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Dante e il rock
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Indice
Dante e l’Arte
Numero 6, p. 1-162, 2019
ISSN 2385-5355 (digital)
ISSN 2385-7269 (paper)
5-8 Presentazione
Dossier
11-24 Mattew Collins
Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century”
25-64 Marco Berisso
Dante e il prog italiano
65-92 Rosa Affatato
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia:
gli album Inferno, Paradiso e Purgatorio di Metamorfosi
93-104 Giulio Carlo Pantalei
The Grunge Inferno: Dante as read by Kurt Cobain
105-126 Francesco Ciabattoni
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante
127-142 Giulio Carlo Pantalei
The Middle Ages of Postmodernism: Dante, Thom Yorke
and Radiohead
Recensioni
145-148 Wiesse Rebagliati, Jorge. Dante contempla la Trinità (Giulia
Degano)
149-154 Battaglia Ricci, Lucia. Dante per immagini. Dalle miniature
trecentesche ai giorni nostri (Elisa Orsi)
155-162 Dante visualizzato. Carte ridenti II: XV secolo. Prima parte,
a cura di M. Ciccuto, L.M.G. Livraghi (Elisa Orsi)
Dante e l’arte 6, 2019 5-8
Premessa
Dante, Direttore d’Orchestra alla
fine del Ventesimo Secolo
di questa sede con il Brasile dei Sepultura, la Francia degli Indochine e chissà
quanti ulteriori luoghi. Non solo lo Stivale, pertanto, come legittimamente
ci si potrebbe aspettare, che pure compare con una cospicua rappresentanza
grazie alla funambolica produzione prog di New Trolls, The Trip, Metamor-
fosi, Il Bacio della Medusa, Sezione Frenante e Cherry Five (Marco Berisso)
e a un ulteriore specifico approfondimento sulla trilogia concepita a mo’ di
concept album Inferno, Purgatorio e Paradiso del già citato complesso romano
dei Metamorfosi (Rosa Affatato).
Ad emergere, inoltre, due macrodati. Da un lato, cosa nota per molti stu-
diosi, il terreno dantesco è stato, è e sempre sarà fertile per rifunzionalizzazio-
ni, riprese e variazioni sul tema, oltre ogni possibile timore di travisamento o
desacralizzazione della pura, inesauribile, fonte primigenia. Dall’altro, e questo
potrà invece risultare nuovo, la specificità e l’unicità della musica Rock a pre-
disporsi grembo per la libera inserzione di tessere colte, di derivazione “alta”,
all’interno di un ambito tradizionalmente considerato di statuto paraletterario.
Perché il Rock e soprattutto quale Rock, dunque? È giusto studiare con rigore,
attraverso modalità scientifiche, note e parole dei testi per musica “leggera”?
È giusto conferire addirittura un peso letterario a qualcosa che in un modo o
nell’altro viene considerato la manifestazione di una cultura “pop”, effimera,
usa e getta?
La risposta è più complessa rispetto a quanto si potrebbe immaginare di
primo acchito e va ben oltre il dibattito sul controverso Premio Nobel 2016
per la Letteratura a Bob Dylan. La questione, infatti, riguarda piuttosto ciò
che ha significato l’emergere della cosiddetta Popular music nella Storia della
musica moderna e nei consumi culturali del Ventesimo secolo, vale a dire lo
smussamento dei confini e la costitutiva sovrapposizione di piani tra highbrow
/ musica alta e lowbrow / musica folk-etnica, da cui discende che la musica
Rock – diversamente, si badi bene, dalla musica Pop strictu sensu – è struttu-
ralmente imparentata con il repertorio dei blues afroamericani, con le culture
alternative e le sottoculture, con l’azione della libera sperimentazione artistica
e con le avanguardie musicali del secolo scorso. Basti portare alla mente la
figura di John Cage o di Luciano Berio. A tale proposito, strumento utile in
via preliminare per il lettore potrebbe rivelarsi la tabella della pagina seguente,
approntata da Lucio Spaziante nel suo Sociosemiotica del Pop (Carocci, Roma,
2007).
Certa musica Rock, insomma, ha senza ombra di dubbio provato (e a
tratti è riuscita) a farsi arte e tra questa rientra di certo quella di cui si tratta
in questa edizione, che conferma ancora una volta la tesi di Beverley per cui il
Capitale può sfruttare e gestire l’arte nelle società moderne, ma non può an-
cora impadronirsi completamente dei suoi mezzi di produzione o ispirazione.
Premessa Dante e l’arte 6, 2019 7
Se dopo aver scorso le pagine, che spaziano tra letteratura e musica, qui
contenute i lettori avranno potuto sperimentare l’impercettibile fantasticheria
di aver visto Dante, calato in un regno assai più simile al nostro purgatorio
quotidiano, mentre tenta di riabbracciare per un istante Casella o mentre gli
chiede di rinnovare un canto per lui, allora questo nostro contributo avrà
pienamente accordato la frequenza tonale dei suoi intenti.
Dossier
Dante e l’arte 6, 2019 11-24
Mattew Collins
Harvard University
mcollins@fas.harvard.edu
https://orcid.org/0000-0002-6818-8172
Abstract
Beginning with a verse in Bob Dylan’s “Tangled up in Blue” that details two characters
reading a book of poems by an unnamed Italian poet from the thirteenth century, the direct
and ‘diffused’ influence of Dante upon the great American songwriter and Nobel Laurate
is investigated. Further, a possibly intentional narrative similarity is proposed between the
story told in “Tangled up in Blue” and the one Francesca tells in Inferno 5. After exploring
the available evidence regarding the explicit influence of Dante’s work upon the songwriter,
and other hypotheses related to the verse from this song in particular, sources for Dante’s
diffused influence upon Dylan are discussed. With often enigmatic lyrics and elusive sta-
tements, this latter point regarding Dante’s abundant presence in literary works that we
know Dylan read confirms the role Dante plays—in one way or another—within Dylan’s
lyrical oeuvre, even if the identity of that thirteenth century Italian poet in the song will
likely remain a mystery.
Key Words: Dante Alighieri; Bob Dylan; Tangled up in Blue; Inferno 5; Ezra Pound;
T.S. Eliot.
Riassunto
A partire da un verso di “Tangled up in Blue” di Bob Dylan che descrive due personaggi
che leggono un libro di poesie di un poeta italiano del XIII secolo, si indaga l’influenza
diretta e ‘diffusa’ di Dante sul grande cantautore americano e Premio Nobel. Inoltre, viene
proposta una somiglianza narrativa forse intenzionale tra la storia raccontata in “Tangled
up in Blue” e quella che Francesca racconta in Inferno 5. Dopo aver esaminato le prove
disponibili riguardanti l’influenza esplicita dell’opera di Dante sul cantautore, e altre ipotesi
relative al verso di questa canzone in particolare, viene affrontata la questione delle fonti
dell’influenza diffusa di Dante su Dylan. Sviluppato per mezzo di testi spesso enigmatici e
affermazioni elusive, quest’ultimo aspetto, quello cioè riguardante l’abbondante presenza
di Dante nelle opere letterarie che sappiamo lette da Dylan, conferma il ruolo di Dante, in
un modo o nell’altro, nell’opera lirica el cantautore, anche se l’identità del poeta italiano
del XIII secolo nella canzone rimarrà probabilmente un mistero.
Parole chiave: Dante Alighieri; Bob Dylan; Tangled up in Blue; Inferno 5; Ezra Pound;
T.S. Eliot.
T here is a line in “Tangled up in Blue,” the first song on Bob Dylan’s 1975
album Blood on the Tracks, that comes tauntingly close to tying together
the oeuvres of two writers that are in many ways worlds apart: Dante and
Dylan. This line refers to “a book of poems” that were “written by an Italian
poet from the thirteenth century.” What Dylan writes about that book is
potentially fascinating as it relates to Dante’s reception history. It also calls
to mind the various avenues through which the Italian poet’s work reached
Dylan, at least as a result of the American songwriter’s immersion within
literary traditions that point back to Dante, if not the result of some degree
of extended reading by Dylan of the Duecento-Trecento Italian poet. Here is
the line in its context:
Then she opened up a book of poems
And handed it to me
Written by an Italian poet
From the thirteenth century
And every one of them words rang true
And glowed like burnin’ coal
Pourin’ off of every page
Like it was written in my soul
From me to you
(Dylan 2016:332).
If Dylan meant to indicate, in this book of poems, a work by Dante, then
he left us with a lively cluster of verbal images that convey his personal un-
derstanding of the potential effects of Dante’s poetry upon readers—even in
a very different time and place. Dylan suggests that these words of poetry
written centuries ago still have the potential to catch metaphorical fire on
an opened page, to be reduced to their essence, and to pour into one’s soul.
Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century” Dante e l’arte 6, 2019 13
Further, the resonance of the effect is such that at times it seems these words
were just written, and just intimately shared. Such an effect can establish a
bridge that, even if fleetingly, links vastly different cultures: Dylan’s modern
American culture (with a wide range of roots and influences) and the cultural
era from which Dante’s writing emerged.
There are definitive links between Dylan and Dante on a radio program
that the songwriter hosted for three years, and within the songwriter’s mem-
oir in which he references his encounter with a volume of Inferno—points to
which I will return. But my principal interest here is the presence of Dante’s
influence particularly within Dylan’s lyrical oeuvre, for which he specifically
won the Nobel Prize in Literature for 2016.1 According to the official state-
ment from the Swedish Academy, he was awarded the prize “for having creat-
ed new poetic expressions within the great American song tradition” (Nobel
Prize in Literature, 2016). Accepting this premise, Dante’s potential presence
specifically within Dylan’s songwriting is of especially compelling interest.
Readers of Dante may well want to affirm that he is this thirteenth century
Italian poet. There are quite many passages of his poetry that can create the
effect that Dylan describes. But if Dylan were indeed referring to Dante here,
it would seem appropriate to discount the Commedia as the book to which he
was referring, because it was written during the century after the one used to
designate this unnamed Italian poet, who could just as well be referred to as
a poet from the fourteenth century when he wrote his masterpiece. But such
precision, as we will see, may not be necessary or even suitable when it comes
to Bob Dylan. Therefore, I will specifically suggest that there is a striking
resonance between “Tangled up in Blue” and the fifth canto of Inferno—even
though a “book of poems” would seem to more appropriately refer to the
Rime or the Vita nova, both of which are also more accurately identified with
the thirteenth century.
Of course, there were other noteworthy Italian poets alive in the thirteenth
century; given that he lived during two different centuries, the particular
designation may seem better suited for Guido Guinizelli or Guido Cavalcanti,
both of whom lived exclusively in the thirteenth century, with the exception
of one year on the part of the latter poet. Romantically-charged words that
may well incite reactions in a reader, even centuries later, is also characteristic
of the poetic works of these two elder stilnovisti. But Dylan is not one for ac-
ademic precision, or the kinds of inquiry expressed by words on a “professor’s
1. With a characteristic twist of dylanesque irony, the character Dylan plays in Masked and
Anonymous, a film for which he was also co-writer under pseudonym, reacts unenthusiasti-
cally to a manager who tells him that “there’s people out there giving prizes to people like
you,” adding that “people are impressed by people who win things.” “Ain’t that the truth,”
he mutters back, underwhelmed at the prospect. There seemed to have been an element of
this in Dylan’s delayed response to this prized literary accolade.
14 Dante e l’arte 6, 2019 Mattew Collins
that it was Dante who was referred to in this verse from his 1975 album. The
first is Dylan’s recorded reading of eighteen lines of Inferno; the next relates
to Dylan’s recounted reading habits, including a specific mention of Dante,
and the third is a certain resonance of note between “Tangled up in Blue”
and Inferno V. Also deserving mention here are two other studies that have
explored the possible links between Dylan and Dante as specifically indicated
in this verse of “Tangled up in Blue.” The first is by Richard Thomas, who
suggests Purgatorio 21.94-99 as a passage worth considering, especially because
it is an acknowledgement of layered intertexts from Virgil to Statius to Dante
(Thomas, 2007: 45). This is a directly relevant possibility in light of the broad-
er context of Thomas’ essay, which begins with his realization that Dylan
borrowed from Mandelbaum’s translation of Aeneid 6.851-853 in “Lonesome
Day Blues,” and goes on to show the extent to which Dylan (like Dante and
Virgil) is an actively intertextual writer (Thomas, 2007: 3). A second study, by
Giulio Carlo Pantalei, also proposes a certain intertext within the immediate
context of Dylan’s reference to the words of this thirteenth century Italian
poet. The phrase regarding these words, that they “glowed like burnin’ coal,”
mirrors the description, in translation, of Charon’s eyes (Pantalei, 2016: 18-19).
Pantalei specifically highlights the phrase as it appears in George Musgrave’s
translation, realized in Spenser’s nine-line meter: “eyes of burning coal” (Infer-
no 3. 120). In fact, the phrase, “occhi di bragia” in Dante’s Italian, is identically
translated by Henry Francis Cary as well, whose version, we will now see,
Dylan most certainly did encounter—at least at a later point.
As I have said, there is nearly explicit evidence, beyond the interpretation
of Bob Dylan’s often obscure lyrics, that he read Dante. There is also an ex-
plicit example that I will only quickly mention here, being the more clear-cut
evidence that it is: one can listen to Dylan reading from Cary’s translation of
Inferno 10.114-131 near the conclusion of his Theme Time Radio Hour episode
on the topic of heat.4 His own introduction to this poetic reading hardly in-
dicates he had an especially careful familiarity of Italian poet’s work—rather,
he says something quite reminiscent of his aforementioned confused refer-
ence to Petrarch as Plutarch. Concerning this passage about the heretics of
Hell’s sixth circle, he says: “here’s what Dante Alighieri had to say about the
ninth circle of Hell from his epic poem, The Divine Comedy.”5 Again, he is
4. Theme Time Radio Hour was a weekly radio program hosted by Bob Dylan from 2006-2009.
Originally broadcast by XM Satellite Radio, all shows are now available at http://www.
themetimeradio.com (last accessed June 30, 2018).
5. Just before turning to this reading, he had played Johnny Cash’s Spanish-language version of
“Ring of Fire,” translated as “Fuego D’Amor,” and in Dylan’s characteristic free-associating
fashion, he managed to connect the lyrics of Johnny Cash to the poetry of Dante Alighieri
in the line preceding the one quoted above: “and if you talk about rings of fire, you can’t
leave out the ultimate destination, the ninth circle of Hell.” After reading from Inferno 10,
16 Dante e l’arte 6, 2019 Mattew Collins
not one to worry much about precision. But this was around three decades
after he wrote “Tangled up in Blue,” and we cannot know how long he had
been familiar with this and other passages from the Commedia before he read
from Cary’s translation. But we do have some basis to argue in favor of his
reasonable familiarity with Dante’s poem by the time he wrote the lines under
present consideration.
Dylan’s memoir is strongly suggestive, and yet a bit elusive, even while
being close to near proof that he spent some time with Dante’s poem in his
formative years—though he evidently did not do so with particular care, as
his later radio program would suggest. What he writes in Chronicles, however,
includes an element of uncertainty, in part because he may well have made
up this account in which he described an almost utopic space with notably
literary dimensions (Thomas, 2017: 101). He writes that, upon his arrival in
Greenwich Village, he often stayed in the apartment of a certain Ray Gooch,
“an intellectual and a scholar and a romantic” with a truly vast book collec-
tion (Dylan, 2004: 26). Dylan adds that, “the place had an overpowering
presence of literature” (Dylan, 2004: 35), and he goes on to recall the range of
topics and books within this collection from which he often read voraciously.
Dante’s name appears near the start of his kaleidoscopic list of books and
authors, their lack of systematic reference conveying a sense of his similarly
unsystematic reading. Among them, in the following (selective) order, were:
Gogol, Dickens, Balzac, Machiavelli, Rousseau, Ovid, Faulkner, Albertus
Magnus, Thucydides, Byron, Longfellow, Leopardi, Milton, Pushkin—and
the range of non-fiction he recounts is similarly dizzying (Dylan, 2004: 36-41).
His sentence on Dante, whose name appears immediately after Machiavelli’s,
is as follows: “‘The cosmopolitan man’ was written on the title page of Dante’s
Inferno” (Dylan, 2004: 36). During this time, did he go beyond merely open-
ing the cover and reading the inscribed title page of this particular copy of the
first canticle of the Commedia? It seems likely, given that he chose to specifi-
cally reference it among the books he happily encountered and fondly recalled
so many decades later while writing his memoir. And even if the apartment
of Roy Gooch was an invention, along with this particular copy of Inferno
and its curious inscription, his literary encounters—however they may have
actually taken place—were almost certainly not fabrications.
If Dylan did read at least some of Inferno, did he get to the latter half
of the fifth canto—containing the tale of Paolo and Francesca—or perhaps
skip to it? Even if he did not get through all of Inferno 1, let alone reach
the end of the fourth canto, there is a reasonable possibility that a well-in-
formed reader, such as an actual (or mythical) Gooch whose used book was
and before moving on to a quote from Harry Truman, he says another brief word about the
poet: “I’ll leave you with one last thought—this one isn’t quite as deep as Dante.”
Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century” Dante e l’arte 6, 2019 17
in the hands of Dylan, may have read only selections of even this first canticle
of the Commedia. The most common selective reading, especially from the
nineteenth century onward, would include the tale of Paolo and Francesca.6
Material indications of the cultural importance of this canto could have been
reflected in markings, or the selective wear within the book that might lead
more naturally to the corresponding pages. This seems to be as far one can
reasonably go in search of evidence that Dylan read Dante, and to be more
particular for present purposes, the story of Paolo and Francesca in the latter
part of Inferno’s fifth canto.
But there is another angle from which to explore this possible connection
between Inferno 5 and “Tangled up in Blue,” which is a specific narrative har-
mony that exists between these two works. There are some obvious but less
convincing connections: for example, each are stories of romance in which the
ladies were married. Similarities like this one, and others, could easily be mere
coincidence. More significant is the verse in “Tangled up in Blue” that recalls
the turning point in the unnamed protagonists’ relationship. As a song that
willingly rearranges chronology, the verse that recalls the first private encoun-
ter between the two main characters of the narrative takes place in the middle,
immediately following the verse that details their very first public interaction.
The center and turning point of this private moment is—just as with Paolo
and Francesca—a book, the book “of poetry…written by an Italian poet from
the thirteenth century.” The intimacy that follows is never detailed, quite like
Inferno 5 which only mentions a kiss, and also stops with the book; “quel
giorno più non vi leggemmo avante” (138). These Americans were reading a
book of Italian poetry, and “the words rang true and glowed like burnin’ coal”
in much the same way as the Italians Paolo and Francesca had been reading
French poetry—particularly “di Lancialotto come amor lo strinse” (127). Is it
possible that the unnamed lady in Dylan’s song opened up and handed over
the latter section of Inferno 5 to be read aloud? Here we must be halted yet
again by Greenbaum: Bob will never say.
***
Whoever this “Italian poet from the thirteenth century” is—and there will al-
most certainly never be absolute proof in any direction—the final lines of this
verse, speaking to the lively and present effect of the relatively ancient poet’s
words, makes a noteworthy shift. The subjects in this first person narrative
had previously been she and me, but then the words of the Italian poet are
described in this way: “like it was written in my soul from me to you.” Dylan
suddenly brings in the second person, as if speaking now as a poet himself,
who has absorbed that Italian poet’s words and re-presented them to the song’s
listeners—which very well may be precisely what he is doing.
This suggestive shift in person points toward Dylan’s awareness of literary
diffusion—that is, the continual process of reception, absorption and con-
tinuation among generations of writers, concerning which T.S. Eliot has in-
sightfully written (1932: 3-11). Indeed, in Dylan’s own way he has expressed his
understanding and practice of precisely this aspect of cultural transmission
in the act of songwriting: in his Nobel Lecture he said, describing his own
experience: “You pick up the vernacular. You internalize it” (Dylan, 2017: 4).
For the entirety of the next paragraph, he goes on to demonstrate this point—
though never explaining he is doing it—by stringing together references to
the lyrics of others’ songs, mostly traditional and unattributed. Together they
compose this entirely unique, apparently stream-of-consciousness paragraph,
the final composition most immediately calling to mind his book Tarantula
(Dylan, 1971).
Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century” Dante e l’arte 6, 2019 19
The songs I have been able to identify are in brackets after their respective
references:
You know what it’s all about. Takin’ the pistol out and puttin’ it back in
your pocket. Whippin’ your way through traffic, talkin’ in the dark. You
know that Stagger Lee was a bad man [Trad. American, “Stagger Lee”] and
that Frankie was a good girl [Trad. American, “Frankie and Albert”]. You
know that Washington is a bourgeois town [Lead Belly, “The Bourgeois
Blues”] and you’ve heard the deep-pitched voice of John the Revelator
[Trad. American, “John the Revelator”] and you saw the Titanic sink in a
boggy creek [The Carter Family, “Titanic,” and later Dylan, “Tempest”].
And you’re pals with the wild Irish rover [Trad. Irish, “The Wild Rover”]
and the wild colonial boy [Trad. Irish, “The Wild Colonial Boy”]. You
heard the muffled drums and the fifes that played lowly [Trad. English,
“The Unfortunate Rake,” and later trad. American, “Streets of Laredo”].
You’ve seen the lusty Lord Donald stick a knife in his wife [Trad. English,
“Matty Groves”] and a lot of your comrades have been wrapped in white
linen [Trad. America, “The Streets of Laredo”] (Dylan 2017: 4-5).
Dylan recognized his own place within the process of literary production as
both a reader (or listener) and a writer (or singer). Just as he demonstrated
this in the above quoted paragraph from his Nobel Lecture so, in “Tangled up
in Blue,” via the subtle shift in person—from she and me to me and you—he
implies a similar process. In his lyrics and beyond, he stands in dialogue with
others’ writings, on the one hand, and with his audience on the other. In light
of the lyricist’s own apparent awareness of his place within a particular literary
genealogy, suggested by the lines of the very song that at least references some-
one within Dante’s literary orbit, or that references Dante’s very own work, I
will briefly turn now to a broader discussion regarding the diffused Dante that
reached Dylan.
Bob Dylan would have encountered many varieties of dantesque borrow-
ings through his reading; numerous of Dylan’s known sources of inspiration
and unashamed appropriations were thoroughly influenced by the words of
Dante, and some directly quoted him. Further, the Italian poet’s influence
upon the American literary tradition that led directly to Dylan’s own time—a
tradition within which he read deeply and of which he has now become an in-
tegral part—was quite profound.7 But it is important to bear in mind Dylan’s
own words in his Nobel Lecture when considering these sources: “I’ve writ-
ten all kinds of things into my songs, and I’m not going to worry about it”
(Dylan, 2017: 22). In regards to the meaning of his songs, and the sources
from which he drew language and ideas, he is fundamentally disinterested
7. See Cambon, 2010 for the influence of Dante on American literature in the nineteenth
century and the first half of the twentieth century. Cambon wrote in the opening lines of his
essay: “one could almost say that Dante has been to modern American poetry what Shake-
speare was to Goethe and the German romantics: an awakener and a constant guide” (167).
20 Dante e l’arte 6, 2019 Mattew Collins
in engaging with any sort of textual parsing. In this spirit, it seems better to
speak of a less precisely-defined diffusion when considering alternative ways,
through the words of other poets, that Dante came to generally influence
Dylan’s lyrics.8
In “Desolation Row,” the hallucinogenic ballad and cultural collage that
concludes his 1965 album Highway 61 Revisited, Dylan names, within a playful
pair of lines, two poets who significantly influenced his thinking and writing:
“Ezra Pound and T.S. Eliot/ Fighting in the captain’s tower” (Dylan, 2016:
183). To propose an interpretation, these two were indeed captains of early-to-
mid twentieth century Anglophonic poetry with roots in the classical western
languages of Latin and Greek, as well as in the romance languages, including
Italian. It is a brilliant pairing that rather ironically juxtaposes an intimate
antagonism (“fighting in the captain’s tower”) with an almost inseparable
“composite identity” calling to mind Bonnie and Clyde, Romeo and Juliet,
or Tristan and Isolde (Stillman, 2011: 241). But whatever the lines themselves
mean, the influence of Pound and Eliot upon Dylan cannot be overstated, nor
can the influence of Dante upon Pound and Eliot.
Regarding Dylan’s lyrics, Allen Ginsburg commented: “I would venture
to say […] that there would have been no Bob Dylan without Ezra Pound”
(Ginsburg, 2012). As for Pound’s use of Dante, much can be said, but it suffic-
es here to quote from James J. Wilhelm, who wrote that in the Cantos “Pound
decided to write a poem that touches on the three Dantesque spheres, but
without solidifying them into canticles” (Wilhelm, 2010: 296). This is not
only an interpretation on Wilhelm’s part; Pound said as much himself (1950:
239). Just as Ginsburg pondered the extent of Pound’s influence on Dylan,
one could also ponder Dante’s influence on Pound, in turn leading one to
wonder what Dylan would have been without Dante, however little he may
have seriously read the Italian poet.
Eliot’s influence on Dylan is similarly strong; lyrical resonances between
the earlier quoted “Desolation Row” and the poetry of T.S. Eliot, most nota-
bly The Love Song of J. Alfred Prufrock and The Waste Land, are often cited as
an especially strong proof of Eliot’s influence on Dylan’s lyrical work (Grey,
2008: 206-7). The influence of Dante on Eliot is abundantly evident in nu-
merous of his essays, including one in which Eliot declares that Dante is “the
8. This is not at all to say that there is no reason for identifying specific passages of literature
that are reshaped and reused by Dylan, when such identifications are possible. There do
seem to be occasions when Dylan practically has the page of a book opened in front of
him while writing certain lines. Richard Thomas points out a series of such resonances,
beginning with the identification of an unquestionable citation in “Lonesome Day Blues”
of the Aeneid, lines 6.851-6.853 (in Mandelbaum’s translation), and moving well beyond
that, identifying specific resonances with the likes of Twain and a relatively minor Japanese
war novel (Thomas, 2007).
Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century” Dante e l’arte 6, 2019 21
most universal of poets in the modern languages” (Eliot, 1932: 200). Dante’s
influence is equally evident in Eliot’s poetry. To name two noteworthy in-
stances in which Dante is directly quoted by T.S. Eliot within a poetic con-
text, he opened The Love Song of J. Alfred Prufrock with two tercets from
Purgatorio XXI (Eliot 1963: 3-7), and he dedicated The Waste Land to Ezra
Pound with a quote from Purgatorio XXVI (Eliot 1963: 51-76).
Incidentally (or not), on “Theme Time Radio Hour,” a weekly radio show
hosted by Dylan from 2006 to 2009, he once read from The Waste Land, a
work that does not merely open with a citation of the Commedia, but which is
steeped in dantesque language and imagery. Glauco Cambon noted, regarding
both Pound and Eliot, that “Dante […] presides over the literary exordium
of each of these revolutionary exiles in search of a valid tradition, and he was
to remain with them to the very end” (Cambon, 2010: 174). Through them,
Dante would also influence Dylan, who has searched out his own compilation
of traditions through the years.
One could go on to discuss the details of the links between Dante and
Dylan via other American writers, such as Melville, Poe, Twain, and Long-
fellow, and via European writers that we know Dylan read, and who had also
immersed themselves in the work of Dante, including Milton and Leopardi,
but I hope that the fundamental point now sufficiently stands and does not
require further belaboring—at least not for present purposes. Through his
reading of others’ work, including that of Pound and Eliot, Dylan was also
22 Dante e l’arte 6, 2019 Mattew Collins
drawing from the work of Dante—perhaps even more than he may conscious-
ly realize (or care to consider)—and thus this specific Italian poet made his
mark within the sinews of this great American songwriter’s lyrics.
***
It is perfectly possible that the “Italian poet from the thirteenth century” is
Dante. We can be quite confident that this poet born in the thirteenth centu-
ry played a role, directly—and perhaps even more via diffusion—in shaping
the lyrical work of Bob Dylan, who has incorporated many different voices
from many different eras, all the while bridging a gap between the past and
the present, as if the past “was written in my soul, from me to you.” As Dylan
is now officially credited with innovative developments within the tradition
of the great American songbook (however unnecessary that official declaration
is for those who realized this long before such accolades), one may also give a
nod to Dante’s ever-present and ever-widening literary influence for playing
some role in Dylan’s creative process that involves the absorption and re-pres-
entation of all manner of literary sources, many deeply rooted within cultural
traditions that lead directly to the heart of this particular Italian poet’s work,
written in the thirteenth and fourteenth centuries. His words may have even
been the very ones that “glowed like burning coals,” within Dylan’s lyrics.
Works Cited
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Bob Dylan and that “Italian Poet from the Thirteenth Century” Dante e l’arte 6, 2019 23
Marco Berisso
Università di Genova
mberisso@unige.it
https://orcid.org/0000-0002-3104-2057
Riassunto
L’articolo investiga gli espliciti riferimenti alla Commedia dantesca che hanno attraversato
la produzione musicale cosiddetta progressive italiana. L’analisi è centrata soprattutto sui
rapporti tra il testo dantesco e i testi dei dischi presi in esame, cercando di individuare le
dinamiche di riuso dei versi del poema (si va dalla citazione letterale a semplici suggestioni
di tipo strutturale) in un arco temporale che parte dal primo accenno a Dante nel disco
Ut dei New Trolls (1972) per arrivare agli ultimissimi anni (l’ultimo disco di cui si parla, Il
Pozzo dei Giganti dei Cherry Five è del 2015).
Parole chiave: rock progressivo; citazione; attualizzazione; intertestualità.
Abstract
The essay investigates the explicit references to Dante’s Commedia that can be found in
the so-called Italian progressive music production. The analysis is centered above all on
the relationships between Dante’s poem and the lyrics of the musical works examined,
trying to identify the dynamics of reuse of the verses of the poem, from literal quotation
to structure’s suggestions. The period involved in the study starts from the first mention of
Dante in New Trolls’ Ut (1972) since the very latest years.
Key Words: progressive rock; quotation; actualization; intertextuality.
che riguarda la questione del rapporto con Dante: mi riferisco alla monografia
di Fabrizio Galvagni (Galvagni, 2012), in cui appunto ritroviamo un’ampia se-
zione dedicata ai dischi prog italiani. Il volume di Galvagni non esaurisce però
del tutto, mi pare, né il panorama né le possibilità di approccio: in parte per-
ché qualche minima cosa era sfuggita alla sua indagine o, per una banale que-
stione di date, non la si era potuta censire (non era stato ancora pubblicato,
tanto per dire, Purgatorio dei Metamorfosi che chiudeva nel 2016 la riscrittura/
rielaborazione del poema dantesco avviata con l’Inferno più di quarant’anni
prima, nel 1973), in parte perché l’approccio molto appassionato di Galvagni
non tocca però direttamente, se non in maniera episodica, l’effettiva consi-
stenza del nesso tra questa produzione musicale e il testo del poema dantesco.
Le pagine che seguono si propongono dunque due obiettivi conseguenti a
quel che ho appena detto: il primo è quello di integrare le informazioni fornite
da Galvagni; il secondo, e credo il più rilevante, è quello di verificare quanto
effettivo sia il rapporto con Dante, se cioè ci si trova di fronte a autentiche ri-
prese testuali più o meno precise (se non proprio citazioni dirette) dalla Com-
media o se quest’ultima non rappresenti solo un generico richiamo magari di
ordine strutturale o immaginativo senza per questo influenzare effettivamente
la sostanza verbale delle canzoni o la struttura del disco.3
2. Prima di entrare nel discorso specifico, credo sia necessario fornire preli-
minarmente qualche riferimento cronologico relativo al genere di cui stia-
mo parlando e indicare quali siano le sue specifiche caratteristiche (o almeno
quelle comuni alla maggior parte dei musicisti che ad esso sono solitamente
ricondotti).
Come accade sempre per i fenomeni relativi alla musica pop, non solo la
data di nascita del rock progressivo ma addirittura quella della stessa definizio-
ne è oggetto di discussioni annose. Secondo lo storico statunitense Bradley J.
Birzer, il sintagma progressive rock (coniato per analogia con quello progressive
jazz già utilizzato a partire dagli anni Venti dello scorso secolo) si ritroverebbe
per la prima volta (perlomeno negli USA) nel 1968 in un articolo del «Chicago
4. Birzer, 2012.
5. https://en.wikipedia.org/wiki/Progressive_rock#CITEREFMacan1997. L’album dei Caravan
(formazione riconducibile alla cosiddetta Canterbury Scene) venne pubblicato dalla Verve
Forecast (VLP 6011; per le informazioni tecniche si veda la scheda sul database Discogs,
https://www.discogs.com/it/Caravan-Caravan/release/11701362)
6. Un’interessante discussione sull’origine del termine corredata da molti materiali documen-
tari (estratti da articoli di giornale, riproduzioni di volantini e manifesti ecc.) è recuperabile
nel topic dedicato alla questione dal blog “Prog Archives.com” (http://www.progarchives.
com/forum/forum_posts.asp?TID=89567&PN=3).
7. La struttura tipica è quella cosiddetta ISRSRBR, dove I sta per introduzione (di solito stru-
mentale), S per strofa, R per ritornello e B per bridge (ovvero un passaggio che può essere
un intermezzo strumentale, un aumento di tono, uno stacco ecc.).
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 29
alla produzione discografica dei Pink Floyd che spesso prelude ad elementi
che saranno poi ben presenti nel prog (come accade ad esempio nel secondo
lp, quello registrato in studio, del doppio Ummagumma, 1969). Di fatto però,
pur essendo il 1969 l’anno di esordio di molti tra i complessi che diventeranno
centrali nella successiva stagione progressive,8 il disco che viene generalmente
considerato fondativo del genere è In the Court of the Crimson King dei King
Crimson, pubblicato verso la fine di quell’anno per la Island.9 E proprio ba-
sandoci su questo disco possiamo velocemente provare ad elencare le costanti
che appunto possono in qualche modo caratterizzare il prog:
1) espansione dell’organico oltre quello tradizionale del rock (formato di
norma da chitarra ritmica, chitarra solista, basso e batteria a cui talvolta si
aggiungeva un cantante solista), con l’inclusione principalmente di tastiere (in
particolare il mellotron, che è in un certo senso lo strumento per eccellenza del
prog, e sintetizzatori) e fiati (sassofoni, flauti, clarinetti, ecc.) ma spesso anche
di altri strumenti meno usuali (in In the Court of the Crimson King ad esem-
pio si hanno interventi di vibrafono, suonato da Ian McDonald, in Moon-
child): questa strumentazione ha spesso un ruolo centrale nell’esecuzione se
non addirittura nell’immagine, diciamo così, del gruppo (pensiamo al flauto
di Ian Anderson per i Jethro Tull);
2) dilatazione della durata delle singole canzoni che vanno ormai ampia-
mente oltre i tre minuti canonici (nell’esordio dei King Crimson si va del mi-
nimo dei 5’ 40” di I Talk to the Wind al massimo dei 12’ 09” di Moonchild), per
arrivare alle cosiddette “suite”, lunghe composizioni dalla struttura complessa
destinate ad occupare l’intero lato di un disco;10
3) potenziamento delle sezioni solo strumentali rispetto a quelle vocali sino
alla presenza frequente di brani privi di cantato;
4) maggiore complessità delle strutture ritmiche, armoniche e melodi-
che, con la conseguente messa in rilievo dell’abilità strumentale dei singoli
musicisti;
5) testi che abbandonano le tematiche tradizionali (prevalentemente amo-
rose) per indirizzarsi verso una maggiore elaborazione stilistica, col proliferare
di elementi mitici, simbolici, onirici, spesso con riferimenti intertestuali alla
poesia colta (non a caso in In the Court of the Crimson King viene accreditato
8. In quell’anno escono infatti il primo disco dei Genesis (From Genesis to Revelation), dei
Van Der Graaf Generator (The Aerosol Grey Machine) e gli esordi omonimi degli Yes e dei
Renaissance. Esce anche Stand Up (che include la famosa Bourée ripresa da Bach) dei Jethro
Tull, che avevano esordito nel 1968 con This Was. Sempre al 1968 e poi al 1969 datano i
primi due dischi dei Soft Machine.
9. Più precisamente il 10 ottobre (ricorre quindi quest’anno il cinquantennale): scheda in
https://www.discogs.com/it/King-Crimson-In-The-Court-Of-The-Crimson-King-An-
Observation-By-King-Crimson/release/2287669.
10. In Thick as a brick dei Jethro Tull (1972) l’unico brano (pure se diviso in sottosezioni) si
dilata addirittura sino all’intero lp.
30 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
come membro effettivo del gruppo Pete Sinfield, che non era un musicista ma
l’autore delle liriche).11 Questo dato assume un tale rilievo che è assolutamente
normale (a differenza di quanto accadeva in precedenza) che nel package del
disco vengano riportati i testi delle canzoni;
6) attenzione alla confezione del prodotto discografico, sia dal punto di
vista delle copertine (che spesso rappresentano delle vere e proprie esecuzioni
grafiche del contenuto musicale e sono affidate a illustratori che si trasforma-
no in un autentico ‘marchio visivo’ in grado di identificare immediatamente
i singoli gruppi12) che della costruzione dell’oggetto/contenitore (inserimento
di veri e proprio libretti all’interno della copertina, forme anomale della stessa,
ricorso a vinili colorati anziché neri, ecc.).
La musica prog si diffonde quindi a partire dal 1969 e poi, in maniera sempre
più estesa, sino alla metà del decennio successivo, per poi declinare con altret-
tanta velocità e, per un certo periodo, sparire addirittura del tutto o quasi dalla
scena musicale.13 Nella vulgata tradizionale il declino del prog viene di solito
messo in connessione con il sorgere del punk:14 e come tutte le vulgate, anche
questa contiene una parte di spiegazione autentica ed un’altra, molto più
ampia, di semplificazione.15 Più probabilmente erano in qualche modo le carat-
11. In alcuni casi il testo è scritto addirittura in una lingua inventata. Oltre alla parte centrale
del brano The advent of Panurge dei Gentle Giant (da Octopus, 1972), ovviamente inserito a
emulazione dell’episodio congruente del cap. IX del Pantagruel, va ricordato che i brani del
gruppo francese Magma, a partire dal loro primo album omonimo del 1970, sono cantati
quasi sempre in kobaiano, la lingua che si parlerebbe su quel pianeta Kobaïa le cui vicende
sono tema centrale delle loro canzoni Per un minimo approfondimento cfr. il profilo del
gruppo ad opera di Peter Thelen (Thelen, 1995).
12. Ad esempio Paul Whitehead, che disegnerà le copertine di tre dischi dei Genesis (Trespass,
Nursery Cryme e Foxtrot) e di due dei Van Der Graf Generator (H to He: Who Am the Only
One e Pawn Hearts), oltre che di alcuni dischi degli italiani Le Orme, o Roger Dean, che
ha disegnato le copertine di tutti i dischi degli Yes (e di Octopus dei Gentle Giant).
13. Anche in questo caso sono piuttosto significative le date che indicano cambi nelle formazio-
ni originali delle band o addirittura preludono a lunghi periodi di sospensione dell’attività.
Nel 1975 si concludeva il tour in cui i Genesis presentavano The Lamb lies down on Broadway
(uscito l’anno prima) e il cantante Peter Gabriel annunciava l’abbandono del gruppo; nel
1973, dopo l’ambizioso Tales from a topographic ocean, il tastierista Rick Wakeman lasciava
gli Yes; del 1973 è l’ultimo disco propriamente prog dei Gentle Giant, In a glass house; nel
1974, subito dopo la pubblicazione di Red, si sciolgono i King Crimson e nello stesso anno,
conclusa con You la trilogia Radio Gnome Invisible, interrompono la loro attività anche i
Gong. Sempre a partire dal 1974, infine, dopo aver pubblicato il triplo disco dal vivo Wel-
come back, my friends... che ne compendiava in qualche modo l’attività, i tre componenti
degli Emerson, Lake & Palmer iniziavano di fatto la loro carriera solista.
14. Nel 1976 escono il 45 giri Anarchy in the UK dei Sex Pistols e il primo lp dei Ramones.
15. Famoso l’episodio del cantante dei Sex Pistols, Johnny Lydon (noto come Johnny Rotten),
che invitato il 16 luglio 1977 a Capitol Radio per il programma The Punk and His Music
propose agli ascoltatori una scaletta assolutamente inattesa che includeva anche due brani
di Peter Hammill, il cantante dei Van Der Graaf Generator di cui Lydon si dichiarò in
quell’occasione un fan entusiasta. E del resto quell’ampio e rilevante fenomeno che è stato
il post-punk ha sicuramente assunto più di un elemento dalla musica prog (al punto che
Simon Reynolds, autore della più importante monografia su di esso, è arrivato a dire che
«In un certo senso il post-punk era progressive rock, solo drasticamente semplificato e
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 31
teristiche stesse del genere (incluse quelle testuali) a trovarsi spiazzate di fronte
al sorgere di nuovi soggetti sociali che apparirono sulla scena soprattutto euro-
pea a partire dalla metà degli anni Settanta e sino alla fine del decennio. Non
è un caso che l’ultima manifestazione che si potrebbe ricondurre alla stagione
del rock progressivo sia il cosiddetto “Rock in Opposition”16 in cui si assiste al
tentativo di unire alla sperimentazione musicale (fattasi per certi versi ancora
più estrema) tematiche di aperta critica politica. E però, dopo una pausa che
ha attraversato in sostanza tutti gli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta,
il genere ha conosciuto un momento di decisa riemersione a partire dalla fine
del secolo scorso e ancora negli anni Zero-Dieci di questo, riemersione che
tra l’altro appare in buona sostanza sganciata dai gruppi storici (ormai quasi
tutti inattivi) e legata semmai al manifestarsi di sigle di nuova formazione.17
3. Anche le sorti italiane della musica prog hanno seguito più o meno la mede-
sima parabola. I primi dischi abitualmente considerati appartenenti al genere
sono Concerto grosso dei New Trolls, Collage delle Orme e L’uomo degli Osan-
na, pubblicati tutti e tre nel 1971.18 Nel giro di pochissimi anni si moltiplicaro-
no i gruppi e le incisioni, al punto che le caratteristiche del genere finirono per
essere assunte anche da quell’altro fenomeno tipicamente italiano ma appa-
rentemente antitetico, che è stato la musica cantautorale.19 Come anticipavo,
non può stupire, date le caratteristiche del genere, che alcuni gruppi abbiano
finito con l’incrociare in qualche modo la Commedia, da cui hanno derivato
principalmente, come vedremo tra poco, o suggestioni di tipo simbolico e
rinvigorito, con acconciature migliori e una sensibilità più austera»; cfr. Reynolds, 2010,
p. XXI).
16. La definizione deriva dall’omonimo concerto organizzato il 12 marzo 1978 a Londra e a cui
parteciparono cinque gruppi provenienti da altrettante nazioni (gli inglesi Henry Cow, i
belga Univers Zero, i francesi Etron Fou Leloublan, gli svedesi Samla Mammas Manna e gli
italiani Stormy Six). In realtà concerti sotto l’etichetta “Rock in Opposition” (spesso siglato
RIO) sono stati organizzati ancora negli ultimissimi anni (l’ultimo si è tenuto in Francia
dal 14 al 16 settembre 2018: il programma è all’indirizzo http://rockinopposition.rocktime.
org/index.php/en). Per un profilo sintetico del movimento si veda la scheda dedicatagli sul
sito Prog Archives.com (https://www.progarchives.com/subgenre.asp?style=36).
17. Per un quadro generale sul cosiddetto neo-prog cfr. Weigel, 2018, pp. 217-71. Fa eccezione
a quanto detto in precedenza proprio l’Italia, dove negli ultimi dieci/quindici anni non
sono mancate reunion (dagli Osanna al Banco di Mutuo Soccorso, dai Pholas Dactylus ai
Rovescio della Medaglia al Balletto di Bronzo), magari con qualche cambio nei componenti
originari, che hanno spesso portato all’incisione di nuovi dischi persino in questo 2019 (a
maggio è stato pubblicato Transiberiana del Banco di Mutuo Soccorso, a giugno Metafisica
degli Alluminogeni e Hieros Gamos dei Pholas Dactylus ecc.). Imprescindibile, comunque,
per un quadro degli sviluppi del genere in Italia a partire dagli anni Ottanta è Salari, 2018 (si
noti che delle circa trecento pagine di gruppi lì censiti più o meno due terzi sono riservate
a quelli che hanno iniziato la propria carriera musicale proprio negli anni Duemila).
18. Una rilevante documentazione sulla trasformazione che ha portato in Italia la musica beat
della seconda metà degli anni Sessanta alla sua evoluzione verso il prog (spesso con il coin-
volgimento delle medesime formazioni) è in Marino e Bruno, 2015.
19. Sul fenomeno cfr. Pardo, 2017, pp. 26-37.
32 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
Fig. 1 Interno della copertina di Ut dei New Trolls con la citazione dal Convivio.
20. «A perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini d’Italia, che commendano lo vol-
gare altrui e lo loro propio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abominevoli
cagioni. La prima è cechitade di discrezione; la seconda, maliziata escusazione; la terza,
cupidità di vanagloria; la quarta, argomento d’invidia; la quinta e l’ultima, viltà d’animo,
cioè pusillanimità». Galvagni 2012 (p. 58), fa tra l’altro notare come la copertina del disco
presenta non per caso i tre colori della bandiera italiana.
21. Curiosamente, però, il disco prende il titolo dal modo con cui comunemente viene defini-
to il do nella cultura musicale anglosassone (ut, appunto). Sulle non linearissime vicende
dei New Trolls, passati attraverso rimescolamenti di formazioni e creazione di formazioni
parallele, si può vedere la scheda riassuntiva del sito Italian Prog http://www.italianprog.
com/it/a_newtrolls.htm.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 33
Non sorprende allora che in questo disco nato sotto una così visibile impronta
dantesca si possa ritrovare una canzone intitolata Paolo e Francesca. Si tratta di
una ballad per molti aspetti tradizionale, caratterizzata soprattutto dal ricorso
ad una chitarra elettrica (suonata da Nico Di Palo) che grazie all’uso del wah
wah e della leva del tremolo imita, nella coda strumentale, una specie di con-
versazione tra due persone. Il brevissimo testo22 utilizza l’episodio dantesco
come proiezione e parallelo per un’altra storia amorosa contemporanea. Il rin-
vio all’episodio di Paolo e Francesca permette di capire che ciò a cui si allude
nella canzone è un adulterio («Il loro peccato è sospeso su noi») ed è proprio
e solo in questo che si esaurisce nella sostanza il riferimento dantesco (evocato
però esplicitamente nel testo in funzione, diciamo così, autoriale: «La storia
ci dice è stato così»). Infatti, a parte sporadici e neppure sicuri echi lessicali,
nessun elemento connotato del pur memorabile episodio viene trasportato
nella canzone.23
come riferimento per un proprio disco sono stati i The Trip. Italiana in senso
largo, dicevo, perché il gruppo era in realtà formato per metà da musicisti in-
glesi (Billy Gray, chitarra e voce, e Arvid Andersen, basso e voce) e per l’altra
metà italiani (Joe Vescovi, tastiere e voce, e Pino Sinnone, batteria). Dopo l’e-
sordio omonimo nel 1970, i The Trip producono nel 1971 il loro secondo disco
intitolato Caronte. Si tratta di quello che viene definito un concept album, un
disco, cioè, in cui le singole canzoni sono collegate tra loro in maniera narra-
tiva o tematica, spesso con recuperi di un medesimo tema melodico in punti
diversi del disco: una costruzione che, come si capisce, si addice bene alle am-
bizioni ‘operistiche’ della musica prog.24 Nel caso dei The Trip il tema attorno
a cui ruota il disco è appunto la figura di Caronte, traghettatore infernale che
viene però considerato come una sorta di guida (trasformandolo, diciamo
così, in un Virgilio) per affrontare un viaggio verso un aldilà in cui si trovano,
nell’ordine, le anime dannate di due fratelli deceduti in un incidente stradale,
quella di Janis Joplin e quella di Jimi Hendrix, questi due morti entrambi l’an-
no prima e diventati immediatamente figure iconiche della musica e cultura
pop. La costruzione del disco si articola quindi intorno a cinque brani, due
strumentali, posti rispettivamente in apertura e in chiusura e che rielaborano
lo stesso tema musicale come appunto richiesto dalla struttura del concept
(Caronte I e Caronte II), e tre cantati centrali (Two brothers, Little Jeanie e
L’ultima ora e Ode a Jimi Hendrix). La coesione dell’insieme è data appunto
da questa specie di cornice para-narrativa a cui si riferisce anche la nota rimata
interna al disco (scritta in un inglese a dir poco bizzarro) che qui riporto:25
Dear Charon, thank you for the invitation
to look apon a souls damnation.
With us are a chosen few
that we should like to interview.
First the two of steel and leather
that met a violent end together.
Then the tale of Janies parting
that put an end to all her tarting.
And was the dearth of dearest Jimi
brought apon by Micky Finny.
So leave it to imagination
to be the source of your creation.
24. Cfr. Follero, 2009 (in particolare per Caronte cfr. pp. 136-138). Cfr. anche Galvagni, 2012,
pp. 53-54.
25. Inserisco io la punteggiatura ma mantengo tutto il resto alla lettera, incluso l’inaudito
e doppio apon, che mi fa supporre che ci si trovi di fronte alla trascrizione ad opera di
qualcuno con non perfette competenze in inglese di un passo dettato ad alta voce. Per la
comprensione si tenga conto che Micky Finny (in realtà Mickey Finn) indicava in gergo una
bevanda alcolica a cui fosse stata aggiunta una qualche sostanza psicotropa.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 35
I testi, scritti da Gray, sono tutti in inglese (anche quello di L’ultima ora e Ode
a Jimi Hendrix, nonostante il titolo) e non presentano riferimenti evidenti
a Dante. L’unico collegamento palese tra il disco e il poema e quello che ne
giustifica la menzione in queste pagine è legato in sostanza alla copertina del
disco. Su di essa troviamo infatti la rielaborazione di due famose illustrazio-
ni di Gustav Dorè a If. III dedicate appunto a Caronte, la prima relativa ai
vv. 82-84 («Ed ecco verso noi venir per nave / un vecchio, bianco per antico
pelo, / gridando: “Guai a voi, anime prave!”»), la seconda ai vv. 115-116 («simi-
lemente il mal seme d’Adamo / gittansi di quel lito ad una ad una»).
dei testi in rapporto a Dante ha subito nel corso dei decenni, come vedremo,
delle decise trasformazioni.
Partiamo allora da Inferno.30 Il disco si struttura in due suite, una per fac-
ciata, a loro volta articolate rispettivamente in nove e sette parti senza solu-
zione di continuità tra di loro. Il legame tra le due suite è dato (secondo una
procedura usuale all’epoca) dalla ripresa all’inizio del lato B in fade-in del
medesimo motivo musicale su cui si era chiuso in fade-out il lato A (nel caso
specifico, una serie di accordi di organo).31 Questo è l’elenco delle sezioni,
divise per lato:
Lato A Lato B
Introduzione Violenti
Selva Oscura Malebolge
Porta dell’Inferno Sfruttatori
Caronte Razzisti
Spacciatore di Droga Fossa dei Giganti
Terremoto Lucifero (Politicanti)
Limbo Conclusione
Lussuriosi
Avari
Come si può notare, se si bada solo ai “peccati” puniti in questo Inferno riag-
giornato (Spacciatore di Droga, Lussuriosi, Avari, Violenti, Sfruttatori, Razzisti e
Politicanti) e si addizionano le zone propriamente desunte da Dante del Limbo e
di Malebolge si ottiene un numero di ipotetici gironi esattamente corrisponden-
te a quello della Commedia. Allo stesso modo è congruente alla collocazione nel
poema il posizionamento del Pozzo dei Giganti (qui Fossa dei Giganti) prima
dell’ultimo girone. Per il resto, però, la topografia infernale dei Metamorfosi
rielabora quella originaria con estrema libertà: basti pensare al posizionamen-
to di Malebolge e a quello del Limbo, completamente sfalsati. Più aderente,
semmai, la sequenza (pur con inevitabili salti) della serie Lussuriosi, Avari e
Violenti che corrisponde grosso modo a quella originaria (sarebbero i cerchi
II, IV e VII di Dante). Fatti i distinguo necessari e segnalate le incongruenze
(che però sono comprensibili, dato l’approccio ovviamente non filologico
alla fonte), resta comunque evidente la volontà di fornire all’ascoltatore una
mentre al basso suona Leonardo Gallucci e alla batteria Fabio Moresco (in Paradiso Oliveri
è affiancato alle tastiere da Marco Morcacci).
30. Per la scheda tecnica cfr. https://www.discogs.com/it/Metamorfosi-Inferno/release/3816910.
31. Può non essere inutile ricordare che per tutti questi musicisti, perlomeno all’altezza della
loro produzione degli anni Settanta, l’unità base entro cui strutturare il materiale non era
l’intero disco ma il singolo lato in cui il lp in vinile si articolava. Questo comportava, ap-
punto, la necessità di artifici di connessione nei casi, come questo, in cui l’idea da restituire
fosse quella “poematica” di un unico brano (o di una serie strettamente collegata di brani)
che occupasse l’intero disco.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 39
struttura che evochi in maniera più o meno esatta la memoria della Commedia
e allo stesso tempo restituisca, grazie anche all’assenza di fratture nel continu-
um musicale, l’idea di un percorso e quindi, come nel poema, di un viaggio.
Passando alle singole sezioni del disco, ed escludendo le strumentali Selva
Oscura, Terremoto, Limbo e Fossa dei Giganti,32 sono strutturati in forma di
dialogo i testi33 di Lussuriosi e Avari mentre gli altri sono organizzati in forma
monologica come discorsi rivolti direttamente ai dannati di volta in volta
chiamati in causa. Manca di norma ogni descrizione delle pene a cui le anime
dovrebbero essere sottoposte (ad eccezione dei razzisti: «infissis a queste croci /
adesso voi bruciate»), mentre la modalità elocutiva di fondo, ovvero quella
dell’invettiva, finisce col declinarsi spesso nei termini di un moralismo para-
religioso che credo risponda allo spirito del gruppo più ancora che a quello
dei tempi34 e che è, comunque, una quasi inevitabile ricaduta di quella attua-
lizzazione di cui si diceva.
Non sorprende a questo punto che la presenza di espliciti intertesti dalla
Commedia nelle singole liriche sia piuttosto discontinua né che essa si con-
centri soprattutto nei brani non esplicitamente dedicati ai singoli dannati.
Così, se in Introduzione i versi «alberi tristi tendono al cielo / rami corrosi dal
tempo» sono una rielaborazione dell’incipitaria selva oscura dantesca, i due
brevissimi testi di Porta dell’inferno e Caronte sono evidentemente ricalcati sui
corrispettivi passi di If. III.35 Un vago riferimento potrebbe essere recuperato
anche all’inizio di Spacciatore di droga («Ora che imprechi per la rabbia ed
il dolore») visto che il possibile intertesto (penso al v. 26 «parole di dolore,
32. Fossa dei Giganti ha però una evidente funzione di prologo per la sezione successiva, Luci-
fero (Politicanti), visto che al suo interno vengono accennati dal sintetizzatore prima l’inno
nazionale degli Stati Uniti e poi quello dell’Unione Sovietica e che proprio i presidenti di
quelle due nazioni erano, secondo le dichiarazioni di Spitaleri, oggetto di Lucifero («Il nostro
“Inferno” condannava la divisione del mondo in blocchi contrapposti, con il duo dominante
Stati Uniti-Unione Sovietica che decideva i destini del mondo. Proprio in un brano, espli-
citamente, facevamo maciullare i loro leader da Lucifero (allora c’erano Johnson e Nixon
negli Usa e Breznev a Mosca)»: così il cantante nell’intervista rilasciata nel dicembre 2009
alla rivista online «PlanetRock», http://www.pianetarock.it/intervista_006metamorfosi.asp).
33. Tutti tendenzialmente molto brevi.
34. Pur senza voler insistere troppo su questo, va però ricordato che i Frammenti, vale a dire
il nucleo originario da cui scaturirono i Metamorfosi, erano specializzati nel genere delle
cosiddette “messe beat” (si veda la già citata intervista a Spitaleri) e tematiche religiose erano
ben evidenti anche nel primo disco del gruppo ...E fu il sesto giorno (1972).
35. In Porta dell’Inferno, oltre alla ovvia riproposta del famoso v. 9 («Lasciate ogni speranza / o
voi che entrate»), si trova anche un’evidente calco proprio dall’episodio di Caronte («anime
dannate / al caldo e al gelo soffrirete» rinvia evidentemente a III 87: «ne le tenebre etterne in
caldo e ’n gelo»). Altrettanto precisi i recuperi in Caronte, da If. III 109 («Caronte demonio /
occhi di fuoco nel buio») e 85 («E non sperate mai di rivedere il cielo»). Pur mettendo in
conto una certa lessicalizzazione ‘infernale’ non necessariamente da ricondurre a Dante,
segnalo che anche nell’ultimo verso di Caronte («anime nere al fuoco eterno brucerete») si
possono recuperare memorie tanto del «foco etterno» di If. VIII 73 quanto (e soprattutto)
di If. VI 85: «Ei son tra l’anime più nere».
40 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
accenti d’ira») si trova ancora nell’orbita del terzo canto, mentre un accenno
all’episodio di Paolo e Francesca (che, come si vedrà, è il più frequentato
da questi musicisti36) può essere recuperato all’inizio di Lussuriosi («Siamo
dannati insieme») e un ricordo del Flegetonte dantesco nell’avvio di Violenti
(«Rosso scorre il sangue dai sentieri / dov’è fragile la vita»: ma potremmo
trovarci di fronte ad una banale metaforizzazione37). Nessun riferimento di-
retto invece, un po’ sorprendentemente, è dato cogliere in Malebolge,38 mentre
in Lucifero (Politicanti) sono per contro evidenti i richiami ai canti conclusivi
del poema, dall’evocazione di Cocito («Immersi in questo mare / voi gelerete
in eterno») al preciso rinvio a If. XXXIV 55-56 («Da ogne bocca dirompea
co’ denti / un peccatore, a guisa di maciulla») nella descrizione di Lucifero
(«maciulli quei dannati / sfogando la tua rabbia»). Infine in Conclusione tro-
viamo, come era da attendersi, una rielaborazione del verso finale della prima
cantica («E fu così che noi tornammo a riveder le stelle»). Nel complesso,
come si può vedere, i richiami espliciti a Dante vanno a toccare canti e versi
notissimi, secondo un procedimento abituale in questo genere di operazioni
che richiedono in sostanza, per essere condivise, una forma di immediato ri-
conoscimento da parte del loro pubblico. Ha comunque giocato di sicuro un
ruolo centrale in questo senso il fatto che l’Inferno sia la cantica tradizional-
mente più frequentata e memorizzata anche a livello scolastico e dunque la più
immediatamente disponibile alla memoria e all’immaginario degli ascoltatori.
Se passiamo a Paradiso39 (conviene ovviamente seguire l’ordine di pubbli-
cazione degli album piuttosto che quello delle cantiche), possiamo verificare
alcune innovazioni rilevanti rispetto a Inferno già in relazione alla struttura del
disco.40 La prima novità è che le sezioni non sono più strettamente collegate
tra loro in un’unica suite (o in due suite connesse) come nella prima cantica
ma si presentano spesso, più tradizionalmente, come singoli pezzi o, in alter-
nativa, come brevi sequenze autonome,41 ma comunque con una perdita del
36. E non solo: alcuni esempi (da De Andrè, Venditti, Jovanotti) in Galvagni, 2012, pp 89-93.
Più in generale per il rapporto tra Dante e la produzione cantautorale cfr. Francesco Cia-
battoni, Dante and Italy’s Singer-Songwriters, in «Italian Quarterly», 54 (2017), pp. 61-80.
37. Tra parentesi, segnalo che proprio questo brano, in cui si rievoca un omicidio di mafia, è
probabilmente l’unico in cui la procedura di riattualizzazione sia condotta con una certa
efficacia.
38. Altamente improbabile, per quanto invitante, è pensare che in un verso come «buio di una
notte senza fine» possa ritrovarsi traccia del noto avvio di Pg. XVI 1-2: «Buio d’inferno e di
notte privata / d’ogne pianeto».
39. Per la scheda tecnica del disco cfr. https://www.discogs.com/it/Metamorfosi-Paradiso/ma-
ster/1549042.
40. Andrà segnalata, in primo luogo, la novità tecnica del passaggio del supporto dal vinile al
cd, che ovviamente non prevede la spezzatura del materiale musicale in due parti. In questo
caso, però, non mi pare che questo abbia influenzato la composizione (nemmeno per quel
che riguarda la durata, che supera solo di poco i quarantacinque minuti canonici).
41. Ad esempio sugli armonici dell’accordo finale di pianoforte di Sfera di fuoco si innesta
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 41
l’arpeggio sempre di pianoforte iniziale in Cielo della Luna, che a sua volta si conclude con
un accordo di tastiera elettronica da cui prende avvio il pianoforte di Salita a Mercurio (è lo
stesso arpeggio di Cielo della Luna alzato di tono). La continuità evidentemente intenzionale
di questa sequenza prosegue con Cielo di Mercurio, uno strumentale sempre avviato dal pia-
noforte, e lì si interrompe, visto che il successivo Salita a Venere è separato da uno stacco di
silenzio. Collegate risultano anche Cielo di Marte e Cielo di Giove e (meno accentuatamente)
la coppia conclusiva Empireo e La Chiesa delle Stelle.
42. Sono strumentali Cielo di Mercurio, Salita a Venere (questi due subito in successione), Il Sole
e Empireo.
42 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
discorsiva dei singoli canti o gruppi di canti (cercherò tra poco di spiegare
meglio in che senso) che vengono però quasi sempre risemantizzati in chiave
lirico-simbolica.43 È sufficiente in questo senso analizzare le prime composi-
zioni del disco. Partiamo da Sfera di fuoco:
Luce intensa di fuoco
fugge il luogo e va verso la terra,
spegne gli occhi di chi non può vedere,
varca i limiti dell’universo.
Cede il passo la mia natura umana,
si allontana da me:
vola in alto, non so più cosa accade,
la mia vista si illumina.
Come si vede, si tratta di una rielaborazione del passo del canto introduttivo
alla terza cantica (Pd. I 43-93) in cui Dante descrive la sua transumanazione
e l’ascesa al Paradiso. Pur non essendoci un preciso corrispettivo letterale, la
sequenza della fonte è però, seppure un po’ liberamente, ricalcata: il meccani-
smo di raggi luminosi usato come paragone da Dante44 probabilmente incro-
ciato con la prima descrizione del fenomeno fornita da Beatrice,45 l’accenno
alla possibilità di fissare il sole senza perdere la vista, ralizzabile solo in virtù
della peculiare condizione del Paradiso terrestre,46 l’allusione al «trasumanar»47
e, infine, il movimento inconsapevolmente ascensionale48 e la visione totaliz-
zante della luce celeste.49 Naturalmente la versione dei Metamorfosi si carica
di evidenti per quanto elementari significati simbolici (ad esempio nel contra-
sto tra «chi non può vedere» e «la mia vista si illumina») del tutto assenti dal
testo dantesco: ma, nello stesso tempo, la qualità della rielaborazione, evitando
la riattualizzazione perseguita nel primo disco, configura in maniera molto più
decisa il testo come una vera e propria riscrittura.
43. Fa eccezione Introduzione, in cui i versi di Pd. I 1-9 sono esattamente trasposti. Di nuovo
ci troviamo di fronte ad una scelta speculare rispetto a quella messa in atto in Inferno: là
infatti l’Introduzione era un testo sostanzialmente privo di raccordo con quello di Dante
e cantato, qui invece si tratta di una citazione letterale eseguita da una voce recitante, a
marcare con forza il distacco con i testi che seguiranno.
44. Pd. I 49-51: «E sì come secondo raggio suole / uscir del primo e risalire in suso, / pur come
pelegrin che tornar vuole».
45. Pd. I 91-93: «Tu non sè in terra, sì come tu credi; / ma folgore, fuggendo il proprio sito, /
non corse come tu ch’ad esso riedi».
46. Pd. I 54-57: «e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. / Molto è licito là, che qui non lece / a le
nostre virtù, mercé del loco / fatto per proprio de l’umana spece».
47. Pd. I 70-71: «Trasumanar significar per verba / non si poria [...]».
48. Pd. I 91: «Tu non sè in terra, sì come tu credi».
49. Pd. I 58-63: «Io nol soffersi molto, né sì poco, / ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, / com’
ferro che bogliente esce del foco; / e di sùbito parve giorno a giorno / essere aggiunto, come
quei che puote / avesse il ciel d’un altro sole addorno» e 79-81: «parvemi tanto allor del cielo
acceso / de la fiamma del sol, che pioggia o fiume / lago non fece alcun tanto disteso».
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 43
50. Pd. III 10-21: «Quali per vetri trasparenti e tersi, / o ver per acque nitide e tranquille, / non
sì profonde che i fondi sien persi, / tornan d’i nostri visi le postille / debili sì, che perla in
bianca fronte / non vien men forte a le nostre pupille; / tali vid’io più facce a parlar pronte; /
per ch’io dentro a l’error contrario corsi / a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. / Sùbito
sì com’io di lor m’accorsi, / quelle stimando specchiati sembianti, / per veder di cui fosser,
li occhi torsi».
51. Questo varrà ad esempio nel riferimento all’«umiltà» se è da collegare, come ritengo, alla
condizione claustrale di Piccarda e Costanza.
52. Non sarà un caso che il noto tratto dei canti X-XIV, quello dedicato agli spiriti sapienti e
alle biografie di san Francesco e san Domenico (oltre che all’ardua spiegazione teologica
dell’eccezionale sapienza di Salomone), dove militanza e teologia si intersecano indissolu-
bilmente, verrà reso con un brano strumentale (Il Sole, appunto).
44 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
58. Fatta salva la persino ovvia citazione «Tu sei Dio che muove il cielo e l’altre stelle».
59. I brani in più della versione in CD sono Negligenti, Porta del Purgatorio, La Chiesa e l’Im-
pero, Accidiosi, La Femmina Balba, Paradiso terrestre, Beatrice. Per le due schede tecniche
cfr. https://www.discogs.com/it/Metamorfosi-Purgatorio/release/9161746 e https://www.
discogs.com/it/Metamorfosi-Purgatorio/release/9161679.
46 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
l’Aquila (a parte Catone, Angelo Nocchiero e Il Carro e l’Aquila sono tutti brani
aggiunti nell’edizione ampliata). L’elemento più innovativo, comunque, note-
vole già sin dal primo scorrere l’elenco dei titoli, è che per la prima volta i Me-
tamorfosi rispettano alla lettera la successione narrativa del poema: non solo
ma, come vedremo tra poco, seguono anche con una certa fedeltà la sostanza
degli episodi (con un distacco più percepibile in E rinnovato volo, comprensi-
bile però se se ne valuta appunto la collocazione conclusiva) e, spesso, la stessa
lettera dei canti. Manca, insomma, ogni tipo di riattualizzazione, com’era in
Inferno, o di rilettura lirica, come in Paradiso, e sembra questa volta che sia
proprio il racconto di Dante in quanto tale ad aver attratto il gruppo romano.
Entrando più nel dettaglio, andrà intanto segnalato che come già in Para-
diso anche in questo terzo disco il brano introduttivo (Eco degli Inferi: il titolo
dipende dal fatto che viene ripresa la stessa melodia di Conclusione del primo
disco) si caratterizza per l’uso della voce recitante che legge i versi di inizio
cantica (qui Pg. I 1-12): la connessione musicale (con Inferno) e strutturale
(con Paradiso) è tale quindi da compattare in un insieme l’intera trilogia. A
questo prologo segue Catone che si caratterizza rispetto alle strategie testuali
utilizzate nei precedenti dischi in maniera molto netta:
«Chi siete voi, anime evase dalla prigione eterna?
Chi vi ha condotto fuori dalla profonda notte inferna?
Ahi, son le leggi dell’abisso o pur del cielo
che le mie porte a voi dannati chiudere non devo?»
60. Qualcosa di simile, dicevo, accadeva anche in Lussuriosi e in Avari di Inferno, ma in quei casi la
seconda strofa rappresentava comunque un intervento autoriale, non una vera e propria bat-
tuta dialogica come qui. Da notare che in Catone il dialogo è marcato anche a livello musicale
col contrasto tra una prima parte fortemente ritmata, basata principalmente su basso, batte-
ria, piano elettrico e hammond e un cantato caratterizzato da una emissione vocale decisa-
mente sostenuta, ed una seconda in cui la base ritmica sparisce completamente e rimangono
solo i sintetizzatori, mentre la voce questa volta è tenuta su una timbrica molto più modulata.
61. Questo non valeva ovviamente per Inferno, dove come ho detto accanto alle innovazioni
estranee alla Commedia si registrano esclusivamente riferimenti a canti e versi che possiamo
dire appartenere all’enciclopedia diffusa, e neppure in Paradiso, dove il riferimento dantesco
non era quasi mai necessario per una comprensione compiuta dei testi.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 47
c) pur essendo del tutto fedele all’episodio dantesco (mi riferisco ovvia-
mente a Pg. I 40-108) e riprendendone talvolta alcuni sintagmi caratteristici,62
il testo non è un calco di esso ma ne rappresenta una rielaborazione;
d) manca del tutto ogni possibile riferimento ad una voce autoriale o di
commento.
Questi quattro elementi uniti comportano appunto quella forte novità di
impostazione che anticipavo poco sopra e che appare più o meno costante in
quasi tutti i testi di Purgatorio. In particolare l’assenza di una voce identificabi-
le con quella dell'autore determinerà nel seguito del disco una sovrapposizione
tra l’io narrante e Dante che era presente in maniera solo molto episodica nei
due dischi precedenti (visto che in Paradiso tale sovrapposizione avveniva a
scapito di un’aderenza alla struttura originaria dell’ipotesto). Questo è subito
evidente nel brano successivo, Angelo nocchiero:
Misteriose stelle, mare immobile
il cielo immenso su di noi:
fuori dalla nebbia un vascello di anime,
nocchiero è un angelo.
Incredulo io, incredulo,
dopo l’inferno io incredulo.
I due versi iniziali riprendono i primissimi elementi paesaggistici su cui Dante
indugiava a Pg. I 13-27, se le «misteriose stelle» sono, come suppongo, le «quat-
tro stelle / non viste mai fuor ch’a la prima gente» (Pg. I 23-24) che il viator
si trova a contemplare appena uscito dall’Inferno. Seguono altri due versi che
pure se privi di richiami letterali rinviano evidentemente all’episodio dell’arri-
vo della nave guidata dall’angelo in Pg. II 13-51. I due versi finali rappresenta-
no invece un’aggiunta originale ma tutt’altro che incongrua se consideriamo
che tutta questa sezione incipitaria (che, come ricordo, è anche musicalmente
collegata senza soluzione di continuità) ha la funzione di veicolare il racconto
e l’ascoltatore dal clima infernale a quello del secondo regno. Il dato è ancora
più evidente con il terzo brano, Negligenti, che in realtà questa volta condensa
con estrema libertà un ampio gruppo di canti:
62. Derivano direttamente dal canto l’attacco «Chi siete voi» (Pg. I 40) e il sintagma «prigione
eterna» (Pg. I 41) del primo verso, l’intero secondo verso (che è un collage sintetico di tes-
sere prelevate da Pg. I 43-45), il sintagma «son le leggi dell’abisso» (Pg. I 46) e la ravvicinata
menzione del «cielo» (che sintetizza in una parola Pg. I 47) del terzo verso, mentre il quarto
verso è una rielaborazione più libera che però deriva da Dante (Pg. I 48) almeno l’attacco
in «che» e la menzione dei «dannati», nonché «le mie porte» che ormeggia in assonanza «le
mie grotte» originario. La seconda strofa si limita invece a rimaneggiare la sostanza della
risposta di Virgilio senza riprese puntuali (vv. 52-84), ma con un interessante salto in avanti,
visto che l’avvio di essa ricalca senza dubbio Pg. VII 22-23: «Per tutt’i cerchi del dolente
regno / [...] son io di qua venuto». Segnalo infine che la presenza di alcuni arcaicismi come
«Ahi» e «lo dolente» (peraltro non prelevati direttamente dalla Commedia) connotano evi-
dentemente ancora di più l’operazione in senso, diciamo così, mimeticamente dantesco.
48 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
Si copre di silenzio
la valle dei potenti
la testa di un serpente
e poi due angeli dal cielo
impugnano due spade fiammeggianti.
Se infatti «rifugge nella selva» è evidentemente costruito su «fuggì ’l serpente»
di VIII 107, la «valle dei potenti» è l’equivalente della «picciola vallea» di VIII
98 e i «due angeli dal cielo» sono i due «astor celesti» che scendono a VIII
104-5 per cacciare il serpente. Proprio l’allusione agli sparvieri avrà poi vei-
colato ai vv. 3-5 della prima strofa la memoria del sogno dell’aquila in Pg. IX
28-30 che appunto «[...] mi parea che [...] / terribil come folgor discendesse, /
e me rapisse suso infino al foco». Insomma, in La Mala Striscia il racconto dei
Metamorfosi è davvero e per la prima volta il racconto del poema dantesco,
anche se con le ovvie e inevitabili scorciature e adattamenti che il trasferimen-
to ad altra forma comporta. E quasi a siglare l’avvenuto raccordo, la voce di
Spitaleri chiude il pezzo recitando le terzine di Pg. VIII 52-57.64 Altrettanto
63. Nel Purgatorio infatti, come si ricorderà, c’è una successione tra le quattro stelle che si
vedono all’alba e le tre che si vedono al tramonto (cfr. Pg. VIII 88-93). Se si concede
un’annotazione a margine, sorprende che i Metamorfosi non abbiano attinto ad un episo-
dio come quello dell’incontro con Casella che si prestava bene a proiezioni, diciamo così,
meta-musicali. Ma questo si spiega forse proprio con quella ‘oggettivazione’ dell’io nel
personaggio-Dante di cui dicevo poco prima.
64. Questa riproposta della recitazione diretta dei versi danteschi è un’altra novità di Purgatorio.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 49
interessante in questo senso è La Femmina Balba, per cui ancora una volta è
ben preciso l’aggancio dantesco (qui a Pg. XIX 1-33):
E sotto il cielo di Maggior Fortuna,
malferma sulle gambe, monca e pallida,
parla di sé la strega dei peccati.
Balba è la sua parola e seducente incanta
e gli occhi del poeta la dipingono
dolce sirena gravida di inganni:
di melodie d’amore incanta gli uomini.
65. Si va da «Maggior Fortuna» (in Dante al v. 4), qui risemantizzato, alla descrizione della
femmina balba come «malferma sulle gambe, monca e pallida» che riprende i vv. 8-9 dan-
teschi: «ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, / con le man monche, e di colore scialba»,
a «dolce sirena» (Pg. XIX 19 «“Io son”, cantava, “io son dolce serena”») ecc.
50 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
la prima volta una reale trasposizione della parola dantesca nel sistema musi-
cale; e i Metamorfosi, nel loro tragitto decennale dentro la Commedia, partiti
dall’idea di una riattualizzazione del poema arrivano così a concretizzare, quasi
all’estremo opposto, il progetto di una sua riproposta fedele, riscoprendo così,
magari, e sia detto per chiudere con questo paragrafo, in cosa davvero consista
l’attualità di Dante.
Frenante costruiscono pure loro un disco a tema in cui però non c’è focalizza-
zione su un episodio preciso del poema ma, come indica già il titolo del disco,
viene ripreso l’elemento del viaggio (non necessariamente ultraterreno, come
vedremo) e lo si utilizza come cornice in cui immettere episodi solo molto
sporadicamente implicati con Dante.76
Partiamo comunque da Il Bacio della Medusa. Questa la lista delle tracce.77
Preludio: il Trapasso
Confessione d’un Amante
La Bestia ed il Delirio
Recitativo: è nel Buio che Risplendono le Stelle
Ricordi del Supplizio
Nostalgia Pentimento e Rabbia
Sudorazione a Freddo sotto il Chiaro di Luna
Melencolia
E Fu allora che dalle Fiamme mi Sorprese una Calda Brezza Celeste
Nosce Te Ipsum: La Bestia Ringhia in Noi
Corale per Messa da Requiem
Epilogo: Conclusione della Discesa agl’Inferi d’un Giovane Amante
Non pochi i brani interamente strumentali, cinque su dodici (La Bestia e il
Delirio, Sudorazione e Freddo sotto il Chiaro di Luna, Nosce Te Ipsum: la Be-
stia Ringhia in Noi e Epilogo: Conclusione della Discesa agl’Inferi d’un Giovane
Amante), brani ai quali è peraltro affidata come si può vedere la conclusione
del disco. Nell’insieme, comunque, le canzoni nel loro complesso risultano
tutte collegate tra loro senza soluzione di continuità, riprendendo dunque
dalla tradizione prog anche l’impianto della suite.
Al centro del disco, come dicevo, c’è l’episodio infernale di Francesca da
Rimini che ne il gruppo decide di affrontare dalla parte, diciamo così, di
Paolo, che diventa quindi l’io narrante. Il racconto prende avvio dalla sua
morte (Preludio: il Trapasso), passa poi a raccontare il famigerato episodio del
bacio, articolato però come fosse un ricordo78 rievocato in un’anticipazio-
ne di atmosfera infernale (Confessione d’un Amante). Dopo il primo brano
strumentale si apre una sorta di parentesi lirico-meditativa per voce recita-
79. Ne sono sufficiente indizio le frequenti elisioni negli articoli, nelle preposizioni, articolate o
meno, nelle forme verbali ecc. (sin dal titolo del disco: agl’Inferi, d’un; e poi sollevar, muovon,
gl’inferi, gl’alberi, tormentar, infin, amar e così via), il lessico sempre virato su sinonimi ‘alti’
e letterari (solo nei primi due brani si registrano giace, arde, volgo, meriggio, ferro - a indicare
l’arma dell’omicidio -, spelonche ecc.), il profluvio di maiuscole inserite allo scopo di rendere
emblematici alcuni sostantivi (Carne, Bestia, Amore ecc.).
80. Ma è ben dannunziano (seppure non della Francesca), per tornare a quel che dicevo, che
l’incontro amoroso avvenga appunto nel «meriggio».
81. Del resto il disco si chiude proprio con un effetto di sintetizzatore che imita il vento.
54 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
82. Ad esempio nella già citata intervista a Yastaradio.com: «Lentamente prese vita l’idea di com-
pletare e mettere per inciso il materiale composto molti anni prima, è nato così “Metafora
di un viaggio”, concept album ispirato al poetico viaggio di Dante Alighieri». Quanto alla
valenza “metaforica”, le note interne del cd parlano di «enfatizzazione del viaggio fantasioso
che ognuno di noi vorrebbe percorrere» allo scopo di «fare emergere ciò che il pensiero
umano è in grado di concepire».
83. Per la schede tecnica cfr. https://www.discogs.com/it/Sezione-Frenante-Metafora-Di-Un-
Viaggio-Arditi-Voli-Di-Cervelli-Attenti/release/5973319.
84. Musiche e testi sono accreditati a Sandro Bellemo.
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 55
Pace immaginata
Ombre sconosciute
Mi si attaccano come malattie
Che segnano la mia realtà
Che pena
E prego di non stare più qua
Un corridoio
E mi appare qualche cosa che so
Mi spinge
Cammino perché nel fondo del tunnel
Mi riparerò
Se Viscido ambiente riprende, in un contesto complessivamente molto libero,
almeno una precisa tessera dantesca là dove si dice che le «ombre non hanno
intelletto»86 e dunque restituisce senza ambiguità la natura infernale di ciò
che viene descritto, Pace immaginata integra questa descrizione con una parte
finale in cui il passaggio descritto è evidentemente ricalcato sulla «natural
85. Si pensi a versi come «La vita la morte / lo stress» o a «La materia grigia / non funziona più».
In Note Stonate, per fare un altro esempio, si ritrovano, in successione, l’aulicismo «codesto
giardino di terra», il sintagma di gusto parlato «sacro poltrire» e il solecismo «Aspira in un
futuro migliore»
86. Cfr. appunto If. III 16-18: «Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto / che tu vedrai le genti
dolorose / c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
56 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
burella» che conduce Dante e Virgilio fuori dal primo regno oltremondano
alla fine della cantica (If. XXXIV 94-99 e 127-139). Che l’idea sia proprio
quella di ricalcare la successione delle tre cantiche sembrerebbe confermato
dalla subito successiva Quattro Stelle, in cui gli intertesti danteschi sono effet-
tivamente ben percepibili:
Quattro stelle salutano chi arriva
Quattro virtù che splendono nel buio
Al primo chiarore la fresca rugiada
Che sparsa sull’erba ci bagna il viso
Il giunco ci cinge i fianchi sudati
Tolte saranno le tracce dell’inferno
87. «L’alba vinceva l’ora mattutina / che fuggia innanzi, sì che di lontano / conobbi il tremolar
de la marina. / [...] / Quando noi fummo là ’ve la rugiada / pugna col sole, per essere in
parte / dove, ad orezza, poco si dirada, / ambo le mani in su l’erbetta sparte / soavemente ’l
mio maestro pose: / ond’io, che fui accorto di sua arte, / porsi ver’ lui le guance lagrimose; /
ivi mi fece tutto discoverto / quel color che l’inferno mi nascose. / Venimmo poi in sul lito
diserto, / che mai non vide navicar sue acque / omo, che di tornar sia poscia esperto. / Quivi
mi cinse sì com’altrui piacque».
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 57
88. Se non forse un vago riferimento al passaggio dell’angelo nocchiero che traghetta le anime
penitenti dalla foce del Tevere alle spiagge del purgatorio (Pg. II 94-102) in alcuni versi della
seconda strofa («Da mille anni in attesa / Sulle rive del Lete / In attesa del passo / Sul legno
divino / Che fila silente /Verso sponde sicure»)
58 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
spirituale, più o meno disattesa o ostacolata dalla realtà. E alla fine (o forse
proprio come conseguenza di quanto detto) anche i richiami danteschi effetti-
vi sono in sostanza solo due, quello ovviamente ben visibile (ma ribaltato nella
sua portata) della «candida rosa» e (ma meno sicuro) la possibilità di leggere
dietro il «giardino di terra» un riferimento alla «aiuola che ci fa tanto feroci» di
Pd. XXII 151. E l’intero disco, nonostante le dichiarazioni, risulta in definitiva
fondamentalmente estraneo alla sostanza del poema dantesco (oltre a pagare
pegno ad una scrittura testuale non sempre brillantissima).
tero album. Già la prima sezione, La forza del guerriero, che descrive appun-
to l’incontro con lo svevo, recupera alcuni spunti abbastanza precisi da Pg.
III 106-123:
Sì, io lo vedo già,
occhi azzurri e sguardo fiero,
vede intorno a sé
la forza del guerriero,
qualcosa che non va:
l’ambizione che c’è in lui lo perderà.
Grande è la ferita
e grandi i suoi peccati,
non esiste più il fisico perfetto,
ma lo salverà
nel suo cuore gentilezza ed umiltà.
Sì lo salverà
quello che ha nel cuore,
quel senso di umiltà lo salverà.
Ha l’anima ferita
ed è più doloroso
di quello che deturpa la sua faccia.
La rabbia se ne va,
arriva la speranza,
il dolore che c’è in lui non sente più
e quando scorderà
quell’odio che distrugge
case, vite, mogli, figli, affetti e volontà.
Il ritratto recupera come si vede alcuni tratti memorabili del canto: la bellezza
di Manfredi, le ferite (anche con la precisa indicazione di quella «che deturpa
la sua faccia», con ripresa dunque puntuale del v. 108 «ma l’un de’ cigli un
colpo avea diviso»), la menzione dei «grandi... suoi peccati» che è diretta-
mente debitrice del v. 121 («Orribil furon li peccati miei»), il particolare della
«gentilezza» e quello ribadito dell’«umiltà» che si ricollegano alla richiesta di
perdono pronunciata in punto di morte dal principe svevo. Emerge quindi il
ritratto di un principe-guerriero che trova ancor più precisa definizione nella
seconda sezione, Il tempo del destino, in cui si rievoca in prima persona (pur
senza nominarla esplicitamente) la battaglia di Benevento e la morte in essa
di Manfredi (con un accenno ancora una volta al momento del pentimento:
«qualcuno forse avrà pietà, / qualcuno poi si pentirà»), e nella terza, Terra
rossa, dove si scivola dalla descrizione del campo di battaglia dopo lo scontro
all’allusione alla fine della dinastia sveva («Questa terra è persa ormai, / dis-
solto il sogno di un impero») e ad una sorta di discorso finale che prelude alla
quarta sezione, Un mondo tra noi due. In questa ultima parte, infatti, il testo si
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 61
9. Veniamo ad una possibile sintesi di quello che ho mostrato sin qui. In linea
di massima, si sarà notato come l’approccio alla Commedia dantesca sia, nella
stragrande maggioranza dei casi qui scorsi, condotto all’insegna di una “attua-
lità” di Dante che è preludio, anche, ad una sostanziale indifferenza per il testo
93. Pg. III 142-145: «Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, / revelando a la mia buona Costanza /
come m’hai visto, e anco esto divieto; / ché qui per quei di là molto s’avanza».
94. Non escluderei per l’inizio della canzone («Niente più pastori qui, / non ci sono greggi»)
un vago ricordo dell’«ovil di San Giovanni» di Pd. XVI 25.
62 Dante e l’arte 6, 2019 Marco Berisso
95. Lo stesso ragionamento si potrebbe replicare per il brano Paolo e Francesca dei New Trolls.
96. Con una riflessione aggiuntiva da compiere a partire dal fatto che l’unico brano dei Sezione
Frenante che dialoga effettivamente col testo dantesco sia proprio la purgatoriale Quattro
Stelle e che lo stesso accada con Manfredi dei Cherry Five: non sarà che il secondo regno
oltremondano, nella sua problematica collocazione e nella sua assenza di facili suggestioni
binarie derivabili invece da Inferno e Paradiso (del tipo buio/luce, male/bene, ma anche
corpo/anima, dannazione/beatitudine ecc.), è quello che meno si presta alle semplificazioni
attualizzanti e/o simboliche?
97. «Il tutto, finalmente, può anche riassumersi in una formula quasi epigrammatica, per cui
un Dante “in travestimento” è il contrario giusto di un Dante “in costume”» (Sanguine-
ti,,1989, p. 88). Per una (auto)definizione di «travestimento» in Sanguineti di può vedere la
conversazione con Franco Vazzoler pubblicata in appendice a Vazzoler, 2009 (p. 183-211).
Dante e il prog italiano Dante e l’arte 6, 2019 63
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Dante e l’arte 6, 2019 65-92
Riassunto
La scelta dei tre album danteschi di Metamorfosi, band italiana di rock progressive, risponde
alla necessità di ritrovare un orizzonte interpretativo della Commedia che privilegi l’attualità
socio-culturale e politica italiana ma anche internazionale. Si tratta dell’unica band rock
italiana che abbia fino a oggi prodotto tre album interamente dedicati all’opera di Dante,
uno per ogni cantica e in lingua italiana. L’articolo ne commenta soprattutto i testi per
ritrovarne le corrispondenze o differenze rispetto alla Commedia, con l’intenzione di andare
incontro all’esigenza di far parlare Dante alla società del nostro tempo e proponendo infine
anche degli spunti didattici.
Parole chiave: rock progressive italiano; Divina Commedia; Inferno; Purgatorio; Paradiso.
Abstract
The selection of three Dantean music albums by Metamorfosi, an Italian progressive rock
band, meets the need to rediscover an interpretative horizon of the Comedy hat favors not
only the socio-cultural and political Italian present, but also the international one. It is the
only Italian rock band that has produced three albums entirely dedicated to Dante’s work,
one for each cantica and all of them in Italian. The present study reviews and comments
the lyrics of the songs in order to spot the similarities and differences with respect to the
Comedy. The study proposes also some didactic cues, lying the intention, behind all this,
to make Dante speak to our society today.
Key Words: Italian progressive rock; Divine Comedy; Hell; Purgatory; Paradise.
Inferno
Inferno si presenta come un album autonomo, non semplicemente ricalcato
sulla Commedia, già dal primo brano, che si apre non con “nel mezzo del
cammin”, ma con un recitativo preceduto dal suono di un gong: “Sulle rovine
di antiche città / crescono fiori senza colore. / Alberi tristi tendono al cielo /
rami corrosi dal tempo”. La selva oscura è sostituita da “alberi tristi” e da “fiori
senza colore” che crescono su “antiche città”, un paesaggio che fa pensare alla
rovina dell’umanità; la descrizione della selva è lasciata al secondo pezzo, total-
mente strumentale, in cui si alternano le tastiere e il piano, con ritmi variegati:
“ora sognanti, con effetti che ricordano i sintetizzatori della PFM di Storia di
un minuto; ora concitati e veloci, con partiture che ricordano i Raccomandata
Con Ricevuta Di Ritorno; ora solenni e riflessivi, conditi da lunghi assoli”
(Graziola, 2008).
Il terzo canto dell’Inferno dantesco è racchiuso nei successivi due brani
dell’album: Porta dell’Inferno, che si apre naturalmente con il verso di If. III, 9:
“Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”, ma subito aggiunge: “anime dan-
nate / al caldo e al gelo soffrirete” (Olivieri, Spitaleri, Turbitosi, 2006),4 anti-
cipando le parole di Caronte in If. III, 87. Il rullo della batteria sottolinea il
canto su cui si inseriscono le tastiere che con una cadenza dinamica e senza
interrompere il brano precedente aprono il passaggio al successivo Caronte,
titolo e protagonista del quarto brano, il cui testo ricalca If. III, 109: “Caronte
demonio / occhi di fuoco nel buio / ‘... e non sperate mai di rivedere il cielo, /
anime nere al fuoco eterno brucerete!’ / Caronte demonio”, in cui “brucerete”
non è presente nel testo dantesco ma allude probabilmente ancora alle parole
di Caronte “in caldo e in gelo” di If. III, 87 e naturalmente all’immaginario
collettivo dell’inferno non solo dantesco, ma anche contemporaneo. Le tastie-
re del synth emettono a tratti suoni striduli e ronzanti, probabile riferimento,
quasi onomatopeico, al tormento dato “da mosconi e da vespe” agli “sciaurati,
che mai non fur vivi” di If. III, 64-66. Il brano successivo, senza soluzione di
continuità con il precedente, come in uno zoom che punta sulla schiera delle
anime sulla riva dell’Acheronte e ne ingigantisce una, è dedicato allo Spacciato-
re di droga, primo dei personaggi non danteschi che i Metamorfosi inseriscono
nel loro percorso. Forse riferendosi alle anime “lasse e nude” (If. III, 100) e a
Caronte che “batte col remo qualunque s’adagia” (v. 111), la voce aggressiva di
Spitaleri descrive una scena — stavolta fuori dall’inferno — in cui le vittime
della droga cercano lo spacciatore: “Occhi spenti nel vuoto stan cercando di
te, / larve umane di un mondo privo d’ogni realtà. / Quante volte han soffer-
to per la tua avidità, / ma non è col denaro che ora tu pagherai”, dedicando
questo brano a colui che ha approfittato di una condizione di debolezza altrui
(lasso e nudo) per dare illusioni in cambio di denaro, ma “sei condannato alle
tenebre più dure / e le illusioni che davi non avrai”, allusione alla cosiddetta
legge del contrappasso.
Terminato l’antinferno, si scende dal primo cerchio, Limbo (settimo brano,
preceduto da Terremoto, entrambi strumentali) al secondo, quello dei Lussu-
riosi: “Siamo dannati insieme / soffriamo queste pene / e non ritorneremo
indietro mai. Amanti fummo in vita / del vizio e del piacere / e non ritorne-
remo indietro mai”, canta il coro delle due anime che qui non hanno nome,
ma sono un chiaro riferimento a Paolo e Francesca (“parlerei a quei due che
‘nsieme vanno”, If. V, 74). Il coro duetta poi con Spitaleri che qui, nel ruolo di
Dante, riprende: “Siete dannati insieme / soffrite queste pene / e non ritorne-
rete indietro mai”, creando un’atmosfera leggera in cui “la sovrapposizione di
diverse linee vocali assieme agli arpeggi di tastiera sono gli unici protagonisti
della canzone, che svanisce lentamente tra lievi vocalizzi e si fonde con l’intro-
duzione della successiva Avari” (Graziola, 2008). Il brevissimo brano focalizza
l’attenzione sul personaggio che dice “Non ho mai pregato io, il denaro era il
mio Dio, ed è qui che dovrò pagare” mentre Dante, con la voce di Spitaleri,
gli risponde formando anche qui un duetto, con le stesse parole ma con pro-
nomi in seconda persona.
Lasciati i cerchi degli incontinenti, il percorso dell’album arriva ai Violenti
con riferimento agli omicidi, cioè ai violenti contro il prossimo, nel primo
girone del VII cerchio. Il brano si apre con un accordo di organo seguito da
angoscianti note di sintetizzatore e prosegue poi con brevi e concitati stacchi
di batteria a sottolineare il racconto dell’uomo che “cadde colpito da due
canne mozze / perché ti aveva tradito. / Col sasso in bocca egli fu ritrovato /
dentro quel campo d’arance” in cui si allude chiaramente a un delitto mafioso.
Come in Spacciatore di droga, non si delinea un personaggio dantesco ma si
fa riferimento all’attualità, tanto degli anni ’70 come di questo XXI secolo.
Colpi di grancassa e rintocchi di campana nella seconda parte del brano ac-
compagnano il corteo funebre: “Dopo due giorni, l’intero villaggio / seguì le
ultime esequie. / Lenta una folla cammina / seguendo un altare di morte”, in
cui voci in controcanto a mo’ di canone, il sintetizzatore e la batteria sempre
più veloci sembrano evocare voci e commenti della gente del paese durante il
funerale dell’ucciso.
Un intervento di basso apre senza soluzione di continuità il successivo
Malebolge, breve brano in cui il clavicembalo synth e le tastiere accompagnate
da basso e batteria, mai invadenti, parlano più delle parole, che anche qui
riassumono senza particolari riferimenti al testo quello che potrebbe essere il
canto If. XVIII:
Grande mare di lamenti
di ombre smarrite nel buio
di una notte senza fine
dove si perde l’inganno.
Volti bianchi, sguardi assenti
occhi segnati dall’odio.
Malebolge, Malebolge,
nere prigioni del pianto.
I riferimenti al testo del canto XVIII dell’Inferno sono abbastanza vaghi, in
quanto in If. XVIII, 2 Dante descrive le Malebolge come un luogo “tutto di
70 Dante e l’arte 6, 2019 Rosa Affatato
6. http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/06/18/AR2009061803877.
html.
7. In un’intervista del dicembre 2009, Jimmy Spitaleri spiega: “In quegli anni le coscienze erano
sconvolte in particolare per quello che succedeva in un piccolo Paese del Sud est asiatico.
Dalla fine degli anni ‘60 la guerra del Vietnam fece indignare milioni di persone, con i
tanti ragazzi americani arruolati a forza per andare a combattere una guerra sbagliata, con le
rivolte degli studenti da Berkeley a Parigi, a Roma e l›emergere di un nuovo protagonismo
dei cittadini. Poi c›erano stati altri avvenimenti: l’invasione sovietica della Cecoslovacchia di
Dubcek, la guerra continua in Medio Oriente. Il nostro “Inferno” condannava la divisione
del mondo in blocchi contrapposti, con il duo dominante Stati Uniti-Unione Sovietica che
decideva i destini del mondo. Proprio in un brano, esplicitamente, facevamo maciullare
i loro leader da Lucifero (allora c’erano Johnson e Nixon negli Usa e Breznev a Mosca)”
(Ghidotti, 2009).
72 Dante e l’arte 6, 2019 Rosa Affatato
sangue / pensando al nostro Inferno”, così come era diventato “gelato e fioco”
anche Dante nel v. 22 alla vista di Dite.8
La Conclusione lascia forse un barlume di speranza: “...E fu così che noi
tornammo / a riveder le stelle” sono le uniche parole del brano, per il resto
strumentale, in cui le tastiere ripetono lo stesso giro più volte, accompagnate
dal ritmo marziale della batteria che chiude l’album con un’inquietante nota
tenuta del synth. “Non si è trattato di ripercorrere tutta la cantica; ovviamen-
te abbiamo fatto delle scelte, e una è stata rimettere poco ai testi e molto
alla musica, aggiungendo delle forme di peccato che sono ancora attuali” ha
commentato Enrico Olivieri nell’intervista telefonica. Conclude J. Martin che
“Inferno è da considerarsi un monolite del Prog italiano per classe compositiva,
strumentale e tecnica” (Martin, 2007).
Paradiso
Nel 1974, poco tempo dopo l’uscita di Inferno, il gruppo si scioglie per mo-
tivi interni ed esterni: il fallimento della casa discografica Vedette, che aveva
prodotto i due precedenti lavori del gruppo, l’uscita dal gruppo da parte del
batterista e del bassista, il cambiamento di rotta delle case discografiche che
determinò l’avanzata di cantautori e solisti nel panorama musicale italiano
tra fine anni ‘70 e gli ’80 a discapito delle band. “Gli assassini della musica
fecero bene il loro lavoro”, commenta J. Spitaleri in un’intervista riportata
nel booklet dell’edizione 2019 di Paradiso (Metamorfosi, 2019, p. 8). Nel 1995
però Spitaleri e Olivieri riprendono il progetto dantesco e si rimettono al
lavoro per l’uscita di Paradiso, che sarà pubblicato nel 2004. Appariva infatti
più congeniale agli autori, spiega ancora Olivieri, affrontare la terza cantica
piuttosto che la seconda come progetto in continuità con Inferno, nella pro-
spettiva di una ricerca di equilibrio tra gli opposti, come sottolinea anche
G. Bellachioma, fondatore della rivista Prog Italia e dell’etichetta discografica
Progressivamente: “[In questo album] si parla in modo poetico ma duro […],
non si nascondono i problemi legati all’abuso di religioni, ideologie e bassezze
umane: [ma] non si perde mai la speranza del cambiamento, da cercare anche
attraverso una lotta umana e culturale” (Bellachioma, 2019, p. 2).
L’album, che si avvale di nuovi componenti del gruppo, il batterista Fabio
Moresco e il bassista Leonardo Gallucci, ai quali si aggiunge il giovane ta-
stierista Marco Maracci in qualità di ospite, riscuote molto successo tra gli
appassionati, diventando presto quasi introvabile.9
8. Per quanto riguarda le grandi potenze rappresentate nell’Inferno del rock, si rimanda al saggio
di Silvia Trenta, in questo stesso volume, su Dante e l’heavy metal e al nostro già citato
(Affatato, 2016).
9. Di Inferno si sono invece moltiplicate le edizioni, tra cui anche una in CD, fino a rag-
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 73
giungere, tra il 1973 e il 2013, ben 10 versioni ufficiali e 3 non ufficiali (cfr. il sito Discogs:
https://www.discogs.com/it/artist/1214432-Metamorfosi). Di Paradiso si contano invece due
edizioni, nel 2006 e una recentissima nel 2019; ne è attesa un’altra in vinile, secondo quanto
affermato da Olivieri nell’intervista telefonica. Di Purgatorio, finora, sono state pubblicate
le versioni in LP e in CD del 2016, con l’etichetta Cramps Records e la distribuzione Sony
Music Entertainment.
10. Ringraziamo Enrico Olivieri che ha personalmente fornito i testi originali sia di Paradiso,
sia di Purgatorio, ai quali si fa riferimento da ora in poi.
74 Dante e l’arte 6, 2019 Rosa Affatato
Cielo di Giove è un rock incisivo, con ritmi incalzanti marcati dal basso
che fa da protagonista in un animato assolo in cui si cita anche la bachiana
Pastorale n. 147. La figura dell’aquila che occupa tutto il XVIII canto del Para-
diso è qui descritta come “un’aquila sola” che “vola alta nel cielo / Ha fame di
giustizia, cecherà con quegli artigli possenti / La vista degli ingiusti ed il fuoco
accenderà”, versi in cui emerge il contrasto tra “cecherà” (accecare) e “vista”
riferendosi ancora, evidentemente, alla giustizia divina e alla vista dell’aquila
formata dalle “innumerabili faville” dei beati in Pd. XVIII, 100-108: “innu-
merabili faville / […] resurger parver quindi più di mille / luci e salir, qual
assai e qual poco, / […] e quïetata ciascuna in suo loco, / la testa e ’l collo
d’un’aguglia vidi / rappresentare a quel distinto foco”.
Un forte accordo termina questo brano e apre Cielo di Saturno, dedicato
agli spiriti meditativi, “Uomini soli che hanno amato la vita / Rinunciando
per sempre alla potenza del verbo / Per raggiungere vette di emozione infinita”
ma si scaglia anche contro i reati (tra cui forse si intravede la pedofilia) degli
“uomini di chiesa”, per i quali scatta inaspettatamente la condanna finale dei
beati:
E del tuo sorriso che ne è stato, mia Dea
Si è spento nell’anima di un uomo di chiesa
E che ha rubato e mentito nella vita terrena
E si leva dai beati la condanna divina:
Sia dannata! Sia dannata! Sia dannaaaaaata!
Questa potentissima chiusura musicale e verbale del brano può lasciare per-
plessi perché, dice Olivieri, “i beati si ribellano: il Paradiso non è tutto rose e
fiori. Quel ‘Sia dannata’ è rivolto a tutto il sistema, è la voce degli esclusi dal
Paradiso”; ma è anche una parafrasi attualizzata della conclusione del canto
XXI del Paradiso in cui Dante, proprio nel cielo di Saturno, si scaglia ancora
una volta contro la corruzione della Chiesa attraverso l’ira di Pier Damiano,
confermata dal “grido di sì alto suono” e dal “tuono” che emettono i beati al
termine delle parole del santo: “A questa voce vid’ io più fiammelle / di grado
in grado scendere e girarsi, / […] e fero un grido di sì alto suono, / che non
potrebbe qui assomigliarsi: / né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono”. (Pd. XXI,
136-142). La prospettiva degli autori dei testi, come ha spiegato Enrico Olivieri
nella conversazione avuta con chi scrive, è quella di un osservatore esterno,
“un paradiso visto con gli occhi di chi ne sta fuori”. Non ci si immedesima
in Dante, dunque, ma si guarda al suo viaggio come un osservatore, un terzo
personaggio; e riferendoci alla distinzione proposta da Juan Varela-Portas sui
quattro viaggi della Commedia,12 si può affermare che questo album rappre-
senta uno dei possibili viaggi del lettore del Paradiso nel secolo XXI.
12. “Parliamo abitualmente nelle nostre lezioni dei quattro viaggi della Commedia: il viaggio di
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 77
I tre ultimi brani dell’album, Stelle fisse, Empireo e La chiesa delle stelle
brillano, è il caso di dirlo, per l’impianto melodico che impegna la band in un
dialogo finale con il testo dantesco. Stelle fisse comincia con “Fine del viaggio,
la luce è con noi, / la voglia di vincere davanti agli occhi tuoi, / la fame di
conoscere la verità / e il coraggio di vivere senza falsità” che potrebbero essere
le parole del Dante personaggio con un’allusione alla “fame di conoscere”
e al “coraggio” dell’Ulisse di If. XXVI che segue “virtute e canoscenza”, ma
qui senza falsità e senza frode. Per tutta risposta, l’ascoltatore-lettore esorta
Dante: “raccontaci degli angeli che in cielo incontrerai / e del trionfo della
Madre semenza dell’umanità”, chiara allusione alla preghiera di san Bernardo
in Pd. XXXIII, uno dei brani forse più conosciuti della Commedia. A chiusura
del brano si può leggere un’auto-citazione del nome del gruppo:13 “di questa
Metamorfosi il cielo canterà / e nuova luce si farà”, quasi a sottolineare che
evoluzione e cambiamento sono processi necessari per arrivare alla “nuova
luce” di cui si parla nel brano musicale.
Empireo è un brano strumentale in cui perdersi per più di 6 minuti, du-
rante i quali si dà spazio inizialmente a un assolo di piano, poi ai diversi
strumenti che, come personaggi dell’ultimo cielo del Paradiso, dialogano tra
loro in brevi frasi musicali per terminare insieme, come in una cerimonia li-
turgica, riprendendo il motivo iniziale. L’ultimo brano, La chiesa delle stelle, è
la conclusione di questa proposta di lettura del Paradiso, in cui si dice che “la
Divina Commedia è finita”:
Alla fine sono qui nella chiesa delle stelle,
come un fiume il suo respiro, l’inventore nel mistero [...].
Alla fine ogni cosa è compiuta,
dall’eterno gelo dell’Inferno al Paradiso,
la Divina Commedia è finita
e da questa chiesa tra le stelle pregherò.
E qui rinascerò, e poi mi sveglierò in un mondo nuovo
e nudo sotto un cielo nero io ritornerò
e rinascerò, qui, qui, qui ritornerò
e rinascerò, oh, oh, rinascerò.
Dante sognato o Dante visionato (nella tradizione Dante agens), il viaggio di ritorno cogli
‘affetti sani’ (Pd. XXXIII, 34-36), il viaggio della scrittura che compie Dante visionario, [...]
come personaggio-scrittore (narratore intradiegetico) [...]. E infine il viaggio del lettore
che deve seguire le tracce sia di Dante visionato che di Dante visionario, provando anche
lui una esperienza gnoseologica che gli permette di perfezionarsi” (Varela-Portas, 2014, p.
339, ad loc.).
13. Una delle domande che abbiamo rivolto a Enrico Olivieri è stata se il nome Metamorfosi
avesse a che fare con questi tre album; ha risposto che la scelta del nome è stata del tutto
fortuita, addirittura lasciata all’apertura casuale di un dizionario di italiano; ma in seguito
è diventata la definizione più calzante per la band, nel segno del loro percorso musicale e
personale.
78 Dante e l’arte 6, 2019 Rosa Affatato
Purgatorio
La Divina Commedia di Metamorfosi non era però affatto finita. Purgatorio,
il terzo album della trilogia, che ha visto la luce nel 2014, dieci anni dopo
Paradiso e circa 40 anni dopo Inferno, segna il completamento del progetto
della band con un lavoro che evidenzia una ancora più accurata ricerca di
riferimenti rispetto a Paradiso, oltre che di attualizzazione e interpretazione
della seconda cantica. Un titolo coraggioso, come ha spiegato Olivieri, perché
un album di rock prog intitolato Purgatorio poteva sembrare eccessivamente
“colto” o eccessivamente “religioso”, ma che segna la crescita del gruppo sia
per il livello musicale, sia per quello dei testi, quasi interamente scritti da Oli-
vieri, che ha raccontato di aver letto il Pugatorio ogni giorno per due anni, dal
2012 al 2014, per ben cinque volte. “È la fine di un percorso che ritorna dal
Paradiso verso l’uomo, esprimendo lo stato dell’essere umano che può sperare
di raggiungere un proprio risultato ma a costo di impegno e di errori. Noi
siamo quelli del Purgatorio”, ha commentato.
Anche questo terzo album contiene un bel numero di brani, ben 17, densi
di riferimenti testuali alla seconda cantica. Dopo un altro lungo intervallo tra
un album e l’altro, è cambiato qualcosa sia negli strumenti, che ora sono elet-
tronici, sia nella musica, ma senza influenzare lo stile della band: “è come fare
14. Nell’album dal vivo La chiesa delle stelle (2011) viene ripreso tutto Paradiso con l’aggiunta di
altre 3 tracce dall’album ...E fu il sesto giorno. L’album è stato registrato nel concerto tenuto
dalla band nella chiesa di santa Galla a Roma il 20 dicembre 2004 utilizzando l’organo
originale a trazione meccanica in dotazione alla chiesa, “uno dei pochi al mondo ancora
funzionanti”, spiega Olivieri, che lo ha suonato in quell’occasione.
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 79
canto successivo, tra Dante e Guido del Duca che descrive gli abitanti della
valle dell’Arno come porci (quelli dell’alto Casentino), cani ringhiosi (gli Are-
tini) e lupi (i Fiorentini) di Pg. XIV, 42-54.
Il successivo Iracondi è un brano breve e chiaro sul libero arbitrio, di cui
riportiamo una strofa: “Libera scelta per sbagliare / libera scelta per soffrire /
facile preda dell’ingenuità. / Semplice come una fanciulla / che non sa nulla
della vita / l’anima ignora falso e verità”. Qui Olivieri riesce a riprendere quasi
letteralmente, seppur sintetizzando, il passo di Pg. XVI, 88-93 in cui Marco
Lombardo spiega a Dante proprio il libero arbitrio e di cui si riportano qui
alcuni versi: “l’anima semplicetta che sa nulla, / […] Di picciol bene in pria
sente sapore; / quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, / se guida o fren non
torce suo amore”.
Anche il successivo e brevissimo La Chiesa e l’Impero riprende il canto
XVI nel già citato discorso di Marco Lombardo che parla dei “due soli [...]
che l’una e l’altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo” (vv. 106-108),
teoria che si ritrova nel Monarchia.15 Il discorso del personaggio dantesco viene
parafrasato così: “La guida della Chiesa / la forza dell’Impero / governano la
volontà dell’uomo. / Due soli che ci guidano / due strade parallele / conduco-
no alla meta e mai si incontrano”, triste conclusione che, sottolineata dal ritmo
finale serrato e marziale della batteria, non riguarda solo Dante, ma allude
al contrasto tra legge morale e potere, richiamando l’ultimo brano di Inferno.
Segue Accidiosi, un breve ma notevole brano in ritmo ternario, forse al-
lusione al ritmo della terzina dantesca: “Corrono in fretta le anime / verso la
“grande salita” / seguono il cerchio e soffrono / come non mai nella vita / per
giungere all’unica meta”. Il ritmo sottolinea la corsa “in fretta”, allusione alla
schiera, divisa in due, degli accidiosi di Pg. XVIII, 97-98: “correndo / si movea
tutta quella turba magna” che corre lungo il cerchio. Ci pare comunque in-
teressante lo spunto di interpretazione che si dà della corsa, sia attribuendo
alle anime, oltre che a Dante e Virgilio, la ricerca della “grande salita”, sia con
la destinazione della corsa verso un’“unica meta”, evidentemente paradisiaca,
sottolineata dal clavicembalo synth con cui termina il brano.
Il seguente, lento e fortemente evocativo La femmina balba, che Olivieri
ha spiegato essere stato tra i brani additati come troppo “intellettuali”, specie
per il titolo, è a nostro parere una delle più riuscite attualizzazioni del passo
dantesco, nel richiamo alla futilità dei “percorsi delle genti” allettate da “inutili
proposte” della cupidigia (ne riportiamo alcuni passi in parallelo con il testo
del Purgatorio dantesco):
15. Cfr. Monarchia: “Propter quod opus fuit homini duplici directivo secundum duplicem
finem: scilicet summo Pontifice, qui secundum revelata humanum genus perduceret ad
vitam ecternam, et Imperatore, qui secundum phylosophica documenta genus humanum
ad temporalem felicitatem dirigeret” (Mn III, XV, 10; Alighieri, 1985, p. 144).
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 83
mito di re Mida a proposito dell’avarizia (che Dante cita in Pg. XX, 106) rende
esplicito il parallelismo tra il nome della band e le Metamorfosi di Ovidio,
denotando l’attenzione anche alle fonti della Commedia. Il brano, con un an-
damento parallelo ai canti XIX e XX del Purgatorio dantesco, si conclude con
la declamazione della terzina inziale di Pg. XX accompagnata dal tenue inter-
vento di basso e tastiera: “Contra miglior voler voler mal pugna; / onde contra
’l piacer mio, per piacerli, / trassi de l’acqua non sazia la spugna”. (Pg. XX, 1-3).
Golosi è il successivo rock vigoroso che descrive la schiera di anime di Pg.
XXIII. Tastiere e basso dialogano potentemente tra loro, a sottolineare, in
un testo pregnante, gli aggettivi utilizzati: “finti”, “buia”, “bieca”, “ingorde”,
“senza pietà” “oscene”, turpi”, che rimarcano l’asperità delle pene purgatoriali
in misura non minore di quelle infernali. Proponiamo il parallelo con le ter-
zine dantesche di riferimento:
Come anelli senza gemme cavi gli Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
occhi volgono a noi palida ne la faccia, e tanto scema
Volti pallidi ed evanescenti, branco di che da l’ossa la pelle s’informava
finti eroi (Pg. XXIII, 22-24).
Pelle che si informa dalle ossa ruba la
Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
dignità.
chi nel viso de li uomini legge ’omo’
Schiave di una buia mente, spinte da
ben avria quivi conosciuta l’emme
una bieca follia
(vv. 31-33).
furono le fauci ingorde, cibo, vino e
vana allegria
l’oste porta adesso il conto, pagheranno
la cecità,
di colpe senza pietà.
Omo, leggo sul tuo viso, ma tu chi sei?
Omo, volto sfigurato, sono qui
punito, tu mi ricorderai
Frasi oscene, turpi insulti, dialoghi fra noi,
di serate dissolute eravamo noi gli eroi.
Anche l’incontro con Forese Donati (che Dante non riconosce; “Mai non
l’avrei riconosciuto al viso”, v. 48) è attualizzato con la riflessione sulla perdita
di identità dell’uomo (“Omo, leggo sul tuo viso, ma chi sei?”) a causa dell’in-
gordigia non solo di “cibo, vino e vana allegria” come dice il testo di Olivieri,
ma anche a causa della sete di potere e di denaro che anche in questo brano,
come nel precedente, richiama l’allegoria della la lupa, la cupidigia, che ferma
Dante nell’ascesa al colle nel primo canto dell’Inferno.
L’introduzione di Lussuriosi è aperta dalla batteria di Fabio Moresco che,
a ritmo incalzante, sottolinea la dinamica di andata e ritorno del movimento
delle anime: “Si incontrano, si baciano, / Si abbracciano e poi fuggono, /
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 85
Conclusione
Possiamo solo in parte condividere l’opinione di Ciabattoni, secondo cui
“These songs by New Trolls and Metamorfosi, however, display only a mode-
rate level of textual elaboration” (Ciabattoni, 2017, p. 64), giudizio formulato
16. Nell’album, il coro è quello della sezione laziale della onlus A.IT.A. (Associazioni Italiane
Afasici) di cui E. Olivieri è direttore (cfr. Metamorfosi (2014). Purgatorio. Booklet, quarta
di copertina, s/p).
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 87
manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna” (Cv II,
i, 3; Alighieri, 1980, p. 65 ss.). Nelle canzoni di Metamorfosi si riconosce un
transfert che dalla parola dantesca (“favola”) porta all’immagine rappresentata
allegoricamente (“bella menzogna”), come per esempio nel caso dei violenti
danteschi, “allegoria” dei mafiosi nell’album Inferno, o degli avari danteschi,
“allegoria” del mondo finanziario nell’album Purgatorio; da queste immagini si
giunge al concetto (“veritade”), e cioè che la violenza e la cupidigia affliggono
la società contemporanea come quella del tempo di Dante. Il senso morale si
ritrova nel messaggio di carattere etico (la riflessione, per esempio, sulla ne-
cessità di non sottostare alla mafia o di fare buon uso del denaro) che si può
evincere complessivamente da ogni brano degli album. Per quanto riguarda
il significato anagogico, cioè quello spirituale: “Lo quarto senso si chiama
anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una
scrittura, la quale ancora [che sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose
significate significa delle superne cose dell’etternal gloria” (Cv II, i, 6; Alighie-
ri, 1980, p. 67), esso si evince sia dai brani già citati, sia da altri come Lucife-
ro (politicanti), nel quale all’incontro con “lo ‘mperador del doloroso regno”
viene applicato un significato non tanto spirituale, quanto più genericamente
universale, rilevando una tipologia di comportamento (quello dei “politican-
ti”, personaggi che dovrebbero impegnarsi per il bene comune) che porta,
anziché al bene, al male — in questo caso non solo ultraterreno — per se stessi
e per l’umanità intera: “E mi si gela il sangue / pensando al nostro Inferno”. A
nostro parere tale impostazione si può ricavare da quanto G. C. Pantalei scrive
nel suo volume Poesia in forma di rock a proposito del simbolismo dantesco
nella musica angloamericana:18
Quel che tuttavia maggiormente influisce sugli artisti è senza dubbio l’i-
nesauribile immaginario dantesco, il cui complesso allegorico e ricolmo di
fantasia diventa vertiginosa fonte di ispirazione anche a più di sette secoli di
distanza e in tutt’altri contesti sociali e politici [….]. È possibile affermare
che l’immaginario dantesco sia sopravvissuto proprio perché rifunzionaliz-
zato da culture sensibili al medesimo simbolismo, anche dopo un lasso di
tempo così ampio (Pantalei, 2016, p. 151).
Un’occhiata va indirizzata anche alle immagini sulle copertine dei CD, niente
affatto scontate: quella di Inferno, sulle tonalità del blu e del bianco, rap-
presenta i dannati nel lago di ghiaccio, e non nella classica rappresentazione
dell’inferno di fuoco (fig. 1); quella di Paradiso, in grigio-azzurro con la sti-
lizzazione dei cieli danteschi e un’aquila bianca sovrapposta in trasparenza, fa
riferimento sia alla visione medievale dell’ultimo regno, sia alla speranza di
giustizia di cui si è parlato in Cielo di Giove (fig. 2); quella di Purgatorio, sulle
18. Il passaggio che riportiamo si riferisce alle ispirazioni tratte soprattutto dall’Inferno, ma
riteniamo di poterlo estendere al lavoro di Metamorfosi in tutti e tre gli album.
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 89
tonalità del rosa e dell’arancio, ricorda l’aurora purgatoriale del secondo canto,
con la raffigurazione di un’anima malinconicamente pensierosa sulla riva del
mare, mentre l’angelo nocchiero arriva a prenderla (fig. 3).
Il nome stesso del gruppo fa da filo conduttore lungo tre livelli di me-
tamorfosi: quella impossibile di chi ha danneggiato la vita degli altri, come
in Inferno (gli spacciatori di droga, i politicanti, i razzisti e i violenti); quella
compiuta, in Paradiso, che fa emergere un appello a unirsi per poter rendere
possibili gli obiettivi di libertà e giustizia proposti dall’aquila in Cielo di Giove;
quella possibile, in Purgatorio, di quelli che potremmo chiamare i peggiori
esempi della società (gli iracondi, gli accidiosi, gli avari e i prodighi) per i quali
è però concepibile una svolta che può avvenire attraverso un percorso di cam-
biamento e quindi di metamorfosi. La conclusione musicale di Paradiso con
organo liturgico, del cui suono Dante parla in Pg. IX, 144 e Pd. XVII, 44 (cfr.
Ciabattoni, 2015; Cappuccio, 2007) chiude l’album in tonalità minore, quasi a
indicare che se il viaggio dantesco è terminato, quello del lettore / ascoltatore è
appena incominciato, ed è quello, parafrasando Olivieri, di cercare e difendere
un paradiso umano, sulla terra, attraversando l’inferno senza farsene coinvol-
gere e lottando nel purgatorio quotidiano consapevoli che “siamo per sempre
coinvolti”, come direbbe Fabrizio De André,19 nell’agire sociale.
Nel corso del colloquio telefonico con Olivieri si è parlato anche del valo-
re didattico della loro opera nella prospettiva di un maggiore avvicinamento
degli adolescenti alla Divina Commedia. La band ha infatti proposto a Roma
alcuni concerti dedicati alle scuole, riscuotendo molto interesse non solo da
parte degli alunni ma anche degli insegnanti. Ascoltare questi tre album du-
rante una lezione di letteratura costituirebbe infatti un ottimo spunto per un
percorso didattico sulla Divina Commedia per “incuriosire i più giovani e,
quindi, spingerli a leggere il Classico; dall’altro, rendere pop la divulgazione
della Comedìa dantesca, grazie al codice espressivo musicale” (Gargano, 2018,
p. 3). Accostando la lettura del poema all’ascolto di opere come quelle di
Metamorfosi, si potrebbero impostare lezioni di “cooperative learning” coin-
volgendo gli alunni sia in gruppi di lavoro tra di loro, sia in interazione con
l’insegnante. Si potrebbe chiedere ai ragazzi di creare una sorta di nuovo com-
mento, nato dallo stimolo impresso dalla musica alle esperienze di ciascuno
di loro, con l’intenzione di “riportare la divulgazione dell’opera di Dante […]
tra la gente […], così come fu, a ben guardare, già nel XIV secolo” (Gargano,
2018, p. 1). “Nelle parole di Dante c’è una magia che non mi aspettavo di tro-
vare” ha concluso Olivieri, confermando l’attualità della lettura e dello studio
del capolavoro dantesco.20
19. Ci riferiamo alla Canzone del maggio nell’album già citato Storia di un impiegato (1973).
20. Il testo della Divina Commedia si intende tratto dall’edizione di A. M. Chiavacci Leonardi
riportata in bibliografia.
90 Dante e l’arte 6, 2019 Rosa Affatato
Figura 1: Inferno.
Figura 2: Paradiso.
Figura 3: Purgatorio.
Prog italiano e orizzonti interpretativi della Commedia Dante e l’arte 6, 2019 91
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John’s Classic Rock. Rock progressivo italiano: http://classikrock.blogspot.com/
PianetaRock: http://www.pianetarock.it/
Progressivamente: https://www.progressivamente.com/
Truemetal: http://www.truemetal.it/
Dante on line: https://www.danteonline.it/italiano/home_ita.asp
Dante e l’arte 6, 2019 93-104
Abstract
This essay seeks to investigate the peculiar and undoubtedly intense relationship between
Dante’s Inferno and Kurt Cobain, lead songwriter to Grunge arguably most famous band,
Nirvana, and main spokesman of the so-called «Generation X» at the beginning of the
90s in the Western Culture. Clues leading to Dante›s first Cantica could be surprisingly
found within all the records published by Nirvana, from Bleach (1989) to In Utero (1993),
revealing an interesting cross section about the interpretation and the adaptation of Dante›s
imaginarium in the United States and both a definitely enhanced picture of Kurt Cobain›s
artistic legacy and an exploration of the reading of the poem by the Western youth at the
end of the last Century. Precise and fatal references to the XIIIth Canto concludes the
survey, donating all the human depth beyond this intersection between Grunge era and
Italian Middle Ages.
Key Words: Dante; Inferno; Kurt Cobain; Grunge; Nirvana; XIIIth Canto.
Riassunto
Questo saggio cerca di indagare il particolare e indubbiamente intenso rapporto tra l’Infer-
no di Dante e Kurt Cobain, cantautore di Grunge, probabilmente il gruppo più famoso,
i Nirvana, e portavoce principale della cosiddetta “Generation X” all’inizio degli anni ‘90
nella cultura occidentale. Gli indizi che conducono alla prima Cantica di Dante potrebbero
essere sorprendentemente trovati in tutti i dischi pubblicati dai Nirvana, da Bleach (1989) a
In Utero (1993), rivelando un’interessante sezione trasversale sull’interpretazione e l’adatta-
mento dell’immaginario dantesco negli Stati Uniti e sia un quadro decisamente migliorato
dell’eredità artistica di Kurt Cobain, sia un’esplorazione della lettura della poesia da parte
dei giovani occidentali alla fine del secolo scorso. Precisi e fatali riferimenti al XIII Canto
concludono l’indagine, donando tutta la profondità umana al di là di questa intersezione
tra l’era Grunge e il Medioevo italiano.
Parole chiave: Dante; Inferno; Kurt Cobain; Grunge; Nirvana; Canto XIII.
D ante’s Inferno was one of Kurt Cobain’s favourite books and he managed
to hide footprints that lead to the Divine Comedy behind all of the three
albums that Nirvana published, Bleach (1989), Nevermind (1991) and In Utero
(1993). These could sound as flamboyant catch phrases, but on the contrary it
is the proper and, of course, quite surprising truth.
As a matter of fact, Grunge, arguably the most relevant American music
phenomenon within the last decade of the 20th Century, expression and sub-
limation of what was commonly named as the “Generation X” after a book
by Douglas Coupland, held in its deepest roots unexpected literary references
and it could be definitely interesting to point out that even before the wide-
ly-known literary infatuation of Eddie Vedder, Chris Cornell, Mark Lanegan,
or Greg Dulli, the most celebrated artist within that creative movement had
already paved the way to walk down that inner route along which offbeat
literature becomes life and offbeat life becomes literature.
Sometimes the sleep of American small-towns produces geniuses and Kurt
Cobain, born in 1967 in Aberdeen, Washington, definitely reacted through
Rock and Roll and especially Punk music to a very difficult family situation,
that forced him to live in dire straits and to face recurring episodes of bullying
that eventually led him to give up his studies at the age of 17 (Cross 2008).
Apparently, nothing could be further from the Italian Middle Ages and its
poetic legacy, but it is exactly during this undeniably tough adolescence that
Cobain started to attend a crucial place for his cultural upbringing, “where he
spent many hours, often when he should have been in school” (Gaar 2009,
245) and where he met the work of Dante Alighieri. This period of home-
lessness, indeed, was frequently filled up with whole days reading books at
the Aberdeen Timberland Library, a peculiar coincidence that brings to the
memory the biographies of authors such as Henry Miller, Sandro Penna, or
George Orwell in his Down and out in Paris and London, for instance. Like
the ones just mentioned, the young musician found a real shelter in his local
library, discovering the works and references that marked his future career
the most. In his own words, drawn by a rare interview about his troubled
boyhood, he said:
I toured the houses of all. After a couple of months I was not the most wel-
come ... and I was in misery. I often slept under a bridge and was also one
of winters most ..., coldest weather memories. A freezing cold. I remember
that walking all day without a goal, and I always ended up in the library.
I spent there so much time, sitting and reading all the time, waiting for
the end of the day. I was proud of me to be able to survive without a job.
(Cobain qtd. in Schnack 2007)
The Grunge Inferno: Dante as read by Kurt Cobain Dante e l’arte 6, 2019 95
On the shelves of the library Kurt Cobain was introduced to the works of
writers that ranges from American poetess Alicia Ostriker and the German
novelist Patrick Süskind, whose best-selling book Perfume: the Story of a Mur-
derer published in 1985 became the main inspiration for a well-known Nirvana
song called Scentless Apprentice (1993), to the most influential countercultural
author within the Beat Generation, that is William S. Burroughs, that became
a real hero for the young artist, who tried in many occasions to get in touch
with the creator of Naked Lunch in time and to set up an artistic fellowship
with him, culminated in a 1993 experimental mix of spoken poetry and free
noise improvisation called The “Priest” They Called Him. Later on in that
same year, Cobain – that never had the chance to meet Burroughs personal-
ly – proposed him to be the main character for the brand new promotional
Nirvana video for the song Heart-Shaped Box, written and treated by Cobain
himself, and then he asked the writer to spend an afternoon together to talk
about poetry, new projects and American cultural underground scene (Bertoz-
zi 2012; Rocha 2014; Farnè 2014). The writer declined the offer to impersonate
the Pope on the Heart-Shaped Box music video, but it would be clear onward
why this video is so important for the bond between Dante and Kurt Cobain.
The vulgar, deranged and almost scatological attitude, typical of Punk music,
holds at the same time the power to show that the most realistic aspects of
the Commedia, certainly present in Dante’s Inferno as the most deplorable
and base instincts of men but for this very reason worthy of being represent-
ed with the function of admonition and with a literary mindset “sublime
and all-encompassing” where “highest and lowest, wisdom and folly, abstract
concept and concrete thing, feeling and event, all have their legitimate place
in it” (Auerbach 1961, 97), possessed the inexhaustible potential to commu-
nicate with the youngest Western generations of the late 20th Century, that
tried to “escape from class” towards “a detachment from the constraints and
anxieties of the whole class racket” (Fussell 1983, 187), feeling too often lost
and abandoned.
The Grunge Inferno: Dante as read by Kurt Cobain Dante e l’arte 6, 2019 97
The frame of the references by now analysed walks along perfectly with the
lyrics and the music in the record, of course, but, above all, it necessarily
leads to some crucial questions in terms of literary success, destiny and tradi-
tion about its relationship with the Sommo Poeta: first of all, how is it possi-
ble that an American small-town boy without a proper education and of no
fixed abode could enter so deeply the reading of a Medieval Italian poet? The
answer gets back to the aforementioned ‘homeless days’ at Aberdeen Public
Library, where Michael Azerrad was capable to retrace the attendance register
related to the young Cobain. From the borrowers register it is definitely sur-
prising to verify the regular presence of Dante, in the form of book, art cata-
logues and also movies, with the film adaptations both called Dante’s Inferno
respectively directed by Henry Otto in 1924 and by Harry Lachman in 1935.
The biographer, in a passage about the above-mentioned garment designed by
Cobain, discloses: “On the front was a reproduction of an engraving of one of
the circles of Hell from Dante’s Inferno, a book Kurt had discovered and fre-
quently read during his days passing the time in the Aberdeen Library” (Azer-
rad 1993, 118). Sometimes, nevertheless, chance takes on the gloomy veinings
of doom and the next clue along this Dantesque path brings straight to the
hopeless last span of the artist.
especially in a very artful chapter of her essay Sexual Personae dealing with the
sexual implications of Sandro Botticelli’s Birth of Venus and Primavera. Taking
a closer look to these passages, the presence of Dante is inevitable:
Because of its enclosed space and atomized placement of figures, I classify
the painting as decadent—the last gasp of Gothicism. The umbrella pine
is Botticelli’s favorite symbol of contracted omnipotent nature, overhan-
ging human thought. In the Primavera the dark grove is an emanation of
Spring’s bulging womb, at the picture’s exact center. Why do we not rejoice
at the promise of fertility? We seem to be in elegy, not pastoral. The spindly
trunks, ashy leaves, and metallic fruit belong to Dante. There is a sunless
sky we cannot reach. The trees are a spiritual stockade. The figures are
separated by invisible barriers. Each is locked in an allegorical cell, oblivious
to the others. (Paglia 1990, 151-2)
In the following verses the debt is even more evident:
Meat-eating orchids forgive no one just yet
Cut myself on angel’s hair and baby’s breath
Broken hymen of Your Highness I’m left black
Throw down your umbilical noose so I can climb right back
About the metaphor – topical within the Western Culture – which connects
the female genitals to the flowers in their blooming, it was Tennesse Williams
to put near each other in American modern Culture the vagina and the or-
chid, as pointed out by Paglia herself who quotes: «All I could see was some-
thing that looked as a dyin’ meat-eating orchid» (Williams qtd. in Paglia, 434).
However, what mostly concerns our debate, strangely linking up Paglia’s
theory and the father of the Italian Literature, is related to the script notes
that Cobain wrote on his diary as cutlines for the creation of the visual score
for the song, that eventually became a seminal video written by Kurt Cobain
himself and directed by Dutch avant-garde film-maker Anton Corbjin. The
short film was also awarded the MTV Best Alternative Video in 1994 and the
Time Magazine included it among “The thirty all-time best music videos”
defining it as “a wise child’s nightmare […] It’s beautiful and it’s terrible”
(Time 2011). The uncanny power of the work is located in an expressionistic
overturning of some among the utmost good figures of the Western tradi-
tion: there is a Pope (or maybe even Jesus himself ) but he is hospitalized on
a deathbed, there is Santa but he is crucified and anorexic, there is a fair little
girl but she is hooded and disguised as a Ku Klux Klan affiliate, dark plastic
crows reverse the white doves of the Holy Spirit. In this monstrous scenery,
the band plays in front of a very peculiar background which faithfully follows
the Forest of the Suicides depicted by Dante in the XIII Canto of the Inferno.
Indeed, among the last pages of Cobain’s Journals, Dante is mentioned
more than once and always referring to the trees made of “words and blood”
100 Dante e l’arte 6, 2019 Giulio Carlo Pantalei
Following the release of In Utero in 1993, we once again hit the road. Using
left-over props from the “Heart Shaped Box” video shoot as set dressing
(our first foray into the world of stage props), we concentrated on working
up a set that spanned the band’s entire career and gave the audience a longer
show than we had done on past tours. (Novoselic qtd. in Nirvana 1996)
It seems clear that the inner meaning behind the choice of that particular
backdrop didn’t restrict to only a scenic purpose, but it rather carried a weight
and a profound symbolic value in the songwriter’s eyes, a value that inevitably
brings to mind the extreme action that Cobain carried out on April 5th, 1994,
as if to say – similarly to what happens in the video – that playing surrounded
by those trees and that forest, metaphorically, was like getting closer, day by
day, gig by gig, to that fatal wood.
For this reason, probably the one and only conclusion to this visceral
human and literary path might dwell within the verses of Dante himself, alive
among those who renounced to the living, at the entrance of the forest, where
a blood-red sky lays darkly upon black withered branches:
102 Dante e l’arte 6, 2019 Giulio Carlo Pantalei
ment by Cobain of the goriest and most macabre passages of the Commedia,
as if Dante had written only a Cantica: the rings of Dante’s Inferno in the first
case, the damned amassed through flames one on each other in the second,
the eerie contrapasso for the suicides in the last. This definitely falls with-
in both an expressionistic reading of the poem in step with the phenic-acid
imaginarium of the first part of the 90s in the US and an American typical
tendency to focus on the Divine Comedy as a horror masterpiece, to such
an extent that the widely-known video games company Commodore 64 and
Electronic Arts published two different action video game adaptations called
Dante’s Inferno respectively in 1986 and 2010, inspired by the canticle but hav-
ing unquestionably very less to do, just to not say anything to do at all, with
the literary value of the original work.
Nevertheless, if the two first tributes paid by Cobain to the Sommo Poeta
could be placed on a same wavelength, the third one, that is the setting retrac-
ing the wood of the self-murderers from Inferno XIII, appears as different due
to a more detailed research and reading of the book and, of course, a deeper
human value. As a matter of fact, even if it should be a task for psycholo-
gists and specialists, it seems that the will to play his last songs in front of
that scenery and the choice of that particular canto is in some way ultimately
connected to the tragic death of the artist, that shot himself in the head some
months later, at the age of 27. If the dark wood was at this point way too long
rooted within his soul and the Inferno had slowly turned into his personal
life, his addiction and the showbusiness around him, his fondness for Dante
was a true and attentive passion that, de facto, went with him throughout his
whole career, from the days when he had no money to the day he became the
spokesman of a whole generation with his songs. To conclude this visceral
journey from Grunge to the Middle Ages, therefore, it would be hyperbolic
and beautiful to create a junction between the final glimpse of the stars taken
by Dante after his trip on the back of Lucifer and the suggestion of a young
American artist of feeling as one with the sun. Like this, a little big Grunge
revolution took place within the modern reception of the Commedia.
104 Dante e l’arte 6, 2019 Giulio Carlo Pantalei
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Dante e l’arte 6, 2019 105-126
Francesco Ciabattoni
Georgetown University
fc237@georgetown.edu
https://orcid.org/0000-0002-4350-9929
Riassunto
Questo saggio indaga i riferimenti letterari e specificamente danteschi nei testi delle canzoni
del cantautore italiano Vinicio Capossela. Il saggio prende in considerazione alcuni romanzi
scritti dal cantautore e i testi delle sue canzoni, in particolare l’album Marinai, profeti e
balene del 2011. Attraverso una ricostruzione dell’interesse letterario di Capossela per Moby
Dick di Herman Melville e Odissea di Omero, il saggio prende spunto dal suggerimento
di Piero Boitani che Melville potrebbe essere stata una lente importante attraverso la quale
Jorge Luis Borges lesse Dante. Capossela sembra aver seguito lo stesso percorso letterario,
arrivando a Dante proprio attraverso Borges, Melville e Omero.
Parole chiave: Dante; pop; folk; musica; canzone; cantautore; Vinicio Capossela; Melville;
Omero; Borges; Boitani; intertestualità.
Abstract
This essay investigates the literary and specifically Dantean references in the song lyrics
of Italian singer-songwriter Vinicio Capossela. The essay takes into consideration some
novels written by the cantautore as well as his song lyrics, especially the 2011 album Mari-
nai, profeti e balene. Through a reconstruction of Capossela’s literary interest in Herman
Melville’s Moby Dick and Homer’s Odyssey, the essay takes a suggestion from Piero Boitani
that Melville might have been an important lens through which Jorge Luis Borges read
Dante. Capossela seems to have followed the same literary path, arriving to Dante precisely
through Borges, Melville and Homer.
Key Words: Dante; pop; folk; music; song; singer-songwriter; Vinicio Capossela; Melville;
Homer; Borges; Boitani; intertextuality.
garou”) e l’umanità delle bestie (“La giraffa di Imola”) e la ricerca del mito
(“Nuove tentazioni di Sant’Antonio” accosta il santo a un novello prometeo),
muovendosi ancora una volta fra tradizione popolare e letteratura. I frequenti
riferimenti alla condizione dei migranti fungono da elemento attualizzante,
alludendo, in “Il povero Cristo”, a Christ in Concrete di Pietro Di Donato.
Sulla stessa lunghezza d’onda, quella cioè del folk revival, mischiato al
riuso letterario, si collocano anche Le canzoni della Cupa (2016), che recupe-
ra la dimensione mitica della terra con l’impiego di vocalità dure e sonorità
tipiche della musica popolare, tamburi, organetti, fisarmoniche. Un album
doppio che sta a metà fra I racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson e la mito-
logia contadina dell’Irpinia, ma che diventa espressione di un sud universale,
un pensiero meridiano memoriale-onirico (in Il paese dei coppoloni “il tempo
dell’accidia meridiana” è anche “il tempo della memoria e del sogno” Capos-
sela 2004: 252) e popolare che passa anche da Carlo Levi e Matteo Salvatore.
Il disco di Capossela si divide in due parti: “polvere” e “ombra”, che evoca
l’oraziano “pulvis et umbra sumus” (Odi IV.7.16, Nuzzo e Gianotti 2009: 296),
espressione della caducità dell’uomo, nell’avvicendarsi delle stagioni, proba-
bilmente non senza l’ombra di Chiedi alla polvere di John Fante, autore caro
a Capossela, poiché “L’accolita dei rancorosi” (Il ballo di San Vito, 1996) si
ispira a La confraternita dell’uva, per la cui edizione einaudiana del 2004 il
cantautore firmò un’introduzione (si veda Fiore 2006).
Anche la prosa dei romanzi di Capossela fa frequente ricorso all’attualizza-
zione di motivi cristiani, alla contaminazione dell’antico con il moderno, alla
rivisitazione e al riadattamento del mito e del classico letterario in un contesto
contemporaneo e preferibilmente “paesano.” Nei suoi libri la struttura narrati-
va appare volontariamente frammentata, in uno sforzo di sollecitare la risposta
emotiva del lettore: “Vorrei che queste pagine si potessero prendere a etto,
sfuse, a capitoli, a ognuno la parte che gli serve, come dal macellaio” (Capos-
sela 2004:6) e la ricerca di conoscenza appare fondata sul fattore emotivo più
che sulla cognitività razionale, come si legge in Non si muore tutte le mattine,
primo romanzo del cantautore: “preferisco rimanere un’impressione, preferisco
le impressioni. Le impressioni emozionano. È inutile conoscere: molto meglio
supporre” (Capossela 2004: 252). La conoscenza, e i mezzi per acquisirla—
aspetti di un’epistemologia che interessarono profondamente Dante—, diven-
gono tematiche centrali in Il paese dei coppoloni, nel quale al recupero del sacro
e del mito è affidato il compito, altissimo, di riportare umanità e ritualità in
un mondo che ha perso tali dimensioni. Ecco allora che affiorano fra le righe
alcune suggestioni dantesche: quando l’anonimo protagonista di Il paese dei
coppoloni, alla ricerca per tutto il romanzo di qualcosa di indefinito ma vitale,
si reca all’oracolo della Totara, il volto e la voce di questa Pizia del meridione
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 109
si manifestano con modalità simili a quelle con cui la voce di San Tommaso
arriva alla mente di Dante nel cielo del sole:
… come i cerchi nell’acqua di stagno si formano, dopo che una pietra
caduta gli scuote il ventre d’abisso, così attorno a quei nodi l’albero s’in-
crespò in cerchi che fecero ridente la bocca e gli occhi vispi comparvero.
(Capossela 2015: 37)
Il passo presenta qualche affinità con l’incipit del quattordicesimo canto del
Paradiso:
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fé sùbito caso
questo ch’io dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso
(Paradiso XIV, 1-6)
Si trovano echi danteschi di varia rilevanza in tutto il romanzo, talvolta com-
misti a disquisizioni dal carattere popolaresco su “’Nfierno” e Paradiso, e sui
peccati capitali di ira, lussuria, gola e “’mmiria”, cioè invidia (Capossela 2015:
233, 253).
Tornando alle canzoni, non ci sorprenderemo più, ormai, che i classici
della letteratura trovino luogo nelle opere di artisti testi folk, rock, pop o come
si voglia definirli, se Richard F. Thomas (2017) ha ravvisato in Bob Dylan un
pantheon di poeti classici e se già quarant’anni fa Julia Kristeva (1980: 36)
aveva compreso che ogni testo è un crocevia di altri testi nei quali “several
utterances, taken from other texts, intersect and neutralize each other.” I can-
tautori, italiani e non, scrivono in una completa libertà di ispirazione, il che
non li vincola ad alcuna tradizione, men che meno a quella letteraria, eppure
talvolta si avvalgono di tecniche di scrittura che sono strettamente lettera-
rie, prelevando, ritagliando, riecheggiando e citando in maniera significativa.
Giorgio Pasquali nel suo famoso saggio “Arte allusiva” circoscriveva alla poesia
colta questo fenomeno:
In poesia culta, dotta io ricerco quelle che da qualche anno in qua non
chiamo più reminiscenze, ma allusioni, e volentieri direi evocazioni e in
certi casi citazioni. Le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imi-
tazioni, il poeta può desiderare che sfuggano al pubblico; le allusioni non
producono l’effetto voluto se non su un lettore che si ricordi chiaramente
del testo cui si riferiscono (Pasquali 1952:11).
Fenomeno che si può tuttavia osservare anche nella scrittura di certe canzoni,
come ho mostrato per i casi di Vecchioni, Guccini, Branduardi, De Grego-
ri, De André e Baglioni (Ciabattoni 2016). È possibilissimo che non tutti
questi cantautori, al momento di scrivere le canzoni nelle quali impiegano
110 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
È invece nell’album del 2011, Marinai, profeti e balene, che possiamo trovare
una più organica influenza dantesca, che si esprime in rielaborazioni di ele-
menti testuali letterari, allusioni, contaminazioni di motivi, idee e immagini.
Due testi soprattutto governano l’ispirazione delle diciannove canzoni di que-
sto doppio LP: da un lato l’Odissea, che fornisce l’ispirazione per i marinai, e
dall’altro Moby Dick, che oltre va oltre i marinai e dà conto anche delle balene.
“Il grande Leviatano” è una messa in musica di “The Ribs and Terrors in the
Whale” di Herman Melville (nella traduzione di Cesare Pavese, Adelphi 1941),
un testo che già Melville stesso associava al canto nel IX capitolo di Moby Dick,
intitolato “Il sermone”, e collegato alla vicenda biblica del profeta Giona. In
Melville, infatti, Padre Mapple intona l’inno, poi seguito dalla congrega alla
quale si rivolge. E per arringare e dirigere la folla, egli grida—come farebbe
l’Ulisse dantesco—ripetutamente: “compagni”, ovvero shipmates nell’originale
inglese, ma se Capossela ha letto la traduzione di Pavese avrà letto, appunto
“compagni”, un termine che lo scrittore e traduttore piemontese avrà scelto
forse proprio con quei versi di If. XXVI in mente: “Io e’ compagni eravam
vecchi e tardi” (106) e “Li miei compagni fec’ io sì aguti” (121). Naturalmente
il sermone di padre Mapple risulta piuttosto anti-ulissiaco, con le sue ammo-
nizioni e gli inviti alla prudenza, tuttavia qualche reminiscenza dantesca si
può scorgere nella menzione del viaggio attraverso Cadice e Gibilterra, e nella
descrizione dell’inferno intravisto nella bocca della balena (“Io vidi spalancarsi
la bocca dell’Inferno / con pene e con dolori d’orrenda privazione / che, solo
chi l’ha provata, sa cos’è in eterno: cadevo nell’abisso della disperazione” Mel-
ville 2009:753). L’ispirazione melvilliana pervade pure “L’Oceano Oilalà”, “La
bianchezza della balena”, “Billy Budd” e “I fuochi fatui”, mentre “Pryntyl” è
tratta da Scandalo negli abissi di Louis-Ferdinand Céline, “Lord Jim” si ispira
all’omonimo romanzo conradiano e “Job” si rifà alla figura biblica di Giobbe.
La seconda parte del doppio LP è invece dedicata principalmente all’Odissea
con titoli come “La lancia del Pelide”, “Vinocolo” (in cui il cantautore si narra
nei panni di Polifemo giocando sull’assonanza tra vino, monocolo e il proprio
nome e l’io narrante—o cantante—si sposta dalla parte dell’“Altro”: a dire “io”
è Polifemo e Ulisse è invece l’ “Altro”, il nemico che lo sconfigge), “Aedo”,
“La Madonna delle Conchiglie”, “Calipso”, “Dimmi Tiresia”, “Nostos” e “Le
sirene”. Dopo marinai e balene, per spiegare il terzo elemento, cioè i profeti—
non a caso posto in mezzo ai primi due—, non basterà invocare Tiresia, pure
protagonista di una delle canzoni dell’album, o le molte istanze di profezia che
pervadono il romanzo di Melville, ma converrà guardare anche a Dante, che si
può considerare, almeno nell’ambito specifico della scrittura di questo album,
il punto di collegamento fra Odisseo e Achab. Quale può essere la relazione
3. “I saw the opening maw of hell, / With endless pains and sorrows there; / Which none but
they that feel can tell / - Oh, I was plunging to despair” (Melville 1993:36)
112 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
fra Melville e Dante? Cosa spinge Capossela a far dialogare fra loro l’Ulisse
di Dante, l’Odisseo di Omero e l’Achab di Melville? I legami fra i tre eroi dei
mari sono stati spiegati con finezza Piero Boitani in un saggio del 2003, rico-
struendo un percorso letterario che passa attraverso la visione di un moderno
Omero, l’aedo visionario non vedente Jorge Luis Borges.
Il geniale scrittore argentino, i cui Nove saggi danteschi sono piuttosto noti ai
lettori italiani, dedicò una poesia anche a Herman Melville, che vi figura come
un moderno Dante, anzi come un moderno Ulisse:
Siempre lo cercó el mar de sus mayores, Sempre lo circuì l’oceano dei suoi avi,
los sajones, que al mar dieron el nombre I Sàssoni, che il mare denominarono
Ruta de la ballena, en que se aúnan Strada della balena, così associando
las dos enormes cosas, la ballena Le due enormi cose, la balena
y los mares que largamente surca. E i mari ch’essa lungamente solca.
Siempre fue suyo el mar. Cuando sus Sempre fu suo il mare. Quando i suoi
ojos [occhi
vieron en alta mar las grandes aguas Videro le infinite acque oceaniche,
ya lo había anhelado y poseído Già le aveva bramate e possedute
en aquel otro mar, que es la Escritura, In quell’altro mare che è la Scrittura.
o en el dintorno de los arquetipos. O nel disegno ideale degli Archètipi.
Hombre, se dio a los mares del planeta Uomo, si consacrò ai mari del pianeta
y a las agotadoras singladuras E alle sfibranti navigazioni,
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 113
Boitani (2003: 27), sulla scorta di Lea Bertani Newman, ci informa che Mel-
ville acquistò una copia della traduzione inglese della Commedia ad opera di
Henry Francis Cary (1772-1844).5 È noto che diverse opere di Melville presen-
tano risonanze dantesche: Pierre, “The Tartarus of Maids,” “The Encantadas”
(Newman 305), quindi un legame diretto fra lo scrittore americano e il poeta
della Commedia è provato, ma certamente la mediazione di Borges, il quale
vedeva Achab come una riproposizione del mito di Ulisse, non andrà sottova-
lutata, poiché come indica ancora Boitani, “Achab… ‘compie’ Ulisse cercando
di portare all’estrema conclusione l’ultima ribellione della sua prefigurazione,
contestando attivamente l’Altrui che ha voluto il naufragio di Ulisse” (Boitani
2003:35-36). A dar prova che anche Capossela ha ripercorso il medesimo cam-
mino letterario con cui Borges porta luce al rapporto Melville-Dante, sono le
parole dello stesso cantautore, raccolte da Daniele Sidonio durante una lezione
tenuta a Ca’ Foscari il 16 Dicembre 2011:
4. J.L. Borges, “Herman Melville” p. 136. Trad. di C. Vian, in J.L. Borges, La moneta di ferro,
pp. 57-58.
5. H. F. Cary (Transl.), The Vision: or, Hell, Purgatory, and Paradise of Dante Alighieri. La copia
appartenuta a Melville dovrebbe essere tuttora nell’archivio privato di William Reese (New
Haven, CT, Newman 305), o almeno lo era nel 1993, data di pubblicazione dell’articolo di
Newman.
114 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
[Achab e Ulisse] sono due figure che quasi arrivano a coincidere. Borges,
per esempio, nei suoi Saggi danteschi, sostiene che Achab è l’Ulisse di
Dante, è l’Ulisse senza il ritorno. Infatti il finale di Moby Dick è simile a
quello del canto XXVI [...] Una lotta titanica e dopo, ‘come altrui piacque’,
il mare si richiude. (Sidonio 2014: 16)
Capossela cita il saggio in cui Borges—chiamando in causa anche Eliot, Ten-
nyson, Andrew Lang e Longfellow—percepisce l’affinità “dell’Ulisse infernale
con l’ altro sventurato capitano: Achab di Moby Dick. Questi, come quegli,
costruisce la propria perdizione a forza di veglie e di coraggio; il tema generale
è lo stesso, la conclusione e identica, le ultime parole sono quasi uguali […]
entrambe le finzioni, alla luce di questo prodigioso giudizio, sono il processo
di un occulto e intricato suicidio” (Borges 2001: 49).
Si potrà poi osservare un’eco dantesca anche nella canzone dedicata a Ti-
resia, figura che sia Dante che Odisseo incontrano nell’aldilà e che già ispirò
i Genesis (“The Cinema Show”, Selling England by the Pound, 1973). Se per
Dante Tiresia era un indovino pagano da collocare nella quarta bolgia accanto
a Anfiarao e Michael Scott, per Omero è invece ancora il profeta che rivela
informazioni preziose a Odisseo. L’interesse di Capossela in “Dimmi Tiresia”
è nel ruolo della conoscenza e dunque qui l’Odisseo cantato in prima persona
da Capossela oscilla fra quello omerico, che scende nell’Ade per parlare con
Tiresia e poi con la propria madre, e quello dantesco, il cui folle ardore di
conoscenza è causa della tragedia che lo inabissa col suo equipaggio. Nell’XI
libro dell’Odissea, il laerziade interroga Tiresia su se e come potrà ritornare a
Itaca, ma è poi Anticlea, la madre di Odisseo, a bere il sangue che la rende
capace di conversare coi vivi e rivelare al figlio notizie di Itaca, Laerte, Tele-
maco, e soprattutto, Penelope. Nella canzone, Odisseo appare invece tortu-
rato da un dubbio più profondo: non solo “Se la donna mia mi aspetta se è
fedele” ma anche se sia meglio “Sapere o non sapere” circa la fedeltà della sua
sposa. Come intuisce bene Trifone Gargano (2018: 51) il verso di Capossela
“Dimmi Tiresia”, che presta poi anche il titolo alla canzone, riprende il passo
omerico in cui Odisseo incalza il profeta per ottenere nuove informazioni
(“‘Τειρεσίη, τὰ μὲν ἄρ που ἐπέκλωσαν θεοὶ αὐτοί. /ἀλλ’ ἄγε μοι τόδε εἰπὲ καὶ
ἀτρεκέως κατάλεξον…’” [“‘Tiresia queste vicende le hanno filate gli dei. / Ma
un’altra cosa ora dimmi e parla sincero…’”] Omero, Odissea XI.139-140) ma
non senza—per il riuso dell’imperativo bisillabo che precede il nome—una
certa reminiscenza del “Vedi Tiresia” (If. XX, 40) col quale Virgilio mostra al
pellegrino l’ombra del greco, declassato a indovino nell’inferno cristiano, ma
riabilitato allo stato profetico da Capossela. E proprio perché profeta, Tiresia
può a buon diritto far parte dell’album Marinai, profeti e balene, che il cantau-
tore ha definito una “Marina Commedia”, di nuovo lasciandosi attrarre dalla
parafrasi del linguaggio dantesco.
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 115
“La lancia del Pelide” applica all’amore la proprietà della mitica arma di Achil-
le, capace di ferire con il primo colpo e di sanare la ferita con il secondo (“Così
sei tu, Mia bella tu / Tu che puoi uccidermi e farmi risorgere”). Anche qui
sarebbe difficile negare una mediazione dantesca, poiché proprio alla lancia
dell’eroe greco il poeta si riferiva nella similitudine del rimbrotto di Virgilio
dopo l’incontro con Mastro Adamo e Sinone:
Una medesma lingua pria mi morse,
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
e poi la medicina mi riporse;
così od’ io che solea far la lancia
d’Achille e del suo padre esser cagione
prima di trista e poi di buona mancia.
(If. XXXI, 1-6)
Vi è poi la ghost track con cui si chiude il disco, intitolata “Le sirene”. Oltre
al possibile riferimento a Pg. XIX, 19-21, essa presenta un verso in cui può
leggersi l’orma di Dante: “perché continuare fino a vecchiezza / fino a stare
male”, sul quale si allunga l’ombra di Ulisse (quello dantesco) e del suo viaggio
intrapreso quando lui e i compagni erano “tardi e lenti”. Ma è senza dubbio
“Nostos” la canzone nella quale i riferimenti danteschi sono più cospicui: la
canzone è costruita intrecciando insieme versi del XXVI canto dell’Inferno
e versi di Omero, con una tecnica da collage che inserisce fra i versi dante-
schi parole originali del cantautore che confermano lo stile deliberatamente
frammentario di una versificazione che ricerca una via quasi mistica (“oltre il
recinto della ragione”) alla “canoscenza”. Ecco il testo della canzone per intero:
116 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
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Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 119
più… per quanto succede nel Mediterraneo e per il periodo che sta viven-
do l’Italia, insomma, questa… A Riace si è sperimentato un modello che
a mio parere tentava di mettere in atto la ‘buona novella,’ no? Cioè, il cui
principio è ‘ama il prossimo tuo come te stesso,’ ed è anche un modello
che è stato negato perché… anche per ragioni… sì, amministrative, ma
anche politiche, attualmente il modello Riace è stato smantellato. Il sin-
daco, Domenico Lucano, è in… è confinato nel paese di fianco, che è una
cosa surreale, no? E noi abbiamo girato lì a Riace questo film, con la regia
di un grande direttore della fotografia, il regista che è Daniele Ciprì, ma
soprattutto avendo come interprete Enrique Irazoqui, che era l’uomo che
a 19 anni nel ’64 interpretò il Cristo del Vangelo Secondo Matteo di Pasolini.
Quello è stato un… un bellissimo incontro.
Francesco: Parlando di Pasolini, Vinicio, mi fai venire in mente il mito e il
sacro… beh, parlando di Pasolini, dopo aver letto Il paese dei coppoloni,
che ha molti temi che risuonano o si incrociano con quelli de Le canzoni
della Cupa, ma pure dell’ultimo album —dico ‘ultimo’ ma in realtà ‘pros-
simo,’ perché ancora non è uscito…
Vinicio: No, esce il 15 di Maggio.
Francesco: Ballate per uomini e bestie. E quale delle due ci canti stasera? Per
uomini o per le bestie?
Vinicio: Uomini, bestie, e poveri Cristiani.
Francesco: E poveri Cristiani! Pensavo a Pasolini e pensavo al titolo, no? Del
Paese dei coppoloni perché forse in qualche modo i Coppoloni sono i poveri
Cristi? Come possiamo metterli in relazione?
Vinicio: Certo, certo, come no. Molto, molto bene. È una relazione che non
avevo pensato ma che capisco ora; it’s a relation that now I understand.
Allora, sì, Coppoloni… perché… tutti questi fatti, c’è una profonda con-
nessione, no? Riace, perché ha ospitato i migranti? Perché è stata svuotata,
no? Ed è uno dei paesi come… gran parte dei paesi dell’interno di tutto
l’Appennino, delle cosiddette “Terre dell’Osso,”… hanno subito tutte la
stessa sorte già profetizzata da Pasolini negli anni ’50/’60, no? Quindi l’e-
stinzione proprio della civiltà contadina, di quel mondo, del mondo dei
mestieri, ed il mondo… anche dell’identità locale, no? Questi paesi sono
stati grandemente svuotati e ora sono quasi in estinzione. E quindi da quel
flusso, da quella evoluzione, da quella anche fine di questa civiltà viene
anche questo libro che è un libro in questi paesi vuoti, che però risuonano
del mito. Ma voglio fare anche un po’ lavorare la nostra interprete
Francesco: Sì, sì, certo, che la mia mente poi fonde…
Vinicio: Ci vorranno quattro ore oggi! Prima che iniziamo anche solo a far la
prima canzone!
Francesco: A che ora ce l’hai l’aereo?
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 121
Vinicio: (ride) Eh, sì. Questa era solo l’introduzione. Ma voglio solo dire
questo: sì, poveri Cristi e coppoloni è vero perché questi mettevano queste
grosse “peasant hat,” no? Era gente da treno, gente da lavoro, gente da
migrazione, gente da macello, come dicevano loro. E questo era un po’
il mondo di mio padre, pieno di mitologie locali, di mitologie paesane,
che io ho cercato di trasporre usando, in maniera anche comica, a volte,
il registro del canto epico. Una cosa così, no? Coppoloni! [Vinicio legge
dal libro] “Gente da macello, gente all’avventura, gente senza istruzione,
gente da battaglia, carne avvezza a patir che dolor non sente, gente da stra-
pazzo, gente da lavoro, gente da portare pane onesto alla sacrosanta casa
e famiglia. Non siamo i Trozzoli, i Berrilli, quelli col cappello. Quelli che
ti fanno levare il cappello, quelli stanno a posti in ogni posto. Noi siamo
coppoloni e basta. Ma la coppola che ci oscura la testa, pure, ci fa prendere
il volo nel cielo.” Non tradurlo perché… (risata)… its sound in Italian, no?
No, però questa cosa delle coppole grosse era una cosa mitologica, sempre
nasceva dalla presa in giro, no? Come si dice ‘presa in giro’?
Ilaria: Make fun of!
Vinicio: Ah, fun of!
Vinicio: Il paese di mio padre aveva di fronte un paese che era più alto, su un
cocuzzolo, no? Siccome stavano molto in alto, tirava vento, tirava molto
più vento, per prenderli in giro dicevano che erano coppoloni perché ave-
vano dei cappelli più, più grossi no? Per difendersi…
Quindi loro non sentivano niente, no? Dentro queste coppole… non capiva-
no niente! Erano oscurati dalla loro coppola, no? Quindi erano diventati
immaginari, no? Immaginavano molto! Non capivano niente, e imma-
ginavano molto. E dicevano che sotto il loro paese, nella rupe, i senni
dell’intelletto (e qua c’è anche Ariosto, eh?) si sviluppavano, crescevano in
forma di mosconi, no? Quindi la rupe ronzava di mosconi e loro, e loro
diventavano… diventavano dotti, diventavano immaginifici, avevano la
conoscenza, ecco. La canoscenza, come la chiama Dante. E gli arrivava per
questi mosconi. Ecco. E finisco con i coppoloni per dire quanto erano
proprio, illuminati, che una volta — questo paese è veramente sopra un
cocuzzolo — una volta arrivò una grande nebbia dalla pianura sotto, e
loro pensavano che era arrivato il mare, e si misero… tutto il paese si buttò
giù dalla rupe con delle barche fatte con le fazzatore, che erano delle cose
dove, quando facevano… scannavano il maiale, lì dentro raccoglievano il
sangue. Quindi erano delle specie di canoe che usavano per far la pasta,
insomma, no? E quindi con queste [suono onomatopeico], e per questo
non c’è neanche più un Cairanese. Sono tutti emigrati in America! Esatto,
esatto. Quindi, tutte queste fesserie sono raccontate in questo libro, però
usando il canto epico, cioè il metro dell’Odissea, dell’Iliade, qualche volta
122 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
anche di Dante, insomma, c’è un lavoro sulla lingua per cercare di passare
dal dialetto, che è irriproducibile sul… sul… tradurlo in canto epico, ecco.
Francesco: Infatti è proprio il registro epico, che pervade alcune delle tue can-
zoni. Magari non tutte, ma alcune, e anche certe pagine dei tuoi libri. Mi
fa pensare al mito, come dicevamo, il mito locale che diventa universale. E
ciò si collega alla dimensione del sacro. Vinicio Capossela, cantautore del
sacro, e anche scrittore del sacro. Mi pare che tu sia alla ricerca delle tante
forme diverse del sacro che affondano le radici in antichi miti e leggende.
Vinicio: Mi interessa la ritualità. Mi interessa la ritualità anche perché è stata
completamente soppiantata, sostituita dalla procedura. Per esempio, per
venire in America c’è una grande procedura, no?
Francesco: Come no!
Vinicio: E quindi… no complimenti, è proprio la procedura, no? Uno poteva,
un tempo c’era la ritualità, no? La fazzatora, è arrivata la nebbia, è il mo-
mento di andare in America… no! Adesso c’è la procedura. E questo è un
cambiamento culturale, no?
Francesco: Certo. Sì.
Vinicio: Allora, questo disco, Ballate per uomini e bestie, attinge molto ai sim-
bolismi del Medioevo, ai bestiari medievali. Soprattutto perché nel me-
dioevo il reale, l’oggettivo, non coincideva col vero. Il vero era metafisico,
inconoscibile. Allora, io credo che l’unico valore che può avere l’esperienza
poetica è quello di riportare questo grado di verità, cioè qualcosa che è
proprio il contrario della realtà oggettiva, no? E quindi, anche sostituire
alla procedura il senso del sacro, della ritualità. Infatti, anche alla Casa
Bianca ci deve essere una procedura però manca la ritualità!
Francesco: Assolutamente!
Vinicio: E poi...se non c’è nessuno della Casa Bianca qua dentro!
Francesco: Non vi faremo nulla, non vi preoccupate! Ma è una perfetta scelta
lessicale: la procedura come opposto della ritualità, perché la procedura è
costituita dai medesimi atti senza però il sacro, senza anima, senza signifi-
cato. E a proposito del sacri, tu parlavi di Dante. Mi chiedo spesso perché,
quando uno scrive romanzi o canzoni che parlano dell’oggi, che sono an-
corate all’attualità, vuole tuttavia tornare indietro ai classici. Perché Dante?
Vinicio: però non direi “tornare indietro” ma “andare avanti!”
Francesco: Giusto.
Vinicio: Salire di piano, no? È come prendere l’ascensore e da lì uno vede
tutto, non sta scendendo nella cantina.
Francesco: “Stairway to heaven”, I guess.
Vinicio: Sì, certo. Forse a quello pensavano. Però tornando al sacro, è un fatto
vero che la cultura popolare ha sempre avuto il senso del sacro, no? E que-
sto è un lavoro sulla cultura popolare. Allo stesso tempo, la letteratura c’ha
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 123
riportato questo, ha sacralizzato il mondo. Per cui c’è per esempio Dante,
che ci da una visione dell’uomo in relazione al sacro ed è una cosa stra-
ordinaria, sempre più straordinaria, in un mondo disabitato dal sacro. E
quando il mondo è disabitato dal sacro, allora interviene… ecco, quando
il mondo è abbandonato dal sacro, interviene Dan Brown.
Francesco: So, you’ve introduced us to hell, I believe. Just kidding. Ma no, io
sono d’accordo certamente.
Vinicio: Vogliamo fare un esempio dell’attualità di Dante? Allora, pensia-
mo al Mediterraneo, no? Pensiamo a questa, a questo meraviglioso Canto
ventiseiesimo, dove Dante descrive proprio questo discorso enorme che fa
Ulisse, “fatti non foste a viver come bruti,” e si passa. Ecco, pensate che
differenza—lì non c’è la procedura! Lì c’è proprio l’andare oltre un limite!
Il fatto proprio di andare alla conoscenza, ma infrangere anche un totale
equilibrio, per cui si finisce per aver superato un limite, si finisce per essere
sommersi dal mare. Secondo me c’è già tutto in questo canto ventiseiesimo
e pensate all’attualità di quel canto, cioè quanti in nome della conoscenza,
della sopravvivenza, tutto quanto, io penso che veramente ognuno che
oggi cerca di attraversare il Mediterraneo è un nuovo Ulisse! Un Ulisse
esattamente come lo descrive Dante.
Francesco: A volte penso che se l’Ulisse dantesco non fosse morto in mare
avrebbe continuato la navigazione verso ovest, “di retro al sol,” e sareb-
be finito nelle maglie della Homeland Security qui … che forse sarebbe
stato comunque un inferno per lui. Scherzo, ovviamente, ma forse lo è per
qualcuno.
Vinicio: No, però è vero! Io ho scelto quella canzone anche perché porta di-
rettamente in America!
Francesco: Si, già, infatti. Se tutto va bene!
Vinicio: Questo era proprio il limite che non bisognava varcare! E allora…
Francesco: Cosa ci canti?
Vinicio: Bene, come a Sanremo dicono, una canzone molto pop, vedrete, si
chiama “Nostos.”
Francesco: Fantastico! Noi cosa facciamo?
Vinicio: Rimanete qua, perché poi…
Francesco: Balliamo?
Vinicio: Non c’è da ballare! Non c’è da… c’è solo proprio da… da…
Francesco: Meglio, sono più a mio agio!
Vinicio: Niente. Questo brano, sentirete, non è molto… non è una canzone
fatta di strofa, ritornello, è un… è una… ho provato diverse volte a met-
tere in musica delle, delle pagine di letteratura. Questa è una citazione di
questo… di questo passaggio, ecco. “Nostos” perché? Perché “Nostos” è
proprio la categoria, no, del... Lei, parli lei del Nostos, no? Lei che è…
124 Dante e l’arte 6, 2019 Francesco Ciabattoni
Vinicio: Ecco, questo era il passaggio che dicevamo. Ora, ora vorrei anche fare
un altro brano. Si chiama “La Lancia del Pelide” perché nel mito niente è
mai affidato al caso. C’è un episodio che ricorda proprio Dante, dice così,
“una medesma lingua pria mi morse, sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
e poi la medicina mi riporse. Così od’io che solea far la lancia d’Achille e
del suo padre esser cagione prima di trista e poi di buona mancia.” Questo
fatto che la, quella lancia che è stata fabbricata dal padre di Achille ha...ha
una caratteristica che, se ti colpisce, ti uccide, ma la stessa lancia con un
secondo colpo può guarire, è la sola cosa che può guarire la ferita che ha
inflitto. È dunque come gli occhi dell’amata.
Vinicio: E così dopo Dan Brown, Tim Burton! Beh, la danza Macabra, di-
ciamo, era un piccolo dono per il nostro professore di dantistica. E ora
possiamo andare avanti nel medioevo. Vi volevo proporre questo esercizio.
O avete delle domande?
Francesco: questa è dal nuovo album vero?
Vinicio: sì, il vecchio nuovo album.
Francesco: Benissimo, non interrompiamo il flusso, vai pure, qualunque cosa
tu voglia fare, noi ti seguiamo. Visto che ci siamo, la danza macabra, le
Livre Vermeil, c’è l’idea della morte che ci insegue. E’ questo uno dei temi
principali del tuo nuovo album?
Vinicio: Sì, beh, ci sono delle categorie che appartengono al medioevo, no? La
Tra Omero e Melville: Vinicio Capossela sulle tracce di Dante Dante e l’arte 6, 2019 125
[Ilaria legge The Ballad of Reading Gaol di Oscar Wilde, quindi Vinicio esegue
“Ballata del carcere di Reading”]
tempo di… Questo è un pezzo da Canzoni della Cupa e... it’s a rural,
rural… un album rurale, ecco. Ci sono un po’ di canzoni che ho estratto
dai sonetti che si usa cantare a Calitri, che è questo piccolo paese dell’alta
Irpinia, this little village of Irpinia, where my father is from. Questo per
esempio lo sentite cantare da una vecchia signora, old woman, parlava
dell’amore di questa, di questa ragazza che si chiama Teodora, per il suo
giovane marito che sta morendo. Arriva una commara e gli dice, “Basta
piangere! Se muore Liberto, ti pigli a Vituccio!” E lei però gli dice, “None,
none, none! È per Liberto la passione!”
Francesco: Questa, decisamente, è una canzone che mostra le radici folk della
tua musica.
Vinicio: Eh, folk roots, yes.
Francesco: Grazie, Vinicio.
Vinicio: Abbiamo finito, o dobbiamo continuare?
Francesco: Come vuoi tu! Io sto anche fino a domani, non è un problema.
Vinicio: Alcohol free?
Francesco: Alcohol free qui dentro, però fuori no.
Vinicio: Ma neanche con un sacchettino? Io…
Francesco: Ecco, forse ’sta cosa del sacchettino sta a fagiolo, infatti. Quindi?
Vinicio: Questa qua è una canzone di Matteo Salvatore, un grande povero
Cristo, che ha scritto, in campo di poveri cristi, il verso sullo sfruttamento
del lavoro più straordinario mai scritto: Padrone mio, ti voglio arricchire.
Questa invece è una canzone d’amore.
Francesco: Grazie a Vinicio! Noi vi ringraziamo, ringraziamo Vinicio e tutta
l’organizzazione, domani, credo di nuovo, al Millennium Stage, con tutta
la band! La band full steam. Che succederà domani, Vinicio?
Vinicio: Non saremo molti di più, la band al completo è di tre persone.
Domani sarà un po’ più breve. Anzi siccome domani non potremo stare
più di un’ora, stasera vi canto ancora una canzone! Questa è ispirata a
Winesburg Ohio, di Sherwood Anderson, un libro meraviglioso che questa
America, alla fine della civiltà contadina e all’alba della civiltà industriale,
dove tutti hanno nomi presi dalla bibbia, grandi solitudini, che mi ricor-
dano il piccolo mondo di Scandiano, da dove c’è anche una mia compagna
qua...
Vinicio: Era un piccolo omaggio, grazie, thank you so much, grazie a tutti!
Francesco: Grazie mille!
Dante e l’arte 6, 2019 127-142
Abstract
The relationship between Dante and Radiohead has been intense and surprisingly enduring
through the years: from the conceptual framework of OK Computer (1997) to the experi-
mentalism of Amnesiac (2001), taking into account the Dolce Stil Novo motifs within In
Rainbows (2007). The survey will try to retrace the imaginarium of the songwriter within
the literary land of the Florentine Poet, exploring the thresholds and paratexts used to con-
vey a modernization of the Commedia. An original interpretation of some among Radiohe-
ad’s most acclaimed works, including 2+2=5 (The Lukewarm - Gli Ignavi) and Pyramid Song,
will reveal the depth -also philogical and intertextual- of this cultural operation that ranges
from the social commitment of the Sommo Poeta to a superhuman journey to Heaven «in
a little rowboat» through a special guide which leads to Love in itself.
Key Words: Dante Alighieri; Radiohead; Thom Yorke; Divina Commedia; Rachel Owen;
English translations of the Divine Comedy.
Riassunto
Il rapporto tra Dante e Radiohead è stato intenso e sorprendentemente duraturo nel corso
degli anni: dal quadro concettuale di OK Computer (1997) allo sperimentalismo di Amnesiac
(2001), tenendo conto dei motivi di Dolce Stil Novo in In Rainbows (2007). L’indagine
cercherà di ripercorrere l’immaginario del cantautore all’interno della terra letteraria del
poeta fiorentino, esplorando le soglie e i paratesti utilizzati per trasmettere una modernizza-
zione della Commedia. Un’originale interpretazione di alcune tra le opere più acclamate di
Radiohead, tra cui 2+2=5 (The Lukewarm - Gli Ignavi) e Pyramid Song, svelerà la profondità
-anche filogica e intertestuale- di questa operazione culturale che spazia dall’impegno sociale
del Sommo Poeta a un sovrumano viaggio verso il Cielo “in una piccola barca a remi”
attraverso una guida speciale che conduce all’Amore in sé.
Parole chiave: Dante Alighieri; Radiohead; Thom Yorke; Divina Commedia; Rachel Owen;
traduzioni in inglese della Divina Commedia.
I f Dante carved out through poetry a new space where everyone can find
“what was, what is and what will be, the history of the Past and the history
of the Future, all the things that I had and I will have, since everything of this
is expecting us in some part of his quiet labyrinth” (Borges 2001, prologue), it
could be arguable to say that Radiohead did something similar to Rock music
at the end of the 20th Century, embracing all the traditions behind them –
from Classical music to Blues, from Jazz to Electronic – and conveying it to
somewhere new, a Post-, towards the Computer and PDA-based existence of
our present age.
Since each and every work of art that brings about a major cultural trans-
formation requires both a conscious and an archetypical knowledge of its time
and of what came before its time, a cultural operation like the one planned
by Radiohead demanded an appropriate interest and competence in litera-
ture, art, spirituality, politics, cinema and graphics, highbrow and lowbrow
culture, social commitment, counterculture and all the possible bends of the
humanities, as the consubstantial content of their own music. Gianfranco
Franchi, that studied and interpreted the lyrics of the band from cover to
cover, summed it up this way:
Oxford. The Nineties. A young student of Literature decides to go down in
Rock and Roll History by writing, along with his fellows, the soundtrack
to the twilight of the Western Society […]. He talks very often about the
music, the movies and the books that he loved. Sometimes, he conceals
them in his lyrics: and real fans get crazy to find out these sources. And so,
Douglas Adams, Thomas Pynchon, Lewis Carroll, George Orwell, Thomas
Stearns Eliot, Kurt Vonnegut, Goethe and Dante smoothly adjust to Rock
songwriting. Everything in its right place. (Franchi 2009, 13)
What could probably strike most is to know that, on closer inspection, all
the members of the band actually possessed an in-depth education within
the humanities: indeed, not everyone knows that before becoming widely
known as musicians, Radiohead were a group of aspiring Literature schol-
ars. Thom Yorke, the eclectic leader of the band, studied English Literature
at the University of Exeter; the bass player Colin Greenwood attended the
classes of “Modern American Literature” at Peterhouse College in Cam-
bridge; drummer Philip Selway specialized in Literature and History at John
The Middle Ages of Postmodernism: Dante, Thom Yorke and Radiohead Dante e l’arte 6, 2019 129
Genette nomenclature, that offered the audience the chance to figure out the
inspiration behind the lyrical, visual and conceptual imaginarium of their new
work. Indeed, the tercets were drawn by the attentive Charles S. Singleton’s
translation of the Divine Comedy (Alighieri 1971, 249) edited and published in
1970, “considered perhaps the most scholarly, with separate volumes for notes,
and (which) eschewed the poetic form altogether for a painstakingly literal
prose translation” (Schemo 1995), referring to the passage in which Virgil ad-
monishes Dante who is resting for a while after the climbing from Malebolge:
“Omai convien che tu così ti spoltre”,
disse ’l maestro; “ché, seggendo in piuma,
in fama non si vien, né sotto coltre;
sanza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
E però leva sù; vinci l’ambascia
con l’animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s’accascia.
Più lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia”.
(If., XXIV, 46-55)1
The epigraphic value that these quoted words own for the entire record defi-
nitely put up a question, that is how the band got so familiar with the Sommo
Poeta and what was the first time they decided to elect the Father of the Italian
Literature as one of the main characters of their Postmodern imaginarium.
As a matter of fact, a deeper glance at Radiohead’s Website archive unveils an
interesting clue from 1997, during the groundbreaking Ok Computer (1997) re-
cording sessions, which reported: “polyethelene* will never break down swirly
self announcements. stuck in a frozen lake. the penultimate place in dante’s
hell” (Radiohead Archive 1997). In addition to this, the title for the whole
page was “Stuck in a frozen lake”, referring to vv, 16-24 of the XXXII Canto
of Dante’s Inferno, particularly akin to the band’s reading if compared to the
verse translation into English by Allen Mandelbaum first published between
1980 and 1984, from whom the sentence “stuck in a frozen lake” (v. 23) seems
to be taken:
When we were right down in that dark well,
Below the giant’s feet, and much lower,
And I was still staring at the high wall,
I heard someone say: “Take care how you go by;
1. The quotes taken from the original text will follow for the whole article the edition edited
and commented by Anna Maria Chiavacci Leonardi (Bologna: Zanichelli 2001).
The Middle Ages of Postmodernism: Dante, Thom Yorke and Radiohead Dante e l’arte 6, 2019 131
As the entrance to Hell could seem etched with the words “Lasciate ogni
speranza, voi ch’entrate” in Contemporary times, on the contrary, this liter-
ary path will prove that there is always one hope to cling to. This hope, as in
Dante, is love and it leads to a definitely longer stair to be climbed. Indeed,
even though the highbrow education of the band members acts as the prima-
ry substratum for the wide and eclectic spectrum of cultural references for
the imaginarium, it must be said that there is also a modern Dolce Stil Novo
love story behind this surprising relationship between Dante and Radiohead.
Indeed, the main duct for the presence of the Sommo Poeta was probably
Rachel Owen, long-time partner of Thom Yorke, esteemed avant-garde art-
ist and, most of all, appreciated scholar majored in Italian Middle Ages and
Dante Studies, who studied thoroughly the illuminated manuscripts of the
Commedia:
«Scelsi di studiare all’Accademia di Belle Arti a Firenze. E fu un’ottima
scelta». Qui Rachel si innamorò di Dante: le illustrazioni della Commedia
sarebbero diventate la materia del suo PhD all’Università di Exeter («e que-
sto mi riportò a Firenze, e in Italia, dove frequentai le maggiori biblioteche;
anch’io, tra l’altro, ho realizzato una serie di incisioni per il poema») […]
«Evidentemente, dopo tanti anni, sono riuscita a contagiare Thom almeno
in questo». (Paloscia and Owen 2012)
It seems now clear that Yorke’s special empathy with Dante derives from a
beautiful and profound source, that is the transposition of an inner personal
passion to a broader scale through music and art. Quite fascinating, in this
regard, the theory proposed by Emanuele Binelli Mantelli, who first put near
each other some metaphors and images recalled by the lyrics of In Rainbows
(2007) to some of the τόποι of Dolce Stil Novo, particularly matching if related
to the sense of sight and the ocular sphere, that bring to mind and renew the
legacy of poems as Veggio negli occhi della donna mia by Guido Cavalcanti or
Ne li occhi porta la mia donna Amore by Dante himself with “well-connoted
verses and words as the ones in Weird Fishes/Arpeggi” (Binelli Mantelli 2014):
In the deepest ocean
The bottom of the sea
Your eyes
They turn me
Turn me on to phantoms
I follow to the edge of the earth
and fall off
(Yorke 2007)
concerning the unique lexical choice: indeed, the grand adjective “lukewarm”
seems to be present as a description note only, and not by chance due to
Yorke’s residence, in the Manuscript Holkham Misc. 48 kept by the Bodleian
Library at the University of Oxford, a description in English written by the
modern Oxonian curators of the manuscript (Bodleian Library 2000). Nev-
ertheless, it is always the lyrics to hold the most interesting legacy with the
Divine Comedy:
2+2=5
It’s the devil’s way now
There is no way out
You can scream & you can shout
It is too late now
Because you have not been
Paying attention
I try to sing along
I get it all wrong
I swat ’em like flies but
Like flies the buggers
Keep coming back
Indeed, the image of the insects seems to draw fully from Dante’s contrapasso
in the III Canto (vv. 64-69) of Inferno and upon closer inspection it echoes
back to a particular translation into English of the poem, scilicet the one
made by Robert M. Torrance, that seems even to hold a sort of intertextual
relationship with these lyrics:
These wretches, who had never been alive
ran naked, stimulated by the prick
of flies, and hornets swarming from the hive
Blood streaked their countenances, clotting thick,
till, mixed with tears, it trickled to their feet,
where nauseating worms could take their pick
(Alighieri 2011, 51)
atrocity of modern warfare and the sloth of the masses produces monsters,
and this is the Devil’s way to make it happen nowadays. Yorke basically invites
everyone to be careful and take an active part in her or his day and age, for
being responsible citizens and never lukewarm, which is something very close
to what Antonio Gramsci, one of the greatest Italian political and philosophi-
cal minds of the 20th century, wrote in his famous manifesto against sloth and
indolence, probably known by the band as retraced by their Italian biographer
(Franchi 2006):
Odio gli indifferenti. Chi vive veramente non può non essere cittadino,
e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è
vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma
opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge
i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che
strozza l’intelligenza. […] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non par-
teggia, odio gli indifferenti. (Gramsci 1917)
is about, the fact that everything is going in circles. (Yorke qtd. in Citizen
Insane 2000)
The lyrics actually consists of only one stanza which is repeated with a man-
tra-like rhythmic cadence that rises as the strings crescendo moves upwards.
Starting with the title, even though the main source is of course Egyptian in
this sense, it is helpful to point out that the shape of the Pyramid is essential
also in Dante’s geography, based as widely-known on a Ptolemaic structure:
indeed, both the chasm of Hell and the Mountain of Purgatorio are pyramids
and, after all, the whole Itinerarium ad Deum marks a pyramidal ascension to
a peak. A deep verse-by-verse comparison between the poem and the lyrics
could establish an original Dante-oriented revelation about the song:
I jumped in a river and what Did I see?
The opening image depicts a katabasis, or rather, a real immersion in a mys-
tical river, a ritualistic crossing that recalls a classic τόποs dear to Virgil and
Dante: in particular, the Lethe river (Pg. XXXI, especially vv. 82-105), in which
the Florentine poet must dive in in order to forget his sins before the elevation
to Paradise.
Black-eyed angels swam with me
Demons, especially since the poet’s entrance to the City of Dite of the VIII
Canto on, follow Dante and Virgil along the descent to the bassi loci, and
within the translation into English of the poem they are often called “the
black angels”, suffice it to mention Inferno XXIII, vv. 130-132: “Through
which both of us can get away / without encouraging the black angels / To
come down to this place and get us out” («Onde noi amendue possiamo
uscirci / sanza costrigner de li angeli neri», Alighieri 2008). It is fascinating
to reflect upon the lack of a religious metaphorical sense in Yorke’s verses,
something that could even enhance – assisted by music – some sensual and
dreamlike features behind these “black-eyed angels”.
A moon full of stars and astral cars
The lunar nocturne and the brightness of the stars could sound familiar to the
translation into English of Inferno’s last verses, in which Dante, turned upside
down, leaves the kingdom of Hell and lands on the bay of Purgatorio passing
through the natural burella: “And beauteous hinging of the Heavenly cars /
And we walked out once more beneath the stars” («Tanto ch’i vidi de le cose
belle / che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. / E quindi uscimmo a riveder le
stelle», Alighieri 2009). Moreover, the rhyming couple “stars – cars” appears to
be uncommon, not to say unique, within the English Language poetic tradi-
tion with the only exception of a poem by William B. Yeats in which however
138 Dante e l’arte 6, 2019 Giulio Carlo Pantalei
the word ‘cars’ means ‘vehicles’: “For Fergus rules the brazen cars / […] and
all dishevelled wandering stars” (Yeats 2000, 34).
All the figures that I used to see
The souls that Dante meets on the supernatural trail are often translated as
“shades” or “figures” in order to instil their nature of immateriality. Taking
into account a locus for each Cantica2: “I gazed around a while and then
looked down, / and by my feet I saw two figures clasped / so tight that one’s
hair could have been the other’s” («Quand’io m’ebbi dintorno alquanto
visto, / volsimi a’ piedi, e vidi due si’ stretti, / che ‘l pel del capo avieno in-
sieme misto», If. XXXII, vv. 40-42); “Behind the dancing figures, three or four
/ there came two aged men, differently dressed” («Appresso tutto il pertrattato
nodo, vidi due vecchi in abito dispari», Pg. XXIX, vv. 133-135); “Even so, in
its glowing jubilance / that holy figure hid itself from me, and so enraptured
wrapt» («Per più letizia sì mi si nascose / dentro al suo raggio la figura santa /
e così chiusa chiusa mi rispuose», Pd. V, vv. 136-138). About the meaning and
temporal value of the construct “I used to see”, the following sentence will
try to clarify.
All my lovers were with me
All my past and futures
The idea that within an otherworldly kingdom there could lie the possibility
of meeting again the beloved ones is without a doubt a τόποs of Classical
memory, suffice it to mention the myth of Orpheus and Eurydice or the Alces-
tis by Euripides. Nevertheless, definitely more peculiar could appear the fol-
lowing verse “All my past and future”, that, as reported in the aforementioned
interview, draws inspiration by the theories about time of Stephen Hawking,
Buddhism and Dante. As a matter of fact, the Sommo Poeta’s temporal con-
ception dictates to all the damned souls the impossibility of knowing and
seeing the Present time, but only to remember the Past and to foreshadow the
Future. More in particular, the Canto in which this vision is best elucidated
should be the X of Inferno, with the famous question made by Dante and the
prophetical answer by Farinata degli Uberti (vv. 97-105):
‘From what I hear, it seems
You see beforehand that which time will bring,
But cannot know what happens in the present.’
‘We see, like those with faulty vision,
Things at a distance,’ he replied, ‘that much,
For us, the mighty Ruler’s light still shines.
When things draw near or happen now,
2. All the following quotations are drawn by Alighieri 1984, Musa translation.
The Middle Ages of Postmodernism: Dante, Thom Yorke and Radiohead Dante e l’arte 6, 2019 139
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142 Dante e l’arte 6, 2019 Giulio Carlo Pantalei
come l’arcobaleno mentre il terzo è descritto come una fiamma che spira dai
primi due; e l’effige umana che a tratti collima con il secondo dei cerchi.
Va puntualizzato che il titolo completo del testo di Jorge Wiesse, che in
copertina della presente edizione si propone in forma abbreviata, è in realtà
il seguente: Dante contempla la Trinità (2007) di Ricardo Wiesse: un commento
di Pd. XXXIII, 115-126? (Wiesse Rebagliati, 2017, p. 23). Ragion per cui si
potrebbe obiettare che i versi citati si riferiscono unicamente al mistero della
Trinità, cadendo nell’equivoco di una forzatura interpretativa, se l’autore non
si premurasse di spiegare l’intenzione contenuta nel punto interrogativo che
chiude il titolo: mediante una domanda aperta, egli mette a disposizione del
lettore l’ipotesi che l’opera, partendo dal mistero della Trinità descritto ai versi
citati, colga nel contempo l’occasione fornita dalla relativa libertà del medium
artistico per integrare nella sua peculiare interpretazione gli altri misteri trat-
tati alla fine del canto in questione. Jorge Wiesse provvede inoltre a indicare la
fonte di riferimento utilizzata dall’artista per quest’ultimo canto del Paradiso,
ovvero l’edizione I Meridiani Mondadori curata da Anna Maria Chiavacci Le-
onardi (Chiavacci Leonardi, 1997, pp. 899-929), che nell’Introduzione al canto
XXXIII e nelle note al testo illustra chiaramente il significato delle immagini
proposte dal poeta per rappresentare i tre misteri contemplati. Tale fonte è
stata tradotta per l’artista da Carlos Gatti, eminente dantista e collega dell’au-
tore. I commenti di Gatti e Wiesse al canto, ai quali Ricardo si rivolse in fase
d’elaborazione dell’opera, hanno altresì contribuito al risultato ottenuto.
L’occhio di Dante contempla, come si diceva, una dimensione superio-
re, che Ricardo evoca in uno sfondo oscuro attraversato da scie policrome
simili a nebulose stellari che, nell’analisi dell’autore, rimandano al cosmo, ai
cerchi della Trinità e all’unità del molteplice grazie alle suggestioni prodotte
dal tratto e dalla varietà cromatica in esso presenti. L’autore fa inoltre notare
come l’intersezione tra tale sfondo e il profilo del poeta sia particolarmente
significativo in quanto plasma l’idea di una contemplazione interiore che si
presta a molteplici interpretazioni che vanno dalla soggettivista, all’agostinia-
na, all’estatica. Quest’ultima interpretazione fornisce all’autore l’occasione per
sviluppare ulteriormente la contestualizzazione storico-artistica dell’opera di
Ricardo Wiesse, legandola alla tradizione artistica che va dal rinascimento e
barocco italiano al Virreinato del Perú mediante una selezione di opere acco-
munate dal tema dell’estasi.
La densità di significato di Dante contempla la Trinità è tale da spingere
l’autore a dedicare una riflessione ad altri dettagli salienti dell’artefatto, come
l’ombra proiettata su sfondo e cornice dal filo d’argento che traccia il ritrat-
to dantesco e la forma ovale dell’opera. Secondo Jorge Wiesse, la proiezione
dell’ombra di Dante trasforma il soggetto in un ritratto universale, nella “no-
stra effige” (Pd. XXXIII, p. 131) che riferisce l’umanità intera a Dante, come
148 Dante e l’arte 6, 2019
Giulia Degano
Universidad del Pacífico, Lima
dell’opera, in favore di una nuova attenzione alla figura di Dante e alla sua
attività di poeta. Questo mutamento, mentre rivela la risoluzione in chiave
fictiva del dibattito sulla natura della Commedia, apre i corredi figurativi a
veicolare una nuova polarizzazione esegetica che si gioca tra la valorizzazio-
ne della straordinaria dottrina dantesca – con il suo patrimonio di fonti e
modelli letterari – e l’accento sulla dimensione didattico-morale dell’opera.
È in questo periodo che fanno la loro comparsa nei codici le già menzionate
«storie seconde», che, nel corso del Quattrocento, convivono non di rado con
l’illustrazione della narrazione portante, con l’effetto di potenziare la memora-
bilità del testo, sottolineare il valore esemplare delle singole scene o ancora di
mettere in risalto il programma politico e culturale della committenza. Anche
laddove la raffigurazione della storia prima resta protagonista assoluta – come
nel caso dell’Urbinate 365 e del ciclo botticelliano – la tendenza a interpretare
i motivi danteschi alla luce delle istanze culturali contemporanee si impone,
con una rielaborazione dell’immaginario dantesco in chiave razionalistico-
classicheggiante e, dietro l’influenza del commento di Landino, neoplatonica.
Sul finire del Quattrocento, infatti, è proprio l’editio princeps del Com-
mento landinano a segnare di fatto l’episodio più importante della ricezione
rinascimentale della Commedia, contribuendo a formare l’immaginario dan-
tesco degli artisti. Modelli visuali tratti dal poema, emergono, sul finire del
Quattrocento e nel corso del secolo successivo a tutti i livelli: personaggi dan-
teschi abitano gli affreschi di Luca Signorelli a Orvieto e quelli della Cappella
Sistina di Michelangelo; le storie seconde di Ugolino e di Paolo e Francesca
diventano protagoniste rispettivamente di un bassorilievo di Pierino da Vinci
e di una miniatura francese in un codice dei Triumphi di Petrarca; Giovanni
Stradano, con Luigi Alamanni e Alessandro Allori, realizza, su commissione
della Crusca, una serie di tavole per un album di disegni a soggetto dantesco.
Questo moltiplicarsi di esperimenti visuali culmina negli anni Ottanta del
Cinquecento, in una temperie ormai controriformistica, nel monumentale
Dante historiato di Federico Zuccari, che dà vita a una vera e propria «edizione
d’autore», dove alle immagini è affidato il compito di narrare la storia, mentre
il testo, in posizione ancillare, interagisce con glosse e soluzioni figurative
innovative, per creare un sistema simbolico complesso, al cui centro sta l’idea
della Commedia come iter per mortuos d’impronta morale e didattica.
Dopo quasi due secoli di sostanziale disinteresse, sono proprio le storie
seconde, ignorate dallo Zuccari nel suo Dante didascalico, a far rinascere l’at-
tenzione per il poema. A partire dall’Ugolino di Sir Joshua Reynolds gli artisti
non illustrano più la Commedia a per proporre un’interpretazione globale del
testo o per educare i lettori; per Delacroix, Scheffer, Füssli, scegliere di rappre-
sentare soggetti tratti dal poema sacro significa scegliere di mettere in scena
«simboli visivi di passioni eterne», raccontati da un Dante che viene ormai
152 Dante e l’arte 6, 2019
Elisa Orsi
Università di Pisa
C ome gli addetti ai lavori sanno bene, in previsione del Centenario dante-
sco, moltissimi sono ad oggi i cantieri aperti e i progetti ambiziosi fioriti
intorno all’opera e alla figura di Dante Alighieri con l’obiettivo di tagliare il
traguardo del 2021 con nuovi materiali da proporre al pubblico degli specialisti
ma anche agli appassionati o, più semplicemente, a coloro che si avvicinano
per la prima volta al poeta fiorentino. Nel vastissimo panorama della dantisti-
ca, tra gli ambiti di ricerca più produttivi troviamo sicuramente quello degli
studi dedicati alla tradizione figurata della Commedia; studi sulla fortuna dan-
tesca, dunque, ma anche studi di per sé fortunati, i cui sviluppi si distinguono
per vivacità innovativa e le cui caratteristiche liminari rendono un terreno
favorevole alla riflessione su questioni metodologiche di primaria importanza,
prima fra tutte l’interdisciplinarità. Il progetto del Dante visualizzato, nell’ot-
tica di stimolare il dialogo tra studiosi che, a vario titolo, s’interessano delle
figurazioni dantesche, tende a superare la prospettiva interdisciplinare intesa
come semplice convergenza di competenze intorno al medesimo oggetto di
studio, sia aprendo uno spazio fisico di confronto, quello dei convegni in-
ternazionali – l’ultimo, in ordine di tempo, lo scorso ottobre all’università
di Potsdam – sia fissandone gli esiti in una serie di volumi, con l’obiettivo di
delineare un primo panorama d’insieme della tradizione figurativa della Com-
media, in un arco temporale che va dal XIV secolo fino ai disegni di Sandro
Botticelli.
Dopo la prima, dedicata ai manoscritti trecenteschi, questo secondo
volume esplora le figurazioni dantesche della prima metà del Quattrocen-
to; una fase, come segnala Ciccuto nella Premessa, di articolata evoluzione
della tradizione iconizzata della Commedia, tra permanenza dei modelli ico-
nografici trecenteschi e l’apertura del canone illustrativo umanistico. È tra
i poli della continuità con la prima tradizione testuale e figurativa e i trat-
ti dell’innovazione quattrocentesca che oscilla anche la fisionomia generale
dei contributi, che, pur mantenendo la cornice cronologica di riferimento,
non tradiscono la natura fluida della materia, con incursioni a ritroso sul finire
pson, un canto al lusso tardogotico e alla cultura umanistica nella corte napoletana
di Alfonso d’Aragona) e di Vincenzo Vitale (L’impero di Alfonso il Magnanimo
nella Commedia aragonese), entrambi dedicati al ms. Yates Thompson 36 e
al suo progetto figurativo, legato a doppio filo alla celebrazione del potere di
Alfonso V di Aragona. La ricchezza dell’apparato decorativo del celeberrimo
codice, unita all’attento vaglio delle vicende aragonesi, apre, nei due contri-
buti, un ventaglio di possibilità esegetiche. Le peculiarità illustrative, infatti,
sembrano dover essere lette come il riflesso di un ambiente già permeato di
cultura dantesca, in cui il prestigioso codice della Commedia si trasforma,
attraverso emblemi e spie disseminati nelle miniature, nel luogo della cele-
brazione del sovrano come principe perfetto, eroe cristiano e colto umanista
(Molina Figueras). Proprio nel segno rinnovato interesse, tutto “classico”, per
la storia degli Argonauti sarebbero da leggere anche alcuni dettagli figurativi
del Purgatorio e del Paradiso, segnali di un possibile percorso metatestuale sul
viaggio della lettura, condotto proprio grazie ai riferimenti al mito “umanisti-
co” di Giasone e compagni (Vitale).
Se, come abbiamo visto, le illustrazioni del poema si prestano a veicolare
programmi culturali e interessi politici di importanti committenze, allo stesso
tempo è possibile, tramite i codici, ricostruire le modalità di produzione e
diffusione della cultura, dantesca e non, in aree più “periferiche”. È il caso del
manoscritto Gg.3.6 (Bibl. Universitaria di Cambridge), analizzato da Andrea
Improta (Una Commedia miniata di fine Trecento per i Trinci di Foligno). Lo
studio aggiorna e rivede datazione e indicazioni attributive del codice, collo-
candolo, grazie a un’accurata analisi stilistica, nella biblioteca di Ugolino III
Trinci, signore di Foligno dal 1386 al 1415. Attraverso il manoscritto ricostru-
iamo l’immagine di una corte caratterizzata da una diffusa influenza dantesca,
come testimonia la figura del domenicano Federico Frezzi – probabile com-
mittente del codice e, a sua volta, autore del Quadrilegio, che ha come modello
la Commedia – ricostruiamo un contesto artistico vitale, quello dei miniatori
folignati, e intuiamo la ricchezza delle biblioteche cittadine, oggi disperse.
L’intervento di Susy Marcon (Dante di frontiera: Pietro Campenni e il gotico
tardo) analizza due Commedie sottoscritte dal cancelliere Pietro Campenni
sul finire del XIV secolo – Parigi, Bibl. Nationale, Ital. 77 e Venezia, Bibl.
Marciana, It. IX, 692 (=12134) – e realizzate tra Isola d’Istria e Portobuffolé. I
codici, accompagnati dal commento di Benvenuto da Imola, membranacei e
di grandi dimensioni, presentano, tuttavia caratteristiche differenti: la fisiono-
mia dell’It. 77, suggerisce un ordine di realizzazione che prevede la copia del
testo centrale, la copia del commento che lo circonda e, infine, la realizzazione
dei capilettera e delle tre miniature figurate di inizio cantica, avvenuta proba-
bilmente a Venezia, dove il manoscritto è verosimilmente stato completato.
Nel codice della Marciana, invece, sembra che l’apparato decorativo sia stato
160 Dante e l’arte 6, 2019
realizzato prima della trascrizione del commento, in uno stile che rimanda sia
all’ambiente padovano che alla miniatura veneziana. L’analisi apre uno scorcio
sulla diffusione della materia dantesca nell’entroterra veneziano, ad opera pro-
prio dei cancellieri impegati nelle podesterie minori, che, coi loro spostamenti
di sede, contribuivano alla trasmissione e circolazione delle conoscenze.
Alla ricostruzione della diffusione della Commedia all’interno di un preciso
ceto, quello dei mercanti, è dedicato il contributo di Marco Cursi e Luisa Mi-
glio (La Commedia in mercantesca nella prima metà del Quattrocento: carte che
ridono?), concepito in continuità con l’intervento già proposto nel primo vo-
lume del Dante visualizzato e dedicato ai manoscritti in mercantesca del XIV
secolo. Gli autori proseguono qui l’indagine, occupandosi delle Commedie in
mercantesca risalenti al Quattrocento. Il corpus individuato, di 37 manoscritti,
permette di analizzare elementi di continuità e di distinzione rispetto al pano-
rama del Trecento. Il supporto preferito continua ad essere quello cartaceo e
la preferenza trecentesca per i codici medio-grandi risulta, nel Quattrocento,
confermata e accentuata. D’altra parte, la fascicolazione presenta un quadro
più complesso, che testimonia un mutamento legato alle innovazioni del libro
umanistico. Allo stesso modo, la maggior parte dei codici rinuncia all’impiego
dei richiami, mentre nessun manoscritto preso in esame presenta illustrazioni
o spazi bianchi che ne denuncino il progetto. Come sottolineano gli autori,
la mancanza quasi assoluta di immagini – con l’esclusione dei disegni tecnici
– stupisce all’interno di manoscritti dedicati a un pubblico non particolar-
mente dotto e che dunque avrebbe potuto trarre particolare giovamento dalle
visualizzazioni del testo. All’interno di un panorama generalmente “povero”
dal punto di vista figurativo, spicca tuttavia il caso del Med. Pal. 72. Il mano-
scritto membranaceo, uno dei rari codici in mercantesca di alte ambizioni for-
mali, contiene i Trionfi di Petrarca e una Commedia corredata da illustrazioni
nelle iniziali di cantica. L’analisi stilistica conduce all’ipotesi di un’attribuzione
unica per l’intero corredo, che sarebbe stato realizzato interamente Apollonio,
già autore delle illustrazioni dei Trionfi.
Uno sguardo ai nuovi strumenti di ricerca e catalogazione per i manoscritti
miniati della Commedia ci viene da Gennaro Ferrante (Illuminated Dante
Project. Per un archivio digitale delle più antiche illustrazioni della Commedia.
I. Un case study quattrocentesco: mss. Italien 74, Riccardiano 1004 e Guarneriano
200) e Ciro Perna (Illuminated Dante project. Per un archivio digitale delle più
antiche illustrazioni della Commedia. II. Il cod. M 676 della Morgan Library:
datazione, iconografia, esegesi). I due interventi presentano, attraverso l’esame
di alcuni casi di studio, le possibilità offerte dalla messa a punto dell’Illumina-
ted Dante Project. L’IDP, ideato da un gruppo di studiosi dell’università Fede-
rico II di Napoli, nasce dalla necessità di ampliare e aggiornare il celebre ma
ormai datato repertorio degli Illuminated Manuscripts of the Divine Comedy,
Dante e l’arte 6, 2019 161
Elisa Orsi
Università di Pisa