Sei sulla pagina 1di 14

Manzoni

Manzoni rappresenta l’intellettuale che meglio incarna le caratteristiche del romanticismo italiano
che si differenzia dal romanticismo europeo in quanto gli intellettuali che vivono nella prima metà
dell’Ottocento non risentono ancora del conflitto con la società come gli intellettuali europei. Gli
intellettuali italiani non avvertono ancora questo conflitto perché l’Italia si trovava in una situazione
socioeconomica meno avanzata rispetto agli altri paesi europei. Infatti, la prima rivoluzione
industriale in Italia avviene solo nella seconda metà dell’Ottocento, mentre negli altri paesi europei
avveniva già la seconda. L’intellettuale perde la sua posizione di privilegio di cui aveva goduto
durante le altre epoche. Gli intellettuali vivono ancora dentro la società ed infatti Manzoni è uno dei
rappresentati più importanti della società del Risorgimento.

Confronto Foscolo-Manzoni
Manzoni nasce nel 1785 e muore nel 1873, quindi vive ben 88 anni.
Abbiamo definito Foscolo un intellettuale attivo perché anche quando c’è la rottura nei confronti del
contesto egli continua a militare nell’esercito napoleonico e la sua critica è mossa dall’interno del
contesto stesso. Manzoni non può essere considerato un intellettuale attivo alla stregua di Foscolo.
Egli vive durante il Risorgimento e la sua vita si protrae dopo quella di Foscolo. Un intellettuale
attivo alla stregua di Foscolo avrebbe partecipato ai moti risorgimentali, invece, Manzoni non
prende mai parte di persona a tali moti pur vivendo a Milano. Ciò nonostante nessun uomo più di
Manzoni riesce attraverso la sua opera, quindi indirettamente, a svegliare le coscienze degli italiani.
Quindi è vero che la sua partecipazione ai moti risorgimentali è una partecipazione indiretta, ma
anche vero che nessuno riesce a partecipare indirettamente in maniera così “attiva” ai moti
risorgimentali. Manzoni fu considerato un intellettuale di riferimento durante la sua stessa vita,
infatti “I promessi sposi” furono studiati all’interno di tutte le scuole pubbliche italiane ed era
considerata un’opera di insegnamento che andava seguita, sia per quanto riguarda il valore civile e
politico sia per quanto riguarda la soluzione della lingua. Manzoni capisce, primo fra tutti, che era
impossibile unificare l’Italia se prima non veniva unificata dal punto di vista linguistico e culturale
ed infatti grazie ai promessi sposi egli riesce a risolvere quella che era la cosiddetta questione della
lingua che nasce con Dante, nel 300, con il De vulgari eloquentia.
Se in Foscolo convivono le tre tendenze del tempo (neoclassicismo, preromanticismo e
illuminismo) possiamo dire, in parte, la stessa cosa di Manzoni. Egli ha una formazione classica
avvenuta nel collegio dei padri barnabiti. È il figlio di Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria,
rappresentante dell’illuminismo Lombardo quindi Manzoni è influenzato dalla cultura illuministica.
Successivamente, la madre divorzia con il marito e se ne va a vivere in Francia con Carlo Imbonati
(Parini diventa il precettore del giovane Carlo Imbonati). Anche Carlo Imbonati era molto aperto
alle ideologie illuministiche. Manzoni avrà un rapporto di grande stima con questo secondo
compagno della madre tanto è vero che scriverà in età giovanile il carme “In morte di Carlo
Imbonati”. Manzoni ha una formazione tipicamente classica quindi anche improntata alle nuove
ideologie del neoclassicismo, appresa nel collegio quando la madre si reca in Francia con Carlo
Imbonati. Soltanto la prima produzione poetica di Manzoni è improntata al neoclassicismo, poi in
seguito alla sua conversione al cattolicesimo, abbraccia un nuovo tipo di produzione, quella
romantica, all’interno della quale saranno sempre presenti le ideologie illuministiche che gli erano
state trasmesse prima di tutto dalla sua famiglia. Infatti, quando egli vive con il nonno a Milano
frequenta gli intellettuali illuministi, anche quelli rivoluzionari dei napoletani. Tali ideologie
saranno rafforzate anche quando abbandona Milano, a seguito della morte di Carlo Imbonati e va a
vivere a Parigi e ha contatti con Claude Fauriel con il quale avrà un fitto scambio di epistole. Anche
in Manzoni, come in Foscolo, troviamo la presenza delle tre componenti alle quali poi si accosterà
anche il romanticismo, perché lui vive nel momento in cui le idee romantiche si diffondono in Italia,
prima di tutto a Milano, considerata la patria culturale del momento.
Le ideologie del romanticismo sono delle ideologie che sembrano continuare quelle che erano state
le ideologie degli illuministi Lombardi. Ciò si avverte grazie agli scritti di Madame de Staël, i quali
esprimono l’esigenza di svecchiamento della cultura italiana nei confronti della tradizione, e tale
svecchiamento doveva essere basato su: il vero, l’utile e l’interessante. Questo non è altro ciò che
era stato già detto dagli illuministi. La letteratura romantica italiana si distingue anche per questo
dal romanticismo europeo.
I romantici non danno alla ragione valore essenziale perché accanto alla ragione si valuta un’altra
componente dell’uomo: il sentimento. I comportamenti degli uomini non sono fatti soltanto dalla
ragione ma gli uomini sono spinti ad agire in un modo per i sentimenti che provano in quel
determinato momento.
Gli ideali illuministici saranno presenti in Manzoni anche quando avverrà la sua conversione
religiosa (1810). Ciò è possibile perché Manzoni riprende quegli ideali che sono un tutt’uno con lo
spirito cattolico. Quindi la sua conversione non porterà mai all’allontanamento dagli ideali
principali dell’illuminismo che egli aveva appreso durante la sua formazione giovanile.
Manzoni, nell’ottobre del 1807, dopo il suo ritorno a Milano, conobbe Enrichetta Blondel, di
famiglia calvinista. I due si fidanzarono e il matrimonio fu celebrato secondo il rito calvinista.
Soltanto dopo la conversione della moglie alla fede cristiana avvenne anche quella dell’autore,
preceduta da profonde crisi spirituali che lo portarono ad abbracciare la nuova fede. Difatti fece
battezzare la figlia Giulia e volle ricelebrare il matrimonio secondo il rito cattolico.

Giansenismo: All’inizio, Manzoni riprende la concezione dei giansenisti. Questi ultimi avevano
una concezione molto pessimistica della vita e dell’uomo perché credevano che l’uomo dopo il
peccato originale si era macchiato di una colpa che non si poteva espiare in nessun modo. Gli
uomini dunque erano propensi sempre al male, piuttosto che al bene, e più si andava avanti con la
storia questa portava esempi sempre più espressivi della malvagità degli uomini. Quindi la storia è
vista anche come una successione di eventi che va verso l’affermazione del male. Soltanto Dio
sceglie, e non si sa in base a quale criterio, degli uomini cui dare in dono la cosiddetta grazia divina
che grazie a questa gli uomini potranno godere della beatitudine eterna. L’uomo quindi è
condannato al male e non può salvarsi. Anche Manzoni ha una concezione abbastanza pessimistica
dell’uomo e della storia che deriva dai giansenisti. Però per Manzoni, c’è la possibilità del libero
arbitrio. È vero che l’uomo è predisposto al male, ma grazie alla sua volontà può riscattarsi e
combattere il male e può anche, in alcuni casi, sconfiggerlo. Un esempio di questo è la conversione
dell’Innominato e dello stesso Fra Cristoforo.

Il pensiero che matura dopo la sua conversione


Dal 1810 in poi, la vita del Manzoni cambia totalmente. Dopo il suo ritorno in Italia e la sua
conversione, Manzoni preferisce vivere in disparte da quelli che sono gli eventi storici che
caratterizzano la storia del tempo anche se in concomitanza di questi eventi egli scrive dell’opere,
ovvero le odi civili. Sono opere che sono ispirate ai fatti storici del tempo. L’opera che rivela
maggiormente questa partecipazione indiretta è il suo romanzo storico “I promessi sposi”.
Gli anni che vanno dal 1812 al 1827 sono gli anni più proficui per la sua produzione. Dopo il 1827
si può dire quasi concluso il periodo più creativo del Manzoni perché è impegnato per lo più a
risolvere il problema della lingua e a curare la terza redazione del suo romanzo più famoso. La
personalità del Manzoni non è una personalità tranquilla e, infatti, ebbe un sacco di crisi. Fu un
intellettuale molto irrequieto anche da un punto di vista del suo stato mentale e del resto la sua vita
fu anche funestata da molti lutti. Muore la moglie, la madre ed alcuni suoi figli. Gli anni successivi
al 1840 furono abbastanza tristi e, dopo la costituzione del Regno d’Italia, venne nominato senatore
a vita del Regno e fu sempre contrario all’esercizio del potere temporale della chiesa.
La conversione contribuisce a fargli mutare la sua concezione sia della storia che della
letteratura. Si suole dividere la sua produzione in due parti: una precedente alla conversione e
l'altra successiva. Ad esempio, prima della sua conversione, avevamo la presenza di spunti
neoclassici: possiamo ricordare il poemetto "Urania”, di stampo classsico, che ricalca i temi trattati
da Foscolo nelle “Grazie” o da Vincenzo Monti nella “Musogonia”. In quest’opera viene esaltata la
bellezza vista come civilizzatrice: grazie alla nascita di queste dee, gli uomini si liberavano dagli
istinti felini e si elevavano spiritualmente danzo inizio alla civiltà. Dopo la sua conversione,
abbandona completamente la componente neoclassica, a differenza di Foscolo.
La prima opera che è esemplificativa riguardo questa sua nuova concezione della storia è "Le
osservazioni sulla morale cattolica". In quest'opera egli critica la posizione di uno storico
ginevrino che aveva scritto un'opera storica nella quale considera l'opera cattolica come elemento di
degradazione morale dell'individuo. Manzoni, invece, presenta la morale cattolica, come elemento
di guida per ogni azione (civile e politica).
La concezione che Manzoni ha della storia dopo la conversione è molto diversa dalla concezione
che derivava dalla concezione classica, cui si rifà anche lo stesso Foscolo. Per Manzoni la storia è
fatta dal popolo e il poeta dà grande importanza non soltanto ai protagonisti, che passano anche in
secondo piano, ma anche agli sconfitti. Per quanto riguarda la tradizione classicistica della storia, i
romani erano considerati l'esempio massimo di cultura, erano considerati come il popolo custode
dei valori di maggiore civiltà, in pratica, un esempio da seguire. Manzoni, dopo che si avvicina al
cattolicesimo, vede nel popolo romano non un esempio da seguire ma un popolo spregiudicato e
violento, un popolo che basandosi sulla forza delle armi non ha fatto altro che schiacciare gli altri
popoli, inducendoli ad abbandonare i propri usi e costumi. Sostituisce all'età classica, come
esempio, l'età medievale. Manzoni rivaluta il Medioevo (elemento che lo distingue dagli
illuministi), carattere futuro del romanticismo. Inoltre, la concezione che Manzoni ha della storia è
una concezione abbastanza tragica. Il pessimismo storico manzoniano deriva dalla corrente del
giansenismo. Dai giansenisti egli deriva il concetto di tragicità della storia che consiste nel fatto che
l'uomo, dopo essersi macchiato del peccato originale, è portato ad agire verso il male. Anche se
Manzoni vede sempre la possibilità di riscattarsi dal male attraverso la libertà (libero arbitrio).
Dopo la conversione, le opere letterarie di Manzoni erano totalmente diverse rispetto a quelle
precedenti. Manzoni scrive una lettera a Cesare d'Azeglio (faceva parte del giornale che era il
manifesto del romanticismo italiano) per spiegare quali sono le caratteristiche che un'opera
letteraria deve avere, che non sono altro che le caratteristiche dell'illuminismo lombardo. Considera
quali elementi fondanti della produzione letteraria:
1. il vero come oggetto, cioè l'opera deve ispirarsi alla realtà. Bisogna dire, però, che il vero
non è soltanto quello storico, ma esiste anche il vero religioso, ovvero, l'opera si può fare
interprete di quelli che sono i sentimenti religiosi che accomunano la comunità religiosa (gli
inni sacri sono proprio ispirati al vero religioso);
2. l'utile come mezzo, quindi l'opera deve essere di insegnamento ed è un insegnamento prima
di tutto morale che deve ispirarsi a quelli che sono gli elementi fondanti della morale
cattolica (filantropismo). Non esiste solo un utile morale ma anche un utile civile e politico,
quindi l'opera deve trattare quelle che sono le principali problematiche politiche e civili del
tempo e deve contribuire a risolvere tali problematiche (i promessi sposi: sprona gli animi
degli italiani nel movimento risorgimentale);
3. l'interessante come scopo, ovvero l'opera doveva trattare degli argomenti vicini al pubblico
che non è più il pubblico ristretto di intellettuali che conoscono il latino ma è un pubblico
molto più ampio, infatti Manzoni parlerà di popolo (non nell'accezione intesa oggi ma del
pubblico borghese). Dunque, c'è questa esigenza di riforma dello stile e della lingua (il
problema linguistico viene trattato negli ultimi anni della sua produzione letteraria con
l'ultima edizione dei promessi sposi, la quarantana, in cui risolve il problema della lingua
dando una soluzione e presentando una lingua che potesse essere ben compresa da tutto il
popolo italiano, una lingua che diventa l'elemento di unificazione culturale di un popolo).
Vengono eliminati quelli che sono i contenuti classicheggianti, come il ricorso al mito e alle favole,
il voler isolarsi in un modo al di fuori della realtà contingente. C'è dunque un abbandono totale della
letteratura classica in favore dei tre elementi.

Lettera a Chauvet, il problema del vero: quale differenza ci sarà tra un'opera poetica e
un'opera storica? La tragicità dell'opera poetica deriva dalla storia stessa, poiché essa è tragica. Il
poeta deve ispirarsi alla storia e alla drammaticità che è insita nei fatti storici, però, accompagna a
questa rappresentazione della storia, la rappresentazione dei moventi psicologici che hanno spinto
gli individui ad agire in quel determinato modo e dei sentimenti che hanno spinto gli individui ad
agire in quel determinato modo. In realtà, nella distinzione fra storia e poesia, Manzoni si rifà a
Tasso, anzi, quasi non dice niente di nuovo. Tasso, prima di scrivere la Gerusalemme liberata,
aveva scritto un discorso nel quale approfondiva la distinzione fra storia e poesia. Affermava che è
vero che la poesia si doveva ispirare agli eventi storici e religiosi ma il poeta deve riservarsi un suo
cantuccio lirico, di cui ne parlerà anche Manzoni nelle sue tragedie (i cori). Accanto alla
rappresentazione dei fatti, il poeta dovrà interpretare quelli che erano i sentimenti dei personaggi,
era una sorta di studio psicologico.

Inni sacri
La prima produzione che è postuma alla conversione del Manzoni è rappresentata dagli inni sacri
che furono pubblicati tra il 1812 e il 1815. Qui per la prima volta Manzoni applica la novità della
sua poetica, ossia del vero, dell’utile e dell’interessante, esplicata nella lettera a Cesare d’Azeglio.
Dobbiamo fare una scissione fra le opere che trattano il vero laico e le opere che trattano il vero
Cristiano, cioè gli argomenti di religione. Gli inni sacri trattano il vero Cristiano.
Innanzitutto, gli “Inni sacri” applicano la poetica del vero Cristiano che si sostituisce alla mitologia
classica e alla produzione fantastica. Per quanto riguarda gli altri due elementi fondanti della
produzione letteraria, l’utile degli inni è il trasmettere degli insegnamenti improntati all’etica
evangelica; l’interessante stava nel fatto che gli argomenti che Manzoni tratta in questi inni
interessavano l’intera comunità cattolica.
Non è una poesia soggettiva, e in questo notiamo una grande differenza con il romanticismo
europeo, in quale è un romanticismo in cui prevale l’io lirico (soggettività), quindi il poeta parla dei
suoi sentimenti. Gli inni sacri sono poesie corali perché Manzoni esprime quelli che sono i
sentimenti che accomunano l’intera comunità cristiana. Infatti, nella Pentecoste, non parla un “io”
ma utilizza un “noi”. L’io soggettivo viene sostituito da un “noi” corale. Un’altra grande
innovazione sta nel metro che viene utilizzato perché Manzoni abbandona l’endecasillabo, metro
tradizionale della produzione letteraria, e utilizza metri più corti, settenari, ottonari o al massimo
decasillabi; riducendo l’ampiezza del metro si conferisce al componimento un ritmo più rapido ed
incalzante.
Tutte queste innovazioni furono criticate, nella seconda metà dell’800, da Francesco De Sanctis,
perché niente affatto innovative. Manzoni, che veniva definito come il più grande romanziere
vivente, aveva semplicemente ripreso la morale cristiana e, a volte, l’aveva adottata anche
forzatamente. In Manzoni si andava formando l'uomo nuovo, che però «non cancellava l'antico:
anzi vi si inquadrava.»
Inizialmente, gli inni dovevano essere 12 riguardanti le principali festività liturgiche del
cattolicesimo, ma Manzoni ne concluse solamente 5. Un primo gruppo di inni furono pubblicati fra
il 1812 e il 1815 e in ciascuno Manzoni tratta una festività religiosa, oppure un evento Cristiano
importante. Questi inni portano il nome di: La Resurrezione, il Natale, la Passione e il nome di
Maria. L’inno più importante è la Pentecoste che però fu pubblicato più tardi, nel 1822, periodo in
cui Manzoni scrisse anche le odi civili.
Ci fu un ultimo inno che Manzoni iniziò ma non concluse che doveva essere intitolato Ogni Santi.
In genere, questi inni riportano una struttura tripartita. Nella prima parte abbiamo l’introduzione
dell’evento, nella seconda parte la rappresentazione dell’evento e nella terza parte, la più
importante, Manzoni descrive gli effetti che quell’evento ha determinato sugli uomini. Per quanto
riguarda la Pentecoste, questa terza parte è molto più ampia rispetto alle prime due.

Pentecoste: Rappresenta una festività liturgica che celebra la discesa dello Spirito Santo sugli
apostoli che avvenne cinquanta giorni dopo la resurrezione di Cristo (pentecostos, in greco,
significa 50). In seguito alla discesa dello Spirito Santo, accadde un vero e proprio miracolo cioè
che gli apostoli, pur predicando la dottrina in aramaico, riuscirono a farsi comprendere da tutti i
popoli sparsi nel mondo. In pratica, Manzoni scrive la Pentecoste perché vuole dare un messaggio
etico, ovvero, egli, nella terza parte, ma non soltanto lui perché utilizza il noi, implora lo spirito
santo affinché scenda nuovamente sugli animi delle persone e risvegli tutti quei sentimenti che
appunto sembrano essere stati accantonati. La Pentecoste è importante anche perché, anche se
ancora in germe, troviamo espresso il concetto di provvida sventura: coloro che maggiormente
soffrono in vita sono coloro che godranno della beatitudine terna. Quindi la sventura è necessaria
affinché l’uomo possa espiare parte dei suoi peccai già sulla terra ed avvicinarsi maggiormente a
Dio. E la sofferenza, accolta con gioia, ci renderà più simili e più vicini a Dio e ci permetterà di
raggiungere più velocemente la beatitudine eterna. Il concetto di provvida sventura è un’espressione
ossimorica: la sventura è provvida perché attraverso la sofferenza l’uomo inizia a depurarsi dai suoi
peccati e quindi si avvicina già durante la vita terrena a Dio, quindi la sofferenza è uno strumento
che ci avvicina a Dio già nella vita terrena. Man mano questo concetto si sviluppa sempre di più.
Per quanto riguarda l’adozione dei versi brevi, la troviamo attuata anche nella Pentecoste ed infatti,
da un punto di vista metrico, questo inno è costituito da 18 strofe di settenari. Il primo, il terzo e il
quinto sono sdruccioli (l’ultima parola ha l’accento sulla terzultima sillaba); il secondo, il quarto, il
sesto e il settimo sono piani (l’ultima parola ha l’accento sulla penultima sillaba); l’ultimo settenario
è tronco e rima con l’ultimo settenario della strofa successiva.
Lo schema delle rime è abcbdeef.
La prima parte è costituita dai versi 1-48 (sei strofe). Questa non è introduzione, che risulta
assente, ma Manzoni va direttamente alla rappresentazione dell’evento. In questa parte, l’autore già
rappresenta la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. La cosa più importante è che Manzoni
effettua un confronto fra la chiesa com’era prima della discesa dello Spirito Santo e la chiesa che
risulta rinnovata dalla discesa di esso. Prima della discesa viene data l’immagine di una chiesa
timorosa di essere perseguitata, che cercava la sicurezza nella chiusura delle mura, quindi non una
chiesa militante, combattiva che usciva fuori per diffondere la parola di Dio ma una chiesa che
cercava all’interno di se stessa protezione. È un’immagine abbastanza negativa e prenderà forma in
un personaggio dei promessi sposi, Don Abbondio. Dopo la discesa dello spirito santo, la Chiesa
esce rinvigorita delle sue forze ed è pronta a combattere, è una chiesa militante. Gli apostoli sono
pronti a combattere per diffondere la dottrina nei vari popoli. Ed avviene il già citato miracolo che
gli apostoli riescono a farsi comprendere da tutti i popoli del mondo, pur professando in aramaico.
La seconda parte è costituita dai versi 49-80 (dalla settima alla decima strofa). Essa tratta quelli
che sono gli effetti che la discesa dello Spirito Santo ha determinato su tutti gli uomini. Manzoni
dice che molti uomini che prima adoravano gli dei pagani, ora si convertono al cristianesimo. Parla
delle spose che quando aspetteranno un figlio non invocheranno più Giunone (dea del matrimonio e
della maternità) per proteggere il bambino, ma il feto sarà protetto da Dio. Parla della diffusione
dell’eguaglianza fra gli uomini, portando l’esempio della schiava che non deve essere più gelosa dei
figli che vengono allevati dalle donne libere in quanto la dottrina ci insegna che tutti siamo uguali.
La discesa ha determinato una rigenerazione negli uomini.
La terza parte è costituita dai versi 81-144 (dall’undicesima alla diciottesima strofa). Manzoni non
tratta più del passato, e quindi della prima discesa dello Spirito Santo, ma del presente. L’autore
immagina che tutti i popoli invochino una nuova discesa dello Spirito Santo sugli uomini affinché
siano rinvigoriti determinati valori che sembrano un po’ dimenticato dagli uomini. (Parallelismo
con Foscolo, anch’egli vuole fare ciò ma lo fa su un piano laico, attraverso i sepolcri della basilica
di Santa Croce).
Evoluzione concetto provvida sventura: La terza parte è la più importante e la più ampia e qui
si nota soprattutto la rivoluzione tecnica del Manzoni che sostituisce ad una poesia lirica soggettiva
tipica del romanticismo europeo, una poesia essenzialmente corale: negli “Inni sacri” esprime i
sentimenti di tutta la comunità cristiana in determinate festività liturgiche; infatti a partire dal V 81
usa la prima persona plurale. Nelle prime due parti descrive l’evento, nella terza rappresenta il
bisogno di una nuova discesa dello Spirito Santo affinché gli animi possano nuovamente rinnovarsi
e seguire i valori evangelici. Perciò c’è l’implorazione allo Spirito Santo affinché riscenda
sull’animo degli uomini per rinnovarli.
Nelle ultime tre strofe Manzoni rappresenta i sentimenti di cui ha il desiderio che vengano
risvegliati nell’animo umano. Attenzione sui primi quattro versi settenari (rivoluzione: settenario al
posto dell’endecasillabo: differenza anche con Foscolo. Settenario per dare ritmo più incalzante) in
cui si nota in germe il concetto di provvida sventura dicendo che i poveri devono accogliere le loro
sofferenza con gioia perché tali sofferenze li rendono più somiglianti e vicini a Dio durante la vita
terrena, quindi avranno un’opportunità in più di conquistare la salvezza rispetto ai ricchi. Infatti,
come nella Bibbia: beati i poveri per loro il regno dei cieli. La prospettiva è del tutto capovolta: i
protetti sono quelli che soffrono. Poi bisogna risvegliare la generosità e umiltà nei più ricchi. Spirito
santo che si risveglia nel riso dei bambini, nella pudicizia delle fanciulle. Gioia delle Nascose
vergini: monache, consacra il sacramento del matrimonio, modera il carattere dei giovani, etc. (Vedi
parafrasi) Quindi, nelle ultime tre strofe Manzoni ci fa questa rassegna dei sentimenti che desidera
che vengano rinvigoriti grazie ad una nuova discesa dello Spirito Santo.

Le odi civili
Vengono definiti odi civili e patriottiche perché egli tratta il cosiddetto detto vero storico per cui si
passa dalla trattazione del vero religioso degli “Inni sacri” alla trattazione del vero storico delle odi
e delle tragedie in seguito. Le odi più importanti sono:
1. “Marzo 1821” dedicata ai moti insurrezionali di questo anno, attraverso la quale l’autore
partecipa indirettamente al movimento;
2. “5 maggio” che parla della morte di Napoleone.
Manzoni tratta di fatti storici seguendo tre punti: vero, utile e interessante. Tratta di fatti storici per
far interessare il pubblico. La storia è sempre interpretata in chiave provvidenziale e cristiana e
quindi in una prospettiva religiosa: niente succede per caso ma tutto fa parte di quel disegno
provvidenziale stabilito per l’umanità. Infatti, per quanto riguarda “Marzo 1821”, c’è la
rappresentazione di Dio che soccorre la causa del popolo piemontese che lotta per ottenere
l’indipendenza contro gli austriaci e c’è anche la speranza che tutto l’esercito piemontese si unisca
ai lombardi insorti per fronteggiare gli austriaci, cosa che non succede. C’è sempre una
prospettiva religiosa nell’ambito del fatto storico. Dio sposa la causa dei più deboli ma non è
detto che con il patrocinio divino si arrivi alla vittoria e questo evento lo dimostra. È ancora più
esplicito il concetto di provvida sventura nel “5 maggio”, ispirato alla morte di Napoleone
avvenuta nel 1821 mentre egli era in esilio nell’isola di Sant’Elena. Visibile rivoluzione forme di
Manzoni.
Lo schema metrico delle odi ripete quello della Pentecoste: 18 strofe da 6 versi settenari di cui
primo, terzo e quinto sono settenari sdruccioli (ultima parola verso sdrucciola), secondo, quarto e
sesto sono piani, mentre l’ultimo è tronco. Non troviamo una rima vera e proprio ma solo
corrispondenza rima tra secondo e quarto verso.

“5 maggio”: Anche il 5 maggio, come la Pentecoste, si può dividere in tre parti:


1. la prima parte si articola per le prime 4 strofe (V. 1-24). Nelle prime due strofe Manzoni
rappresenta la morte di Napoleone e la diffusione rapida della notizia della morte fra tutti gli
uomini e l’atteggiamento con cui l’umanità accoglie questa notizia: tutti sono sbalorditi, attoniti
ma più importante è l’atteggiamento che mostra il poeta per questa notizia, visibile nella terza e
questa strofa. Vergin di servo encomio: Il suo genio poetico durante la vita non ha mai adulato
attraverso la poesia le sue imprese quindi rivendica la sua libertà di espressione ora che è morto
il potere (Napoleone). Il suo genio è sempre stato estraneo da ogni tipo di adulazione nei
confronti del potere costituito (Napoleone) e questo insegnamento l’ha ricavato da Carlo
Imbonati (compagno della mamma di Manzoni), nei confronti del quale nutre grande stima
tant’è che scrive dei versi per lui in cui afferma di aver ricevuto degli insegnamenti da lui e in
particolare la Libertà nei confronti del potere istituito: non adoperare mai un atteggiamento
servile tramite gli scritti nei confronti del potere. Solo dopo la morte di Napoleone lui decide di
scrivere un’ode dedicata a quest’uomo perché la sua poesia è vergine di Servio encomio, mai
adulatrice del potere.
2. Seconda parte vv.25-78, dalla quinta strofa alla tredicesima. Nella prima strofa vengono
passate in rassegna tutte le campagne di Napoleone che furono molte e vittoriose ma vengono
narrate in una piccola strofa. Importante l’interrogativo nella settima strofa. Si chiede se questa
gloria ottenuta da Napoleone è stata realmente una gloria vera. Rimanda ai posteri tale difficile
risposta ma poi risponde lui stesso nell’ultima parte dell’ode dove dice che la gloria terrena
conquistata con la forza non è vera gloria ma vana e destinata a finire subito e ciò lo sperimenta
Napoleone nella sua vita, in quanto, dal verso 37, viene rappresentata la sofferenza di
Napoleone durante l’esilio. La vera gloria viene conquistata col bene secondo i precetti
evangelici. L’esilio per Napoleone rappresenta la provvida sventura perché grazie alla grande
sofferenza che lui vive in questo periodo riesce a comprendere la vanità di tutto ciò che ha fatto
in precedenza e riesce a comprendere che nel momento in cui non esercita più un effettivo
potere viene abbandonato da tutti. Infatti, quando starà in esilio cercherà più volte di ritornare al
potere e ci riesce anche una volta però poi sarà abbandonato, quindi il suo potere era fragile.
Vive l’esilio da solo e sofferente e capisce che la gloria e il potere accumulati non sono veri
perché erano basati sul terrore. Prima veniva adulato solo perché aveva potere. Quindi la sua
gloria è inutile perché è in esilio da solo, nessuno vuole più aiutarlo. Quindi Napoleone grazie a
questa sofferenza in esilio si rende conto della vanità della gloria terrena e tramite la sofferenza
riscatta i suoi peccati terreni ed inizia ad espiare le sue colpe e ad avvicinarsi a Dio. Dunque, per
Napoleone l’esilio rappresenta la provvida sventura.
3. Terza parte, dalla quattordicesima strofa fino alla diciottesima: Dio sarà l’unico che verrà in
soccorso della sua anima nel momento in cui Napoleone è rappresentato morente da solo nel suo
letto. È solo ma scende dal cielo la mano provvidenziale di Dio e lo trasporta con sé nei campi
elisi dove la gloria terrena non conta nulla. VV 95-96: Manzoni risponde alla domanda posta in
precedenza: la gloria che ebbe è silenzio e tenebre. Napoleone ha riscattato la sua anima grazie
alla sofferenza dell’esilio. E in questo verso che è visibile chiaramente il concetto di provvida
sventura che ritornerà in tutte le opere di Manzoni. È possibile, inoltre, veder una differenza con
Foscolo. Infatti, l’eroe foscoliano è colui che riesce a raggiungere la gloria terrena (uomini
sepolti nella basilica di Santa Croce). Ciò è dovuto anche alla credenza materialistica del
Foscolo: dopo la vita non c’è niente. In Manzoni, invece, la gloria terrena è vana.

Le Tragedie
La tragedia manzoniana è una tragedia molto innovativa nei confronti della tragedia classica ma
anche nei confronti della tragedia di Alfieri. È innovativa perché è innanzitutto una tragedia storica.
È una tragedia che rifiuta la trattazione dei miti classici (ripresi dallo stesso Alfieri) e che si basa
esclusivamente sulla realtà storica. Tratta del vero storico perché per Manzoni non c’è bisogno di
inventare i fatti drammatici in quanto niente è più drammatico della storia stessa. Del resto,
dovendo essere una tragedia che narra fatti storici, vengono rifiutate le unità aristoteliche, di tempo,
spazio e azione. La sua tragedia non può rispettare né l’unità di tempo né l’unita di luogo, vista
l’impossibilità del verificarsi di un evento nell’arco di una sola giornata o in un’unica locazione.
L’unica unità che a volte viene rispettata è quella d’azione, ovvero che l’azione si concentra su un
solo protagonista. Queste novità della tragedia manzoniana, lo scrittore le scrive in una lettera,
intitolata “Lettera a monsignor Chauvet” nella quale fa una distinzione tra vero storico e vero
poetico. Se la tragedia si limita a riportare eventi storici, qual è la differenza fra lo storico e il
tragediografo? Manzoni afferma che il poeta non si limita a rappresentare l’evento storico ma
effettua anche un’indagine psicologica dei personaggi che sono protagonisti della vicenda. Infatti, i
personaggi manzoniani sono molto analizzati dal punto di vista psicologico e comportamentale;
Manzoni cerca di indagare sul perché quel personaggio si comporta in quel modo (si vede anche nei
Promessi Sposi).
Dobbiamo dire che questa novità della tragedia storica non era una novità prettamente manzoniana
ma c’era già stata la stesura di drammi storici da parte di Shakespeare, anche se la tragedia
manzoniana è una tragedia che si differenzia per varie caratteristiche.
Le tragedie di Manzoni hanno una finalità didascalica, educativa, formativa: egli sceglie la tragedia
come strumento portatore e divulgatore dei canoni e dogmi cristiani. Ergo, all’interno delle opere
tragiche non poteva mancare ciò che si canonizza nel “Pessimismo cristiano di Manzoni”: La storia
è caratterizzata dallo scontro dicotomico tra il bene e il male. L’individuo umano, essendo
marchiato per natura dal peccato originale biblico, ha un’indole malvagia e spietata che lo spingerà
a votarsi alle forze maligne, peggiorando sempre più la sua condizione di uomo.
Le tragedie più importanti del Manzoni sono: “Il conte di Carmagnola” e “Adelchi”.

Il Conte di Carmagnola: Questa tragedia fu composta fra il 1816 e il 1820 e tratta di un


personaggio storico realmente vissuto, Francesco Bussone, un capitano di ventura. Questo, nel
corso del 400, fu prima al servizio del Duca di Milano e poi passò al servizio della Repubblica
Veneta. Quando fu al servizio di quest’ultima, combattette contro gli Sforza, che precedentemente
aveva difeso. Celebre è la battaglia di Maclodio, dove la Serenissima (Repubblica veneta) sconfigge
il duca di Milano. Poi, Francesco Bussone viene accusato dagli stessi veneti di tradimento in quanto
si era mostrato troppo magnanimo nei confronti dei prigionieri milanesi. Viene imprigionato e
condannato a morte.
La rappresentazione drammatica della vicenda si mantiene fedele alla verità storica, ma l’autore
rielabora temi e personaggi; distribuita in cinque atti, essa non rispetta le tradizionali unità di tempo
e di luogo, svolgendosi in più luoghi e abbracciando un periodo di tempo di sette anni.
Manzoni ci presenta il protagonista come un personaggio positivo in quanto lui difende
l’innocenza di questo personaggio, anche se dalle fonti storiche che ci sono pervenute, sembra che
questo personaggio abbia davvero tradito i veneti, anche se le sue azioni non sono molto chiare. Il
conte di Carmagnola ci viene quindi rappresentato come un eroe positivo, che, pur facendo il bene,
viene colpito dalla sventura (viene condannato a morte). Già in questa prima tragedia, si nota
quella che è la concezione pessimistica manzoniana della storia. In effetti, lui deriva questa
concezione dal giansenismo (in Manzoni però c’è il libero arbitrio  “Umanesimo Manzoniano.
C’è la visione pessimistica ma l’uomo può sempre scegliere fra il bene e il male, dunque anche se è
incline al male, poi potrà fare del bene). Tutti i personaggi positivi nelle tragedie sono destinati alla
sconfitta e, in particolar modo, vengono sconfitti sempre in nome della Ragion di Stato. Si nota,
quindi, sempre lo scontrarsi fra le forze del bene, rappresentate da personaggi positivi, e le forze del
male, rappresentate dai personaggi politici che per imporre il proprio potere schiacciano i portatori
di valori puri. Alla fine, avviene sempre il trionfo del male sul bene. In effetti, questo pessimismo
è ancora più visibile nell’Adelchi, la tragedia più matura del Manzoni.

Adelchi: Fu pubblicata nel 1822, lo stesso anno della Pentecoste. Anche in questa tragedia
troviamo la rappresentazione di reali eventi storici e il quadro storico in cui si inserisce la tragedia è
l’Italia dell’VIII secolo, ovvero l’Italia dell’Alto Medioevo quando è combattuta fra i
Longobardi e i Franchi. I longobardi sono capeggiati dal re Desiderio, mentre i Franchi da Carlo
Magno. Prima di scrivere la tragedia, Manzoni si documenta bene sul periodo storico che sta
rappresentando, ed infatti, prima della tragedia, scrive un discorso su alcuni punti della storia
longobardica in Italia.
Il re Desiderio si accorda con Carlo Magno per spartirsi il dominio sui territori italiani e suggellano
questo accordo con il matrimonio della figlia del re Desiderio, Ermengarda, con Carlo Magno.
Desiderio, oltre ad avere Ermengarda, ha anche un altro figlio, Adelchi. Carlo Magno, politico più
abile rispetto a Desiderio, riesce ad ottenere la protezione da parte dello Stato Pontificio e quindi,
stabilendo degli accordi anche militari con esso, non ha bisogno di tener fede all’accordo politico
stipulato con re Desiderio. Infatti, rompe questo accordo di alleanza e per rappresentare questa
rottura, ripudia Ermengarda, la quale muore per la sofferenza dell’amore. A questo punto, il re
Desiderio vuole vendicarsi dell’offerta subita e quindi dichiara guerra ai Franchi, anche se è una
guerra persa fin dall’inizio poiché i Franchi erano militarmente più forti. Re Desiderio costringe il
figlio Adelchi ad occupare i territori del Papa. Adelchi non vorrebbe farlo, però, vittima della
decisione politica del padre, acconsente a questa spedizione militare e i Longobardi vengono,
ovviamente, sconfitti. Adelchi muore sul campo di battaglia mentre Desiderio viene fatto
prigioniero da Carlo. Prima di morire, Adelchi invoca i Franchi affinché suo padre venga
risparmiato. Così termina la tragedia.
La tragedia si sviluppa dunque intorno a quattro personaggi. Due sono Desiderio e Carlo Magno,
personaggi politici che si muovono per affermare il proprio potere e le cui ragioni sono governate
dalla cosiddetta Ragion di Stato. In nome di quest’ultima, essi sono disposti a calpestare i
sentimenti e la volontà di personaggi che sono a loro molto cari e vicini, per esempio Adelchi, un
giovane molto generoso che non avrebbe mai voluto occupare i territori del Pontefice. Desiderio dà
in sposa sua figlia a Carlo Magno, pur sapendo che era un uomo di cui non ci si poteva fidare. Sia
Carlo che Desiderio, sono disposti a sottomettere tutto per affermare il proprio potere. Sono
personaggi negativi.
Adelchi è sicuramente, insieme a Jacopo Ortis, il personaggio più romantico della letteratura
italiana. Ortis è l’uomo del tedio interiore e delle innumerevoli riflessioni sull’uomo e sulla sua
vita, che lo porteranno ad assumere un atteggiamento di ribellione, di titanismo. A differenza
dell’Ortis, Adelchi non reagisce ad opporsi alla Ragione di Stato e per questo ne resta succube, una
vittima innocente. Egli muore denunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica:
accettare di agire nella storia significa per forza accettarne le regole e, se si è un’anima grande e
nobile, patirne le contraddizioni. La morte è il riscatto in un’altra dimensione, dove la creatura
raggiunge la perfezione; quest’altra dimensione non è un’utopia, ma per il cristiano Manzoni è la
vera alternativa al mondo ingiusto della Storia. Da non dimenticare che morte, dolore, sofferenza
sono strumenti di cui l’uomo deve necessariamente avvalersi per purificarsi e per avvicinare la
propria anima a Dio (provvida sventura).

I cori delle tragedie


Manzoni dà molta importanza al teatro, esso ha una vera e propria funzione civile (come Alfieri)
perché cerca di veicolare quelli che sono i comportamenti da seguire e quelli da evitare attraverso
esso. Un’importanza, da questo punto di vista, viene rappresentata dai cori delle tragedie
manzoniane.
Il coro della tragedia manzoniana si differenzia dal coro della tragedia classica in quanto, mentre il
coro della tragedia classica era in genere uno spazio riservato al passaggio da una scena ad un altra,
il coro di Manzoni ha una vera e propria importanza poetica. Infatti, Manzoni definisce i suoi cori
come dei “cantucci lirici” quindi degli spazi che lui si riserva per effettuare le proprie riflessioni su
ciò che sta narrando. Egli, comunque, non interviene nella narrazione dei fatti.
Manzoni scrive tre cori: il conte di Carmagnola presenta un unico coro mentre l’Adelchi presenta
due cori.
Per quanto riguarda il coro del Conte di Carmagnola, Manzoni critica apertamente quelle che erano
le lotte civili che nel 400 dividevano il popolo italiano. In effetti, Manzoni ci vuole dare una sorta
di insegnamento: finché l’Italia sarà divisa da lotte intestine, non potremo mai liberarci dai veri
nemici, ovvero i popoli stranieri.
Il primo coro dell’Adelchi ci presenta gli italiani che sono smarriti e sono divisi in quanto non
sanno se preferire il dominio dei Longobardi o il dominio dei Franchi. Anche qui, Manzoni ci dà un
ammonimento, affinché gli italiani si liberino una volta e per tutte dal dominio degli stranieri.
Molto più poetico, è il secondo coro dell’Adelchi, ovvero il coro di Ermengarda. Esso rappresenta
gli ultimi istanti della vita di Ermengarda, in preda al delirio e alla sofferenza dovuti al ripudio di
Carlo. In effetti, questo coro viene posizionato dopo il quarto atto della tragedia. In questo atto,
viene rappresentata Ermengarda che è stata ripudiata da Carlo e per cercare pace al suo tormento
interiore, poiché si era realmente innamorata di Carlo, e per cercare di dimenticare la sua
sofferenza, si rinchiude nel convento di Brescia dove era badessa la sorella, Ansberga. Nella quiete
del convento, Ermengarda pensa di poter obliare Carlo e di poter lenire la sua sofferenza ma non ci
riuscirà mai e quando saprà dalla stessa sorella che Carlo sta per sposare un’altra donna, impazzisce
e muore per la sofferenza dell’amore. Nel suo personaggio, è visibile il concetto di provvida
sventura. Parlando con la sorella, Ermengarda definisce il suo amore come un amore tremendo, un
amore che lei, per pudore, non aveva mai osato rivelare nemmeno al marito. Questo amore che lei
prova per Carlo, però, è fortemente sensuale; è un amore che non l’avvicina a Dio, però la
sofferenza per tale amore rappresenta, per Ermengarda, la provvida sventura. Ermengarda, per
nascita, appartiene ai Longobardi, un popolo lontano da Dio perché si impone sugli altri attraverso
la forza. Grazie alla provvida sventura, Ermengarda riesce a passare dalla parte degli oppressori alla
parte degli oppressi, redimendosi in punto di morte.

Il Coro di Ermengarda: Segue il quarto atto, in cui Ermengarda confessa alla sorella di aver
sempre amato in modo sensuale; ella si sente vicino alla morte e chiede alla sorella di voler essere
sepolta con l’anello nunziale perché dice che anche nella morte si sente sposa di Carlo, che indica la
fedeltà a questo amore coniugale. La sorella cerca di distoglierla da questa illusione, cercando di
farla fare monaca sposando Dio. Lei non accetta quindi rifiuta Dio perché dice di sentirsi sposata
con Carlo e non può essere sposata ad altri. È animata da un’ultima illusione: può darsi che dopo la
sua morte Carlo richieda le sue spoglie e la seppellisca nella tomba regale in modo che dopo la
morte possano stare insieme. Ma la sorella dice che Carlo non l’ha mai amata infatti sta per sposare
un’altra. La sofferenza aumenta e si trasforma in delirio prima di morire e qui c’è il coro.
È l’espressione lirica più alta di Manzoni nel senso che qui è tanto evidente lo studio psicologico
del personaggio che i sentimenti prendono il sopravvento sulla rappresentazione del vero quindi è la
prova poetica più alta di Manzoni. È costituito da 20 strofe, ognuna da 6 settenari e all’interno della
strofa il primo e il terzo sono sdruccioli, etc. Rima a due a due. Si parla di struttura chiusa ciclica in
quanto abbiamo l’alternarsi di tre diversi piani temporali. Si inizia con il presente e si termina con il
presente (chiusa). I piani temporali sono:
1. presente (strofe 1-4) in cui viene rappresentata Ermengarda negli ultimi istanti di vita;
2. passato prossimo (strofa 5) in cui lei cerca di obliare l’amore per Carlo nella tranquillità del
convento;
3. passato remoto (strofe 6-10), ovvero i ricordi di Ermengarda dei giorni felici come sposa di
Carlo;
4. nuovo passato prossimo (strofe 11-14);
5. di nuovo presente (strofe 15-20).
Lo schema rime è: a b c b d e.
Nella prima strofa il soggetto pia è posposto con iperbato al quinto verso. È definita pia in quanto è
resa innocente dalla sofferenza. Descrive l’aspettò di Ermengarda sul punto di morte. Sparsa, lenta:
ipallage. Palme: sineddoche.
Dalla seconda strofa rappresenta cosa c’è intorno ad ella: le suore che piangono, ad un certo punto
termina questo pianto e iniziano a pregare e viene rappresentata una scena che sembra riportare a
Napoleone quando la mano provvida scende dal cielo e trasporta Napoleone nei campi elisi. Qui la
mano leggera cala sulla gelida fronte e stende il velo della morte su di lei, viene in soccorso della
sua anima e la porta verso la beatitudine eterna. Gentile: topos letterario per indicare la nobiltà
d’animo. Così viene definita Ermengarda. Concezione manzoniana della morte, opposta a Foscolo:
per Foscolo dopo la morte non c’è niente per Manzoni la morte è l’inizio della vera vita.
Nella quinta strofa descrive ciò che Ermengarda aveva fatto durante i giorni trascorsi nel convento
di Brescia: lei spesse volte insonne non riusciva a dormire e girovagava per i chiostri da sola e
pregava Dio presso gli altari affinché potesse obliare il suo amore però non ci riusciva perché nel
suo pensiero ritornavano i giorni trascorsi con Carlo. Ma questa preghiera non porta buoni risultati
in quanto lei ricordava sempre quei giorni e quindi inizia la parentesi dei giorni felici con Carlo fino
alla 10ª strofa e viene descritta una particolare scena (descritta in maniera violenta per indicare la
violenza a cui Carlo era propenso) di caccia. Ermengarda solo in questo coro mostra un po’ del
titanismo nel delirio perché durante la vita era sempre stata vittima e aveva subito le azioni degli
altri e solo qui a partire dall’atto 4 trova la forza per dichiarare il suo amore che lei non era mai
riuscita a dichiarare. Di fronte alla violenza della scena di caccia non riesce a reggere la vista di
questa tanta violenza, è fragile e volta il suo sguardo verso le ancelle. Quindi si mette in antitesi
l’atteggiamento di Carlo, violento, con quello puro di Ermengarda, questa fanciulla genuina che non
immagina nemmeno cosa il futuro le riservi.
Immagine stereotipata della bellezza di Ermengarda  con capelli biondi adornata da gemme.
Re dei che chiome perifrasi per Carlo.
Ritmo molto veloce per questa scena con enumerazione mista per rappresentare in maniera ancora
più rapida con l’anafora. La paura la rendeva più amabile perché la rappresentava come una
donzella non incline alla violenza, dolce (d’amabile terror). Ricordo di Carlo che quando tornava
dalle battaglie era solito fermarsi preso il fiume Mosa e bagnare l’armatura e il corpo insanguinato
nelle acque di questo fiume in Aquisgrana. Sudore glorioso perché provocato dalla guerra. Dal V 61
fino a 84 c’è una delle similitudini più altamente poetiche di tutta la produzione letteraria, in cui
viene fatta la similitudine naturale tra il cuore di Ermengarda e l’erba, quindi elementi tratti dalla
natura. La rugiada di buon mattino ridona una sorta di vitalità all’erba che era stata appassita dal
caldo rovente e quindi i cespugli riescono a risorgere per un momento però poi sorge il sole, il caldo
man mano avanza e nuovamente questi cespugli che hanno acquisito una piccola vitalità nelle prime
ore mattutine grazie alla rugiada vengono nuovamente abbattuti al suolo e inaridiscono di nuovo.
Allo stesso modo succede per il cuore di Ermengarda perché tale cuore aveva ottenuto una piccola
tranquillità quando si era rifugiata nel convento grazie alle parole della sorella e delle suore ma tale
tranquillità era momentanea perché lei non riesce a dimenticare mai l’amore per Carlo quindi così
come l’erba prende vitalità solo per un piccolo tempo grazie alla rugiada allo stesso modo il cuore
di Ermengarda grazie alle parole delle suore. Ma l’oblio tanto ricercato non lo raggiunge mai e la
passione torna a impossessarsi del suo cuore ancora con più forza, fino a portarla al completo
delirio. Non riesce a reggere la violenza di questo amore che si impadronisce del suo animo.

I promessi sposi
La scelta del romanzo: Manzoni vede nel romanzo un genere che più si addice alla sua poetica
del vero, dell’utile e dell’interessante. Inoltre, attraverso il romanzo raggiunge un pubblico più
vasto. Questa è un’innovazione nella tradizione italiana poiché egli non sceglie la poesia o la
tragedia per il suo lavoro più importante bensì il romanzo. In realtà, il romanzo era nato già in
Inghilterra (romanzo epistolare, romanzo storico). L’autore adoperò uno stile semplice, colloquiale,
privo di fraintendimenti, che mirasse ad una fruizione più ampia e più consapevole e che si
rivolgesse al popolo (secondo la teorizzazione della “letteratura popolare” di Berchet nella
“Lettera semiseria di Grisostomo al figlio”).

La scelta del romanzo storico: Il romanzo storico è un particolare genere letterario in cui
l’ambientazione storica ha un valore documentaristico perché intende trasmettere lo spirito, i
comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un'aderenza, fittizia o meno,
ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti oppure una mescolanza di
personaggi storici e di invenzione. Il romanzo storico nacque in Inghilterra per mano del poeta e
romanziere scozzese, Walter Scott (1771-1832), il quale diede profondità e dignità al genere, autore
del primo romanzo storico: “Ivanoe”. Manzoni sceglie questo tipo di romanzo poiché tratta del
vero, già trattato nelle odi e nelle tragedie. Egli, seguendo l’esempio di Walter Scott, non sceglie
come protagonisti del suo romanzo personaggi storici importanti bensì sceglie Renzo e Lucia, due
umili popolani, i quali sono due personaggi inventati. Manzoni, però, prima di dare avvio alla
scrittura del suo romanzo, si documenta talmente bene sul periodo storico che va a trattare che
Renzo e Lucia, pur se sono frutto di fantasia, presentano caratteristiche tipiche dell’ambiente storico
che viene trattato, sia nel modo di parlare, sia nel modo di comportarsi. Manzoni, rispetto a Scott, si
documenta in maniera pedissequa nei confronti del contesto storico che va a trattare, ovvero il 600
Lombardo, quando la Lombardia era sotto il governo degli spagnoli. Infatti, Manzoni criticherà
Scott per aver dato troppo spazio all’invenzione all’interno del vero storico. Manzoni, a differenza
di Scott (che agiva talvolta con libertà e fantasia sulla ricostruzione storica per piegarla alla
piacevolezza della narrazione), cerca nel suo unico romanzo una tesi, partendo da un’accuratissima
ricostruzione: in altre parole, la Storia è utilizzata con funzione dimostrativa e non solo come
ambientazione. La sua opera si differenzia, però, da un’opera storiografica in quanto non c’è
soltanto la rappresentazione oggettiva dei fatti, ma in Manzoni c’è un attento studio psicologico dei
personaggi. Infatti, prima di far entrare in azione un personaggio, l’autore ce lo presenta per far
capire meglio al lettore il comportamento di tale personaggio. C’è una profonda introspezione
psicologica, per cui noi ricaveremo la caratterizzazione dei personaggi non dalle azioni che compie
ma dalla rappresentazione antecedente all’azione.

Il fine: è lo stesso fine che già abbiamo visto nel primo coro dell’Adelchi e nel coro del Conte di
Carmagnola perché attraverso il passato, Manzoni fa riferimento alla realtà presente. Se Manzoni
avesse scritto un romanzo in cui avesse criticato la dominazione austriaca (quella contemporanea
all’autore) in Italia, il romanzo sarebbe stato censurato subito e i promessi sposi non avrebbero mai
riscosso quel successo quando furono pubblicati. L’atteggiamento dell’autore è molto critico nei
confronti della dominazione spagnola e questa viene rappresentata come una dominazione iniqua in
cui trionfa l’oppressione dei ceti più forti sui ceti più deboli e l’ingiustizia nell’amministrazione
giuridica (la legge protegge sempre i più forti), vige un sistema legislativo molto vacillante
(Manzoni fa riferimento alle Grida, ovvero le leggi che venivano urlate al popolo), ognuno dava una
propria interpretazione delle leggi a seconda degli interessi personali che voleva difendere, è
presente una politica economica molto debole. Quindi attraverso la critica alla società spagnola
del Seicento, critica la dominazione degli austriaci in Italia. Il fine è quello di far rendere conto
gli italiani che non bisogna mai affidarsi agli stranieri, poiché questi adottano sempre una politica
di sfruttamento del territorio. Spinge gli italiani all’insurrezione. Manzoni cerca di offrire
attraverso il suo romanzo un modello di società ideale. Quest’ultima è una società in cui ci sia un
forte potere centrale, che non appoggi nessun veto sociale, ma che sia da arbitro per le controversie
che sorgono fra le varie classi. Uno stato che sappia amministrare bene la giustizia in modo che
nessuno sia vittima di soprusi. Uno stato che possa portare avanti un’oculata politica economica,
che garantisca la prosperità del territorio in questo campo. Puntava alla realizzazione dello stato
ideale, enunciato anche nell’inno sacro “La Pentecoste” in cui i ricchi, animati da un grande senso
di solidarietà, elargivano ai poveri copiose ricchezze, senza ostentare l’atto di bontà, in modo che il
bisognoso non si sentisse oltraggiato. Manzoni appartiene ai liberal-moderati progressisti: c’è
bisogno di un progresso portato avanti con delle riforme moderate sostenute dal ceto medio (la linea
moderata di Cavour). Manzoni non ha fiducia nel popolo.

Concezione della folla: Sarebbe errato definire Manzoni un populista, in quanto egli stesso
enucleava e riteneva che il popolo non fosse né in grado di perorare il processo politico unificativo,
né che esso fosse una classe sociale a cui delegare il potere economico ed il comando della nazione.
Non ha fiducia in esso e lo rappresenta, nei diversi tumulti di Milano, come una “massa informe ed
ignorante”; dunque sarebbe ugualmente scorretto definire “I Promessi Sposi” un’epopea del
popolo in cui vi è un’esaltazione esasperata degli umili. In effetti, Manzoni vede il popolo come
portatore di valori positivi (morali, civili e religiosi) che nella classe dirigente sembrano sopiti.

Romanzo di formazione: Il romanzo oltre ad essere storico, è anche di formazione: notevole è il


processo di maturazione interiore, ideologica ed attitudinale dei personaggi.
Ogni personaggio manzoniano, a parte alcuni, presenta un percorso di formazione.
All’inizio, Renzo è presentato come un contadinotto, portatore di sane virtù morali (onestà,
lavoro…), ma profondamente ignorante, analfabeta. Questo lo porta ad essere vittima della
superiorità intellettuale degli altri personaggi (come nell’incontro con Don Abbondio e con
l’Azzeccagarbugli); ma Renzo, dopo il matrimonio, promette di educare i suoi figli alla cultura,
perché comprende che l’ignoranza rende fragili. Renzo è, inoltre, molto istintivo ed impulsivo
nelle sue azioni: crede di potersi fare giustizia da solo senza l’aiuto di Dio. Ma egli matura sempre
più una coscienza religiosa e mostra il bisogno e la necessità di aggrapparsi ad un ente superiore,
per il raggiungimento delle sue vittorie.
Lucia al contrario, sin dall’inizio del romanzo è un personaggio positivo, portatrice di tutti gli ideali
evangelici ed i valori cristiani di un buon cristiano. Pronta a subordinare il suo amore a Dio e al
contempo paventata da egli, pudica ed onesta; queste sono le caratteristiche che si evincono da una
prima lettura del romanzo. Sarebbe fuorviante pensare che in lei sia maturo il concetto di provvida
sventura sia dall’inizio del romanzo: anche Lucia subisce un processo di maturazione.
Pervasa dal pavento che l’uomo debba vivere seguendo i principi cattolici per il solo scopo di
tenersi lontano dalla sventura. La maturazione sta proprio nel comprendere che nonostante ci sia un
forte sentimento religioso nell’uomo, egli è comunque destinato a sopportare soprusi e sofferenza, a
prescindere dall’adempiere o meno alle leggi cristiane; e che quindi la sofferenza è uno strumento
catartico per l’anima umana, permettendogli così di avvicinarci a Dio.
Il “sugo” del romanzo è il concetto di provvida sventura e l’importanza della cultura, utilizzata
come arma contro i soprusi della società (Renzo infatti esorta i suoi figli allo studio, per non essere
vittime manipolate dai potenti)
Anche se il romanzo conclude nel migliore dei modi (Renzo e Lucia vanno a vivere nel bergamasco
ecc.), quello non è un idillio poiché per Manzoni non esiste una società in cui trionfa sempre la
pace poiché il male è sempre in agguato. Anzi, il male è quasi sempre più forte del bene. Ma
l’uomo può combattere il male, non ci deve essere rassegnazione; deve cercare in tutti i modi di
fronteggiare e arginare il male.
Ironia manzoniana:
1. Autoironia: Ironia che Manzoni adopera verso se stesso. Lo strumento dell’autoironia è
descritto nell’introduzione al romanzo, dove Manzoni dice di aver trovato questo
manoscritto e di essersi limitato a trascriverlo in altra lingua. In questo modo addita verso
l’autore del manoscritto le eventuali mancanze del romanzo e cerca di effettuare un distacco
dalla sua stessa opera.
2. Ironia: verso il lettore, che vorrebbe sapere di più sulla vita dei due amanti durante il
matrimonio, ma Manzoni termina il romanzo mostrando di non volere assecondare il gusto
del pubblico con il romanzesco

Edizioni:
1. La prima stesura del romanzo l’abbiamo fra il 1821 e il 1823 ma non venne mai pubblicata;
venne pubblicata dopo da altri poiché Manzoni era scontento dal punto di visto
contenutistico nonché stilistico. Il suo titolo era “Fermo e Lucia”.
2. Poi Manzoni rivede questa prima stesura, e quindi c’è una seconda stesura e pubblicazione
da parte dell’autore nel 1827 (venitssettana).
3. Nel 1840 c’è la soluzione linguistica nell’ultima stesura (quarantana).
La prima stesura presenta differenze enormi dalla seconda e dalla terza. Per esempio, nella prima
stesura veniva prima raccontata la storia di Lucia e poi quella di Fermo. Nelle ultime due
pubblicazioni, le storie si intrecciano. Alcune storie di alcuni personaggi erano molto più ampie
rispetto alla ventisettana e alla quarantana, come la storia della Monaca di Monza. Manzoni elimina
i particolari della storia d’amore fra lei e Egidio ma anche nell’uccisione della monaca che aveva
scoperto la tresca. Manzoni li sintetizza al massimo poiché li trova poco utili come insegnamento.
Anche la rappresentazione di alcuni personaggi viene modifica. L’innominato, che in “Fermo e
Lucia” viene chiamato il Conte del Sagrato, ci viene descritto come un personaggio malefico,
veniva rappresentata maggiormente la negatività del personaggio. Nelle ultime due redazioni
abbiamo uno studio psicologico molto più approfondito di questo personaggio mentre nella prima
redazione non si nota tale studio introspettivo.
Nella prima redazione, c’erano più digressioni, di natura soprattutto economica e politica, che
continuano ad esserci nelle altre due ma sono sintetizzate.
Il narratore è sempre onnisciente e presenta una focalizzazione zero (la storia è vista dall’alto).
A volte la focalizzazione si sposta e segue il punto di vista di Renzo (focalizzazione interna), che
comprende la storia durante il suo svolgimento; dunque la focalizzazione del romanzo è una
focalizzazione mobile.
Quello che cambia è la modalità con cui il narratore interviene nel romanzo per esprimere i propri
giudizi. Mentre nella prima redazione, gli interventi sono più palesi, nella seconda e nella terza il
narratore comunque giudica le azioni dei suoi personaggi ma lo fa attraverso degli accorgimenti che
non ci fanno proprio capire bene che è un intervento del narratore (giudizi o aggettivi).
Per quanto riguarda l’aspetto linguistico, ci sono differenze in tutte e tre le redazioni. Sin
dall’inizio, Manzoni si presuppone di scrivere in modo semplice. Nella prima redazione, egli sceglie
come base il toscano letterario (scritto) che però viene un po’ animato dall’inserimento di termini
tratti dai vari dialetti italiani. In particolar modo, utilizza il dialetto milanese, fiorentino e ci sono
molti francesismi. Nella ventisettana, Manzoni apporta dei mutamenti relativi soprattutto al
predominio del dialetto fiorentino sugli altri dialetti anche se come base abbiamo sempre il toscano
letterario. Nella quarantana, giunge ad una soluzione che rappresenta la soluzione alla questione
della lingua: Manzoni dice che bisogna utilizzare una lingua che non sia più una lingua letteraria
bensì una lingua parlata. Egli utilizza il fiorentino che viene parlato dal ceto medio, ovvero dalla
borghesia. Questa lingua sarà destinata a diventare la lingua italiana. Manzoni fu il primo ad
avvertire che per raggiungere l’unificazione politica, bisognava prima raggiungere un’unificazione
linguistica e risolve la “questione della lingua”, iniziata già da Dante nel “De vulgari eloquentia”.

Potrebbero piacerti anche