Manzoni rappresenta l’intellettuale che meglio incarna le caratteristiche del romanticismo italiano
che si differenzia dal romanticismo europeo in quanto gli intellettuali che vivono nella prima metà
dell’Ottocento non risentono ancora del conflitto con la società come gli intellettuali europei. Gli
intellettuali italiani non avvertono ancora questo conflitto perché l’Italia si trovava in una situazione
socioeconomica meno avanzata rispetto agli altri paesi europei. Infatti, la prima rivoluzione
industriale in Italia avviene solo nella seconda metà dell’Ottocento, mentre negli altri paesi europei
avveniva già la seconda. L’intellettuale perde la sua posizione di privilegio di cui aveva goduto
durante le altre epoche. Gli intellettuali vivono ancora dentro la società ed infatti Manzoni è uno dei
rappresentati più importanti della società del Risorgimento.
Confronto Foscolo-Manzoni
Manzoni nasce nel 1785 e muore nel 1873, quindi vive ben 88 anni.
Abbiamo definito Foscolo un intellettuale attivo perché anche quando c’è la rottura nei confronti del
contesto egli continua a militare nell’esercito napoleonico e la sua critica è mossa dall’interno del
contesto stesso. Manzoni non può essere considerato un intellettuale attivo alla stregua di Foscolo.
Egli vive durante il Risorgimento e la sua vita si protrae dopo quella di Foscolo. Un intellettuale
attivo alla stregua di Foscolo avrebbe partecipato ai moti risorgimentali, invece, Manzoni non
prende mai parte di persona a tali moti pur vivendo a Milano. Ciò nonostante nessun uomo più di
Manzoni riesce attraverso la sua opera, quindi indirettamente, a svegliare le coscienze degli italiani.
Quindi è vero che la sua partecipazione ai moti risorgimentali è una partecipazione indiretta, ma
anche vero che nessuno riesce a partecipare indirettamente in maniera così “attiva” ai moti
risorgimentali. Manzoni fu considerato un intellettuale di riferimento durante la sua stessa vita,
infatti “I promessi sposi” furono studiati all’interno di tutte le scuole pubbliche italiane ed era
considerata un’opera di insegnamento che andava seguita, sia per quanto riguarda il valore civile e
politico sia per quanto riguarda la soluzione della lingua. Manzoni capisce, primo fra tutti, che era
impossibile unificare l’Italia se prima non veniva unificata dal punto di vista linguistico e culturale
ed infatti grazie ai promessi sposi egli riesce a risolvere quella che era la cosiddetta questione della
lingua che nasce con Dante, nel 300, con il De vulgari eloquentia.
Se in Foscolo convivono le tre tendenze del tempo (neoclassicismo, preromanticismo e
illuminismo) possiamo dire, in parte, la stessa cosa di Manzoni. Egli ha una formazione classica
avvenuta nel collegio dei padri barnabiti. È il figlio di Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria,
rappresentante dell’illuminismo Lombardo quindi Manzoni è influenzato dalla cultura illuministica.
Successivamente, la madre divorzia con il marito e se ne va a vivere in Francia con Carlo Imbonati
(Parini diventa il precettore del giovane Carlo Imbonati). Anche Carlo Imbonati era molto aperto
alle ideologie illuministiche. Manzoni avrà un rapporto di grande stima con questo secondo
compagno della madre tanto è vero che scriverà in età giovanile il carme “In morte di Carlo
Imbonati”. Manzoni ha una formazione tipicamente classica quindi anche improntata alle nuove
ideologie del neoclassicismo, appresa nel collegio quando la madre si reca in Francia con Carlo
Imbonati. Soltanto la prima produzione poetica di Manzoni è improntata al neoclassicismo, poi in
seguito alla sua conversione al cattolicesimo, abbraccia un nuovo tipo di produzione, quella
romantica, all’interno della quale saranno sempre presenti le ideologie illuministiche che gli erano
state trasmesse prima di tutto dalla sua famiglia. Infatti, quando egli vive con il nonno a Milano
frequenta gli intellettuali illuministi, anche quelli rivoluzionari dei napoletani. Tali ideologie
saranno rafforzate anche quando abbandona Milano, a seguito della morte di Carlo Imbonati e va a
vivere a Parigi e ha contatti con Claude Fauriel con il quale avrà un fitto scambio di epistole. Anche
in Manzoni, come in Foscolo, troviamo la presenza delle tre componenti alle quali poi si accosterà
anche il romanticismo, perché lui vive nel momento in cui le idee romantiche si diffondono in Italia,
prima di tutto a Milano, considerata la patria culturale del momento.
Le ideologie del romanticismo sono delle ideologie che sembrano continuare quelle che erano state
le ideologie degli illuministi Lombardi. Ciò si avverte grazie agli scritti di Madame de Staël, i quali
esprimono l’esigenza di svecchiamento della cultura italiana nei confronti della tradizione, e tale
svecchiamento doveva essere basato su: il vero, l’utile e l’interessante. Questo non è altro ciò che
era stato già detto dagli illuministi. La letteratura romantica italiana si distingue anche per questo
dal romanticismo europeo.
I romantici non danno alla ragione valore essenziale perché accanto alla ragione si valuta un’altra
componente dell’uomo: il sentimento. I comportamenti degli uomini non sono fatti soltanto dalla
ragione ma gli uomini sono spinti ad agire in un modo per i sentimenti che provano in quel
determinato momento.
Gli ideali illuministici saranno presenti in Manzoni anche quando avverrà la sua conversione
religiosa (1810). Ciò è possibile perché Manzoni riprende quegli ideali che sono un tutt’uno con lo
spirito cattolico. Quindi la sua conversione non porterà mai all’allontanamento dagli ideali
principali dell’illuminismo che egli aveva appreso durante la sua formazione giovanile.
Manzoni, nell’ottobre del 1807, dopo il suo ritorno a Milano, conobbe Enrichetta Blondel, di
famiglia calvinista. I due si fidanzarono e il matrimonio fu celebrato secondo il rito calvinista.
Soltanto dopo la conversione della moglie alla fede cristiana avvenne anche quella dell’autore,
preceduta da profonde crisi spirituali che lo portarono ad abbracciare la nuova fede. Difatti fece
battezzare la figlia Giulia e volle ricelebrare il matrimonio secondo il rito cattolico.
Giansenismo: All’inizio, Manzoni riprende la concezione dei giansenisti. Questi ultimi avevano
una concezione molto pessimistica della vita e dell’uomo perché credevano che l’uomo dopo il
peccato originale si era macchiato di una colpa che non si poteva espiare in nessun modo. Gli
uomini dunque erano propensi sempre al male, piuttosto che al bene, e più si andava avanti con la
storia questa portava esempi sempre più espressivi della malvagità degli uomini. Quindi la storia è
vista anche come una successione di eventi che va verso l’affermazione del male. Soltanto Dio
sceglie, e non si sa in base a quale criterio, degli uomini cui dare in dono la cosiddetta grazia divina
che grazie a questa gli uomini potranno godere della beatitudine eterna. L’uomo quindi è
condannato al male e non può salvarsi. Anche Manzoni ha una concezione abbastanza pessimistica
dell’uomo e della storia che deriva dai giansenisti. Però per Manzoni, c’è la possibilità del libero
arbitrio. È vero che l’uomo è predisposto al male, ma grazie alla sua volontà può riscattarsi e
combattere il male e può anche, in alcuni casi, sconfiggerlo. Un esempio di questo è la conversione
dell’Innominato e dello stesso Fra Cristoforo.
Lettera a Chauvet, il problema del vero: quale differenza ci sarà tra un'opera poetica e
un'opera storica? La tragicità dell'opera poetica deriva dalla storia stessa, poiché essa è tragica. Il
poeta deve ispirarsi alla storia e alla drammaticità che è insita nei fatti storici, però, accompagna a
questa rappresentazione della storia, la rappresentazione dei moventi psicologici che hanno spinto
gli individui ad agire in quel determinato modo e dei sentimenti che hanno spinto gli individui ad
agire in quel determinato modo. In realtà, nella distinzione fra storia e poesia, Manzoni si rifà a
Tasso, anzi, quasi non dice niente di nuovo. Tasso, prima di scrivere la Gerusalemme liberata,
aveva scritto un discorso nel quale approfondiva la distinzione fra storia e poesia. Affermava che è
vero che la poesia si doveva ispirare agli eventi storici e religiosi ma il poeta deve riservarsi un suo
cantuccio lirico, di cui ne parlerà anche Manzoni nelle sue tragedie (i cori). Accanto alla
rappresentazione dei fatti, il poeta dovrà interpretare quelli che erano i sentimenti dei personaggi,
era una sorta di studio psicologico.
Inni sacri
La prima produzione che è postuma alla conversione del Manzoni è rappresentata dagli inni sacri
che furono pubblicati tra il 1812 e il 1815. Qui per la prima volta Manzoni applica la novità della
sua poetica, ossia del vero, dell’utile e dell’interessante, esplicata nella lettera a Cesare d’Azeglio.
Dobbiamo fare una scissione fra le opere che trattano il vero laico e le opere che trattano il vero
Cristiano, cioè gli argomenti di religione. Gli inni sacri trattano il vero Cristiano.
Innanzitutto, gli “Inni sacri” applicano la poetica del vero Cristiano che si sostituisce alla mitologia
classica e alla produzione fantastica. Per quanto riguarda gli altri due elementi fondanti della
produzione letteraria, l’utile degli inni è il trasmettere degli insegnamenti improntati all’etica
evangelica; l’interessante stava nel fatto che gli argomenti che Manzoni tratta in questi inni
interessavano l’intera comunità cattolica.
Non è una poesia soggettiva, e in questo notiamo una grande differenza con il romanticismo
europeo, in quale è un romanticismo in cui prevale l’io lirico (soggettività), quindi il poeta parla dei
suoi sentimenti. Gli inni sacri sono poesie corali perché Manzoni esprime quelli che sono i
sentimenti che accomunano l’intera comunità cristiana. Infatti, nella Pentecoste, non parla un “io”
ma utilizza un “noi”. L’io soggettivo viene sostituito da un “noi” corale. Un’altra grande
innovazione sta nel metro che viene utilizzato perché Manzoni abbandona l’endecasillabo, metro
tradizionale della produzione letteraria, e utilizza metri più corti, settenari, ottonari o al massimo
decasillabi; riducendo l’ampiezza del metro si conferisce al componimento un ritmo più rapido ed
incalzante.
Tutte queste innovazioni furono criticate, nella seconda metà dell’800, da Francesco De Sanctis,
perché niente affatto innovative. Manzoni, che veniva definito come il più grande romanziere
vivente, aveva semplicemente ripreso la morale cristiana e, a volte, l’aveva adottata anche
forzatamente. In Manzoni si andava formando l'uomo nuovo, che però «non cancellava l'antico:
anzi vi si inquadrava.»
Inizialmente, gli inni dovevano essere 12 riguardanti le principali festività liturgiche del
cattolicesimo, ma Manzoni ne concluse solamente 5. Un primo gruppo di inni furono pubblicati fra
il 1812 e il 1815 e in ciascuno Manzoni tratta una festività religiosa, oppure un evento Cristiano
importante. Questi inni portano il nome di: La Resurrezione, il Natale, la Passione e il nome di
Maria. L’inno più importante è la Pentecoste che però fu pubblicato più tardi, nel 1822, periodo in
cui Manzoni scrisse anche le odi civili.
Ci fu un ultimo inno che Manzoni iniziò ma non concluse che doveva essere intitolato Ogni Santi.
In genere, questi inni riportano una struttura tripartita. Nella prima parte abbiamo l’introduzione
dell’evento, nella seconda parte la rappresentazione dell’evento e nella terza parte, la più
importante, Manzoni descrive gli effetti che quell’evento ha determinato sugli uomini. Per quanto
riguarda la Pentecoste, questa terza parte è molto più ampia rispetto alle prime due.
Pentecoste: Rappresenta una festività liturgica che celebra la discesa dello Spirito Santo sugli
apostoli che avvenne cinquanta giorni dopo la resurrezione di Cristo (pentecostos, in greco,
significa 50). In seguito alla discesa dello Spirito Santo, accadde un vero e proprio miracolo cioè
che gli apostoli, pur predicando la dottrina in aramaico, riuscirono a farsi comprendere da tutti i
popoli sparsi nel mondo. In pratica, Manzoni scrive la Pentecoste perché vuole dare un messaggio
etico, ovvero, egli, nella terza parte, ma non soltanto lui perché utilizza il noi, implora lo spirito
santo affinché scenda nuovamente sugli animi delle persone e risvegli tutti quei sentimenti che
appunto sembrano essere stati accantonati. La Pentecoste è importante anche perché, anche se
ancora in germe, troviamo espresso il concetto di provvida sventura: coloro che maggiormente
soffrono in vita sono coloro che godranno della beatitudine terna. Quindi la sventura è necessaria
affinché l’uomo possa espiare parte dei suoi peccai già sulla terra ed avvicinarsi maggiormente a
Dio. E la sofferenza, accolta con gioia, ci renderà più simili e più vicini a Dio e ci permetterà di
raggiungere più velocemente la beatitudine eterna. Il concetto di provvida sventura è un’espressione
ossimorica: la sventura è provvida perché attraverso la sofferenza l’uomo inizia a depurarsi dai suoi
peccati e quindi si avvicina già durante la vita terrena a Dio, quindi la sofferenza è uno strumento
che ci avvicina a Dio già nella vita terrena. Man mano questo concetto si sviluppa sempre di più.
Per quanto riguarda l’adozione dei versi brevi, la troviamo attuata anche nella Pentecoste ed infatti,
da un punto di vista metrico, questo inno è costituito da 18 strofe di settenari. Il primo, il terzo e il
quinto sono sdruccioli (l’ultima parola ha l’accento sulla terzultima sillaba); il secondo, il quarto, il
sesto e il settimo sono piani (l’ultima parola ha l’accento sulla penultima sillaba); l’ultimo settenario
è tronco e rima con l’ultimo settenario della strofa successiva.
Lo schema delle rime è abcbdeef.
La prima parte è costituita dai versi 1-48 (sei strofe). Questa non è introduzione, che risulta
assente, ma Manzoni va direttamente alla rappresentazione dell’evento. In questa parte, l’autore già
rappresenta la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. La cosa più importante è che Manzoni
effettua un confronto fra la chiesa com’era prima della discesa dello Spirito Santo e la chiesa che
risulta rinnovata dalla discesa di esso. Prima della discesa viene data l’immagine di una chiesa
timorosa di essere perseguitata, che cercava la sicurezza nella chiusura delle mura, quindi non una
chiesa militante, combattiva che usciva fuori per diffondere la parola di Dio ma una chiesa che
cercava all’interno di se stessa protezione. È un’immagine abbastanza negativa e prenderà forma in
un personaggio dei promessi sposi, Don Abbondio. Dopo la discesa dello spirito santo, la Chiesa
esce rinvigorita delle sue forze ed è pronta a combattere, è una chiesa militante. Gli apostoli sono
pronti a combattere per diffondere la dottrina nei vari popoli. Ed avviene il già citato miracolo che
gli apostoli riescono a farsi comprendere da tutti i popoli del mondo, pur professando in aramaico.
La seconda parte è costituita dai versi 49-80 (dalla settima alla decima strofa). Essa tratta quelli
che sono gli effetti che la discesa dello Spirito Santo ha determinato su tutti gli uomini. Manzoni
dice che molti uomini che prima adoravano gli dei pagani, ora si convertono al cristianesimo. Parla
delle spose che quando aspetteranno un figlio non invocheranno più Giunone (dea del matrimonio e
della maternità) per proteggere il bambino, ma il feto sarà protetto da Dio. Parla della diffusione
dell’eguaglianza fra gli uomini, portando l’esempio della schiava che non deve essere più gelosa dei
figli che vengono allevati dalle donne libere in quanto la dottrina ci insegna che tutti siamo uguali.
La discesa ha determinato una rigenerazione negli uomini.
La terza parte è costituita dai versi 81-144 (dall’undicesima alla diciottesima strofa). Manzoni non
tratta più del passato, e quindi della prima discesa dello Spirito Santo, ma del presente. L’autore
immagina che tutti i popoli invochino una nuova discesa dello Spirito Santo sugli uomini affinché
siano rinvigoriti determinati valori che sembrano un po’ dimenticato dagli uomini. (Parallelismo
con Foscolo, anch’egli vuole fare ciò ma lo fa su un piano laico, attraverso i sepolcri della basilica
di Santa Croce).
Evoluzione concetto provvida sventura: La terza parte è la più importante e la più ampia e qui
si nota soprattutto la rivoluzione tecnica del Manzoni che sostituisce ad una poesia lirica soggettiva
tipica del romanticismo europeo, una poesia essenzialmente corale: negli “Inni sacri” esprime i
sentimenti di tutta la comunità cristiana in determinate festività liturgiche; infatti a partire dal V 81
usa la prima persona plurale. Nelle prime due parti descrive l’evento, nella terza rappresenta il
bisogno di una nuova discesa dello Spirito Santo affinché gli animi possano nuovamente rinnovarsi
e seguire i valori evangelici. Perciò c’è l’implorazione allo Spirito Santo affinché riscenda
sull’animo degli uomini per rinnovarli.
Nelle ultime tre strofe Manzoni rappresenta i sentimenti di cui ha il desiderio che vengano
risvegliati nell’animo umano. Attenzione sui primi quattro versi settenari (rivoluzione: settenario al
posto dell’endecasillabo: differenza anche con Foscolo. Settenario per dare ritmo più incalzante) in
cui si nota in germe il concetto di provvida sventura dicendo che i poveri devono accogliere le loro
sofferenza con gioia perché tali sofferenze li rendono più somiglianti e vicini a Dio durante la vita
terrena, quindi avranno un’opportunità in più di conquistare la salvezza rispetto ai ricchi. Infatti,
come nella Bibbia: beati i poveri per loro il regno dei cieli. La prospettiva è del tutto capovolta: i
protetti sono quelli che soffrono. Poi bisogna risvegliare la generosità e umiltà nei più ricchi. Spirito
santo che si risveglia nel riso dei bambini, nella pudicizia delle fanciulle. Gioia delle Nascose
vergini: monache, consacra il sacramento del matrimonio, modera il carattere dei giovani, etc. (Vedi
parafrasi) Quindi, nelle ultime tre strofe Manzoni ci fa questa rassegna dei sentimenti che desidera
che vengano rinvigoriti grazie ad una nuova discesa dello Spirito Santo.
Le odi civili
Vengono definiti odi civili e patriottiche perché egli tratta il cosiddetto detto vero storico per cui si
passa dalla trattazione del vero religioso degli “Inni sacri” alla trattazione del vero storico delle odi
e delle tragedie in seguito. Le odi più importanti sono:
1. “Marzo 1821” dedicata ai moti insurrezionali di questo anno, attraverso la quale l’autore
partecipa indirettamente al movimento;
2. “5 maggio” che parla della morte di Napoleone.
Manzoni tratta di fatti storici seguendo tre punti: vero, utile e interessante. Tratta di fatti storici per
far interessare il pubblico. La storia è sempre interpretata in chiave provvidenziale e cristiana e
quindi in una prospettiva religiosa: niente succede per caso ma tutto fa parte di quel disegno
provvidenziale stabilito per l’umanità. Infatti, per quanto riguarda “Marzo 1821”, c’è la
rappresentazione di Dio che soccorre la causa del popolo piemontese che lotta per ottenere
l’indipendenza contro gli austriaci e c’è anche la speranza che tutto l’esercito piemontese si unisca
ai lombardi insorti per fronteggiare gli austriaci, cosa che non succede. C’è sempre una
prospettiva religiosa nell’ambito del fatto storico. Dio sposa la causa dei più deboli ma non è
detto che con il patrocinio divino si arrivi alla vittoria e questo evento lo dimostra. È ancora più
esplicito il concetto di provvida sventura nel “5 maggio”, ispirato alla morte di Napoleone
avvenuta nel 1821 mentre egli era in esilio nell’isola di Sant’Elena. Visibile rivoluzione forme di
Manzoni.
Lo schema metrico delle odi ripete quello della Pentecoste: 18 strofe da 6 versi settenari di cui
primo, terzo e quinto sono settenari sdruccioli (ultima parola verso sdrucciola), secondo, quarto e
sesto sono piani, mentre l’ultimo è tronco. Non troviamo una rima vera e proprio ma solo
corrispondenza rima tra secondo e quarto verso.
Le Tragedie
La tragedia manzoniana è una tragedia molto innovativa nei confronti della tragedia classica ma
anche nei confronti della tragedia di Alfieri. È innovativa perché è innanzitutto una tragedia storica.
È una tragedia che rifiuta la trattazione dei miti classici (ripresi dallo stesso Alfieri) e che si basa
esclusivamente sulla realtà storica. Tratta del vero storico perché per Manzoni non c’è bisogno di
inventare i fatti drammatici in quanto niente è più drammatico della storia stessa. Del resto,
dovendo essere una tragedia che narra fatti storici, vengono rifiutate le unità aristoteliche, di tempo,
spazio e azione. La sua tragedia non può rispettare né l’unità di tempo né l’unita di luogo, vista
l’impossibilità del verificarsi di un evento nell’arco di una sola giornata o in un’unica locazione.
L’unica unità che a volte viene rispettata è quella d’azione, ovvero che l’azione si concentra su un
solo protagonista. Queste novità della tragedia manzoniana, lo scrittore le scrive in una lettera,
intitolata “Lettera a monsignor Chauvet” nella quale fa una distinzione tra vero storico e vero
poetico. Se la tragedia si limita a riportare eventi storici, qual è la differenza fra lo storico e il
tragediografo? Manzoni afferma che il poeta non si limita a rappresentare l’evento storico ma
effettua anche un’indagine psicologica dei personaggi che sono protagonisti della vicenda. Infatti, i
personaggi manzoniani sono molto analizzati dal punto di vista psicologico e comportamentale;
Manzoni cerca di indagare sul perché quel personaggio si comporta in quel modo (si vede anche nei
Promessi Sposi).
Dobbiamo dire che questa novità della tragedia storica non era una novità prettamente manzoniana
ma c’era già stata la stesura di drammi storici da parte di Shakespeare, anche se la tragedia
manzoniana è una tragedia che si differenzia per varie caratteristiche.
Le tragedie di Manzoni hanno una finalità didascalica, educativa, formativa: egli sceglie la tragedia
come strumento portatore e divulgatore dei canoni e dogmi cristiani. Ergo, all’interno delle opere
tragiche non poteva mancare ciò che si canonizza nel “Pessimismo cristiano di Manzoni”: La storia
è caratterizzata dallo scontro dicotomico tra il bene e il male. L’individuo umano, essendo
marchiato per natura dal peccato originale biblico, ha un’indole malvagia e spietata che lo spingerà
a votarsi alle forze maligne, peggiorando sempre più la sua condizione di uomo.
Le tragedie più importanti del Manzoni sono: “Il conte di Carmagnola” e “Adelchi”.
Adelchi: Fu pubblicata nel 1822, lo stesso anno della Pentecoste. Anche in questa tragedia
troviamo la rappresentazione di reali eventi storici e il quadro storico in cui si inserisce la tragedia è
l’Italia dell’VIII secolo, ovvero l’Italia dell’Alto Medioevo quando è combattuta fra i
Longobardi e i Franchi. I longobardi sono capeggiati dal re Desiderio, mentre i Franchi da Carlo
Magno. Prima di scrivere la tragedia, Manzoni si documenta bene sul periodo storico che sta
rappresentando, ed infatti, prima della tragedia, scrive un discorso su alcuni punti della storia
longobardica in Italia.
Il re Desiderio si accorda con Carlo Magno per spartirsi il dominio sui territori italiani e suggellano
questo accordo con il matrimonio della figlia del re Desiderio, Ermengarda, con Carlo Magno.
Desiderio, oltre ad avere Ermengarda, ha anche un altro figlio, Adelchi. Carlo Magno, politico più
abile rispetto a Desiderio, riesce ad ottenere la protezione da parte dello Stato Pontificio e quindi,
stabilendo degli accordi anche militari con esso, non ha bisogno di tener fede all’accordo politico
stipulato con re Desiderio. Infatti, rompe questo accordo di alleanza e per rappresentare questa
rottura, ripudia Ermengarda, la quale muore per la sofferenza dell’amore. A questo punto, il re
Desiderio vuole vendicarsi dell’offerta subita e quindi dichiara guerra ai Franchi, anche se è una
guerra persa fin dall’inizio poiché i Franchi erano militarmente più forti. Re Desiderio costringe il
figlio Adelchi ad occupare i territori del Papa. Adelchi non vorrebbe farlo, però, vittima della
decisione politica del padre, acconsente a questa spedizione militare e i Longobardi vengono,
ovviamente, sconfitti. Adelchi muore sul campo di battaglia mentre Desiderio viene fatto
prigioniero da Carlo. Prima di morire, Adelchi invoca i Franchi affinché suo padre venga
risparmiato. Così termina la tragedia.
La tragedia si sviluppa dunque intorno a quattro personaggi. Due sono Desiderio e Carlo Magno,
personaggi politici che si muovono per affermare il proprio potere e le cui ragioni sono governate
dalla cosiddetta Ragion di Stato. In nome di quest’ultima, essi sono disposti a calpestare i
sentimenti e la volontà di personaggi che sono a loro molto cari e vicini, per esempio Adelchi, un
giovane molto generoso che non avrebbe mai voluto occupare i territori del Pontefice. Desiderio dà
in sposa sua figlia a Carlo Magno, pur sapendo che era un uomo di cui non ci si poteva fidare. Sia
Carlo che Desiderio, sono disposti a sottomettere tutto per affermare il proprio potere. Sono
personaggi negativi.
Adelchi è sicuramente, insieme a Jacopo Ortis, il personaggio più romantico della letteratura
italiana. Ortis è l’uomo del tedio interiore e delle innumerevoli riflessioni sull’uomo e sulla sua
vita, che lo porteranno ad assumere un atteggiamento di ribellione, di titanismo. A differenza
dell’Ortis, Adelchi non reagisce ad opporsi alla Ragione di Stato e per questo ne resta succube, una
vittima innocente. Egli muore denunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica:
accettare di agire nella storia significa per forza accettarne le regole e, se si è un’anima grande e
nobile, patirne le contraddizioni. La morte è il riscatto in un’altra dimensione, dove la creatura
raggiunge la perfezione; quest’altra dimensione non è un’utopia, ma per il cristiano Manzoni è la
vera alternativa al mondo ingiusto della Storia. Da non dimenticare che morte, dolore, sofferenza
sono strumenti di cui l’uomo deve necessariamente avvalersi per purificarsi e per avvicinare la
propria anima a Dio (provvida sventura).
Il Coro di Ermengarda: Segue il quarto atto, in cui Ermengarda confessa alla sorella di aver
sempre amato in modo sensuale; ella si sente vicino alla morte e chiede alla sorella di voler essere
sepolta con l’anello nunziale perché dice che anche nella morte si sente sposa di Carlo, che indica la
fedeltà a questo amore coniugale. La sorella cerca di distoglierla da questa illusione, cercando di
farla fare monaca sposando Dio. Lei non accetta quindi rifiuta Dio perché dice di sentirsi sposata
con Carlo e non può essere sposata ad altri. È animata da un’ultima illusione: può darsi che dopo la
sua morte Carlo richieda le sue spoglie e la seppellisca nella tomba regale in modo che dopo la
morte possano stare insieme. Ma la sorella dice che Carlo non l’ha mai amata infatti sta per sposare
un’altra. La sofferenza aumenta e si trasforma in delirio prima di morire e qui c’è il coro.
È l’espressione lirica più alta di Manzoni nel senso che qui è tanto evidente lo studio psicologico
del personaggio che i sentimenti prendono il sopravvento sulla rappresentazione del vero quindi è la
prova poetica più alta di Manzoni. È costituito da 20 strofe, ognuna da 6 settenari e all’interno della
strofa il primo e il terzo sono sdruccioli, etc. Rima a due a due. Si parla di struttura chiusa ciclica in
quanto abbiamo l’alternarsi di tre diversi piani temporali. Si inizia con il presente e si termina con il
presente (chiusa). I piani temporali sono:
1. presente (strofe 1-4) in cui viene rappresentata Ermengarda negli ultimi istanti di vita;
2. passato prossimo (strofa 5) in cui lei cerca di obliare l’amore per Carlo nella tranquillità del
convento;
3. passato remoto (strofe 6-10), ovvero i ricordi di Ermengarda dei giorni felici come sposa di
Carlo;
4. nuovo passato prossimo (strofe 11-14);
5. di nuovo presente (strofe 15-20).
Lo schema rime è: a b c b d e.
Nella prima strofa il soggetto pia è posposto con iperbato al quinto verso. È definita pia in quanto è
resa innocente dalla sofferenza. Descrive l’aspettò di Ermengarda sul punto di morte. Sparsa, lenta:
ipallage. Palme: sineddoche.
Dalla seconda strofa rappresenta cosa c’è intorno ad ella: le suore che piangono, ad un certo punto
termina questo pianto e iniziano a pregare e viene rappresentata una scena che sembra riportare a
Napoleone quando la mano provvida scende dal cielo e trasporta Napoleone nei campi elisi. Qui la
mano leggera cala sulla gelida fronte e stende il velo della morte su di lei, viene in soccorso della
sua anima e la porta verso la beatitudine eterna. Gentile: topos letterario per indicare la nobiltà
d’animo. Così viene definita Ermengarda. Concezione manzoniana della morte, opposta a Foscolo:
per Foscolo dopo la morte non c’è niente per Manzoni la morte è l’inizio della vera vita.
Nella quinta strofa descrive ciò che Ermengarda aveva fatto durante i giorni trascorsi nel convento
di Brescia: lei spesse volte insonne non riusciva a dormire e girovagava per i chiostri da sola e
pregava Dio presso gli altari affinché potesse obliare il suo amore però non ci riusciva perché nel
suo pensiero ritornavano i giorni trascorsi con Carlo. Ma questa preghiera non porta buoni risultati
in quanto lei ricordava sempre quei giorni e quindi inizia la parentesi dei giorni felici con Carlo fino
alla 10ª strofa e viene descritta una particolare scena (descritta in maniera violenta per indicare la
violenza a cui Carlo era propenso) di caccia. Ermengarda solo in questo coro mostra un po’ del
titanismo nel delirio perché durante la vita era sempre stata vittima e aveva subito le azioni degli
altri e solo qui a partire dall’atto 4 trova la forza per dichiarare il suo amore che lei non era mai
riuscita a dichiarare. Di fronte alla violenza della scena di caccia non riesce a reggere la vista di
questa tanta violenza, è fragile e volta il suo sguardo verso le ancelle. Quindi si mette in antitesi
l’atteggiamento di Carlo, violento, con quello puro di Ermengarda, questa fanciulla genuina che non
immagina nemmeno cosa il futuro le riservi.
Immagine stereotipata della bellezza di Ermengarda con capelli biondi adornata da gemme.
Re dei che chiome perifrasi per Carlo.
Ritmo molto veloce per questa scena con enumerazione mista per rappresentare in maniera ancora
più rapida con l’anafora. La paura la rendeva più amabile perché la rappresentava come una
donzella non incline alla violenza, dolce (d’amabile terror). Ricordo di Carlo che quando tornava
dalle battaglie era solito fermarsi preso il fiume Mosa e bagnare l’armatura e il corpo insanguinato
nelle acque di questo fiume in Aquisgrana. Sudore glorioso perché provocato dalla guerra. Dal V 61
fino a 84 c’è una delle similitudini più altamente poetiche di tutta la produzione letteraria, in cui
viene fatta la similitudine naturale tra il cuore di Ermengarda e l’erba, quindi elementi tratti dalla
natura. La rugiada di buon mattino ridona una sorta di vitalità all’erba che era stata appassita dal
caldo rovente e quindi i cespugli riescono a risorgere per un momento però poi sorge il sole, il caldo
man mano avanza e nuovamente questi cespugli che hanno acquisito una piccola vitalità nelle prime
ore mattutine grazie alla rugiada vengono nuovamente abbattuti al suolo e inaridiscono di nuovo.
Allo stesso modo succede per il cuore di Ermengarda perché tale cuore aveva ottenuto una piccola
tranquillità quando si era rifugiata nel convento grazie alle parole della sorella e delle suore ma tale
tranquillità era momentanea perché lei non riesce a dimenticare mai l’amore per Carlo quindi così
come l’erba prende vitalità solo per un piccolo tempo grazie alla rugiada allo stesso modo il cuore
di Ermengarda grazie alle parole delle suore. Ma l’oblio tanto ricercato non lo raggiunge mai e la
passione torna a impossessarsi del suo cuore ancora con più forza, fino a portarla al completo
delirio. Non riesce a reggere la violenza di questo amore che si impadronisce del suo animo.
I promessi sposi
La scelta del romanzo: Manzoni vede nel romanzo un genere che più si addice alla sua poetica
del vero, dell’utile e dell’interessante. Inoltre, attraverso il romanzo raggiunge un pubblico più
vasto. Questa è un’innovazione nella tradizione italiana poiché egli non sceglie la poesia o la
tragedia per il suo lavoro più importante bensì il romanzo. In realtà, il romanzo era nato già in
Inghilterra (romanzo epistolare, romanzo storico). L’autore adoperò uno stile semplice, colloquiale,
privo di fraintendimenti, che mirasse ad una fruizione più ampia e più consapevole e che si
rivolgesse al popolo (secondo la teorizzazione della “letteratura popolare” di Berchet nella
“Lettera semiseria di Grisostomo al figlio”).
La scelta del romanzo storico: Il romanzo storico è un particolare genere letterario in cui
l’ambientazione storica ha un valore documentaristico perché intende trasmettere lo spirito, i
comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un'aderenza, fittizia o meno,
ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti oppure una mescolanza di
personaggi storici e di invenzione. Il romanzo storico nacque in Inghilterra per mano del poeta e
romanziere scozzese, Walter Scott (1771-1832), il quale diede profondità e dignità al genere, autore
del primo romanzo storico: “Ivanoe”. Manzoni sceglie questo tipo di romanzo poiché tratta del
vero, già trattato nelle odi e nelle tragedie. Egli, seguendo l’esempio di Walter Scott, non sceglie
come protagonisti del suo romanzo personaggi storici importanti bensì sceglie Renzo e Lucia, due
umili popolani, i quali sono due personaggi inventati. Manzoni, però, prima di dare avvio alla
scrittura del suo romanzo, si documenta talmente bene sul periodo storico che va a trattare che
Renzo e Lucia, pur se sono frutto di fantasia, presentano caratteristiche tipiche dell’ambiente storico
che viene trattato, sia nel modo di parlare, sia nel modo di comportarsi. Manzoni, rispetto a Scott, si
documenta in maniera pedissequa nei confronti del contesto storico che va a trattare, ovvero il 600
Lombardo, quando la Lombardia era sotto il governo degli spagnoli. Infatti, Manzoni criticherà
Scott per aver dato troppo spazio all’invenzione all’interno del vero storico. Manzoni, a differenza
di Scott (che agiva talvolta con libertà e fantasia sulla ricostruzione storica per piegarla alla
piacevolezza della narrazione), cerca nel suo unico romanzo una tesi, partendo da un’accuratissima
ricostruzione: in altre parole, la Storia è utilizzata con funzione dimostrativa e non solo come
ambientazione. La sua opera si differenzia, però, da un’opera storiografica in quanto non c’è
soltanto la rappresentazione oggettiva dei fatti, ma in Manzoni c’è un attento studio psicologico dei
personaggi. Infatti, prima di far entrare in azione un personaggio, l’autore ce lo presenta per far
capire meglio al lettore il comportamento di tale personaggio. C’è una profonda introspezione
psicologica, per cui noi ricaveremo la caratterizzazione dei personaggi non dalle azioni che compie
ma dalla rappresentazione antecedente all’azione.
Il fine: è lo stesso fine che già abbiamo visto nel primo coro dell’Adelchi e nel coro del Conte di
Carmagnola perché attraverso il passato, Manzoni fa riferimento alla realtà presente. Se Manzoni
avesse scritto un romanzo in cui avesse criticato la dominazione austriaca (quella contemporanea
all’autore) in Italia, il romanzo sarebbe stato censurato subito e i promessi sposi non avrebbero mai
riscosso quel successo quando furono pubblicati. L’atteggiamento dell’autore è molto critico nei
confronti della dominazione spagnola e questa viene rappresentata come una dominazione iniqua in
cui trionfa l’oppressione dei ceti più forti sui ceti più deboli e l’ingiustizia nell’amministrazione
giuridica (la legge protegge sempre i più forti), vige un sistema legislativo molto vacillante
(Manzoni fa riferimento alle Grida, ovvero le leggi che venivano urlate al popolo), ognuno dava una
propria interpretazione delle leggi a seconda degli interessi personali che voleva difendere, è
presente una politica economica molto debole. Quindi attraverso la critica alla società spagnola
del Seicento, critica la dominazione degli austriaci in Italia. Il fine è quello di far rendere conto
gli italiani che non bisogna mai affidarsi agli stranieri, poiché questi adottano sempre una politica
di sfruttamento del territorio. Spinge gli italiani all’insurrezione. Manzoni cerca di offrire
attraverso il suo romanzo un modello di società ideale. Quest’ultima è una società in cui ci sia un
forte potere centrale, che non appoggi nessun veto sociale, ma che sia da arbitro per le controversie
che sorgono fra le varie classi. Uno stato che sappia amministrare bene la giustizia in modo che
nessuno sia vittima di soprusi. Uno stato che possa portare avanti un’oculata politica economica,
che garantisca la prosperità del territorio in questo campo. Puntava alla realizzazione dello stato
ideale, enunciato anche nell’inno sacro “La Pentecoste” in cui i ricchi, animati da un grande senso
di solidarietà, elargivano ai poveri copiose ricchezze, senza ostentare l’atto di bontà, in modo che il
bisognoso non si sentisse oltraggiato. Manzoni appartiene ai liberal-moderati progressisti: c’è
bisogno di un progresso portato avanti con delle riforme moderate sostenute dal ceto medio (la linea
moderata di Cavour). Manzoni non ha fiducia nel popolo.
Concezione della folla: Sarebbe errato definire Manzoni un populista, in quanto egli stesso
enucleava e riteneva che il popolo non fosse né in grado di perorare il processo politico unificativo,
né che esso fosse una classe sociale a cui delegare il potere economico ed il comando della nazione.
Non ha fiducia in esso e lo rappresenta, nei diversi tumulti di Milano, come una “massa informe ed
ignorante”; dunque sarebbe ugualmente scorretto definire “I Promessi Sposi” un’epopea del
popolo in cui vi è un’esaltazione esasperata degli umili. In effetti, Manzoni vede il popolo come
portatore di valori positivi (morali, civili e religiosi) che nella classe dirigente sembrano sopiti.
Edizioni:
1. La prima stesura del romanzo l’abbiamo fra il 1821 e il 1823 ma non venne mai pubblicata;
venne pubblicata dopo da altri poiché Manzoni era scontento dal punto di visto
contenutistico nonché stilistico. Il suo titolo era “Fermo e Lucia”.
2. Poi Manzoni rivede questa prima stesura, e quindi c’è una seconda stesura e pubblicazione
da parte dell’autore nel 1827 (venitssettana).
3. Nel 1840 c’è la soluzione linguistica nell’ultima stesura (quarantana).
La prima stesura presenta differenze enormi dalla seconda e dalla terza. Per esempio, nella prima
stesura veniva prima raccontata la storia di Lucia e poi quella di Fermo. Nelle ultime due
pubblicazioni, le storie si intrecciano. Alcune storie di alcuni personaggi erano molto più ampie
rispetto alla ventisettana e alla quarantana, come la storia della Monaca di Monza. Manzoni elimina
i particolari della storia d’amore fra lei e Egidio ma anche nell’uccisione della monaca che aveva
scoperto la tresca. Manzoni li sintetizza al massimo poiché li trova poco utili come insegnamento.
Anche la rappresentazione di alcuni personaggi viene modifica. L’innominato, che in “Fermo e
Lucia” viene chiamato il Conte del Sagrato, ci viene descritto come un personaggio malefico,
veniva rappresentata maggiormente la negatività del personaggio. Nelle ultime due redazioni
abbiamo uno studio psicologico molto più approfondito di questo personaggio mentre nella prima
redazione non si nota tale studio introspettivo.
Nella prima redazione, c’erano più digressioni, di natura soprattutto economica e politica, che
continuano ad esserci nelle altre due ma sono sintetizzate.
Il narratore è sempre onnisciente e presenta una focalizzazione zero (la storia è vista dall’alto).
A volte la focalizzazione si sposta e segue il punto di vista di Renzo (focalizzazione interna), che
comprende la storia durante il suo svolgimento; dunque la focalizzazione del romanzo è una
focalizzazione mobile.
Quello che cambia è la modalità con cui il narratore interviene nel romanzo per esprimere i propri
giudizi. Mentre nella prima redazione, gli interventi sono più palesi, nella seconda e nella terza il
narratore comunque giudica le azioni dei suoi personaggi ma lo fa attraverso degli accorgimenti che
non ci fanno proprio capire bene che è un intervento del narratore (giudizi o aggettivi).
Per quanto riguarda l’aspetto linguistico, ci sono differenze in tutte e tre le redazioni. Sin
dall’inizio, Manzoni si presuppone di scrivere in modo semplice. Nella prima redazione, egli sceglie
come base il toscano letterario (scritto) che però viene un po’ animato dall’inserimento di termini
tratti dai vari dialetti italiani. In particolar modo, utilizza il dialetto milanese, fiorentino e ci sono
molti francesismi. Nella ventisettana, Manzoni apporta dei mutamenti relativi soprattutto al
predominio del dialetto fiorentino sugli altri dialetti anche se come base abbiamo sempre il toscano
letterario. Nella quarantana, giunge ad una soluzione che rappresenta la soluzione alla questione
della lingua: Manzoni dice che bisogna utilizzare una lingua che non sia più una lingua letteraria
bensì una lingua parlata. Egli utilizza il fiorentino che viene parlato dal ceto medio, ovvero dalla
borghesia. Questa lingua sarà destinata a diventare la lingua italiana. Manzoni fu il primo ad
avvertire che per raggiungere l’unificazione politica, bisognava prima raggiungere un’unificazione
linguistica e risolve la “questione della lingua”, iniziata già da Dante nel “De vulgari eloquentia”.