguente Renzo viene svegliato bruscamente dal notaio
criminale e da due poliziotti, che gli chiedono subito di seguirli. Preoccupato dall’agitazione e dall’aria
minacciosa delle persone che iniziano ad affollare le strade, ad annunciare nuovi disordini, il notaio cerca in
tutti i modi di mostrarsi benevolo verso Renzo, così da convincerlo a seguirli senza fare scenate: accetta di
condurlo da Ferrer, sostiene che si tratta di una pura formalità e che se fosse per lui non ci sarebbe neanche
il bisogno di portarlo via, e gli consiglia infine di comportarsi bene in strada così da salvare l’onore, al quale,
dice, tiene particolarmente. Quando Renzo si accorge di non avere più i suoi soldi e la lettera per il padre
Bonaventura, l’uomo non esita neanche a restituirgli subito tutto. Renzo si è accorto però del rumore
crescente che viene dalla strada, ha capito che è la causa dell’agitazione dell’uomo e non si lascia quindi
ingannare dai suoi modi estremamente buoni. I due poliziotti mettono infine al giovane delle manette
regolabili nella stretta e lo conducono fuori dall’osteria. In strada Renzo cerca di attirare l’attenzione dei
passanti e viene anche aiutato in questo dai due poliziotti: infastiditi dai continui cenni del giovane
all’indirizzo dei passanti, aumentano la stretta delle manette e strappano così un urlo al ragazzo. Una folla
di facinorosi accerchia subito Renzo ed i suoi tre accompagnatori, che, tra spintoni e minacce, sono costretti
a liberare l’ostaggio e vengono quindi messi in fuga.
Capitolo 16
Il tema è il viaggio di Renzo sul piano dell’intelligenza. Renzo è in cammino e dalla ricerca iniziale per la via
per andare a Bergamo al sentiero che costeggia la strada maestra. L’avventura milanese di Renzo è finita e
inizia la fuga di Renzo da Milano verso Bergamo. La prima parte del capitolo è di carattere dinamico, cioè
descrive il cammino di Renzo che si allontana dalla città e da eventuali inseguitori. La seconda parte è di
carattere statico: descrive la sosta di Renzo all’osteria di Gorgonzola. Il tempo della storia occupa il tempo
di una giornata, dalla prima mattina quando Renzo viene strappato dalla folla dalle mani dei birri, fino alla
sera quando arriva all’osteria. Il capitolo può essere sezionato in tre momenti:

1. La fuga di Renzo per le vie di Milano, alla ricerca di porta orientale, da dove esce per incamminarsi
verso Bergamo
2. La fuga di Renzo per la campagna e la sosta in un’osteria per rifocillarsi: la padrona dell’osteria è
una vecchia
3. La cena nell’osteria di Gorgonzola, paese dello stato di Milano ai confini dello stato di Venezia

Aspetti importanti

 La fuga di Renzo va letta a due livelli : il primo è quello reale, ovvero Renzo che tenta di sottrarsi alla
giustizia che lo perseguita. Il secondo è quello simbolico, dove Renzo tenta di risollevarsi dalla
perdita di razionalità, culminata nell’ubriacatura all’osteria della luna piena. L’epilogo positivo di
questa avventura a Milano sta nel fatto che Renzo ha fatto esperienza del mondo e dei rapporti
sociali ingannevoli, cioè è diventato più attento, più astuto nel valutare le situazioni e le persone.
 Il confronto del comportamento di Renzo all’osteria della luna piena e a quella di Gorgonzola :
all’osteria della luna piena Renzo ha un comportamento sconsiderato, poiché beve molto vino e ne
ignora i possibili effetti; fa di tutto per mettersi in mostra; parla con i clienti attirandone l’attenzione
e esce dall’osteria accompagnato dal notaio criminale e dai birri. All’osteria di Gorgonzola Renzo ha
un comportamento prudente e controllato; chiede solo un quarto di fiasco di vino; evita di dare
nell’occhio; parla poco e riflette sulle risposte da dare; ne esce da solo ma con la guida della
provvidenza divina.
 Il viaggio di Renzo da Milano a Bergamo : questo viaggio non è solo un viaggio tra un paese e l’altro
in campagna, ma è anche un viaggio mentale, psicologico, intellettuale, cioè nel viaggio fa una
rielaborazione del passato di tutto quello che gli era successo, e da esso ne deriva decisioni per il
futuro. Questa rielaborazione è un bilancio morale e esistenziale. Renzo procede a zig zag nella
fuga, questo modo di camminare sta a indicare la difficoltà nel trovare la strada giusta per andare a
Bergamo, ma anche i momenti faticosi per una formazione psicologica. Rienzo rielabora ricordi e
pensieri, che risvegliano in lui inquietudine, rabbia, pentimento, tenerezza, facendo un’analisi
razionale degli errori compiuti, e inizia questo processo di maturazione prodotto dall’esperienza
negativa vissuta nell’osteria della luna piena. Ora Renzo è consapevole dei suoi limiti, è più saggio e
prudente, nel contempo durante il viaggio è accompagnato dalla malinconia.
 L’osteria di Gorgonzola e il mercante : in questa osteria Renzo incontra un altro oste, un gruppo di
sfaccendati e un mercante. Questo oste si distingue dagli altri due perché è più malizioso, ha una
curiosità maliziosa, è più scaltro, fa domande a Renzo e intuisce che vuole passare l’Adda
clandestinamente. Gli sfaccendati sono dei provinciali curiosi, desiderosi di notizie riguardanti
Milano, all’inizio sembrano dei rivoluzionari, poi sono dei conformisti, infine sembrano die
pantofolai quando sanno che Milano è calma. Il mercante è una figura interessante, perché
Manzoni f un’analessi nel raccontare ciò che è successo a Milano nei giorni precedenti, riportando i
fatti storici fedelmente, dimostrando il vero storico e nello stesso tempo lo filtra attraverso il punto
di vista di un personaggio particola, cioè il mercante. Questo mercante è un tipo sociale, perché ha
la mentalità e l’ideologia politica della borghesia agiata, cioè del ceto dei negozianti che
considerano i tumulti di Milano un elemento negativo nei confronti degli affari. Quindi l’autore
critica la folla, non condividendone le sommosse, criticando anche il potere costituito e i sistemi
polizieschi. Il mercante sostiene l’intervento della forza e della polizia per risolvere i contrasti
sociali, è una figura minore per la sua breve apparizione nel romanzo, ma è tratteggiato con una
tale cura e finezza dall’autore, che ne esce una figura completa e perfetta.

Divisione sequenze

(1-79) Renzo fugge da Milano uscendo da porta orientale.

(80-166) Renzo in una osteria di campagna.

(167-238) Renzo all’osteria di gorgonzola.

(239-368) Il mercante di Milano.

(369-416) Il mercante parla di un rivoltoso.

Riassunto

Sfuggito all’arresto, Renzo inizia la sua fuga da Milano. La folla gli indica delle chiese e dei conventi vicini,
dove poter trovare rifugio. Il giovane però, intenzionato a rimanere libero finché è possibile, ha già deciso di
raggiungere Bortolo a Bergamo, al di là del confine. Traendo insegnamento dalle sue ultime vicende, Renzo
non chiede indicazioni sulla strada da seguire alle persone che lo circondano, ma si allontana invece il più
possibile a caso, per poter scegliere poi con calma la persona giusta da interrogare.
Raggiunta la piazza del Duomo grazie alle indicazioni di una passante, Renzo ripercorre al contrario il
tragitto del giorno prima. Torna così davanti al convento e non può fare a meno di lamentarsi con se stesso
per non aver dato ascolto al consiglio del frate portinaio. La porta che il giovane deve attraversare per
uscire dalla città è presidiata da soldati, controllano però le persone in ingresso e non trova pertanto alcun
ostacolo alla sua fuga. Oramai fuori dalle mura della città, Renzo prosegue a zig zag lunghe stradine
secondarie, per evitare in tutti i modi possibili la strada principale. Passa tutto il viaggio tormentato dal
terrore di essere seguito, dall’indecisione se chiedere o meno indicazioni ed a chi, e dal pentimento per la
propria condotta. Ripensa anche all’ultima sera nel tentativo di scoprire chi possa aver fatto il suo nome: i
suoi sospetti cadono inevitabilmente sullo spadaio, ma il fatto che non riesca a ricordare il resto della serata
lo lascia alla fine con le idee confuse. Deciso a scoprire il nome di un paese vicino all’Adda, da prendere
come riferimento per il suo viaggio, senza dover tutte le volte citare Bergamo nel chiedere informazioni,
Renzo entra a fare colazione nella casa di una vecchia. Ottiene così il nome del paese di Gorgonzola e le
indicazioni per poterlo raggiungere. Arrivato a Gorgonzola nel tardo pomeriggio, il giovane entra in una
osteria per cenare e scoprire come poter raggiungere l’Adda. Per timore che gli venga chiesta l’identità, fa
capire subito all’oste le sue intenzioni: mangiare velocemente qualcosa e ripartire subito, senza fermarsi a
dormire. Un gruppo di uomini sta in quel momento discutendo dei fatti di Milano e Renzo viene subito
avvicinato ed interrogato da uno di loro, intenzionato ad ottenere nuove notizie. Renzo riesce ad eludere le
domande e chiede poi all’oste le indicazioni necessarie: la curiosità dell’uomo mette però subito sulla
difensiva il ragazzo, che è quindi costretto a cambiare argomento. Arriva all’osteria anche un mercante
milanese e, sollecitato dagli altri ospiti, racconta le vicende della giornata. La folla di facinorosi si era riunita
anche quella mattina per le vie di Milano. Inizialmente l’intenzione comune era stata quella di assaltare
nuovamente la casa del vicario di provvisione, trovata però chiusa ogni via di accesso, la gente aveva
ripiegato verso piazzale Cordusio, prendendo così d’assalto il forno lasciato intatto il giorno prima. I più
facinorosi avevano quindi proposto di dare fuoco a tutto lo stabile. Il rogo era stato però fortunatamente
evitato grazie ad un crocifisso appeso ad una delle finestre ed all’arrivo di tutti i monsignori del Duomo, che
avevano annunciato una nuova diminuzione del prezzo del pane. Nel frattempo si era sparsa anche la
notizia che i capi della rivolta erano stati catturati per essere impiccati, ed in poco tempo le strade si erano
svuotate. Il mercante, per dimostrare che dietro alla rivolta c’era una lega, probabilmente guidata dai
francesi, racconta infine anche della fuga di uno dei capi, trovato in una osteria, mentre era intento a
fomentare la rivolta, con addosso un fascio di lettere compromettenti. Il racconto del mercante fa subito
cambiare idea al gruppo di uomini: prima erano intenzionati ad andare a Milano per unirsi alla rivolta, ora si
complimentano con sé stessi per essere rimasti a casa.
Renzo, terrorizzato dall’idea di far nascere sospetti, è rimasto inchiodato alla panca durante tutto il
racconto, mangiando con sempre minor gusto il resto della sua cena. Finito infine di mangiare, paga subito
e si allontana da Gorgonzola alla ricerca dell’Adda.
Capitolo 17
Si chiude la vicenda di Renzo. Il capitolo è legato al precidente poiché è il continuo. Renzo uscito dall’osteria
di Gorgonzola, si accinge a continuare il viaggio. La narrazione è divisa in due parti:

 La prima la notte del 12 novembre, dove descrive il cammino di Renzo che attraversa un bosco alla
ricerca dell’Adda: da Gorgonzola verso il fiume Adda.
 Mattina del 13 novembre del 1628.Nella seconda parte descrive il ritrovamento da parte di Renzo
del cugino Bortolo e dell’inizio di una nuova vita: dal fiume Adda fino a Bergamo.

Per quanto riguarda lo spazio, notiamo che è prevalentemente esterno, cioè il bosco, che rappresenta due
elementi importanti:

 La provvidenza: l’intervento della provvidenza si manifesta a Renzo prima con il ritrovamento del
fiume Adda e poi con quello della capanna dove Renzo trascorre la notte. Il bosco perde i suoi
connotati negativi e Renzo non esita a proseguire il cammino.
 Lo smarrimento: attraversare il bosco assume un significato simbolico, infatti per Renzo non
significa solamente di attraversa un luogo avvolto nel silenzio e nelle tenebre, quanto soprattutto di
vincere un disordine interiore che proietta inquietudini e ossessioni sul paesaggio circostante.

Per quanto riguarda il tempo, come lo spazio può avere un significato simbolico:

 La notte: momento della prova, del pericolo e dell’inganno.


 L’alba: il momento della pace e della fiducia ritrovata, della speranza in Dio e nella provvidenza.

Aspetti importanti
 Il viaggio di Renzo: questo viaggio è un percorso nello spazio, ma simbolicamente è un percorso
mentale e psicologico, è un processo di maturazione mentale e intellettuale, anche morale, politico
e religioso. Il momento di questo viaggio viene a concludere questa evoluzione del personaggio e si
conclude con il passaggio dell’Adda. I momenti principali sono:
1. Il racconto del mercante che spinge Renzo a ripensare alle ragioni che lo hanno spinto a
partecipare ai tumulti di Milano, deriva una critica alle azioni compiute per impedire
l’assassinio del vicario.
2. La rielaborazione psicologica che Renzo fa, il quale lo porta all’infanzia, alle fiabe, ai miti,
alle leggende, alle superstizioni popolari, come se facesse un salto in questa sfera. Il
disorientamento geografico che egli vive perché non conosce la strada per Bergamo, è
seguito da un sentirsi estraneo alla società, agli uomini, alla civiltà, infatti nella sodaglia e
nel bosco dominano il selvaggio e la morte. La voce dell’Adda gli sembra un punto di
orientamento e di riferimento spaziale, ma in particolare mentale e culturale.
3. Renzo ritrovato l’Adda pensa a padre Cristoforo, ad Agnese e a Lucia e prova rimorso per
essere venuto meno ai doveri religiosi, e subito si mette in pace con Dio, in questo
momento allo spazio aperto e al tempo della fuga si contrappongono il luogo chiuso della
capanna e il tempo tranquillo della notte, segnato dai rintocchi del campanile che segna le
ore, e a buio della notte si contrappone la luce dell’alba.
4. Il passaggio dell’Adda è l’attraversamento del confine, non solo tra due stati (quello di
Milano e la repubblica di Venezia), ma anche tra due condizioni umano: dall’adolescenza
alla maturità, dalla degradazione dell’osteria alla consapevolezza e alla coscienza di sé.
Renzo ha dunque recuperato l’identità perduta, si è staccato dalle origini e nel contempo le
porta con sé, sente questo odio e amore per il paese, che rappresenta il luogo delle
ingiustizie patite ma anche la forza delle origini e degli antenati morti
 Tema della provvidenza: Renzo riacquista fiducia in Dio e speranza nel futuro. Vede nel rifugio della
capanna e nella solidarietà del cugino due doni della provvidenza.

Divisione sequenze
(1-77) Altri pensieri di Renzo durante il cammino.

(78-123) Renzo ritrova l’Adda.

(124-183) Renzo attende l’alba in una capanna presso l’Adda.

(184-262) Renzo traghetta.

(263-317) Renzo riprende il viaggio e compie un’opera buona.

(318-408) Renzo ritrova il cugino Bortolo.

Riassunto
Uscito dall’osteria di Gorgonzola, Renzo prosegue subito il suo cammino procedendo oramai nell’oscurità.
Non è riuscito ad ottenere dall’oste le indicazioni necessarie ed ora non ha neanche più il coraggio di
interrogare altre persone, non può quindi fare altro che seguire a caso le strade che crede possano
condurlo all’Adda. Inizialmente ripensa al racconto del mercante, e desidererebbe incontrarlo ancora oltre
confine per poterlo smentire, ben presto però il disagio provocato dalle tenebre e dal freddo spegne ogni
suo pensiero.
Dopo aver oltrepassato alcuni paesi ed aver scartato l’ipotesi di chiedere ospitalità, Renzo si inoltra in una
zona non coltivata ed infine in un bosco. Il rumore delle foglie secche, le ombre degli alberi e le loro stesse
figure deformi fanno nascere nel giovane un oscuro timore. Quando sta ormai per essere vinto dalla paura,
Renzo si ferma un momento per riprendere coraggio e, annullando ogni rumore, riesce finalmente ad udire
il rumore del fiume ed ogni sua paura svanisce nel nulla. Il giovane raggiunge la riva ed osserva le luci del
territorio di Bergamo. Sapendo di non poter guadare l’Adda, in attesa che giunga il mattino, torna sui propri
passi e si rifugia in una capanna, dove passa una notte insonne. Mille persone vengono a fargli visita; Renzo
tenta di concentrarsi solo sulle tre che possano portargli gioia (Lucia, Agnese e padre Cristoforo) ma senza
riuscire a trovare la tranquillità necessaria a dormire. La mattina seguente, sveglio di buon ora, Renzo
riprende la via verso l’Adda. Riattraversa così la foresta che tanto lo aveva terrorizzato la sera prima ed
adesso, in piena luce, non può che ridere e vergognarsi di sé stesso. Giunto sulla riva, vede la barca di un
pescatore e gli fa cenno di avvicinarsi. L’uomo, abituato a prestare servizio a contrabbandieri ed a banditi,
controlla prima il fiume, poi prende sulla barca il giovane e lo conduce all’altra riva. Per essere certo della
propria salvezza, Renzo chiede all’uomo se la riva è territorio bergamasco. Alla risposta Terra di san Marco,
il giovane esclama Viva san Marco!; è in salvo. Renzo si ferma un momento a guardare la riva che ha
appena lasciato, è prima contento per essere riuscito ad abbandonarla, ma poi ripensa a ciò che lascia,
sospira e si abbandona al volere di Dio. Si incammina infine verso la città dove abita il cugino, chiedendo
lungo la strada indicazioni senza farsi più alcuno scrupolo. Anche la Repubblica Veneta è stata toccata dalla
carestia, e lungo il suo cammino incontra ovunque poveri e mendicanti. Dopo aver pranzato in una osteria,
il giovane, confidando nella provvidenza, dona il resto dei suoi averi ad una famiglia costretta a mendicare.
Giunto nel paese di Bortolo, Renzo si reca subito al filatoio ed incontra il cugino, che lo accoglie
festosamente e si dichiara subito disposto ad aiutarlo, sebbene i tempi non siano proprio floridi. Bortolo
racconta al giovane come sia stato affrontato politicamente il problema della carenza di grano nel
bergamasco e lo avverte infine che i milanesi vengono chiamati ‘baggiani’ da quelle parti, e che se si vuole
vivere lì e necessario accettare in silenzio quel titolo. Renzo viene quindi presentato al padrone del filatoio
e assunto come lavorante. Fu veramente una fortuna per il giovane, dal momento che non potrà più fare
affidamento sui suoi averi lasciati in paese.
Capitolo 18
Si è conclusa l’avventura di Renzo a Milano. Le prime sequenze sono legate al racconto della fuga di Renzo.
Il podestà di Lecco riceve un ordine scritto, perché indaghi in modo accurato sul giovane, i quale è ricercato
dalla giustizia. La notizia della perquisizione della sua casa si diffonde nel paese, suscitando diverse reazioni.
La descrizione di una di esse (la colpa di tutto questo è attribuita a Don Rodrigo) apre la quinta sequenza
dedicata al signorotto. A partire da questo momento il capitolo si compone di svariati quadri, che anche
grazie ai cambiamenti di spazio e di tempo, lo rendono vivace e dinamico, ricco di fatti e personaggi già visti
(don Rodrigo, conte Attilio, il Griso, Lucia, Gertrude, Agnese, fra Galdino), e nuovi (il Conte Zio).

Aspetti importanti
 Lo spazio e il tempo: poiché il capitolo è la continuazione dell’undicesimo, il recupero delle vicende
dei vari personaggi comporta un mutamento di spazio e di tempo. Questo è richiesto
dall’esperienza e dell’esigenza di realismo, sempre viva nell’autore, la quale tende alla
rappresentazione della varietà e del continuo mutare della vita umana. Il tempo della storia copre
un periodo che va dal 13 novembre 1628 al 2 dicembre 1628.
Lo spazio muta da un episodio all’altro: si passa da Milano, al paese di Renzo e Lucia, da
quest’ultimo al convento di Monza, per poi tornare a Milano.
 In questo capitolo si ricorre alla tecnica del riassunto. Abbiamo una cronologia approssimativa, si fa
riferimento ad un “giovedì”, per indicare il giorno in cui fra Cristoforo manda notizia a Lucia di
Renzo. Poi si passa da un giovedì ad un altro senza determinare la scansione del tempo. Anche lo
spazio è vario, si passa da Milano a al villaggio di Renzo, al monastero di Monza, poi nuovamente al
villaggio di Renzo, al convento di Pescarenico ed infine a Milano, dove abbiamo i colloqui tra il
Conte Attilio e il Conte Zio. C’è una varietà di ambienti che corrisponde a quella degli episodi. Dal
capitolo 11 al 17 abbiamo il resoconto delle vicende di Renzo, dal capitolo 20 al 27 abbiamo
l’esposizione di quello che accade a Lucia. I capitoli 18 e 19 sono di snodo, cioè di raccordo tra la
storia di Renzo e quella di Lucia, servono all’autore per informare delle trame della narrazione e per
una digressione che è presente nel capitolo 19.
 Il conte zio e il tema del linguaggio del potere : il capitolo all’inizio e alla fine ha una parodia nel
linguaggio del potere, all’inizio riguarda il dispaccio che il capitano di giustizia manda al podestà di
Lecco per arrestare Renzo, alla fine il Conte Zio ha un linguaggio che caratterizza tutti gli uomini di
potere e i personaggi di autorità, quindi sa bene che ciò che conta non è la sostanza ma la forma.

Divisione in sequenze
(1-33) I birri saccheggiano la casa di Renzo.

(34-91) Don Rodrigo ha notizie di Lucia.

(92-206) Lucia e Agnese a Monza, notizie del paese.

(207-269) Agnese apprende da fra Galdino che padre Cristoforo non si trova più lì, ma lo avevano andato a
Rimini.

(270-393) Il Conte Attilio ha colloquio con il Conte Zio per far allontanare padre Cristoforo da Pescarenico.

Riassunto
Lo stesso giorno in cui Renzo arriva dal cugino Bortolo, al podestà di Lecco viene richiesto da parte del
capitano di giustizia di procedere all’arresto di Lorenzo Tramaglino. Il ragazzo non viene ovviamente trovato
e la sua casa viene perquisita e quasi saccheggiata. In paese si viene a sapere che Renzo è scappato alla
giustizia dopo aver commesso qualcosa di grosso, ma dei particolari non si sa nulla. Non appena i tumulti
milanesi sono terminati, dal momento che temeva nella confusione di subire vendette, Attilio parte per la
città per chiedere al conte zio di togliere di mezzo padre Cristoforo. Nel frattempo il Griso torna dalla sua
missione e Don Rodrigo viene così a sapere che le donne si trovano nel convento di Monza sotto la
protezione di Gertrude. La gioia per l’assenza di Renzo si tramuta così subito in turbamento per
l’impossibilità di agire: Don rodrigo sa che il rapimento della ragazza in un convento di una grossa città è
una missione fuori dvalla sua portata. L’uomo è quindi sul punto di abbandonare l’impresa, ma la paura di
perdere l’onore inizia a spingerlo verso una soluzione pericolosa: chiedere l’aiuto dell’Innominato, un
nobile tristemente noto per le sue imprese criminali. Il successo della missione del cugino, l’immediata
partenza di padre Cristoforo da Pescarenico ed il ritorno di Agnese in paese (Lucia è quindi ora sola), danno
all’uomo l’ultima spinta per fargli prendere la difficile decisione. Ma per capire gli ultimi avvenimenti
bisogna tornare con la narrazione indietro nel tempo. La notizia dei tumulti di Milano arriva anche al
convento di Monza, e Lucia ed Agnese vengono così a sapere che Renzo, reputato essere uno dei capi della
rivolta, è scappato alla giustizia ed ora è un ricercato. Un messaggero di padre Cristoforo fa loro visita e
conferma la notizia, aggiungendo l’ipotesi molto probabile che il giovane sia riuscito a scappare oltre
confine, nel bergamasco. Promette infine di fare ritorno il giovedì seguente. Nel frattempo Lucia entra in
maggiore confidenza con Gertrude, viene a conoscenza della sua triste storia e inizia così a comprendere
l’origine del suo atteggiamento bizzarro. Il giovedì successivo torna nuovamente il messaggero del frate e
conferma definitivamente la notizia della fuga di Renzo. L’uomo promette ancora di fare ritorno la
settimana seguente ma invece non si presenta ed Agnese, inquieta, decide così di fare ritorno a casa.
Giunta a Pescarenico, la donna si ferma al convento con l’intenzione di incontrare padre Cristoforo. Fra
Galdino le annuncia però che al religioso è stato ordinato di recarsi a Rimini. Il frate, vista la disperazione di
Agnese, le offre l’aiuto di altri frati cappuccini, ma lei rifiuta e fa ritorno in paese.
Tornando indietro nel tempo, Attilio, giunto a Milano, chiede ad un potente zio, membro del consiglio
segreto ed in confidenza con il padre provinciale dei cappuccini, di intervenire in una disputa tra padre
Cristoforo e Don Rodrigo per fare allontanare il frate. Per convincerlo ad agire, allude prima ad un interesse
più che spirituale tra il religioso ed una ragazza, sostiene poiché il frate, quasi senza alcuna giustificazione,
abbia iniziato a dar noia al cugino a causa della stessa ragazza, spinto anche dal desiderio di fare un torto al
parente potente di lui, ed infine conclude sostenendo che il religioso stia anche spingendo per sposare la
giovane con un altro suo protetto, Lorenzo Tramaglino, uno dei presunti capi della rivolta.
Capitolo 19
La narrazione è un lungo flashback che spiega un avvenimento importante: la partenza di padre Cristoforo
da Pescarenico. Il capitolo di divide in due parti:

1. Scena importante del colloquio tra il padre Provinciale e il conte Zio al quale Attilio aveva suggerito
la soluzione del problema (allontanamento del frate da Pescarenico). Il colloquio si svolge a Milano
qualche giorno prima del 30 novembre, giorno in cui padre Cristoforo lascia il convento, il dialogo si
svolge tra cerimonie e giri di parole: padre Provinciale tenta di difendere padre Cristoforo ma
finisce per accettare la decisione del conte Zio, che padre Cristoforo vada a predicare a Rimini e in
cambio don Rodrigo deve fare un pubblico gesto di rispetto nei rapporti dell’ordine dei cappuccini.
Padre Cristoforo riceve l’ordine di partire immediatamente e di non avere contatti con le persone
del paese per cui non può avvertire le due donne.
2. La storia dell’Innominato e si conclude con la partenza di don Rodrigo che va dall’Innominato a
chiedere aiuto per il rapimento di Lucia, il viaggio di don Rodrigo dal suo palazzotto al castellaccio
dell’Innominato (situato al confine tra Milano e il territorio di Bergamo) avviene in dicembre. Il
capitolo dopo la presentazione del carattere e del comportamento dell’Innominato, viene a
definirlo l’Innominato perché il nome non è rivelato dai documenti storici, si tratta di un “tiranno
leggendario” che compie ogni specie di delitti.

Il conte Zio dopo il colloquio con il nipote Attilio comprende che contro padre Cristoforo si poteva fare solo
una cosa: allontanarlo da Pescarenico. Il mezzo per realizzare questo era il padre Provinciale. Fra il conte Zio
e il padre Provinciale c’era un’antica conoscenza, il conte Zio un giorno invita a pranzo il padre e si svolge un
colloquio, a tavola il conte zio parla del suo viaggio a Madrid, porta il discorso sul cardinale Barberini, un
frate cappuccino fratello del papa Urbano ottavo (allora era al soglio papale) e poi tira in discorso su padre
Cristoforo. Il conte Zio presenta negativamente il padre Cristoforo mentre il padre Provinciale lo difende,
ma poi accetta la volontà del conte Zio di trasferire il padre Cristoforo a Rimini. Una sera al convento arriva
un cappuccino da Milano con l’ordine di trasferimento di Cristoforo, quest’ultimo prova un grosso
dispiacere perché pensa a Renzo, Lucia e Agnese, subito prende la sua borsa con il pane del perdono, saluta
i confratelli e si avvia per la strada indicatagli. Intanto don Rodrigo, desideroso di avere Lucia nelle sue
mani, decide di chiedere l’auto di un uomo terribile: l’anonimo tace in nome di costui ma lo storico
Ripamonti lo definisce un uomo pauroso, appaltatore di delitti. La passione dell’Innominato è sempre stata
quella di fare ciò che era vietato dalla legge e per i molti delitti costui fu costretto ad andare in esilio.
Ritornato in patria si era stabilito in un castello confinante tra Milano e Bergamo, che allora era stato
veneto, Il castello di don Rodrigo distava sette miglia dal quello dell’Innominato, e fra loro c’era un rapporto
di amicizia. Una mattina don Rodrigo si reca da lui con il Griso e quattro bravi per chiedere aiuto nel
rapimento di Lucia.

Aspetti importanti

 Il conte Zio e il padre Provinciale: Sono i protagonisti della scena dominante quella del colloquio che
decide il destino di padre Cristoforo facendolo uscire dal romanzo per lunghissimo tempo.
Il conte Zio:
 All’inizio del pranzo esibisce il suo potere (ha degli invitati di rango ed esalta il suo casato)
 È un’ipocrita, rovescia la verità
 Sa essere di volta in volta persuasivo o minaccioso ma senza esprimersi direttamente (fa
uso della reticenza)
Il padre Provinciale:
 Avversario temibile, abile diplomatico (fa l’esaltazione della potenza dei frati cappuccini)
 È un vigliacco, che pur convinto dell’innocenza di padre Cristoforo lo sacrifica in nome di
una pacifica convivenza tra il potere civile e quello religioso
 L’Innominato: La prima fase della sua vita ha queste caratteristiche:
 Prima fase - Nel carattere: trasgredisce la legge, dirige i traffici altrui, vuole essere temuto
e riverito. Nelle relazioni sociali: è in contrasto con i potenti per farli stare al loro posto e
offre la sua malvagità a chi ne ha bisogno.
 La seconda fase - Nel carattere: vive in isolamento e solitudine in un castello al confine del
bergamasco, c’è un ritorno all’antico stile di vita. Nelle relazioni sociali: crea un sistema di
alleanze con signorotti locali, insatura un dominio sugli altri tiranni e all’occorrenza si
occupa dell’amministrazione della giustizia.
La vita dell’Innominato non ha subito mutamenti, il suo potere si è accresciuto facendo di lui un
essere ai
limiti della leggenda. L’esilio costituisce una frattura momentanea ma non produce cambiamenti,
sarà
necessario un altro evento ossia l’incontro con un altro uomo straordinario affinché la sua vita
conosca un
rinnovamento radicale.
 Il dialogo tra il conte zio e il padre Provinciale evidenzia un particolare linguaggio, il dialogo si pone
tra le pagine del romanzo che rappresentano il potere: quelle del capitolo III sul dottor Azzecca-
garbugli, quelle del capitolo IV nella rappresentazione del fratello dell’ucciso e del padre guardiano,
quelle del capitolo V alla tavola di don Rodrigo (commensali), quelle dei capitoli IX e X nel rattratto
del padre di Gertrude.
 Il linguaggio è quello della politica come retorica organizzata a sistema,
 come tecnica del linguaggio del potere. retorica che si fonda sulla reticenza, sull’eufemismo, sul
dire e non dire. Prevale l’ipocrisia della parola che nasconde l’aspetto etico dei fatti, contano solo le
forme e il prestigio esteriore di una casata nobiliare, per esempio l’allontanamento di padre
Cristoforo è definito da Manzoni “provvedimento prudenziale”, il luogo dove viene spedito è detto
“nicchia conveniente”, quindi l’ipocrisia domina i rapporti sociali.

Riassunto

Deciso ad ottenere l’allontanamento di padre Cristoforo per aiutare il nipote, il conte zio organizza un
banchetto per il padre provinciale, al quale vengono invitati anche alcuni suoi parenti e sottoposti, con
l’obiettivo di esaltare il suo prestigio e la sua autorità. Durante il pranzo, il conte zio porta la conversazione
sul suo soggiorno madrileno presso la corte del conte duca Filippo IV, e sui privilegi goduti in
quell’occasione; il padre, per controbilanciare bonariamente l’autoelogio del padrone di casa, parla allora
della curia romana e del prestigio dei cappuccini. Terminato il banchetto i due uomini si trovano faccia a
faccia. Il conte zio sottolinea da subito la volontà di voler trovare presto un accordo, ed inizia quindi ad
elencare i demeriti di padre Cristoforo in modo da preparare il terreno alla sua richiesta finale. Il politico
denuncia prima l’appoggio dato dal cappuccino a Lorenzo Tramaglino, uno dei presunti capi dei recenti
tumulti, ricordando anche il passato burrascoso del religioso. Visto però che il padre provinciale non si
scompone e dice solo di volersi accertare dei fatti reali, il conte zio tira infine in ballo il conflitto tra
Cristoforo e suo nipote Don Rodrigo, mettendo la questione sul piano dell’onore della potente famiglia e
facendo velate minacce su possibili conseguenze di quella disputa, se non spenta subito. L’uomo termina
quindi il proprio discorso chiedendo apertamente al padre provinciale di trasferire altrove padre Cristoforo.
Il religioso, che aveva già capito dove il padrone di casa volesse arrivare, dopo inutili tentativi di difesa si
mostra infine disposto ad acconsentire al trasferimento, dicendo di aver giusto giusto ricevuto da Rimini la
richiesta di un predicatore. Il padre provinciale richiede in cambio del favore una prova chiara dell’amicizia
di Don Rodrigo per l’ordine dei cappuccini, così, dice, da spegnere ogni possibile maldicenza. L’affare è stato
concluso. Alcuni giorni dopo, di sera, arriva al convento di Pescarenico un cappuccino di Milano e consegna
al frate guardiano l’ordine per padre Cristoforo di recarsi a Rimini. Il religioso parte quindi subito la mattina
dopo, accompagnato da un altro cappuccino. Nel frattempo Don Rodrigo è ormai deciso a chiedere
l’intervento di un uomo terribile, l’Innominato (Francesco Bernardino Visconti). Tale personaggio aveva
vissuto tutta la sua vita spinto dall’innato desiderio di fare tutto ciò che è vietato dalle leggi, di decidere la
sorte delle altre persone ed essere temuto da tutti. Superiore per seguito e per ricchezza alla maggior parte
degli altri tiranni, divenne ben presto superiore ad ognuno di loro, costringendoli in pratica alla
sottomissione. Costretto da un bando ad abbandonare lo stato, tornò in seguito a vivere presso il confine
con il territorio bergamasco e fissò il suo quartier generale in un palazzo inespugnabile, posto in un luogo
impervio. Il palazzotto di Don Rodrigo dista circa sette miglia da quello dell’Innominato ed il signorotto di
paese non potè quindi fare a meno, all’inizio della sua attività di tiranno, di offrire i suoi servizi al più
potente padrone. Questa relazione viene però sempre tenuta il più possibile segreta da Don Rodrigo, così
da evitare che possa compromettere l’amicizia con altri personaggi pubblici, come il podestà e lo stesso
conte zio.
Capitolo 20
Il capitolo si collega idealmente al capitolo 19, poiché si apre con la descrizione della valle in cui abita
l’Innominato. Il paesaggio è il prolungamento del ritratto che il narratore aveva fatto precedentemente: la
fisionomia interiore del terribile uomo si competa con l’accenno ai luoghi in cui egli svolge le sue imprese. È
il capitolo della descrizione dell’Innominato, che dà un’idea di selvaggio e solitudine (quella
dell’Innominato). La struttura della narrazione è varia, poiché alterna

 momenti descrittivi (le prime due sequenze)


 scene d’azione (rapimento di Lucia)
 gli interventi del narratore (il disagio dell’Innominato, la sua scontentezza, il disgusto per una vita
delittuosa)

Con questo capitolo registriamo il punto più alto del successo di Don Rodrigo, un momento per lui
particolarmente favorevole, in cui

 Renzo è in esilio (nel bergamasco dal cugino Bortolo)


 Agnese è separata da Lucia (Agnese a casa e Lucia nel convento a Monza)
 Padre Cristoforo è a Rimini

Aspetti importanti

 Lo spazio: la descrizione die luoghi che si colloca tra la fine del capitolo 19 e l’inizio di nuove
avventure nel capitolo 20, attribuisce allo spazio un valore simbolico, che si accorda perfettamente
con le caratteristiche del personaggio e le approfondisce:
 La solitudine dell’uomo (verso 108-109)
 La solitudine dei luoghi (verso 9-10)
 La superiorità fisica e il potere (verso 13)
 L’altezza (verso 1-2)
I luoghi che fanno da sfondo alla dimora del selvaggio signore sono un deserto lugubre, quasi una
proiezione del deserto interiore e della solitudine del suo animo. La sicurezza del castello
sovrastante la valle è l’immagine della sua volontà
 L’ingresso in scena dell’Innominato avviene in occasione della visita di don Rodrigo al castello. Egli
si fa incontro al signorotto e al saluto si accompagna un gesto che rivela diffidenze e sospetti
naturali in chi pratica la violenza, e vive in modo violento. Tuttavia l’Innominato non è più solo un
uomo d’azione, ma vive i primi segni di una crisi che si manifesta come disagio e fastidio in una
continua battaglia contro sé stesso e gli altri. Il conflitto lacerante è tra un passato pieno di delitti e
un futuro segnato dal tormento e dal dubbio sul significato autentico della vita. Nella sua coscienza
si fa strada l’idea della morte, ossia della morte che distrugge definitivamente il corpo. Per questa
via nasce dentro di lui l’idea di Dio, che egli non può ancora accettare perché lo porterebbe a
rinnegare il passato, a riconoscere che vi è Qualcuno che lo supera, mentre egli si crede più grande
di tutti. Nell’innominato ci sono:
1- La crisi della volontà (verso 86) e la crisi esistenziale (versi 87-94), essi rimandano
all’idea della morte
2- Lo sforzo per convincersi di essere quello di sempre e quello di riaffermare l’antica
volontà, il tutto rimanda all’idea di Dio
 Il rapimento: l’uscita di Lucia dal convento è messa in atto da altre figure negative del romanzo, le
quali sono gli aiutanti del rapitore, e sono Gertrude e Egidio:
 Egidio si serve di Gertrude e serve l’Innominato
 Nella figura di Lucia confluiscono l’immagine della monaca che ha una volontà debole e
acconsente al rapimento, la scelleratezza della monaca
 La figura dell’innominato che ha una volontà forte e accetta il rapimento, con la possibilità
di una conversione

Gli intrighi convertono tutti su Lucia (come si vede con Egidio, Gertrude), l’intervento
dell’Innominato garantisce la riuscita dell’impresa, e così avviene. Ma il comportamento della
ragazza ispirate dalla fede generano nel Nibbio inquietudine, disagio e compassione.

 Il castello dell’Innominato: il castello manca di riferimenti storici, invece presenti in quello del
signorotto, le stanze sono nude, spoglie, senza ritratti di antenati ma piene solo di armi.
L’Innominato sembra senza famiglia e senza storia, non ha un passato di antenati e non ha un
presente con legami famigliari. Tutto gioca attorno allo spazio esterno al castello e mette in
rapporto simbolicamente l’esterno con il suo mondo interiore. Esternamente il castello esprime
idea di superbia e grandezza, che corrispondono ai due aspetti della personalità dell’Innominato. Il
castello è poto in alto per dimostrare la superiorità del proprietario rispetto ad ogni altro essere:
egli pensa di essere superiore a tutti, non riconosce al di sopra di lui alcuna autorità politica. Il
castello è circondato anche da un paesaggio selvaggio, lontano dalla storia e dalla civiltà in cui
domina violenza primitiva e naturale.
 La conversione dell’Innominato, cioè il passaggio dal male a l bene : il passaggio è segnato da una
crisi interiore, con il rimorso degli atti delittuosi, il pensiero della morte, la paura dell’ignoto, la
tremenda solitudine e la vecchiaia.
 Gertrude e l’Innominato: c’è un parallelismo tra i due personaggi, per entrambi Lucia è occasione di
“grazia”, cioè aiuto che viene dall’alto, in entrambi la ragazza dà inizio ad un percorso di liberazione
dal male.

Divisione sequenze
(1-35) Il castello dell’Innominato.

(36-81) Don Rodrigo a colloquio con l’Innominato.

(82-123) Le inquietudini dell’Innominato.

(124-155) Ordini al Nibbio e a Egidio per il rapimento di Lucia, e Gertrude complice.

(156-298) Lucia viene rapita e portata al castello dell’Innominato.

( (197-212) prima fase rapimento; (213-223)seconda fase; (224-237) terza fase; (238-287) quarta fase; (288-
298) quinta fase).

(299-365) L’Innominato attende lucia e invia una vecchia fidata a rassicurare Lucia.

Riassunto
Il castello dell’Innominato domina una valle impervia e può essere raggiunto solo da un lungo sentiero
ripido e serpeggiante, esposto agli sguardi dei bravi in ogni suo punto. Il luogo stesso rende quindi il palazzo
praticamente irraggiungibile da chi non è desiderato; di fatto solo i suoi amici ed i suoi uomini osano
avventurarsi fin lassù. Don Rodrigo giunge con il suo seguito di bravi all’imbocco del sentiero, dove si trova
una taverna che ha per insegna un sole ma viene chiamata della Malanotte, e fa in pratica da posto di
guardia. Un ragazzaccio armato di tutto punto accoglie il signorotto e ne annuncia la presenza ai bravi che si
trovano all’interno. Don Rodrigo, saputo che il potente signore si trova a palazzo, depone le proprie armi e
prosegue il viaggio a piedi con il solo Griso. Giunti al palazzo, accompagnati da un bravo del luogo, il Griso
rimane alla porta mentre Don Rodrigo, di stanza in stanza, ognuna piena d’armi e con bravi di guardia,
viene condotto dal signore del castello. L’innominato è un uomo sulla sessantina; le sue mosse, i suoi
atteggiamenti ed il suo luccicare degli occhi mostravano però una forza d’animo e di corpo che sarebbe
stata straordinaria anche in un giovane. Don Rodrigo racconta l’impegno preso, nel quale era in gioco il suo
onore, e chiede quindi l’aiuto dell’uomo esagerando con astuzia le difficoltà dell’impresa: a Monza, in un
monastero, con la protezione della signora… L’Innominato non esita ad accettare sapendo di poter
usufruire dell’aiuto di Egidio, il signorotto senza scrupoli coinvolto nella relazione con Gertrude. Non
appena rimane solo, l’uomo però si indispettisce per la parola data. La profonda solitudine, i numerosi
delitti del passato che affollano la sua memoria, il sentirsi oramai vecchio e vicino alla morte, e la crescente
convinzione dell’esistenza di Dio e dell’inevitabile adempimento della sua parola, contribuiscono a
smuovere la coscienza del tiranno, che prova ora orrore e rimorso per ogni azione scellerata commessa. Per
evitare ripensamenti, l’Innominato ordina subito al Nibbio, uno dei suoi bravi più fidati, di raggiungere
Egidio e chiedergli di compiere l’impresa. Il bravo fa ritorno poco dopo con la risposta positiva dell’uomo,
ed il potente signore invia nuovamente il Nibbio a Monza con una carrozza ed altri due bravi al seguito.
Sfruttando la sua relazione scandalosa con Gertrude, Egidio ottiene l’appoggio della monaca, che,
terrorizzata dalla richiesta, dopo i primi tentativi inutili di sottrarsi all’impegno non riuscì però infine ad
evitarlo. Gertrude, spingendo il tasto della riconoscenza personale, convince Lucia a compiere una impresa
pericolosa per farle un favore da tenere segreto: lasciare di nascosto il convento ed avventurarsi in una città
sconosciuta per andare a chiedere udienza al frate guardiano. Mentre la giovane sta attraversano una
strada solitaria, con la scusa di chiederle la via per Monza, viene avvicinata dai bravi e quindi costretta con
la forza a salire sulla carrozza per essere subito condotta, a tutta velocità, al castello dell’Innominato.
Durante tutto il triste viaggio i tentativi del Nibbio di rassicurare la giovane risulteranno inutili, così come lo
saranno le preghiere di lei per essere lasciata libera. Lucia perderà anche più volte i sensi, tanto da spingere
i bravi a temere per la sua morte. L’Innominato aspetta nel palazzo l’arrivo dei suoi bravi. L’uomo è
inquieto, terrorizzato inaspettatamente da quella sua nuova crudeltà. Vedendo la carrozza che si avvicina
alla taverna della Malanotte, l’uomo è anche tentato di sbarazzarsi rapidamente di Lucia, la giovane che gli
dà tanta noia, e di farla condurre direttamente da Don Rodrigo. Ma un no imperioso della sua coscienza gli
impedisce di prendere la strada più semplice. L’Innominato chiama una vecchia serva, cresciuta in quel
castello e quindi totalmente assuefatta alla crudeltà dei suoi abitanti, e le ordina di andare incontro alla
carrozza per fare compagnia alla giovane e cercare di darle coraggio.

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