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Francesco De Rosa: I PROMESSI SPOSI, DI ALESSANDRO MANZONI

1. UN PADRE DELLA CULTURA ITALIANA MODERNA

Un genio della sintesi


Manzoni è uno dei padri della cultura italiana moderna, cioè l’Italia nata come Stato nazionale a
metà Ottocento fino (per certi aspetti) ai nostri giorni non sarebbe stata la stessa senza la sua opera e
la sua figura, che sono state una presenza continua sia per chi le ha appoggiate e applicate che per
chi le ha contestate: questo suo ruolo fondativo gli fu riconosciuto già in vita, come dimostrano
riconoscimenti pubblici quali la nomina a senatore del neonato Regno d’Italia nel 1860, la nomina
alla testa di una commissione su un problema fondamentale del nuovo Stato come l’insegnamento
della lingua, e la promozione dei Promessi sposi a testo scolastico fondamentale e per la lingua e
per i contenuti (un privilegio unico nella letteratura italiana moderna, e che vale ancora oggi in
molti licei). Un ruolo così importante è anche un risultato dei tempi: Manzoni visse una vita molto
lunga (ottantadue anni) che gli permise di accompagnare il periodo degli eventi fondamentali della
storia italiana, e che ebbero uno dei loro centri proprio nella sua Milano: fu adolescente e poi
giovane durante la Rivoluzione francese, la presenza francese in Italia e la prima autonomia politica
sotto Napoleone di una dapprima repubblica e poi “Regno italico” con capitale Milano (1796-1814),
uomo maturo e letterato sempre più celebre durante la Restaurazione e il ritorno di Milano sotto il
dominio dell’impero asburgico, gli eventi rivoluzionari del ’48 (di cui Milano fu di nuovo
protagonista), infine figura di importanza culturale indiscussa durante gli anni che portarono alla
nascita (1860) del Regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia e al suo completamento ideale con
la conquista di Roma capitale (1870). Ma l’unicità di Manzoni non è tanto una questione di tempi,
quanto di genio: egli è stato una figura decisiva nella cultura del suo secolo grazie ad una grandezza
intellettuale che si fonda su una straordinaria forza di sintesi: la capacità di sintesi culturale, che gli
ha permesso di cercare una conciliazione tra l’illuminismo e il neoclassicismo civile in cui si è
formata la sua gioventù e il romanticismo e il cattolicesimo che hanno segnato la sua maturità; la
vastità di una cultura che, nella sua maturità, ha compreso la storia, la filosofia, la teologia, la
letteratura e la riflessione sulla lingua; il rigore del pensiero, che si traduce nella capacità di porre
problemi fondamentali e di affrontarli con risposte unitarie e sintetizzando i suddetti diversi campi
della conoscenza; la chiarezza espressiva che corrisponde alla profondità del ragionamento; la
ricerca di una lingua adeguata sia al contenuto che al pubblico, una ricerca che dà le sue prove più
alte nei Promessi sposi, con i quali fonda la prosa narrativa italiana moderna. Alla base di queste ed
altre doti sta la prima sintesi sopra ricordata, quella di due mondi culturali, il Settecento e
l’Ottocento, cioè (detto semplificando) l’illuminismo e il romanticismo, il laicismo e la fede, la
storia terrena dell’uomo e la sua dimensione trascendente: questi due mondi, che durante la
Restaurazione furono considerati due mondi nemici e incompatibili, sono stati riassorbiti e
sintetizzati nel suo pensiero e nella sua opera.

Da Milano a Parigi: un letterato illuminista e neoclassico (1785-1809)


Alessandro Manzoni nasce il 7 marzo 1785 a Milano, dal conte Pietro Manzoni (quarantasei anni) e
da Giulia Beccaria (vent’anni), figlia di Cesare Beccaria, uno dei grandi nomi dell’illuminismo
italiano, ma da quanto si sapeva già ai suoi tempi, il suo padre naturale è il conte Giovanni Verri
(che fu l’amante di Giulia Beccaria in quegli anni), fratello di Pietro e di Alessandro, anche loro
(soprattutto Pietro) uomini di punta dell’illuminismo milanese: questa situazione anagrafica sembra
anticipare materialmente il primo fondamentale segno distintivo della personalità di Manzoni, che
fu davvero (culturalmente ma anche, si è visto, nel sangue) un figlio dell’illuminismo lombardo. E
infatti il giovane dimostrerà presto, appena i tempi glielo permetteranno, che nelle sue vene non
scorre il sangue della famiglia paterna, conservatrice e religiosa: malgrado la sua educazione
tradizionale, e quindi religiosa, curata dal suo padre legale (1791-1801) – la madre si è separata dal
1791 – Manzoni è un giovane figlio del suo secolo, laico e radicale in politica, che si entusiasma per
la Rivoluzione francese, come quasi tutti i giovani suoi coetanei (ad es. Foscolo, più vecchio di lui
di sette anni), e per la “liberazione”, da parte delle truppe francesi guidate dal giovane generale
Napoleone Bonaparte, del ducato asburgico di Milano, ora Repubblica cisalpina (1796-1799): il suo
primo componimento poetico impegnativo è il poemetto Del trionfo della Libertà (1801), che
celebra la Rivoluzione francese, la caduta del dispotismo monarchico e i tempi nuovi per la civiltà
europea. I maestri del giovane poeta sono, in questi anni, i maestri della letteratura italiana
illuministica e neoclassica: Giuseppe Parini per la funzione educativa e l’impegno sociale della
poesia, Vincenzo Monti (che Manzoni conosce di persona e da cui riceve apprezzamenti lusinghieri)
per l’eleganza formale. Intanto l’allargamento dei contatti culturali (gli esuli napoletani confluiti a
Milano lo stimolano allo studio della storia e della riflessione sulla storia), e anche nelle prime
poesie, di ispirazione illuministico-neoclassica, è il contenuto illuministico a prevalere e a formare
una poetica eminentemente seria e civile, cioè fondata sulla letteratura come espressione di una
profonda moralità personale e ricerca della verità. La prima espressione compiuta di questa poetica
nasce da un’importante svolta biografica: nel 1805 il giovane Alessandro abbandona la casa dei
conti Manzoni e va a vivere a Parigi con la madre (da cui era stato separato dal 1791), e sempre nel
1805 muore il convivente di sua madre, Carlo Imbonati, per il quale Manzoni scrive, come omaggio
funebre, il poemetto in endecasillabi sciolti In morte di Carlo Imbonati (pubblicato nel 1806), dove
la celebrazione del defunto (che era stato da giovane un allievo di Parini) è la celebrazione di una
letteratura intesa come missione etica, come religione laica del “santo vero”, nel nome anche,
appunto, del maestro di etica personale e letteraria che era stato Parini. Questi sono anni di serenità
(madre e figlio vivono una vita idillica a Parigi) e di approfondimenti umani e culturali: i due
risultati più importanti sono l’amicizia con Claude Fauriel, studioso di letteratura medievale e di
letteratura francese e italiana, destinatario da allora in poi di un carteggio lungo e fondamentale per
le riflessioni sulla letteratura e sulla propria opera, e il matrimonio con Enrichetta Blondel (1808),
una giovane svizzera di famiglia calvinista conosciuta a Milano nel 1807, da cui nel 1809 nasce a
Parigi la prima figlia, Giulia. Mentre il giovane Manzoni, ormai diventato padre di famiglia e nobile
proprietario terriero dopo che la morte del suo padre anagrafico (1807) lo ha lasciato erede
universale delle sue sostanze, ha i primi contatti non superficiali con il mondo della religione (il
matrimonio con Enrichetta Blondel viene celebrato con doppio rito, civile e calvinista), la sua opera
letteraria è sempre più percorsa da un’inquietudine che sembra portare la poetica illuministico-
neoclassica alle sue estreme conseguenze e preludere a una svolta letteraria: nel 1809 pubblica il
poemetto Urania, un tipico testo neoclassico sulla funzione civilizzatrice della poesia, cioè delle
Muse e delle Grazie (evidente l’analogia con l’ultimo capolavoro di Foscolo, il poema incompiuto
Le Grazie, che comincerà qualche anno dopo), e in quell’anno scrive a Claude Fauriel un giudizio
su alcuni suoi versi di circostanza (un’epistola poetica all’amico per l’invio di una sua
composizione) che sembra quasi annunciare una svolta: «... sono molto scontento di questi versi,
soprattutto per la loro assoluta mancanza d’interesse; non è così che se ne devono fare; forse ne farò
di peggiori, ma non ne farò mai più così.»

Da Parigi a Milano: la conversione al cattolicesimo, l’adesione al Romanticismo e la grande


stagione creativa (1809-1827).
La svolta più importante nella vita di Manzoni si verifica tra il 1809 e il 1810, e culmina nella
conversione al cattolicesimo: nel febbraio 1810 ottiene che il suo matrimonio sia celebrato anche
secondo il rito cattolico, e il 2 aprile, a Parigi, durante le feste per il matrimonio di Napoleone e
Maria Luisa d’Austria, nella folla perde di vista la moglie, viene colto da una crisi di agorafobia e si
rifugia nella chiesa di san Rocco, dove riesce a calmarsi. Questo è l’episodio rimasto celebre, ma
esso non può rappresentare il percorso psicologico che condusse Manzoni a convertirsi, in questo
come poi l’Innominato nei Promessi sposi, dopo un lungo colloquio interiore: pare molto adeguata
alla sua personalità la testimonianza di Giovan Battista Giorgini (che sarà suo genero), secondo cui
Manzoni è arrivato alla fede «... per la via della logica –. Logico stringente come Egli era, dopo
aver tutto interrogato a lungo, intorno a sé e dentro di sé, e non aver trovato mai risposta alcuna che
lo soddisfacesse, finì col convincersi che l’uomo non può fare a meno di una fede religiosa». Questa
rivoluzione interiore cambierà tutta la vita anche culturale e letteraria di Manzoni: la letteratura
civile di ispirazione illuministico-neoclassica viene ora sostituita da una nuova forma di impegno
letterario che sublima gli ideali illuministici nella celebrazione del messaggio evangelico, un
impegno che si concretizza innanzitutto nei primi quattro Inni sacri (1815; vi si aggiungerà La
Pentecoste, pubblicata nel 1822) e poi in uno scritto esplicitamente teologico, le Osservazioni sulla
morale cattolica (1819). La conversione religiosa non nega e non cancella anche altre posizioni
radicate nel pensiero di Manzoni, a cominciare da quelle politiche, sempre “italiane” e
antiaustriache, come dimostrano le due canzoni politiche scritte nel 1814-15 (Aprile 1814 e Il
proclama di Rimini, incompiuta) che accompagnano le speranze in un regno d’Italia indipendente, e
le crisi di nervi (di cui da ora in poi soffrirà per tutta la vita) che coincidono con la caduta definitiva
di Napoleone (con la battaglia di Waterloo) e il ritorno degli Austriaci a Milano e in Italia, e le
inquietudini che gli procura l’alleanza politica della Chiesa cattolica con il legittimismo
monarchico.
Manzoni invece, malgrado la prudenza che gli impedisce ogni collaborazione letteraria esplicita,
frequenta l’ambiente della nobiltà milanese riunito intorno alla rivista “Il Conciliatore”, un
ambiente romantico in letteratura e liberale in politica. La sua partecipazione discreta alla battaglia
letteraria che scuote l’Italia della Restaurazione, la polemica tra classicisti e romantici, nata nel
1816 proprio a Milano sulla rivista “La Biblioteca italiana”    provoca dei risultati decisivi per la
letteratura italiana: l’adesione al Romanticismo produrrà la riflessione fondamentale della lettera a
Cesare d’Azeglio Sul Romanticismo (1823), e insieme con la conversione religiosa fisserà la poetica
e le idee da cui nasceranno le opere della breve quanto straordinaria stagione creativa di Manzoni
scrittore di letteratura. Il Manzoni maturo è ormai un autore romantico, che intreccia riflessione
religiosa, interesse per la storia nazionale e sperimentazione in generi letterari tipici appunto del
Romanticismo europeo: dapprima l’opera in poesia, con il dramma storico di tipo shakespeariano e
non più classicistico (Il conte di Carmagnola, 1820, seguito dalla Lettera al signor Chauvet sulle
unità di tempo e di luogo nella tragedia, uno scritto polemico proprio a difesa del teatro moderno di
Shakespeare e dei romantici; Adelchi, 1822, insieme con il Discorso sur alcuni punti della storia
longobardica in Italia), la lirica storico-politica (l’ode Marzo 1821, sui moti liberali europei ed
italiani del 1820-1821, l’ode Cinque maggio, scritta in pochi giorni per la morte di Napoleone); e
poi la prosa, con il romanzo storico, uno dei generi più diffusi nell’Europa della Restaurazione
grazie soprattutto all’inglese Walter Scott, che Manzoni conosce sempre meglio mentre scrive, dal
1821, Fermo e Lucia, il titolo del romanzo che, concluso nel 1823 e poi profondamente riscritto,
diventerà I promessi sposi, ed uscirà in prima edizione nel 1827. Il romanzo (che già entro il 1828
fu tradotto in varie lingue europee) suscita successo e scalpore e divide l’opinione letteraria e
politica italiana fin dalla sua uscita, ma Manzoni è già un letterato famoso in Europa dagli anni
Venti, dalla recensione di Goethe, allora lo scrittore occidentale vivente più celebre, al Conte di
Carmagnola, tant’è vero che sempre nel 1827 in Germania viene pubblicato un volume di Opere
poetiche, con la prefazione dello stesso Goethe.

L’abbandono della letteratura creativa (1827-1859)


La stagione creativa letteraria si conclude con la prima edizione dei Promessi sposi. Da allora in poi
Manzoni continuerà ad essere uno scrittore, ma non più uno scrittore di letteratura: l’unica
eccezione, ma molto particolare, sarà il lungo lavoro di correzione linguistica dei Promessi sposi in
accordo con la sua riflessione sulla lingua letteraria italiana, che ora individua nel fiorentino parlato
cólto il modello e la norma di una lingua letteraria che voglia essere accessibile a tutto il pubblico
italiano; tale lavoro comincia con il soggiorno a Firenze del 1827, si intensifica soprattutto negli
anni 1837-1840, e si concluderà con la seconda edizione dei Promessi sposi, stampata a dispense tra
il 1840 e il 1842 con in appendice la Storia della colonna infame. Ma dal punto di vista letterario, la
poetica manzoniana sembra esaurirsi da sola: nel 1828, subito dopo aver pubblicato I promessi
sposi, riflette sulla natura del romanzo storico e conclude sulla inconciliabilità di storia e
“invenzione” (cioè immaginazione, ricreazione fantastica), proprio i due elementi sul cui equilibrio
e sul cui intreccio si sono fondate le opere della sua stagione “romantica” degli anni Venti (queste
riflessioni, oggetto del saggio Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e
d’invenzione, saranno pubblicate nel 1850). Comincia ora una seconda e più lunga stagione
creativa, caratterizzata dall’abbandono della letteratura creativa a favore pressoché esclusivo della
saggistica, cioè della riflessione principalmente sulla lingua e sulla storia, e anche da una
molteplicità di progetti molti dei quali resteranno incompiuti, e dei quali le opere pubblicate in vita
saranno una parte esigua. Dal punto di vista biografico gli anni Trenta-Quaranta trascorrono in una
vita tranquilla e ritirata (tra Milano e le residenze di campagna), scossi solo da eventi famigliari
importanti come la morte di Enrichetta Blondel (1833: nel suo ricordo Manzoni scriverà nel 1835
l’inno incompiuto Il Natale del 1833), il secondo matrimonio con l’aristocratica milanese Teresa
Borri Stampa (1837) e la morte della madre (1841). La riflessione sulla lingua si amplia ora dalla
lingua letteraria ai problemi legati a una lingua italiana nazionale, ma stenta a tradursi in opere
definitive: dei vari lavori progettati negli anni Trenta, esce solo una lettera a Giacinto Carena
(autore di un Vocabolario domestico) Sulla lingua italiana (1847). Intanto gli eventi storici, cioè i
moti del 1848, tornano a coinvolgerlo direttamente: durante le cosiddette Cinque giornate di Milano
suo figlio Filippo è arrestato e tenuto alcune settimane in ostaggio dagli Austriaci; Manzoni, che fa
parte dell’opinione liberale antiaustriaca e filopiemontese, firma la richiesta di aiuto militare al re
Carlo Alberto, è proposto come membro della Camera del parlamento sabaudo (ma rifiuta l’incarico
per ragioni caratteriali), e stampa i suoi versi politici Il proclama di Rimini e Marzo 1821 per una
sottoscrizione a favore dei profughi veneti; tornati infine gli Austriaci a Milano, per prudenza si
chiude in una sorta di esilio volontario fino al 1850 nella villa del figlio Stefano fuori città. Negli
anni Cinquanta, tra viaggi in Toscana e soggiorni presso ville di famiglia o di amici nella campagna
lombarda, lavora sempre ai suoi progetti sulla lingua italiana e scrive anche di filosofia (un dialogo
Dell’invenzione, 1850).

Un simbolo vivente della nuova Italia (1859-1873)


La sua fama internazionale è consolidata da anni, quando, nel 1859, la guerra tra il regno di Savoia
e l’impero asburgico annette Milano dapprima al regno di Savoia e poi, nel 1860, al neonato regno
d’Italia: è quindi naturale che fin dal 1859 riceva una pensione vitalizia “a titolo di ricompensa
nazionale” dal re    Vittorio Emanuele II e poi venga nominato senatore del Regno nel 1860; inoltre
riceve nel 1860 le visite di Vittorio Emanuele II, di Cavour e, nel 1862 quella di Garibaldi, a
conferma che è già diventato una sorta di monumento vivente, un’incarnazione dell’Italia unita,
appena nata come Stato nazionale. Quest’ultima svolta storica si riflette anche sul suo percorso
intellettuale, facendolo tornare alla storia e facendogli progettare una vasta opera La Rivoluzione
Francese e la Rivoluzione Italiana. Osservazioni comparative, a cui lavorerà dal 1861 al 1872, per
poi lasciarla incompiuta. In questi anni infatti torna a farsi sentire l’esigenza di sistematizzare e
pubblicare le riflessioni sulla lingua, esigenza stimolata da un’occasione pubblica, cioè la sua
nomina, nel 1868, alla presidenza di una commissione nazionale per la diffusione della lingua
italiana: spinto da queste circostanze Manzoni pubblica alcuni brevi scritti (brevi in confronto alla
ricchezza dei materiali accumulati e alla vastità dei progetti), dei quali il principale è la relazione
Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868), dove ribadisce la sua posizione
‘fiorentinocentrica’, secondo la quale la lingua nazionale della nuova Italia deve essere il fiorentino
secondo l’uso dei parlanti cólti, e tale modello fiorentino deve essere diffuso in tutta la nazione. Nei
suoi ultimi anni, quindi, i progetti di saggi storici e quelli di riflessione linguistica s’intralciano a
vicenda: l’ultimo breve lavoro scritto è il saggio Dell’indipendenza dell’Italia, del 1873 (pubblicato
dalla “Gazzetta Piemontese”). In quello stesso anno 1873 una caduta dagli scalini di una chiesa si
rivelerà fatale: delle sue conseguenze morirà poche settimane dopo, il 22 maggio. Riceverà tutti gli
omaggi riservati a una figura di primaria importanza nazionale (già dal 1872 era stato insignito della
cittadinanza onoraria romana): il suo corpo sarà sepolto dopo funerali solenni a Milano (il 29
maggio) e, l’anno dopo, il primo anniversario della sua morte sarà commemorato dall’esecuzione di
un capolavoro di un altro padre dell’Italia unita, Giuseppe Verdi, che dirigerà la sua Messa da
Requiem, composta appunto alla memoria di Manzoni.

2. LA POETICA ROMANTICA DI MANZONI: LETTERATURA E VERITA’


Manzoni e la polemica classico-romantica: la lettera Sul Romanticismo.
L’Italia letteraria dei primi anni della Restaurazione è scossa dalla polemica tra classicisti e
romantici, nata nel 1816 sulla rivista “La biblioteca italiana” e particolarmente viva a Milano
intorno alla rivista “Il Conciliatore” portavoce del circolo romantico (e liberale in politica, quindi
antiaustriaco) che Manzoni frequentava: lo scontro opponeva i difensori della tradizione classica
italiana e di alcuni suoi elementi (l’imitazione dei classici, la mitologia antica) ai sostenitori di un
rinnovamento fondato sulla letteratura moderna e in particolare sui generi, i temi e l’immaginario
delle letterature inglese e tedesca. Nell’infuriare della polemica (1816-1821) Manzoni non
intervenne mai direttamente nella discussione, ma con la sua opera (in quegli anni principalmente
teatrale: Il conte di Carmagnola e Adelchi) o su questioni specifiche (la Lettera... sull’unità di
tempo e di luogo nella tragedia, in difesa del Conte di Carmagnola); fu solo nel 1823, quando
secondo lui la questione era di fatto risolta a favore dei romantici, che scrisse una lunga riflessione
teorica in forma di lettera privata al nobile piemontese Cesare Taparelli d’Azeglio, una lettera che
uscì poi su rivista nel 1846 senza il suo consenso e fu infine pubblicata, con la sua autorizzazione e
in un testo riveduto, nel 1870, con il titolo Sul Romanticismo. Lettera al marchese Cesare
d’Azeglio. Questo scritto è il manifesto programmatico più chiaro e sintetico del romanticismo
italiano, ed anche il più    profondo nei contenuti, perché è l’espressione teorica più riuscita non solo
di un pensiero individuale, ma anche della cultura che ha nutrito la riflessione di Manzoni, una
cultura nata nell’Illuminismo lombardo e arricchita dalla conversione religiosa e dalle discussioni
della cultura europea intorno al romanticismo.

Il romanticismo secondo Manzoni: il vero, l’utile, l’interessante.


Il saggio è articolato in due parti: una distruttiva, più ampia (la critica delle tesi dei classicisti), e
una costruttiva (i caratteri generali della concezione romantica della letteratura).    Il rifiuto del
classicismo è fondato sui seguenti argomenti principali:
a) rifiuto della mitologia classica, espressione di una religione anacronistica da secoli, ma
soprattutto immorale perché pagana;
b) il rifiuto dell’imitazione pedissequa dei classici antichi, perché la letteratura deve essere originale
(come lo erano anche quei classici);
c) il rifiuto delle regole che il classicismo ha tratto dai capolavori greci e latini (le famose unità di
tempo, di luogo e di azione del teatro), perché arbitrarie, contrarie alla ragione.
La concezione romantica della letteratura secondo Manzoni viene riassunta in una definizione
semplice nella forma quanto densa: «la poesia, e la letteratura in genere, [deve] proporsi l’utile per
iscopo, il vero per soggetto [tema], e l’interessante per mezzo». Occorre sottolineare le conseguenze
di questa definizione:
a) l’utile come fine: la letteratura ha una funzione educativa e quindi civile, non è un passatempo o
una forma di intrattenimento, ma uno strumento con cui la società può essere migliorata;
b) il vero come tema: la letteratura è una forma di conoscenza autentica, perché, come precisa
Manzoni subito dopo, deve «cercare di scoprire, e di esprimere il vero storico, e il vero morale»,
cioè la dimensione storica, collettiva, e la dimensione individuale, psicologica e morale, dell’uomo;
dunque la letteratura è equiparata alla storia e alla morale come forma di indagine sulla vita umana;
c) l’interessante come mezzo: la letteratura nasce in stretta relazione con il suo pubblico, che non
deve essere solo una cerchia di intenditori ma la grande maggioranza dei lettori, e deve scegliere
argomenti che interessino e allarghino quel pubblico; quindi la letteratura deve nascere come
letteratura contemporanea.

La sintesi di neoclassicismo e romanticismo: il piacere della conoscenza della verità


Le idee appena riassunte costituiscono la sintesi più matura non solo della riflessione manzoniana
ma anche dello sviluppo della cultura letteraria italiana tra fine Settecento e primo Ottocento in uno
dei suoi centri più importanti come Milano. L’originalità di Manzoni consiste proprio in questa
sintesi di un elemento fondamentale del neoclassicismo (la funzione educativa e civile della
letteratura: è la lezione di Parini), delle novità del romanticismo (l’esigenza di una letteratura nuova
negli argomenti e nel pubblico allargato, non più limitata alla classe sociale più elevata e di
educazione classica, dunque una letteratura “borghese” e “popolare”) e delle ragioni della fede
cristiana (l’esigenza di conoscere la verità, il rifiuto di un immaginario e di valori pagani e quindi
per Manzoni immorali), che dalla conversione in poi è il centro del pensiero manzoniano. La firma
della personalità manzoniana è il risultato del tutto originale di questa sintesi, un risultato del tutto
inedito nella letteratura italiana e accostabile solo alla concezione illuministica nata nel Settecento:
la coincidenza di letteratura e verità, vale a dire la convergenza di piacere estetico (la funzione
tradizionalmente considerata quella principale della letteratura) e di conoscenza della verità: come
afferma Manzoni, la letteratura deve suscitare il
«diletto» (il piacere) che nasce dalla «cognizione del vero», cioè dalla conoscenza della verità, un
piacere della mente.

Romanticismo e romanzo storico: la sintesi di “storia” e “invenzione”


In base alla poetica manzoniana qui esposta, I promessi sposi sono anche l’espressione più alta di
tale poetica. La scelta di scrivere un romanzo storico obbedisce infatti alle intenzioni fondamentali
di tale poetica: il «vero storico» e il «vero morale», cioè la ricostruzione fedele di una società in un
dato periodo storico e l’indagine sui meccanismi del cuore e dell’agire umano, e infine la verità più
alta per Manzoni, quella della fede e dell’insegnamento cristiani, sono il tema dei Promessi sposi; la
sua forma e il suo genere letterario, cioè la prosa e in particolare la prosa del romanzo, sono gli
strumenti più idonei ad interessare e a raggiungere un pubblico che sia il più ampio possibile; lo
scopo di quel romanzo, cioè non intrattenere o distrarre i suoi lettori ma insegnare loro dei contenuti
veri, farli riflettere, aumentare la loro ricchezza conoscitiva e morale, è la migliore realizzazione
possibile della funzione educativa della letteratura. Il romanzo storico, insomma, realizza le due
caratteristiche fondamentali della letteratura secondo Manzoni, una relativa al contenuto e l’altra
relativa alle sue funzioni: da una parte, infatti, un romanzo storico realizza la coincidenza (per usare
due termini-chiave della riflessione manzoniana) di “storia” e “invenzione”, verità e
immaginazione, cioè della fedeltà della ricostruzione storica e degli elementi immaginari nei
personaggi e nella trama; inoltre, esso non è una forma di intrattenimento ma uno strumento di
conoscenza della verità che deve migliorare la vita del suo lettore
MANZONI E IL ROMANZO STORICO CITAZIONI
«Per spiegarvi brevemente la mia idea principale sui romanzi storici vi dirò che li concepisco come
una rappresentazione di un determinato stato della società per mezzo di fatti e di caratteri così simili
alla realtà da poter essere creduti una vera storia da poco scoperta. Quando vi sono mescolati
avvenimenti e personaggi storici, credo che bisogna rappresentarli nel modo più rigorosamente
storico; per questo, ad es., Riccardo Cuor-di-leone mi sembra imperfetto nell'Ivanhoe».
Le memorie che ci restano di tale epoca presentano e fanno supporre uno stato della società
veramente straordinario: il governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia
popolare; una legislazione stupefacente per ciò che prescrive e ciò che lascia intendere o che
descrive; una ignoranza profonda, feroce e pretenziosa; classi aventi interessi e massime opposte;
alcuni aneddoti poco noti, ma affidati a scritti degnissimi di fede, e che testimoniano il grande
sviluppo di tutto ciò; infine una peste che ha dato occasione alla scelleratezza più consumata e
sfrontata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi etc. etc. [...] Oso lusingarmi (ho
imparato questa frase dal mio sarto di Parigi), oso lusingarmi di evitare almeno l'accusa di
imitatore: a questo fine faccio quanto posso per compenetrarmi nello spirito del tempo che devo
rappresentare, per viverci dentro: se era tanto straordinario, sarà colpa mia se questa qualità non si
comunica alla rappresentazione. Quanto allo svolgimento degli avvenimenti, e all'intrigo, credo che
il mezzo migliore per non fare come gli altri stia nel considerare nella sua realtà il modo di agire
degli uomini, e di considerarlo soprattutto in ciò che ha di opposto allo spirito romanzesco. In tutti i
romanzi che ho letto, mi sembra di scorgere un impegno per stabilire relazioni interessanti e
imprevedibili tra i diversi personaggi, per presentarli insieme sulla scena, per trovare avvenimenti
che influiscono contemporaneamente e in modo diverso sui destini di tutti, in sostanza una unità
artificiale che non si trova nella vita reale. So che questa unità fa piacere al lettore, ma penso che
dipenda da una vecchia abitudine.

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